Se il Demonio che osò tentare persino Cristo Signore riesce a prenderci nell’ambizione, può fare di noi ciò che vuole

L’Angolo di Girolamo Savonarola: omiletica cattolica in tempi di vacche magre

SE IL DEMONIO CHE OSÒ TENTARE PERSINO CRISTO SIGNORE RIESCE A PRENDERCI NELL’AMBIZIONE E NELLA VANITÀ, PUÒ FARE DI NOI CIÒ CHE VUOLE 

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Se il Demonio riesce a prenderci nel punto debole dell’ambizione e della vanità può fare di noi ciò che vuole e ottenere quel che brama sin dalla notte dei tempi: che ci prostriamo dinanzi a lui e che adorandolo lo chiamiamo Signore, semmai dopo avere detto, dinanzi al male che a volte pare quasi soffocare la Chiesa stessa: «… ma chi me lo fa fare di mettermi contro i potenti e prepotenti accoliti del Demonio? A che serve farsi la vita amara, quando per vivere tranquilli, dentro la Chiesa di oggi, basta solo non vedere, non parlare e soprattutto farsi sempre e di rigore gli affari propri?».

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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo.

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Laudetur Jesus Christus !

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Gerico, il Monte della Quarantena o Monte della Tentazione di Gesù Cristo

Nella pagina del Vangelo di questa Iª Domenica di Quaresima [vedere testo della Liturgia della Parola, QUI] siamo di fronte a un paradosso: è veramente accaduto che il Demonio abbia tentato Dio Incarnato, il Verbum caro factum est? Può essere che il Demonio ha tentato di colpire Dio nella sua umanità, fingendosi ignaro di quanto Gesù fosse divino nella sua umanità e umano nella sua divinità?

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Gli accecati dalla superbia e dal delirio di onnipotenza partono sempre sopravvalutando al massimo se stessi e sottovalutando gli altri, per questo sono destinati alla sconfitta. Può essere che non cadano nell’immediato, ma cadranno inevitabilmente al primo cambio di stagione, con l’appassire dei fiori di campo.

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Nel Vangelo delle tentazioni, verrebbe da pensare che il Demonio sopravvaluti se stesso e sottovaluti Dio. Nei primi secoli della Chiesa, con la ragione siamo riusciti a cogliere e definire il mistero rivelato della Persona di Cristo: due nature in una persona, quella umana e quella divina. Grazie alle menti e alla sapientia cordis dei grandi Padri della Chiesa nei primo otto secoli di storia del Cristianesimo si giunse a definire il mistero della Persona di Cristo, che anzitutto richiedeva la creazione di appropriate terminologie, assunte attraverso lemmi attinti dalla filosofia e dal lessico greco, modulate e applicate alla nostra prima grande speculazione teologica: riuscire prima a percepire e poi a definire cosa anzitutto s’intendeva, con le parole «In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio … » [Gv 1,1]. Introdotti per mezzo dell’intelletto al mistero del Cristo vero Dio e vero Uomo, la ragione deve cedere il passo alla fede [Cf. S.S. Giovanni Paolo II, Enciclica Fides et Ratio], perché il problema non è più né lessicale né filosofico. Quando si apre il portale della fede che va oltre l’umana logica, la ragione deve cedere il passo ad altre categorie, per esempio al dono della percezione deposto in ogni uomo dai doni di grazia dello Spirito Santo. Con la ragione umana dobbiamo leggere le righe di questo Vangelo, con la fede, frutto della nostra libertà benedetta dalla grazia di Dio, dobbiamo penetrarle, perché parola dietro parola siamo prima introdotti e poi portati ad avvertire quanto reale e perfetta fosse la natura umana di Gesù.

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Parte di questo ineffabile mistero è racchiuso anche in un’altra realtà: quanto in Gesù — vero Dio e vero Uomo — la perfezione divina potesse coesistere con la fragilità umana; perché è del tutto evidente che il Demonio non tenta il Cristo-Dio, ma il Gesù-Uomo, cercando di colpire le fragilità della sua umanità perfetta. Il Demonio tenta di corrompere la perfezione divina di questa umanità come in passato corruppe la nostra umanità originariamente creata come perfetta da Dio.

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Dunque il Demonio punta a quelle tenere e umane fragilità che lo stesso Gesù mostrerà a una a una nel corso della sua intera esistenza, durante la quale piange [cf. Gv 11, 35] e si commuove profondamente [cf. Gv 11, 33], è emotivamente turbato [cf. Gv11, 33], soffre e avverte paura per la morte: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice. Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà» [Lc 22, 41-42]. Gesù sceglie di non rispondere all’autorità quando è interrogato [cf. Mt 27, 12] e mentre è accusato, anziché replicare si mette a scrivere con un dito per terra [cf. Gv 8,6], in modo a dir poco provocatorio. Si ribella ripetutamente all’ingiustizia perpetrata in nome di Dio dai potentati religiosi del tempo e lo fa anche con parole dure, a tratti volutamente offensive, per esempio chiamando «razza di vipere» degli zelanti religiosi osservanti [cf. Mt 12, 34], devoti più alla tradizione che al Verbo di Dio; e li apostrofa ripetutamente «ipocriti» [Mt 23, 13-29]. Non págo di questo, posto che nella lingua di Gesù chiamare ”razza” o “stirpe” di vipere era offensivo non solo per l’interessato ma anche per il suo intero albero genealogico, reputa opportuno rincarare la dose chiamandoli anche «serpenti» [Mt 23, 33], ben sapendo che nella cultura ebraica dell’epoca — e non solo in quella ebraica — il serpente era il simbolo del male. Si infiamma di passione e in tono grave afferma e accusa che sulla cattedra di Mosè sono seduti ipocriti che non fanno quel che predicano [Mt 23, 1-3], equipara molti zelanti ecclesiastici dell’epoca ai «Sepolcri imbiancati», premurandosi di precisare quanto queste tombe siano belle fuori ma piene di putrido marciume dentro [cf. Mt 23, 27]. Non esita ad arrabbiarsi e a menare le mani, o per l’esattezza le funi [cf. Mt 21, 12-13. Mc: 11, 11-15. Lc 19, 45-46]. Gesù è pervaso di dolore e forse di intima delusione quando si volge a un suo apostolo con un drammatico quesito: «Giuda, con un bacio tradisci il figlio dell’uomo?» [Lc 22, 48]. Riguardo a quest’ultima frase due sarebbero le cose alle quali dovremmo prestare attenzione, anzitutto la domanda posta in forma interrogativa che troviamo anche nella versione greca originale, tanto per dire quanto non sia una formulazione né una traduzione casuale: Gesù rivolge una domanda al traditore rimanendo in attesa di una risposta, che però non giungerà mai, perché di prassi i traditori non rispondono, perché sono per loro diabolica natura codardi; perché la forza procede da Dio, la debolezza dal Demonio. Ecco perché l’uomo di Dio è intelligente, mentre l’uomo del Demonio è solo furbo. E mentre oggi seguitiamo a commentare l’episodio e la figura di Giuda, non sempre ci poniamo il vero quesito drammatico: quanto ha sofferto l’uomo Gesù dinanzi al tradimento di Giuda? O forse, più ancora che per il tradimento, per la mancata risposta da parte sua? Ecco, proviamo solo a pensare quanti oggi, anche nelle più alte gerarchie della Santa Chiesa, si rifiutano di rispondere a Cristo Signore che seguita a interpellarli attraverso la voce, spesso di profondo dolore, dei devoti Christi fideles e dei fedeli Sacerdoti.

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In queste gesta, azioni e parole è racchiusa e manifesta l’umanità di Gesù, che prosegue all’occorrenza a chiamare tutti noi, suoi moderni sacerdoti, dottori della legge e zelanti religiosi ripiegati nell’idolatria delle forme e delle tradizioni umane, coi titoli di nostra legittima spettanza: razza di vipere … ipocriti … serpenti … sepolcri imbiancati … Parole attuali ieri, ma forse ancóra di più oggi. Per questo, quando la Liturgia della Parola ci obbliga a predicare alcuni di questi brani evangelici, lo facciamo sempre parlando al passato, come se la razza di vipere, gli ipocriti, i serpenti e i sepolcri imbiancati non fossimo noi, ma solo i membri di alcune correnti religiose del Giudaismo dell’epoca gesuana, ormai morte e sepolte nella storia.

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Queste parole accese di passione, talvolta anche pedagogicamente aggressive, riassumono il mistero storico della concreta umanità e del virile πατος gesuano, che se non raccolto e penetrato renderà impossibile giungere alla perfetta comunione col Cristo della fede: il Dio incarnato, morto e risorto.

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L’uomo Gesù non può essere mutato in un ibrido santino de-virilizzato coi piedi sollevati da terra e gli occhi stravolti al cielo, perché ciò reca offesa, anzi: ciò è una bestemmia contro la sua umanità e la sua divinità. Per leggere questo brano sulle tentazioni bisogno quindi partire dal dato di fede che il tutto è realmente accaduto, che non si tratta di una parabola o di una allegoria; quindi concentrarsi sulla concreta umanità storica, fisica e palpabile del Verbo Divino: l’uomo Gesù. 

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La prima tentazione che il Demonio rivolge è l’invito a mutare le pietre in pane, alla quale Gesù risponde con una frase tratta dal libro del Deuteronomio: «Non di solo pane vivrà l’uomo» la cui prosecuzione è «… ma da ogni parola che esce dalla bocca di Dio» [Dt 8,3]. Siamo dinanzi alla tentazione dell’immediato, del tutto e subito in modo concreto e superficiale, mentre invece la nostra concretezza è ciò che esce dalla bocca di Dio, perché quello solo è un pane di vita che porta frutto e nutrimento eterno, costasse anche soffrire una vita intera, posto che dinanzi alla beatitudine eterna la vita umana è soltanto un soffio, ed in questo soffio merita vivere anche il dolore salvifico [cf. S.S. Giovanni Paolo II, Salvifici doloris], per pagare così il prezzo della nostra redenzione.

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La seconda tentazione è forse la più terribile: «Ti darò tutta questa potenza e la gloria di questi regni». È la tentazione che racchiude in se l’ambizione e il desiderio di dominio sugli altri. È la brama del comando, del governo inteso non come servizio ai fratelli e alle membra del Popolo di Dio, ma come potere per il potere che conduce al perfetto capovolgimento diabolico: servirsi della Chiesa per scopi malvagi nella brama di essere qualcuno, o di «diventare un personaggio importante attraverso il sacerdozio» [Omelia del Sommo Pontefice Benedetto XVI per l’ordinazione di 15 diaconi, Basilica Vaticana IV Domenica di Pasqua, 7 maggio 2006], meglio attraverso l’episcopato, meglio ancóra attraverso il cardinalato; anziché servire la Chiesa con amore e vedendo sempre in essa il Corpo palpitante di Cristo, la nostra sposa mistica verso la quale noi corriamo incontro con la passione degli sposi innamorati nel giorno delle nozze, come raffigura l’Evangelista Giovanni attraverso la poetica delle sue pagine.

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Se il Demonio riesce a prenderci nel punto debole dell’ambizione e della vanità può fare di noi ciò che vuole e ottenere quel che brama sin dalla notte dei tempi: che ci prostriamo dinanzi a lui e che adorandolo lo chiamiamo Signore, semmai dopo avere detto, dinanzi al male che a volte pare quasi soffocare la Chiesa stessa: «… ma chi me lo fa fare di mettermi contro i potenti e prepotenti accoliti del Demonio? A che serve farsi la vita amara, quando per vivere tranquilli, dentro la Chiesa di oggi, basta solo non vedere, non parlare e soprattutto farsi sempre e di rigore gli affari propri?».

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Per rivolgere all’uomo Gesù l’ultima disperata tentazione Satana si fa teologo, forse anche ecumenista, forse anche progressista politicamente corretto, semmai parlando in tedesco e in olandese anziché in aramaico. Satana principia a parlare con padronanza biblica come se fosse appena uscito dottorato in sacra teologia dalle nostre università pontificie: «Se tu sei Figlio di Dio, buttati giù; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordine per te, perché essi ti custodiscano”» [Lc 4, 9-10].Il Demonio, come diceva San Girolamo: «Scimmiotta Dio e vuole creare un’altra realtà» [L’esatta locuzione poi ripresa anche da Sant’Agostino è: Diabolus est simia Dei, il Demonio è la scimmia di Dio], perché egli è il maestro del capovolgimento; anche del capovolgimento della Parola di Dio usata in modo deviante per compiere azioni malvagie. L’uomo Gesù, che grazie a Dio non aveva mai studiato nelle nostre università pontificie e che per indole era politicamente scorretto, la Torah la conosceva meglio del Demonio, quindi replica senza esitare con un’altra citazione biblica: «Non metterai alla prova il Signore Dio tuo» [Dt 6,16]. E da questa frase emerge in modo chiaro un monito: l’uomo Gesù ricorda al Demonio che egli è sì vero uomo, ma anche vero Dio.

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Infine «Il diavolo si allontanò da lui …» leggiamo sul finire di questa pagina del Vangelo, che si conclude con la frase: «… per ritornare al tempo fissato», ossia per tornare da noi e tra di noi.

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Satana esiste oggi più di ieri. Non è un’immagine simbolica, non è — come lo definirono alcuni teologi degli anni Settanta, le cui teorie sono purtroppo tutt’oggi usate per formare i nostri futuri preti — «una raffigurazione mitica e allegorica delle antiche paure ancestrali dell’uomo». Satana esiste, è reale e vuole rubarci più che mai la nostra immagine e somiglianza con Dio; vuole rubarci il nostro stupore e il nostro amore di fronte a Dio incarnato morto e risorto, che nella sua unica persona racchiude la perfetta natura umana e la perfetta natura divina, insegnandoci a essere veri uomini per essere veri figli di Dio nel modo in cui Dio ci ha pensati, creati e amati prima ancora dell’inizio dei tempi.

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Dall’Isola di Patmos, 10 marzo 2019

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E disponibile il Libro delle Sante Messe per i defunti de L’Isola di Patmos [vedere QUI]

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3 commenti
  1. fabio
    fabio dice:

    Caro padre Ariel,

    volevo domandare: Satana e l’inferno quando ritornerà Cristo e verrà il giorno del giudizio universale scomparirà per sempre insieme ai dannati. oppure no? L’eternità dell’inferno è un dogma di fede, in inferno si va in automatico se si muore nel peccato mortale? o ci vuole proprio un ostinazione o disperare della salvezza come Giuda? Poi la figura di giuda è rivalutata dagli gnostici, ma cosa dice la dottrina dei padri della chiesa è in inferno vero? Mi piacerebbe un vostro parere.
    vi ringrazio

    • Padre Ariel
      Ariel S. Levi di Gualdo dice:

      Caro Fabio

      oggi le persone, pur avendo a disposizione mezzi elettronici e telematici che se ben usati sono anche delle straordinarie biblioteche, tendono ad andare ad abbeverarsi a scritti a dir poco strampalati in materia di dottrina e di fede, laddove abbonda di tutto: catastrofisti, millenaristi, rispolveratori delle più vecchie eresie, per non parlare dei teologi improvvisati …

      Le chiarisco: questo mio lamento non è rivolto a lei ed alla sua domanda del tutto pertinente, è rivolto in generale al pubblico numeroso che ci legge.

      Se lei prende il Catechismo della Chiesa Cattolica, nella parte in cui si parla della Professione di fede e del credo nella vita eterna [vedere QUI], troverà spiegata in modo dettagliata la dottrina sull’Inferno, che non è “a tempo” né è destinato un giorno a finire, ma è appunto eterno.

      L’Inferno “a tempo” o non destinato a essere eterno, è una antica eresia, la cosiddetta ἀποκατάστασις [apokatástasis]. Questa dottrina erronea fu diffusa da Origene il quale sosteneva che alla fine dei tempi sarebbe avvenuto un ristabilimento finale di tutta la creazione con la nascita di uno stato di beatitudine, posto che secondo lui, alla fine dei tempi, non avrebbero potuto sussistere due regni: quello di Dio e quello del Male, perché tutto si sarebbe infine riconciliato con l’amore. Nell’anno 553 la Chiesa condannò questa dottrina come eretica nel Concilio di Costantinopoli.

      Questa eternità va letta nell’ottica di quella che è la coerenza divina e di quello che è il dono della libertà e del libero arbitrio dato da Dio all’uomo sin dalla sua creazione.

      Anche se usiamo l’espressione “Dio manda all’Inferno” o “Dio condanna all’Inferno”, questa espressione rende sicuramente l’idea, ma da un punto di vista dottrinale e teologico è corretta fino ad un certo punto, nel senso che l’uomo, all’Inferno ci si condanna da sé stesso. Sarebbe pertanto più corretto dire che Dio lascia libero l’uomo di “scegliersi” o di “dannarsi” all’inferno, come lasciò i nostri antichi progenitori liberi di far entrare nella scena del mondo e dell’umanità la corruzione attraverso il peccato originale. L’Inferno, anche se per rendere l’idea è raffigurato come luogo, è uno stato dell’anima dovuto alla libera scelta dell’uomo. E in questo stato Dio rispetta per l’eternità sia la decisione dei demoni sia quella degli uomini che non vogliono essere in comunione d’amore con Lui. Questo è l’Inferno che comincia a divenire concreto dentro di noi sin da questa vita terrena.

      Per quanto riguarda Giuda Iscariota il discorso è tutt’altro che semplice e la vicenda non è munita di una risposta sicura. Mi spiego: nessuno di noi può conoscere il giudizio dato da Dio ad un’anima, inclusa la Chiesa. Pertanto possiamo ipotizzare o presumere che Giuda sia nell’Inferno per ciò che ha fatto e per come lo ha fatto, però non lo possiamo affermare, perché nessuno può averne la certezza, ciò comporterebbe infatti conoscere il giudizio dato da Dio. Noi abbiamo l’obbligo morale di dire a certi peccatori che con le loro azioni rischiano seriamente l’Inferno, ma nessuno di noi, dopo che costoro saranno morti in stato di peccato mortale, può decretare che siano sicuramente e indubitabilmente all’Inferno.

      A questo mio genere di risposta alcune persone hanno replicato che il tal mistico o la tal mistica ha visto, ha detto ed ha affermato che … A quel punto ho domandato se certe visioni di certi mistici o veggenti sono state per caso inserite dalla Chiesa tra i Vangeli sinottici ed il Vangelo di Giovanni o se sono state elevati a rango di magistero infallibile. Il tutto per tornare al discorso iniziale della gente che si abbevera alle sorgenti internetiche più inquinate …

      Noi sappiamo che Giuda è morto impiccato. La scienza ci dimostra che dal momento in cui un uomo si cala un cappio attorno al collo al momento della sua morte possono passare di media dai quattro a cinque minuti. In quattro o cinque minuti, tra l’anima di quel suicida e la grazia di Dio, che cosa può accadere? Qualcuno è forse in grado di conoscere e di stabilire in che modo, la grazia di Dio, ha cercato di salvare quell’anima?

      A provare ciò è il fatto che oggi la Chiesa non nega più i funerali alle persone morte suicide. Primo, perché molti di loro possono avere agito non per voluto e deliberato sprezzo verso la vita ma perché affetti da vari disturbi, incluse le varie e gravi forme depressive, non sempre individuate per tempo; ma soprattutto perché a nessuno è dato sapere se la grazia di Dio è non è intervenuta per salvare quell’anima e per concederle il dono del Purgatorio.

      La grazia di Dio cercherà sempre di salvarci sino all’ultimo respiro di vita, così come certi uomini possono respingere la grazia di Dio sino all’ultimo respiro di vita.

      • Filelleno
        Filelleno dice:

        Mi scusi don Ariel, a proposito delle visioni di Fatima, che cosa pensa? Come devono essere intese, dato che non rientrano nella rivelazione? In internet si trova il testo di una richiesta alla Congregazione per la Dottrina della Fede perché chiarisca il contenuto del terzo segreto (questo è il link: http://disputationes-theologicae.blogspot.com/2018/12/segreto-di-fatima.html).
        La ringrazio per l’attenzione e per qualunque chiarimento vorrà fornirmi.

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