Autore Padre Ariel

Amoris Laetitia, la “teologia dell’assegno in bianco”: il potere delle chiavi non è sindacabile, salvo cadere in eresia

AMORIS LÆTITIA, LA “TEOLOGIA DELL’ASSEGNO IN BIANCO”: IL POTERE DELLE CHIAVI NON È SINDACABILE, SALVO CADERE IN ERESIA

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Con il «tu es Petrus» Cristo ha firmato al proprio legittimo vicario istituito sulla terra un assegno in bianco. Si è limitato solo a firmarlo con il proprio nome e cognome, che sull’assegno risulta: Verbum Domini. E su questo assegno, dopo avervi impressa la firma, ci ha scritta sopra solamente la data di emissione, non vi ha scritta invece alcuna data di scadenza; ma soprattutto non vi ha scritto alcun importo, l’importo lo ha lasciato tutto quanto a Pietro ed ai suoi successori, perché presso la banca di emissione vi è una copertura illimitata.

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Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Non annullo dunque la grazia di Dio; infatti se la giustificazione viene dalla legge, Cristo è morto invano» [II Gal 20, 21]

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papa firma

Il Sommo Pontefice Francesco firma la esortazione post-sinodale Amoris laetitia

Nella mia ultima lectio, alla quale rimando tutti coloro che abbiano tempo e voglia di ascoltare anche le spiegazioni degli altri [cf. QUI, QUI], oltre al proprio “io dico”, “io penso”, “io ho letto, quindi “io so …”, si spiega una deriva inquietante della fede contemporanea: l’emotività. Ciò che per molti infatti conta è ciò che “io penso”, ciò che “io sento”. Questo atteggiamento oggettivamente malato verso la fede e con la fede stessa, porta a scivolare in varie vecchie eresie, dal pelagianesimo al panteismo. E per poco che possa valere la mia esperienza pastorale di presbitero e la mia esperienza di teologo, basandomi su entrambe affermo che mai, come nel nostro presente, s’era assistito a un rigurgito di tutte le peggiori eresie; che non sono solo quelle racchiuse nel Modernismo definito dal Santo Pontefice Pio X come la sintesi di tutte le eresie [cf. QUI], ma anche quelle racchiuse nel pensare e nell’esprimersi di coloro che oggi, in nome di una non meglio precisata difesa della traditio catholica, invitano pubblicamente a sprezzare colui che di questa traditio è supremo custode: il Romano Pontefice.

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Chiunque voglia analizzare con lucida obiettività certe dinamiche sociali, che dal pensiero liquido ci stanno ormai portando verso il pensiero vaporoso, potrà notare in che modo i duellanti in lizza, siano essi cosiddetti tradizionalisti o cosiddetti progressisti, cosiddetti moralisti o cosiddetti lassisti, antepongano alla base della dissertazione l’ego sum. E più cercano di imporre le ragioni ideologiche del proprio “io” in nome di “Dio”, più si sentono custodi della sola, unica e pura interpretazione dell’autentico corretto. Insomma, talvolta ho l’impressione di vivere in una comunità ecclesiale schizofrenica in cui molti cristiani non sembrano essere mai stati neppure sfiorati dal monito paolino:

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«Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me. Non annullo dunque la grazia di Dio; infatti se la giustificazione viene dalla legge, Cristo è morto invano» [II Gal 20, 21].

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Nel De veritate il Doctor Angelicus afferma: «Tu non possiedi la Verità, ma è la Verità che possiede te». Ma soprattutto, molti di questi devoti guerrieri della ideologia iocentrica che partecipano alla celebrazione del Sacrificio Eucaristico, memoriale vivo e santo della passione, morte e risurrezione di Cristo, potrebbero dimenticare la dossologia finale della Preghiera Eucaristica:

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Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te Dio Padre Onnipotente, nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli».

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Riportiamo anche il testo latino in ossequio a coloro per i quali, in assenza del sacro latinorum, ogni fonte liturgica è sospetta se non peggio “infetta”:

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Per ipsumet cum ipsoet in ipso, est  tibi Deo Patri omnipotenti, in unitate Spiritus Sancti, omnis honor et gloria, in omnia saecula saeculorum.

Qualcuno dei numerosi teologi, ecclesiologi e canonisti improvvisati, che spuntano di blog in blog come fiori di campo dopo la pioggia, confondendo spesso il nostro buon Popolo di Dio sempre più disorientato, quando emanano e diffondono certi pareri e sentenze – che se non fossero tragiche sarebbero comiche –, si sono mai interrogati sul vero significato di questa dossologia? Perché alla base di questa dossologia c’è – e non certo ultimo – anche il mistero di Pietro, colui che per volontà divina unisce e regge tutte le membra vive del Corpo di Cristo che è la Chiesa [cf. I Col, 18]. E senza Pietro, con il quale davanti al Popolo di Dio, con il Popolo di Dio e per il Popolo di Dio ci siamo dichiarati «in comunione» pronunciando il suo nome pontificio appena poche righe avanti nel Canone, non esiste comunione, pertanto, chi non è in piena comunione con Pietro, non può acclamare, recepire e partecipare al «Per ipsumet cum ipsoet in ipso …». E chiunque abbia l’ardire di smentirmi su certe palesi verità della fede cattolica, che lo faccia con argomentazioni rigorosamente teologiche, perché non ne posso veramente più di quell’emotivo quanto devastante “io penso” … “io sento” … che sta seminando sconcerto e zizzania tra i nostri Christi fideles fin troppo smarriti e confusi.

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Riguardo Pietro, il capitolo III della costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, così recita al n. 22:

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Il collegio o corpo episcopale non ha però autorità, se non lo si concepisce unito al Pontefice romano, successore di Pietro, quale suo capo, e senza pregiudizio per la sua potestà di primato su tutti, sia pastori che fedeli. Infatti il Romano Pontefice, in forza del suo Ufficio, cioè di Vicario di Cristo e Pastore di tutta la Chiesa, ha su questa una potestà piena, suprema e universale, che può sempre esercitare liberamente. D’altra parte, l’ordine dei vescovi, il quale succede al collegio degli apostoli nel magistero e nel governo pastorale, anzi, nel quale si perpetua il corpo apostolico, è anch’esso insieme col suo capo il romano Pontefice, e mai senza questo capo, il soggetto di una suprema e piena potestà su tutta la Chiesa [63] sebbene tale potestà non possa essere esercitata se non col consenso del romano Pontefice. Il Signore ha posto solo Simone come pietra e clavigero della Chiesa [cfr. Mt 16,18-19], e lo ha costituito pastore di tutto il suo gregge [fr. Gv 21,15 ss]; ma l’ufficio di legare e di sciogliere, che è stato dato a Pietro [cfr. Mt 16,19], è noto essere stato pure concesso al collegio degli apostoli, congiunto col suo capo [cfr. Mt 18,18; 28,16-20] [64]. Questo collegio, in quanto composto da molti, esprime la varietà e l’universalità del popolo di Dio; in quanto poi è raccolto sotto un solo capo, significa l’unità del gregge di Cristo. In esso i vescovi, rispettando fedelmente il primato e la preminenza del loro capo, esercitano la propria potestà per il bene dei loro fedeli, anzi di tutta la Chiesa, mente lo Spirito Santo costantemente consolida la sua struttura organica e la sua concordia. La suprema potestà che questo collegio possiede su tutta la Chiesa, è esercitata in modo solenne nel Concilio ecumenico. Mai può esserci Concilio ecumenico, che come tale non sia confermato o almeno accettato dal successore di Pietro; ed è prerogativa del romano Pontefice convocare questi Concili, presiederli e confermarli [65]. La stessa potestà collegiale insieme col Papa può essere esercitata dai vescovi sparsi per il mondo, purché il capo del collegio li chiami ad agire collegialmente, o almeno approvi o liberamente accetti l’azione congiunta dei vescovi dispersi, così da risultare un vero atto collegiale.

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Questa costituzione dogmatica, lascia forse spazio a possibili dubbi, circa il “potere delle chiavi” conferito da Cristo Dio a Pietro, sul quale Egli ha eretta la sua Chiesa? E oggi, Pietro, è il Sommo Pontefice Francesco, che come essere umano non è meno defettibile e inadeguato di quanto mostrò di esserlo il Principe degli Apostoli, forse scelto dal Verbo di Dio in persona anche per provare la nostra fede nei secoli; o per mostrarci in che modo la sua Divina Potenza può operare anche attraverso le inadeguatezze dell’uomo, incluse quelle dei Suo Vicario.

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Quello della chiavi è un potere in sé e di per sé indiscutibile per il semplice fatto che nessuno, per grado e facoltà, può porlo in discussione. Pertanto a nessuno è dato regolamentare o cercare di regolamentare questo potere strutturato su uno dei dogmi fondanti della nostra fede:

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«[…] e io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» [cf. Mt 16, 17-19].

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Siccome viviamo in un clima di schizofrenia nel quale anche l’ultimo dei blogghettari non esita a salire sulla propria istituita cattedra teologica internetica  per bollare come eretici dei teologi veri e seri, pur di non ammettere che è lui a non aver capito i fondamenti della dottrina cattolica, è quindi di rigore rivolgere una precisa domanda a questi nuovi innamorati del legalismo che sentenziano “o è nero o è bianco”. E la domanda è la seguente: in quale preciso brano della Sacra Scrittura Cristo Dio detta a Pietro schemi e regole canoniche riguardo il legare e lo sciogliere? Dove, Cristo Dio, indica e stabilisce che cosa di preciso Pietro può legare e sciogliere, o cosa invece non può né legare né sciogliere? Cristo Dio riveste Pietro di una funzioni vicaria legata tutta quanta al mistero divino e quindi conferisce a lui un potere assoluto legato al concetto dogmatico di assolutezza fondante della fede. Pertanto dico, di conseguenza domando: dinanzi a tutto questo, esistono davvero cattolici veri o presunti, pubblicisti e opinionisti auto-elettisi veri interpreti della dottrina e del dogma, che intendono sul serio sindacare su come Pietro possa e debba esercitare un mandato unito ad un simile potere assoluto e fondante a lui conferito da Cristo Dio?

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Proviamo a chiarire il tutto: con il «tu es Petrus» Cristo ha firmato al proprio legittimo vicario istituito sulla terra un assegno in bianco, che si è limitato a firmare col proprio nome e cognome, che sull’assegno risulta: Verbum Domini. E su questo assegno, dopo avervi impressa la firma Verbum Domini, ci ha scritta sopra solamente la data di emissione, non vi ha scritta invece alcuna data di scadenza; ma soprattutto non vi ha scritto alcun importo, l’importo lo ha lasciato tutto quanto a Pietro ed ai suoi successori, perché presso la banca di emissione vi è una copertura illimitata.

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Ebbene ditemi, amanti del legalismo, del Vangelo da usare come corpo contundente anziché come medicina per la cura e la redenzione dell’uomo, nonché indomiti assertori del “o nero o bianco”: la data di scadenza e l’importo, volete forse mettercelo voi, sopra al divino assegno? Volete veramente fare voi ciò che Cristo Dio non ha fatto? Perché, casomai nessuno ve lo avesse ancora spiegato, in tal caso mi premuro di spiegarvelo io: presumere di potersi sostituire in questo modo a Dio, è cosa empia e blasfema.

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A quel punto, gli amanti del legalismo, del Vangelo da usare come corpo contundente anziché come medicina per la cura e la redenzione dell’uomo, nonché indomiti assertori del “o nero o bianco”, tirano fuori l’ipotesi del “papa eretico” e la possibilità che questi possa cadere in apostasia, quindi essere destituito. Citano e diffondono messaggi catastrofici, pubblicano libri che raspano nel confuso e nel torbido, fanno continui richiami a rivelazioni private, molte delle quali riconosciute dalla Chiesa, ma di rigore usate fuori contesto per tirare acqua al mulino delle loro tesi deliranti e per sostenere in modo più o meno sottile, ma a volte anche con aperta sfrontatezza, che Jorge Mario Bergoglio è l’emissario dell’Anticristo, l’accolito di Satana che sta procedendo a distruggere la dottrina. A questi delirî rispondo con tutta la serena ovvietà dottrinaria del caso: quella del Papa eretico e apostata è una ipotesi meramente canonica; ipotesi che nella storia della Chiesa non si è mai verificata, tanto meno con conseguente destituzione del Romano Pontefice.

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Per quanto poi riguarda le rivelazioni private, a partire da quelle riconosciute dalla Chiesa, le quali vanno sempre contestualizzate e mai de-contestualizzate per scopi soggettivi talora persino malvagi e perversi, ai loro autori e diffusori sia chiara una cosa supportata da un dato inconfutabile: le rivelazioni private non sono dogma di fede, mentre invece, «Tu es Petrus», si, è un dogma di fede fondante della Chiesa.

Molti di coloro che attaccano l’indubbiamente defettibile, lacunoso, spesso anche improvvido e imprudente uomo Jorge Mario Bergoglio, si mostrano drammaticamente carenti della capacità di fare una distinzione fondamentale sul piano dottrinale: fino a quando si tratta di rivolgere critiche al cosiddetto “dottore privato”, od a scelte di ordinario ministero pastorale, od a scelte amministrative del Santo Padre, fatto salvo il devoto rispetto e l’ossequio sempre e dovuto alla sua sacra persona, il tutto è lecito, anzi a volte persino auspicabile. Io stesso l’ho fatto più e più volte, incluso quando l’Augusto Pontefice ha cambiato il rito della lavanda dei piedi, replicandogli per tutta risposta con una «lavata di testa» [cf. QUI]. Altrettanto ho fatto vedendo moltiplicarsi per le diocesi come nuovi vescovi eletti dei compiacenti duplicati del Regnante Pontefice, tutti quanti col “povero” sulla bocca e la “periferia esistenziale” nel cu…ore [cf. QUI, QUI, QUI, QUI, ecc..]. Non è però lecito muovere contestazioni sulle espressioni dottrinarie del Romano Pontefice, anche se – e ciò lo dico per assurdo – fossero sbagliate, perché nessuno, inclusi eventuali santi sulla terra, ha per superiore potestas facoltà di correggere un suo errore. E ciò detto prego di non citarmi a sproposito i duri rimproveri rivolti ai Sommi Pontefici da San Bernardo di Chiaravalle o da Santa Caterina da Siena, perché l’uno e l’altra non hanno mai mosso contestazioni alle loro scelte dottrinarie. Infatti, ed in specie Caterina da Siena, con le sue invettive rivolte verso la corte pontificia di Avignone, lanciò devoti richiami ai pontefici su questioni puramente politiche e pastorali, ma non certo dottrinarie.   

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Il Romano Pontefice ha un potere che a lui non perviene da una assemblea di Cardinali, tanto meno da una assemblea popolare; il suo potere gli perviene direttamente da Cristo Dio, quindi si tratta di un potere che non è soggetto, come indica il canone, a sindacato alcuno [cf. CIC, can. 1404]. Questo il motivo per il quale in passato ho mosso dure contestazioni a certi circoli cattolici che reagirono ad un provvedimento preso dal Sommo Pontefice e riguardante i Frati Francescani dell’Immacolata, mettendo in atto la penosa sceneggiata di una raccolta di firme, stile referendum popolare, dichiarandosi da una parte i paladini della pura e vera traditio catholica, ma ignorando dall’altra il dato sia dottrinale sia giuridico che verso i provvedimenti del Romano Pontefice non è contemplato alcun appello [cf. CIC, can. 333§3], perché nessuno può sindacare l’operato del supremo custode della fede, del clavigero.

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A chi mi ha domandato in modo secco: «Tu daresti l’Eucaristia ai divorziati risposati?». Ho risposto: «No. E non solo non gliela do, ma presto anche attenzione al fatto che non si presentino a riceverla. Se però il Romano Pontefice stabilisse diversamente – cosa che, come abbiamo visto, grazie a Dio non ha fatto – io non posso e non devo negarla, perché non stabilisco io la disciplina dei Sacramenti; perché non sono io munito da Cristo Dio del potere di legare e di sciogliere».

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Questo il motivo per il quale nel mio precedente articolo [cf. QUI] ho mosso critiche allo stile e al linguaggio della Amoris laetitia che a mio parere è infelice e infarcito di sociologismi, alla sua logorroica lunghezza … alla sua vaghezza a tratti pericolosa perché come tale foriera di chissà quali male interpretazioni da parte di certi specialisti della alterazione dei testi … ma senza entrare neppure indirettamente – come chiunque può constatare in quel mio scritto – nel discorso strettamente dottrinario, perché le dottrine si applicano e basta, non si discutono, tanto meno sulla base del soggettivo e umorale “io penso“, “io ritengo” perché “io sento“…

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Trovo quindi drammatico il fatto che proprio quanti accusano il Sommo Pontefice Francesco di avere de-sacralizzato il papato, siano poi gli stessi che, sprezzanti il dogma di fede e il magistero perenne della Chiesa, pretendano di sindacare in merito a sue prerogative insindacabili citando a sproposito il dogma e citando ancora più a sproposito il magistero perenne della Chiesa, tentando pedestremente di ritorcere pateticamente il tutto contro colui che ne è legittimo depositario senza pena di discussione e senza possibilità di sindacato da parte di alcuno, a partire da certi agguerriti e improvvidi Signori Laici.

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Il mio confratello sacerdote e teologo Giovanni Cavalcoli non ha certo bisogno delle mie difese d’ufficio, ma essendo in parte suo confratello, in parte suo discepolo, non posso nascondere la mia comprensibile irritazione, nel leggere in giro per la rete telematica accuse di eresia e di tradimento rivolte a questo insigne teologo domenicano da svariate persone, in modo particolare da un agguerrito gineceo di passionarie, una delle quali lo ha persino accusato di essere rahneriano, proprio lui che alla critica dei pericolosi e perniciosi teologismi di Karl Rahner ha dedicato tre decenni di approfonditi studi dopo avere raccolto anche l’eredità e il lavoro svolto già in precedenza dal Servo di Dio Tomas Tyn. Se il diretto interessato ride su tutto questo col suo tipico gusto da romagnolo, io non riesco invece ad ironizzarvi più di tanto, perché la cosa tocca un mio venerato confratello ed un mio amato maestro.

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Inutile dire che le accuse rivolte in questi giorni al teologo domenicano si basano tutte e di rigore sulla mancanza di cultura teologica tipica delle persone che presumono prima di sapere, poi di discettare negli ambiti da sempre più delicati della dogmatica, che sono appunto quelli della dogmatica sacramentaria, infine di dare dell’eretico ad un insigne accademico pontificio, che mi chiama poi divertito per dirmi: «Sai, mi hanno dato dell’eretico!». E si mette a ridere mentre io commento: «All’Inferno ti metteranno sicuramente nel fondo, vicino a Lucifero, perché ormai, col Principe delle Tenebre, pare che per certuni tu sia ormai divenuto culo&camicia».

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Siccome allo studio della dogmatica sacramentaria ho dedicato anni della mia vita; siccome la mia formazione teologica non è quella del pollo internetico o della gallinella impazzita che razzolando di blog in blog raccoglie pillole di stoltezza per poi mutarle in unica e solida verità, credo di poter dire con la dovuta scienza teologica che le discipline dei Sacramenti hanno subito non solo numerose riforme, ma delle riforme davvero radicali. Molti sarebbero gli esempi, mi limiterò dunque ad alcuni, a partire dalla confessione, l’attuale Sacramento della penitenza e della riconciliazione, che per diversi secoli fu consentito amministrare una sola volta nella vita e mai più. Infatti, come in genere quasi tutti i Sacramenti, la confessione non era ripetibile. Per non parlare poi della complessità del Sacramento dell’ordine sacro, che è uno, ma diviso oggi in tre gradi. La cosa si complica ulteriormente se consideriamo che questo Sacramento istituito in una unica soluzione da Cristo Dio, ed oggi diviso al proprio interno in tre gradi, racchiude due ordini che sono di diversa istituzione: il sacerdozio, che è di istituzione divina, ed il diaconato, che invece è di istituzione apostolica [cf. At 6, 1-5]. Faccio anche notare che mentre la istituzione del sacerdozio fatta da Dio Incarnato è narrata nel Vangelo di Nostro Signore Gesù Cristo, la istituzione dei primi sette diaconi è invece narrata negli Atti degli Apostoli ed è avvenuta dopo la morte, risurrezione e ascensione al cielo del Verbo di Dio.

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E ancora: nel corso dei secoli furono istituiti quelli che prima della riforma del Concilio Vaticano II erano gli ordini divisi tra di loro in maggiori e minori. E per secoli si discusse, senza trovare risposta, se tra i sette ordini il suddiaconato andasse considerato un ordine minore o un ordine maggiore. Quesito al quale non fu mai data risposta. A suo modo rispose il Beato Paolo VI, che assieme ad altri ordini lo abolì e chiuse in tal modo il discorso sostituendo gli ordini minori con i ministeri del lettorato e dell’accolitato.

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E per rimanere sul discorso dell’Ordine Sacro: sappiamo che l’unico amministratore di questo Sacramento è il Vescovo, il solo che può consacrare sacerdoti e ordinare diaconi. Eppure, nel corso dei secoli, vi furono varie eccezioni, per esempio il privilegio concesso agli abati cistercensi non rivestiti della dignità episcopale di ordinare diaconi, o la facoltà data ad alcuni sacerdoti di consacrare dei sacerdoti in situazioni e condizioni eccezionalmente particolari. In questo caso la domanda non è di poco conto: come può, colui che non è rivestito della pienezza del sacerdozio, consacrare un sacerdote? C’è un’ipotesi non poi così peregrina di certi maestri della scolastica i quali sostennero che ogni sacerdote, in quanto tale, ha la pienezza del sacerdozio, ma questa pienezza viene in esso ridotta affinché nella sua totalità sacramentale e soprattutto giurisdizionale possa essere esercitata solo dal vescovo.

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Questi pochi e brevi accenni fatti alla dogmatica sacramentaria e alla disciplina dei Sacramenti, dovrebbero bastare ai paladini del “o nero o bianco”, per capire che persino i migliori teologi tremano da sempre quando devono muoversi sul complesso e complicato terreno della disciplina dei Sacramenti. E allora perché mai certe persone, passionarie in testa a tutti, non vogliono proprio esercitare quella umana e cristiana umiltà che le porti, non dico a tacere, ma perlomeno a cercare di imparare tutto ciò che in modo evidente mostrano di non sapere?

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Le accuse rivolte al teologo domenicano circa le sue presunte defezioni dalla ortodossia cattolica sono supportate dai suoi critici su quell’assurdo che deriva dalla loro incapacità di non capire. Padre Giovanni Cavalcoli, commentando la esortazione post-sinodale Amoris laetitia ha scritto la seguente frase rigorosamente non compresa che ha fatto urlare alcuni all’eretico palese e manifesto:

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La norma che proibisce ai divorziati risposati di accedere alla Santa Comunione, è una norma che dipende dal potere delle chiavi, ossia è una legge ecclesiastica, che non discende dalla legge divina in modo univoco, necessario e senza alternative, come fosse una deduzione sillogistica, quasi che, come credono alcuni, un’eventuale modifica, abolizione o mitigazione dell’attuale disciplina introdotte un domani dal Papa, recassero pregiudizio od offesa alla legge divina e alla dignità cristiana del matrimonio. Al contrario, tutto ciò rientra nelle facoltà del Sommo Pontefice come supremo Pastore della Chiesa. Se non ha ritenuto di dover far ciò, lasciando immutata la legge di San Giovanni Paolo II, vuol dire che ha avuto delle buone ragioni per farlo, e noi, da buoni cattolici, accogliamo docilmente e fiduciosamente le decisioni del Vicario di Cristo [cf. QUI].

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E per mostrare l’eresia del teologo domenicano ormai filo-modernista e novello rahneriano, i teologi fai-da-te, ma in specie le teologhesse passionarie, procededono con copia-incolla internetici anteponendo la Dichiarazione del Pontificio Consiglio per i Testi legislativi circa l’ammissibilità alla Santa Comunione dei divorziati risposati, la quale recita:

La proibizione fatta nel citato canone, per sua natura, deriva dalla legge divina e trascende l’ambito delle leggi ecclesiastiche positive: queste non possono indurre cambiamenti legislativi che si oppongano alla dottrina della Chiesa. Il testo scritturistico cui si rifà sempre la tradizione ecclesiale è quello di San Paolo: «Perciò chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna» (1Cor 11, 27-29) (3) [cf. QUI].

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Questo testo, pubblicato nell’’Osservatore Romano del 7 luglio 2000, applica anche ai divorziati risposati il can. 915 del Codice di Diritto Canonico, il quale esclude dalla Comunione eucaristica coloro che «perseverano ostinatamente in peccato grave manifesto» [in manifesto gravi peccato obstinate perseverantes].

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A questo punto è di rigore una domanda rivolta ai maestri del rigore legale e del “o è nero è e bianco”: il Beato Apostolo Paolo, dove si riferisce ai concubini o agli adulteri? Perché se le cose devono essere “o nere o bianche”, allora bisogna basarsi su un richiamo ben preciso e chiaro che in questo caso, però, il Beato Apostolo non fa.

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Partiamo dal dato di fatto che a molti sfugge: il Beato Apostolo Paolo solleva una questione di principio e con essa detta una norma di condotta che ha come oggetto il peccato in sé e di per sé, non uno specifico peccato, né tanto meno indirizza questa espressione a concubini e adulteri. E chiunque legga con cura il testo paolino e dica poi diversamente, o è un cieco o più semplicemente un ideologo, ma non un teologo, al limite può essere un canonista maldestro che si lancia in marcia sul terreno minato di quella disciplina dei Sacramenti strettamente connessa alla dogmatica sacramentaria.

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Nessuno ha mai negato – non lo ha fatto il teologo domenicano e non l’ho fatto io – che la applicazione richiamata in questa Dichiarazione del Pontificio Consiglio per i Testi legislativi circa l’ammissibilità alla Santa Comunione dei divorziati risposati è fuori di dubbio sensata. Non sono infatti pochi i casi nei quali si palesa questa perversa perseveranza. In tal caso la coppia, oltre a dare scandalo per trovarsi in uno stato o condizione di vita, detto “irregolare”, in aperta contraddizione coi dettami cristiani dell’etica coniugale, nell’ipotesi non appare assolutamente dar segni di avere intenzione di pentirsi e di cessare di peccare, per cui la supposizione è che viva in uno stato continuo di colpa mortale, priva della grazia.

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Resta però sempre il fatto che se il peccato ha una manifestazione esterna, dedurre da questa manifestazione uno stato interiore o soggettivo di colpa permanente, è sempre cosa ardua, anche se non sempre impossibile. In particolare è arduo il giudizio sulla ostinazione perseverante, perché non si può sapere dal di fuori. Lo sanno solo gli interessati e lo sa Dio, il quale solo può leggere l’intimo del cuore e la profonda coscienza dell’uomo. Il caso previsto quindi da questa Dichiarazione è oggettivamente inverificabile, per cui ha fatto bene il Sommo Pontefice a citare le attenuanti, senza per questo respingere in modo assoluto la possibilità di dare un giudizio circa l’ostinazione perseverante, che non viene annullata e che in alcun modo viene meno sia come principio sia come possibilità.

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Il teologo domenicano ed io riconosciamo e concordiamo entrambi sul fatto che è sufficiente la manifestazione esterna del peccato, per giustificare la prassi dell’esclusione dalla Comunione, senza la pretesa di giudicare in foro interno, che non è facoltà del diritto canonico, con buona pace dei canonisti o di coloro che confondono la teologia dogmatica con il diritto e viceversa.

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Quello che però lascia perplessi nella Dichiarazione è la citazione del monito del Beato Apostolo Paolo circa il sacrilegio che commetterebbe chi si accostasse alla Comunione in stato di peccato mortale [1 Cor 11, 27-29], quasi a voler insinuare che tutti i divorziati risposati siano da catalogare come ostinatamente perseveranti in uno stato di peccato mortale, sulla base del freddo e cristianamente inaccettabile principio: due divorziati risposati sono dei concubini e come tali in stato permanente di peccato mortale, ed il tutto perché “o è nero o è bianco”, punto e basta!

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Punto e basta? Ma quando mai la morale cattolica, ieri come oggi, ha insegnato ai confessori a comportarsi così? Tutt’altro, la buona morale ha sempre insegnato e tutt’oggi insegna che esistono peccati che “tecnicamente” sono in sé e di per sé peccati mortali, ma sebbene tali, assecondo le persone, le situazioni, le circostanze … possono ridursi sino a veri e propri peccati veniali. Come confessore mi sono ritrovato ad assolvere dei penitenti e delle penitenti da peccati mortali gravissimi; in tre diverse occasioni ho dovuto inviare i penitenti alla Penitenzieria Apostolica, trovandomi dinanzi a dei peccati riservati alla Santa Sede. Alcune volte, con la facoltà prevista e concessa, ho assolto anche da peccati riservati al vescovo, per esempio dal peccato di aborto, trovandomi talora dinanzi a donne la cui colpa era molto attenuata. Per citare a mo’ di esempio un caso: una ragazza giovane, molto semplice, proveniente da modestissima estrazione sociale, priva di cultura e anche di maturità, con candore davvero disarmante mi spiegò che lei, praticando l’aborto, aveva operato per il bene del nascituro, n’era prova il fatto che erano stati i medici a consigliarle di abortire, per il suo bene. E se un dottore, per il tuo bene, ti dice che devi abortire, si fa quello che dice lui, perché «lui è il dottore, io invece sono solo una povera ignorante». E in questa penitente erano assenti consapevolezza e deliberato consenso riguardo ciò che aveva fatto, tutt’altro, ella era certa di avere agito seguendo il consiglio opportuno dato da dei saggi dinanzi ai quali non si discute, si ubbidisce. Del tutto diverso il caso di quelle donne che invece hanno abortito per futili motivi, sebbene perfettamente consapevoli di che cosa è l’aborto e di che cosa sia la vita; donne che di prassi ho sempre incontrato due o tre volte per lunghi colloqui e adeguate catechesi, prima di dar loro l’assoluzione, rigorosamente negata – e preciso: solo in due casi nel corso del mio intero ministero sacerdotale – a due donne che invece di mostrare autentico pentimento, si ostinavano a voler giustificare in sede di confessione sacramentale la legittimità di fondo del crimine compiuto verso il mistero ed il dono della vita umana.

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Questi logici e teologici principi di giudizio, che non fanno parte delle Chiesa bergogliana di oggi, ma della Chiesa del Cristo di sempre, sono indicati e spiegati dal Sommo Pontefice ai numeri 301 e 302 della Amoris laetitia, dove si indicano i fattori che attenuano o diminuiscono la colpa, la quale, da mortale, può abbassarsi al livello di veniale.

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L’Amoris laetitia non esclude la possibilità di dare un giudizio circa l’ostinazione perseverante, preferisce però parlare di un caso diverso, nel quale i due «possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa, sentendola come una madre che li accoglie sempre» [n.299]. «Per questo, non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare”, vivono in uno stato di peccato mortale, privi della grazia santificante» [n.301].

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Al n.1 della Dichiarazione del Pontificio Consiglio per i Testi legislativi, si afferma poi: «La proibizione fatta nel citato canone, per sua natura, deriva dalla legge divina e trascende l’ambito delle leggi ecclesiastiche positive: queste non possono indurre cambiamenti legislativi che si oppongano alla dottrina della Chiesa». E qui – posto che i teologi dogmatici dovrebbero fare i teologi dogmatici ed i canonisti dovrebbero fare invece i canonisti e non i tuttologi –, si nota una assimilazione del tutto indebita del già citato canone alla legge divina, quasi godesse della medesima autorità. Che il canone derivi dalla legge divina, non si può mettere in discussione. Attenzione però: se deriva, vuol dire che è al di sotto; cosa quest’ultima che non è un sofisma, né un arrampicarsi sugli specchi, è pura logica teologica. D’altra parte, il diritto canonico, per sua essenza, oltre a recepire leggi divine, non fa che raccogliere le leggi positive della Chiesa, come espressione del potere delle chiavi o potere giurisdizionale.

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Al di sopra delle leggi canoniche, che sono le leggi positive della Chiesa – a parte la legge naturale, che qui adesso non c’entra – non c’è altro che il diritto divino o legge divina. Quindi, dire che una legge canonica «trascende la legge positiva» è attribuirle un’autorità divina, il che evidentemente non si può dire, perché in tal caso non ci resta che fare la battuta … Beh, se è scritto sul Codice di Diritto Canonico dai canonisti, allora neppure Domineddio può farci niente!

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La norma dell’esclusione dei divorziati risposati dalla comunione eucaristica non suppone quindi lo stato di colpa individuale, ma ha una finalità pedagogica e simbolica. Pedagogica, per evitare lo scandalo dei fedeli; simbolica, perché c’è una contraddizione fra la Eucaristia, che significa unità, rispetto a quello che di fatto è invece lo stato di divorziati, che significa invece divisione, quindi rottura della comunione.

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Il Regnante Pontefice ha scelto di mantenere la norma stabilita dal Santo Pontefice Giovanni Paolo II al n. 84 della Familiaris consortio, cosa questa che rallegra, teologicamente parlando, sia il Padre Giovanni Cavalcoli sia me, però, dopo averla riconfermata, procede con una giusta e necessaria distinzione tra la legge divina e le leggi della Chiesa, per esempio per quanto riguarda l’Eucaristia. Questa è stata istituita da Gesù Cristo ed è legge divina immutabile, con buona pace dei canonisti. La disciplina e l’amministrazione del Sacramento dell’Eucaristia spetta alla legislazione ecclesiastica, sotto la presidenza del Sommo Pontefice, il quale ha facoltà di legiferare e di mutare leggi [cf. nota 351].

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Agendo a questo modo il Sommo Pontefice ha sanato un testo giuridico a mio parere non particolarmente felice come la Dichiarazione del Pontificio Consiglio per i Testi legislativi emanata nel 2000. Un testo al quale ciechi e sordi, blogghettari e passionarie d’assalto che strepitano “o è nero o è bianco”, sono giunti a conferire rango di dogma di fede, pur mettendo però al tempo stesso in discussione – ed abbiamo pure visto con quale aggressivo sprezzo – un dogma vero e proprio: l’autorità di Pietro, depositario del potere delle chiavi.

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E valendosi del proprio potere giurisdizionale sovrano, il Sommo Pontefice allenta il legame troppo stretto che questa Dichiarazione pone tra la norma canonica dell’esclusione e la legge divina, assimilando troppo quella a questa. Il Sommo Pontefice mostra la possibilità di attenuanti e insegna che i divorziati risposati possono essere in grazia. Infine mostra il rischio che la Dichiarazione corre di attribuire ai divorziati risposati uno stato di peccato mortale permanente, deducendolo troppo affrettatamente dal permanere del loro stato di vita irregolare.

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Così si è espresso colui che ha ricevuto il potere delle chiavi, depositario di una auctoritas che a lui perviene dal Verbo di Dio che gli ha firmato a suo tempo un assegno con la sola data di emissione, senza imprimere in esso né l’importo né la data di scadenza. E questo testé enunciato è un mistero della fede racchiuso in un dogma fondante della Chiesa: «tu es Petrus». E ciò con buona pace di chi si ostina a negare i dogmi fondamentali e fondanti della Chiesa, per dare però rango di dogma indiscutibile a delle disposizioni canoniche formulate male e scritte peggio da canonisti entrati a gamba tesa in questioni che implicano profonde e complesse tematiche dottrinarie, o come dice il Beato Apostolo Paolo: «infatti se la giustificazione viene dalla legge, Cristo è morto invano» [II Gal 20, 21]. E per i Padri dell’Isola di Patmos, Cristo non è certo morto invano, con buona pace di chi strepita “o è nero o è bianco”.

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Post scriptum

Viste le mie note bramosie di carriera, volevo dire a quelli della Congregazione per la dottrina della fede: se presso il vostro Dicastero non siete troppo impegnati ad assumere monsignorini gai, i quali poi vi fuggono nei Paesi Baschi col loro fidanzato urlando col peperoncino al culo «gay è bello!», qualora il posto fosse sempre vacante potreste chiamare me come segretario aggiunto alla Commissione Teologica Internazionale, a meno che non intendiate discriminarmi in quanto reo di essere cattolico, ortodosso e soprattutto eterosessuale.

Ovviamente è una presa in giro voluta e dovuta, questa mia. Voi prendetela come meglio vi pare, ma intanto prendetevela e tenetevela, perché ve la meritate, in saecula saeculorum, amen!

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NOTE

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[59] Cf. EUSEBIO, Hist. Eccl., V, 24, 10: GCS II, 1, p. 495; ed. BARDY, Sources Chrét., II, p. 69. DIONIGI, in EUSEBIO, ib. VII, 5, 2: GCS II, 2, p. 638s; BARDY, II, p. 168s.

[60] Sugli antichi Concili cf. EUSEBIO, Hist. Eccl. V, 23-24; GCS II, 1, p. 488ss; BARDY, II, p. 66ss e passim. CONC. DI NICEA, can. 5: COD p. 7

[61] Cf. TERTULLIANO, De Ieiunio, 13: PL 2, 972B; CSEL 20, p. 292, lin. 13-16.

[62] Cf. S. CIPRIANO, Epist. 56, 3: HARTEL IIIB, p. 650; BAYARD, p. 154.

[63] Cf. la relazione ufficiale ZINELLI al CONC. VAT I: MANSI 52, 1109C.

[64] Cf. CONC. VAT I, Schema della Cost. dogm. II De Ecclesia Christi, c. 4:[176][176]NSI 53, 310. Cf. la relazione KLEUTGEN sullo Schema riformato: MANSI 53,321B-322B e la dichiarazione ZINELLI: MANSI 52, 1110A. Vedi anche S. LEONE M., Serm. 4,3: PL 54, 151A.

[65] Cf. CIC, can. 222 e 227 [nel nuovo Codice can. 338].

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40 commenti
  1. Mario Di Dio Busa dice:

    Posso dirle che, paradossalmente, poco mi interessa se nella GS l’aborto è definito “delitto abominevole”? La Congregazione della Dottrina sulla Fede lo definisce esplicitamente un “omicidio” . Per me, povero ignorante che non comprende la differenza tra omicidio e delitto (come se l’omicidio non fosse un delitto!), sopprimere la vita (le sta bene questa espressione?) di un “feto” (come lo chiama lei) cioè di un essere umano vivente, (come egli è) è un omicidio perchè, perdoni la mia ignoranza, quel “feto” è un uomo, Ergo se “sopprimo” un “uomo” commetto un “omicidio”. Se poi la legge dello stato permette l’omicidio di un feto io mi ribello. Infine chiedo, invece, a lei: ritiene davvero di essere la fonte suprema del sapere “dottrinalmente” corretto”? A volte gli studi inducono ad una “presunzione” nientaffatto propria. Inoltre: pensa davvero che la sua consacrazione sacerdotale le dia l’autorità e l’autorevolezza di tacciare un fratello nella stessa Fede (come mi ritengo) di essere origine di scandalo? Lei si sente davvero capace di “giudicarmi” colpevole di tanta infamia? Sa di cosa mi accusa?

    • Padre Ariel
      Ariel S. Levi di Gualdo dice:

      «La Congregazione della Dottrina sulla Fede lo definisce esplicitamente un “omicidio”»

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      Citi immediatamente il testo e il preciso documento nel quale la Congregazione per la dottrina della fede applica all’aborto la fattispecie ed il lemma di “omicidio” definendolo «esplicitamente» come tale.

      Altrimenti la smetta di mandarci dei commenti che fanno male a lei che li scrive ed ai cattolici che li leggono.

      Esiste un solo documento del 1974, ed è una “dichiarazione” nel quale, questa Congregazione, cita Tertulliano il quale afferma: «È un omicidio anticipato impedire di nascere; poco importa che si sopprima l’anima già nata o che la si faccia scomparire sul nascere. È già un uomo colui che lo sarà» [Apologeticum, IX, 8 (PL I, 371-372: Corp. Christ. I, p. 103, 1. 31-36].

      http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_19741118_declaration-abortion_it.html

      Si tratta di una citazione fatta nel testo e nell’insieme molto articolato di questa “dichiarazione”, ma questa Congregazione non definisce l’aborto un omicidio.

      Il testo che invece le ho citato io, il n. 51 della Gaudium et spes, nel quale si da una precisa definizione dell’aborto e della sua enorme gravità, non è una “dichiarazione” ma la “Costituzione” pastorale di un concilio ecumenico.

      Al n. 27 di questa Costituzione pastorale, lei può trovare indicato «[…] tutto ciò che è contro la vita stessa, come ogni specie di omicidio, il genocidio, l’aborto, l’eutanasia e lo stesso suicidio volontario».

      Vengono distinte in modo chiaro delle “figure” e delle “specie” gravissime, che tra di loro sono però diverse e distinte, mentre invece, su di esse, lei fa una grande confusione sia in idee soggettive sia in concetti.

  2. Mario Di Dio Busa dice:

    Carissimo d. Ariel, perchè il mio ultimo post del 25 aprile è ancora in attesa di “moderazione”? Non ho nessuna pretesa e ritengo che moderare un commento sia segno di opportuna prudenza. Tuttavia lasciare un post in sospeso, non mi sembra buona pratica. Comunque non mi offenderò se non venisse pubblicato, ma non potrò fare a meno di pensare che ci siano post di “primo/alto livello” ed altri “poco interessanti o importanti”. In tutti i casi ritengo sia buona regola dare seguito ad un post anche se fosse in modo “privato” e, nel caso specifico, ne avrei piacere oltre che desiderio. In fraternità di Cristo.

    • Padre Ariel
      Redazione dell'Isola di Patmos dice:

      Come suoi commenti a questo articolo, non c’è alcun commento inviato da lei in attesa di moderazione.

      • Mario Di Dio Busa dice:

        Grazie per la sua, vostra “pazienza”. E’ vero, sono una persona un pò dura di comprendonio, ma che cerca di usare nel miglior modo possibile quel poco intelletto che il Signore mi ha donato. Lei mi rimprovera di confondere “colpa” con “peccato”. Mi perdoni ma io non vedo alcunchè, nel mio post che permetta di affermare ciò! E’ lei, invece, confonde il reato di omicidio (legge umana) con il peccato (legge divina) e si spinge ad affermare che una donna che abortisce commette un peccato gravissimo ma non un “omicidio” ovvero la soppressione di una vita umana ad opera di un altro essere umano. Il che fa pensare che lei sia convinto che il “feto” non sia “uomo”. Spero di sbagliare e di aver male interpretato quanto da lei affermato. L’aborto per legge (in Italia) purtroppo non è reato (se compiuto nelle “dovute” forme”) ma resta un “omicidio” secondo la legge divina (per me anche secondo quella umana) ed infatti lei stesso afferma che è peccato gravissimo! Altrimenti perchè dovrebbe essere “gravissimo”? In fraternità di Cristo

        • Padre Ariel
          Ariel S. Levi di Gualdo dice:

          Caro Mario.

          Per inciso, prima di ricevere una formazione teologica ho ricevuto una approfondita formazione giuridica, pertanto conosco e pratico sia il lessico giuridico sia quello teologico, il tutto per poco che possa interessarle e soprattutto per poco che possa servire a dissuaderla da affermazioni gravemente errate che lei torna a riproporre imperterrito nei suoi commenti.

          Anzitutto, si è mai chiesto i danni immani che possono recare alla Chiesa, dinanzi ai non-credenti ed alle persone che verso il Cattolicesimo nutrono astio, dei soggetti come lei?

          Premesso questo la invito a rispondersi da solo, visto quanto sia ormai avvezzo a ribadire con espressioni dottrinalmente scorrette alle indicazioni da me date a lei secondo tutta la migliore correttezza dottrinaria.

          E la domanda alla quale lei deve rispondersi è la seguente: dove, in quale passo delle Sacre Scritture ed in quale atto del Magistero della Chiesa, l’aborto è definito come un “omicidio”?

          Al n. 51 della Costituzione pastorale sulla Chiesa Gaudium et spes, l’aborto è definito come “delitto abominevole”.
          Ora, lei sa la differenza che corre tra un “delitto” e un “omicidio”?

  3. ettore dice:

    Prendendo spunto dal suo Post Scriptum, duole constatare che – a distanza di oltre due settimane dalla pubblicazione dell’Amoris laetitia – la Congregazione ed il suo (finora ritenuto) “autorevole” prefetto non abbiano ancora “proferito” parola. Evidentemente l’esortazione è parecchio complessa e, dovendo conciliare le molteplici, differenti, opposte letture, sono richiesti necessariamente tempo, raziocinio e prudenza.

  4. Mario Di Dio Busa dice:

    d. Ariel lei afferma che “Il Regnante Pontefice ha scelto di mantenere la norma stabilita dal Santo Pontefice Giovanni Paolo II al n. 84 della Familiaris consortio,..” ove è scritto ” «La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia. ” ed avanti “…. quando l’uomo e la donna, per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – non possono soddisfare l’obbligo della separazione, “assumono l’impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi”; impegno che non mi sembra venga richiesto in AL. in modo così definitivo come nella FC. Aggiungo che, a mia conoscenza, esistono vari livelli di Magistero ed una Enciclica ha valore impegnativo ben maggiore di una Esortazione Apostolica. Sbaglio? In fraternità di Cristo.

    • Padre Ariel
      Ariel S. Levi di Gualdo dice:

      Caro Mario.

      Purtroppo, dalla prima all’ultima parola, lei conferma tutto quello che io ho scritto in riferimento ai teologi ed ai canonisti improvvisati.
      Cosa questa che le dico con autentico affetto pastorale e senza vena polemica alcuna.
      Prova n’è il fatto che la Familiaris consortio da lei citata, non è affatto «una Enciclica» avente come tale «un valore impegnativo ben maggiore», perché la Familiaris consortio, scritta in tempi, in anni ed in una società completamente diversa da quella di oggi (anno 1981, per l’esattezza 35 anni fa) è una esortazione apostolica, come può lei stesso verificare sotto, esattamente come lo è la Amoris laetitia.

      http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/apost_exhortations/documents/hf_jp-ii_exh_19811122_familiaris-consortio.html

      • Mario Di Dio Busa dice:

        Preso in flagrante e superficiale affermazione!
        Però, quanto lei afferma, significa forse che la dottrina deve adeguarsi al momento storico? Non credo, pur non essendo nè canonista e neppure teologo (sarei un misero millantatore!)
        Lei mi dirà, ma la dottrina non è stata toccata! Allora perchè esiste tanta confusione (vogliamo chiamala “incertezza”?) sulla corretta interpretazione ed applicazione dei “suggerimenti pastorali” dati dal Papa? Come è possibile proseguire sulla strada del “chi sono io per giudicare” lasciando spazio a chiunque di interpretare, come gli pare, la parola del Papa? E che dire della Veritatis Splendor (questa si, Enciclica!) ai nn 67 e 68? Inoltre che dire sulla corretta applicazione dei comandamenti “negativi” , del Primo e del Nuovo Testamento, che, come afferma Mons. Shneider (anch’egli “successore degli apostoli”) “Se Dio ha detto: “Non commetterai adulterio”,… nessuna autorità umana potrebbe dire: “in qualche caso eccezionale o per un fine buono tu puoi commettere adulterio”?
        Lo potrebbe il successore di Pietro?
        Fraternamente suo in Cristo.

        • Padre Ariel
          Ariel S. Levi di Gualdo dice:

          Caro Mario.

          Nessuno ha benedetto e nessuno potrà mai benedire l’adulterio.
          Ciò che non ci capisce, o che meglio molti non voglio capire, è questo: da sempre, la morale cattolica, tratta con molta cura e prudenza la materia del peccato, tanto siamo consapevoli che pure dinanzi a peccati oggettivamente molto gravi, vi sono circostanze legate allo stato umano, interiore, psicologico del peccatore, che possono rendere un peccato in sé e di per sé gravissimo, molto meno grave di quanto di fatto è.

          E queste situazioni sono molte, variamente legate soprattutto alla volontà della persona, ma spesso anche a situazioni e condizioni esterne alla persona stessa.

          Ciò che molti non vogliono capire è che queste, per così dire, “attenuanti”, che la morale cattolica di sempre applica da sempre a tutti i casi, sono applicabili anche al caso dei divorziati risposati.

          Nel mio precedente articolo, ho portato l’esempio di un aborto; e tutti sappiamo quanto sia grave questo peccato. Eppure, in quel caso specifico, la colpa della donna era molto attenuata da tutta una serie di circostanze sia interne a lei sia esterne a lei.

          Il Sommo Pontefice, come ha magistralmente spiegato il Padre Giovanni Cavalcoli nel suo articolo, non ha dichiarato che l’adulterio è lecito, non ha benedetto come accettabile la situazione dei divorziati risposati; e non ha detto neppure che certi singoli e/o coppie non vivano nel peccato; ha detto e spiegato che non possiamo presumere che esse vivano in uno stato di peccato permanente. Perché, presumere questo, comporterebbe quasi il rischio di presumere di leggere la coscienza dell’uomo, che Dio solo può leggere e giudicare.

          Lei seguita a porre delle domande, alle quali potendole adesso rispondere le rispondo, ma se lei ha la pazienza di leggere i nostri articoli, scoprirà per incanto che al loro interno si trovano le risposte alle domande che lei seguita a porre.

          E infine, tanto per chiarire: la frase del Santo Padre “Chi sono io per giudicare”, gettata in questo contesto, è ingenerosa e fuorviante, perché citata appunto al di fuori di ogni corretto contesto.

          Con quella frase, il Santo Padre – come più e più volte abbiamo spiegato – ha espresso questo ovvio e corretto concetto cattolico, riferito in quel caso ai Gay: “Chi sono io per giudicare la profonda coscienza di un uomo, che Dio solo può leggere e giudicare?”.

          Trasformare quella frase in: “Chi sono io per giudicare un gay”, quindi presumere che il Santo Padre abbia detto in pratica “gay è bello”, non è serio e non è onesto.

          Poi, che il Santo Padre non si esprima bene in italiano, che lanci a volte mezze frasi dando per scontato che chiunque ne capirà il senso vero, che parli a braccio o che si lasci intervistare dai giornalisti, questa è cosa a mio parere non opportuna; e più e più volte l’ho affermato, detto e scritto.

          • Mario Di Dio Busa dice:

            Carissimo d. Ariel, non era mia intenzione decontestualizzare una frase pronunciata dal S. Padre per “fargli dire” ciò che non ha detto. Però sappiamo tutti le reazioni, meglio le interpretazioni, che si sono scatenate nel mondo LGBT per giustificare l’ingiustificabile, partendo proprio da quella frase. Semplicemente mi sono permesso di mettere in rilievo che sarebbe opportuno sempre e dovunque usare di quella virtù che si chiama prudenza, dalla quale neppure il Papa è esonerato.
            Venendo poi al tema della colpa è evidente che il livello, non di colpa, perchè una colpa o è tale o non lo è, ma di responsabilità è diverso a seconda del livello di perseveranza nella stessa che dà la misura della misura della colpevolezza o meno. Mi sento di poter affermare che un peccato è tale o non lo è. Non è possibile che lo sia solo se si è consapevoli di compierlo. Se una donna “uccide” il bimbo che è nel suo grembo commette sempre un omicidio anche se è inconsapevole. Un/una adultero/a è sempre tale se vive con un’altra donna che non sia sua moglie. Ad entrambi la misericordia di Dio quando sarà il momento del Giudizio. Il Signore perdoni noi tutti per le nostre colpe!
            Fraternamente…

          • Padre Ariel
            Ariel S. Levi di Gualdo dice:

            … eppure abbiamo cercato di spiegarci al meglio delle nostre sacerdotali e teologiche possibilità, il buon Padre Giovanni e io!
            Mi dica, che cosa devo farle, una catechesi sulla coscienza umana e sul peccato?
            Siccome, come lei ben capisce, non posso farla in questo spazio, la rimando al Catechismo della Chiesa Cattolica, invitandola a non confondere il “peccato” con la “colpa”, perché non sempre, chi pure commette un peccato, è oggettivamente in colpa, per esempio quando manca la conoscenza (per esempio l’ignoranza inevitabile) la volontà, il deliberato consenso …

            E passando di confusione in confusione lei afferma:

            «Se una donna “uccide” il bimbo che è nel suo grembo commette sempre un omicidio anche se è inconsapevole».

            Una donna che abortisce commette un peccato gravissimo, un peccato mortale che potrebbe seriamente compromettere la salute eterna della sua stessa anima, ma non commette un omicidio. Commette un crimine, ma non un omicidio.
            La figura di reato dell’omicidio ricorrerebbe se – per esempio – lei uccidesse me, ma non se sopprime/uccide un feto.

            Come vede, parole e concetti usati male, inducono a non capire, in modo particolare chi non è disposto a recepire e quindi capire ciò che tutto sommato abbiamo spiegato con chiarezza in molti articoli.

          • Vincent Vega dice:

            Scusate ma perché non è stato pubblicato il mio ultimo post? Buona giornata.

          • Padre Ariel
            Redazione dell'Isola di Patmos dice:

            Caro Vincent.

            Le assicuriamo che noi noi abbiamo ricevuto il post al quale lei fa riferimento. Se però l’ha conservato, ce lo mandi che lo inseriamo.

  5. Alessandro B dice:

    Grazie! Devo dire che prima di leggere questa pagina avevo criticato Papa Francesco per quello che vedevo come una sua mancanza di coerenza (come si puo’ affermare una dottrina e poi lasciarla cambiare nella pastorale, caso per caso, a seconda di come uno la vede..). Ma ora, ho capito meglio anche grazie alle altre pagini e spiegazioni contenute nel sito. Meglio sentire chi se ne intende, perché da comune fedele é davvero difficile capire queste cose. Quello che dite ha senso. Ho capito soprattutto il carisma dato da Gesù a Pietro e quindi la particolarità di essere Papa. Un Papa che mi lascia basito in certe sue esternazioni a volte,ma con il quale in (molte) altre concordo in pieno. Non so comunque cosa ne verrà fuori per la Chiesa sul lato pratico. La confusione é grande, mi pare.

  6. Gianluca Bazzorini dice:

    Il “Potere delle chiavi”, così come è stato esposto da Cavalcoli e Ariel, è una contraffazione ed un abuso di ciò che significa realmente. E’ un’altra dimostrazione del fatto che si vuole mettere l’uomo ad di sopra di Dio fino al punto che è l’uomo stesso a stabilire ciò che è bene e ciò che è male. Cavalcoli ed Ariel danno l’assenso a Bergoglio che questi possa stabilire che il male (concedere la Comunione ai divorziati) possa diventare bene. Utilizzano la “foglia di fico” del “potere delle chiavi” per poter sovvertire l’ordine stabilito da Dio. Questo cosa è? …… se non orgoglio satanico?

    • Padre Ariel
      Ariel S. Levi di Gualdo dice:

      Sig. Bazzorini,

      nell’ultima risposta eravamo rimasti d’accordo che lei avrebbe pregato e fatta penitenza attraverso sacrifici corporali per chiedere alla grazia di Dio la conversione degli eretici Giovanni Cavalcoli e Ariel S. Levi di Gualdo.
      Noto invece che, anziché dedicarsi a questo pio esercizio per la salvezza delle nostre anime, continua a perdere tempo inviando commenti per spiegare che siamo delle anime dannate.

      Lo capisce che senza la sua preghiera e il suo silenzio penitente, per noi rischia di non esserci salvezza?

  7. atanasio dice:

    Caro padre Ariel lei è invece l’esempio della superbia incarnata, dei cuori duri e chiusi di cui parla così spesso il Santo Padre. Io, premettendo in tutta umiltà di non essere né un teologo né un moralista, le ho posto degli interrogativi che sinceramente mi turbano e ai quali per ora non ho trovato risposta. Se lei è, come dice di essere, “un pastore in cura di anime e un teologo” prendo nota del suo ignorare la prima opera di misericordia spirituale: insegnare agli ignoranti. Io so benissimo di essere ignorante, tuttavia una testa ce l’ho e cerco di usarla, e mi spiace che lei dall’alto della sua cattedra liquidi i dubbi e le perplessità di chi, meno sapiente di lei, in un momento di così grande confusione nella Chiesa, domanda.

    • Padre Ariel
      Ariel S. Levi di Gualdo dice:

      Lei non ha posto affatto degli interrogativi, ci ha inviato, come ho precisato nella precedente risposta, un testo di 6.800 caratteri corrispondente a quattro fogli A4 nei quali ha sproloquiato sprezzo verso i Padri Sinodali, verso il Sommo Pontefice ed i suoi atti di magistero, accusando gli uni e gli altri di avere tradito il dogma e la dottrina. E tutto questo non è stato formulato affatto come “domande”, ma come suoi giudizi lapidari, stolti e lesivi, che per questo motivo io non ho pubblicato.
      O vuole che di questo ne dia prova ai lettori pubblicando tutto il suo testo integrale?

      Per quanto riguarda questo suo ultimo commento, mi dica: da come lei scrive e dai contenuti dei suoi scritti, dal modo in cui lei aggredisce i sacerdoti e dal modo irrispettoso attraverso il quale lei si rapporta ai sacerdoti, ivi inclusi giudizi dati alla loro coscienza – posto che Dio solo può leggere la coscienza dell’uomo -, chi sarebbe “l’ignorante” al quale “insegnare”, quindi pronto ad “apprendere” secondo la prima opera di misericordia, forse lei?

      Abbia perlomeno il comune senso del ridicolo e legga, non dico quello che scrivo io, ma legga perlomeno quello che scrive lei.

      Per quanto riguarda le risposte che lei cerca: il mio articolo, che lei non ha letto, o che ha letto con gli occhi accecati dall’ideologia soggettiva, contiene le risposta chiare e precise ai suoi quesiti, ed in esso si indicano i passi della Sacra Scrittura, la costituzione dogmatica di un concilio ecumenico, i Padri della Chiesa, il magistero della Chiesa, il Diritto Canonico, le dichiarazioni e le esortazioni apostoliche.

      Se lei non sa leggere, o non vuole leggere, questo è un grosso limite suo che io non posso sanare con alcuna opera di misericordia, posto che l’opera di misericordia da lei richiamata, richiede l’apertura alla grazia da parte sua, non certo la sua ermetica chiusura.

  8. Giorgio M.G. Locatelli dice:

    L’iocentrismo è un male diffuso un po’ in tutte le discipline e i risvolti della vita umana, diventa però davvero vergognoso, se non odioso, nella Dottrina Cattolica, Verità di Dio, quando qualcuno dopo aver letto un paio di libri e spesso nemmeno quelli, tipo il totem di certi sedicenti tradizionalisti, il “Commento al Catechismo di San Pio X del Dragone” che è un ottimo libro senz’altro ma non certo esaustivo, pretendono di mettersi in cattedra come veri pontefici ad, appunto, pontificare utilizzando tali testi alla lettera…
    e tutto quello che non trovano nelle righe del Dragone diventa pura eresia o nel migliore dei casi ambiguità da rigettare a priori…

    Non aggiungo altro perchè qualcuno con tale modus operandi ci scrive anche libri zeppi di vere corbellerie, non capendo che la Verità non è un insieme di nozionistica, rubata magari dal Denzinger, giustapposta alla belle e meglio e interpretata col libero esame dei protestanti per piegare le parole della Chiesa alla propria congettura personale, ma un CORPUS che deve essere, oltre che correttamente studiato, compreso nel suo insieme nella Misericordia e Giustizia divina ma specialmente nella piena Grazia di Dio. Grazia che è impossibile avere, come ha spiegato Padre Ariel, quando non si è in comunione con la Chiesa ed il Papa. Comunione necessaria e vitale per la nostra anima e per comprendere lontani dagli influssi diabolici quello che sta avvenendo.

  9. Paolo dice:

    A questo punto mi sorge una domanda…
    Mettiamo che il futuro pontefice, un Francesco II diciamo, ammettesse al Sacramento del matrimonio persone con tendenze omosessuali… sarebbe nel suo potere?
    Potrebbero quindi essere celebrati matrimoni cattolici tra due uomini o tra due donne?

    • Padre Ariel
      Ariel S. Levi di Gualdo dice:

      … e potrei, io, celebrare Sante Messe gregoriane di suffragio per l’anima del chihuahua di una vecchia nobildonna britannica che mi ha dato 10.000 euro di offerta?

      Vede, mio caro, quando si fanno esempi accademici basati su ipotesi assurde, la logica da seguire è questa: più l’esempio è assurdo e più deve essere in sé e di per sé intelligente e convincente.
      Così ha funzionato per secoli nei grandi dibattiti teologici dei Padri della scolastica.
      In caso contrario, non si offende in alcun modo l’interlocutore, ma si offende solo se stessi.

      • Padre Ariel
        don Ciro dice:

        Ariel caro … carissimo! Ti prego: ricordati di me, se hai delle committenti del genere.
        In questo momento io ho i conti della parrocchia in rosso, se però tu mi trovi qualche nobile inglese così generosa, io le messe di suffragio per l’anima del suo cagnolino gliele celebro anche per 3.000 euro soltanto.

        P.S. ti aspetto sempre a Napoli, non darmi buca come l’ultima volta.

      • Paolo dice:

        Chissà se un secolo fa avessero ipotizzato ad un teologo e pastore d’anime la venuta di un pontefice che avrebbe concesso l’Eucarestia a chi vive come marito (o come moglie) senza però essere sposato (cosa che Francesco non ha fatto ma che sarebbe nel suo potere).

        Probabilmente quel teologo e pastore d’anime avrebbe risposto nel suo stesso modo.

        Ciò detto, non capisco più dove si trova il limite e allo stato attuale non mi sembra assurdo neanche il suo esempio, si figuri.

        Quindi ribadisco e amplio: dato quel che pensa sull’omosessualità il grande teologo domenicano, il cardinale Schönborn, forse futuro prefetto della CDF, non è così impossibile immaginare un futuro Francesco II, un mons. Tagle per fare un nome, che decide di concedere il sacramento del matrimonio a persone dello stesso sesso. Sarebbe nel suo potere?

        • Padre Ariel
          Ariel S. Levi di Gualdo dice:

          Caro Paolo.

          Quando si gioca sui paradossi – cosa che io faccio di frequente – o quando si usa una iperbole, bisogna essere più che mai credibili.
          Anzitutto, il Cardinale Schönborn, non ha mai benedetto e santificato l’omosessualità, ha parlato dell’accoglienza delle persone con tendenze omosessuali, della loro non-discriminazione … cosa che peraltro la Chiesa fa non certo da oggi, ma da secoli.

          Il matrimonio alle persone dello stesso sesso non può essere concesso perché contrario alla legge divina e alla legge naturale.

          • Paolo dice:

            Intanto la ringrazio per le risposte.

            Mons. Schönborn si è anche spinto un po’ più in là, elogiando una coppia di uomini conviventi per “come si sono aiutati quando uno di loro è caduto gravemente malato” (intervista al CdS). La carità verso i malati è sempre una cosa buona, ci mancherebbe, però è abbastanza chiaro il fine dell’affermazione.

            Quindi il matrimonio omosessuale non potrà mai essere concesso, così come non può essere concesso un secondo matrimonio a chi è già sposato con un’altra persona.

            Immagino, di conseguenza, che il Sommo Pontefice potrebbe dare la possibilità agli omosessuali conviventi di ricevere l’Eucarestia.

            A questo punto mi fermo, sono d’accordo col fatto che si dà troppa importanza al sesto comandamento, anche in relazione al fatto che sono i primi tre ad essere più frequentemente trasgrediti.

          • Padre Ariel
            Ariel S. Levi di Gualdo dice:

            Caro Paolo.

            Lei stesso capisce che il paragone tra divorziati risposati e coppie dello stesso sesso “sposate”, non può reggere.
            Nel primo caso, siamo infatti in una dimensione praeter naturam, nel secondo caso siamo in una dimensione grave, anzi gravissima contram naturam.

            Ciò non vuol dire che gli omosessuali debbano essere allontanati a calci, molti di loro hanno un profondo sentimento cristiano, a prescindere dal loro stato di vita in parte molto delicato e in parte molto grave proprio nel rapporto con lo stato e la condizione di peccato.

            Io non ho mai avuto problemi, a livello pastorale, né con gli omosessuali né con i transessuali, diversi dei quali partecipano con profonda devozione alle mie sacre celebrazioni eucaristiche, ovviamente senza avvicinarsi all’Eucaristia.

            Pastoralmente parlando, di problemi ne ho avuti invece quando ideologi del gender e promotori dell’omosessualismo hanno cercato di portare le loro ragioni inaccettabile e soprattutto immorali, quindi la loro ideologia e la loro propaganda all’interno della chiesa; in quel caso li ho proprio allontanati, una volta li ho letteralmente sbattuti fuori.

            Tutti questi distinguo sono di rigore per un pastore in cura d’anime, chiamato a curare i malati e non certo i sani, partendo sempre dal principio che, i primi malati, siamo spesso noi, basti solo pensare alle ben poco morali gesta di molti di noi preti.

  10. Gianluca Bazzorini dice:

    Quello che scrivono Cavalcoli ed Ariel sono eretiche farneticazioni di persone che hanno fatto la loro scelta ed è quella di stare con il “principe di questo mondo” e quindi nemici di Cristo, in quanto le loro ottenebranti elucubrazioni sono tutte tese a rendere il peccato un “diritto” della persona. E’ l’esaltazione blasfema dell'”io” al posto di Dio, è il grido di satana del “non serviam”. Il motivo per cui Dio ha permesso l’ascesa di un vicario dell’anticristo (Bergoglio) è ora chiarissima: il tempo dell’ipocrisia è finito e siamo tutti chiamati ad una scelta radicale a favore o contro Cristo; i “falsi Cattolici” intruppati da decenni nella Chiesa devono essere scoperti.

    • Padre Ariel
      Ariel S. Levi di Gualdo dice:

      Grazie Sig. Bazzorini.

      A maggior ragione il Padre Giovanni Cavalcoli ed io confidiamo nelle sue preghiere, unite semmai a sue mortificazioni corporali e alle sue penitenze, per domandare e ottenere dalla grazia di Dio la nostra conversione e quindi la salvezza delle nostre anime ormai in marcia verso la dannazione eterna.

  11. ClaudioLXXXI dice:

    Don Ariel,
    sono un semplice laico senza pretese di scienza infusa. Scrivo non per criticare ma per capire.

    La sua analogia dell’assegno bancario è molto bella ed utile. Ma la banca di emissione garantisce davvero copertura illimitata? A me sembra che un limite implicito vi sia: il principio di non contraddizione, cui la stessa onnipotenza divina si conforma. Non serve dilungarsi sulla differenza tra il falso dio creduto dai maomettani, un puro arbitrio che vuole e disvuole a piacere, e il vero Dio adorato dai cristiani, che è Logos. Basta richiamare Ratisbona.
    Ma se Dio stesso è per sua natura legato alla ragione, ecco allora che un limite c’è, e il Vicario non può superarlo. Il potere delle chiavi è “assoluto” nel senso che lei scrive “legato al concetto di assolutezza fondante della fede”, ma non è “assoluto” nel senso di “illimitato”. Pietro non può cambiare la dottrina, non può revocare i dogmi, non può contraddire oggi ciò che ha detto ieri. Perché Cristo non specifica questi limiti nel Vangelo? L’unica risposta a cui posso pensare: perché sono ovvii.

    La ringrazio dell’attenzione e la ricordo nelle mie preghiere

    • Padre Ariel
      Ariel S. Levi di Gualdo dice:

      Sì, sono ovvi.
      E infatti, ovviamente, nulla di questo nella storia della Chiesa Pietro ha mai fatto.
      Non a caso ho spiegato che

      «quella del Papa eretico e apostata è una ipotesi meramente canonica; ipotesi che nella storia della Chiesa non si è mai verificata, tanto meno con conseguente destituzione del Romano Pontefice».

      A questo si aggiunga che nel corso della storia della Chiesa, quando al di fuori dei grandi concili ecumenici dogmatici alcuni Sommi Pontefici hanno proclamato dei dogmi, non si sono certo svegliati un mattino proclamando un dogma il pomeriggio, ma hanno “dogmatizzato”, o per così dire “suggellato”, delle verità di fede che come tali erano già state assunte da secoli, sia dalla dottrina sia dalla pietas, si pensi solo ai dogmi mariani.

      Nella storia della Chiesa abbiamo avuto Sommi Pontefici che come uomini sono stati a volte corrotti, simoniaci, immorali, libertini … eppure, proprio alcuni di costoro, incluso Alessandro VI – che è figura del tutto diversa dalla leggenda nera su di lui creata – all’occorrenza sono stati degli splendidi difensori della dottrina, senza mai fare abuso del potere delle chiavi, del potere di legare e sciogliere, in ambito dottrinario.

  12. Padre Ariel
    Don Stefano Bellobuono dice:

    Caro fratello.
    Se c’è una cosa che a te e a padre Giovanni Cavalcoli va riconosciuta, è la vostra incessante meticolosa ricerca dell’equibrio. Non siete a destra e non siete a sinistra, non parteggiate per Tizio e non parteggiate per Caio … cercare la verità, cercate di spiegarla e cercate di trasmetterla.
    Questo però implica, come tu scrivesti tempo fa, di dover prendere spesso le bastonate da destra e da sinistra.
    Credo che questo tuo articolo meriti di essere definito magistrale, e spero tanto che molti confusi lo leggano da cima a fondo, e che molti altri, pronti a capire solo le proprie ragioni, capiscano ciò che di fondamentale stai dicendo … stai dicendo “tu sei Pietro”, e spieghi cosa voglia dire “la pietra sulla quale edificherò la mia chiesa”.

  13. atanasio dice:

    Si pubblica solo una piccola parte del commento
    La redazione

    ______________________

    Caro padre Ariel,

    lei continua ad insistere sul fatto che sia nelle facoltà della Chiesa mutare le norme sulla disciplina sacramentale permettendo anche ai divorziati risposati che non vivono castamente di ricevere la Santa Eucarestia […]

    • Padre Ariel
      Ariel S. Levi di Gualdo dice:

      Caro Atanasio.

      Lei ci ha postato in quattro commenti un testo che corrisponde a 6.800 caratteri, in pratica quattro fogli formato A4.
      Premesso che io faccio il prete e che non vivo certo su internet, mi sono limitato a prendere solo le sue due prime righe, alle quali rispondo addolorato in questi termini: lei è la prova, amara e frustrante, per un pastore in cura di anime e per un teologo, di quanto sia inutile perdere tempo ed energie per spiegare ciò che non pochi soggetti, a monte, si rifiutano a priori di capire.

      Potrei risponderle con una certa irritazione che “io non prendo lezioni di teologia da lei”, e sbatterle in faccia uno dietro all’altro tutti i grossolani errori dottrinali di cui è infarcito il suo logorroico commento.

      Invece non le rispondo così, anzi la ringrazio per avermi messo nella condizione di capire ancora meglio la perfetta umanità del Verbo di Dio fatto uomo quando provava dolore e amarezza dinanzi a coloro che non solo, non volevano ascoltare la sua parola, ma la travisavano, la alteravano, cercavano di trovare nei suoi discorsi appigli per attaccarlo …

      Possa il Signore avere pietà dei cattolici come lei.

      • nonsonobigotto dice:

        Caro Padre Ariel, fa bene ad affermare che il popolo di Dio e’ disorientato ma provi a chiedersi chi ne e’ la causa, lasci stare la sua preparazione che molto spesso sfocia in superbia specie quando attacca i “canonisti improvvisati” e si chieda perché da più’ di tre anni non fanno altro che arrivare ( a centinaia…). dichiarazioni e comportamenti appositamente ambigui che stanno di fatto dividendo la Chiesa. Lei chiede argomentazioni rigorosamente teologiche ed io non posso dargliele ma sappiamo entrambi che il Signore e’ Signore degli ignoranti e degli umili che sono proprio quei “canonisti improvvisati” che evidentemente Lui ha scelto in questo tempo percependo che i “sapienti” lo avrebbero tradito! E’ quello che penso ( e per questo glielo dico) di tutti coloro i quali anziché difendere cio’ che Cristo ha detto perdono tempo ad attaccare coloro che invece lo fanno, mostrando peraltro una preparazione che poi di fatto e’ proprio causa della loro ignoranza … e che ignoranza! Su una cosa pero’ sono d’accordo: ” ubi Petrus, ibi Ecclesia “, MA SI RICORDI CHE ABBIAMO DUE PAPI IN VATICANO anche se so che a tal proposito sfoggera’ ” ARGOMENTAZIONI RIGOROSAMENTE…

        • Padre Ariel
          Ariel S. Levi di Gualdo dice:

          Caro lettore.

          Lei ha offerto ai lettori dell’Isola di Patmos conferma di ciò che da sempre io sostengo sulla base di quella esperienza sacerdotale pastorale che lei – volendo o non volendo – non può invece avere. E l’esperienza mi insegna questo: è molto più facile convertire al Vangelo un ateo, anziché uno che presume, come lei, di essere un credente.

          Lei non ha capito un emerito piffero di quello che pur in modo chiaro ho scritto, però pensa di poterne discutere, umoralmente e aggressivamente, in toni peraltro insultanti.

          Le ricordo, per inciso, che il munus docendi, l’ho ricevuto io; e non l’ho ricevuto per “cultura” o per “diploma”, ma l’ho ricevuto attraverso un Sacramento di grazia che si chiama Sacramento dell’Ordine.

          Impari dunque, anzitutto, l’arte del rispetto, non dico della persona, ma perlomeno del Sacramento indelebile ed eterno che ha segnato questa persona rendendola partecipe al sacerdozio ministeriale di Cristo.

          E che Dio possa avere pietà dei soggetti come lei!

    • Padre Ariel
      Don Andrea dice:

      Il problema, Atanasio, è che non solo lei capisce quello che vuole capire, ma non legge proprio quello che padre Ariel ha scritto:

      A chi mi ha domandato in modo secco: «Tu daresti l’Eucaristia ai divorziati risposati?». Ho risposto: «No. E non solo non gliela do, ma presto anche attenzione al fatto che non si presentino a riceverla. Se però il Romano Pontefice stabilisse diversamente – cosa che, come abbiamo visto, grazie a Dio non ha fatto – io non posso e non devo negarla, perché non stabilisco io la disciplina dei Sacramenti; perché non sono io munito da Cristo Dio del potere di legare e di sciogliere».

      Quindi mi unisco anch’io alla invocata pena del mio confratello su di lei.

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