«Venha atrás de mim, Eu vos farei pescadores de homens ". E imediatamente eles deixaram as redes e o seguiram

Homilética dos Padres da ilha de Patmos

«VENHA ATRÁS DE MIM, FAREI QUE VOCÊS SE TORNAREM PESCADORES DE HOMENS". E SUBITO LASCIARONO LE RETI E LO SEGUIRONO

Come potremmo descrivere il regno di Dio proclamato da Gesù? A principal dificuldade é que Jesus nunca usou nenhuma definição para falar sobre isso. Em vez disso, ele usou parábolas e imagens, paragonandolo, per rimanere sempre al Vangelo di Marco che leggeremo quest’anno, a un seminatore che getta del seme in terra o a un granello di senapa e così via.

.

 

 

 

 

 

 

 

.

artigo em formato de impressão PDF

.HTTPS://youtu.be/4fP7neCJapw.

.

Lasciato alle spalle il passaggio nel Vangelo secondo Giovanni di domenica scorsa, il lezionario ci riporta a Marco, Who, terminata l’esposizione della trilogia comune ai sinottici (João Batista, Battesimo di Gesù e la prova nel deserto), riprende la narrazione dandoci un’indicazione temporale importante che apprendiamo dall’attacco del Vangelo di oggi.

«Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo». Passando lungo il mare di Galilea, ele viu Simone e Andrea, irmão da simone, enquanto lançam suas redes no mar; eles eram na verdade pescadores. Jesus disse-lhes:: «Venite dietro a me, Eu vos farei pescadores de homens ". E imediatamente eles deixaram as redes e o seguiram. Indo um pouco mais longe, vide Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedeo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui. (MC 1,14-20).

Scrive Marco che Gesù inizia a proclamare il regno di Dio «dopo che Giovanni fu arrestato» (MC 1,14 cf.. Além disso MT 4,12). Molti immaginano che la cronologia dell’inizio del ministero pubblico di Gesù si sia svolta così: da Galiléia, regione da cui viene, Gesù scende al Giordano per essere battezzato. Subito dopo, tentativa de, rimane quaranta giorni nel deserto per poi ritornare in Galilea. Ma deve invece essere passato più tempo e il punto di svolta, ciò che fa tornare Gesù in Galilea è rappresentato dall’arresto del Battista. Forse è in quel preciso momento che per Gesù giunge la consapevolezza che è ora di assumersi le sue responsabilità.

La voce che gridava nel deserto, poiché è stata messa a tacere, passa ora alla Parola che annuncia il regno. Questa interpretazione aiuta noi credenti nei momenti di difficoltà e sofferenza, come deve essere stato per Gesù l’arresto di Giovanni e ci fa proferire: bisogna fare qualcosa. È in tali situazioni che, se non vai tu, nessuno può andare al posto tuo. La chiamata che ora Gesù farà dei discepoli, l’ha vissuta in prima persona lui; il regno che annuncia l’ha visto arrivare per primo lui, anche nella dolorosa notizia che Giovanni non può più parlare.

Ma eccoci a una questione teologica importante. Come potremmo descrivere il regno di Dio proclamato da Gesù? A principal dificuldade é que Jesus nunca usou nenhuma definição para falar sobre isso. Em vez disso, ele usou parábolas e imagens, paragonandolo, per rimanere sempre al Vangelo di Marco che leggeremo quest’anno, a un seminatore che getta del seme in terra (MC 4,26) o a un granello di senapa (MC 4,31) e assim por diante. Il regno, diz Jesus, non solo è vicino, ma bisogna accoglierlo come fanno i bambini (MC 10,15) ed entrarci dentro, anche se non è così facile, soprattutto se si hanno molte ricchezze (MC 10,23). È presente, cioè qui o vicino, ma è anche futuro, come quello in cui Gesù berrà, junto conosco, il vino nuovo, altro vino rispetto a quello dell’ultima sua cena (MC 14,25). La teologia cristiana ha elaborato a proposito una formula, quella del «già» ma «non ancora», quasi un ossimoro che dice però come il regno possiamo già ereditarlo e viverci, anche se non è ancora compiuto. Non è ancora esteso a tutti gli uomini, mãe, come insegna il documento del Concilio Vaticano II A luz «è già presente in mistero» con la Chiesa (cf.. n. 5).

Nesse sentido Gesù si distingue dalle due principali concezioni sul regno che circolavano nel giudaismo del suo tempo. Egli infatti non ha inventato questa idea, già nota all’Antico Testamento (cf. 1Cr 28,5) e non l’ha applicata né a quel modo di pensare che vedeva il regno come una realtà «nazionalistica», tutta presente, da attuare magari ad ogni costo, né tanto meno alla concezione opposta, di tipo apocalittico, che vedeva il regno possibile solo come una realizzazione futura che negava il presente. Se vogliamo rintracciare questi due estremi nella storia dell’umanità, potremmo dire che il materialismo si è spesso fondato sull’illusione che tutto potesse risolversi qui, agora; ma dall’altra parte è facile riconoscere in certi movimenti spiritualistici la svalutano del presente, considerato in modo negativo.

Gesù ha invece usato l’idea di regno per dire anzitutto che è arrivato e quindi ci si può entrare. Ma per farlo bisogna cambiare mentalità, modo di ragionare e pensare; per dirlo con le parole di Gesù: «convertirsi» (MC 1,15). "Venha seu reino!», prega ancora la Chiesa, hoje, após dois mil anos. Il regno c’è già, ma deve ancora essere accolto come un dono e trovato lì anche dove si fatica a vederlo.

In conformità dunque con l’attesa escatologica giudaica, ma con la differenza decisiva però che non più di attesa si tratta, il Regno di Dio è l’effetto dell’evento messianico annunciato da Gesù e in lui presente. Il pieno dispiegamento della sua sovranità redentrice non si è ancora realizzato, ma il tempo della fine è giunto e dunque per parlare in modo appropriato non c’è più sviluppo storico, mas sim uma recapitulação de toda a história chamada a julgamento.

«È questo il contenuto dell’«evangelo di Dio» quale ci è sinteticamente riferito dalla tradizione più antica raccolta da Marco: «Il tempo è compiuto ed è vicino il Regno di Dio: converter, e credete nell’evangelo» (1,14-15). O que se anuncia aqui é o tempo (a kairos) de conclusão final, o advento prometido do Reino, a grande virada do mundo inaugurada por Jesus, cujo último ato com sua parusia está prestes a acontecer. Evidentemente qui non può essere il Gesù storico a parlare, bensì il Risorto predicato dall’evangelista, che segna con precisione il tempo della fine tra resurrezione e parusia, come un evento unico in cui tutto il tempo, tutta la storia si condensa, ivi compresa la vita stessa di Gesù. Para isso agora, ao contrário da escatologia judaica, occorre «fede nell’evangelo», isto é, em Jesus Cristo, no Messias, que está presente como quem veio e quem vem. Tutto dunque in forza di questa fede precipita e si concentra nel presente, non vi è più oscillazione tra passato e futuro, tradizione e attesa; ma solo l’ora attuale in cui il passato è redento e il futuro è solo desiderio del compimento: "Vem Senhor Jesus" (Ap 22, 20).[1]

Il Vangelo prosegue descrivendo la fretta di Gesù di portare ad attuazione la sua parola sul regno, perché “il tempo è compiuto”. Il concetto emerge molto chiaramente nel Vangelo di Marco, dove abbonda l’avverbio euthus (εὐθὺς), «subito», ripetuto decine di volte. Tale sollecitudine trova una prima applicazione nella chiamata dei quattro discepoli (vv. 16-20) e nell’episodio dell’insegnamento nella sinagoga di Cafarnao, accompagnato dalla liberazione di un indemoniato (próximo domingo). Jesus, con gesti e con parole, mostra davvero come il regno è arrivato, e lo dice: ai discepoli (appena chiamati a sé) e alla sua gente (nella sinagoga). Ecco che allora il regno può essere solo uno spazio in cui Dio è presente, Onde, precisamente, solo lui regna. Le altre potenze non possono fare altro che riconoscerne l’autorità («Io so chi tu sei: il santo di Dio» di MC 1,24) e sottomettersi.

I padri della Chiesa erano colpiti dal modo in cui Gesù chiamò i primi a seguirlo: rilevano che erano persone semplici e illetterate (Orígenes), che probabilmente avranno obiettato con la loro inadeguatezza (Eusebio); noi ci stupiamo anche del fatto che questi «subito» lascino le reti lo seguano (cf.. MC 1,18), ma soprattutto per il fatto che ancora oggi, depois de muitos anos, Gesù ancora «passi accanto» (MC 1,16) alle nostre situazioni, al nostro quotidiano, alle nostre reti, e ci inviti a seguirlo per stare con lui.

Ciascuno di noi viene chiamato lì dove si trova e ogni inizio ha sempre un prima che lo ha preparato su cui poi si innesta una novità, un cambiamento: come il seme che è stato seminato ha una forma diversa dalla pianta che poi germoglierà, così anche noi siamo presi dal Signore a partire dalle nostre storie e dal nostro oggi per far sviluppare quelle potenzialità di bene e di vita che sono racchiuse nel «piccolo seme» della nostra vita e che solo il Signore può dischiudere e trasformare con la forza e la fantasia del suo Spirito. A noi è chiesta l’attenzione alla sua voce che chiama, l’abbandono filiale e fiducioso alle sue parole, e la prontezza nel rispondere senza dilazioni nel tempo o attaccamenti al «già», a quel noto e conosciuto che ci rassicura ma anche rischia di bloccarci: «E subito lasciarono le reti e lo seguirono».

 

Do Eremitério, 21 Janeiro 2024

 

NOTA

[1] Gaeta G., A hora do fim, Qualquer, 2020

.

.

Caverna de Sant'Angelo em Maduro (Civitella del Tronto)

 

.

Visite as páginas de nossa loja livro WHO e apoie nossas edições comprando e distribuindo nossos livros.

.

______________________

Queridos leitores,
esta revista exige custos de gestão que sempre enfrentamos apenas com suas ofertas gratuitas. Aqueles que desejam apoiar nosso trabalho apostólico podem nos enviar sua contribuição pela maneira conveniente e segura PayPal clicando abaixo:

Ou se preferir, você pode usar o nosso
conta bancária em nome do:
Edições A ilha de Patmos

Agência n. 59 De Roma
IBAN:
IT74R0503403259000000301118
Para transferências bancárias internacionais:
Código SWIFT:
BAPPIT21D21

Se você fizer uma transferência bancária, envie um e-mail para a redação, o banco não fornece seu e-mail e não poderemos enviar uma mensagem de agradecimento:
isoladipatmos@gmail.com

Agradecemos o apoio que deseja oferecer ao nosso serviço apostólico.

Os Padres da Ilha de Patmos

.

.

.

.

.

Gabriele Giordano M. Scardocci
Da Ordem dos Pregadores
Presbítero e Teólogo

( Clique no nome para ler todos os seus artigos )
Padre Gabriel

Um domínio de caridade: "Rabino, onde você mora? Venha e veja"

Homilética dos Padres da Ilha de Patmos

UM MESTRE DE CARIDADE: "RABINO, ONDE VOCÊ MORA? VENITE E VEDETE»

Scriveva Isaac Newton «Più imparo, mais percebo quantas coisas não sei". Hoje parece que muitos não querem aprender mesmo tendo certeza e certeza de que sabem.

 

Autor:
Gabriele Giordano M. Scardocci, o.p.

.

artigo em formato de impressão PDF

 

 

 

Caros Leitores da Ilha de Patmos,

uno degli atteggiamenti più naturali che tutti abbiamo è quello della ricerca. Quando siamo bambini ci domandiamo spesso il perché delle cose. Crescendo troviamo poi delle risposte, e continuamente rinnoviamo questa nostra ricerca del senso della verità nelle cose. Scriveva Isaac Newton «Più imparo, mais percebo quantas coisas não sei".

Nel Vangelo di oggi Gesù ci mostra due uomini in ricerca e la via da seguire per trovare la risposta definitiva. La risposta è molto bella: andare con Lui e vedere dove dimora il Signore.

«Gesù allora si voltò e, osservando che [Giovanni e due discepoli] lo seguivano, ele disse-lhes: “Che cosa cercate?”. Eles responderam a ele: “Rabbì — che, tradotto, significa maestro — , onde você mora?”. Disse loro: “Venite e vedrete”».

Troviamo dunque una scena molto bella. Giovanni, Andrea e un altro discepolo di cui non sappiamo il nome si muovono seguendo Gesù. Lui se ne accorge e li interroga. Rispondono e così lo riconoscono come maestro e vogliono sapere dove abita. Ed è allora che Gesù li invita a venire e vedere.

È un dialogo vivido e forte fra i tre e Gesù. Il Signore con il suo sguardo umano divino coglie un cuore e una mente pronti a cercare la casa di Dio. Pronti a cercare quel luogo dove possono trovare la verità che schiude il loro mistero e quello di Dio.

Gesù è davvero maestro per loro perché in quanto figlio di Dio può condurre Andrea, Giovanni e l’altro discepolo ad una maestria, ad una conoscenza che diventa amore. Una conoscenza di Dio che gli permette di amare in modo concreto e pratico sé stessi e gli altri.

In questo incontro ci siamo anche noi. Potremmo dire che siamo simboleggiati da quel discepolo innominato. Quello senza nome è colui che ascolta e chiede a Gesù qual è la sua dimora oggi nel 2024.

Il Signore chiede a tutti noi di cercarlo innanzitutto nella Chiesa, eua sua dimora principale, perché in essa si vive e si celebra l’Eucarestia, cioè la presenza reale di Gesù in corpo, sangue, alma e divindade. Se seguiamo e vediamo Gesù nella Chiesa che celebra l’Eucarestia, e dunque ci rende partecipi attivamente nell’Incontro con Lui, tutti possiamo crescere anche nell’imparare la comunione con il prossimo. Porque, efetivamente, la seconda dimora dove possiamo incontrare Gesù oggi, è proprio il nostro prossimo. Tutti noi infatti siamo tempio dello Spirito Santo e tempio dell’Eucarestia. Perciò impariamo a guardare nel prossimo sofferente e bisognoso, quello stesso Gesù che ci chiede aiuto.

Così dobbiamo innanzitutto imparare ad ascoltare la voce di Gesù che oggi domanda ai nostri cuori “Cosa cercate?”. Domandiamoci se i nostri desideri sono santi, giusti e buoni, e davvero sentiremo il Signore invitarci a camminare sui sentieri dell’Eternità.

Chiediamo al Signore il dono di una ricerca che ci porti alla vita autentica, la vita in Lui e nella sua Chiesa, per diventare ricercatori della Luce Eterna.

 

santa maria novela em Florença, 14 Janeiro 2024

.

.

Inscreva-se em nosso canal Jordânia a clube teológico dirigido por Padre Gabriele clicando na imagem

 

OS ÚLTIMOS EPISÓDIOS ESTÃO DISPONÍVEIS NO ARQUIVO: WHO

.

Visite as páginas de nossa loja livro WHO e apoie nossas edições comprando e distribuindo nossos livros.

.

.

.

______________________

Queridos leitores,
esta revista exige custos de gestão que sempre enfrentamos apenas com suas ofertas gratuitas. Aqueles que desejam apoiar nosso trabalho apostólico podem nos enviar sua contribuição pela maneira conveniente e segura PayPal clicando abaixo:

Ou se preferir, você pode usar o nosso
conta bancária em nome do:
Edições A ilha de Patmos

Agência n. 59 De Roma
IBAN:
IT74R0503403259000000301118
Para transferências bancárias internacionais:
Código SWIFT:
BAPPIT21D21

Se você fizer uma transferência bancária, envie um e-mail para a redação, o banco não fornece seu e-mail e não poderemos enviar uma mensagem de agradecimento:
isoladipatmos@gmail.com

Agradecemos o apoio que deseja oferecer ao nosso serviço apostólico.

Os Padres da Ilha de Patmos

.

.

.

O divino provocador Jesus aos Apóstolos: "O que você está procurando??»

Homilética dos Padres da ilha de Patmos

O DIVINO PROVOCADOR JESUS ​​​​AOS APÓSTOLOS: "O QUE VOCÊ ESTÁ PROCURANDO?»

Questo primo incontro di Gesù coi suoi primi discepoli è un intreccio di sguardi e di testimonianze che convergono verso il Signore. O profundo mistério da sua pessoa começa a revelar-se, bem como os nomes dos primeiros seguidores. Tanto significativo dovette essere questo momento che ne conservarono anche l’orario: le quattro del pomeriggio, l’ora decima.

.

 

 

 

 

 

 

 

.

artigo em formato de impressão PDF

.HTTPS://youtu.be/4fP7neCJapw.

 

Nel Vangelo di questa II domenica del tempo ordinario vamos ler: «In quel tempo Giovanni stava con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, ele disse-lhes: "O que você está procurando??». Eles responderam a ele: «Rabbì – che, tradotto, significa maestro –, onde você mora?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro». (GV 1,35-42).

La Chiesa ha compreso l’unità dei tre misteri che hanno attinenza con la rivelazione di Gesù, e li ha legati già nell’antica antifona dei Secondi Vespri del giorno dell’Epifania:

«Tre prodigi celebriamo in questo giorno santo: oggi la stella ha guidato i magi al presepio, oggi l’acqua è cambiata in vino alle nozze, oggi Cristo è battezzato da Giovanni nel Giordano per la nostra salvezza, alleluia».

Quest’anno il terzo mistero che attiene alla manifestazione di Gesù è annunciato sempre tramite il Vangelo secondo San Giovanni, ma invece che l’episodio di Cana, la liturgia propone quello della prima manifestazione di Gesù ai discepoli, a seguito della indicazione di Giovanni Battista che lo definisce come «Agnello di Dio».

L’episodio evangelico si colloca al terzo giorno della settimana inaugurale del ministero di Gesù, settimana che culminerà nella manifestazione della sua gloria a Cana davanti ai suoi discepoli che «credettero in lui» (GV 2,11). Il testo offre la versione giovannea della chiamata dei primi discepoli narrata dalla tradizione sinottica, ma con differenze rimarchevoli. Giovanni presenta uno schema in cui è fondamentale la mediazione di un testimone che confessa la fede in Gesù e conduce altri all’incontro con lui: è così per Giovanni Battista nei riguardi di due suoi discepoli (1,35-39), per Andrea nei confronti di Simon Pietro (1,40-41), per Filippo che si rivolge a Natanaele. In particolare Giovanni Battista che, dopo una testimonianza negativa su di sé («Io non sono il Cristo») e una positiva su Gesù («Ecco l’Agnello di Dio»), rivela davanti a due suoi discepoli l’identità di colui di cui egli è stato il precursore e li conduce a farsi discepoli di Gesù. Colui che era stato inviato da Dio come testimone del Verbo «perché tutti credessero per mezzo di lui» (1,7) adempie così il suo mandato lasciando che i suoi discepoli diventino di Gesù, chiedendo che aderiscano a lui.

Che siamo di fronte alla manifestazione di un mistero è segnalato anche dallo “schema di rivelazione”, spesso usato dall’evangelista nella sua opera e che si può riassumere nelle tre fasi del vedere, dire e proferire l’avverbio: «Ecco». Il brano evangelico si apre, assim, con Giovanni che «fissa lo sguardo» (1,36) su Gesù e dice: «Ecco l’Agnello di Dio» e si chiude con Gesù che «fissando lo sguardo» (1,42) su Simon Pietro gli dice: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni, sarai chiamato Cefa – che significa Pietro». Lida com, in entrambi i casi, di uno sguardo intenso, un vedere in profondità, un discernere l’identità di una persona. La vocazione non è solo una chiamata come nei sinottici, ma anche uno sguardo come qui in Giovanni. Lo sguardo, come e forse più della voce è comunicazione e rivelazione. In Giovanni Il verbo più neutro è scorgere, βλέπειν (Blepein). Lo troviamo per la scena iniziale del battesimo al Giordano. Giovanni Battista scorge Gesù che viene a lui e dice: «Ecco l’agnello di Dio». Ma si nota già in questo episodio un passaggio dallo scorgere al contemplare (GV 1,32) e poi all’«ho visto» di GV 1,34, come in GV 14,9.

Alla forma verbale più completa arriviamo in GV 14,9, dove il verbo «vede­re» verrà usato al perfetto: έώρακα (Eoraka). Applicato a Gesù, descrive ciò che lo sguardo attento e stupito ha scoperto in lui e di cui si conserva nella memoria la scoperta. Possiamo osservare che ogni volta che Giovanni usa questo verbo «ho visto» (e ne conservo la memoria) Gesù viene riconosciuto come il luogo santo dove Dio si manifesta, il tempio della presenza divina, casa, ovvero la dimora in cui Dio stesso abita. In un tale contesto diventa chiaro il senso del versetto di Gv14,9: "Quem me viu tem visto o pai". Aver visto Gesù e conservarne la visione interiore nella memoria vuol dire riconoscere Gesù come il luogo di inabitazione del Padre, presente nel suo Figlio come in una dimora. Por causa disso, ritornando al brano evangelico di questa domenica, bisogna dire che in modo adeguato la versione rinnovata della Bibbia CEI del 2008 ha tradotto il v.38 con: «Rabbì dove dimori?» e non «dove abiti?» come era nella precedente versione, data la presenza del verbo μένεις (Menein) che riveste nel quarto Vangelo una importanza particolare. Il tema del dimorare corre, na verdade, come un filo rosso attraverso tutto il quarto Vangelo, arricchendosi progressivamente. Allargando lo sguardo all’insieme del Vangelo e provando a tirare le fila del nostro discorso possiamo affermare che lo stesso evan­gelista in 1,14 ci invita a comprendere che nell’uomo Gesù — il Verbo fatto carne «pieno della grazia della verità» in cui i testimoni hanno «contemplato la gloria dell’unigenito» — c’era un mistero, «insondabilmente nascosto» ma che ci viene manifestato «simbolicamente» (São Máximo o Confessor). È il mistero dell’«unigenito venuto da presso il Padre», che «è venuto a mettere la sua tenda in mezzo a noi». Così egli diventa la dimora del Padre (GV 14,10), il nuovo tempio della presenza di Dio (GV 2,21; cf.. GV 4,20-24). Un bellissimo brano di san Massimo il Confessore, sep­pur difficile, dice l’essenziale:

«Il Signore […] è diventato precursore di se stesso; è diventato tipo e simbolo di se stesso. Simbolicamente fa conoscere se stesso attraverso se stes­so. Cioè conduce tutta la creazione, partendo da se stesso in quanto si manifesta, ma per condurla a se stesso in quanto è insondabilmente nascosto».

Forse più intellegibile e nello stesso tempo mirabile è questa frase di Guglielmo di Saint-Thierry, l’amico di San Bernardo, che interpretò in senso spirituale e trinitario la domanda dei primi discepoli:

"Maestro, onde você mora? Vieni e vedi, disse Egli. Non credi che io sono nel Padre, e che il Padre è in me? Grazie a te, homem! […] Noi abbiamo trovato il tuo luogo. Il tuo luogo è il Padre; e novamente, il luogo del Padre sei tu. Tu sei dunque localizzato a partire da questo luogo. Ma questa localizzazione, che è la tua, […] è l’unità del Padre e del Figlio»[1].

Questo primo incontro di Gesù coi suoi primi discepoli è un intreccio di sguardi e di testimonianze che convergono verso il Signore. O profundo mistério da sua pessoa começa a revelar-se, bem como os nomes dos primeiros seguidores. Tanto significativo dovette essere questo momento che ne conservarono anche l’orario: le quattro del pomeriggio, l’ora decima. Così iniziamo a conoscere Andrea fratello di Simon Pietro, (1,42) che da Gesù riceve la vocazione a diventare «roccia» (questo significa «Cefa»), in mezzo ai suoi fratelli. Chi è l’altro discepolo che era insieme a Andrea? Possiamo ipotizzare che sia «il discepolo amato». Egli è colui che, presente alla croce di Gesù, vedendo Gesù morire come Agnello a cui non viene spezzato alcun osso (GV 19,33.36) «testimonia perché voi crediate» (GV 19,35), proprio come Giovanni Battista testimonia di Gesù, dopo averlo visto e indicato come Agnello di Dio perché tutti credano (GV 1,34.36.37). Il parallelismo tra GV 1,38 («Voltatosi Gesù e vedendo essi che lo seguivano dice loro») e GV 21,20-21 («Voltatosi, Pietro vede il discepolo che Gesù amava che seguiva … e dice a Gesù») mostra che accanto a Pietro, agli inizi della sequela e dopo la Pasqua, c’è, con ogni probabilità, il discepolo amato che ha seguito l’Agnello con fedeltà fin dagli inizi. E Pietro, mentre viene costituito pastore delle pecore del Signore e invitato nuovamente a seguire Gesù come pecora egli stesso (cf.. GV 10,4), riceve la rivelazione che la sequela dell’Agnello e il ministero pastorale trovano il loro esito nel dare la vita per le pecore, nel glorificare Dio con il martirio. Questa sarà la testimonianza di Pietro: nella morte di croce l’apostolo si troverà là dove è stato il suo Signore: «Se uno mi vuol servire mi segua e dove sono io, là sarà anche il mio servo» (GV 12,26).

Do Eremitério, 13 Janeiro 2024

 

NOTA

[1] GUGLIELMO DI SAINT-THIERRY, La contemplation de Dieu. L’oraison de Dom Guillaume, Paris, Ed. Du Cerf, 1959 (Cole. Sources Chrétiennes, n.61), 124-125.

.

.

Caverna de Sant'Angelo em Maduro (Civitella del Tronto)

 

.

Visite as páginas de nossa loja livro WHO e apoie nossas edições comprando e distribuindo nossos livros.

.

______________________

Queridos leitores,
esta revista exige custos de gestão que sempre enfrentamos apenas com suas ofertas gratuitas. Aqueles que desejam apoiar nosso trabalho apostólico podem nos enviar sua contribuição pela maneira conveniente e segura PayPal clicando abaixo:

Ou se preferir, você pode usar o nosso
conta bancária em nome do:
Edições A ilha de Patmos

Agência n. 59 De Roma
IBAN:
IT74R0503403259000000301118
Para transferências bancárias internacionais:
Código SWIFT:
BAPPIT21D21

Se você fizer uma transferência bancária, envie um e-mail para a redação, o banco não fornece seu e-mail e não poderemos enviar uma mensagem de agradecimento:
isoladipatmos@gmail.com

Agradecemos o apoio que deseja oferecer ao nosso serviço apostólico.

Os Padres da Ilha de Patmos

.

.

.

.

.

Gabriele Giordano M. Scardocci
Da Ordem dos Pregadores
Presbítero e Teólogo

( Clique no nome para ler todos os seus artigos )
Padre Gabriel

No senhorio de Cristo Rei do Universo sermos pequenos reis

Homilética dos Padres da Ilha de Patmos

NELLA SIGNORIA DI CRISTO RE DELL’UNIVERSO PER ESSERE PICCOLI RE

Scriveva Oscar Wilde: “O egoísmo não consiste em viver como nos agrada, mas em exigir que os outros vivam como nos agrada”

 

Autor:
Gabriele Giordano M. Scardocci, o.p.

.

artigo em formato de impressão PDF

 

 

Caros leitores da Ilha de Patmos,

si conclude l’Anno Liturgico, è il nostro ultimo dell’anno cattolico. L’anno liturgico si compie con una grande festa, quella di Gesù Cristo che è Re dell’Universo.

Oggi la monarchia non è più una forma di governo tipicamente adottata in tutto il mondo, dove invece si preferisce la repubblica. Per questo che la figura del “re” ci sfugge, se non forse per la recente incoronazione di Re Carlo d’Inghilterra. Gesù è Re dell’intero universo e delle nostre vite. Ma non come il Re d’Inghilterra, di Svezia o del Belgio. La sua monarchia non si esercita in un governo politico. È una monarchia d’amore che esprime il suo trono della gloria, la sua esposizione di massima visibilità nella croce; oggi questo trono di gloria si concretizza per noi, nella compassione di Gesù. Lo leggiamo all’inizio del brano del Vangelo di oggi:

"Quando o Filho do Homem vier na sua glória [...] siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra».

Qui l’immagine del re è accostata a quella del pastore. Efetivamente, il pastore, ha un ruolo anch’esso di governo all’interno del mondo della fattoria. Era un mondo e una cultura vicini all’immaginario in cui Gesù parla. Ecco allora che quelli alla destra sono i benedetti del Padre. Quelli alla sinistra no. Efetivamente, i benedetti del Padre, sono coloro che hanno accolto i poveri e i bisognosi nelle diverse situazioni di necessità che Gesù esprime. Mentre coloro che saranno nel fuoco eterno, non sono stati attenti e compassionevoli di queste povertà materiali e spirituali. Così Gesù ci mostra e ci chiede di imitarlo come Re nell’Amore concreto, nella carità operante, che Lui ha voluto fare nei confronti di tutte le persone che ha incontrato: Nicodemos, il cieco di Gerico, l’indemoniato di Gerasa e gli altri incontri. Tutte queste grandi opere il Signore le ha sempre compiute con un atto di compassione e tenerezza, con un cuore veramente umano e veramente divino. Un cuore piccolo cristologico per un grande amore.

Da questo viene per noi il fondamento delle opere di misericordia materiali e corporali. O Senhor, assim, ci chiede di seguire Lui, il nostro Re, nella vita cattolica proprio perché operiamo con un amore concreto e attento al prossimo cercando di guardalo con tenerezza. Cercando di guardare il prossimo come se fosse Gesù stesso che in quanto piccolo ci chiede questo servizio. Diventiamo piccoli re in Gesù piccolo re dell’Universo.

Ao contrário invece troviamo coloro che andranno nel fuoco eterno. Perché sono sfuggiti completamente alla logica dell’amore e della compassione. assim, i capri alla sinistra sono le persone chiuse nell’egoismo, nella dimensione dell’attenzione unica dei propri bisogni e delle proprie necessità. Il rischio che si corre quando si dimentica la pratica delle opere di misericordia è di non riconoscere più non solo l’altro, ma di non riconoscere la necessità di Dio nella vita. Ecco allora che i malvagi nel fuoco eterno sono coloro che non riconosco la centralità della Signoria di Dio nella vita, del Re dei re, sem o qual nada podemos fazer. La tensione all’egoismo è dunque una sostituzione, un incoronarsi da soli re pretendendo che l’Universo e Dio si prostrino a noi.

Scriveva Oscar Wilde: “O egoísmo não consiste em viver como nos agrada, mas em exigir que os outros vivam como nos agrada”.

Chiediamo al Signore di essere accolti al suo trono e alla sua monarchia d’amore, ed essere già da adesso testimoni che l’Amore autentico esiste, e si vive nella comunione del Padre, do Filho e do Espírito Santo.

Que assim seja!

santa maria novela em Florença, 25 novembro 2023

.

.

Inscreva-se em nosso canal Jordânia a clube teológico dirigido por Padre Gabriele clicando na imagem

 

OS ÚLTIMOS EPISÓDIOS ESTÃO DISPONÍVEIS NO ARQUIVO: WHO

.

Visite as páginas de nossa loja livro WHO e apoie nossas edições comprando e distribuindo nossos livros.

.

.

.

______________________

Queridos leitores,
esta revista exige custos de gestão que sempre enfrentamos apenas com suas ofertas gratuitas. Aqueles que desejam apoiar nosso trabalho apostólico podem nos enviar sua contribuição pela maneira conveniente e segura PayPal clicando abaixo:

Ou se preferir, você pode usar o nosso
conta bancária em nome do:
Edições A ilha de Patmos

Agência n. 59 De Roma
IBAN:
IT74R0503403259000000301118
Para transferências bancárias internacionais:
Código SWIFT:
BAPPIT21D21

Se você fizer uma transferência bancária, envie um e-mail para a redação, o banco não fornece seu e-mail e não poderemos enviar uma mensagem de agradecimento:
isoladipatmos@gmail.com

Agradecemos o apoio que deseja oferecer ao nosso serviço apostólico.

Os Padres da Ilha de Patmos

.

.

.

Nosso Senhor Jesus Cristo Rei do Universo: uma realeza baseada na caridade

Homilética dos Padres da ilha de Patmos

NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO RE DELL’UNIVERSO: UNA REGALITÀ ERETTA SULLA CARITÀ

Tanto splendida è questa pagina dell’Evangelo proclamata oggi nelle nostre chiese, que cada comentário parece estragar um pouco. Melhor deixar como está, simplesmente, ad indicare alle persone che la vita dell’uomo non è mai concepibile senza l’altro. Tragedia allora non sarà il conflitto, l’alterità, la differenza bensì i due estremi che negano questo rapporto: la confusione e la separazione

.

 

 

 

 

 

 

 

 

.

artigo em formato de impressão PDF

.HTTPS://youtu.be/4fP7neCJapw

.

 

In un breve ma celebre apologo por título Il Natale di Martin lo scrittore russo Lev Tolstòj1 raccontò di uomo, un ciabattino di nome Martin, che aveva misteriosamente incontrato il Signore nelle persone bisognose che durante la giornata erano passate davanti la sua bottega e citò espressamente la pagina del Vangelo di questa domenica.

San Martino dona parte del mantello al povero (dipinto, elemento d’insieme) di Bartolomeo Vivarini (SEC. XV)

La letteratura non è stata l’unica arte che questa mirabile pagina di Matteo ha ispirato, basti pensare agli affreschi del Buonarroti nella Cappella Sistina. Leggiamola:

"Naquela época, Jesus disse aos seus discípulos: “Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: "Vamos, benditos de meu Pai, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, Tive sede, e me destes de beber:, ero straniero e mi avete accolto, nua e você me vestiu, doente e me visitastes, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: "Homem, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, ou nu e te vestimos? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, você fez isso comigo". Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, longe de mim, amaldiçoado, o fogo eterno, preparado para o diabo e seus anjos, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, Tive sede e não me destes de beber, ero straniero e non mi avete accolto, nua e você não me vestiu, doente e na prisão e me visitastes ". Em seguida, ele vai: "Homem, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me. E eles vão: para o castigo eterno, i giusti invece alla vita eterna”».

Con il brano di oggi finisce non solo, per quanto riguarda la liturgia, l’anno liturgico in corso, che lascia il passo all’Avvento, ma anche l’insegnamento di Gesù nel Vangelo secondo Matteo. Subito dopo la nostra pericope infatti l’evangelista da inizio al racconto della passione, morte e risurrezione di Gesù, com estas palavras: «Terminati tutti questi discorsi, Gesù disse ai suoi discepoli» (MT 26,1). Gesù insegnerà d’ora in poi in un altro modo, soprattutto con i gesti e l’obbedienza al Padre nella prova suprema della croce. Per questa ragione è rivestita di particolare importanza la pericope di oggi, l’ultimo discorso fatto da Gesù in Matteo, senza contare, l’invito del Risorto a fare discepoli e a battezzare in 28,18-19, e le poche ma importanti parole dette durante la passione, a partire dall’ultima cena.

a propósito occorre anche dire che nonostante una prassi interpretativa consolidata che prende l’avvio dai Padri della Chiesa e che porta a definire la scena come il giudizio “universale”, a partire dal XVIII secolo vengono sottolineati i tanti e buoni indizi nel testo, non solo di tipo lessicale, per ritenere che anziché di un giudizio per tutta humanidade, il testo implichi, ao contrário, un giudizio solo per i pagani, ma non è possibile in questo contesto esplicitare questa interpretazione che richiederebbe troppo spazio.

La scena del giudizio è esclusivamente matteana, ed è costruita in modo magistrale, con l’uso di vari espedienti quali ad esempio la ripetizione, utili per la memorizzazione. Molti sono i confronti che possiamo fare con il linguaggio e la simbologia di stampo apocalittico correnti al tempo di Gesù che appaiono di volta in volta nella letteratura canonica ― Daniele e Apocalisse ― ma anche in quella apocrifa. Il dato originale, revolucionário, em vez de, la novità che apporta il discorso di Gesù è che lo stesso giudice, il Re, si consideri oggetto di tali azioni: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare», ou, «non mi avete dato da mangiare». Questo crea un effetto di sorpresa sia in quelli che gli hanno usato misericordia sia in quelli che gliel’hanno negata. Mentre nell’Antico Testamento il giorno del Signore è decretato da Dio stesso ed è quindi Lui l’unico che giudica, nella logica del Nuovo Testamento è Gesù, il Messia, che può intervenire in questo giudizio. Di conseguenza Dio compirà il giudizio, mas isso em paz avviene già nel modo in cui ci siamo rapportati al suo Figlio in questo mondo, al Gesù presente nei poveri che hanno avuto fame e sete e che sono stati assistiti o meno da noi. Ecco perché alla fine dei tempi, sarà Cristo, l’Agnello, a prendere in mano il libro della nostra vita, quello che nemmeno noi siamo capaci di leggere e comprendere fino in fondo, e ad aprirne i sigilli (cf.. Ap 5).

Colpisce poi che la grandiosa visione che abbraccia l’intera umanità si accompagni allo sguardo posato su ciascuno e, em particular, su quelle persone che normalmente sono le più invisibili: pobre, malati, prisioneiros, affamati, assetati, estrangeiros, ignudi. Non a caso il nostro testo li chiama «minimi» (vv. 40.45). La carità verso il bisognoso, il gesto di condivisione che è così semplice, Humana, diário, ao alcance de todos, crentes e não crentes, diviene ciò su cui si esercita il giudizio finale. L’esempio di Martino di Tours, secondo la narrazione agiografica di Sulpicio Severo2, è emblematico. Dopo aver diviso con la spada il suo mantello per coprire la nudità di un povero mendicante alle porte di Amiens, in un rigido inverno, Martino ebbe la visione in sogno di Cristo che gli diceva: «Martino, tu mi hai rivestito con il tuo mantello». Cristo è identificato con il povero, come nella nostra pagina evangelica.

Tanto splendida è questa pagina dell’Evangelo proclamata oggi nelle nostre chiese, que cada comentário parece estragar um pouco. Melhor deixar como está, simplesmente, ad indicare alle persone che la vita dell’uomo non è mai concepibile senza l’altro. Tragedia allora non sarà il conflitto, l’alterità, la differenza bensì i due estremi che negano questo rapporto: la confusione e la separazione3. Os outros, soprattutto se bisognosi, non costituiranno per me l’inferno quanto una benedizione: «Venite benedetti perché…». Due celebri pieces teatral, una di Sartre4 con all’interno la famosa espressione: "O inferno são os outros"; l’altra di Pirandello, Vestire gli ignudi5, che nel titolo fa diretto riferimento al nostro brano evangelico, ci hanno raccontano drammaticamente che non escludendo l’Altro dal proprio mondo il problema sarebbe facilmente risolvibile e l’inferno cesserebbe di esistere. Quegli autori hanno inteso, ao contrário, constatare l’impossibilità di un’esistenza che escluda l’Altro. In altri termini, l’enfer, c’est les autres, perché dall’alterità non si può uscire, ci si rende conto che l’Altro detiene il segreto del proprio essere e, enquanto, che senza l’Altro questo essere non sarebbe possibile.

Così il Signore Gesù, anche nell’ultimo suo discorso, ci ha sorpreso ancora una volta dando un nuovo significato alle ‘opere di misericordia’, già note nel giudaismo coevo, onde eles estavam, Mas, intese come una sorta di imitatio Dei, nel senso di un fare agli altri ciò che Dio stesso ha fatto per l’uomo. Non prevedevano invece che il giudice eterno si celasse dietro esistenze umilissime, disagiate e sconfitte. Nell’altro, nel fratello, c’è Gesù il quale aveva detto ai suoi discepoli: «Quem quer que te receba, me recebe, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato… Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, em verdade te digo: ele não vai perder sua recompensa ". Mentre ora estende questa visione all’intera umanitàpanta ta ethne, πάντα τὰ ἔθνη del v.22: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, você fez isso comigo". Perché come recita un antico inno adoperato nella liturgia del Giovedì Santo: «Ubi caritas et amor, Deus está lá».

Buona Domenica a tutti!

Do Eremitério, 25 novembro 2023

 

NOTA

[1] La rielaborazione di Tolstòj apparve per la prima volta anonima sulla rivistaRusskij rabocij” (L’operaio russo), não. 1 a 1884, com o título “Djadja Martyn” (Zio Martyn). Dentro 1886 il racconto, com o título “Dove c’è amore c’è Dio”, fu inserito in un volume edito a Mosca da Posrednik assieme ad altri otto, tutti con la firma di Lev Tolstòj

[2] Severo Sulpicio,Vita di Martino, EDB, 2003

[3] Michel de Certeaux, Mai senza l’altro. Viaggio nella differenza, 1983

[4] J.P. Sartre, Porta chiusa, Bompiani, Milão 2013

[5] Pirandello L., Maschere nude. vol. 5: Enrico IVLa signora Morli, una e dueVestire gli ignudi, Mondadori, 2010

 

 

Caverna de Sant'Angelo em Maduro (Civitella del Tronto)

 

.

Visite as páginas de nossa loja livro WHO e apoie nossas edições comprando e distribuindo nossos livros.

.

______________________

Queridos leitores,
esta revista exige custos de gestão que sempre enfrentamos apenas com suas ofertas gratuitas. Aqueles que desejam apoiar nosso trabalho apostólico podem nos enviar sua contribuição pela maneira conveniente e segura PayPal clicando abaixo:

Ou se preferir, você pode usar o nosso
conta bancária em nome do:
Edições A ilha de Patmos

Agência n. 59 De Roma
IBAN:
IT74R0503403259000000301118
Para transferências bancárias internacionais:
Código SWIFT:
BAPPIT21D21

Se você fizer uma transferência bancária, envie um e-mail para a redação, o banco não fornece seu e-mail e não poderemos enviar uma mensagem de agradecimento:
isoladipatmos@gmail.com

Agradecemos o apoio que deseja oferecer ao nosso serviço apostólico.

Os Padres da Ilha de Patmos

.

.

.

.

.

Deveríamos refletir mais sobre o pecado de perder tempo

Homilética dos Padres da ilha de Patmos

DEVEMOS REFLETIR MAIS SOBRE O PECADO DE PERDER TEMPO

Como você quiser entendê-los, já que todo conto parabólico está aberto a uma pluralidade de interpretações, os talentos continuarão sendo um dom gratuito que não pode ser guardado para si mesmo, nem se esconde, mas deve ser multiplicado. Eles revelam que Deus, mais que um mestre, ele se mostra um Pai para nós, filhos, e com o tempo oferece muitas dessas graças a cada um de nós e às nossas comunidades.

.

 

 

 

 

 

 

 

.

artigo em formato de impressão PDF

.HTTPS://youtu.be/4fP7neCJapw

.

Um presente pode ser oferecido por mil motivos, mesmo os não-nobres às vezes. Mas tem uma característica inconfundível ao seu lado: revela a identidade de quem oferece e de quem recebe. O Evangelho de Este Domingo apresenta um doador muito especial, que não concede um único presente, mas sim todo o seu bem. Vamos ler:

"Naquela época, Jesus contou esta parábola aos seus discípulos: «Acontecerá com um homem que, Indo viajar, ele chamou seus servos e lhes deu seus bens. A um ele deu cinco talentos, para outros dois, para outro, De acordo com a capacidade de cada um; então ele foi embora. Imediatamente aquele que recebeu cinco talentos foi usá-los, e ganhou mais cinco. O mesmo aconteceu com aquele que recebeu dois, ele ganhou mais dois. Aquele que recebeu apenas um talento, ele foi e fez um buraco no chão e escondeu lá o dinheiro do seu senhor. Depois de muito tempo o senhor daqueles servos voltou e quis acertar contas com eles. Aquele que recebeu cinco talentos apareceu e trouxe mais cinco, provérbio: «Senhor, você me deu cinco talentos; lá, Ganhei mais cinco”. "Boa, servo bom e fiel - disse-lhe o seu senhor -, você foi fiel no pouco, Eu lhe darei poder sobre muitas coisas; participe da alegria do seu mestre". Então aquele que havia recebido dois talentos aproximou-se e disse: «Senhor, você me deu dois talentos; lá, Ganhei mais dois”. "Boa, servo bom e fiel - disse-lhe o seu senhor -, você foi fiel no pouco, Eu lhe darei poder sobre muitas coisas; participe da alegria do seu mestre". Finalmente aquele que recebeu apenas um talento também apareceu e disse: «Senhor, Eu sei que você é um homem duro, que ceifam onde não plantaram e recolhem onde não espalharam. Fiquei com medo e fui esconder seu talento no chão: aqui está o que é seu". O mestre lhe respondeu: «Servo mau e preguiçoso, você sabia que eu colho onde não semeei e recolho onde não espalhei; você deveria ter confiado meu dinheiro aos banqueiros e assim, retornando, eu teria retirado o meu com juros. Então tire o talento dele, e dê ao que tem os dez talentos. Porque qualquer um tem, será dado e terá em abundância; mas para aqueles que não têm, até o que ele tem será tirado. E jogue o servo inútil lá fora, na escuridão; haverá choro e ranger de dentes". (MT 25,14-30).

Canção evangélica deste domingo acrescenta uma especificação ao significado de vigilância que já havia sido apresentado na parábola das dez virgens (MT 25,1-13). Lá, estar vigilante significava ser previdente, estar pronto, prepare-se, equipe-se com o que precisa, tendo em conta uma longa espera. Agora, na parábola dos talentos, a vigilância é especificada como atenção e responsabilidade na vida cotidiana e expressa como lealdade nas pequenas coisas ("você foi fiel em um pouco": MT 25,21.23).

Em primeiro lugar, vamos lembrar qual é a função da parábola. Esta forma de comunicação muitas vezes envolve o uso de linguagem hiperbólica, um cenário paradoxal, com exageros deliberados que podem até escandalizar pela violência envolvida. Isso nos afeta, Who, o castigo do servo mau. Mas o final também é surpreendente, como muitas vezes acontece em contos parabólicos fictícios, apresenta uma verdadeira reviravolta: o talento é tirado de quem só tem um e dado a quem já tem muitos. A questão surge no leitor: que mestre é aquele que se permite humilhar seu servo dessa maneira, que finalmente agiu com prudência?

Foi dito que a vigilância não diz respeito apenas à expectativa escatológica, mas afeta plenamente a relação com a vida cotidiana, com suas realidades cotidianas. A parábola de Mateus, que tem um paralelo um pouco diferente e mais complexo com Lucas 19,11-27, certamente está inserido num contexto escatológico - o v.30 coloca-o no horizonte do julgamento final: «Jogue o servo inútil na escuridão, haverá choro e ranger de dentes" - mas isso apenas reitera que este julgamento final está sendo preparado aqui e agora, nos dias atuais da história, algo que será mostrado em todas as suas evidências na parábola do Juízo Final (MT 25,31-46) próximo domingo. Aí aparecerá claramente a autoridade escatológica dos pequenos e dos pobres. O julgamento final será baseado nas ações de caridade e justiça realizadas a seu favor ou omitidas. O cotidiano revela-se assim como o lugar escatológico por excelência, porque é o tempo que nos é dado. Assim, a parábola após a distribuição de talentos[1] de forma personalizada, proporcional às capacidades dos destinatários, se desenrola entre o "imediatamente" (v.15) daqueles que os tornam lucrativos e depois de "muito tempo" (v.19) do retorno do mestre. Além disso, não parece importante, pelo menos nesta história, a quantidade de presentes recebidos, já que os dois servos trabalhadores, embora eles tenham recebido talentos em graus variados, no entanto, eles receberão a mesma recompensa. Em vez disso, o que importa é o tempo cuja duração traz à tona a verdade das pessoas, de seus comportamentos, dos seus bens e da sua responsabilidade. A passagem do tempo é reveladora; na verdade, os dois primeiros servos compreenderam imediatamente que era o primeiro grande presente do qual poderiam aproveitar e não o desperdiçaram jogando-o fora..

Deveríamos refletir mais sobre o pecado de perder tempo. Se o terceiro servo tivesse pensado nisso, ele teria aproveitado, porque no final a recompensa seria a mesma dos dois primeiros servos que receberam mais. Mas como foi dito acima, o presente é, bem como o tempo gasto, revelando os personagens desta parábola. O doador também, mesmo que Jesus inicialmente o esconda atrás de um homem anônimo (v.14), é claramente Deus quem mais tarde será chamado de 'Senhor' (Kyrie, Senhor Deus v.20.22.24). Só Ele é capaz de dar de presente todas as suas coisas [2], de forma preventiva e inesperada, especialmente para destinatários que, embora empreendedores, ainda são servidores. Alguns Padres da Igreja queriam ver por trás do dom dos talentos o da Palavra de Deus, em memória da parábola da boa semente que dá fruto segundo o solo que encontra. Irineu de Lyon, morreu em 202 DC, ele viu ali o dom da vida, concedida por Deus aos homens. Como você quiser entendê-los, já que todo conto parabólico está aberto a uma pluralidade de interpretações, os talentos continuarão sendo um dom gratuito que não pode ser guardado para si mesmo, nem se esconde, mas deve ser multiplicado. Eles revelam que Deus, mais que um mestre, ele se mostra um Pai para nós, filhos, e com o tempo oferece muitas dessas graças a cada um de nós e às nossas comunidades. A capacidade de reconhecê-los e fazê-los frutificar é a qualidade dos servidores destemidos que também sabem correr riscos.

O ponto da parábola mas não é de natureza económica, isto é, na capacidade de obter lucros do investimento de capital, porque a recompensa, nesse sentido, deveria ter sido proporcional ao mérito e tamanho dos ativos acumulados. Em vez disso, concentra-se em agir instantaneamente e não permanecer inerte no tempo determinado. Levando em conta que o mestre-Senhor voltará e pedirá razão («ele expõe o motivo» traduz a Vulgata) de como os servos terão agido. Eles descobrirão que aos seus olhos o que contava era a bondade e a fidelidade na ação e o que parecia muito era na verdade muito pouco comparado à recompensa: "Boa, servo bom e fiel - disse-lhe o seu senhor -, você foi fiel no pouco, Eu lhe darei poder sobre muitas coisas; participe da alegria do seu mestre".

A parábola torna-se assim um convite aos discípulos e para que as comunidades não fiquem imóveis e encantadas diante das dificuldades dos tempos atuais, pronto para agir a qualquer momento, conscientes dos dons recebidos e que este que nos é dado é o momento propício. Os desafios que coloca e as novas condições culturais não devem nos assustar ou fazer-nos ficar felizes apenas com o que já está feito ou intoxicados pelo ativismo como um fim em si mesmo. A parábola pede consciência aos cristãos, responsabilidade, audácia e acima de tudo criatividade, todas as realidades condensadas em palavras: seja bom e fiel.

Finalmente nos perguntamos primeiro porque o mestre, protagonista da parábola, ele tratou tão mal o terceiro servo. O que chama a atenção nesta história é justamente a ideia que o servo tinha dele. Embora os dois primeiros servos não precisassem pensar sobre isso, quase como se fosse automático para eles que, se o proprietário lhe der um presente, ele deve ser imediatamente rentável, o outro servo desenvolve sua própria ideia, poderíamos dizer que sua teologia, que bloqueia sua ação, porque a ideia do medo o domina. Preso nesta imagem que ele tem de seu mestre, a de um homem duro e pretensioso, apesar de ter à sua disposição o grande dom de um talento, não consegue confiar nele. E este será o seu verdadeiro drama.

Sua inação ele será julgado de forma paralela aos bons e fiéis, mas tão mau e preguiçoso. Se ele tivesse pelo menos aberto uma conta poupança, teria recebido a receita de juros, mas ele preferiu enterrar seu presente e por isso, quando não há mais tempo para agir, na hora do julgamento, será entregue ao choro e ao ranger de dentes, uma expressão bíblica que indica o fracasso da vida de alguém[3].

Fé que funciona é importante no vocabulário do primeiro Evangelho. Jesus fala da fé daqueles que acreditam nele para serem curados, a do centurião (8,10), do paralítico (9,2), da mulher com hemorragia (9,22), dos dois cegos (9,29), della Cananea (15,28), e encoraja seus homens, nunca foi criticado por ter “pouca fé”, ter mais (cf.. 6,30).

Nossa parábola poderia, portanto, significar algo sobre acreditar ou não acreditar em Deus no tempo intermediário que separa o julgamento. O terceiro servo, mal, ele não tem mais fé, ele perdeu com o tempo: ele esqueceu que o que lhe foi confiado tinha que ser investido para que desse frutos para o mestre, mas também a seu favor: tornou-se, portanto, inútil (v.30). Que a parábola trata do dom da fé, também pode ser deduzido indiretamente de outro texto do Novo Testamento, onde São Paulo diz que este presente é misteriosamente personalizado, assim como na parábola que Jesus conta:

«Pela graça que me foi dada, Eu digo a cada um de vocês: não se valorize mais do que o apropriado, mas avaliem-se com sabedoria e justiça, cada um segundo a medida de fé que Deus lhe deu" (RM 12,3).

Para concluir poderíamos nos perguntar: Que visão temos de Deus? O vingativo, exigente e duro que inspira medo ou libertador, positivo que nos faz agir com confiança e sem medo, como Jesus viveu e nos ensinou?

Do Eremitério, 19 novembro 2023

 

NOTA

1 O talento, que também significava «aquilo que é pesado, era uma unidade de peso de aproximadamente 30-40 kg. correspondente a seis mil denários. Porque um denário, de acordo com o que o próprio Mateus explica em 20,2 (Matteo é muito preciso no uso de moedas, e em seu evangelho vários tipos são listados), é o valor do pagamento por um dia de trabalho, aqui nos referimos a uma grande quantia dada aos servidores para gestão

2 Na parábola dos inquilinos assassinos, Ele não hesita em enviar também o seu Filho (MT 21,37)

3 "Ainda, o reino dos céus é como uma rede lançada ao mar, que coleta todos os tipos de peixes. quando está cheio, os pescadores puxam-no para terra, eles se sentam, eles recolhem os peixes bons em cestos e jogam fora os ruins. Assim será no fim do mundo. Os anjos virão e separarão os maus dos bons e os jogarão na fornalha ardente, Ali haverá choro e ranger de dentes " (MT 13,47-50).

 

 

 

Caverna de Sant'Angelo em Maduro (Civitella del Tronto)

 

.

Visite as páginas de nossa loja livro WHO e apoie nossas edições comprando e distribuindo nossos livros.

.

______________________

Queridos leitores,
esta revista exige custos de gestão que sempre enfrentamos apenas com suas ofertas gratuitas. Aqueles que desejam apoiar nosso trabalho apostólico podem nos enviar sua contribuição pela maneira conveniente e segura PayPal clicando abaixo:

Ou se preferir, você pode usar o nosso
conta bancária em nome do:
Edições A ilha de Patmos

Agência n. 59 De Roma
IBAN:
IT74R0503403259000000301118
Para transferências bancárias internacionais:
Código SWIFT:
BAPPIT21D21

Se você fizer uma transferência bancária, envie um e-mail para a redação, o banco não fornece seu e-mail e não poderemos enviar uma mensagem de agradecimento:
isoladipatmos@gmail.com

Agradecemos o apoio que deseja oferecer ao nosso serviço apostólico.

Os Padres da Ilha de Patmos

.

.

.

.

.

Gabriele Giordano M. Scardocci
Da Ordem dos Pregadores
Presbítero e Teólogo

( Clique no nome para ler todos os seus artigos )
Padre Gabriel

O amor que vem da caridade é o fundamento do Cristianismo

Homilética dos Padres da Ilha de Patmos

L’AMORE CHE NASCE DALLA CARITÀ È IL FONDAMENTO DEL CRISTIANESIMO

Gesù ci insegna che non esiste un amore verso Dio che sia grandissimo, dedicado e autêntico, e que não se torne amor ao próximo. Um amor à caridade que significa, portanto, agir segundo obras concretas e reais, per aiutare anche l’altro a crescere nella santità. Perciò come dicevano i provenzali, nell’amore o si cresce o si diminuisce.

 

Autor:
Gabriele Giordano M. Scardocci, o.p.

.

artigo em formato de impressão PDF

 

 

Caros leitores de A ilha de Patmos,

«É obvio: eu’Amore cresce o diminuisce e mai rimane uguale”. Questa bellissima frase troviamo in un antico Codice D’Amore Provenzale. In questa massima è raccolta una delle leggi fondamentali dell’amore che è la crescita continua nella donazione di sé all’altro e a Dio. L’amore è esperienza comune che tutti nella nostra vita abbiamo provato almeno una volta. Il fondamento, Por conseguinte, del nostro amore umano, quale amore di carità e di tenerezza è sempre l’amore di Dio che essendo eterno, chiede di amare di un amore eterno anche a noi.

Questo caposaldo è racchiuso No Vangelo di questa XXX Domenica del Tempo Ordinario, dove viene enunciata la legge fondamentale del Cristianesimo. Una vera e propria rivoluzione copernicana all’interno dell’Ebraismo e del mondo greco- romano. Una novità assoluta dove il centro di tutto è il rapporto d’amore fra Dio e l’uomo.

Ancora una volta troviamo i farisei tutti uniti a tenere conciliabolo contro Gesù Cristo. La settimana scorsa gli è andata male, quando avevano mandato gli erodiani per provare a metterlo contro i romani. Questa volta inviano un dottore della Legge, un esperto che gli pone una domanda trappola. Que 613 precetti ebraici (halakà) ritieni più importante, secondo la gerarchia ebraica? Anche questa è una domanda a trabocchetto, secondo la fallacia della falsa dicotomia. Fra i 613 precetti esisteva infatti una gerarchia e importanza. Al di là di ricordare o meno questa scala gerarchica ― che per Gesù era semplice ― la trappola consisteva nell’ascoltare la risposta di Gesù, qualsiasi sarebbe stata la risposta, ribattere che il precetto citato era invece quello meno importante. Desta forma,, si voleva screditare e mostrare l’assenza di legame di Gesù con la tradizione ebraica e con Dio. Gesù ancora una volta si disimpegna da questa trappola argomentativa. E sfrutta la situazione per offrire il centro e il nucleo centrale dell’insegnamento del cristianesimo. Gesù risponde:

«”Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, e com toda a tua alma e com toda tua mente”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amarás o teu próximo como a si mesmo”. Destes dois mandamentos dependem toda a Lei e os Profetas ".

La novità consiste innanzitutto nella formulazione di questi due precetti. Il primo è preso da Deuteronomio 6,5 ed è legato insieme alla legge di Santità che troviamo in Levitico 19,18. Ecco allora il legame inscindibile fra l’amore per Dio e per il prossimo già presente e prefigurato nell’Antico Testamento e viene poi così esplicitato e annunciato da Gesù. Questa risposta rompe qualsiasi contro-risposta. Ed è una risposta ancora valida per noi oggi.

Gesù ci insegna che non esiste un amore verso Dio che sia grandissimo, dedicado e autêntico, e que não se torne amor ao próximo. Um amor à caridade que significa, portanto, agir segundo obras concretas e reais, per aiutare anche l’altro a crescere nella santità. Perciò come dicevano i provenzali, nell’amore o si cresce o si diminuisce. Si cresce nell’amore verso Dio perché le opere di misericordia alimentano continuamente la nostra scelta di fede che è una relazione con il Tu eterno di Dio, perennemente innamorato della sua creazione e dunque della umanità. Ao mesmo tempo, amare di carità è scegliere di impegnarsi responsabilmente nella Chiesa, perché tutti gli altri credenti possano incontrare Cristo tramite noi. Se si smette di amare, anche la nostra vita e la nostra gioia, a poco a poco si affievoliscono. Così anche la nostra persona diviene sempre più chiusa in sé stessa. Gesù ci chiede di mettere in circolo il nostro amore autentico e tenero.

Pedimos ao Senhor la forza e il coraggio di aziono generose e misericordiose, per crescere tutti uniti nel sentiero di santità che porta alla vita eterna.

Que assim seja.

santa maria novela em Florença, 29 Outubro 2023

.

.

Inscreva-se em nosso canal Jordânia a clube teológico dirigido por Padre Gabriele clicando na imagem

 

OS ÚLTIMOS EPISÓDIOS ESTÃO DISPONÍVEIS NO ARQUIVO: WHO

.

Visite as páginas de nossa loja livro WHO e apoie nossas edições comprando e distribuindo nossos livros.

.

.

.

______________________

Queridos leitores,
esta revista exige custos de gestão que sempre enfrentamos apenas com suas ofertas gratuitas. Aqueles que desejam apoiar nosso trabalho apostólico podem nos enviar sua contribuição pela maneira conveniente e segura PayPal clicando abaixo:

Ou se preferir, você pode usar o nosso
conta bancária em nome do:
Edições A ilha de Patmos

Agência n. 59 De Roma
IBAN:
IT74R0503403259000000301118
Para transferências bancárias internacionais:
Código SWIFT:
BAPPIT21D21

Se você fizer uma transferência bancária, envie um e-mail para a redação, o banco não fornece seu e-mail e não poderemos enviar uma mensagem de agradecimento:
isoladipatmos@gmail.com

Agradecemos o apoio que deseja oferecer ao nosso serviço apostólico.

Os Padres da Ilha de Patmos

.

.

.

"Amarás o teu próximo como a ti mesmo". Destes dois mandamentos dependem toda a Lei e os Profetas "

Homilética dos Padres da ilha de Patmos

«AMERAI IL TUO PROSSIMO COME TE STESSO» DA QUESTI DUE COMANDAMENTI DIPENDONO TUTTA LA LEGGE E I PROFETI

Gesù andò subito oltre con la sorprendente novità che non ha riscontri nella letteratura giudaica antica: “Amarás o teu próximo como a ti mesmo”. Elas, voltando à vontade do Legislador, discerne che amore di Dio e del prossimo stanno in una relazione inscindibile tra loro: l’uno non sussiste senza l’altro.

.

 

 

 

 

 

 

 

.

artigo em formato de impressão PDF

.HTTPS://youtu.be/4fP7neCJapw

.

Nel lezionario, tralasciata la discussione con i sadducei a proposito della risurrezione, si giunge, col vangelo di questa XXX Domenica del tempo ordinario, ad una nuova diatriba che si apre con Gesù interrogato dai suoi avversari, mãe, mais uma vez, per metterlo alla prova.

"Naquela época, os fariseus, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: "Maestro, na Lei, qual è il grande comandamento?». Ela lhe respondeu: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente». Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: "Amarás o teu próximo como a ti mesmo". Destes dois mandamentos dependem toda a Lei e os Profetas ". (MT 22,34-40)

Sono gli ultimi giorni di Gesù nella città santa di Gerusalemme, prima dell’arresto e della passione, ed egli sa che il cerchio intorno a sé si sta stringendo sempre più. Nella nostra pagina di Vangelo entrano di nuovo in scena i farisei, e tra loro un dottore della Legge, un teologo diremmo noi, un esperto delle sante Scritture, che nuovamente si rivolge a lui chiamandolo: Rabbi (Maestro, διδάσκαλε). Infatti non si era mai vista una cosa del genere, che un carpentiere si fosse messo in testa di insegnare e dare consigli sulla Torah, su come si onori Dio, su cosa sia lecito e cosa proibito. La cosa non era ben vista come attestò Ben Sira al principio del terzo secolo a.C: «Chi è libero dalla fatica diventerà saggio»1; e nei Vangeli non si parla mai di una scuola esegetica di Gesù. Le sorprendenti interpretazioni della Torah, che gli permettono di contrastare le insidie dialettiche degli avversari, non verranno replicate dai suoi discepoli. Se Gesù viene chiamato rabbi (maestro) è per la sua autorità e per la capacità di approfondire la Scrittura in modo creativo. Non è però il genere d’insegnante che formi allievi, per trasmettere loro i propri metodi esegetici. Mentre nel giudaismo rabbinico, che si affermerà dopo la distruzione del secondo Tempio nel 70, l’allievo è destinato a sostituire e, se possível, a superare in sapienza il maestro, i discepoli di Gesù rimarranno per sempre tali, senza la possibilità di emularlo in campo intellettuale.

Proprio i rabbini avevano individuato nella Legge, la Torah, oltre le dieci parole (É 20,2-17), ben 613 precetti, per cui la domanda posta a Gesù sembra pertinente e verteva sulla semplificazione: "Maestro, na Lei, qual è il grande comandamento?». Era un argomento dibattuto come testimonia questa risposta rabbinica: «Rabbi Simlaj disse:

«Sul monte Sinai a Mosè sono stati enunciati 613 comandamenti: 365 negativi, corrispondenti al numero dei giorni dell’anno solare, e 248 positivo, corrispondenti al numero degli organi del corpo umano… Poi venne David, che ridusse questi comandamenti a 11, como está escrito [nel Sal 15]… Poi venne Isaia che li ridusse a 6, como está escrito [in Is 33,15-16]… Poi venne Michea che li ridusse a 3, como está escrito: «Che cosa ti chiede il Signore, se di non praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con il tuo Dio? » (Mim 6,8) … Poi venne ancora Isaia e li ridusse a 2, como está escrito: «Così dice il Signore: Osservate il diritto e praticate la giustizia» (É 56,1) … Infine venne Abacuc e ridusse i comandamenti a uno solo, como está escrito: «Il giusto vivrà per la sua fede» (Ab 2,4)» (Talmud babilonese, Makkot, 24uma).

Jesus respondeu ponendo in evidenza, mais uma vez, la sua capacità di far riferimento a ciò che è fondamentale e proponendo a seguire una sorprendente novità, legando un secondo comandamento al principale, dichiarandoli simili e facendo di ambedue una corda sulla quale sta in equilibrio tutta la struttura dei rimanenti comandi, anzi l’intero complesso della Parola di Dio. Se da essa si distaccano cadono a terra. Questo è il senso del verbo kremamai ― κρέμαμαι ― del verso v.40, ovvero essere appeso, sospeso, penzolare; che è stato reso con dipendere: «Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

Dove trovò Gesù il fondamento per giustificare la grandezza del primo comandamento? Nella preghiera, nella fattispecie quella dello Shemà (Ascolta) che apriva e chiudeva la giornata dell’ebreo religioso e in particolare quella di shabbat, il sabato:

«Listen, Israel: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua vita e con tutta la tua mente» (Dt 6,4-5). E chiosò: «Questo è il grande e primo comandamento».

Poi Gesù andò subito oltre con la sorprendente novità che non ha riscontri nella letteratura giudaica antica: “Amarás o teu próximo como a ti mesmo” (Nível 19,18). Elas, voltando à vontade do Legislador, discerne che amore di Dio e del prossimo stanno in una relazione inscindibile tra loro: l’uno non sussiste senza l’altro. Il comando di amare il prossimo è, nel Vangelo di Matteo, il testo veterotestamentario più citato: si trova anche in MT 5,43 e 19,19. Significa che Gesù aveva insistito su questo precetto, ma anche che per Matteo era particolarmente necessario ricordarlo ai credenti in Cristo, quando questi non verranno più capiti ed accolti dalla loro stessa gente; Infelizmente, anche dai loro stessi fratelli ebrei.

Non a caso nel nostro testo il secondo comandamento è definito pari ― ὁμοία ― al primo, con la stessa importanza e lo stesso peso, mentre l’evangelista Luca li unisce addirittura in un solo grande comandamento: «Amerai il Signore Dio tuo… e il prossimo tuo» (LC 10,27). Gesù compie così un’audace e decisiva innovazione, e lo fa con l’autorità di chi sa che non si può amare Dio senza amare le persone.

L’amore essendo un sentimento umano non si può dire che rappresenti un proprium do cristão, lo è invece la fede in Gesù, o Cristo, Figlio del Padre che si è rivelato. E al cuore di questo processo c’è la manifestazione di Dio come amore. Come tutti sanno gli autori del Nuovo Testamento che hanno esplorato la profondità di questo mistero sono Paolo e Giovanni. Proprio quest’ultimo, in una sua lettera affermerà che «Dio è amore» (1GV 4,8.16) e che «ci ha amati per primo» (1GV 4,19). San Paolo ci farà dono dell’inno alla carità (1CR 13). Tutte queste parole rivolte in prima istanza ai discepoli di Gesù di ogni tempo, sono ormai il segno distintivo di chi crede in lui, tanto da far affermare allo stesso Giovanni: «Se uno dice: Io amo Dio e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. E questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche suo fratello» (1GV 4,20-21). E questo perché il riferimento sarà sempre a Gesù che pose se stesso come termine di paragone: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se você tem amor um pelo outro" (GV 13,35); ovvero quell’amore che mette in pratica “il comandamento nuovo”, cioè ultimo e definitivo, da lui lasciatoci: «Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati» (GV 13,34; 15,12).

Per tornare all’esempio della corda sospesa il cristiano si troverà sempre a camminare su questa via sottile evitando di non sporgersi troppo da un lato perdendo l’equilibrio dell’altro. L’amore verso Dio e verso il prossimo si mantiene in costante equilibrio e l’uno e l’altro non costituiscono l’emblema di una stagione. Anche se adesso, na Igreja, si pone l’accento maggiormente sulla solidarietà e sull’accoglienza dei poveri e dei miseri, il cristiano sarà sempre un “uomo per tutte le stagioni”2. E secondo l’insegnamento di Gesù ci sarà sempre qualcuno che percorrendo la non sorvegliata scesa che da Gerusalemme porta a Gerico potrà correre il rischio di ritrovarsi mezzo morto: l’amore compassionevole sarà la risposta (LC 10,25-37).

Anche Sant’Agostino sembra pensarla così:

«Enunciando i due precetti dell’amore, il Signore non ti raccomanda prima l’amore del prossimo e poi l’amore di Dio, ma mette prima Dio e poi il prossimo. Ma siccome Dio ancora non lo vedi, meriterai di vederlo amando il prossimo. Ama dunque il prossimo, e mira dentro di te la fonte da cui scaturisce l’amore del prossimo: ci vedrai, in quanto ti è possibile, Deu. Comincia dunque con l’amare il prossimo. Spezza il tuo pane con chi ha fame, e porta in casa tua chi è senza tetto; se vedi un ignudo, vestilo, e non disprezzare chi è della tua carne. Facendo così, che cosa succederà? Allora sì che quale aurora eromperà la tua luce (É 58,7-8). La tua luce è il tuo Dio. Egli è per te luce mattutina, perché viene a te dopo la notte di questo mondo. Egli non sorge né tramonta, risplende sempre… Amando il prossimo e interessandoti di lui, tu camminerai. Quale cammino farai, se non quello che conduce al Signore Iddio, a colui che dobbiamo amare con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente? Al Signore non siamo ancora arrivati, ma il prossimo lo abbiamo sempre con noi. Porta dunque colui assieme al quale cammini, per giungere a Colui con il quale desideri rimanere per sempre»3.

do eremitério, 29 Outubro 2023

.

NOTA

1 [Contadini, fabbri, vasai, e tutti i lavoratori manuali che si affaticano giorno e notte per un compenso] «Senza di loro non si costruisce una città, nessuno potrebbe soggiornarvi o circolarvi. Ma essi non sono ricercati per il consiglio del popolo nell’assemblea non hanno un posto speciale, non siedono sul seggio del giudice e non conoscono le disposizioni della legge. Non fanno brillare né l’istruzione né il diritto,
non compaiono tra gli autori di proverbi, ma essi consolidano la costruzione del mondo,e il mestiere che fanno è la loro preghiera» (Senhor 38,24. 33-34)

2 Sylvester R. S., O “Man for All SeasonsAgain: Robert Whittington’s Verses to Sir Thomas More, Huntington Library Quarterly, vol. 26, não 2,1963, PP. 147-154.

3 Agostino d’Ippona, Commento al Vangelo di san Giovanni, Homilia 17, 7-9 (veja WHO)

 

 

 

Caverna de Sant'Angelo em Maduro (Civitella del Tronto)

 

.

Visite as páginas de nossa loja livro WHO e apoie nossas edições comprando e distribuindo nossos livros.

.

______________________

Queridos leitores,
esta revista exige custos de gestão que sempre enfrentamos apenas com suas ofertas gratuitas. Aqueles que desejam apoiar nosso trabalho apostólico podem nos enviar sua contribuição pela maneira conveniente e segura PayPal clicando abaixo:

Ou se preferir, você pode usar o nosso
conta bancária em nome do:
Edições A ilha de Patmos

Agência n. 59 De Roma
IBAN:
IT74R0503403259000000301118
Para transferências bancárias internacionais:
Código SWIFT:
BAPPIT21D21

Se você fizer uma transferência bancária, envie um e-mail para a redação, o banco não fornece seu e-mail e não poderemos enviar uma mensagem de agradecimento:
isoladipatmos@gmail.com

Agradecemos o apoio que deseja oferecer ao nosso serviço apostólico.

Os Padres da Ilha de Patmos

.

.

.

.

.

Gabriele Giordano M. Scardocci
Da Ordem dos Pregadores
Presbítero e Teólogo

( Clique no nome para ler todos os seus artigos )
Padre Gabriel

O reino de Deus será tirado de vocês e entregue a um povo que produzirá seus frutos

Homilética dos Padres da Ilha de Patmos

A VOI SARÀ TOLTO IL REGNO DI DIO E SARÀ DATO A UN POPOLO CHE NE PRODUCA I FRUTTI

Oggi il Nuovo Popolo di Dio siamo tutti noi, isto é, nos unimos em Seu Batismo, que Deus pede para dar frutos, portanto, torne-se frutífero. Assim cada um de nós se torna guardião e protetor daquela vinha, che è la nostra Chiesa Cattolica e la Chiesa locale in cui siamo attivi.

 

Autor:
Gabriele Giordano M. Scardocci, o.p.

.

artigo em formato de impressão PDF

 

 

Caros leitores de A ilha de Patmos,

siamo tutti nati e cresciuti all’interno di una nazione e una città. Questo essere insieme ad altri ha costruito un pola nostra identità. Siamo diventati “Io” grazie anche a molti “Tu”, nostri concittadini. Siamo poi stati battezzati e così inseriti all’interno di una comunità ecclesiale particolare e in generale, figli della Chiesa Cattolica. Siamo stati così affidati a una comunità particolare, una Chiesa locale costituita innanzitutto dalla nostra famiglia. Oggi siamo adulti, ci viene chiesto di essere coloro che costruiscono e custodiscono la Chiesa. Questa è la sintesi del Evangelho de hoje.

I vignaioli omicidi, catechismo francese illustrato del XX sec.

Ancora una volta Gesù decide di proporre questo insegnamento in parabole. Così racconta una parabola un poviolenta, se queremos. Il padrone di un terreno consegna la propria vigna a dei contadini perché la coltivino e portino frutto. Giunto il momento di ritirare il raccolto, invia diversi servi: prima pochi, poi molti. Questi vengono uccisi. Infine viene ucciso l’ultimo inviato, cioè il figlio del padrone.

A questo punto Gesù dialoga con gli anziani e i capi del popolo circa la sorte di questi contadini. Essi gli offrono una risposta che sembra chiara: al ritorno dello stesso padrone, i contadini omicidi verranno puniti e uccisi. Citando il salmo 118, celeberrimo, Gesù offre loro la risposta definitiva:

"Te digo: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti»

La risposta di Gesù è fortissima: non saranno più solo i capi del popolo ebraico e i sacerdoti a mantenere l’alleanza con Dio. Ci sarà un nuovo regno di Dio, una nuova vigna, dunque un nuovo popolo di Dio che sarà fecondo e porterà frutti.

Gesù viene dunque a gettare le basi della Sua Chiesa, che riceverà e manterrà l’ultima ed Eterna Alleanza, il Nuovo ed Eterno Patto fra Dio e l’uomo. Dunque un Nuovo Popolo di Dio, che non coinciderà esclusivamente con i circoncisi.

De fato, oggi il Nuovo Popolo di Dio siamo tutti noi, isto é, nos unimos em Seu Batismo, que Deus pede para dar frutos, portanto, torne-se frutífero. Assim cada um de nós se torna guardião e protetor daquela vinha, che è la nostra Chiesa Cattolica e la Chiesa locale in cui siamo attivi. Questa fecondità si realizza in diversi modi: innanzitutto con la pratica della carità e delle opere di misericordia spirituali e materiali. Anche l’esercizio delle virtù teologali e cardinali, con gli altri e in comunione con Dio, è un altro modo di essere fecondi. Perché la fecondità e fruttuosità è donare la grazia dell’amicizia e dell’amore di Dio agli altri. La bellezza della nostra fede ci chiede poi di donare questa grazia secondo una fecondità che è originale e tutta propria: dunque tutti noi diventiamo fruttuosi perché chiamati con la nostra bellezza ed unicità. Questa è una via bellissima con cui Dio ci chiede di essere parte della Chiesa: né dominanti né passivi ma fruttuosi. Aperti al progetto di Dio ma senza per questo diventare robot.

Come scriveva John Stuart Mill: «Tutte le cose buone che esistono sono frutto dell’originalità».

Chiediamo al Signore di diventare quel nuovo popolo di Dio in grado di entrare nella preghiera silenziosa, ascoltare la voce del Tu Eterno di Dio, e portare questa voce in un mondo che cerca l’amore senza fine.

Que assim seja

santa maria novela em Florença, 8 Outubro 2023

.

.

Inscreva-se em nosso canal Jordânia a clube teológico dirigido por Padre Gabriele clicando na imagem

 

OS ÚLTIMOS EPISÓDIOS ESTÃO DISPONÍVEIS NO ARQUIVO: WHO

.

Visite as páginas de nossa loja livro WHO e apoie nossas edições comprando e distribuindo nossos livros.

.

.

.

______________________

Queridos leitores,
esta revista exige custos de gestão que sempre enfrentamos apenas com suas ofertas gratuitas. Aqueles que desejam apoiar nosso trabalho apostólico podem nos enviar sua contribuição pela maneira conveniente e segura PayPal clicando abaixo:

Ou se preferir, você pode usar o nosso
conta bancária em nome do:
Edições A ilha de Patmos

Agência n. 59 De Roma
IBAN:
IT74R0503403259000000301118
Para transferências bancárias internacionais:
Código SWIFT:
BAPPIT21D21

Se você fizer uma transferência bancária, envie um e-mail para a redação, o banco não fornece seu e-mail e não poderemos enviar uma mensagem de agradecimento:
isoladipatmos@gmail.com

Agradecemos o apoio que deseja oferecer ao nosso serviço apostólico.

Os Padres da Ilha de Patmos

.

.

.

Do homo Sapiens aos camponeses assassinos na vinha do Senhor

Homilética dos Padres da ilha de Patmos

DALL’HOMO SAPIENS AI CONTADINI ASSASSINI NELLA VIGNA DEL SIGNORE

I nostri antenati sapiens quando iniziarono a domesticare quelle specie animali e quei pochi semi che ancora ritroviamo sulla nostra tavola non potevano immaginare il particolare legame che si sarebbe creato fra l’uomo e la coltivazione della vite. Un rapporto che sa di alleanza e perciò di passione, di cura e perfino di amore. Ricordo i contadini che ho conosciuto, quando volevano esprimere la fatica del loro specifico lavoro dicevano: «La terra è bassa!». Perché non solo ti devi chinare verso di essa, ma anche assecondarla e lavorarla con grande fatica.

.

 

 

 

 

 

 

 

.

artigo em formato de impressão PDF

.HTTPS://youtu.be/4fP7neCJapw

.

Gli storici dell’evoluzione dicono che il passaggio all’agricoltura per la nostra specie ebbe inizio in un periodo che va dal 9500 all’8500 a.C. in una regione collinosa situata tra la Turchia sudorientale, l’Iran occidentale e il Vicino Oriente. Prese il via lentamente e in un’area geografica piuttosto ristretta. Il frumento e le capre furono domesticati approssimativamente intorno al 9000 a.C.; piselli e lenticchie intorno all’8000 a.C.; gli ulivi nel 5000 a.C.; i cavalli nel 4000 a.C.; e la vite nel 3500 a.C. Proprio del terreno che dalla vite prenderà nome di vigna parlerà Gesù nel brano evangelico di questa ventisettesima domenica del tempo ordinario.

"Naquela época, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo, che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: «Avranno rispetto per mio figlio!». Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: «Costui è l’erede. Seu, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!». Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?». Eles responderam a ele: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo». E Jesus disse-lhes:: «Non avete mai letto nelle Scritture: «La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi»? Então eu te digo: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti» (MT 21,33-43).

I nostri antenati sapiens quando iniziarono a domesticare quelle specie animali e quei pochi semi che ancora ritroviamo sulla nostra tavola non potevano immaginare il particolare legame che si sarebbe creato fra l’uomo e la coltivazione della vite. Un rapporto che sa di alleanza e perciò di passione, di cura e perfino di amore. Ricordo i contadini che ho conosciuto, quando volevano esprimere la fatica del loro specifico lavoro dicevano: «La terra è bassa!». Perché non solo ti devi chinare verso di essa, ma anche assecondarla e lavorarla con grande fatica. Quando invece iniziavano a parlare della vigna e del vino che avevano spillato il discorso cambiava, il ricordo della fatica e della dedizione sparivano: apparivano ripagati, diventavano orgogliosi del frutto della vite ricavato e perciò gelosi della loro vigna. È possibile che questa esperienza primordiale abbia ispirato gli autori biblici, in particolare i profeti, quando cantarono in più occasioni lo speciale legame fra l’agricoltore e la vigna in quanto allegoria dell’alleanza fra Dio e il suo popolo Israele. Il brano indubbiamente più famoso è quello riportato nella prima lettura di questa domenica tratto dal profeta Isaia:

«Voglio cantare per il mio diletto il mio cantico d’amore per la sua vigna. Il mio diletto possedeva una vigna sopra un fertile colle. Egli l’aveva dissodata e sgombrata dai sassi e vi aveva piantato viti pregiate; in mezzo vi aveva costruito una torre e scavato anche un tino. Egli aspettò che producesse uva; essa produsse, em vez de, acini acerbi. E agora, abitanti di Gerusalemme e uomini di Giuda, siate voi giudici fra me e la mia vigna. Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna che io non abbia fatto?» (É 5,1-4).

Così quando Gesù iniziò a raccontare gli ascoltatori intesero istantaneamente di cosa stesse parlando a differenza nostra che quella immediatezza l’abbiamo persa e necessitiamo di molte spiegazioni. Infatti la comprensione della parabola detta “dei vignaioli omicidi” ha rappresentato un momento significativo nella storia dell’esegesi cristiana. C’è stato un tempo, non molto distante dal nostro, in cui si è pensato che il versetto «Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti» costituisse una vera punizione per Israele e un attacco da parte di Gesù al giudaismo, cosicché la Chiesa non fosse da considerarsi come un nuovo Israele subentrato al vecchio, mas o verdadeiro1, come l’aveva pensato Dio fin dall’inizio. Ma in tutto il Vangelo di Matteo quest’attacco non si evince e così quella interpretazione è oggi ritenuta obsoleta. Come pure l’idea discendente dalla precedente che Israele in quanto popolo fosse stato rifiutato da Dio. Certo Gesù stava parlando nel tempio rivolgendosi agli anziani e ai capi dei sacerdoti e le sue parole riportavano la pesante punizione causata dal rifiuto degli emissari del padrone della vigna. Essi erano quegli inviati di cui parlerà in MT 23,34: «Perciò ecco, io mando a voi profeti, sapienti e scribi: destas, alcuni li ucciderete e crocifiggerete, altri li flagellerete nelle vostre sinagoghe e li perseguiterete di città in città». Soprattutto Gesù annunciò l’uccisione del figlio. Ma si stava rivolgendo ai líder religioso, quelli che chiamerà guide cieche (cf.. MT 23,16) e poiché ora la parabola è presente nel Vangelo quelle parole varranno sempre per la Chiesa ed i suoi responsabili. In particolare la vigna che è l’Israele santo di Dio, il popolo eletto, non sarà incendiata o devastata come la città di cui si parlerà nella parabola seguente (MT 22,7) ma anzi è lì pronta per dare frutti buoni; só, non saranno gli attuali vignaioli a coglierli: la vigna, il popolo dell’alleanza, verrà affidata ad altri contadini. Perciò tutte le parabole di Gesù e questa in particolare vanno considerate come opere aperte. Rinchiuderle dentro un’unica interpretazione, como um letto di Procuste, farebbe loro torto perché il valore sta nell’inquietudine che continueranno a suscitare, unita alle domande che incalzeranno la fede dei discepoli e la loro sequela, affinché siano continuamente spronate.

Gesù iniziò il racconto dicendo che c’era un uomo, un proprietario ― il termine oikodespotes (οἰκοδεσπότης) può significare anche un padre di famiglia, infatti la Vulgata tradusse: Homo erat pater familias ― che piantò una vigna e la dotò di tutto il necessario, quindi l’affidò a dei vignaioli e partì. Il verbo apodemeo (ἀποδημέω de onde ἀπεδήμησεν a v.33) indica qualcuno che va fuori della patria, all’estero, allontanandosi dalla propria abitazione. Quest’uomo partì portando con se il pensiero e il ricordo della vigna, così quando venne il tempo dei frutti mandò dei servi a richiederli, ma furono brutalmente trattati dagli affidatari. Evidentemente si erano convinti nell’animo che il padrone essendosene andato si fosse anche scordato della vigna e che questa ormai fosse loro, così se l’erano accaparrata sostituendosi al vero proprietario. Ma in fondo questi rivendicava solo i frutti, non stava pretendendo la proprietà. Con una pazienza che parrà incredibile se non fosse ascritta a Dio egli inviò di nuovo servi in numero maggiore e pure questi subirono la stessa sorte dei precedenti. I lettori del Vangelo che a questo punto già sentiranno montare la rabbia per il sopruso, speranzosi di vedere il ristabilimento della giustizia anche con l’uso della forza, si troveranno impreparati e spiazzati nel leggere che il padre starà per mettere a repentaglio la vita del suo proprio figlio. Ma il proprietario della vigna, ormai lo sappiamo, è un padre fuori dell’ordinario, come dirà la preghiera di colletta di questa domenica: Egli aggiunge «quello che la preghiera non osa sperare». Così non mandò altri emissari come rappresentanti, ma inviò direttamente suo figlio mosso da un’intima speranza: «Avranno rispetto per mio figlio!».

Sappiamo come le cose andarono a finire, è inutile ripeterlo. Il particolare dell’omicidio compiuto al di fuori della vigna rimase scolpito nella memoria degli autori del nuovo testamento e così lo menzionarono quando si trattò di raccontare la morte di Gesù (cf.. MC 15,20; MT 27,31, EB 13,12) oppure quella di Stefano (cf.. No 7,58). Il figlio espulso dalla vigna fu il segno tangibile del rifiuto della volontà divina e della sostituzione che quei contadini vollero perseguire: «Costui è l’erede. Seu, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!».

Le successive parole di Gesù introdotte dalla domanda circa la sorte di quei vignaioli omicidi si prenderanno tutta l’attenzione e, come abbiamo più su riportato, anche quella della futura esegesi, facendo passare sotto silenzio un particolare non di poco conto a cui Gesù aveva accennato e che potrebbe rappresentare invece il cuore della parabola, quello che illuminandola le dà senso, ancor più della stessa eliminazione e sostituzione dei vignaioli malvagi. Questo particolare fa riferimento al pensiero del padrone della vigna che si aspettava rispetto verso il figlio inviato. Il verbo entrepo, εντρέπω a v. 37 nella forma attiva significa mutare, mudança, tornare di senno e in quella passiva, come sta nel Vangelo: commuoversi, portare rispetto, esitare. La Vulgata scelse aver timore e riportò: “Verebuntur filium meum“. In qualsiasi modo si voglia tradurre quel desiderio esplicitato, è chiaro che il padrone della vigna non si attendeva la morte violenta del figlio. Quello era il suo sogno, il sogno di Dio. Nel Vangelo di Matteo già Giuseppe e poi i Magi (cf.. MT 1,20; 2,12-13) prestando ascolto a un sogno poterono salvare Gesù. Avevano così compiuto la volontà di Dio. Cosa sarebbe accaduto se Pilato avesse ascoltato il sogno della moglie (cf.. MT 27,19) narrato nel racconto della passione: egli avrebbe risparmiato Gesù dalla condanna? Quella frase della parabola, apparentemente innocente, mette in crisi alcune facili e inappropriate teologie della redenzione. In essa vi leggiamo non solo la speranza che Israele si converta, ma anche che il figlio venga risparmiato.

Naturalmente senza dimenticare che per tre volte Gesù mostrerà di salire volontariamente, liberamente e consapevolmente a Gerusalemme (cf.. MT 16,21-23), dove vi avrebbe incontrato la morte che accetterà ancora più decisamente nel Getsemani: «avvenga la tua volontà» (MT 26,42). Addirittura Matteo rilesse la sua consegna alla luce delle Scritture: «Tutto questo è avvenuto perché si compissero le Scritture dei profeti» (MT 26,56). Non si potrebbe però pensare, sempre nella logica del racconto matteano, che il progetto iniziale non fosse questo, quanto piuttosto quello di cui parlerà lo stesso Gesù ― in verità dopo tutti e tre gli annunci della passione ― accennando a una palingenesi (cf.. MT 19,282 e 25,31-46); che egli avrebbe voluto far avanzare restaurando l’Israele di Dio? Quando il piano però cominciò a deteriorarsi, allora Gesù, come il figlio della parabola, mostrerà di amare tanto la sua vigna al punto di morire per essa. Ci torna in mente il commento di Sant’Ambrogio: «Oi, vigna meritevole di un custode così grande: ti ha consacrato non il sangue del solo Nabot ma quello di innumerevoli profeti, e anzi quello, tanto più prezioso, versato dal Signore»3. La parabola, assim, che insistette sulla misericordia del padrone, lasciò emergere anche sullo sfondo l’offerta gratuita del figlio.

Questa parabola risuona certamente come un giudizio di Dio, non però sul popolo d’Israele, ma su quei capi del popolo che hanno rigettato e condannato Gesù. Matteo, na verdade, registrerà subito dopo la loro reazione; cercarono di catturarlo ma ebbero paura della folla e per questo rimandarono di qualche giorno il loro piano, attendendo una situazione più propizia (nella notte e nel Getsemani, dove non ci sarà la folla dei suoi seguaci; cf.. MT 26,47-56). Avevano infatti compreso che quella parabola individuava proprio in loro i vignaioli omicidi. Ma la parabola dice che questo sarà pure il giudizio sulla Chiesa, soprattutto sui suoi capi. La vigna è stata tolta a quei capi di Israele e data una nuova collettività umana (éthnos, senza articolo del v.43): la comunità dei poveri nello spirito, dei miti che, secondo la promessa del Signore, eles herdarão a terra (cf. MT 5,5; Vontade 37,11), a quel popolo umile e povero costituito erede per sempre dal Signore (cf. Sof 3,12-13; É 60,21; Fornece 30,3).

È molto importante sul piano teologico capire che la funzione della forma matteana della parabola non è quella di esaltare il cristianesimo rispetto al giudaismo, ma piuttosto di lasciare aperta la risposta alla rinnovata offerta di riconciliazione fatta dal Cristo innalzato. De uma maneira, la Chiesa si trova in una posizione analoga a quella d’Israele. In un altro senso, no entanto, essa ha già fatto esperienza del miracoloso intervento di Dio. O pietra scartata costituisce ora la testata d’angolo. Sarà questa generazione di cristiani ad accogliere il regno di Dio e a produrre frutti di giustizia, oppure esso le sarà tolto per essere affidato ad un’altra? Il già citato Ambrogio di Milano vedeva che il pericolo di incorrere nel castigo è per tutti, anche per i cristiani: «Il vignaiolo è senza alcun dubbio il Padre onnipotente, la vite è Cristo, e noi siamo i tralci: ma se non portiamo frutto in Cristo veniamo recisi dalla falce del coltivatore eterno»4. Disse isto, è chiaro che la parabola è cristologica e teologica. Il figlio del padrone della vigna è caratterizzato con quegli attributi, come l’idea dell’eredità, che sono tipici del linguaggio di Gesù quando voleva parlare di sé e del suo rapporto col padre; la sua morte fuori delle mura della città ovviamente ricorderà la fine del Messia. Ma la parabola dice molto anche a proposito del Padre: il suo giudizio, estranhamente, tarda ad arrivare; Dio è rappresentato addirittura come fin troppo paziente. Qualsiasi ascoltatore del racconto, ai tempi di Gesù, sarebbe rimasto colpito da quella che potrebbe sembrare una debolezza di carattere. Quel Dio invece sa aspettare e continua a sperare in un cambiamento dei suoi vignaioli che potrebbero addirittura «rispettare suo figlio» (cf.. MT 21,37). Diversamente da quanto facciamo noi Dio non si lascia demoralizzare da un rifiuto, insiste nella sua proposta di salvezza, Egli non vuole mai la morte del peccatore, ma che questi si converta e viva.

Vorrei concludere ricordando che la pregnanza di questa parabola fu colta in modo particolare da Benedetto XVI, in un momento che immaginiamo fu carico di emozione e di grande timore per lui. Dalla loggia della Basilica di San Pietro la sera della sua elezione così parlò di se stesso:

«Hanno eletto me, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore. Mi consola il fatto che il Signore sa lavorare e agire anche con strumenti insufficienti e soprattutto mi affido alle vostre preghiere»5.

bom domingo a todos.

do eremitério, 8 Outubro 2023

 

 

 

1 Trilling W., Il vero Israele. Studi sulla teologia del Vangelo di Matteo, Piemme, 1992

2 "E Jesus disse-lhes:: “«In verità io vi dico: voi che mi avete seguito, quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, alla rigenerazione del mondo, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele”».

3 Sant'Ambrogio, Esposizione del Vangelo secondo Luca, New City 1978.

4 Sant'Ambrogio, em. cit.

5 Ver: https://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/speeches/2005/april/documents/hf_ben-xvi_spe_20050419_first-speech.html

 

 

Caverna de Sant'Angelo em Maduro (Civitella del Tronto)

 

.

Visite as páginas de nossa loja livro WHO e apoie nossas edições comprando e distribuindo nossos livros.

.

______________________

Queridos leitores,
esta revista exige custos de gestão que sempre enfrentamos apenas com suas ofertas gratuitas. Aqueles que desejam apoiar nosso trabalho apostólico podem nos enviar sua contribuição pela maneira conveniente e segura PayPal clicando abaixo:

Ou se preferir, você pode usar o nosso
conta bancária em nome do:
Edições A ilha de Patmos

Agência n. 59 De Roma
IBAN:
IT74R0503403259000000301118
Para transferências bancárias internacionais:
Código SWIFT:
BAPPIT21D21

Se você fizer uma transferência bancária, envie um e-mail para a redação, o banco não fornece seu e-mail e não poderemos enviar uma mensagem de agradecimento:
isoladipatmos@gmail.com

Agradecemos o apoio que deseja oferecer ao nosso serviço apostólico.

Os Padres da Ilha de Patmos

.

.

.

.

.