Antonio Socci, il “motu proprio” e il problema della fede
ANTONIO SOCCI, IL “MOTU PROPRIO ” E IL PROBLEMA DELLA FEDE
La questione della fede viene esplicitamente citata nel documento del Sommo Pontefice perché nella situazione sociale odierna caratterizzata da un secolarismo e da una scristianizzazione che galoppano più dei puledri del Palio di Siena, l’elemento dell’ignoranza religiosa in progressivo aumento è tanta e tale, assieme alla superficiale leggerezza, che oggi ci troviamo costretti a chiarire ciò che per secoli è stato ovvio persino tra le persone più incolte. E oggi più che mai è davvero parecchio alto il rischio delle coppie che si sposano in chiesa senza vera fede nel Sacramento, perché non ci credono o perché fingono di crederci, o perché lo concepiscono male o per simulazione o per errore involontario.
Carissimo Antonio.
Molti lettori mi hanno segnalato il tuo articolo [vedere QUI], ed in verità debbo dirti che se non lo commentassi rischierei di figurare parziale. L’umano affetto e l’immutata stima che nutro nei tuoi riguardi assieme alla mia simpatia non può infatti portarmi all’uso di due pesi e due misure, perché sarei pastoralmente e intellettualmente scorretto, se non peggio disonesto.
Tu sei un cattolico sincero e devoto, come lo è il Prof. Roberto de Mattei che tu citi nel tuo articolo e di cui io ho scritto di recente [vedere QUI]. Una indubbia sincerità d’intenti — la tua come quella di de Mattei — che non vi esenta però dall’errore di analisi e valutazione, come dall’errore non sono esente io, che posso commetterne anche di più gravi e produrre di conseguenza dei danni parecchio maggiori di quanti possa compierne qualsiasi laico. Pure i santi non sono stati esenti da errori, a volte persino da eresie, dalle quali poi si sono ovviamente emendati.
Riguardo il motu proprio del Sommo Pontefice Francesco [vedere QUI] tu scrivi che: «La carica di dinamite sta principalmente dall’articolo 14 delle “regole procedurali” dove si evoca la “mancanza di fede” dei nubendi come possibile causa di simulazione o errore nel consenso e quindi di nullità del matrimonio».
Vorrei garantirti che non si tratta di una «carica di dinamite». Infatti, il punto del tuo articolo attraverso il quale si evince che tu non riesci a cogliere la portata del problema in sé e di per sé, si regge sul riferimento che fai alle Regole Procedurali del Motu Proprio [Art. 14 § 1]. Temo infatti che tu non abbia colto la complessità dei motivi che stanno a monte e che hanno indotto il Sommo Pontefice a indicare come elementi per la trattazione della causa di nullità del matrimonio, per mezzo del processo più breve, secondo i canoni 1683-1687, anche «quella mancanza di fede che può generare la simulazione del consenso o l’errore che determina la volontà».
Purtroppo sbagli nel pensare che in passato la Chiesa “escludesse” la mancanza di fede dai motivi di nullità. Un’idea come questa tua è veramente assurda sul piano formale e sostanziale. E qui vorrei per inciso precisare che ho fatto uso del termine “assurdo” stricto sensu secondo il corretto etimo e non secondo l’uso per il quale questo lemma è impiegato nel linguaggio corrente. Per absurdus s’intende infatti, nel linguaggio filosofico e nella filosofia del diritto, un elemento od un pensiero che è contrario alla logica o alla ragione.
Se la Chiesa non parlava dell’elemento indispensabile della fede, era perché essa costituiva il primo presupposto dei requisiti minimi richiesti per la validità del Sacramento. Non ne parlava semplicemente perché, essendo il matrimonio un Sacramento, si supponeva, o si dava comunque per scontato che i nubendi avessero fede nel Sacramento stesso. O detta in altri termini: a chi mai sarebbe passato per la mente, ieri, di domandare a un candidato prossimo all’ordinazione sacerdotale se credeva veramente nel Mistero del Sacrificio Eucaristico? Purtroppo, come presbitero, posso testimoniarti che oggi, prima di ordinare sacerdoti certi soggetti che all’altare non andrebbero fatti avvicinare neppure come chierichetti, i vescovi dovrebbero appurare se conoscono e soprattutto se credono veramente alle fondamentali verità racchiuse nei dogmi della fede cattolica, cosa questa che richiede a monte il fatto che, ad essere stati formati nella corretta dottrina cattolica siano anzitutto i vescovi [vedere mio articolo sul Segretario Generale della CEI, QUI].
Proverò a chiarire il tutto con un altro esempio: nelle stupende campagne toscane dove lo scorso anno tu invitasti a pranzo me ed il mio collaboratore ― e dove spero di tornare presto a visitarti ― oggi vi sono antichi casolari che costano molto più di una casa ubicata nei centri storici cittadini. In questi casolari abitavano fino a meno di un secolo fa dei contadini molti dei quali sapevano a malapena leggere e scrivere. Con questo esempio vorrei offrirti una concreta idea di radicale trasformazione sociale e ambientale. Eppure, quei contadini, compresi soprattutto gli illetterati, sapevano molto bene che cosa fosse il matrimonio. Oggi, molti di coloro che hanno comprato le case dei vecchi contadini pagandole nel corso degli anni Novanta sino a dieci milioni delle vecchie lire a metro quadrato, semmai professionisti con le parcelle a sei zeri, o danarosi imprenditori, o ricchi stranieri … che cosa sia il matrimonio in alta percentuale non lo sanno proprio. Basterebbe andare da quella genderista di Gianna Nannini, nata in una ricca famiglia d’impreditori senesi, popstar celebre in tutto il mondo, laureata in lettere e via dicendo, chiedendole di spiegarci che cos’è il matrimonio; semmai, visto che ci siamo, di spiegarci pure che cos’è la famiglia, o il rapporto tra genitori e figli, o se è umano e giusto che una creatura sia privata di un padre e di una madre “sana” per essere cresciuta tra circoli di omosessuali e di lesbiche inacidite.
Spero di averti chiarito come mai la questione della fede viene esplicitamente citata nel documento del Sommo Pontefice: perché nella situazione sociale odierna caratterizzata da un secolarismo e da una scristianizzazione che galoppano più dei puledri del Palio di Siena, l’elemento dell’ignoranza religiosa in progressivo aumento è tanta e tale, assieme alla superficiale leggerezza, che oggi ci troviamo costretti a chiarire ciò che per secoli è stato ovvio persino tra le persone più incolte. E oggi più che mai è davvero parecchio alto il rischio delle coppie che si sposano in chiesa senza vera fede nel Sacramento, perché non ci credono o perché fingono di crederci, o perché lo concepiscono male o per simulazione o per errore involontario.
Questo il motivo per il quale nelle mie omelie insisto spesso su alcuni elementi fondamentali della fede, parlando del mistero del Verbo di Dio fatto uomo, chiarendo la natura ipostatica di Cristo vero Dio e vero Uomo. Parlando dell’Eucaristia e chiarendo ch’essa è mistero della presenza reale di Cristo sotto le specie del pane e del vino; quindi spiego che l’Eucaristia non è un’allegoria, una metafora, un simbolo della presenza spirituale di Cristo. Allo stesso modo spiego che la Santa Messa è il sacrificio vivo e santo della croce che si rinnova in modo incruento, ed invito a prestare anzitutto ascolto alle parole del celebrante quando nel canone pronuncia la parola “sacrificio”, o quando i fedeli stessi rispondono al sacerdote facendovi anch’essi riferimento: «Il Signore riceva dalle tue mani questo sacrificio, a lode e gloria del Suo Nome e di tutta la Sua Santa Chiesa». Spiego che la Santa Messa, ossia il Sacrificio Eucaristico, non è una festa danzante o tamburellante, non è una mensa dove gli amici gioiosi fanno cena assieme; che l’altare non è il tavolo del disc jockey attorno al quale chiunque conosca tre accordi possa torturare l’intera assemblea con inopportune e fastidiose schitarrate. Recentemente ho usato un’esperienza di vita pastorale narrando durante un’omelia di quando sostituendo un parroco in una chiesa parrocchiale, appena giunto fui avvicinato da due catechiste in vena di darmi direttive su come celebrare, ignare che come celebrare me lo dice la Chiesa attraverso l’Ordinamento Generale del Messale Romano, non certo quelle pie donne da me ribattezzate inopportune pretesse nate dalla peggior confusione di ruoli prodotta dal peggio del post-concilio, il quale nulla ha da spartire con il Concilio Vaticano II. Le due mi dicono: «Lei non conosce la nostra parrocchia, così volevamo informarla che noi al centro della liturgia mettiamo i giovani». Le fulmino con uno sguardo di fuoco e rispondo: «Mi dispiace per voi e soprattutto mi rammarico per i vostri giovani, perché io al centro della liturgia metto Cristo, ed i giovani devono stare adoranti e genuflessi dinanzi a Lui, perché il centro è Suo, ed è un centro totale e totalizzante, perché Cristo è l’inizio, il centro e il fine ultimo del nostro intero umanesimo» [Cf. Dichiarazione Dominus Jesus, vedere QUI, Istruzione Redemptionis Sacramentum, QUI].
Tra te e me ci sono solo pochi anni di differenza: tu sei nato nel 1959 e io nel 1963. Sicché ti domando: quando tra il 1967 e il 1968 tu facevi il catechismo per prepararti alla Prima Comunione, al termine della preparazione ricevuta, avevi la cosciente consapevolezza di che cosa saresti andato a ricevere? Certo che ce l’avevi, come l’avevo io che nel maggio del 1972 ricevetti la Prima Comunione in ginocchio alla balaustra ricoperta in superficie col lino bianco e col chierichetto che mi reggeva il piattello sotto il mento.
Ho citato tre elementi accidentali o cosiddetti “accidenti esterni” – la genuflessione, la balaustra ricoperta con il lino, il piattello – che nella loro accidentalità contingente richiamano degli elementi di sacralità e di rispetto verso il sacro mistero oggi purtroppo perduti con tutto ciò che di triste e doloroso ne consegue, a partire dal modo in cui molti fedeli ricevono senza sacro rispetto e profonda reverenza il Corpo di Cristo; a partire dal modo sciatto in cui molti preti distribuiscono l’Eucaristia, demandandone spesso la distribuzione — senza alcuna oggettiva necessità — a laici più sciatti ancora di certi preti.
Tu ed io, come abbiamo ricevuto la prima confessione? In ginocchio dinanzi alla grata del confessionale, dentro al quale c’era il sacerdote che indossava la veste talare, la cotta bianca e la stola viola. O forse sarebbe stato pensabile che uno dei tanti odierni preti ye ye, col pantalone jeans e la camicia scollacciata a mezze maniche amministrasse le confessioni a delle giovani donne seduto in poltrona dentro l’ufficio parrocchiale con la porta chiusa, semmai rispondendo pure al telefono durante l’azione sacramentale? E detto questo non devo certo spiegare che non sono affatto un misogino, ma un sacerdote di Cristo al quale non passerebbe mai per la mente di stare seduto sulla poltrona di un ufficio a guardare in faccia un penitente intento a confessare i propri peccati per avere la grazia, la misericordia e il perdono di Dio; non lo farei mai con nessuno, specie con una donna, alla quale è dovuta da parte del sacerdote una delicatezza ed un rispetto del tutto particolare.
Adesso riesci a capire il motivo per il quale bisogna purtroppo spiegare anche l’ovvio, una volta appurato e preso tragico atto che ciò che per secoli è stato ovvio, oggi purtroppo non lo è più? E non solo bisogna spiegare l’ovvio ai laici, ma anche a tanti preti malformati piazzati dalla scelleratezza dei nostri vescovi nei posti spesso più delicati. Capisci, caro amico, che oggi, sotto gli occhi indifferenti dei nostri vescovi, a preti piazzati nelle più grandi parrocchie od a pavoneggiarsi negli uffici di curia, vediamo fare cose che fino a pochi decenni fa non sarebbero mai passate per la mente neppure al più ignorante dei curati di campagna, di quelli che, più che la teologia, avevano studiato il necessario catechismo a bastonate, ed ai quali dobbiamo oggi eterna riconoscenza se ancora abbiamo un Popolo di Fedeli, a partire da Giovanni Maria Vianney santo patrono di noi sacerdoti, che con non poche difficoltà leggeva più o meno bene il latino del Messale di San Pio V?
Affido nuovamente tua figlia Caterina alla Beata Vergine Maria al termine del giorno in cui la Chiesa universale ha celebrato la festa della Madonna Addolorata, onorato più che mai per la tua amicizia.
“La mentalità contemporanea si pone piuttosto in contrasto con la comprensione cristiana del matrimonio, specialmente rispetto alla sua indissolubilità e all’apertura alla vita. Poiché molti cristiani sono influenzati da tale contesto culturale, i matrimoni sono probabilmente più spesso invalidi ai nostri giorni di quanto non lo fossero in passato, perché è mancante la volontà di sposarsi secondo il senso della dottrina matrimoniale cattolica e anche l’appartenenza a un contesto vitale di fede è molto ridotta. Pertanto, una verifica della validità del matrimonio è importante e può portare a una soluzione dei problemi” (S.E Card Muller, Prefetto della CDF, INDISSOLUBILITÀ DEL MATRIMONIO E DIBATTITO SUI DIVORZIATI RISPOSATI E I SACRAMENTI, OR 23.10.2013)
Caro P. Ariel,
rileggendo un po’ in questi giorni i Discorsi di Benedetto XVI alla Rota Romana, mi trovo molte volte a chiedermi se coloro che gridano al presunto “sovvertimento della dottrina sul matrimonio”, avvenuto a loro dire con l’ultimo Motu Proprio del suo Successore, conoscano davvero gli scritti dell’attuale Papa Emerito. Cito, sperando di far cosa gradita e soprattutto utile, un illuminante passaggio del suo discorso alla Rota del 22.1.2011: «Il diritto a sposarsi, o ius connubii, non è una pretesa soggettiva che debba essere soddisfatta dai pastori mediante un mero riconoscimento formale, indipendentemente dal contenuto effettivo dell’unione. Il diritto a contrarre matrimonio presuppone che si possa e si intenda celebrarlo davvero, dunque nella verità della sua essenza così come è insegnata dalla Chiesa. Nessuno può vantare il diritto a una cerimonia nuziale. Lo ius connubii, infatti, si riferisce al diritto di celebrare un autentico matrimonio. Non si negherebbe, quindi, lo ius connubii laddove fosse evidente che non sussistono le premesse per il suo esercizio, laddove cioé la volontà si ponesse un obiettivo che è in contrasto con la realtà naturale del matrimonio».
Facendo i complimenti a P. Ariel per questo chiarissimo articolo, vorrei solo segnalare un passaggio del discorso tenuto dal Papa emerito Benedetto XVI alla Sacra Rota del 26 gennaio 2013, che dimostra come il cosiddetto “problema della fede” come possibile causa di nullità del consenso matrimoniale – che, secondo Socci, sarebbe stato inventato “di sana pianta” dal regnante Pontefice Francesco nel suo recente Motu Proprio, in realtà fosse già ben presente nel magistero pontificio e nella prassi rotale:
“Certamente, però, la chiusura a Dio o il rifiuto della dimensione sacra dell’unione coniugale e del suo valore nell’ordine della grazia rende ardua l’incarnazione concreta del modello altissimo di matrimonio concepito dalla Chiesa secondo il disegno di Dio, potendo giungere a minare la validità stessa del patto qualora, come assume la consolidata giurisprudenza di codesto Tribunale, si traduca in un rifiuto di principio dello stesso obbligo coniugale di fedeltà ovvero degli altri elementi o proprietà essenziali del matrimonio”.
Caro Manuel.
In uno dei suoi discorsi, il Santo Padre Benedetto XVI affermò anche, riguardo alle richieste di matrimoni religiosi, che «certe volte noi bisognerebbe avere il coraggio di dire di no».
All’udire quelle parole trasalii, perché da anni le andavo ripetendo, procacciandomi talvolta in risposta anche i “sorrisi di pena” di diversi vescovi.
Spero tanto, assieme al mio collaboratore, di riuscire a trovare il testo di quel discorso, proprio perché mi piacerebbe riproporlo integralmente.
Ancora una volta un ottimo intervento. Il cambiamento di temperie c’è stato, questo è indubbio. Che ciò sia sufficiente a motivare un cambiamento nelle disposizioni che disciplinano il riconoscimento di nullità di un matrimonio, puo essere opinato. Non da un non cattolico, però, dal momento che il pontefice si è in merito espresso in modo inequivocabilmente vincolante. Un argomento simile a quello che usa qui don Ariel (la mutata temperie, appunto, con la perdita di consapevolezza), mi sembra di averlo incrociato in merito all’aggiunta del “Filioque” nel Credo.
P.S. Trovo apprezzabili (direi esemplari) anche i toni della lettera aperta di padre Ariel: è così, a mio sommesso parere, che un cristiano dovrebbe rivolgersi a un fratello da cui dissente.
Buona sera Padre, sto leggendo i suoi articoli da un po’ di tempo e devo dire su qualcosa mi trovo d’accordo su altro un po’ meno. Abbiamo assistito ad una dolorosissima rinuncia da parte di un grande papà che puzza più di clamorosa estromissione da parte di chi da sempre lo ha odiato. Lei lo definisce un debole per me era la punta di diamante del santo papà GPII ed ora mi impressiona la forza con cui porta la sua croce. Sinceramente mi rattrista paragonare la sua mitezza e determinazione all’arroganza del suo Successore che mi sembra sia sfatato un paladino di quella parte così detta progressiste non che un esponente della compagnia delle indie come lei ha chiamato il suo ordine intriso di potenti. Io so che lo Spirito Santo agisce ma non impone quindi in questa faccenda non è che Gli abbiamo chiuso la porta in faccia facendoci proprietari di ciò che non è nostro? Non sono un tradizionalista sono solo un cristiano cattolico un po addolorato e sconcertato. La ringrazio per l’attenzione e per la suo eventuale risposta.
Bello l’esempio di Tizio e Caia, a me ne viene in mente un altro magari piu’ concreto perché con LA SCUSA di prendere in considerazione “casi limite” si finisce poi per generalizzare. Ci sono Tizio Caia e Sempronia. I primi due sono felicemente sposati da una ventina d’anni ma Tizio comincia ad essere un po stanco di quella relazione comincia a venire meno l’intesa sessuale e i due cominciano a litigare spesso, a questo punto entra in azione Sempronia splendida donna dell’est( che ha lasciato la propria famiglia per mettersi alla ricerca del pollo), una quindicina di anni meno di Caia ed un corpo da sballo, Tizio capisce che sfruttando la sua buona situazione economica potrebbe facilmente “mettere le mani” su Sempronia ma un forte senso di colpa lo attanaglia: Non fa altro che ripetersi che non puo’ buttare via vent’anni una moglie e dei figli la paura di cadere si fa sempre piu’ forte continua a chiedersi se quello che sta per fare e’ peccato agli occhi del Signore: Decide allora di andare da un parroco che dopo averlo ascoltato impietositosi gli pone la domanda:”Ma vent’anni fa credevi in quello che facevi?” E fu cosi’ che Tizio e Sempronia vissero per sempre…
Caro Lettore.
L’esempio del marito che molla la moglie in menopausa avanzata per correre dietro alla stangona ucraina che per età potrebbe essere anche sua figlia non è una battuta di spirito ma una realtà nota e conosciuta a chi come il sottoscritto è stato più volte chiamato ad affrontare situazioni di questo genere perché coinvolto spesso da mogli distrutte e da figli in linea di massima inferociti coi padri fuggitivi.
Solitamente, il “pollo” cui giustamente lei accenna, è in una fascia d’età mediamente superiore ai 55 anni, non è un adone, non ha le fattezze fisiche e il fascino che aveva Sean Connery sessantenne o anche settantenne, tra lui e la stangona ci sono di media almeno 10/15 centimetri di altezza di differenza, nel senso che lei è più alta di lui, ecc …
Inoltre, il “pollo“, è pure convinto che lei lo ami, perché se non credesse ciò non sarebbe appunto il “pollo” che è.
L’esempio che lei porta corrisponde a vero e io potrei aggiungere casi veramente grotteschi e paradossali tutti quanti frutto di realtà e non certo di racconti fantasioni.
Insomma, una coppia potrebbe asserire e portare elementi del tipo:
1. quando ci siamo sposati non avevamo fede e quindi eravamo privi della percezione anche e solo vaga della natura del Sacramento;
2. ci siamo sposati perché uno, o tutti e due, siamo stati costretti con la coercizione psicologica a farlo;
3. ci siamo sposati a condizione di non avere assolutamente mai figli;
ecc …
E come dimenticare il punto più “divertente”?
4. il matrimonio non è mai stato consumato per la incompatibilità sessuale degli sposi.
Quest’ultima motivazione tentò di portarla d’accordo col marito una mia ex compagna di scuola che tra i 16 ed i 18 anni aveva maturata un’esperienza sessuale tale da fare invidia ad una di quelle cinquantenni affatto vissute dividendo la propria morigerata vita tra il focolaio familiare e la chiesa. Sono passati molti anni da allora e questa mia coetanea, oggi cinquantenne, ha collezionato dopo il primo matrimonio altri due matrimoni civili finiti in divorzio e attualmente convive con un ragazzo di 32 anni.
Dinanzi a quella istanza ed alle motivazioni portate i giudici del tribunale ecclesiastico, a distanza di molti anni, ridono sempre sulla “comicità” di quel caso, dinanzi al quale rigettarono immediatamente la richiesta senza neppure il bisogno di chiedere – come di prassi avviene in questi casi – più perizie a ginecologi, urologi, andrologi e specialisti vari. Perché questo è il punto: le cose vanno dimostrate.
Tutto questo per dirle che i preti sono purtroppo dei grandi peccatori, capaci spesso a creare sconcerto e scandalo tra il Popolo di Dio con i loro peccati, altri ricoprono uffici più o meno delicati pur essendo dei perfetti incompetenti, però la prego: non ci faccia cretini fino al punto di bere l’acqua liscia nella totale convinzione che si tratti in realtà di brandy invecchiato, perché neppure io che non ho mai bevuto super alcolici in vita mia, confonderei mai l’acqua per brandy e viceversa.
Quando le norme stabilite dalla nuova giurisprudenza canonica entreranno in vigore, vedrà bene che nessun tribunale, sulla parola di due “furbi” che hanno confezionato una storia più o meno verosimile, dichiarerà la nullità del matrimonio, perché in certe procedure non c’è solo la responsabilità e la salus animarum dei richiedenti, ma anche quella dei giudici chiamati ad assumersi precise e gravi responsabilità.
Caro Don Ariel,
prendo la sua pacata ed affettuosa lettera ad Antonio Socci come se fosse diretta a me stesso, dal momento che stimo moltissimo questo giornalista la cui fede sincera ed il cui amore per Cristo e per la Sua Chiesa (al pari del prof. De Mattei) è fuori discussione. Per cui, condividendo moltissime sue (di Socci) perplessità, ne traggo sollievo, sperando (e pregando) che al prossimo Sinodo, coloro che tradiscono (spero, don Ariel, che Lei non voglia negarne l’evidenza) non strumentalizzino anche questo motu proprio “pro domo sua”.
Riguardo il caso di una conversione diciamo “in corso d’opera”, che valida il sacramento nel momento stesso in cui si concretizzano la consapevolezza ed il pieno consenso dei coniugi, un’eventuale richiesta di annullamento “pre-conversione” sarebbe stata con ogni probabilità accolta (vista la mancanza di requisiti fondamentali). Orbene, visto che le vie del Signore sono infinite (e quelle dello Spirito Santo pure), non è che questo atto avrebbe “interrotto” un processo (di conversione, appunto) ancora “in fieri”, “sbarrando” così le vie alla Provvidenza ? (Non vale dire che ci avrebbe pensato la Provvidenza…ironizzo)…
Caro Lewis.
Fa bene e stimare Socci perché è una persona che cerca da sempre di testimoniare la fede, fa bene a stimare de Mattei perché è un cattolico devoto che a mio parere ha preso una deriva sbagliata, ma questo nulla toglie alla sua persona né come cristiano né come insigne studioso.
La risposta al suo quesito credo di averla data in anticipo in questi articoli che le segnalo:
https://isoladipatmos.com/stage/dopo-il-sinodo-il-papa-tornera-ad-indossare-le-scarpette-rosse/
https://isoladipatmos.com/stage/siamo-al-cambio-di-unepoca-sul-santo-padre-francesco-e-necessario-sospendere-il-giudizio-e-procedere-sulle-ali-della-fede/
Il Sommo Pontefice, a tempo e luogo, confermerà i fratelli nella fede [Lc. 22, 31-34], non può fare diversamente, perché gode di una speciale assistenza dello Spirito Santo, alla quale noi crediamo per fede.
Scusi Don Ariel, un domanda un pó fuori tema. Leggendo commenti a i Motu Propio sul processo di nullitá matrimoniale mi sono trovato a capire che il matrimonio cattolico sia piú o meno una opinione. Mi spiego, la Chiesa in realtá mi dice che sono sposato fino a prova contraria. Io dovrei essere sicuro di quello che ho fatto, anche se un psicologo che mi spieghi di no lo trovo sicuro. Ma forse potrebbe essere che veramente mia moglie non sapeva, non capiva cosa era il matrimonio e perció forse il nostro matrimonio é nullo, non é mai stato.
Ci penso su é non riesco a capacitarmi, puó farmi ragionare un pó.
Grazie.
Caro Lettore.
Il matrimonio non è “una opinione“, ma un Sacramento di grazia.
L’espressione “valido fino a prova contraria” ricalca una formula che una volta veniva “intimata” prima dello scambio del consenso, prima della sacra ordinazione dei diaconi e dei presbiteri, prima della consacrazione dei vescovi: «Chi ha qualche cosa in contrario parli adesso o taccia per sempre».
Frase questa che io ripristinerei, ma non tanto per i matrimoni, bensì per le sacre ordinazioni, dinanzi a diverse delle quali, anziché limitarmi a non partecipare giudicando oggettivamente scandalose diverse di esse, andrei a spiegare perché non intendo tacere per sempre …
Ho spiegato nel mio precedente articolo, ed ho ripetuto in vari commenti, che i Sacramenti richiedono, per la loro validità dei requisiti minimi, ed ho spiegato che ciò è richiesto non solo per il Sacramento del matrimonio.
Se una persona riceve la confessione sacramentale in modo conforme a quanto prevede il rito, ma non è pentita del peccato, anzi ritiene di essere nel giusto e che quell’agire peccaminoso è legittimo, il sacerdote può recitare non una ma dieci volte la formula assolutoria, ma il Sacramento non è valido, perché manca il requisito fondamentale: il pentimento che si regge a monte sulla consapevolezza del peccato, vale a dire sul senso del bene e del male.
Esempio di matrimonio potenzialmente nullo ma comunque valido a posteriori: Tizio sposa Caia non perché la ama o perché la vuole sposare, ma perché costretto dai familiari. Caia è infatti rimasta incinta e Tizio che la conosceva solo da poche settimane e che dopo il “fattaccio” a sposarla proprio non ci pensava, è invece costretto contro voglia a sposarla. Cosa che non avrebbe fatto se chi lo ha costretto non avesse esercitato su di lui il “potere” coercitivo, del tipo: “altrimenti ti sbatto fuori di casa, non ti do un soldo, ti taglio ogni genere di aiuto …”. Se così non fosse stato non si sarebbe mai unito in matrimonio. Comincia così la sua vita comune con Caia e nell’ambito della vita matrimoniale scopre che la donna con la quale era sua intenzione avere solo un’avventura occasionale è una donna splendida, anzi è proprio la donna della sua vita.
Tizio ha avuto, successivamente, un’apertura alla grazia che lo ha portato a esprimere in cuor suo tutto il più libero e felice consenso a posteriori e che come tale sana il vizio del consenso che si trovava a monte.
In questo caso il matrimonio è valido.
Contrariamente, se Tizio seguita a vivere il matrimonio come una costrizione, rammaricato di essere stato costretto a sposarsi, in quel caso il matrimonio non è valido per palese vizio del consenso.
Come vede non è poi così complicato capire la questione, basta semplicemente quel comune buon senso di ragionamento cattolico che non affiora invece dai giornali che dibattono da giorni a sproposito su questo delicato argomento a botte di … “La Chiesa approva il divorzio breve“, “il Papa concede ai vescovi potere di annullare i matrimonio” … e sciocchezze varie.
Grazie Don Ariel per la sua risposta, ma mi permetto di ri-domandarle perche credo non mi ha capito.
Mettiamo nel suo esempio che Tizio seguita a vivere il matrimonio come una costrizione, rammaricato di essere stato costretto a sposarsi, ma per non rammaricare Caia finge di essere felice in maniera che questa non sospetti, o se domandato da sospetti di Caia nega di essere sato costretto. Caia vivrá credendo di essere sposata sacramentalmente quando non lo é. Sbaglio?
Carissimo.
Anzitutto il matrimonio è comunque valido fino a prova contraria e tale formalmente rimarrà fino a quando almeno uno dei due non farà presente che sussiste invece prova contraria.
Lei si è spiegato bene, forse sono io che non ho chiarito il suo quesito, cogliendo solo alcuni aspetti.
Le cosiddette “riserve mentali“, perché di queste in fondo si tratta, sono legate alla più profonda coscienza dell’uomo che nessun altro uomo può indagare, perché solo Dio legge e giudica le coscienze.
Ciò che possiamo fare è invitare l’uomo ad aprire liberamente la propria coscienza.
Una costrizione accettata ai livelli che lei esemplifica, a parere di diversi canonisti potrebbe finire per costituire un elemento “validante” e non invece un elemento “invalidante“.
Sempre a conferma e riprova di quanto questa materia sia veramente molto delicata, proprio perché giocata principalmente sull’intimo della coscienza.
Ecco perché a volte, i tribunali ecclesiastici – e questo da sempre – finiscono col far ricorso alle formule di solenne giuramento nel quale è sottinteso “a pena dell’eterna dannazione della tua anima se proferirai il falso o se presterai spergiuro”.
Esistono infatti casi – e ripeto da sempre – nei quali i giudici, appurato che i due, od uno dei due, dicono sicuramente il vero e sono sinceri, fanno ricorso al giuramento, perché è impossibile che qualcuno possa testimoniare sulla coscienza altrui, quando si tratta ad esempio di “riserve mentali”.
Coloro che oggi si stracciano le vesti sostenendo che saranno dichiarati nulli matrimoni solo sulla parola dei due sposi che si presenteranno furbescamente chiedendo e affermando, mostrano in tal modo di non conoscere quelle che sono sempre state, anche in passato, anche nei tempi cosiddetti più rigorosi, le prassi giudiziali adottate dalla Chiesa.
Caro Padre, anch’io nutro stima e simpatia per Antonio Socci.
lei sa usare le carezze e gli schiaffi, ma non secondo “le sue” simpatie, ma secondo le persone e soprattutto i casi, alcuni dei quali richiedono schiaffi e altri carezze. Questo dovrebbe essere chiarito nel giubileo della misericordia: non sempre una carezza è misericordiosa come non sempre lo è uno schiaffo, ma l’una e l’altro sono entrambi … misericordiosamente necessari alla salvezza delle anime.
Lettera di grande affetto umano e pastorale rivolta ad un cattolico sincero che come tutti noi vive a volte con disagio questi momenti di grandissimo smarrimento. Sono certo che Antonio Socci la apprezzerà.
Caro Padre Ariel,
sono quasi gelosa per questa bellissima Lettera aperta al caro Socci – ho molti dei suoi libri sui quali ho spesso alimentato l’apologetica come catechista – e, battuta a parte, io spero che lui ed altri come me, assieme al caro prof. de Mattei, possano comprendere che il tuo ardire non sono questioni ad personam, ma piuttosto aiutano noi laici a gestire in modo più consono la tragica situazione che stiamo vivendo.
Come ho tentato di spiegare a Socci in altro lido “lo scisma lo fa chi vuole farlo” e che avendo fatto parte di molti incontri pre-matrimoniali ed avendo conosciuto le situazioni di molti matrimoni in crisi, la questione della fede è, oserei dire, al primo posto dell’aggravamento delle crisi che ha portato al divorzio e la colpa è di molto clero, come hai magistralmente spiegato nel precedente scritto. Di conseguenza il Papa c’ha messo “n’a pezza“, di certo non bella e non idonea per certi versi, ma è una “pezza” che non copre ma piuttosto riempie per ora una voragine scavata dall’apostasia che si è insinuata nella Chiesa su questo ed altri Sacramenti. Non so come ne usciremo, ma è il momento di unire le nostre forze non contro il Papa ma per il Papa, la Chiesa e il bene dei fedeli tutti.
Plaudo al sincero, confidenziale, fraterno “buffetto”.