Lungo la strada risuona la supplica: «Resta con noi Signore, perché si fa sera»

L’angolo dell’omiletica dei Padri de L’Isola di Patmos

LUNGO LA STRADA RISUONA LA SUPPLICA: «RESTA CON NOI SIGNORE PERCHÉ SI FA SERA» 

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Attualmente siamo tutti stanchi, ingannati nelle nostre aspettative, delusi dai nostri propositi, sfibrati e stufi da una fede che è sempre più immagine umana, distanziandosi anni luce da quella rivelazione autentica che troviamo nella Sacra Scrittura e che la predicazione apostolica ha portato dentro le nostre comunità di fede. Questi due mesi di esilio sanitario ci fanno desiderare – così come lo è stato per i discepoli di Emmaus – di riascoltare nuovamente delle Scritture vive, in cui poter ardere per la presenza di Gesù Risorto, all’interno di una comunità domenicale che si riunisce senza più paure e divieti. 

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Autore
Ivano Liguori, Ofm. Capp.

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In questa III Domenica di Pasqua, dal Vangelo risuona: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto» [Lc 24, 29], credo di interpretare correttamente la voce di tanti fedeli in questo momento storico particolare, a partire da questa bella richiesta di misericordia del Vangelo di Luca.

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Abbiamo bisogno, che Gesù resti con noi oggi; abbiamo un disperato bisogno di restare noi con Lui, senza più condizioni, il tempo ormai si è fatto breve e non possiamo più permetterci di sprecarlo.

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Attualmente siamo tutti stanchi, ingannati nelle nostre aspettative, delusi dai nostri propositi, sfibrati e stufi da una fede che è sempre più immagine umana, distanziandosi anni luce da quella rivelazione autentica che troviamo nella Sacra Scrittura e che la predicazione apostolica ha portato dentro le nostre comunità di fede. Questi due mesi di esilio sanitario ci fanno desiderare – così come lo è stato per i discepoli di Emmaus – di riascoltare nuovamente delle Scritture vive, in cui poter ardere per la presenza di Gesù Risorto, all’interno di una comunità domenicale che si riunisce senza più paure e divieti.

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Prima di tutto però, è necessario sanare una ferita che è quella che risiede nel nostro cuore indurito, nella sclerocardia che ci impedisce di credere a tutto ciò che hanno detto i profeti, immagine ampia per esprimere tutti coloro che nella storia dell’umanità sono stati incaricati dalla Chiesa dell’annuncio della Parola e dell’autentica interpretazione della stessa.

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Quanta Parola sprecata, quanti profeti inascoltati: da quelli del Vecchio Testamento, passando per Giovanni Battista fino ad arrivare a tanti bravi vescovi e all’ultimo parroco. Non possiamo dire che Gesù è risorto senza aderire all’annuncio delle Scritture e senza prestare ascolto alle parole di coloro che sono stati costituiti da Dio profeti di questo annuncio.

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Con tristezza dobbiamo riconoscere che la nostra ignoranza di Gesù Cristo, così come diceva San Girolamo, deriva dalla non conoscenza della Parola delle Scritture annunciata e proclamata. Che tristezza che la parola di tanti maestri della fede oggi sia ridicolizzata, banalizzata e ridimensionata davanti al pensiero unico e al politicamente corretto. Proprio in questa quarantena abbiamo più bisogno che mai dell’autentica Parola delle Scritture. Parola che sta scarseggiando anche in noi preti, per lasciare il posto a una presenza palliativa, umana che – all’annuncio sacramentale – preferisce le coccole della vicinanza. Perché vedete, cari fratelli, possiamo desiderare nell’intimo di compiere tante belle esperienze di Gesù ma se non ascoltiamo e aderiamo alla Parola, c’è il serio rischio di restare increduli e atei, pur bazzicando sacrestie, sagrati o partecipando a feste patronali e pellegrinaggi.

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La bellezza del brano di Luca di questa domenica consiste proprio in questo disvelamento che rivela il nostro paradosso di credenti increduli. Questi due uomini li possiamo considerare di famiglia, sono discepoli, sono vicini a Gesù eppure hanno un cuore distante da Lui, incredulo, tanto che gli eventi della Passione a cui hanno assistito non sono per nulla eloquenti per la loro vita ma anzi diventano un’occasione propizia di scandalo e di fuga timorosa da Gerusalemme.

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Infatti, non basta vedere per credere, così come Tommaso ci ha ricordato domenica scorsa, occorre qualcosa di più. E questo di più consiste nell’ascoltare la Parola della Scrittura e applicarla a Gesù, partecipando a quello stupore che ciò che è stato scritto si è realmente realizzato. In modo semplice dobbiamo constatare come Dio rimane fedele a ciò che ha detto e operato. Ecco allora che Gesù si affianca in mezzo a questi due discepoli e riannuncia loro la Parola, li educa a una nuova fedeltà. Lui Verbo del Padre si rende Parola per questi increduli muti, accendendo nel loro cuore il desiderio del Dio vicino che proprio nel Risorto trova la sua piena realizzazione.

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La Parola fa ardere il loro cuore tanto che il segno sacramentale della frazione del pane, in quella casa dove avevano trovato rifugio, diventa momento opportuno affinché i loro occhi si aprano alla verità pasquale. Interessante notare come nell’attimo in cui riconoscono il Risorto esso scompare, così come accadrà altre volte nei racconti pasquali.

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Non è possibile per l’uomo dominare il Risorto, non è possibile bloccarlo, non è possibile addomesticarlo per i propri scopi. Quando il Signore ci apre gli occhi con la sua Parola lo fa per renderci annunciatori e profeti liberi e fedeli.

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Nella Pasqua i nostri occhi sono stati aperti per vedere il Signore come il vivente, il vincitore sulla morte e sul peccato, non per fare l’esperienza avvilente di Adamo ed Eva i cui occhi aperti dal frutto dell’Albero hanno scorto solo la nudità del peccato.

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I discepoli di Emmaus, con gli occhi bene aperti sulla salvezza pasquale, sono stati eletti come annunciatori della Parola che essi stessi proclameranno agli Undici radunati a Gerusalemme.

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Cari fratelli, per fare Pasqua dobbiamo aprire bene gli occhi e, con gli occhi aperti, dire anche ciò che il mondo non vuole sentire e che rifiuta, siamo chiamati a liberare i nostri fratelli attraverso la fedeltà della Parola di verità annunciata e proclamata, resa sacramento di salvezza nel segno del pane eucaristico domenicale che presto ritorneremo a spezzare insieme ai nostri pastori.

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Laconi, 26 aprile 2020

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Siamo tutti nel pennello di Caravaggio che ha dipinto il dito di Tommaso nel costato del Cristo Risorto

Omiletica dei Padri de L’Isola di Patmos

—  omiletica —

SIAMO TUTTI NEL PENNELLO DI CARAVAGGIO CHE HA DIPINTO IL DITO DI TOMMASO NEL COSTATO DEL CRISTO RISORTO 

Forse si può leggere nell’atteggiamento di Tommaso un po’ di orgoglio e diffidenza nei confronti della comunità apostolica. Gesù allora irrompe nelle porte chiuse del suo cuore e della sua mente. Porta una prova inconfutabile: quelle ferite sono vere e dense d’amore.

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Autore:
Gabriele Giordano M. Scardocci, O.P.

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Cari fratelli e sorelle,

Caravaggio, particolare: San Tommaso incredulo

oggi celebriamo la domenica della misericordia, dell’amore di Dio per l’uomo. Si può parlare di amore e misericordia in questi tempi del coronavirus? A tal mi risponde così una cara amica infermiera nella zona rossa dalla Lombardia:

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«Misericordia è uscire alla propria zona di comfort […] e dire di sì a Dio e al prossimo. Con gesti semplici come mettere la crema a una persona, stringere una mano o comunicare con uno sguardo tutta la tenerezza che sentivo dentro di me, provenire non soltanto da Dio ma anche da tutti quanti quei fratelli che mi sono vicini con la preghiera, col pensiero, coi messaggi e ogni forma di bene che ho cercato di rimodellare perché mi potesse essere utile come amore da dare».

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Oggi possiamo meditare insieme allora sulla misericordia e sull’esperienza di Tommaso apostolo, nella tenerezza, nella verità e nella gioia. Leggiamo a tal proposito negli Atti degli Apostoli:

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«Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo» [At 2, 42-47].

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La parola che esprime quell’insieme è ομοθυμαδόν (omotumadòn), termine che indica una comunione profonda nelle prime comunità cristiane. Tutto infatti, ci scrive l’Evangelista Luca, è ammantato di una comunione nella fede, nella carità e nei beni materiali. Dunque la comunione testimonia il vero volto di Dio ha come effetto la letizia e semplicità di cuore La comunione vera nella carità e nella fede mostra l’amore di Dio e le persone si convertono e decidono di diventare cristiani.

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Questo è lo sforzo che anche oggi il cristiano è chiamato a fare: essere una persona credente che vive in relazione comunionale, perché non esiste una misericordia in solitudine autarchica. L’egoismo è contrario alla misericordia ed è radice di divisione; la misericordia è apertura a Dio e all’altro, in un atto di donazione di sé fino all’eccesso.

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In questo senso, l’esempio di Tommaso apostolo ci mostra il modo in cui ci si apre a Dio e alla comunità. Il suo esempio ci è forse familiare.

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Il Vangelo di oggi è diviso in due scene: la prima descrive gli apostoli chiusi dentro per paura dei Giudei, l’arrivo di Gesù [Gv 19, 23], in cui c’è l’invio degli apostoli, il fondamento della confessione dei peccati per mezzo dello Spirito. Nella seconda scena [Gv 24, 31], gli Apostoli sono di nuovo chiusi dentro, e stavolta c’è anche Tommaso, il quale non aveva creduto alla comunità:

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«Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

Tommaso è la persona in ricerca di Dio: vuole credere solo dopo che ha visto e saputo (come infatti troviamo l’originale greco ίδιο (idiò) derivante da Οἶδα (oida) che indica “ho visto” quindi “so”, espressione che troviamo nell’opera Antigone di Sofocle.

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Forse, si può leggere nell’atteggiamento di Tommaso un po’ di orgoglio e diffidenza nei confronti della comunità apostolica. Gesù allora irrompe nelle porte chiuse del suo cuore e della sua mente. Porta una prova inconfutabile: quelle ferite sono vere e dense d’amore. Con Santa Caterina possiamo provare a leggere i pensieri di Tommaso «e lì, nella ferita del costato, scoprirai il segreto del suo cuore: egli ti ha amato e ti ama in modo inestimabile». Finalmente l’apostolo può prorompere «Signore mio Dio!». Verità e Misericordia si incontrano. Finalmente anche l’apostolo può lanciarsi in una missione di donazione di sé, mediante la predicazione del mistero di Dio.

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In Gesù Cristo tutti noi come Tommaso, scopriamo la verità di una tenerezza di chi non smette mai di amarci di fronte alle nostre fragilità. Questo ci dona la gioia della vita nuova, della domenica senza tramonto, che tutti iniziamo a vivere ora e vivremo in Paradiso con Lui.

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Scriveva Rabindranath Tagore: «Sognai, e vidi che la vita è gioia; mi destai, e vidi che la vita è servizio. Servii, e vidi che nel servire c’è gioia».

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Chiediamo a Dio di aprire il cuore alla misericordia perché il nostro servizio alla verità conduca tutti alla gioia dell’incontro.

Così Sia

Roma, 19 aprile 2020

 

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Il blog personale di

Padre Gabriele

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Novità dalla Provincia Domenicana Romana: visitate il sito ufficiale dei Padri Domenicani, QUI

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La risurrezione di Cristo è quell’atto d’amore salvifico perfetto che caccia via in noi la paura della morte

L’angolo dell’omiletica dei Padri de L’Isola di Patmos

LA RISURREZIONE DI CRISTO È QUELL’ATTO D’AMORE SALVIFICO PERFETTO CHE CACCIA VIA IN NOI LA PAURA DELLA MORTE

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[…] quando considero Gesù come un defunto, quando vedo in lui il caro estinto da compiangere oppure quando vedo in lui solo una tradizione del passato da rispettare annualmente è difficile fare Pasqua, è difficile trovare un rimedio alla paura e alla morte. Ma Gesù non è un morto è il Vivente, è l’eterno presente e sono chiamato a sperimentare questo, così come è avvenuto per le donne: «Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno».

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Autore
Ivano Liguori, Ofm. Capp.

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Cari fratelli e sorelle, 

Lampada del Santissimo Sacramento nella chiesa parrocchiale del convento dei Frati Minori Cappuccini di Laconi (Oristano)

«Non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto come aveva detto» [Mt 28, 1-10].

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Queste le parole tratte dal Vangelo di Matteo di questa notte che ci annunciano la Risurrezione di Cristo. n annuncio forte che contrasta con due aspetti presenti nella vita di ciascuno di noi: la paura e la morte. E davanti alla paura e alla morte non abbiamo bisogno solo di essere incoraggiati, ma abbiamo necessità di trovare qualcuno che ci liberi dalla morte e metta in fuga la paura. La Pasqua è la risposta a questa necessità. Infatti, per prima cosa, l’Angelo invita le donne a non avere paura.

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Per l’attuale crisi sanitaria ognuno di noi sta vivendo un tempo di scoraggiamento e di timore. È bastato un virus per mettere in discussione tutta la nostra vita e quello che sembrava fino a poco tempo fa normale, oggi non lo è più. La Pasqua è l’evento in cui Dio attraverso Gesù Cristo ci dice che l’uomo non è stato creato per vivere nella paura, ma è stato creato libero e privo di ogni male. Non possiamo perciò pensare di condurre una vita normale ― anche di fede ― se permettiamo alla paura di dominarci. Allora quale è il rimedio alla paura? È Gesù, è il sapere che egli non si è scordato di noi, egli è il Vivente anche durante questo tempo di prova. Proprio perché è vero Dio e vero uomo è capace di un abbraccio che salva, che supera enormemente ogni peccato e ogni male del mondo.

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Padre Ivano Liguori, celebrazione del Triduo Paquale nella chiesa parrocchiale del Convento dei Frati Minori Cappuccini di Laconi (Oristano)

Quando abbiamo superato la paura, resta in noi una domanda che vediamo presente anche nel cuore delle donne che si recano al sepolcro: quando vado alla ricerca di Gesù, io chi cerco, un vivo oppure un morto? L’angelo dice chiaramente alle donne: «So che cercate Gesù, il crocifisso», il che significa voi cercate quel Gesù che è stato ammazzato. Ma quel Gesù dopo il Venerdì e il Sabato Santo non c’è più, non esiste più un cadavere ma il Risorto, non esiste più un defunto ma il Vivente.

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Cari fratelli, quando considero Gesù come un defunto, quando vedo in lui il caro estinto da compiangere oppure quando vedo in lui solo una tradizione del passato da rispettare annualmente è difficile fare Pasqua, è difficile trovare un rimedio alla paura e alla morte. Ma Gesù non è un morto è il Vivente, è l’eterno presente e sono chiamato a sperimentare questo, così come è avvenuto per le donne: «Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno».

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Padre Ivano Liguori, celebrazione del Triduo Paquale nella chiesa parrocchiale del Convento dei Frati Minori Cappuccini di Laconi (Oristano)

Oggi la sfida della fede pasquale ci porta a incontrare Gesù vivo nella Galilea dell’emergenza sanitaria di Coronavirus. Significa portare l’annuncio del vivente ― l’Exultet Pasquale ― dentro quelle situazioni di morte, di malattia, di paura che imperversano nelle nostre città, all’interno della nostra cara nazione, nel mondo intero.

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Dov’è o morte la tua vittoria, dov’è o malattia la tua vittoria? Non c’è, ha avuto termine con il silenzio del Sabato Santo, oggi è la domenica di Pasqua, oggi vince la vita e la salvezza di Cristo.

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Cari amici, pur vivendo una Pasqua a porte chiuse, nell’intimità delle nostre case, dei nostri appartamenti, questo non impedisce al Risorto di farsi presente. Egli che entrò a porte chiuse nel cenacolo per mostrarsi risorto agli Apostoli, si manifesterà anche a noi, radunati in questo giorno nel suo nome. Gesù vivo spalanca le porte delle nostre case, spalanca le porte delle nostre paure e vi entra come Salvatore potente. Non sarà un virus a strapparci dall’amore di Cristo, non sarà un virus a rendere vana la Pasqua del Signore.

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Cristo risorto benedica noi tutti e ci ottenga di ritornare presto alla serenità della vita quotidiana, non nella paura della morte ma nella gioia della vita che non ha fine.

Buona Pasqua, Cristo è veramente risorto!

Laconi, 11 aprile 2020

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Domenica delle Palme: quell’obbedienza tanto difficile da far comprendere a molti laici cattolici

L’angolo dell’omiletica dei Padri de L’Isola di Patmos

DOMENICA DELLE PALME: QUELL’OBBEDIENZA TANTO DIFFICILE DA FAR COMPRENDERE A MOLTI LAICI CATTOLICI

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Proprio in questo tempo di emergenza sanitaria abbiamo bisogno di essere salvati da Lui; proprio in questo tempo di paura è necessario consegnare la nostra vita al Signore affinché ci custodisca al sicuro; proprio in questo momento di crisi e instabilità dobbiamo seguire i Pastori della Chiesa, gravati di indubbi limiti, difetti e peccati, per riscoprire l’umiltà della mansuetudine e per evitare di usare Dio per i nostri scopi e scoprirci disobbedienti.

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Autore
Ivano Liguori, Ofm. Capp.

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ubi charitas et amor, Deus ibi est

Con la Domenica delle Palme iniziamo la grande settimana, la settimana che è chiamata santa perché ciascuno di noi verrà messo davanti al Santo di Dio, al Vivente, a colui che toglie il peccato del mondo. Per questo motivo, in questa settimana di grazia, desidero vivamente invitare ciascuno di voi a compiere due gesti: il primo è chiamato a rafforzare la fede e il secondo l’umiltà.

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Il primo gesto lo impariamo dalla folla dei fedeli di Gerusalemme che alla vista di Gesù esclamano «Osanna» per poi stendere i loro mantelli al suo passaggio. Osanna, è il grido della fede che riconosce nel Signore Gesù il Salvatore potente, l’atteso dalle genti. Il gesto di stendere il mantello, invece, significa donare al Signore tutto quello che di più caro abbiamo, significa donare interamente la vita a Lui nel bene e nel male.

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Proclamare «Osanna» e stendere il mantello, mi ricorda che solo attraverso il dono totale della mia esistenza al Signore posso incontrare la salvezza. Non basta chiedere al Signore la liberazione dal male e dal peccato se trattengo la mia vita per me in modo egoistico, se non lascio il Signore libero di agire dentro le pieghe della mia vita, anche in quelle più oscure e imbarazzanti.  Gesù è il Salvatore totale della vita, non solo di alcune parti marginali di essa.

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Il secondo atteggiamento lo apprendiamo da Gesù stesso, che sceglie di entrare nella città santa a dorso di un’asina. L’ingresso di Gesù a Gerusalemme avviene non nello stile dei conquistatori del mondo antico ma nello stile dell’umile servo obbediente, di colui che è venuto a fare la volontà del Padre e non per imporre la propria. È attraverso questa umiltà e piccolezza che Cristo potrà mettersi a servizio degli apostoli nella lavanda dei piedi che culminerà nel dono della vita sulla croce. Gesù con questo gesto diventa maestro di mansuetudine, ci mostra come la salvezza di Dio non si impone con la forza ma con la determinazione della mitezza.

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Se è nostro desiderio vivere bene la Settimana Santa e giungere alla Pasqua rinnovati, cantiamo con gioia l’Osanna della vittoria e consegniamo la vita a Gesù, e in questa consegna impariamo l’umiltà.

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Proprio in questo tempo di emergenza sanitaria abbiamo bisogno di essere salvati da Lui; proprio in questo tempo di paura è necessario consegnare la nostra vita al Signore affinché ci custodisca al sicuro; proprio in questo momento di crisi e instabilità dobbiamo seguire i Pastori della Chiesa, gravati di indubbi limiti, difetti e peccati, per riscoprire l’umiltà della mansuetudine e per evitare di usare Dio per i nostri scopi e scoprirci disobbedienti.

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Laconi, 5 aprile 2020

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Anche oggi, dinanzi alle bare stipate nei magazzini in attesa di sepoltura, sembra di udire di nuovo il lamento di Marta: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto»

L’angolo dell’omiletica dei Padri de L’Isola di Patmos

ANCHE OGGI, CON LE BARE STIPATE NEI MAGAZZINI IN ATTESA DI SEPOLTURA, SEMBRA DI UDIRE DI NUOVO IL LAMENTO DI MARTA: «SIGNORE, SE TU FOSSI STATO QUI, MIO FRATELLO NON SAREBBE MORTO!»

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Dov’è Dio? È anche inutile pensare a una risposta che si basi sulla sola ragionevolezza o che interpelli la teologia razionale, al fine di farci familiarizzare con una realtà come la morte che è sì naturale ma mai totalmente accettata. Nel momento della perdita di una persona cara, la ragione è fragile. 

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Autore
Ivano Liguori, Ofm. Capp.

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Cristo Risorto antidoto al coronavirus: «Svègliati, o tu che dormi, dèstati dai morti e Cristo ti illuminerà»

L’angolo dell’omiletica dei Padri de L’Isola di Patmos

CRISTO RISORTO ANTIDOTO AL CORONAVIRUS: «SVÈGLIATI, O TU CHE DORMI, DÉSTATI DAI MORTI E CRISTO TI ILLUMINERÀ»

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La quarantena antivirus ci lascia a casa, modificando le libertà, le abitudini, i bisogni. C’è però una via d’uscita. Se possiedo Cristo, anzi se permetto a Cristo di possedermi, anche se mi trovo barricato in casa, sono libero. Fossi anche incarcerato per la mia fede, così come hanno sperimentato gli apostoli, Cristo mi renderebbe ugualmente un uomo libero. Se siamo con il Signore, qualunque situazione può essere superata, la disgrazia è essere senza Cristo, è voler essere pastori di sé stessi. Paradossalmente scopriamo adesso quanto la nostra presunta libertà può essere limitata, quanto la nostra vita può essere offuscata, quanto ciò che reputiamo reale assomigli in realtà a un lungo sonno.

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Autore
Ivano Liguori, Ofm. Capp.

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Al termine di questa quarantena, Cristo ci attende come la samaritana al pozzo d’acqua

Omiletica dei Padri de L’Isola di Patmos

—  omiletica —

AL TERMINE DI QUESTA QUARANTENA, CRISTO CI ATTENDE COME LA SAMARITANA AL POZZO D’ACQUA 

Il dischiudersi della donna a Gesù, che è Dio realmente presente, permette alla samaritana innanzitutto di scoprire la verità su sé stessa. Si lascia scoprire da Dio e non si ferma alla superficie di sé stessa. Il dialogo con Dio realmente presente è una rivelazione su sé stessi, entrare in profondità rispetto alla propria identità.

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Autore:
Gabriele Giordano M. Scardocci, O.P.

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Cari fratelli e sorelle,

“Cristo e la Samaritana al pozzo”, opera di Alessandro Vodret Fava. Roma, collezione privata

in questi momenti nei quali un intero Paese è sottoposto a quarantena, con attività esterne quasi inesistenti e di molta attività interna dentro la nostra comunità e le nostre famiglie, è possibile trovare dei momenti per riflettere un po’ su alcuni temi della nostra fede che facilmente sfuggono a una meditazione profonda.

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In una gara di pallacanestro, c’è uno schema chiamato “isolamento” in cui si lascia il giocatore attaccante da solo contro il difensore. Uno contro uno, isolati dal resto delle loro squadre. In quel momento, chi attacca deve ricordare bene quali sono le sue caratteristiche, i suoi talenti atletici, per vincere la partita.

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Lo schema di isolamento è spiegato dal cestista Tony Mitchell [cf. video QUI].

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Uno dei temi che in questa Quaresima possiamo allora meditare è il tema della Presenza Reale e concreta di Dio nella nostra vita. La prima lettura ci mostra un quadro un po’ particolare. Leggiamo infatti:

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«Mosè fece così, sotto gli occhi degli anziani d’Israele. E chiamò quel luogo Massa e Merìba, a causa della protesta degli Israeliti e perché misero alla prova il Signore, dicendo: ”Il Signore è in mezzo a noi sì o no?”».

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Se diamo un’occhiata all’originale ebraico, quella protesta con cui il popolo ebraico si rivolge a Dio, è espressa con la parola Rib, indicante nel giudaismo una forma di litigio giuridico a due, che si risolve senza mettere a morte il colpevole. Ecco allora che il popolo ebraico si lamenta in continuazione e, in quella protesta, sembra quasi mettere in dubbio la capacità profetica di Mosè, in un litigio senza fine.  Anche dopo il miracolo, il popolo ebraico è indeciso. È insomma un popolo che affannosamente, ansiosamente e senza serenità cerca segni sensazionalistici. Il giusto intermediario che gli è mandato, Mosè, non lo soddisfa.

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Questa può essere una meditazione per noi: la nostra fede è affannosa, in continua ricerca di segni, miracoli e prodigi?  Il Signore ci chiede di abbandonarci a Lui, rileggendo gli eventi che ci succedono con lo sguardo di fede, senza continuamente mettere in dubbio la sua azione con noi. Potremo domandarci se anche noi, come il popolo ebraico, “litighiamo” con Dio e i suoi intermediari, perché non ci fidiamo di nessuno. Da qui la domanda: quanto ci fidiamo della presenza reale concreta del Signore?

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In questo senso il Vangelo della samaritana vuole rompere con la tradizione giudaica. Si ripropone lo scenario dell’Antico Testamento. Il deserto, la sete, e un dialogo. Ma qui è tutto diverso. Nel dialogo fra la donna e Gesù, c’è un’apertura a un dialogo col Tu Eterno di Dio. La richiesta di acqua, è un po’ una scusa del Signore, per entrare in contatto con la donna. Tanto che poi le dirà

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«Hai detto bene: ”Io non ho marito”. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero».

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Ecco allora che il dischiudersi della donna a Gesù, che è Dio realmente presente, permette alla samaritana innanzitutto di scoprire la verità su sé stessa. Si lascia scoprire da Dio e non si ferma alla superficie di sé stessa. Il dialogo con Dio realmente presente è una rivelazione su sé stessi, entrare in profondità rispetto alla propria identità.

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Immediatamente dopo è uno schiudersi anche alla verità su Dio. Gesù infatti le dirà:

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«So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa».

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Le dice Gesù:

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«Sono io (lett. Io sono = nome di Dio), che parlo con te».

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Ecco l’insegnamento per noi su come costruire un vero autentico rapporto e non una ricerca spasmodica di segni, prodigi, fantasticherie: ma un dialogo vivo e fecondo, nel silenzio del deserto, mentre Cristo ci disseta dell’acqua della verità.

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Chiediamo al Signore di essere giorno dopo giorno sempre più come la samaritana e sempre più come Maria, che nella tenerezza dell’ascolto orante, si fecero prime predicatrici delle verità divine.

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In questo momento di dolore e di prova, noi Sacerdoti di Cristo eleviamo più che mai suppliche. Nelle nostre celebrazioni eucaristiche fatte senza popolo, per i motivi di sicurezza che ben conoscete, imploriamo ogni giorno Dio Padre affinché preservi la salute dei corpi e delle anime dei nostri amati fedeli.

Così sia.

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Roma, 15 marzo 2020

 

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Padre Gabriele

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La Quaresima e la “mission impossible” che nella via della fede e della purificazione diviene invece possibile

Omiletica dei Padri de L’Isola di Patmos

—  omiletica —

LA QUARESIMA E LA MISSION IMPOSSIBLE CHE NELLA VIA DELLA FEDE E DELLA PURIFICAZIONE DIVIENE INVECE POSSIBILE 

La Quaresima è quindi un invito a riscoprire un poco la missione che il Signore ci ha dato. Riscoprire quella vocazione a cui tutti quanti siamo indirizzati, ognuno in modo diverso, ma comunque secondo una vocazione santa.

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Autore:
Gabriele Giordano M. Scardocci, O.P.

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PDF  articolo formato stampa
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Cari fratelli e sorelle,

locandina del celebre film

non so se vi ricordate il film di Tom Cruise, il celebre Mission Impossible del 1996. In quel film, il protagonista Ethan Hunt ha appunto una missione impossibile: una missione anti terrorismo. A tal fine, chiama con sé dei colleghi fidati, a cui dà incarichi importanti e difficili.

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La Quaresima è quindi un invito a riscoprire un poco la missione che il Signore ci ha dato. Riscoprire quella vocazione a cui tutti quanti siamo indirizzati, ognuno in modo diverso, ma comunque secondo una vocazione santa.

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Le tre letture di questa seconda domenica di Quaresima ci parlano di questo, a partire dal testo vetero testamentario [vedere il testo della Liturgia della Parola, QUI]:

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«In quei giorni, il Signore disse ad Abram: “Vàttene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò”»

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Quel «vattene» non va inteso come un cacciare via Abram da parte di Dio. È sì, un imperativo, ma letteralmente suona più come un comando militare. Ecco allora che la missione ha un mandato che Abram non ha inventato ma ha ricevuto dal Signore. Un mandato pensato e voluto esclusivamente per Abram, che diventerà Abramo e inizierà la grande missione di guidare il popolo di Israele.

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Questo si riferisce anche a noi: proviamo a riflettere sulle origini del mandato che abbiamo ricevuto. Qualsiasi sia lo stato di vita a cui siamo chiamati, ecco che il Signore ci ha chiamati per nome, invitandoci a uscire da noi stessi, dalla nostra terra, le nostre sicurezze e serenità per aprirci a una missione più grande. E per farlo non ci ha lasciati da soli. Leggiamo infatti San Paolo quando scrive:

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«Figlio mio, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo. Egli infatti ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo progetto e la sua grazia».

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Ecco che San Paolo scrive all’amato Timoteo nel momento della prigionia. Nel momento in cui la sua missione di predicatore e apostolo è davvero messa alla prova. Però Paolo sa bene che ha ricevuto la grazia. La grazia è la forza che Dio ci dona per poter partecipare al meglio alla nostra missione insieme con Lui, e con Lui e metterla in pratica.

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Anche noi, dunque, abbiamo ricevuto la grazia per la nostra vocazione. E possiamo rinvigorirla mediante la vita di grazia, di preghiera e in questo periodo anche di qualche penitenza. Anche in questo momento di sofferenza a livello nazionale, sappiamo di avere l’aiuto vicino del Signore.

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Questo annuncio di avere vicino il Signore, ci è dato dal Vangelo di questa domenica:

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«Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: “Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti”».

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Gesù si è trasfigurato. Gli apostoli hanno saputo dal Padre che quello che insegna, vive e parla con loro è il Figlio prediletto; è il Figlio di Dio. Si rivela anche a loro, per quello che è, dopo che a Natale si era mostrato ai pastori tramite l’annuncio angelico. E dice quella frase. Chiede il segreto messianico: Gesù passerà da una terribile sofferenza, poi risorgerà. Da quegli atroci momenti, che gli apostoli presenti non riescono a capire, verrà la grazia. Verrà la nostra gioia e la nostra liberazione.

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In questo tempo di quaresima cominciamo sin d’ora a riflettere sugli eventi della passione come eventi che preparano l’Era Nuova della grazia: in cui ciascuno di noi avrà la sua personale Pasqua, e il passaggio ad una vita autentica.

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Scriveva Jean Paul Sartre:

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«Chi è autentico, assume la responsabilità per essere quello che è, e si riconosce libero di essere quello che è».

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Il Signore ci doni sempre il coraggio di abbracciare la nostra vocazione, per vivere sempre più con l’autenticità e il coraggio dei figli di Dio.

Così sia.

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Roma, 8 marzo 2020

 

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Padre Gabriele

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Eppure la soluzione esiste: «Amare i nemici è l’unica via perché non resti sulla terra neanche un nemico»

Omiletica dei Padri de L’Isola di Patmos

—  omiletica —

EPPURE LA SOLUZIONE ESISTE: «AMARE I NEMICI È L’UNICA VIA PERCHÉ NON RESTI SULLA TERRA NEANCHE UN NEMICO»

La mentalità della legge del taglione va superata, non perché sia sbagliata la giustizia distributiva, che è il valore che la stessa legge vuole insegnare: se infatti commetto un torto, è giusto rifonderlo. Ma l’amore per il nemico e la preghiera per chi ci offende, ci fa del male e ci considera dei nemici è un comandamento grandissimo che va oltre quella legge. Quella attuale, che è sempre più una cultura senza Dio, questo messaggio non sa riceverlo, come abbiamo visto parlando del film di Tarantino.

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Autore:
Gabriele Giordano M. Scardocci, O.P.

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Cari fratelli e sorelle,

la serie cinematografica di Quentin Tarantino

chi ha visto il film di Quentin Tarantino: Kill Bill vol. 1 – 2, ricorderà che la protagonista Beatrix Kiddo, conosciuta come la Sposa, vola tra Giappone e Stati Uniti, con un unico fine: vendicare i propri parenti uccisi nel giorno del suo matrimonio. Beatrix vuole uccidere Bill, il mandante degli omicidi che l’hanno coinvolta. La pellicola è un insieme di fotogrammi che narrano una violenza gratuita, dunque una fredda cronaca di una vendetta.

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Questo terribile messaggio sfugge dall’ottica evangelica. Il messaggio di Gesù, in questa VII domenica del tempo ordinario [cfr. Liturgia della Parola, QUI] è diametralmente opposto. È un invito ad un amore grandissimo, che nasce dal desiderio di santità, di essere in piena amicizia con Dio. Di questa santità ce ne parla innanzitutto il Levitico, dove Dio dice agli israeliti:

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«Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo. Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello» [Lv 19,2].

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Questo essere santi per gli israeliti indicava dunque un’appartenenza a Dio. Loro erano il popolo eletto, scelto affinché anzitutto si ricevesse il decalogo, poi si propagasse la testimonianza della presenza di YHWY in tutto il mondo. Per questo, Dio li rende partecipi della santità dell’essere staccati dalle altre cose del mondo, in particolare dal sentimento dell’odio, che facilmente si genera nell’uomo insieme all’ira.

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Questo richiamo alla santità è anche per noi: un richiamo dunque a non covare odio, ma amore di Dio. Un amore più grande, universale e che coinvolge non solo noi stessi ma chi incontriamo. Perciò siamo santi, non del mondo ma nel mondo, pronti a far entrare tutto il mondo nella santità di Dio. È questa la nostra vocazione, come ci dice San Paolo:

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«Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» [I Cor 3, 21-23].

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L’invito di Paolo ai corinzi è di non centrare la loro attenzione a tutte queste cose. Perché tutte queste cose, l’amicizia di Paolo, Apollo, Cefa, tutte le cose del mondo come la vita e la morte, la conoscenza degli eventi presenti e futuri sono già offerti ai credenti in Cristo. Possedere il mondo vuol dire per il credente riempirlo del messaggio di Cristo e di dargli un senso nuovo: di brillare dunque come portatore e testimone di un messaggio che lo supera, ma che al tempo stesso ne mostra la specialità e unicità davanti a tutti.  La santità personale è allora la sorgente della testimonianza e della carità nella verità per il mondo bisognoso di Dio.

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Ma la santità ha un effetto più forte, più evidente, e che in un certo senso scandalizza il mondo stesso. È l’insegnamento centrale del vangelo di oggi:

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«Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli» [Mt 5, 43-44].

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La mentalità della legge del taglione va superata, non perché sia sbagliata la giustizia distributiva, che è il valore che la stessa legge vuole insegnare: se infatti commetto un torto, è giusto rifonderlo. Ma l’amore per il nemico e la preghiera per chi ci offende, ci fa del male e ci considera dei nemici è un comandamento grandissimo che va oltre quella legge. Quella attuale, che è sempre più una cultura senza Dio, questo messaggio non sa riceverlo, come abbiamo visto parlando del film di Tarantino. Questo amore per il nemico sgorga da una speciale santità che è donata dall’Eterno Padre a tutti noi. Il primo ad averla mostrata è stato lo stesso Gesù: sulla croce infatti ha continuato ad amare, perdonare e pregare per i suoi aguzzini. Quello è il comandamento di Gesù per eccellenza, e con il suo aiuto tutti possiamo arrivare a questo. Come infatti scriveva il saggista Giovanni Papini: «Amare i nemici è l’unica via perché non resti sulla terra neanche un nemico».

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Chiediamo al Signore il coraggio, la perseveranza e la tenacia di amare santamente chi ci odia, per generare un regno di fede e pace, in cui l’amore trinitario sia giorno dopo giorno il raggio di luce che illumina le tenebre del mondo che odia.

Così sia.

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Il blog personale di

Padre Gabriele

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Zucchero e «Lo spirito nel buio» dove brilla la luce inestinguibile di Cristo Redentore

Omiletica dei Padri de L’Isola di Patmos

—  omiletica —

ZUCCHERO E LO «SPIRITO NEL BUIO» DOVE BRILLA LA LUCE INESTINGUIBILE DI CRISTO REDENTORE 

Nella festa della Presentazione del Signore, detta la Candelora, si accendono delle candele. Queste candele, le nostre candele permettono alla piccolissima fiammella di accendere il buio nel mondo. Di mostrare il nostro spirito nel buio, perché acceso dallo spirito d’amore di Gesù offerto al tempio. 

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Autore:
Gabriele Giordano M. Scardocci, O.P.

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Cari fratelli e sorelle,

in questa festa della Presentazione del Signore [testi della Liturgia della Parola, QUI], passava per le radio una canzone del cantautore italiano Zucchero, intitolata Spirito nel buio. L’autore ha un desiderio: che il mondo sia effuso di una luce d’amore. Infatti il testo della canzone dice esplicitamente: «Vorrei vedere tutto il mondo in festa che accende spirito nel buio».

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Nella festa della Presentazione del Signore, detta la Candelora, si accendono delle candele. Queste candele, le nostre candele permettono alla piccolissima fiammella di accendere il buio nel mondo. Di mostrare il nostro spirito nel buio, perché acceso dallo spirito d’amore di Gesù offerto al tempio.

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Cerchiamo di meditare su questa festa, partendo dal testo vetero-testamentario del Profeta Malachia:

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«Ecco io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me […] Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai» [Ml 3, 2].

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In questa profezia Malachia descrive il messaggero di Dio con due immagini: il fuoco e la lisciva, che si usava come detergente per sbiancare i panni. Entrambi questi due elementi, richiamano la purificazione e il tornare puliti dopo essere sporchi. Questo messaggero non può essere allora un angelo, che non è chiamato a purificare, disinfettare e a lavare. Malachia annuncia già Cristo, chiamato per questo compito così importante: offrirsi per la nostra purificazione.

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Questo è un richiamo a purificare allora le nostre vite, le nostre abitudini, soprattutto il nostro modo di vivere la fede. Purifichiamo la nostra vita dagli idoli che, senza farsi vedere, ne hanno occupato il centro.

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Per giungere a questo prendiamo consapevolezza che Dio stesso si prende cura di noi, come ci spiega l’Autore della Lettera agli Ebrei:

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«Cristo infatti non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura» [Eb 2, 16]

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In un certo senso, possiamo stare tranquilli di questa protezione continua del Signore. Anche di fronte agli eventi difficili e terribili della Storia, che sfuggono al nostro controllo e alla nostra responsabilità, possiamo solo metterci sotto la sua ala protettiva.

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Penso anche a questi giorni, per esempio riguardo le notizie sul Coronavirus, che per quanto esagerate, mostrano da parte di buona fetta della popolazione mondiale un senso di smarrimento. Lasciamo che sia il Signore a proteggerci, con l’aiuto degli scienziati e dei medici: senza paura.

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Infatti la festa di Gesù che é presentato al tempio è sintetizzato in questo: Gesù è offerto al Padre, consacrato del padre per liberarci dal peccato e da tutte le inquietudini conseguenti, come ci illustrano le parole del saggio e anziano Simeone che li benedisse e a Maria sua madre disse:

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«Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori» [Lc 2, 34].

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Gesù è chiamato ed è offerto al Tempio, di cui Egli diviene centro e fondamento. Infatti, nel suo essere offerto e presentato al Tempio, si pone come definitivo Luogo dove incontrare Dio. Ecco perché Gesù è segno di contraddizione e caduta per molti: perché i farisei erano legati ai loro schemi rituali e alle pratiche del Tempio, che però avevano perso la loro caratteristica di essere riti per mettere in comunione con Dio. Gesù è invece colui che svela i pensieri di molti cuori: svela la contraddizione di una religione bigotta e ripetitiva rispetto invece a Dio che ci chiede una adesione di fede autentica, viva e responsabile.

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La fede non diventi dunque per tutti noi abitudine e ripetizione meccanica: questa sarebbe davvero una contraddizione per tutti noi. Ravviviamo invece la fede, offrendoci tutti noi al tempio con Gesù, vivendola con forza nel quotidiano.

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Charles Baudelaire, sebbene annoverato dalla critica letteraria nel gruppo dei cosiddetti “poeti maledetti”, lungi dall’essere privo di profondità, scrive: «Vola via lontano da questi morbosi miasmi; va’ a purificarti nell’aria superiore, e bevi, come un puro e divino liquore, il chiaro fuoco che riempie i limpidi spazi»

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Il Signore ci doni sempre il desiderio di dissetarci del suo vino consacrato, per far entrare gli spazi della sua Eternità nella nostra vita offerta a Lui.

Così sia.

Roma, 2 febbraio 2020

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