Che vuol dire essere in comunione col Romano Pontefice? I criteri della infallibilità

— attualità ecclesiale —

CHE VUOL DIRE ESSERE IN COMUNIONE COL ROMANO PONTEFICE? I CRITERI DELLA INFALLIBILITÀ

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La comunione legittima si estende per tutto il campo degli atti legittimi e lodevoli del Sommo Pontefice, ma che nella misura in cui egli dovesse trasgredire la legge di Dio e della Chiesa, in quella misura la comunione con lui non potrebbe sussistere.

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Autore
Giovanni Cavalcoli, O.P.

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la statua di San Pietro Apostolo nella omonima arcibasilica vaticana

Due mesi fa, con lettera datata 7 ottobre, il Cardinale Marc Ouellet, Prefetto della congregazione per i vescovi, si rivolse all’Arcivescovo Carlo Maria Viganò, già Nunzio Apostolico negli Stati Uniti d’America, per ricordargli quello che era il suo dovere di essere in comunione col Sommo Pontefice, [testo della lettera, QUI]. Contrariamente al parere del Prefetto, io ritengo invece che l’Arcivescovo Carlo Maria Viganò sia in comunione col Sommo Pontefice, anche se posso capire in qualche modo l’opinione del Cardinale Marc Ouellet. Infatti, comunione col Sommo Pontefice, non vuol certo dire che non sia lecito disapprovare eventuali suoi comportamenti lesivi della virtù, o di un buon governo della Chiesa.

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Il semplice far notare al Sommo Pontefice, come ha fatto l’Arcivescovo Carlo Maria Viganò, d’aver omesso atti d’ufficio, per quanto grave sia la materia nella quale il Santo Padre avrebbe mancato, quindi il rimproverarlo filialmente e rispettosamente, richiamandolo al suo dovere, se il tutto è fatto nei dovuti modi e mossi da retta intenzione, nulla ha a che vedere con una rottura della comunione di fede o di disciplina col Sommo Pontefice.

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Una semplice nota di rimprovero, se questo rimprovero è giusto e motivato,  non è da confondersi con quella disobbedienza o ribellione al Capo della Chiesa Cattolica nel suo insegnamento di fede e nella sua volontà pastorale, che invece costituisce la rottura della comunione con lui. Il rimprovero, infatti, fa riferimento alla norma infranta dal rimproverato e riconosce la norma come fondamento della comunione col rimproverato, nel caso il Sommo Pontefice stesso, responsabile di aver mancato al suo dovere pastorale.

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Rottura della comunione fu invece quella di Lutero che accusò il Supremo Capo della Chiesa di eresia per non aver accettato la sua tesi eretica della giustificazione senza le opere, mostrando così di scalzare il principio stesso della comunione con il Romano Pontefice e con la Chiesa, principio che riconosce Successore dell’Apostolo Pietro il maestro della fede.

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Occorre ricordare che la vera comunione cattolica col Sommo Pontefice, implicante peraltro la comunione con la Chiesa, non è, come credono molti che si ritengono a lui obbedienti, una semplice simpatia o empatia psico-emotiva, od un semplice legame affettivo o un’ammirazione umana o terrena o politica per lui, meno che mai è un attaccamento soggettivo all’uomo Jorge Mario Bergoglio, con i suoi gusti ed opinioni personali; per cui, con termine più adatto agli attori di teatro od ai campioni dello sport, si considerano scioccamente «fans» del Santo Padre o, con un’espressione esageratamente confidenziale, «amici», per non dire suoi idolatri. Cosicché, coloro che in qualunque modo muovono una qualunque critica al Sommo Pontefice, per quanto ragionevole, rispettosa e motivata, sarebbero con ciò stesso suoi «nemici» e «odiatori», o peggio: non in «comunione» con lui.

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Giustamente costoro si considerano dei «fans» perché sono dei fanatici, perché a loro sembra che il Sommo Pontefice li accontenti nei loro vizi e nelle loro eresie. Il guaio è che effettivamente, il Santo Padre Francesco, per quanto come Sommo Pontefice sia ortodosso, non si cura però di avere un linguaggio chiaro ed appropriato che eviti l’equivoco o il doppio senso, ed omettendo di smentire le cattive interpretazioni o le strumentalizzazioni. E questa — diciamolo schiettamente — è una disonestà, che se denunciata nei dovuti modi non rompe affatto la comunione cattolica col Sommo Pontefice, al contrario la conferma, perché in questo modo gli viene reso un servizio affinché possa correggersi; pertanto, non potremmo essere meglio in comunione con lui.

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Il Santo Padre Francesco, insieme con i suoi cosiddetti «amici», non dovrebbe affatto offendersi e contrattaccare; non dovrebbe chiudersi in uno sprezzante silenzio, o addirittura rispondere con risentimento e calunnie, anzi farebbe bene a prendere invece in considerazione le critiche, ad accogliere i richiami e le suppliche, ad ascoltare i consigli, ad accogliere le proposte di riforma, a sciogliere i dubia, a riconoscere i propri torti, ad aver pietà per la Chiesa sofferente e tradita, chiedendo all’occorrenza perdono a Dio, dato che la misericordia di Dio c’è anche per lui, assieme alla remissione dei peccati.

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La comunione col Romano Pontefice non è un rapporto affettivo posto sul piano semplicemente umano, psicologico o sociale, che peraltro non è affatto escluso, ma è essenzialmente una ferma e costante volontà di amore ed obbedienza al Vicario di Cristo, Successore di Pietro, ed è fondata sulla convinzione di fede teologale ed effetto della grazia divina che Cristo ha voluto fondare la sua  Chiesa sulla roccia di Pietro, senza che mai le potenze delle tenebre possano distruggerla [cf. 16, 13-20]. In particolare tale comunione, che è unità di idee e di volontà col Sommo Pontefice, comporta una base teoretica e un’esecuzione pratica. La base teoretica è il sapere di fede, proprio del cattolico, che il Sommo Pontefice, grazie ad un’assistenza speciale garantita da Cristo a Pietro —«confirma fratres tuos» [cf. Lc 22,32] —, è dottore veridico e verace delle verità immutabili della fede, per cui non può sbagliarsi nell’apprendere e nell’insegnare il dato rivelato, in particolare i dogmi della fede, non solo nelle circostanze solenni e straordinarie delle definizioni di nuovi dogmi — «ex cathedra Petri» —, ma anche nelle circostanze ordinarie e quotidiane.

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L’attuazione pratica della comunione col Sommo Pontefice, dalla quale discende la comunione ecclesiale concreta, consiste nell’obbedienza alla sua guida pastorale, ai suoi comandi ed alle sue disposizioni amministrative, giuridiche e legislative. Ma tale obbedienza non viene meno, se rileviamo nel Sommo Pontefice, dopo ponderato e maturo giudizio, mancanze alla giustizia o alla prudenza o contro altre virtù. Per questo cade opportuno fare tra queste righe un’importante distinzione, riguardante il ministero petrino, che tocca la questione della comunione col Sommo Pontefice nell’ossequio dovuto a tale ministero.

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Ricordiamo allora che il Romano Pontefice riceve in quanto tale da Cristo uno speciale dono dello Spirito Santo, che gli serve sia come maestro della fede e sia per il governo della Chiesa, oltre a disporre della grazia santificante, comune ad ogni cristiano in grazia, per l’esercizio delle virtù umane e cristiane. Ovviamente, la grazia dello Spirito Santo entra in funzione per tutti e tre i suddetti compiti: l’insegnamento della verità evangelica, il governo della Chiesa e l’esercizio delle virtù cristiane.

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Per quanto riguarda l’assistenza dello Spirito Santo, essa è indefettibile nell’esercizio del magistero dottrinale ordinario e straordinario del Sommo Pontefice, in quanto la grazia muove infallibilmente la sua volontà ad annunciare la verità circa i dati salvifici della fede. Se così non fosse, vorrebbe dire che non varrebbe più la promessa fatta da Cristo a Pietro ed ai suoi successori di assisterli come maestri della fede. Il che è evidentemente impensabile. In questo atto, dunque, la volontà del Sommo Pontefice, pur restando libera, è infallibilmente mossa dallo Spirito Santo a scegliere e ad esprimere la verità; quindi il Sommo Pontefice non può peccare coscientemente e deliberatamente di eresia. Chi su questo punto non è in comunione col Sommo Pontefice, è eretico.

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Questa assistenza infallibile dello Spirito Santo, che il Papa possiede nel conoscere, annunciare, spiegare, difendere e diffondere il Vangelo, è simile a quella più importante che ha esercitato nell’ispirare agli agiografi biblici tutto e solo quello che per loro mezzo ha voluto rivelare all’umanità, tutto il resto essendo solo il frutto della loro fallibile intelligenza.

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Così pure ciò che il Sommo Pontefice pensa o dice al di fuori del suo magistero apostolico, lo pensa e lo dice a suo personale rischio e pericolo. La differenza tra l’ispirazione biblica e l’assistenza al Sommo Pontefice sta nel fatto che nel primo caso c’è in gioco il contenuto rivelato, mentre nel secondo si tratta dell’acquisizione, della comprensione e dell’interpretazione di questo contenuto.

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Diverso è il caso della grazia che il Papa ha a sua disposizione per la sua condotta morale e il governo della Chiesa. Egli può respingere questa grazia e quindi cadere nel peccato. È questo, pertanto, il piano di comportamento del Sommo Pontefice, dove può essere rimproverato e corretto, senza rompere la comunione con lui. È chiaro infatti che la comunione legittima si estende per tutto il campo degli atti legittimi e lodevoli del Sommo Pontefice, ma che nella misura in cui egli dovesse trasgredire la legge di Dio e della Chiesa, in quella misura la comunione con lui non potrebbe sussistere.

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Anche qui si dà una comunione col Sommo Pontefice, la quale però non è, come nel caso precedente, comunione di fede, ma comunione di disciplina. Come si può spezzare la precedente comunione con l’eresia, qui si può rompere la comunione con lo scisma, che è disobbedienza al Sommo Pontefice nella sua volontà di legislatore e guida pastorale e giuridica della Chiesa.

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I modernisti, viceversa, che si vantano di essere gli amici del Regnante Pontefice e che godono effettivamente dei suoi favori, non sanno che cosa è la vera comunione col Romano Pontefice. Per cui, nonostante le apparenze in contrario, sono in realtà degli scismatici. Infatti, per loro la comunione col Sommo Pontefice non è l’unione delle loro volontà con il Santo Padre Francesco in quanto custode infallibile di una verità assoluta ed immutabile, nella quale non credono, proprietà della dottrina del Vangelo; ma è la concordia e la collaborazione con la soggettiva e discutibile, anzi  dannosa, linea politico-pastorale di Bergoglio, fatta passare per svolta epocale e rivoluzionaria, grande profezia e riforma, piena attuazione del Concilio Vaticano II.

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Il Santo Padre Francesco, d’altra parte dà spazio a questa falsa comunione, perché sembra tenere più all’affermazione del suo prestigio personale, che non curare la purezza e la difesa della dottrina della fede. È qui che giunge a proposito il severo avvertimento agostiniano: «Coloro che pascono le pecore di Cristo con l’intenzione di condizionarle a se stessi e di non considerarle di Cristo, dimostrano di amare non Cristo ma se stessi, spinti come sono dalla cupidigia di gloria o di potere o di guadagno, non dall’amore di obbedire, di aiutare, di piacere a Dio» [Tratt. 123, 5; CCL 36, 678-679].

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Non ci si meravigli allora del fatto che i modernisti non fanno critiche al Santo Padre Francesco, mentre hanno attaccato duramente gli ultimi Pontefici, come San Paolo VI, San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Il motivo è che avevano capito che, mentre questi Pontefici erano anti-modernisti, operando oggi una grande forzatura sono convinti che il Santo Padre Francesco sia uno di loro, per cui, se da una parte sono stati nascostamente scismatici nei confronti dei Papi precedenti, ecco che adesso sono diventati ipocritamente obbedientissimi, anzi fanatici del Regnante Pontefice, il quale però, purtroppo, non è che faccia molto per sfatare questo equivoco e prender da loro le distanze.

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Chi è veramente in comunione col Papa e gli parla con franchezza, oggi è accusato dai modernisti di non essere in comunione col Sommo Pontefice. Loro che invece, per le loro eresie, sono in realtà degli scismatici, si atteggiano ad amici del Papa, il quale dovrebbe essere più cauto nel dar loro confidenza, dato che lo strumentalizzano a loro vantaggio.

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Chi non è in comunione col Sommo Pontefice merita di essere scomunicato. Però bisogna dire che il Sommo Pontefice in questa materia può sbagliare, cioè può scomunicare uno che non lo merita, mentre può non scomunicare qualcuno che lo meriterebbe. Dunque che cosa deve fare uno scomunicato ingiustamente? Secondo San Tommaso d’Aquino deve sopportare umilmente e pazientemente. Io aggiungerei che deve pregare, ed offrire le proprie sofferenze per la salvezza delle anime dei suoi persecutori.

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Varazze, 16 dicembre 2018

 

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5 commenti
  1. orenzo
    orenzo dice:

    “che il Sommo Pontefice, grazie ad un’assistenza speciale garantita da Cristo a Pietro… è dottore veridico e verace delle verità immutabili della fede, per cui non può sbagliarsi… non solo nelle circostanze solenni e straordinarie… ma anche nelle circostanze ordinarie e quotidiane”
    e che “il Romano Pontefice riceve in quanto tale da Cristo uno speciale dono dello Spirito Santo, che gli serve sia come maestro della fede”,
    non credo significhi affatto che le sue parole, prese alla lettera, debbano sempre essere conformi alla millenaria fede della Chiesa.
    Talvolta anche i maestri di verità utilizzano parole in contrasto con la verità stessa allo scopo di meglio insegnare ai propri discepoli la verità.
    Ricordando allora che il vero maestro è lo Spirito Santo e che il Santo Padre è pur sempre uno strumento dei suoi imperscrutabili disegni, ritengo che affermazioni del tipo: l’illiceità assoluta della pena di morte, il Padre che mai mette alla prova i suoi figli, Maria e Giuseppe profughi a Betlemme, il peccatore che permane nel peccato gradito a Dio…,
    siano stimolo ad approfondire Scrittura e Tradizione per alcuni, segno di contraddizione e svelamento dei cuori per…

    • Giovanni Cavalcoli, O.P.
      Giovanni Cavalcoli, O.P. dice:

      Per incarico di Cristo, il Papa, qualunque Papa, è dottore e maestro della verità evangelica, che non s’inganna e non inganna. Certe frasi di Papa Francesco che sembrerebbero eretiche, devono essere interpretate in senso ortodosso.
      Dire poi che «talvolta anche i maestri di verità utilizzano parole in contrasto con la verità stessa allo scopo di meglio insegnare ai propri discepoli la verità», vuol dire proporre un procedimento machiavellico e disonesto, al quale nessun Papa si potrà mai attenere, per quanto il Papa attuale arrechi a molti fedeli numerosi problemi ed anche scandalo per l’ambiguità e l’imprudenza di certe sue espressioni, estranee al linguaggio proprio della Chiesa.

  2. VALERI
    VALERI dice:

    Una domanda per il teologo. Visto che Benedetto XVI è ancora Papa, potrebbe un sacerdote celebrare messa una cum Papa Benedetto? Quali sarebbero le conseguenze? Potrebbe mai essere considerato per tale condotta scismatico? Grazie

    • Ariel S. Levi di Gualdo
      Ariel S. Levi di Gualdo dice:

      Sarebbe come se dopo la lecita e valida rinuncia di Celestino V e la lecita e valida elezione di Bonifacio VIII, qualcuno avesse seguitato a celebrare la Santa Messa applicando nel canone « Una cum famulo tuo Papa nostro Coelestinum »

    • Padre Giovanni Cavalcoli
      Padre Giovanni Cavalcoli dice:

      È consentito citare Papa Benedetto come Papa emerito accanto a Papa Francesco. Sarebbe scismatico chi citasse solo Papa Benedetto. Non importa che questi sia ancora Papa, perché Benedetto conserva l’ufficio pontificale, ma non lo esercita. Chi lo esercita è Francesco. È quindi sbagliato e scismatico dire, come fanno alcuni, che oggi «abbiamo due Papi».
      Cristo ha stabilito un solo Capo operante e questo Capo oggi è Francesco, perché per esser Papa nella pienezza del suo potere, ossia efficacemente operativo, non basta l’ufficio, ma occorre anche l’esercizio dell’ufficio petrino. Benedetto è rimasto Papa in un senso diminuito, non giuridicamente operativo, ma solamente spirituale, senza il diritto e il dovere di governare la Chiesa, anche se, stante l’altezza della sua personalità teologica e spirituale, con la preghiera, il sacrificio e il suo consiglio a Francesco può dare e dà al bene della Chiesa un contributo prezioso, unico ed insostituibile.

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