Che cosa è la teologia scolastica e chi sono gli stolti che la disprezzano?

— Thelogica —

CHE COSA È LA TEOLOGIA SCOLASTICA E CHI SONO GLI STOLTI CHE LA DISPREZZANO?

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Ebbene, i nemici della teologia scolastica sono quei discoli divenuti adulti, che oggi insegnano in molte Facoltà teologiche cattoliche e protestanti, e sono tutti quei presuntuosi, che, dalle loro ristrette vedute o nei loro sogni rivoluzionari, mostrano altezzosamente disprezzo, ora con linguaggio grossolano, ora con termini bizantini, per la teologia scolastica, considerandola una sequela aggrovigliata, acritica e piena di pregiudizi e di leggende, di teorie astratte e vuote, incomprensibili, vane, inutilmente sottili, superate, sterilmente polemiche, senza sviluppo, senza senso storico, estranee agli interessi e al modo di esprimersi degli uomini del proprio tempo.

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Autore
Giovanni Cavalcoli, O.P..

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È un pregiudizio frequente che la teologia scolastica sia un periodo della storia della teologia cattolica ormai chiuso, eventualmente col Concilio Vaticano II, che avrebbe dato il via a una nuova teologia chiamata con vari nomi: «trascendentale», «narrativa», «kerygmatica», «esistenziale» ed altri. Altri parlano genericamente di teologia “moderna”, che utilizza la cosiddetta “filosofia moderna” fondata da Cartesio. Sono i modernisti. Essi già ai tempi di San Pio X sostenevano questa tesi, giudicando la teologia scolastica come «ridicolo sistema tramontato già da gran tempo» [cf. QUI]. Pio XII, nell’enciclica Humani Generis, disapprova il «disprezzo della teologia scolastica», che porta a «trascurare e respingere o privare del loro valore i concetti e le espressioni, che da persone di non comune ingegno e santità, sotto la vigilanza del sacro Magistero e non senza illuminazione e guida dello Spirito Santo, sono state più volte con lavoro secolare trovate e perfezionate per esprimere sempre più accuratamente le verità della fede» [cf. QUI].

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L’espressione “teologia scolastica”, dunque, non è una semplice categoria storica, ma una categoria perenne dello spirito, una categoria teoretica o epistemologica, che significa semplicemente quello che dice la parola: quella teologia che si insegna e si apprende nella scuola, dove con questo termine scuola s’intende esattamente quello che comunemente s’intende: istituzione pubblica o privata educativo-formativa, finalizzata sistematicamente e metodicamente alla comunicazione e all’apprendimento del sapere o della scienza. L’istruttore è il maestro o docente e l’apprendista è il discepolo, scolaro o studente. Precisiamo che come è stolto il disprezzo per la teologia scolastica, altrettanto stolto è il disprezzo per la teologia neoscolastica, espressione escogitata da teologi cattolici del secolo scorso, legati all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, i quali fondarono la Rivista di filosofia neoscolastica [cf. QUI]in risposta alla sollecitazione del grande Papa Leone XIII, che, con l’enciclica Aeterni Patris [cf. QUIdel 1879, si fece promotore della rinascita del tomismo [1]. Si potrà discutere sulla scelta degli Autori da loro preferiti, ma non c’è dubbio che l’espressione in se stessa è più che legittima, a significare la capacità di sviluppo, di progresso e di rinnovamento proprio della filosofia e della teologia scolastiche.

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La teologia scolastica è dunque quella che si può e deve a buon diritto chiamare anche teologia “scientifica”, contro una cosiddetta “teologia scientifica”, che pretenderebbe di utilizzare il concetto positivistico di scienza al posto della scienza metafisica. Certo, può far problema pensare che la teologia possa essere una scienza, perché ciò implica evidenza di princìpi, univocità di concetti, deduzione e dimostrazione razionale [2]Occorre pertanto precisare che la teologia è scienza non in quanto prende inizio dalla ragione o da evidenze razionali, perché i suoi princìpi e assiomi di partenza sono le verità di fede; e tuttavia è scienza in quanto procede sillogisticamente o deduttivamente usando argomenti di convenienza, per cui la certezza della conclusione è di tipo razionale, ma esplicita un dato di fede, per cui, se la conclusione viene negata, ne segue la negazione di un dogma. Per esempio, che nell’inferno sia presente la divina misericordia non risulta dalle parole di Cristo, ma è una conclusione che si può trarre con certezza, che però non è certezza di fede, benché quanto dice Cristo sui dannati sia verità di fede.

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La coltivazione teologica dell’intelletto, però, sia in Aristotele che nella Bibbia, comporta due gradi, il primo subordinato al secondo: il primo è la scienza [gr. ἐπιστήμη ebraico daàt מדע]. In questo grado l’intelletto [gr. νοῦς, eb. binà רבו], partendo dai princìpi primi immediatamente intuìti del senso comune, mette in moto la ragione [gr. λόγος, eb. dabàr סיבה], la quale, mediante il sillogismo, giunge a conclusione certa; da questo grado razionale l’intelletto poi sale al secondo, quello della sapienza [gr. σοφία, eb. hokmàh אינטלקט], nel quale l’intelletto non solo sa, ma gusta quello che sa e ne gode. La scienza coglie il vero. La sapienza coglie il vero come buono e bello [cf. Platone QUI, QUI e QUI]. La teologia scolastica si ferma al primo grado, ma pone le condizioni per salire al secondo, che è quello proprio della teologia mistica.

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Purtroppo, però, come sappiamo bene, l’idea di scuola, disciplina e studio dà sempre fastidio a qualcuno, soprattutto ai pigri, ai ciarlatani, ai presuntuosi, agli invidiosi e ai falsi novatori. Chi, quando faceva le scuole elementari, non ha visto, sulla parete dell’edificio scolastico, la scritta «Abbasso la scuola!»? Ebbene, i nemici della teologia scolastica sono quei discoli divenuti adulti, che oggi insegnano in molte Facoltà teologiche cattoliche e protestanti, e sono tutti quei presuntuosi, che, dalle loro ristrette vedute o nei loro sogni rivoluzionari, mostrano altezzosamente disprezzo, ora con linguaggio grossolano, ora con termini bizantini, per la teologia scolastica, considerandola una sequela aggrovigliata, acritica e piena di pregiudizi e di leggende, di teorie astratte e vuote, incomprensibili, vane, inutilmente sottili, superate, sterilmente polemiche, senza sviluppo, senza senso storico, estranee agli interessi e al modo di esprimersi degli uomini del proprio tempo.

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Ora,  “teologia scolastica” non è semplicemente, come vorrebbero farci credere costoro, una stagione storica della teologia, sorta nel XII secolo, sclerotizzatasi, a loro dire, nei secoli XVI-XVII, mummificatasi nel XIX secolo e definitivamente dissoltasi, come sostiene Rahner, col Concilio Vaticano II, per essere sostituita dalla teologia di Rahner, come pensano oggi molti. Per questo non ha senso contrapporre la teologia scolastica, che alcuni chiamano «classica», a una supposta teologia «moderna», che l’avrebbe soppiantata e che sarebbe adatta alla modernità. Esiste piuttosto una teologia scolastica antica e una teologia scolastica moderna. È evidente che oggi il teologo postconciliare è tenuto a praticare la scolastica moderna ed anzi a farla avanzare, anche se in quella antica è sempre possibile rivisitare, sviluppare o riprendere temi o spunti, che erano rimasti in uno stato di insufficiente elaborazione o svolgimento o soltanto di abbozzo.

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Il termine classis, da cui «teologia classica», comporta l’idea della distinzione chiara, precisa e ordinata: la classificazione, virtù importante della mentalità romana. La Grecia ha kategoria, che, a livello della predicazione, implica la stessa cosa, soprattutto la concettualizzazione. Il corrispondente nella Sacra Scrittura è dabàr סיבה, la parola, il λόγος, come atto chiarificatore della mente. Così il testo classico è assimilabile al testo sacro e quindi al dogma. Il primo ha carattere profano, razionale, filosofico; il secondo, religioso e teologico. L’uno e l’altro è inviolabile, inderogabile ed intangibile; dev’essere accuratamente ed esattamente compreso ed insegnato, gelosamente custodito e conservato nella sua integrità. È verità certa, fondante, definitiva, regolatrice ed assoluta, è sorgente perenne di sapienza per tutte le generazioni. Può essere commentato ed approfondito, ma non cambiato o migliorato. Interpretato, ma non reinterpretato, perché non muta di significato nel tempo, ma il suo senso è sempre quello.

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Quindi, tirare fuori il pretesto della storia e del “progresso”, come fanno i modernisti, per cambiare il significato alle verità perenni della ragione e della fede, è una truffa degna del massimo disprezzo. I modernisti, profanatori del sacro, confondono infatti il dovere sacro di conservare la sacra tradizione e il testo sacro con il conservatorismo gretto e miope di chi si rifiuta di imparare e di avanzare sul cammino della verità, aperti al soffio dello Spirito Santo, confondendo l’immutabilità con l’immobilismo e la saldezza con la rigidità della morte. E non ci vengano, costoro, a farsi difensori di SanTommaso e della teologia scolastica!.

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CARATTERI DELLA TEOLOGIA SCOLASTICA

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Riprendiamo il discorso. Così dunque come esiste una cultura classica, esiste certamente una teologia classica, i cui valori, avendo un carattere perenne ed assoluto, devono essere conservati e sviluppati. È necessario pertanto che il teologo, saggio estimatore della sana modernità, non accecato o sviato dai paraocchi della miopia modernista, non tratti con sussiego e presunzione il ricchissimo patrimonio, inestimabile ed immarcescibile, della classicità, se non vuol tornare alla barbarie e al nichilismo dell’antichità.

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La teologia scolastica, come dice la parola, non è altro che quella teologia che si apprende e viene insegnata nella scuola, intesa appunto come istituzione educativa, ufficialmente riconosciuta dalla Chiesa, finalizzata all’istruzione ed alla comunicazione o trasmissione metodica, sistematica e socialmente o pubblicamente organizzata del sapere. Nel caso della teologia scolastica, il sapere che viene appreso e insegnato è la teologia. Si capisce allora come, alla luce di questa definizione semplice e logica, il parlare di un’estinzione della teologia scolastica ad opera del Concilio, che al contrario ne raccomanda caldamente la prosecuzione e il progresso sotto la guida di San Tommaso d’Aquino, è una grave stoltezza.

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Certamente, la teologia scolastica o della scuola non è l’unica forma di teologia. Si può diventare teologi e grandi teologi, addirittura Dottori della Chiesa, senza aver frequentato una scuola ufficiale o accademica di teologia, senza aver ottenuto un titolo accademico e tanto meno senza aver insegnato teologia in una scuola o facoltà della Chiesa. L’importante, certo, è lo studio, che può essere sotto la guida di un maestro, ma l’apprendimento può avvenire anche in modo autodidatta, per mezzo o della ricerca o della lettura personale o della meditazione. Abbiamo allora la lectio divina della tradizione monastica. Oppure la conoscenza di Dio può avvenire per esperienza interiore nella carità, come dono dello Spirito Santo, e allora abbiamo la teologia mistica. Questa teologia può essere praticata da chiunque, uomo o donna, giovane o adulto, dotto o indotto, laico o religioso. In ogni caso il cattolico ha il dovere di far teologia sottomettendosi all’interpretazione che la Chiesa dà della divina Rivelazione.

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La teologia scolastica, invece, nella conoscenza del dato rivelato, utilizza le risorse della ragione umana, come la logica, l’esegesi biblica, le scienze bibliche, la patrologia, la dottrina della Chiesa, l’agiografia, l’antropologia, l’etica naturale, la storia, le scienze naturali, la metafisica e la teologia naturale, utilizzando un metodo induttivo-deduttivo, quindi scientifico. La teologia scolastica è scienza di conclusioni razionali tratte dal dato rivelato [3]. La teologia scolastica assicura la formazione teologica seminariale del sacerdote, di per sé non obbligato a conseguire titoli superiori, salvo che intraprenda la carriera del teologo docente nelle facoltà ecclesiastiche.

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La teologia scolastica si divide in teologia naturale e teologia rivelata o soprannaturale. La prima è fondata sulla sola ragione e fa parte della filosofia; la seconda si basa sul dogma. Quest’ultima comprende due discipline fondamentali: la dogmatica e la morale. La prima considera le verità di fede speculative; la seconda, quelle pratiche. La propedeutica alla teologia rivelata costituisce la teologia fondamentale o apologetica, la quale fa da introduzione alla teologia rivelata, dimostrando i motivi di credibilità della Rivelazione, le ragioni del credere e risponde alle obiezioni. La teologia scolastica, inoltre, è di aiuto al Magistero nella preparazione dei suoi documenti, nel proporgli temi da trattare o problemi da risolvere, nell’interpretarne e difenderne gli insegnamenti, nella rispettosa critica di direttive pastorali imprudenti o inopportune, e nel segnalargli le eresie pericolose in circolazione, suggerendo come confutarle.

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LA DEFORMAZIONE DELLA TEOLOGIA SCOLASTICA AD OPERA DI LUTERO

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Lutero, invece, benché fosse dottore in teologia, con la sua ribellione alla Chiesa Romana, rinnegò la sua formazione scolastica, e pretese di basare la teologia esclusivamente sulla Sacra Scrittura e sulle scienze bibliche, non nell’interpretazione della Chiesa, ma sul suo giudizio personale. Egli pensò che la teologia scolastica, soggetta alla dottrina della Chiesa, che aveva appreso, non gli fosse servita per approfondire la verità del dato rivelato, ma che al contrario lo ingannasse circa la verità del Vangelo, in quanto mediata sia dalla ragione, che egli credeva totalmente corrotta dal peccato, sia dal Magistero della Chiesa, che egli considerava fallibile. Ovviamente Lutero, nonostante la sua polemica contro la ragione, onde evitare di cadere nell’irrazionalità, si trova ben obbligato ad usare comunque la ragione; tuttavia, mancando di una razionalità purificata e disciplinata nella logica, finisce per fraintendere quella Parola di Dio, che egli crede, liberatosi dalla filosofia scolastica, di contattare direttamente, senza farsi aiutare da essa.

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Abbiamo così il paradosso dell’immensa produzione della teologa protestante, organizzata a livello universitario ed accademico che, da Lutero ad oggi, da una parte affetta disprezzo per la teologia cattolica scolastica approvata dalla Chiesa, per esempio San Tommaso con la sua scuola, mentre dall’altra non ha fatto altro che costruire un’altra scolastica, peraltro senza la purezza dottrinale e la piena fedeltà al Vangelo proprie della scolastica cattolica, nonostante l’incalcolabile quantità di energie intellettuali profuse e di studi indefessi nel corso dei secoli. È un grave fraintendimento dell’insegnamento del Concilio il credere che esso promuova un progresso e un rinnovamento della teologia con l’ordinare l’abbandono della teologia scolastica. Sarebbe una disposizione insensata, non un progresso, ma un tornare indietro nella storia della teologia ai tempi della teologia monastica del sec. XI, o addirittura alla teologia omiletica e biblica dei Padri, prima che Abelardo e San Anselmo fondassero e dessero il via alla teologia dialettica e scientifica, che è appunto la teologia scolastica.

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LE ORIGINI DELLA TEOLOGIA SCOLASTICA

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La teologia scolastica è sorta a seguito della rinascita intellettuale del sec. XII e XIII, soprattutto per impulso dei Domenicani, presto seguìti dai Francescani, con l’approvazione e l’appoggio del Papato. Da qui la fondazione delle Facoltà teologiche di Parigi, di Oxford e, nel XIV secolo, di Bologna, dopo la fondazione dell’Università di Bologna nel XI secolo. Nel corso dei secoli successivi fino ad oggi il Papato ha sempre avuto cura della qualità, del buon andamento e dello sviluppo della teologia scolastica, ossia delle scuole e delle Facoltà della Chiesa, in modo particolare che fossero conformi al dogma e potessero quindi usare correttamente della ragione, della filosofia e delle scienze per l’introduzione e la giustificazione del dato rivelato e per l’interpretazione, l’esplicitazione, la spiegazione, la difesa, l’approfondimento e la diffusione della Parola di Dio.

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Così, ciò che, seguendo questa linea educativa ininterrotta, il Concilio Vaticano II e il Magistero papale promuovono fino ai nostri giorni [4] riguardo alla teologia, non è affatto, contrariamente a quanto vorrebbero i modernisti di ieri e di oggi, l’abbandono dei metodi collaudati, degli enunciati fondamentali e dei princìpi perenni della filosofia scolastica [5], quanto invece l’allargamento e l’affinamento della sua sensibilità, dei suoi interessi e dei suoi orizzonti, la prosecuzione delle ricerche, il consolidamento e l’approfondimento dei dati acquisiti, il recupero dei valori dimenticati, la correzione di vedute superate, la vigilanza contro gli errori insorgenti, la deduzione di nuove conclusioni scientifiche, l’apertura di nuove piste di indagine, la formulazione di nuove ipotesi esplicative, una maggiore attenzione ai valori ed ai difetti della modernità, una maggiore collaborazione reciproca fra teologi, una maggiore libertà di pensiero, sempre nell’obbedienza al Magistero, nella fuga da ogni esibizionismo ed individualismo, il miglioramento dell’apertura ecumenica, evangelizzatrice e missionaria, nell’opera di inculturazione, nel dialogo interreligioso, interdisciplinare ed interculturale, l’uso di un linguaggio maggiormente comprensibile all’uomo d’oggi.

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La teologia scolastica, pur nella comune accettazione della dottrina cattolica, abbraccia una pluralità di correnti e di scuole, che rispecchiano diversi livelli di perfezione teoretica e una varietà di impostazioni, di orientamenti, di accentuazioni e di preferenze. Secondo il criterio della fondatezza, del rigore argomentativo e logico, nonché di perfezione speculativa, la Chiesa dà la palma a San Tommaso, senza escludere gli altri Dottori. Badando al fatto della diversità, gli orientamenti principali sono l’affettivismo bonaventuriano, che si distingue dall’intellettualismo tomista e questi dal volontarismo univocista scotista, distinto a sua volta dal volontarismo essenzialista suareziano. Ma all’interno della stessa scuola tomista non mancano le sfumature come tra il Capreolo e il Gaetano, dei quali il primo pone la sussistenza della persona nella linea dell’essere, mentre il secondo la pone nella linea dell’essenza [6].

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LA DECANDENZA SCOLASTICA MEDIOVALE

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Nelle scuole di teologia patrocinate dalla Chiesa non sono mancate, nei secoli, pericolose deviazioni, le quali, se per un certo tempo hanno potuto essere tenute a bada dalla vigilanza della Chiesa, in seguito, per il sorgere di Università e istituti accademici laici indipendenti o addirittura ostili alla Chiesa cattolica, per esempio protestanti, per la loro incompatibilità col dogma cattolico, hanno dato origine a lungo andare a filosofie e teologie anticristiane. Sono, questi, per esempio, i casi famosi di Abelardo nel XII secolo e di Guglielmo di Ockham nel XIV secolo.

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Meister Eckhart era dottore in teologia, ma non esercitò la docenza, bensì si limitò alla predicazione ed agli scritti. Fu uomo pio e addirittura un mistico. Tuttavia ebbe alcune espressioni che sapevano di cristologia panteistica [«io sono Cristo»], che gli procurarono una condanna dopo morte nel 1329 da parte di Giovanni XXII, condanna, però, alla quale egli umilmente promise di sottomettersi, nel caso essa fosse avvenuta, e per questo atto di umiltà egli ricevette le lodi del Papa, che pur aveva disapprovato alcune sue tesi, e non fece, come alcuni vanitosi dei nostri giorni, che si fanno vanto di contestare il Magistero della Chiesa e riescono ad evitare la condanna o per le vergognose protezioni di cui godono o per la loro astuzia o per la scarsa vigilanza dei pastori.

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Quanto ad Abelardo, il quale risolveva la morale nell’aspetto soggettivo-inenzione respingendo quello oggettivo-contenutistico, fu condannato, su segnalazione di San Bernardo, dal Concilio di Sens del 1141. Invece Ockham, più astuto, riuscì a riscuotere credito clandestinamente all’interno della Chiesa, benché in costante contrasto con lei, per cui fu condannato nel 1348. Ma ciò non impedì ai suoi discepoli, per alcuni secoli, come per esempio Gabriel Biel, nel XV secolo, di ottenere uno spazio all’interno della teologia ecclesiale, tanto che Lutero, come è noto, si vantò di essere discepolo di Ockham, mentre i Domenicani, che non si lasciavano abbindolare facilmente [7], soprattutto col Card. Gaetano nel XVI secolo, combatterono duramente suoi errori. Ma l’occamismo, che dette origine all’empirismo inglese, forte della raccomandazione luterana, è sopravvissuto fino ai nostri giorni, oltre che naturalmente nella teologia luterana, essendo sfociato nell’attuale modernismo, soprattutto nelle correnti esistenzialistica, storicista, fenomenologia ed empirista.

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Il concretismo occamista conduce anche al materialismo. Lo stesso idealismo trascendentale, per quanto lontano dall’occamismo per il suo spiritualismo razionalista, ha in fondo un’anima nominalistica, evidente in Kant, nel momento in cui per lui l’astrazione non serve a cogliere l’essenza delle cose e la realtà universale dell’ente, partendo dall’esperienza, ma solo a dedurre a priori un’idea da un’altra. La dottrina kantiana del fenomeno ricorda molto l’intuizione occamista del concreto. Facciamo un elenco degli errori di Guglielmo di Ockham, germi patogeni del pensiero dei secoli seguenti fino ad oggi.

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  1. Oggetto della metafisica non è l’ente universale, ma quello singolare concreto, immediatamente esperito.
  2. L’operazione astrattiva allontana dal concreto e quindi dalla realtà.
  3. Con l’astrazione non si coglie un’essenza reale universale, ma solo una vaga immagine generale, che si designa con un nome [“nominalismo”], che raccoglie e designa una collezione di individui simili fra di loro.
  4. Dato che l’universale non ha realtà oggettiva, ma è solo un nome, non esistono necessità logiche fondate su di un’essenza oggettiva universale, ma solo fatti empirici mutevoli e contingenti, collegati tra di loro per associazione di idee. Per questo non si può dare una dimostrazione razionale certa, inconfutabile o inoppugnabile, ma solo conclusioni probabili e sempre rivedibili.
  5. Il vero non è tale perché l’intelletto si adegua al reale, ma perché la volontà vuole che sia vero.
  6. Quindi il bene non è ricavato dal vero, ma è deciso dalla volontà.
  7. Dio non vuole qualcosa perchè è bene, ma qualcosa è bene perchè Dio lo vuole.
  8. Dunque la legge morale non si fonda su di una natura umana oggettiva, universale e astratta, ma solo sulla natura concreta: la natura umana è quella data e singola natura umana e la somma degli individui. La legge morale, quindi, non dipende dalla verità dell’uomo, ma solo dalla volontà di Dio, che, se volesse, potrebbe decretare come bene l’omicidio o l’adulterio.
  9. Così per me, se voglio imitare la libertà divina, non esistono valori non negoziabili, ma li accetto solo se mi conviene.

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LA FILOSOFIA LAICA CONTRO LA TEOLOGIA SCOLASTICA

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La teologia scolastica, come abbiamo visto, sorse per iniziativa della Chiesa, in particolare del Concilio Lateranense IV del 1215, che ordinò ai vescovi di farsi aiutare da buoni teologi per l’istruzione e la formazione del clero. Era ovvio che i docenti dovessero essere sacerdoti, religiosi o secolari. Fu questa la grande chance per la nascita dell’Ordine Domenicano. Infatti San Domenico si appoggiò su questo canone del Concilio per dare il via al suo Ordine di Predicatori, mandando i suoi frati ad addottorarsi nei principali centri teologici di allora, Parigi, Bologna ed Oxford, e perché formassero buoni sacerdoti e vescovi da mettere a disposizione del Papa perché li inviasse a predicare il Vangelo in tutta Europa.

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Nel Medioevo, come è noto, la cultura filosofica e teologica si svolgeva sotto la presidenza e la protezione della Chiesa, ed era praticata da sacerdoti e religiosi, perché era ordinata alla formazione culturale dei sacerdoti e dei vescovi. La filosofia era esclusivamente al servizio della teologia e quindi della fede. Ma già nel Medioevo, soprattutto dietro lo stimolo dei Domenicani, valorizzatori, con SanTommaso d’Aquino, San Alberto Magno e Santa Caterina da Siena, della funzione dei laici, dei valori umani e civili, della scienza, delle arti e della razionalità, cominciarono a farsi strada, nel campo della filosofia e della teologia, anche i laici. Esempio fra tutti, benché allora molto raro, fu Dante Alighieri.

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Ma l’exploit della cultura laica, che tendeva a sottrarsi alla supervisione della Chiesa, dopo le prime avvisaglie con la Scuola Palatina di Carlo Magno nel IX secolo e Scoto Eriugena, e la Corte di Federico II di Sicilia nel XIII secolo, fu l’Umanesimo italiano del XV secolo e ancor più il Rinascimento, che giunse ad essere un vero e proprio ritorno di paganesimo, con la sua albagia, la sua carnalità, la sua dissolutezza e le sue superstizioni.

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L’Umanesimo italiano del ’400 ebbe, per impulso di Lorenzo de’Medici, quindi al di fuori delle istituzioni accademiche ecclesiastiche, la sua anima teologica nell’Accademia Platonica fondata da Marsilio Ficino, fattosi prete a 50 anni, ma già affermato nel campo della teologia e della mistica di tendenza ermetica e platonica. Nell’ambiente fiorentino ecco dunque fiorire il pensiero politico volpino di Machiavelli e l’umanesimo paganeggiante di Giovanni Pico della Mirandola, inutilmente contrastato dal Savonarola, vero teologo scolastico, benché estraneo all’istituzione accademica della Chiesa, ed anzi perseguitato da Papa Alessandro VI, smanioso di dominare sull’appetibile Firenze attraverso i Medici.

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Col sorgere del Rinascimento, il Papato perde progressivamente sia il prestigio teologico sia quello morale sulla cristianità europea, per cui ecco il moltiplicarsi di filosofi e teologi laici, che sempre più si mettono in urto con la teologia della Chiesa, ossia la teologia scolastica, come ad esempio nel secolo XVI, il sensista materialista Bernardino Telesio e Pietro Pomponazzi dell’Università di Padova, il quale negava l’immortalità dell’anima con la pretesa di rifarsi ad Aristotele. In questo clima, a completare la desolazione dei tempi, in opposizione al paganesimo rinascimentale, ma anche purtroppo alla teologia scolastica, facendo di tutte le erbe un fascio, come è noto, ci mancava che sorgesse la riforma luterana, ulteriore colpo alla teologia scolastica, benché questa volta si trattasse, con Lutero, di un teologo formato nella teologia scolastica. Ma ecco che Lutero, dopo un inizio che parve essere sincero e promettente, fece chiaramente comprendere alla Chiesa che sotto la copertura di un’apparente fede fervorosa e fiduciosa in Cristo misericordioso, continuava ad ardere la stessa fiamma impura dell’orgoglioso ed egocentrico io rinascimentale.

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Il Concilio di Trento ripristina la teologia scolastica gravemente danneggiata e deplorevolmente calunniata da Lutero, ed avvia, con una rinnovata raccomandazione della dottrina dell’Aquinate, una nuova vigorosa e feconda stagione della teologia scolastica, che ha un suo importante esponente in Francesco Suarez, il cui sistema, come è noto, cerca di accostare Tommaso, Scoto ed Ockham. Questo sincretismo prepara l’avvento di Cartesio, il quale, come è noto, fu allievo di Gesuiti.

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CARTESIO NEMICO DELLA TEOLOGIA SCOLASTICA

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Ma con Cartesio, nel sec. XVII, la filosofia dei laici diventa ancora più arrogante e, avanzando la stolta anche se fascinosa pretesa di aver trovato il primo incontrovertibile principio della certezza e della verità non nell’adesione o adaequatio dell’intelletto all’ente sensibile conosciuto per mezzo dei sensi — la tomistica ed aristotelica quidditas rei materialis —, ma in una immediata ed originaria — in realtà inesistente — coscienza di pensare. Tale coscienza non era quindi ricavata da una precedente esperienza delle cose sensibili, ma da quella autocoscienza [«cogito»], che Cartesio vorrebbe identificare con la coscienza di esistere («sum»), con la conseguenza che il cogito viene ad identificarsi col sum [Hegel] o il sum viene «posto» (setzt) dal cogito [Fichte].

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È chiaro che questa concezione del principio del sapere, che implica una concezione idealistica del principio dell’essere, è il totale sovvertimento della filosofia e della teologia scolastiche; non solo, ma è anche il sovvertimento delle basi della ragione e della fede cristiana. Il che è ancora più grave, nonostante le assicurazioni di Cartesio in contrario. Benché dunque si parli di una scuola cartesiana e si siano fatti tentativi — per esempio Malebranche e Leibnitz, fino ad Hegel, e Gioberti, gli ontologisti dell’800, Bontadini e i modernisti — di costruire una teologia sulla base del cogito, questi tentativi sono falliti o illusori, e per questo la Chiesa, mentre da una parte ha messo all’Indice le opere di Cartesio nel 1663, da allora non ha fatto che raccomandare, fino al Concilio Vaticano II ed oltre, una teologia scolastica basata sulla visione aristotelico-tomista.

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Per questo, è estremamente deplorevole che oggi come oggi l’influsso cartesiano-idealista, per opera dei modernisti, senza significativi interventi dell’autorità ecclesiastica, sia penetrato nelle stesse istituzioni accademiche della Chiesa, con la conseguenza di formare sacerdoti, vescovi e teologi sedicenti «progressisti», senza carattere e senza personalità, come canne sbattute dal vento, pavidi ed opportunisti, oppure ambiziosi e vanagloriosi, proni a servire e a cercare consensi dal mondo. Il cartesianismo è così alle origini dell’idealismo trascendentale tedesco del XIX secolo, tuttora vivo in quanto questo idealismo è congiuntamente uno sviluppo del luteranesimo. Ma non si può considerare vera teologia scolastica, ossia scientifica, perché non ha fondamento né nella ragione né nella fede, ma è quella che Antonio Livi chiama giustamente una «equivoca filosofia religiosa»[8].

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Ma Cartesio è anche alle origini dell’illuminismo e della dottrina massonica, oggi pure potente nel mondo. È anche all’origine della fenomenologia husserliana. Heidegger deriva da Husserl. Severino è un idealista eternalista. Quanto all’occamismo, esso è ancora vivo nell’empirismo inglese e nell’esistenzialismo. Il marxismo è sorto da un’opposizione ad Hegel. L’idealismo a sua volta è stato ed è l’ispiratore del modernismo, del quale il Concilio ha saputo cogliere le istanze positive, eliminando il veleno, sicché la teologia scolastica oggi può valersi di queste istanze purificate dal Concilio.

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SE VOGLIAMO CUSTODIRE IL DOGMA, DOBBIAMO CONTINUARE E MIGLIORARE LA TEOLOGIA SCOLASTICA

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Oggi, nelle stesse istituzioni educative, scolastiche ed accademiche della Chiesa, non esiste quasi più da nessuna parte l’intento di fare filosofia scolastica in continuità, sia pur progredita, con quella dei secoli passati, e spesso si è perduto o si disprezza il concetto stesso di teologia scolastica, così come lo abbiamo definito in conformità con il Magistero della Chiesa. Si crede, con Rahner, che la teologia scolastica o «neoscolastica», come la chiamano, sia finita col Concilio Vaticano II: cosa che in realtà è assolutamente falsa, giacché, come è noto al di fuori di chi non vuol sapere, proprio questo grande Concilio è quello che, diversamente da tutti gli altri, ha raccomandato San Tommaso, Principe degli Scolastici [9].

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E c’è da notare peraltro che il discepolato tomista non richiede sempre un’assoluta uniformità di pensiero, ma dà spazio ad una certa diversità di opinioni. Per esempio, il concetto di sussistenza della persona può essere avvicinato o all’essenza o all’esistenza. Nel primo caso appare più chiaro l’elemento dell’immutabilità dell’essenza e quindi dell’immutabilità della legge morale; nel secondo caso, invece, appare più chiara la concretezza e la mutabilità esistenziali di ogni singola persona, per cui è facilitata la giusta applicazione della legge morale nei casi concreti.

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A partire dall’immediato post-concilio hanno così cominciato ad affermarsi, nelle scuole della Chiesa, delle forme e dei metodi di teologia, i quali, benché comunque obbligati ad organizzare giuridicamente e tecnicamente le scuole, si sono di fatto deliberatamente rifiutate di porsi in continuità, sia pur progressiva e innovatrice, con la precedente teologia scolastica, col triste risultato di avviare cattive scuole, di carattere modernista, semenzai di eresie, per l’assenza o la falsificazione dei valori, dei princìpi e dei metodi antichi di secoli, sicuri e comprovati, della precedente teologia scolastica. In questi cinquant’anni dal Concilio vi sono stati vari tentativi di rinnovare, correggere, ammodernare e migliorare l’insegnamento, la didattica e i contenuti della teologia negli istituti della Chiesa, ma purtroppo si è in gran parte avviato e prodotto un falso rinnovamento, che in realtà è decadenza e imbarbarimento di tipo modernistico, per lo più influenzato dal protestantesimo e dall’idealismo tedesco.

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Un segno evidente di questo grave degrado culturale, è lo spregio quasi universale nel quale è tenuta la metafisica, soprattutto nella sua impostazione realistica, qual è quella di San Tommaso, che è proprio quella raccomandata dalla Chiesa. Sulle nozioni fondamentali della metafisica, che poi sono quelle più originarie, spontanee, evidenti ed incontrovertibili della ragione, impera la più crassa ignoranza, al posto della quale ci si accontenta delle creazioni fantastiche, della favolistica e della mitologia. Ovviamente enorme è il danno per la comprensione del dogma, che viene falsificato o svuotato di senso, dato che esso è per lo più formulato in concetti metafisici.

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Al di là dell’orpello delle strutture, dell’erudizione storica e dei servizi tecnici, il livello scientifico, intellettuale e sapienziale è spesso disceso al di sotto di quello medioevale. Eresie prenicene o protestanti, che si credevano superate da secoli, si sono ripresentate, ed anzi sono oggi in auge, come se la Chiesa in tutto questo tempo nulla avesse insegnato o chiarito. Il modernismo, che sembrava esser stato sconfitto da San Pio X, ha invece covato sotto la cenere, ed è tornato allo scoperto peggio di prima, dopo il Concilio, falsamente presentandosi come il suo interprete. Le tendenze teologiche, ormai dominanti negli istituti ecclesiastici, che oggi si contendono la successione alla teologia scolastica, sono la teologia della liberazione di Schillebeeckx e la teologia trascendentale di Rahner. Entrambi, a parte le loro caratteristiche proprie, ripudiano la teologia speculativa e sono soggette ad influssi protestanti e massonici.

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La teologia modernista, col pretesto della predicazione e dell’evangelizzazione, sulla spinta di Lutero, seguìto da Barth e Bultmann, si risolve nella teologia «kerygmatica», ridotta così o a pastorale [Rahner] o a prassi di liberazione [Schillebeeckx]. Invece, la teologia, come scienza o conoscenza speculativa e dimostrativa, sistematico-deduttiva di un insieme ordinato completo, logicamente connesso, di proposizioni fisse, certe, precise ed immutabili, è ripudiata o come impossibile o come residuo medioevale o come insieme di schemi antiquati, astratti, astorici e rigidi, incapaci di incidere sul concreto dell’esistenza.

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Altra caratteristica della teologia modernista è il suo storicismo, [Kasper, Küng, Grillo, Forte e Bordoni], dipendente dalla sua negazione di una verità immutabile e sovrastorica. Non si tratta tanto di ridurre la teologia alla storia della teologia, il che sarebbe già un errore, ma si tratta di un errore più grave, che concerne la stessa produzione formale del sapere: lo stesso far teologia non è un ragionare o dedurre o un dimostrare, ma un narrare, un raccontare. L’«evento» [Ereignis] si sostituisce al concetto e quindi al dogma. Con ciò non intendo dire che un dogma non possa avere come contenuto un fatto storico, per esempio la crocifissione di Cristo, ma nello storicismo è l’atto stesso del sapere che è un «evento»; dal che il divenire o mutare dello stesso oggetto formale dell’atto e quindi l’impossibilità di una verità immutabile.

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Una corrente teologica sorta di recente nell’ambito della teologia morale in particolare in rapporto alla vasta problematica concernente l’etica sessuale e familiare, è la cosiddetta queer theology (queer =strano, bizzarro), ma meglio denominata dai teologi seri «pornoteologia», secondo una espressione coniata a inizi anni Settanta dal Padre Cornelio Fabro. Si tratta infatti di una sconcia tendenza pseudoteologica ed ereticale, la quale sostituisce la legge naturale, giudicata “astratta”, ”superata” e ”rigida”, con l’obbedienza cieca alla pulsione istintiva e soggettiva del piacere sessuale, la «libido» freudiana, in base alla quale ognuno è libero di scegliere il «proprio orientamento sessuale». Si tratta, in fondo, di una spudorata ripresa del vecchio epicureismo pagano, sempre allettante per gli uomini carnali, con un’ipocrita verniciatura teologica [povera teologia!], dove di divino non c’è niente, ma solo la pura esaltazione del piacere.

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Davanti a un tale imbarbarimento e abbrutimento della teologia, sotto i più vani e speciosi pretesti e le false apparenze della “odernità postconciliare”, occorre allora dire a chiare lettere che il Concilio Vaticano II, il cui indirizzo negli studi teologici trova un luminoso orientamento ed una poderosa sollecitazione ed applicazione nell’enciclica Fides et Ratio di San Giovanni Paolo II [cf. QUI], alla quale hanno fatto seguito l’enciclica Lumen Fidei [cf. QUI] e la recente Costituzione Apostolica di Papa Francesco Veritatis Gaudium [cf. QUI], col suo richiamo a San Tommaso d’Aquino, conferma autorevolmente l’attualità e l’importanza della teologia scolastica per la formazione del clero e per confrontarsi costruttivamente con i valori e gli errori della modernità.

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Varazze, 17 giugno 2018 

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NOTE

[1] Vedi la commemorazione di questo avvenimento negli Atti del convegno promosso dalla diocesi di Perugia nel 2003, pubblicati a Perugia nel 2004, “La filosofia cristiana tra Ottocento e Novecento e il Magistero di Leone XIII”.

[2] Cf il numero monografico di Divus Thomas, Il destino ecclesiale della teologia come scienza, n.40, gen.-apr., 1/2005; A.Livi, Vera e falsa teologia. Come distinguere l’autentica “scienza della fede” da un’equivoca “filosofia religiosa”, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2012.

[3] Cf A.Gardeil, Le donné révélé et la théologie, Les Editions du Cerf, Paris 1932.

[4] Vedi la recente Costituzione Apostolica di Papa Francesco “Veritatis gaudium” sulla riforma degli studi ecclesiastici.

[5] Cf. G. Mattiussi, SJ, Le XXIV tesi della filosofia di SanTommaso d’Aquino approvate dalla S. Congregazione degli Studi, Tipografia della Pontificia Università Gregoriana, Roma 1947.

[6] U. Degl’Innocenti, Disaccordo del Capreolo col Gaetano a proposito della personalità, in Il problema della persona nel pensiero di SanTommaso, Libreria Editrice della pontificia Università Lateranense, Roma 1967, pp.122-154.

[7] Occorre arrivare al sec. XX, con la corrente di Schillebeeckx, per avere Domenicani carenti di senso critico e vittime dei pregiudizi moderni.

[8] Vera e falsa teologia. Come distinguere l’autentica “scienza della fede” da un’equivoca “filosofia religiosa”, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2012.

[9] Cf. Optatam Totius,  16 QUI e Gravissimum Educationis, 10 QUI.

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1 commento
  1. Nick
    Nick dice:

    Eccellente articolo. L’unico rilievo che mi permetto umilmente di fare è quello relativo ad un uso, a mio giudizio, troppo disinvolto del termine ‘paganesimo rinascimentale’, in quanto il rinascimento, nei suoi migliori esponenti, penso ad un Ficino (1433-1499), ma anche ad un Nicola Cusano (1401-1464) e ad un Agostino Steuco (1497/8-1548), entrambi vescovi, aveva anche un’anima profondamente cristiana, il cui obiettivo era reinterpretare alla luce del cristianesimo la tradizione filosofica greca a cui, dopo il Concilio di Firenze e l’afflusso in Europa dei manoscritti greci dei grandi filosofi classici e neoplatonici, era possibile ora accedere direttamente, senza il filtro delle precedenti traduzioni arabe o latine. Personalmente penso che se la Chiesa fosse riuscita ad operare sull’umanesimo quell’opera di armonizzazione col cattolicesimo che San Tommaso riuscì a compiere sulla tradizione classica (Aristotele, Platone) e neoplatonica (il Proclo del Liber de causis, che tanto peso ha nella Summa), nell’umanesimo non sarebbe prevalsa la tendenza ostile alla dottrina della Chiesa, presente in alcuni degli esponenti nominati, e che spianò la strada al mondo moderno

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