Avvisiamo l’Arcivescovo di Chieti-Vasto che il prete scomunicato Alessandro Minutella prenota in strutture religiose della sua Diocesi per celebrare i riti della Settimana Santa per poi proseguire al Grand Hotel di Assisi

AVVISIAMO L’ARCIVESCOVO DI CHIETI-VASTO CHE IL PRETE SCOMUNICATO ALESSANDRO MINUTELLA PRENOTA IN STRUTTURE RELIGIOSE DELLA SUA DIOCESI PER CELEBRARE I RITI DELLA SETTIMANA SANTA PER POI PROSEGUIRE AL GRAND HOTEL DI ASSISI

Quando abbiamo chiamato la Casa del Pellegrino di Manoppello, istituto fondato a suo tempo dai Frati Minori Cappuccini, per chiedere se erano consapevoli di chi avrebbero ospitato, i responsabili sono caduti letteralmente dalle nuvole rispondendo che dalle ore 20 alle ore 24 avevano fissata una prenotazione da parte di un gruppo “fans basket” (!?)

— Attualità ecclesiale —

Autore
I Padri de L’Isola di Patmos

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Il Sig. Alessandro Minutella è incorso in scomunica latae sententiae per scisma ed eresia (vedere decreto QUI), successivamente, per la sua ostinata pertinacia, è stato dimesso dallo stato clericale  con decreto del Sommo Pontefice Francesco (vedere decreto QUI), quindi non è più parte della Chiesa e del clero cattolico per sentenza data dalla Suprema Autorità Ecclesiastica.

Da anni gira per l’Italia e l’Europa raccogliendo fragili e disagiati smarriti portando al mondo la “buona novella” che il Sommo Pontefice Benedetto XVI non avrebbe mai fatto atto di rinuncia e che il Sommo Pontefice Francesco non è altro che un «usurpatore satanico emissario dell’Anti-Cristo».

In quanto scomunicato e dimesso dallo stato clericale il Sig. Alessandro Minutella non può accedere nei luoghi di culto né usufruire ad alcun titolo delle strutture ecclesiastiche, non può qualificarsi come sacerdote cattolico e non può indossare l’abito ecclesiastico del clero. 

In evidente segno di sfida e provocazione ha deciso di celebrare durante il Triduo Pasquale a Manoppello, in una struttura religiosa accanto al Santuario del Santo Volto. Ma veniamo all’inganno: quando abbiamo chiamato la Casa del Pellegrino di Manoppello, istituto fondato a suo tempo dai Frati Minori Cappuccini, per chiedere se erano consapevoli di chi avrebbero ospitato, i responsabili sono caduti letteralmente dalle nuvole rispondendo che dalle ore 20 alle ore 24 avevano fissata una prenotazione da parte di un gruppo di “fans basket”. È evidente che il Sig. Alessandro Minutella ha mandato avanti i suoi cosiddetti referenti per fare una provocatoria prenotazione tramite inganno, non certo a suo nome né a quello della sua esotica associazione di eretici scismatici, bensì addirittura a nome di un … “fans basket” (!?) Saprà comunque l’Arcivescovo di Chieti-Vasto che cosa fare e come farlo.

Il giorno successivo il Sig. Alessandro Minutella e i suoi seguaci saranno al Grand Hotel di Assisi, che non è una struttura religiosa, ma pur non essendo tale è una struttura che grazie alla religiosità lavora e porta avanti la propria impresa alberghiera, quanto basterebbe per evitare che un soggetto espulso dalla Chiesa possa recare grave oltraggio al sentimento cattolico, con tutti i suoi fanatici al seguito, direttamente in uno tra i più grandi luoghi-simbolo al mondo della religiosità cristiana.

dall’Isola di Patmos, 22 marzo 2024

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I Padri dell’Isola di Patmos

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L’aborto, il nuovo dogma del nostro tempo al grido di libertè, Egalitè, fraternitè …

L’ABORTO, IL NUOVO DOGMA DEL NOSTRO TEMPO AL GRIDO DI LIBERTÈ, EGALITÈ, FRATERNITÈ …

Per la morale cattolica che discende dal Vangelo e dalla viva tradizione della Chiesa, nonché dalla riflessione razionale, l’aborto è un male e un peccato, un grave delitto contro la vita peggiore dell’assassinio di un uomo o di un femminicidio. Un uomo o una donna alle cui vite si attenta, in qualche modo potrebbero anche difendersi e sottrarsi alla morte, o fuggire all’aggressione dell’assassino, ma un bambino nel ventre della madre no, non può difendersi in alcun modo né fuggire.

 

Autore:
Gabriele Giordano M. Scardocci, O.P.

 

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Il premio Nobel Madre Teresa di Calcutta ripeteva una frase: «Il più grande distruttore di pace è l’aborto». La lapidaria espressione racchiude una contestazione di quelle derive del pensiero moderno che spesso scelgono logiche di morte anziché di vita. Fra queste una certa cultura delle libertà che ha imposto la possibilità di scegliere l’aborto, fino a farlo diventare un «dogma» contemporaneo, radicato nelle convinzioni più profonde delle persone e naturalmente dei politici che nei parlamenti votano ed emanano leggi che favoriscono l’interruzione volontaria della gravidanza. Nell’ultima campagna elettorale italiana perfino alcuni politici di ispirazione cattolica rassicuravano i loro elettori nei talk show televisivi affermando: «l’aborto rimane un diritto intangibile» (!?).

 

A tal proposito vorrei far riferimento a eventi politici accaduti in due democrazie mature, quali sono l’americana e quella francese, nei quali possiamo ravvisare la debolezza di una cultura della libertà di una parte che reca discapito a un’altra più debole, non avente quasi diritti: quella del nascituro che aspira ad una propria esistenza.

Nel novembre 2022 nello Stato del Montana (USA) si svolse una consultazione referendaria nella quale fu proposto agli elettori il seguente quesito:

«Devono essere prestate cure mediche a bambini che lo necessitano, se sono sopravvissuti a un tentato aborto?».

Vinse il «no», con una percentuale pari al 52% dei votanti. Secondo l’opinione di 231.345 elettori di quello Stato americano a un bambino che sta morendo perché il primo tentativo di sopprimere la sua vita è andato a male non vanno prestate cure: la «libertà» della donna viene prima del suo diritto a vivere. Secondo i fautori del «no» il personale sanitario ha tutto il diritto di far morire un bambino, purché la donna veda «rispettata» la sua scelta e il suo corpo. Sono aberrazioni che sfuggono a una coscienza morale; è infatti molto difficile comprendere in che modo l’evento, poniamo caso, di una bimba sopravvissuta a un tentato aborto andato male, possa definirsi violenza contro il corpo di quella donna che non l’ha voluta e dunque vada lasciata morire, impedendo che le vengano prestate cure salvavita.

Presto detto: proprio oggi che la cosiddetta buona società si strugge per i casi di femminicidio, al tempo stesso dobbiamo prendere atto che non è  considerato invece femminicidio se una bambina nata viva per un aborto andato a male, viene lasciata morire. Si tratta infatti di femminicidio solo se un uomo uccide una donna in preda a un impeto criminale, non però se un ginecologo uccide una bambina, perché in questo secondo caso siamo dinanzi all’esercizio di un diritto legalmente tutelato, esercitato dalla madre alla quale si riconosce potere di vita e di morte e realizzato dal ginecologo che usa l’arte medica per aiutare la donna a beneficiare di questo suo diritto indiscutibile. Anzi, più che indiscutibile, dogmatico!  

Molto più significativa del referendum nel Montana è stata la recente definitiva approvazione della modifica alla Costituzione da parte del Parlamento francese, le Congrès du Parlement, che a camere riunite, lunedì 4 marzo del presente anno, ha voluto inserire il “diritto” all’aborto nella Carta Costituzionale. La Francia è ora il primo paese non solo in Europa, ma anche nel mondo, a includere il diritto di abortire nella sua Carta fondamentale. Tale diritto in Francia era disciplinato dalla Legge Simone Veil del 1975. Il voto del Parlamento francese e i toni trionfalistici dei commenti che lo hanno esaltato, in Francia come sulla stampa internazionale, sembrano trasformare una tragedia per cui indignarsi e contro cui lottare, in una suprema affermazione della dignità e della libertà delle donne. L’aborto diventa simbolo di emancipazione, profezia di un nuovo modo di intendere la femminilità. Mettendo ancora una volta in secondo piano l’urgenza di investire maggiori risorse per dare alle donne, piuttosto che la licenza di eliminare i propri figli, la possibilità di non farlo. La modifica ormai approvata della Costituzione, fortemente voluta dal Presidente Emmanuel Macron per marcare una differenza di impostazione nei riguardi di una precedente sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti (vedere QUI), pone diversi problemi per esempio a quei francesi che, seguendo una confessione religiosa che ripudia l’aborto, se lo ritrovano adesso come un diritto sancito dalla costituzione. Nessun americano, nel caso previsto dalla Sentenza di cui sopra che rimandava la decisione circa l’aborto agli Stati federali, era messo in condizione di scegliere tra il suo essere cittadino e la sua coscienza. Nel caso francese invece sì.

L’aborto da sempre è stato per molte donne una dolorosa necessità, di cui sono state loro stesse le prime vittime. Uccidere il bambino che si porta nel seno è sempre stato ed è, per una madre normale, un dramma, reso più tremendo dal fatto che una società maschilista, ancora oggi, non fa il possibile per evitarlo, lasciandola spesso sola a vivere sulla propria pelle i tanti problemi che rendono problematica la maternità. Per questo appoggiarsi al logico riconoscimento della libertà della donna per motivare una tale presa di posizione politica pone diversi problemi dal punto di vista filosofico, morale e biologico. Per la biologia, ad esempio, non ci sono «salti» tra la vita pre-natale e quella successiva al parto e una cesura tra l’una e l’altra sarebbe arbitraria: i non nati sono individui biologicamente umani, come i nati. Tutto allora dipende dalle giustificazioni filosofiche ed etiche che si riescono a dare per giustificare l’aborto e molti studiosi, anche non religiosi, hanno messo in evidenza che l’etica cristiana ha posto almeno un argine a quelle che potrebbero essere le derive di simili diritti sanciti costituzionalmente e fatti discendere dalle libertà personali. In questo modo chi potrà in futuro decidere chi è soggetto auto-cosciente e chi no fra un feto, un infante, un malato mentale o in coma, un affetto da totale demenza incapace di intendere e volere? 

I due casi politici sopra riportati fanno ripensare a quella tradizione spartana legata al Monte Taigeto. Su quel monte i bambini indesiderati perché non abili alla vita militare o «difettosi» venivano da lì scagliati e fatti morire. «La cultura dello scarto», come ebbe a chiamarla il Santo Padre Francesco ancora nel 2023. Perché, come sappiamo, per la morale cattolica che discende dal Vangelo e dalla viva tradizione della Chiesa, nonché dalla riflessione razionale, l’aborto è un male e un peccato, un grave delitto contro la vita peggiore dell’assassinio di un uomo o di un femminicidio. Un uomo o una donna alle cui vite si attenta, in qualche modo potrebbero anche difendersi e sottrarsi alla morte, o fuggire all’aggressione dell’assassino, ma un bambino nel ventre della madre no, non può difendersi in alcun modo né fuggire. 

Il Catechismo della Chiesa Cattolica ricorda ai credenti: «La vita umana è sacra perché, fin dal suo inizio, comporta l’azione creatrice di Dio e rimane per sempre in una relazione speciale con il Creatore, suo unico fine. Solo Dio è il Signore della vita dal suo inizio alla sua fine: nessuno, in nessuna circostanza, può rivendicare a sé il diritto di distruggere direttamente un essere umano innocente» (Nr 2258). E al numero 2302 rammenta ― eco delle parole di Madre Teresa riportate all’inizio ― che fra i nemici della pace troviamo innanzitutto l’omicidio.

I Pontefici interessati da questa problematica dell’aborto hanno tutti preso una posizione chiara e contraria. Il Santo Padre Francesco, con il fare colorito che spesso lo contraddistingue, ha più volte affermato che questa spirale di odio è chiara nell’aborto perché quando si abortisce è come pagare un sicario per effettuare un omicidio (cfr. QUI). Il Santo Padre Benedetto XVI qualche anno fa ha ricordato la terribile ferita aperta dalle leggi abortiste, affermando: «Hanno creato una mentalità di progressivo svilimento del valore della vita» (cfr. QUI). Il Magistero di San Giovanni Paolo II è stato chiarissimo a riguardo: «Tutto sembra avvenire nel più saldo rispetto della legalità, almeno quando le leggi che permettono l’aborto o l’eutanasia vengono votate secondo le cosiddette regole democratiche. In verità, siamo di fronte solo a una tragica parvenza di legalità e l’ideale democratico, che è davvero tale quando riconosce e tutela la dignità di ogni persona umana, è tradito nelle sue stesse basi: «Come è possibile parlare ancora di dignità di ogni persona umana, quando si permette che si uccida la più debole e la più innocente? In nome di quale giustizia si opera fra le persone la più ingiusta delle discriminazioni, dichiarandone alcune degne di essere difese, mentre ad altre questa dignità è negata?». Quando si verificano queste condizioni si sono già innescati quei dinamismi che portano alla dissoluzione di un’autentica convivenza umana e alla disgregazione della stessa realtà statuale. Rivendicare il diritto all’aborto, all’infanticidio, all’eutanasia e riconoscerlo legalmente, equivale ad attribuire alla libertà umana un significato perverso e iniquo: quello di un potere assoluto sugli altri e contro gli altri. Ma questa è la morte della vera libertà: «In verità, in verità vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato (Gv 8, 34)» (cfr. Evangelium Vitae, n. 20).

Il dramma dell’aborto, perché tale rimane, non sembra dunque propriamente liberale, poiché togliendo la vita a qualcuno, si diceva all’inizio, la pace subisce un vulnus; e viene meno anche quella pace interiore, dell’animo, in chi compie un gesto tanto violento. Alla fine, con esso, oltre la libertà e la pace, muore anche la speranza. Anzitutto quella del feto, perché gli è precluso l’avvenire, la sua storia umana fra i suoi simili. Ma anche quella della donna che, nonostante tutti gli aiuti sanitari e psicologici, si troverà sola nel compiere quel passo tremendo. Potrà consolarla in quel momento sapere che l’aborto sia stato inserito fra i diritti costituzionali? Oppure ripenserà a tutto l’aiuto di cui avrebbe avuto bisogno ― non solo morale e spirituale, ma anche economico, sociale e politico ― affinché non si trovasse a compiere una simile scelta, lei e tutte le donne del mondo che hanno tolto la vita ai propri figli?

Santa Maria Novella in Firenze, 16 marzo 2024

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Padre Gabriele, Roma, Piazza della Repubblica (già Piazza Esedra) Marcia per la vita

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I Padri dell’Isola di Patmos

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Un buon prete è tale se per lodare il proprio Vescovo attende la fine del suo mandato: Andrea Turazzi, da oggi Vescovo emerito della Diocesi di San Marino-Montefeltro

UN BUON PRETE È TALE SE PER LODARE IL PROPRIO VESCOVO ATTENDE LA FINE DEL SUO MANDATO EPISCOPALE: ANDREA TURAZZI, DA OGGI VESCOVO EMERITO DELLA DIOCESI DI SAN MARINO-MONTEFELTRO

«Venerabile Vescovo, desidero Tu sappia che nel corso del Tuo episcopato mi hai donato i dieci anni più belli del mio sacerdozio, cosa questa per la quale Ti sarò sempre profondamente grato»

— Attualità ecclesiale —

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Da oggi S.E. Mons. Andrea Turazzi è Vescovo emerito di San Marino-Montefeltro, la mia Diocesi di appartenenza.

Mio Vescovo da un anno, dopo avermi conosciuto mi disse in quel lontano maggio 2015: «Tu sei nato per fare il cacciatore e io per fare il veterinario». Mi sorrise con affetto e proseguì: «Nella Chiesa sono necessari sia i cacciatori che i veterinari, ti prego solo di non sparare con pallettoni pesanti, semmai usa i pallini più piccoli».

Per un presbitero, non amare un Vescovo che si porge a questo modo è impossibile. E io ho amato il mio Vescovo, anche se pubblicamente non l’ho mai detto, perché non sarebbe stato opportuno e prudente.

Lo scorso anno, mentre infuriava una polemica nella quale mi ero tuffato direttamente con la veste talare addosso senza neppure svestirmi e mettermi il costume da bagno, mi disse: «Non metto in discussione le tue ragioni, ineccepibili sul piano dottrinale e teologico, ti prego solo di cercare di essere un po’ più moderato». Dopo avermi rivolto questo invito aggiunse: «Certo, nessuno può dire che ti manchi il coraggio, forse ne hai persino troppo. Per questo non me la sento di rivolgerti alcun rimprovero, perché questa è la tua natura e il carattere che Dio ti ha dato, nessuno può chiederti di essere diverso da come sei, ti chiedo solo un po’ di moderazione nella legittima polemica, nulla di più».

Come sempre lo ascoltai. E pochi giorni dopo gli inviai un messaggio privato nel quale lo ringraziai in questi termini: «Venerabile Vescovo, desidero Tu sappia che nel corso del Tuo episcopato mi hai donato i dieci anni più belli del mio sacerdozio, cosa questa per la quale Ti sarò sempre profondamente grato».

Se a usare queste parole di affetto è uno come me, che non ho esitato a dare pubblicamente del delinquente a un potente Cardinale affermando che avrei preferito avere a che fare con quelli della Banda della Magliana anziché con lui e i suoi scagnozzi (cfr. QUI), ciò vuol dire che ho avuto la grazia di avere come Vescovo un autentico uomo di Dio e un vero modello di Pastore in cura d’anime, cosa sempre più rara in questi tristi tempi che la Chiesta universale sta vivendo. Nella sua vita e nel suo governo episcopale il mio Vescovo è stato modello elevato e realizzazione viva dell’insegnamento dei Padri della Chiesa che esortano:

«Tutti i presbiteri, in unione con i vescovi, partecipano del medesimo e unico sacerdozio e ministero di Cristo, in modo tale che la stessa unità di consacrazione e di missione esige la comunione gerarchica dei presbiteri con l’ordine dei vescovi […] I vescovi pertanto, grazie al dono dello Spirito Santo che è concesso ai presbiteri nella sacra ordinazione, hanno in essi dei necessari collaboratori e consiglieri nel ministero e nella funzione di istruire, santificare e governare il popolo di Dio […] Per questa comune partecipazione nel medesimo sacerdozio e ministero, i vescovi considerino dunque i presbiteri come fratelli e amici, e stia loro a cuore, in tutto ciò che possono, il loro benessere materiale e soprattutto spirituale» (Cfr. Decreto Presbyterorum Ordinis, n. 7).

Solamente adesso che non ha più potere di governo pastorale sulla Diocesi e su di me, posso dire pubblicamente quanto abbia venerato, apprezzato e amato il mio Vescovo. E quanto non mi sia stato affatto difficile, con un Vescovo del genere, mettere in pratica questa esortazione dei Padri della Chiesa:

«I presbiteri, dal canto loro, avendo presente la pienezza del sacramento dell’ordine di cui godono i vescovi, venerino in essi l’autorità di Cristo supremo pastore. Siano dunque uniti al loro vescovo con sincera carità e obbedienza. Questa obbedienza sacerdotale, pervasa dallo spirito di collaborazione, si fonda sulla stessa partecipazione del ministero episcopale, conferita ai presbiteri attraverso il sacramento dell’ordine e la missione canonica» (Cfr. Decreto Presbyterorum Ordinis, n. 7). 

Al vescovo è dovuto filiale rispetto e devota obbedienza da parte del presbitero, questo promettiamo solennemente il giorno che riceviamo la consacrazione sacerdotale. E io ho rispettato e obbedito il mio Vescovo, perché gli era dovuto. Poi l’ho anche stimato e amato, ma non perché gli fosse dovuto, perché né la stima né l’amore sono dovuti ad alcun Vescovo in quanto tale; se li ho riversati su di lui, è perché li ha profondamente meritati.

Duole ai Confratelli Presbiteri e duole ai Christi fideles di questa Diocesi Feretrana che il mandato del Vescovo non sia stato prolungato. Verrebbe quasi da urlare “allo spreco!” dinanzi a un uomo di 75 anni in perfetta salute fisica, dotato di tutte le necessarie forze umane e spirituali, di sapienza e saggezza. Ma d’altronde, la Roma della «Chiesa ospedale da campo» e delle «periferie esistenziali» pare avvezza, oggi ancor più di ieri, a decidere sulle aride carte, specie quando si tratta proprio delle tanto decantate «periferie».

Non ho idea di chi sia il suo successore perché non lo conosco, so soltanto che si chiama Domenico Beneventi, 49 anni, presbitero della Diocesi di Acerenza, una Diocesi particolarmente cara al Cardinale Crescenzio Sepe, molto attivo e operoso in questi ultimi tempi nella presentazione di nuovi candidati idonei all’episcopato. Al nuovo Vescovo eletto auguro sin da ora di non essere solo rispettato e ubbidito, in quanto a lui dovuto per vincolo sacramentale; gli auguro anche di essere amato e stimato come lo è stato il suo predecessore. Ma amore e stima del clero e dei fedeli vanno conquistati a caro prezzo, spesso persino a costo di lacrime e sangue, proprio perché non sono cose dovute. Questo è il lavoro più duro per qualsiasi Vescovo, che si traduce sempre in successo solo negli autentici uomini di Dio, pronti a conformarsi al mistero della Croce di Cristo Signore.

 

dall’Isola di Patmos, 3 febbraio 2024

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I Padri dell’Isola di Patmos

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La Carità lava e rende puliti anche i soldi sporchi, ce lo insegnano nella storia della Chiesa proprio i grandi Santi della Carità

LA CARITÀ LAVA E RENDE PULITI ANCHE I SOLDI SPORCHI, CE LO INSEGNANO NELLA STORIA DELLA CHIESA PROPRIO I GRANDI SANTI DELLA CARITÀ

Certi vescovi di Migrantopoli e Pauperopoli sembra che vogliano presentarsi oggi più puri e immacolati della Beata Vergine Maria, pur di piacere al mondo e compiacerlo. Sino a non capire che la carità «tutto copre» e «tutto trasforma», cosa che però non possono cogliere e capire, se come loro Presidente si ritrovano un soggetto che afferma: «il Vangelo non è un distillato di verità».

— Attualità ecclesiale —

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Quando il Beato Apostolo Paolo compose la lode alla carità parlò anche ai giorni nostri. Questa è la caratteristica della Parola di Dio: un linguaggio eterno che comunica agli uomini di tutti i tempi e che nel corso dei secoli svela messaggi nuovi racchiusi in quelle stesse parole.

Le Sacre Scritture hanno uno stile e un linguaggio apocalittico nel senso etimologico del termine. Benché nel linguaggio corrente parlato il termine apocalisse, dal greco ἀποκάλυψις, sia erroneamente usato per indicare un evento catastrofico o la fine del mondo, il suo vero significato è “disvelare”, “togliere il velo che copre”, quindi scoprire. Tra il termine apocalisse e il termine epifania, derivante dal greco ἐπιφαίνω, che significa “mi rendo manifesto”, c’è uno stretto legame. L’epifania intesa come manifestazione della divinità è un continuo “disvelare” dei contenuti racchiusi sulle righe, dentro le righe e oltre le righe stesse delle Sacre Scritture che racchiudono la Parola di Dio.  

Nel brano in questione, anche noto come Inno alla Carità, il Beato Apostolo Paolo esprime:

«La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine. […] Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!» (I Cor 1, 1-13)

Confrontiamo questo brano paolino, facile e comprensibile solo all’apparenza, con un recente fatto di cronaca ecclesiale:

«”L’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma ha fatto bene a rifiutare la ricca donazione della società Leonardo” perché “è denaro sporco, sporco di armi, sporco di sangue, sporco di guerra”. Mons. Giovanni Ricchiuti presidente nazionale di Pax Christi e vescovo di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti, prende una posizione più che netta dopo che La Repubblica ha scritto che sarebbe stato rifiutato un milione e mezzo di euro. “Finalmente” dice “Siamo in linea con una Chiesa che veramente si libera di questi condizionamenti, di queste elargizioni che vengono, come nel caso, da una industria che produce armi. Ha fatto bene il Vaticano a rifiutare questa offerta. Lo dico come vescovo: è una Chiesa che ama la verità”» (cfr. QUI e QUI).

Anzitutto una domanda. Dopo che il Presidente di Pax Christi ha annunciato che la nostra attuale «è una Chiesa che ama la verità», si renderebbe necessario chiarire due cose fondamentali. La prima: in precedenza, la Chiesa, per duemila anni quale verità amava, ammesso che la amasse? La seconda: che cos’è la verità?

Recentemente, il Presidente dei Vescovi d’Italia, nel totale silenzio del nostro episcopato nazionale ha affermato che «il Vangelo non è un distillato di verità» (cfr. QUI). Perlomeno, Ponzio Pilato, a suo tempo non fece una affermazione come quella del Presidente dei Vescovi d’Italia, in modo molto più elegante rivolse al Cristo una domanda: «Quid est veritas?», Cos’è la verità (cfr. Gv 18,38).

Non è facile parlare di verità nella odierna Chiesa emozionale di Migrantopoli e Pauperopoli. Proviamo allora a rifarci a quel San Tommaso d’Aquino che nei salotti dei sempre più ignoranti clericali radical chic è variamente indicato come «vecchio» e «superato». Per il Doctor Angelicus o Doctor Communis La verità è Dio stesso ipsa summa et prima veritas (Summa theologiae, I q. 16 a. 5 c). La verità non si disvela mai pienamente, per questo motivo «verità ed opinione errata, verità e menzogna nel mondo sono continuamente mescolate in modo quasi inestricabile […] diventa riconoscibile, se Dio diventa riconoscibile. Egli diventa riconoscibile in Gesù Cristo. In lui Dio è entrato nel mondo, ed ha innalzato il criterio della verità in mezzo alla storia» (Joseph Ratzinger, in Gesù di Nazareth, la domanda di Pilato, pagg. 216-218).

Per volontà del suo divino fondatore la Chiesa di Cristo non è nata per piacere al mondo e compiacerlo, ma per combatterlo:

«Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia» (Gv 15, 18-19).

Se alla verità si sovrappongono opinioni errate che prendono vita da elementi emozionali soggettivi o collettivi, essa rimane completamente occultata nella emotiva Chiesa di Migrantopoli e Pauperopoli, dove non si esita ad affermare che «il Vangelo non è un distillato di verità», il tutto nel silenzio dell’intero l’episcopato italiano.

Rifiutando quella donazione si è cercato ancóra una volta di compiacere il mondo, in particolare quello composto da persone che lungi dall’andare alla Santa Messa per Pasqua e per Natale, non sanno farsi neppure il segno della croce. Questo il mondo al quale questa nostra Chiesa visibile dal sapore sempre più esotico desidera piacere a tutti i costi, dimenticando la propria storia, a partire da quella dei grandi Santi della carità.

Partiamo dai Gesuiti, ai quali nel momento storico presente è giusto conferire un meritato diritto di priorità: gli istituti faraonici costruiti in giro per il mondo, rasenti non di rado la megalomania, assieme alle chiese adiacenti i loro collegi, che in molte occasioni hanno fatto tanto irritare i vescovi diocesani, perché costruite volutamente più grandi, ricche e solenni delle loro chiese cattedrali, con i soldi e i contributi di chi furono costruiti? Perché gli spagnoli e i portoghesi che offrirono loro ampi finanziamenti erano gli stessi che gestivano il mercato della tratta degli schiavi o che all’occorrenza amministravano la giustizia in modo disinvolto, vale a dire: prima ti tagliavano la testa o t’impiccavano, poi eventualmente valutavano se avevi fatto veramente qualche cosa di sbagliato. I gesuiti odierni, che di Migrantopoli e Pauperopoli sono il motore ideologico propulsore, un minimo di memoria storia non ce l’hanno proprio?

Ai grandi Santi della Carità e ai grandi pedagoghi ai quali dobbiamo la fondazione di preziosi istituti assistenziali per orfani, anziani abbandonati, per l’istruzione dei fanciulli poveri e per l’accoglienza e la cura dei disabili, da San Filippo Neri sino a San Giovanni Bosco, passando per San Vincenzo de’ Paoli e giungendo ai più recenti San Giuseppe Benedetto Cottolengo, San Giovanni Calabria e San Luigi Orione, chi fornì i necessari fondi di danaro per la realizzazione delle loro opere? Quando nel 1980 fu beatificato Luigi Orione, poco dopo si levarono varie proteste da parte di circoli di persone che non conoscevano neppure le prime sei parole del Padre Nostro, inclusa la patetica protesta dell’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani Italiani) che lo accusò di essere stato un sostenitore del regime fascista grazie al quale ebbe fondi per la realizzazione delle sue opere; protesta che fu poi ripetuta nel 2004, quando il Beato Luigi Orione fu canonizzato.

Le grandi opere di questi Santi della carità sono tutt’oggi attive, alcune delle quali costituiscono centri clinici e di assistenza considerati di vera eccellenza a livello europeo: l’opera torinese di San Giovanni Benedetto Cottolengo, le enormi opere assistenziali di Genova di San Luigi Orione, l’Ospedale Sacro Cuore di Verona di San Giovanni Calabria … qualcuno, si è mai domandato da dove e da chi provenissero i soldi? Più che altro viene da chiedersi se oggi, specie a fronte di certe assurde proteste, la Chiesa visibile avrebbe avuto il coraggio di beatificarli e canonizzarli, o se invece avrebbe ceduto a gruppi di persone che non conoscono neppure le prime sei parole del Padre Nostro ma che pretendono pur malgrado di dettarci legge, con le nostre Autorità Ecclesiastiche che piegano il capo e cedono a capricci politici e ideologici da parte di ambienti non cattolici e non cristiani. A tal proposito rimando alle mie opere Erbe Amare e Pio XII e la Shoah nelle quali spiego le influenze esterne esercitate da certi agguerriti gruppi che tentarono con ogni mezzo sleale, sino a ricorrere alla fabbricazione di veri e proprio falsi storici, di bloccare la causa di beatificazione di Pio XII e la cerimonia della beatificazione di Padre Leon Dehon per la quale era già stata fissata la data al 24 aprile 2005 in Piazza San Pietro, ma che fu annullata per improbabili accuse di antisemitismo a lui mosse da alcuni circoli ebraici. Posto che mai e in alcun caso la Chiesa può prendere ordini dal moderno Gran Sinedrio e accettare le sue proteste, la domanda da porsi era la seguente: ammesso che il Padre Leon Dehon abbia scritto alcune frasi critiche sugli imprenditori ebrei — che andavano di rigore lette e contestualizzate storicamente nell’ambito della Rivoluzione industriale —, posto che il suo processo di beatificazione durò quasi mezzo secolo, perché certi circoli ebraici attesero pazienti fino a cerimonia di beatificazione fissata per dare vita a quella pubblica polemica sulla stampa mondiale? Semplice: anche se quegli scritti li conoscevano da sempre, dovevano dimostrare, con una vera e propria prova di forza, che loro erano in grado di dare ordini alla Chiesa e indurla a retrocedere non solo da una decisione presa, ma addirittura da una cerimonia di beatificazione ormai già ufficializzata e fissata. Questo era il vero scopo, che fu ampiamente ottenuto per la prepotenza loro e la debolezza nostra. Il problema non era la beatificazione in sé e di per sé di Padre Leon Dehon, la Chiesa può beatificare chi vuole e non deve mai accettare a tal fine proteste, dato che gli ebrei non hanno alcun genere di obbligo a venerare i nostri Beati e Santi nelle loro sinagoghe, proprio come certe frange del sionismo politico, nato e sviluppatosi dal seno dell’Ebraismo, non accettano critiche rivolte all’Esercito Israeliano quando rade al suolo interi centri abitati sulla Striscia di Gaza, salvo gridare come prefiche all’antisemita verso chiunque osi dissentire verso azioni che non costituiscono legittima difesa ma veri e propri crimini contro l’umanità.

Questi grandi Santi della Carità non hanno esitato ad accettare soldi provenienti dai patrimoni di soggetti noti e conosciuti per la loro immoralità e per il modo alquanto disinvolto col quale portavano avanti i propri affari senza farsi troppi scrupoli. Li boni gesuiti che furono, la cui rigida morale era ben nota e che per lungo tempo hanno tentato di trasformare gli adolescenti in preda a crisi ormonali in un casto esercito di San Luigi Gonzaga, non si sono mai fatti particolari scrupoli nell’accettare cospicui donativi da parte dei più grandi puttanieri e fedifraghi delle corti spagnole. Puri e casti dovevano essere solo gli adolescenti, ai quali si imponeva nei loro collegi, sino a tempi tutt’altro che remoti, di dormire con le mani fuori dalle lenzuola del letto onde evitare il rischio di commettere “abominevoli atti impuri”, mentre al tempo stesso, sotto le lenzuola di coloro ai quali dovevano grandi elargizioni di danaro per la costruzione delle loro strutture faraoniche, si poteva fare invece di tutto e di più, in atti impuri veramente abominevoli.

Il grande problema ― posto che «il Vangelo non è un distillato di verità» ― è dato dalla incapacità di leggere le parole del Beato Apostolo Paolo sulla carità, per esempio l’affermazione che essa «tutto copre». Se le sue parole fossero lette e comprese nella loro profondità, si giungerebbe a comprendere che per la realizzazione di opere di carità si dovrebbe accettare non solo il danaro delle aziende che fabbricano armi, ma persino i soldi donati dai narcotrafficanti messicani. Perché se quei soldi sporchi sono interamente usati per opere di carità a favore di poveri, deboli, oppressi, disabili e ammalati, diverranno comunque puliti, perché la carità «tutto copre», o se preferiamo: «tutto trasforma», perché solo la divina carità, che è Cristo, può mutare il male in bene, quindi i soldi sporchi in soldi puliti. In caso contrario potrebbe subentrare un problema teologico di non poco conto: negare che la grazia di Dio possa mutare il male in bene. Come però risaputo, una delle cose che di questi tempi va meno di moda nella Chiesa dell’emozionale e del politicamente corretto è proprio la teologia.

Certi vescovi di Migrantopoli e Pauperopoli sembra che vogliano presentarsi oggi più puri e immacolati della Beata Vergine Maria, pur di piacere al mondo e compiacerlo. Sino a non capire che la carità «tutto copre» e «tutto trasforma», cosa che però non possono cogliere e capire, se come loro Presidente si ritrovano un soggetto che afferma: «il Vangelo non è un distillato di verità».

dall’Isola di Patmos, 23 gennaio 2024

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I Padri dell’Isola di Patmos

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Giuseppe Betori, un uomo di cultura e un Vescovo che è riuscito nella difficile impresa di farsi benvolere dal presbiterio fiorentino

GIUSEPPE BETORI, UN UOMO DI CULTURA E UN VESCOVO CHE È RIUSCITO NELLA DIFFICILE IMPRESA DI FARSI BENVOLERE DAL PRESBITERIO FIORENTINO

Mentre un misero spacciatore di veleno afferma: «Senza dimenticare che il clero di Firenze è stufo di Betori che ha combinato più danni che altro», in tutti noi risuona invece una domanda che volendo suscita inquietudine nei nostri animi: e dopo?

— Attualità ecclesiale —

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Autore
Simone Pifizzi

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PDF  articolo formato stampa

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A partire dall’ultima settimana di Avvento e a seguire con le solennità del Santo Natale, i Padri de L’Isola di Patmos ― che prima di essere studiosi e pubblicisti sono anzitutto dei sacerdoti ― sono stati impegnati nelle attività pastorali. Certe solennità, in particolare il Santo Natale e la Santa Pasqua, sono sempre preceduti da predicazioni, confessioni e direzioni spirituali, oggi più che mai tutt’altro che facili, considerati i tempi di smarrimento che stanno vivendo i fedeli cattolici per un verso, noi preti per altro verso. Riprendiamo quindi le attività pubblicistiche su questa nostra rivista con la presentazione di un video molto interessante di cui vi raccomandiamo la visione.

Alla fine del prossimo mese di febbraio il Cardinale Giuseppe Betori, Arcivescovo Metropolita di Firenze, festeggerà il suo 77° genetliaco. Di questi suoi anni di vita ne ha trascorsi 16 alla guida della Chiesa Fiorentina, che si appresta tra un po’ a lasciare nelle mani del suo successore.

Nonostante i giudizi malevoli diffusi recentemente da qualche oscuro personaggio penoso erettosi a giudice intransigente dell’intera gerarchia ecclesiastica (cfr. QUI) e che suole affermare «noi in Vaticano … qua in Vaticano …», salvo non potersi neppure avvicinare ai varchi d’ingresso di quel piccolo Stato Sovrano, nella gran parte del clero fiorentino c’è la consapevolezza che questo vescovo umbro ― pur con i limiti di ogni essere umano ― abbia dato veramente un grande contributo alla sua Chiesa particolare e all’intera Chiesa italiana. Per questo sarà senz’altro rimpianto per l’equilibrio, la lucidità e la profondità teologica e culturale che ha dimostrato nel suo servizio apostolico.

Facendo una analisi realistica dell’ultimo ventennio emergerà che abbiamo avuto modo di sperimentare due tipologie del tutto diverse di vescovi. In passato, tra la fine del pontificato del Santo Pontefice Giovanni Paolo II e il pontificato del Venerabile Benedetto XVI abbiamo avuto la stagione dei “vescovi professori”. Cosa comprensibile, la crisi della dottrina aveva generato situazioni che bene illustrò 14 anni fa il nostro Padre Ariel S. Levi di Gualdo in un suo libro sull’analisi della Chiesa:

«La crisi della dottrina ha generato una profonda crisi della fede che a sua volta ha dato vita a una crisi morale all’interno del nostro clero» (cfr. E Satana si fece trino, Edizioni L’Isola di Patmos, 2010).

Su questo tema è tornato anche di recente il nostro Padre Ivano Liguori con un suo articolo preciso e drammatico:

«Dal disorientamento dottrinale della Chiesa al peccato dei preti e al riciclo dei laici. Prospetto di una cultura intransigente che mentre condanna santifica e santificando condanna» (cfr. QUI).

I cosiddetti “vescovi professori”, alla luce di queste problematiche, di per sé non furono una cattiva idea, ma i risultati non sempre felici, quando incominciammo ad avere alla guida delle diocesi personaggi catapultati da una cattedra universitaria a una cattedra episcopale, perché si tratta di due cattedre sostanzialmente diverse. Vescovi spesso privi di esperienza pastorale che tendevano a rapportarsi ai propri preti come dei docenti con gli studenti o che trasformavano assemblee e incontri del clero in lezioni accademiche, ignorando, spesso non comprendendo proprio, i problemi che tutti i giorni vivevano e dovevano affrontare i loro presbiteri.

Al successivo cambio di vento si incominciò a invocare la necessità di «pastori con l’odore delle pecore», che di per sé non sarebbe un’idea affatto sbagliata, come di fondo non lo era quella dei “vescovi professori”. Purtroppo, quando dietro le apparenti buone intenzioni si insidia però l’ideologia, o se vogliamo la vera e propria prevenzione verso il «principesco» (!?) episcopato italiano, i risultati non possono essere che infelici. E oggi ci ritroviamo con un consistente numero di vescovi tirati fuori dai centri delle Caritas o da non meglio precisate «periferie», capaci solo a parlare di poveri, migranti e «Chiesa in uscita».

Anziché andare avanti siamo stati catapultati all’indietro, a inizi anni Settanta, quando i sessantottini parlavano di «vietato vietare» e di «immaginazione al potere». Sulla preparazione dottrinale e teologica di questi vescovi tutti proiettati in un sociale che abbiamo già visto abbondantemente fallire nei vari ambiti socio-assistenziali e politici, stendiamo per cristiana carità un velo pietoso. Quando infatti il Presidente dei Vescovi d’Italia risponde affermando che «il Vangelo non è un distillato di verità» (cfr. QUI), non c’è molto altro da aggiungere, sia riguardo i «preti di frontiera» o di «strada», sia riguardo la «Chiesa in uscita» che ci appare, più che in «uscita», sull’orlo del fallimento, prova n’è il fatto che si tenta da alcuni anni di risolvere i problemi commissariando tutto il commissariabile possibile e immaginabile, con una unica eccezione: la Compagnia di Gesù.

Il Cardinale Giuseppe Betori, forse uno degli ultimi di una generazione ormai in estinzione, ha saputo mettere la propria scienza e cultura a completo servizio della pastorale. Carattere al primo approccio introverso e timido, nei rapporti con il proprio clero ha mostrato grandi capacità di ascolto e accoglienza, è stato un maestro e un custode della fede, non un professore in cattedra. Ha amato la sua Chiesa e ha saputo farsi amare, persino da coloro che al suo arrivo lo accolsero con quell’aria di sufficienza, sospetto e diffidenza tipica di noi fiorentini, che siamo storicamente soggetti non propriamente facili da reggere, trattare e governare. Le sue omelie, sempre profonde ma al tempo stesso chiare e comprensibili, hanno suscitato stima e rispetto da parte dei fedeli cattolici.

E mentre un misero spacciatore di veleno afferma: «Senza dimenticare che il clero di Firenze è stufo di Betori che ha combinato più danni che altro» (cfr. QUI), in tutti noi risuona invece una domanda che volendo suscita inquietudine nei nostri animi: e dopo?

Firenze, 12 gennaio 2024

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I Padri dell’Isola di Patmos

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A chi si riferisce Marco Felipe Perfetti affermando dal sito Silere Non Possum «qua in Vaticano … noi in Vaticano», se in Vaticano non ci può mettere nemmeno piede?

A CHI SI RIFERISCE MARCO FELIPE PERFETTI AFFERMANDO DAL SITO SILERE NON POSSUM «QUA IN VATICANO … NOI IN VATICANO …», SE IN VATICANO NON CI PUÒ METTERE NEMMENO PIEDE?

Perché occuparsi di questa persona che non suscita in noi alcun fascino e interesse, ma solo cristiana e sacerdotale compassione? Perché con molta frequenza è accaduto che più persone dall’Italia e dall’estero ci hanno chiesto lumi su questo “grande conoscitore” e “frequentatore” della Santa Sede e del Vaticano.

— Attualità ecclesiale —

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Autore
Redazione de L’Isola di Patmos

 

 

 

 

 

 

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I Padri de L’Isola di Patmos hanno molti temi interessanti da trattare nell’ambito della dottrina della fede e parlare di certi personaggi non rientra nelle loro aspirazioni. Abbiamo però dei doveri ai quali non possiamo sottrarci. Il responsabile del sito Silere Non Possum seguita a presentarsi come un eccelso conoscitore della Curia Romana, della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano. E questo crea di fatto diversi problemi.

Recentemente, quando tentò di beatificare l’infelice Arciabate di Montecassino morto poche settimane fa, alludendo in suoi vari post che la Chiesa avrebbe dovuto chiedere scusa a questo “innocente” (!?), sorvolando del tutto sul fatto che le sue gesta furono e rimangono inenarrabili, da queste colonne venne clamorosamente smentito attraverso dei dubia ai quali ovviamente non rispose mai (vedere articolo QUI).

Ha sempre sparato a raffica su persone e istituzioni della Santa Sede, facendo pelo e contropelo a tutti, dal Sommo Pontefice sino ai militi della Gendarmeria Vaticana. Da mesi si accanisce irridendo e insolentendo in modo martellante Paolo Ruffini, Prefetto del Dicastero per le Comunicazioni della Santa Sede, ed Andrea Tornielli, Direttore dei Media della Santa Sede, indicandoli come «incapaci, incompetenti, ignoranti…», sino a tacciarli di essere «analfabeti». Che Andrea Tornielli ― piaccia o non piaccia ― sia un professionista di fama internazionale nell’ambito del giornalismo e dopo oltre trent’anni di professione uno tra i più noti vaticanisti al mondo, non è cosa che pare interessi il Signor Marco Felipe Perfetti, al quale sarebbe inutile rammentare che il direttore dei Media Vaticani, tacciato ripetutamente di «analfabetismo», non ha certo auto-pubblicato, come ha fatto lui, un libercolo a proprie spese, perché è autore di decine di libri tradotti in più lingue, comprese corpose biografie sui Sommi Pontefici del Novecento che a livello documentale rimangono opere di alto interesse storico.

Se però sono rivolti dei pacati “dubia” a lui che insolentisce e irride tutto e tutti, dal Sommo Pontefice a seguire (vedere raccolta video QUI), in tal caso non esiterebbe a spedire qualche gaio pretino a protestare presso il Vescovo di qualcuno di noi. Già, perché da tempo il Signor Perfetti vorrebbe sdoganare dentro la Chiesa il gaio cavallo di Troia, affermando in suoi scritti e video che i chierici dediti alla pratica dell’omosessualità sono solo persone che hanno il diritto a vivere come meglio credono la propria sessualità nella loro vita privata. A questo modo dimostra però di ignorare — malgrado si presenti come esperto di Diritto Canonico — che per un prete il concetto di “vita privata” è molto diverso da come lo intende lui, sia sul piano della morale cattolica che su quello del diritto. L’esercizio della sessualità contro natura — perché tale l’omosessualità rimane per la dottrina cattolica — se praticata da un chierico rientra di fatto e di diritto nella gravissima fattispecie delittuosa del sacrilegio carnale, non certo nell’esercizio delle libertà legate alla vita privata dei chierici.

Perché occuparsi di questa persona che non suscita in noi alcun fascino e interesse, ma solo cristiana e sacerdotale compassione? Perché con molta frequenza è accaduto che più persone, dall’Italia e dall’estero, ci hanno chiesto lumi su questo “grande conoscitore” e “frequentatore” della Santa Sede e del Vaticano.

Come già detto e spiegato in precedenza (vedere articolo QUI), in Vaticano questo personaggio non può mettere piede, sia per quello che scrive sia per le raffiche di insolenze che proferisce. E casomai si avvicinasse a uno dei varchi di accesso al territorio di questo Stato non gli consentirebbero neppure di entrare.

Quando nei suoi video usa espressioni del tipo «qua in Vaticano … noi in Vaticano …», millanta conoscenze ed entrature che assolutamente non ha. Le uniche persone che conosce sono alcuni anonimi minutanti di basso livello rimasti legati al palo che sfogano attraverso di lui le frustrazioni derivanti dalla loro mancata carriera ecclesiastica, fornendogli delle dosi di veleno da spargere attraverso i social media. In caso contrario, ai non pochi ingenui che seguono il suo sito e prendono per vero quello che dice e scrive, dovrebbe dare prova di queste sue entrature girando uno dei suoi video dall’interno dello Stato della Città del Vaticano. Se non riesce a farlo dal Cortile di San Damaso, o mentre passeggia sotto gli affreschi della Terza Loggia della Segreteria di Stato, potrebbe girarne uno dai Giardini Vaticani, oppure all’angolo del Palazzo del Governatorato sotto la statua di San Michele Arcangelo, o davanti alla bella Fontana del Veliero. Invece seguita a presentarsi come grande conoscitore di cose vaticane seguitando però a girare e diffondere video mentre si trova nei pressi di Via della Conciliazione, o al di fuori del Colonnato del Bernini, o principalmente da altri luoghi esterni o interni tutti quanti rigorosamente dislocati sul territorio della Repubblica Italiana, salvo dire «qua in Vaticano … noi in Vaticano …».

Se crescere comporta una fatica che alcuni non riescono a sopportare questo è un problema loro, purché non diano a credere alle persone di essere ciò che non sono, o di entrare dove non gli è affatto concesso mettere piede, costringendo altri a rispondere che questo grande frequentatore e conoscitore della Santa Sede che esordisce dicendo «qua in Vaticano … noi in Vaticano …», sino a datare i propri video con la dicitura «Città del Vaticano», è semplicemente uno che non può neppure avvicinarsi alle porte di accesso allo Stato della Città del Vaticano. E se il diretto interessato potesse dimostra il contrario, che lo dimostri, ribattendo rigorosamente nel merito di quanto gli è stato contestato alla luce della verità dei fatti.

dall’Isola di Patmos, 8 dicembre 2023

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Il caso del Vescovo di Tyler e del Cardinale Raymond Leo Burke, il sano relativismo sulla figura del Sommo Pontefice e la sapiente lezione del Cardinale Carlo Caffarra

IL CASO DEL VESCOVO DI TYLER E DEL CARDINALE RAYMOND LEO BURKE, IL SANO RELATIVISMO SULLA FIGURA DEL SOMMO PONTEFICE E LA SAPIENTE LEZIONE DEL CARDINALE CARLO CAFFARRA

Meglio un Sommo Pontefice che governi male la Chiesa, adempiendo però all’apostolico potere delle chiavi conferito da Cristo Dio a Pietro e ai suoi Successori anziché un pio Pontefice che le chiavi consegnate da Cristo Dio a Pietro se le fa sottrarre, lasciando che siano altri ad aprire e chiudere, legare e sciogliere.

— Attualità ecclesiale —

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Alcuni sostengono che Francesco non è un buon Sommo Pontefice. Che lo sia o meno è del tutto relativo, perché Francesco è il legittimo successore del Beato Apostolo Pietro. Se avrà adempiuto bene al suo alto ufficio riceverà la meritata ricompensa da Dio, se avrà adempiuto male dovrà tremare dinanzi al monito del Santo Vangelo:

«A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più» (Lc 12, 48).

Alcuni sostengono «Francesco non mi sta simpatico». La simpatia è del tutto relativa, un Sommo Pontefice non deve suscitare emotiva simpatia ma cattolico e devoto rispetto, perché gli è dovuto, quindi deve essere seguito e ubbidito, che sia simpatico o meno.

Alcuni sostengono che Francesco governa male la Chiesa. Che la governi bene o male è del tutto relativo, meglio un Sommo Pontefice che governi anche male la Chiesa, farà danni molto meno gravi di uno che la lascia governare da agguerrite cordate di potere o che si lascia egli stesso governare, perché i danni prodotti da questo secondo saranno parecchio maggiori di quelli prodotti da un cattivo governo. Meglio quindi un Sommo Pontefice che governi male la Chiesa, adempiendo però all’apostolico potere delle chiavi conferito da Cristo Dio a Pietro e ai suoi Successori (cfr. Mt 16, 19), anziché un pio Pontefice che le chiavi consegnate da Cristo Dio a Pietro se le fa sottrarre, lasciando che siano altri ad aprire e chiudere, legare e sciogliere.

Alcuni sostengono «Francesco si esprime in modo ambiguo, diffondendo confusione in materia di dottrina e di fede e per questo deve essere corretto». Questa affermazione segna il passaggio dal relativo all’assurdo: il Sommo Pontefice è il supremo custode del deposito della fede, per quanto possa apparire paradossale può essere legittimamente criticato con il dovuto rispetto, non può essere però corretto. La correzione, anche quella fraterna (cfr. Mt 18, 15-17) implica che ad esercitarla sia una singola persona, o un intero collegio di persone dotato di una autorità dottrinale e morale superiore. Neppure un concilio ecumenico, massimo organo espressivo della Chiesa, potrebbe definire alcunché, senza l’approvazione del Supremo Capo della Chiesa. Criticare il Sommo Pontefice, in quelle sfere in cui la critica è legittima e possibile, implica l’esercizio della libertà dei figli di Dio, mentre correggerlo implicherebbe l’esercizio di una autorità superiore alla sua, di cui nessuno a questo mondo è depositario.

Certi pubblicisti e opinionisti si stanno stracciando le vesti gridando alla persecuzione per la rimozione di S.E. Mons. Joseph Edward Strickland dalla cattedra della Diocesi texana di Tyler. Pochi giorni dopo, lo straccio di vesti è proseguito con il Cardinale Raymond Leo Burke, al quale il Sommo Pontefice ha deciso di revocare il beneficio dell’alloggio gratuito di proprietà dell’APSA (Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica) e del piatto cardinalizio, oggi indicato come assegno cardinalizio. Anche in questo caso è necessario intendersi con un esempio: se affermo che invitare una figura discutibile e problematica come Luca Casarini al Sinodo dei Vescovi è stata una imprudenza, in questo caso esprimo una opinione critica del tutto legittima, altrettanto legittimamente potrei chiedere al Santo Padre che forse sarebbe opportuno domandare conto e ragione a quelle sue persone di fiducia che glielo hanno presentato, senza illustrargli in modo prudente, preciso e dettagliato che questo personaggio è un ideologo che sia nell’ambito del dibattito che in quello politico crea da sempre grosse divisioni e forti contrapposizioni. Tutt’altra cosa invece se, come ha fatto il Vescovo di Tyler prima del Sinodo e poi durante il Sinodo in corso, avessi affermato che quell’assemblea di discussione era gravemente dannosa per la dottrina della fede, per la Chiesa e il Popolo di Dio, perché questa non sarebbe stata una opinione critica del tutto legittima, ma un giudizio di una pesantezza inaccettabile, anche perché racchiude una implicita accusa: il Sommo Pontefice non è in grado di vigilare sulla dottrina della fede e quindi custodirla.

Il Cardinale Raymond Leo Burke sono anni che tiene incontri e conferenze in giro per il mondo minando di fatto, per quanto in modo paludato, il magistero del Sommo Pontefice, invitando a una nebulosa e non meglio precisata «resistenza», senza spiegare a chi bisognerebbe resistere, ma lasciando però capire a chi. Anche in questo caso siamo ben oltre il legittimo diritto di critica.

Per inciso vorrei ricordare che nel 2020 pubblicai un libro intitolato provocatoriamente Amoris Tristitia, dedicato alla memoria del Cardinale Carlo Caffarra, di cui fui discepolo, spesso in linea con lui, altre volte rispettosamente critico verso alcune sue posizioni in materia di morale. E lui che era un grande uomo e soprattutto un uomo di Dio amava discutere con me proprio su quei punti nei quali potevo non essere d’accordo, perché questa è la speculazione teologica basata sulla disputatio secondo gli stili e la tradizione della scolastica classica. Purtroppo alcuni vescovi e preti che di quel libro hanno letto solo il titolo provocatorio, senza mai aver letto neppure due pagine, mi hanno accusato di avere scritto un lavoro di saggistica contro questa esortazione apostolica post-sinodale. Cosa falsa e oltremodo ingenerosa nei miei riguardi, perché in quel libro sono state mosse critiche allo stile di linguaggio, ai numerosi e a mio parere inutili sociologismi, su diversi passaggi ambigui, non chiari e soggetti a diverse interpretazioni. Siamo nella sfera del legittimo esercizio del pensiero critico, che cesserebbe di essere tale se invece avessi mosso critiche, anche in modo indiretto o subliminale, a quel Sinodo e alla esortazione finale pubblicata dal Sommo Pontefice sotto il titolo di Amoris Laetitia. Esortazione che lascia aperte ipotesi di discussione su argomenti tutti da definire, senza che la precedente disciplina stabilita dal Santo Pontefice Giovanni Paolo II nella sua esortazione apostolica post-sinodale Familiaris Consortio sia stata modificata, ad esempio per quanto riguarda l’ammissione ai Sacramenti dei divorziati risposati che vivono in stato di irregolarità. Pertanto, vescovi e preti che affermano la liceità di questa ammissione, perché a loro dire contenuta e data in Amoris Laetitia, affermano il falso, sono in grave errore e inducono in errore i fedeli. In Amoris Laetitia non è infatti sancita alcuna permissione in tal senso.

Il Cardinale Carlo Caffarra dette una solenne lezione nel 2017 a certi nostri odierni personaggi che vagano di conferenza in conferenza invitando alla «resistenza». Questa solenne lezione la impartì con una sua memorabile dichiarazione, fatta dopo che alcuni tentarono di presentarlo come un antagonista del Sommo Pontefice Francesco:

«Scusatemi la battuta: avrei avuto più piacere che si dicesse che l’Arcivescovo di Bologna ha una amante piuttosto che si dicesse che ha un pensiero contrario a quello del Papa. Perché se un vescovo ha un pensiero contrario a quello del Papa se ne deve andare, ma proprio se ne deve andare dalla diocesi. Perché condurrebbe i fedeli su una strada che non è più quella di Gesù Cristo. Quindi perderebbe se stesso eternamente e rischierebbe la perdita eterna dei fedeli. Essere considerato contro il Papa è una cosa che mi ha profondamente amareggiato, perché è calunniosa. Perché non solo il Papa non ha mai parlato su questo, ma quando ha parlato ha chiesto un dibattito. E il dibattito è vero se tutte le voci possono parlare. Io sono nato papista, sono vissuto da papista e voglio morire da papista!».

Credo che il Santo Padre, in questo frangente, tutto sommato sia stato anche troppo buono, sia con il Vescovo di Tyler che con il Cardinale Raymond Leo Burke. Personalmente non lo sarei stato, perché per il tipo che sono, a un Vescovo o a un Cardinale che hanno messo ripetutamente in discussione la custodia della dottrina della fede da parte del Sommo Pontefice, forse li avrei portati a dire che Innocenzo III, Bonifacio VIII e Alessandro VI tutti e tre messi assieme erano parecchio più teneri e molto meno severi di me.

dall’Isola di Patmos, 6 dicembre 2023

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I Padri dell’Isola di Patmos

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Per quale motivo noi Padri della rivista L’Isola di Patmos non abbiamo parlato del Sinodo? Perché siamo presbiteri e teologi, non gossippari che eccitano gli umori irrazionali del popolino

PER QUALE MOTIVO NOI PADRI DELLA RIVISTA L’ISOLA DI PATMOS NON ABBIAMO PARLATO DEL SINODO? PERCHÈ SIAMO PRESBITERI E TEOLOGI, NON GOSSIPPARI CHE ECCITANO GLI UMORI IRRAZIONALI DEL POPOLINO

Già prima di prendere avvio questo ultimo Sinodo è stato preceduto da proclami di non meglio precisati esperti internetici che hanno seminato un terrore non poi così dissimile da quello dei terroristi di Hamas, per portare un esempio iperbolico del tutto assurdo-paradossale. Se infatti i terroristi di Hamas uccidono civili innocenti, quest’altro genere di terroristi uccide, nei sempre più smarriti fedeli, il poco che in loro resta della fede e del sentire ecclesiale, dell’essere membra del corpo vivo che è la Chiesa.

— Notizie in breve —

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In uno dei miei ultimi articoli al quale vi rimando (vedere QUI) ho parlato della decadenza del principio di autorità in rapporto ai social media, dove anche l’ultimo degli imbecilli può lanciarsi a trattare in modo grottesco e surreale temi che sono oggetto di complessi dibattiti storici sul piano scientifico, storico, sociale, politico, teologico …

Noi Padri di questa rivista ci siamo convinti che dinanzi a certe desolazioni vale l’antico detto di Publio Terenzio Afro (190-159 a.C), universalmente noto come Terenzio: «Tacent, satis laudant» (Tacciono e così facendo lodano). Con questa massima il celebre commediografo romano di probabile origine berbera intendeva dire che talvolta il silenzio evita che le parole espresse, anche in modo chiaro, finiscano per essere distorte o anche volutamente mal comprese da chi è propenso a fraintendere o a cercare ogni pretesto per una lite. Da questa massima terenziana nasce il celebre detto popolare «un bel tacer non fu mai scritto».

Una nota di carattere personale: per ragioni che non è necessario spiegare, nel corso di quest’ultimo Sinodo ho avuto modo di andare e venire dalla Domus Sancthae Marthae più volte, di incontrare e parlare con diversi vescovi provenienti da più parti del mondo, appurando quell’ovvio che non ho certo necessità di appurare, perché il tutto, per me come per tanti altri studiosi e teologi, rientra nell’àmbito delle cose scontate sulle quali non ci sarebbe proprio niente da discutere. Però, come scrivevo nel mio precedente articolo (vedere QUI) a volte è necessario spiegare soprattutto le cose che a noi appaiono scontate, in questo pazzo mondo decadente nel quale un esercito sconfinato di persone pensa di dare sentenze massime e inappellabili con un tweet o un post su Facebook, dopo essersi nutriti ai blog di personaggi che parlano e dissertano su questioni complesse che di prassi e rigore proprio non conoscono.

Già prima di prendere avvio questo ultimo Sinodo è stato preceduto da proclami di non meglio precisati esperti internetici che hanno seminato un terrore non poi così dissimile da quello dei terroristi di Hamas, per portare un esempio iperbolico del tutto assurdo-paradossale. Se infatti i terroristi di Hamas uccidono civili innocenti, quest’altro genere di terroristi uccide, nei sempre più smarriti fedeli, il poco che in loro resta della fede e del sentire ecclesiale, dell’essere membra del corpo vivo che è la Chiesa (cfr. Col 1, 18).

Per settimane abbiamo letto e udito proclami nei quali certi terroristi del web davano il meglio di sé stessi per disorientare i cattolici semplici e sempre più smarriti prevedendo l’imminente sdoganamento del celibato sacerdotale e dei preti sposati, le donne prete, o perlomeno le donne diacono, la benedizione all’altare delle coppie omosessuali e via dicendo a seguire. E tutti questi elementi che definire fantastici è solo eufemismo, erano annunciati come certi, anzi presentati come scontati.

Sul finire del Sinodo il Sommo Pontefice Francesco ha preso pubblicamente parola chiarendo che il celibato sacerdotale non sarebbe stato in alcun modo toccato, ribadendo quel che sappiamo da secoli: il celibato sacerdotale, che affonda le proprie radici sin dalla prima epoca apostolica e che ha un grande valore sul piano spirituale, ecclesiale e pastorale, non è un dogma di fede ma una disciplina ecclesiastica. N’è prova che anche nella Chiesa Cattolica esistono da sempre preti di rito orientale che sono sposati e hanno famiglia. Ciò premesso il Santo Padre ha ribadito che non intende in alcun modo modificare la disciplina ecclesiastica sul celibato dei sacerdoti appartenenti alla comunità di rito latino, precisando che nulla di simile «avverrà sotto il mio pontificato».

Per quanto riguarda il discorso delle donne-prete, il Sommo Pontefice Francesco si era già espresso più volte in passato, quindi non ha fatto altro che ribadire il pronunciamento dato in forma definitiva dal suo Santo Predecessore Giovanni Paolo II che chiarì per il presente e il futuro avvenire: «La Chiesa non ha la facoltà di poter concedere la sacra ordinazione sacerdotale alle donne» (cfr. QUI).

Se nelle fasi preparatorie del Sinodo si era parlato di mondo LGBT, dalla bozza del documento conclusivo questo acronimo è completamente scomparso, con sicuro dispiacere di quel gaio personaggio di Padre James Martin spalleggiato poco tempo fa con un articolo del noto settimanale pseudo cattolico Fanghiglia Cristiana, nato in origine come Famiglia Cristiana, il quale annunciava: «Papa Francesco ha ridato dignità alle persone LGBTQ e questa è una benedizione per tutti» (cfr. QUI). Dunque niente benedizione alle gaie coppie arcobalenate sotto i gradini degli altari per l’ovvia ragione che la Chiesa, con la scusa di benedire le persone che vanno sempre benedette, non è così ingenua e sprovveduta a finire col benedire quello che per la dottrina e la morale cattolica rimane il peccato contro natura (Catechismo, n. 2357), che come tale non può essere benedetto, neppure con la scusa di benedire solo le persone. Tema questo sul quale si era già espresso il Dicastero per la Dottrina della Fede (cfr. QUI). Più volte nel corso di questi ultimi anni ho scritto e spiegato che la Chiesa ha il dovere di accogliere il peccatore, specie i peggiori peccatori, perché se non lo facesse tradirebbe la missione che Cristo Dio le ha affidato (cfr. Mt 9,13), sempre facendo però bene attenzione a non accogliere mai il peccato, che non può essere accolto e tanto meno benedetto.

Per questo noi abbiamo taciuto, perché siamo presbiteri, teologi e soprattutto uomini di fede consapevoli che per quanto oggi la Chiesa stia vivendo momenti molto delicati, o se vogliamo anche confusi e tristi, mai potrà in ogni caso tradire la missione che Cristo Dio le ha affidato per andare incontro ai capricci del mondo, perché Dio ci ha scelti dal mondo ma noi non siamo del mondo (cfr. Gv 15, 18-19).

Passiamo e concludiamo con due elementi. Il primo: l’essenza dei concili ecumenici e dei sinodi della Chiesa; il secondo: l’atteggiamento insolito, forse anche discutibile e ambiguo del Sommo Pontefice Francesco.

I terroristi della Hamas-cattolica che hanno portato avanti per mesi e settimane campagne mirate ora a eccitare gli animi ora a terrorizzarli, hanno dimostrato anzitutto di non avere idea di che cosa siano concili e sinodi nella storia bimillenaria della Chiesa. Anzitutto vediamo la differenza tra i due: per concilio ecumenico si intende, come dice la parola stessa, un evento straordinario che coinvolge tutti i vescovi della Chiesa universale. Il termine “ecumenico” deriva infatti dal greco οἰκουμένη (oikoumene) e significa universale. Diversamente invece, il Sinodo, che può essere locale o anche mondiale, coinvolge una fetta di episcopato, o dei partecipanti invitati e selezionati, che possono rappresentare anche la universalità cattolica, ma che non costituiscono un concilio ecumenico, ossia quell’atto più importante e solenne della Chiesa che richiede e implica la partecipazione dell’intero episcopato cattolico.

Nell’uno e nell’altro caso, che si tratti di un concilio ecumenico o di un sinodo, i partecipanti non hanno semplicemente il diritto, ma proprio il dovere di discutere di tutto e del suo esatto contrario. Nell’ambito delle discussioni possono, anzi devono essere sollevate anche le ipotesi volendo più improbabili o anche assurde. Non facevano forse così i grandi Padri e Maestri della scolastica classica, partendo spesso nelle loro disputazioni anche da elementi persino surreali e paradossali, al fine di stimolare il senso speculativo e giungere a delle sapienti sentenze? Cosa dura questa da far capire al blogghettaro d’assalto o a coloro che con una sentenza su Twitter hanno risolto problematiche che non hanno avuto ancora una risposta definitiva da secoli. Pertanto, che certe frange di episcopato, ossia gli immancabili tedeschi e nord-europei, abbiano sollevato certe questioni, non avrebbe dovuto stupire nessuna persona, inclusi blogghettari d’assalto e twittatori, se solo avessero conosciuto i rudimenti della storia della Chiesa.

Il Sommo Pontefice Francesco rimane dal canto suo un enigma, come ebbi a definirlo in un mio vecchio articolo del 2013 commentando i suoi primi 100 giorni di pontificato (vedere QUI) dove lo paragonai al pifferaio magico di Amelin, al quale va riconosciuto un enorme merito: aver fatto venire allo scoperto tutti i topi per quelli che realmente sono, dopo che per un trentennio si erano celati nella più falsa e calcolata accondiscendenza sotto i pontificato di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Perlomeno oggi, grazie a questo Augusto Pifferaio, conosciamo i topi a uno a uno per ciò che sono e per quello che realmente pensano. Questo renderà loro particolarmente difficile, o meglio davvero impossibile potersi riciclare al prossimo cambio del timoniere della barca di Pietro, posto che a 87 anni e con problemi di salute di non poco conto il Sommo Pontefice Francesco non sarà certo eterno. Se quindi domani, come nulla fosse stato, un goliardico cardinale giunto a calarsi persino in un tombino per riallacciare la luce agli abitanti di un palazzo abusivamente occupato illegalmente (vedere QUI), si presentasse con tre metri di cappa magna e un galero sulla testa ― cosa che certi camaleonti sarebbero capaci a fare perché privi per loro natura del senso stesso del pudore ― tutti noi gli chiederemmo: “Ma tu, non eri forse quello che sotto il pontificato di Francesco andavi in pantaloni e maniche di camicia arrotolate a portare il caffè la sera ai barboni che avevano trasformato il colonnato del Bernini in un pubblico pisciatoio, dopo avere fatto sfoggio di gemelli d’oro e vesti paonazze plissettata ad arte sotto i pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI?”.

Per l’ennesima volta il Sommo Pontefice Francesco li ha fatti incontrare, parlare e sfogare in un Sinodo, inducendoli a venire di nuovo tutti quanti allo scoperto. Finite le discussioni ha annunciato «poi vedremo», concludendo con un «arrivederci al prossimo anno», ammesso ovviamente che la Santità di Nostro Signore sia sempre in vita.

Delle due l’una: o siamo di fronte a un uomo che da solo è più pazzo e squilibrato di Giovanna di Castiglia, Enrico IV e Ludovico II di Baviera tutti e tre messi assieme, oppure siamo di fronte a un uomo che in un momento storico molto difficile e complesso ha fatto ciò che di meglio e più opportuno andava fatto, usando in modo sapiente e prudente la sua grazia di stato, sebbene sul momento il suo agire non possa essere compreso. Di fatto noi non possiamo affermare né l’una né l’altra cosa, perché siamo privi degli elementi per poterlo fare. Forse occorreranno molti anni, ma un giorno la storia ci chiarirà il grande “enigma” Francesco, come ebbi a definirlo nel 2013 dopo i primi 100 giorni del suo pontificato, rivelandolo come l’uomo giusto che cavalcò nel miglior modo una stagione straordinariamente delicata.

dall’Isola di Patmos, 29 ottobre 2023

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«Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto». Quel singolare concetto di «scandalo» del Sommo Pontefice …

«NOI SAREMO TRA QUANTI HANNO VISTO EPPURE HANNO CREDUTO». QUEL SINGOLARE CONCETTO DI «SCANDALO» DEL SOMMO PONTEFICE …

Da San Paolo VI sino a Benedetto XVI, per sessant’anni abbiamo avuto Sommi Pontefici che con esortazioni e documenti hanno raccomandato ripetutamente al clero secolare l’uso della talare, oggi abbiamo un Sommo Pontefice che la veste talare la irride assieme ai preti che la portano.

— Notizie in breve —

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Adesso vediamo chi è che non scandalizza il Santo Padre

 

il presbitero Marco Pozza, intervista ufficiale al Sommo Pontefice. 

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Il presbitero Marco Pozza, intervista ufficiale al Sommo Pontefice

 

 Il presbitero Marco Pozza, intervista ufficiale al Sommo Pontefice

 

Ecco l’immagine grottesca di una Chiesa totalmente de-sacralizzata da quei preti che inneggiano a una non meglio precisata «Chiesa aperta a tutti» …

 

E pensare che in diversi sono morti, per non togliersi la talare di dosso …

 

Il giovane Rolando Rivi morì martire rifiutandosi di togliere la talare di dosso, oggi sarebbe stato un «rigido» destinato a dare «scandalo»

 

«La grande marcia della distruzione intellettuale proseguirà. Tutto sarà negato. Tutto diventerà un credo. È una posizione ragionevole negare le pietre della strada; diventerà un dogma religioso riaffermarle. È una tesi razionale quella che ci vuole tutti immersi in un sogno; sarà una forma assennata di misticismo asserire che siamo tutti svegli. Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate. Noi ci ritroveremo a difendere non solo le incredibili virtù e l’incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto. Combatteremo per i prodigi visibili come se fossero invisibili. Guarderemo l’erba e i cieli impossibili con uno strano coraggio. Noi saremo tra quanti hanno visto eppure hanno creduto» (Gilbert Keith Chesterton, Eretici, 1905)

dall’Isola di Patmos, 25 ottobre 2023

 

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È morto l’Arciabate emerito di Montecassino Pietro Vittorelli: la pietà può cancellare la triste verità?

È MORTO L’ARCIABATE EMERITO DI MONTECASSINO PIETRO VITTORELLI: LA PIETÀ CRISTIANA PUÒ CANCELLARE LA TRISTE VERITÀ?

La pietà cristiana non può omettere la verità. Pertanto, il responsabile del sito Silere non Possum si conferma ciò che è: uno che «d’ognun disse mal, fuorché di Cristo, scusandosi col dir: “Non lo conosco”!» (Epigrafe di Paolo Giovio su Pietro l’Aretino).

— Notizie in breve —

Autore
Redazione de L’Isola di Patmos

 

 

 

 

 

 

 

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Tra i vari siti che si dicono “cattolici” ce n’è uno che si chiama Silere non Possum. Ne è responsabile un giovane uomo che ci risulta sia stato gentilmente accompagnato in passato alla porta d’uscita di seminari e istituzioni religiose. È forse per questo che si sente legittimato a scrivere perle di saggezza sulle problematicità della Chiesa Cattolica, ma soprattutto sulla formazione dei sacerdoti — che è quanto di più complesso e delicato possa esistere —, presentandosi a tal riguardo come esperto?  

Numerosi i suoi articoli nei quali attacca ripetutamente persone e istituzioni ecclesiastiche con stile acido tutto quanto suo. Nessuno si è salvato dalle sue stilettate: dal Sommo Pontefice ― che può essere rispettosamente criticato, non però contestato e irriso ―, per seguire con alti prelati della Curia Romana e prefetti dei vari dicasteri della Santa Sede, che possono anch’essi essere criticati, ma non irrisi in modo sfottente e strafottente. Verso il direttore dei Media Vaticani e il responsabile della Sala Stampa della Santa Sede ha messo in atto un vero e proprio accanimento sino a tacciarli — nella migliore delle ipotesi — di «incompetenza» e «analfabetismo». Se la prese persino con la Gendarmeria Vaticana, composta da elementi selezionati per indubbia eccellenza nonché dotati di rara educazione e cortesia, cui ha dedicato, pur malgrado, commenti ironici riguardo la loro professionalità.

Ama presentarsi come esperto di “cose vaticane”, come se andasse e venisse dai sacri palazzi, omettendo di dire che non possiede alcun pass per transitare nel territorio dello Stato della Città del Vaticano, dove non ci risulta sia ospite gradito. 

non ci riguarda ad alcun titolo in che modo questo soggetto — che non risulta beneficiare del sostegno di una famiglia benestante né dei proventi di un lavoro professionale — possa bivaccare a Roma dove i costi della vita sono stati sempre alti, oggi più che mai alle stelle, perché tutt’altro è l’oggetto della questione.

Nell’articolo di oggi (cfr. QUI) questo eccelso conoscitore della Curia Romana pubblica un commento sulla morte dell’Arciabate emerito di Montecassino, Dom Pietro Vittorelli, già presentato in passato come vittima innocente assolta dall’accusa di avere sottratto danaro dai fondi dell’abbazia:

«Si conclude, oggi, una lunga e ingiusta via crucis giudiziaria iniziata nel 2017» (cfr. QUI).

Considerando che vanno di moda i dubia, intendiamo porne alcuni al responsabile di questo Sito con l’espresso invito a rispondere nello stretto merito delle sette questioni che seguono:

 

  1. È vero che Pietro Vittorelli non faceva semplice uso bensì abuso di droghe pesanti e che era un cocainomane a tal punto affetto da forte dipendenza sino a finire ricoverato in una discreta clinica svizzera per essere disintossicato dove il costo per tre mesi di terapie ammontò a circa 160.000 euro?

 

  1. È vero che i gravi problemi neuro-cardiologici che debilitarono fortemente Pietro Vittorelli furono la conseguenza dell’abuso ch’egli faceva di una sostanza stupefacente nota come crack, che gli causò infine una forte trombosi?

 

  1. È vero che quando venne ricoverato d’urgenza gli specialisti che lo ebbero in cura rimasero imbarazzati apprendendo dalle analisi cliniche che Pietro Vittorelli risultava fare massiccio uso abituale di cocaina e crack e che fu proprio questo secondo la causa del grave attacco che lo aveva colpito e fortemente debilitato?

 

  1. È vero che Pietro Vittorelli era un omosessuale praticante incontenibile che conduceva una vita in totale contrasto con la morale cattolica, i principi del sacerdozio e della vita monastica e che era solito avvalersi delle prestazioni a pagamento di giovani escort omosessuali in giro per tutta Europa, lasciando di ciò traccia nelle sue chat private, acquisite poi agli atti dagli inquirenti come prove documentali, nelle quali si esprimeva con stile e linguaggio di una immoralità inqualificabile?

 

  1. È vero che Pietro Vittorelli girava per tutta Europa affetto da shopping compulsivo giungendo a spendere sino a circa 50.000 euro in un solo mese, con transazioni documentate dai tabulati delle sue carte di credito, pagando hotel a 5 stelle categoria lusso, ristoranti gourmet, boutique d’alta moda e profumerie?

 

  1. È vero che quanto contenuto nei punti 1-5 sono tutti elementi minuziosamente documentati in atti d’indagine passati poi dagli investigatori alla Santa Sede per conoscenza, in considerazione del fatto che Pietro Vittorelli era un ordinario diocesano?

 

  1. Il direttore del Sito Silere Non Possum, noto castigatore della Curia Romana, dei prelati della Santa Sede, dei Media Vaticani, della Sala Stampa Vaticana, della Gendarmeria Pontificia e via dicendo (vedere archivio dei suoi articoli) ritiene forse che quando di mezzo ci sono le gravi e immorali prodezze di un omosessuale praticante e impenitente, il tutto vada relegato nelle sfere della sua vita privata, senza che ciò possa in alcun modo incidere a livello ecclesiale e canonico-giuridico?

 

il tenore degli scambi che Pietro Vittorelli era solito avere con gli escort gay a pagamento: «io vado a cercà cazzi»

 

La pietà cristiana non può omettere la verità. Pertanto, il responsabile di questo Sito, si conferma per ciò che è: uno che «d’ognun disse mal, fuorché di Cristo, scusandosi col dir: “Non lo conosco!» (Epigrafe di Paolo Giovio su Pietro l’Aretino).

Il grande esperto di cose di Chiesa risponda a questi dubia, ma rigorosamente nel merito, oppure taccia, raccomandando con noi l’anima di questo disgraziato defunto alla infinita misericordia di Dio.

 

dall’Isola di Patmos 14 ottobre 2023

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.https://www.youtube.com/watch?v=ltEAQNopUYM&t=2s

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