Quale è la vera visibilità dell’autentico cristiano? Le imitazioni di Cristo

Omiletica dei Padri de L’Isola di Patmos

QUALE È LA VERA VISIBILITÀ DELL’AUTENTICO CRISTIANO? LE IMITAZIONI DI CRISTO

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Una certa umiltà ecclesiastica dal sapore di naftalina ci ha purtroppo abituati a ostentare una finta umiltà che – nel momento in cui cerca strategicamente l’ultimo posto – si aspetta la glorificazione e il prestigio tanto agognato. Con questa falsa umiltà, che purtroppo oggi nella Chiesa risparmia veramente pochi, c’è il serio rischio che si snaturi anche la virtù della carità. Infatti, quando la carità viene fatta per ostentare potenza e prestigio, ottenere favori, recepire guadagni fino ad arrivare alla speculazione si può star pur certi che non esiste più carità.

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Autore
Ivano Liguori, Ofm. Capp.

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portare la croce di Cristo

Questa XXII Domenica del tempo ordinario, ci riporta alla mente uno dei classici della spiritualità cristiana, L’imitazione di Cristo, in particolare nella parte in cui si ammonisce: «Ama nesciri et pro nihilo reputari» [ama essere non conosciuto e ritenuto niente (cfr. lib. I, cap. 2, v. 15)].

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Se pensiamo allo stile di vita che conduciamo oggi, anche come credenti, questo monito risuona del tutto irrazionale e anche un po’ offensivo. Nessuno ama infatti essere dimenticato, viviamo all’interno di un’epoca che pretende la visibilità insieme alla sottolineatura del proprio egocentrismo e della propria persona. Ormai, abbiamo valicato i limiti del narcisismo, ci siamo spinti oltre, forse verso un punto di non ritorno. 

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La liturgia di questa domenica ci soccorre in questa deriva dell’ego, attraverso l’insegnamento che Cristo impartisce ai farisei durante un pranzo [vedere Liturgia della Parola, QUI]. Il brano lucano interroga il credente proprio sulla tematica dell’umiltà fino a introdurre una bella riflessione sul modo di operare attivamente la carità senza nascondere secondi fini.

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L’umiltà è la virtù cristiana che più ci rende simili a Cristo, il quale «umiliò sé stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce» (Fil 2,8). Purtroppo, questa virtù non è di facile conquista se non diventiamo capaci di chiederla con forza allo Spirito Santo e se non adeguiamo i nostri i sentimenti, ai sentimenti che furono di Cristo Gesù durante la sua vita terrena.

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L’umiltà è una grazia che è necessario richiedere tutti i giorni poiché nessuno di noi può reputarsi immune dalla superbia, in virtù del fatto che il peccato originale è esplicitamente un peccato di superbia. Benché redenti da Cristo con il battesimo nella sua morte e risurrezione, la ferita del peccato originale ancora ci disturba proprio attraverso il nefasto vizio della superbia. E dalla superbia derivano a cascata tutti gli altri vizi e peccati.

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Lo stesso Demonio – personaggio ormai negato da una certa schiera di cristiani emancipati, nonché teologi adulti [vedere precedente articolo, QUI] – è il padre della superbia e la sua ribellione è originata dalla volontà di superare Dio e di prenderne il posto. Gesù nel Vangelo ci raccomanda di desiderare l’ultimo posto in quanto il nostro valore consiste non nella manifestazione di una potenza o di un prestigio mondano ma nel rapporto esclusivo con il Padre.

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Ricorda il Beato Padre Francesco nelle sue Ammonizioni:

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«Beato il servo, che non si ritiene migliore, quando viene lodato ed esaltato dagli uomini, di quando è ritenuto vile, semplice e spregevole, poiché quanto l’uomo vale davanti a Dio, tanto vale e non di più» [cfr. Ammonizioni XIX, FF 169]

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Per questo l’uomo è chiamato a farsi piccolo e ad amare sommamente questa piccolezza perché è lì che si nasconde il suo tesoro.

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Una certa umiltà ecclesiastica dal sapore di naftalina ci ha purtroppo abituati a ostentare una finta umiltà che – nel momento in cui cerca strategicamente l’ultimo posto – si aspetta la glorificazione e il prestigio tanto agognato. Con questa falsa umiltà, che purtroppo oggi nella Chiesa risparmia veramente pochi, c’è il serio rischio che si snaturi anche la virtù della carità. Infatti, quando la carità viene fatta per ostentare potenza e prestigio, ottenere favori, recepire guadagni fino ad arrivare alla speculazione si può star pur certi che non esiste più carità.

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Il contraccambio, secondo l’insegnamento del Regno, non è la moneta di scambio del discepolo e questo vale sia nelle realtà profane che in quelle sacre: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» [cfr. Mt 10,8].

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La carità che si concretizza nella cura del disagiato, del malato, del carcerato, del lontano, dello smarrito di fede, del confuso, del peccatore, dell’eretico, dell’apostata e via dicendo a seguire, sia gratuita e sollecita, priva di tanti ragionamenti che la tramutano in disciplina socio-psicologica. La carità cristiana parla solo di Dio, e Dio attraverso suo Figlio si è annientato sulla croce per insegnarci ad amare fino al dono totale di noi stessi. La teologia dell’umiltà e dell’ultimo posto coincide con il Calvario, una lezione difficile da mandare giù.

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L’ultimo posto è certamente un posto scomodo ma è il più sicuro avamposto del paradiso che l’uomo possa desiderare su questa terra.

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Cagliari, 31 agosto 2019

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