É melhor morrer um único homem do que perecer uma nação inteira

Homilética dos Padres da ilha de Patmos

MEGLIO MUOIA UN SOLO UOMO CHE PERISCA LA NAZIONE INTERA

Per Gesù la vera morte non è quella fisica che gli uomini possono dare, ma sta nel rifiuto di dare la vita per gli altri, la chiusura sterile su se stessi; ao contrário, la vera vita è il culmine di un processo di donazione di sé.

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Fraintendere, ovvero prendere una cosa per un’altra. Questa attività che si è diffusa ai giorni nostri contrassegnati dall’uso consistente dei social, per l’autore del Quarto Vangelo diventa un espediente letterario per mezzo del quale, utilizzando la momentanea incomprensione, il lettore è guidato verso una conoscenza ulteriore, spesso più profonda, della realtà, del mistero che vive in Gesù. Lo abbiamo visto nell’incontro fra Lui e la samaritana e prima ancora con Nicodemo, nel Vangelo di domenica scorsa. Lo ritroviamo ancora qui, nel brano evangelico di questa quinta Domenica di Quaresima. Cosa c’è di più semplice e naturale del desiderio di vedere Gesù? Non sarebbe una richiesta che anche noi porremmo ogni giorno? Eppure l’Evangelista ci dice che Egli sembra, aparentemente, non prenderla in considerazione; distratto o, melhor dizer, concentrato su una prova imminente, su ciò che potrebbe distoglierlo e dunque su una presentazione di sé che la semplice curiosità di vederlo potrebbe non capire. Che cosa o chi dobbiamo guardare quando desideriamo vedere Gesù?

Secondo Tempio di Gerusalemme, modello di ricostruzione, Museo dello Stato d’Israele

"Naquela época, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: “homem, vogliamo vedere Gesù”. Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: “È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. Em verdade, em verdade te digo: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, só resta; mas se morrer, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Pai, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Pai, glorifica il tuo nome”. Venne allora una voce dal cielo: “L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!”. La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: “Un angelo gli ha parlato”. Disse Gesù: “Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E eu, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me”. Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire» (GV 12, 20-33).

Per comprendere la pericope appena letta occorre far riferimento alla montante ostilità verso Gesù segnalata dalle seguenti parole che precedono il brano appena riportato:

«”Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione”. Ma uno di loro, Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno, ele disse-lhes: “Voi non capite nulla! Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!”. Questo però non lo disse da se stesso, mãe, essendo sommo sacerdote quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo» (GV 11, 48-53).

Nelle parole delle oppositori vi è anche la constatazione che: «Il mondo (ho kósmos) gli è andato dietro» (GV 12,19). Neste contexto, nel quale le decisioni degli avversari sono già prese, alcuni greci vogliono vedere Gesù. È un primo passo, non ancora quel vedere perfetto che fa contemplare con lo sguardo trasformato dallo Spirito il senso delle cose, tutta la profondità della realtà che farà proferire a Gesù: «Chi ha visto me ha visto il Padre» (GV 14,9). Questo desiderio però è positivo, di tutt’altro tenore dell’aspirazione omicida degli avversari di Gesù. Ma i greci, presenti per la Pasqua a Gerusalemme, forse simpatizzanti del monoteismo ebraico o addirittura già circoncisi, non possono entrare nella parte più interna del tempio dove probabilmente Gesù si trovava: il recinto riservato agli ebrei. A segnare questo spazio vi era infatti una balaustra di cui ci parla anche lo storico Giuseppe Flavio che riportava delle scritte, ancora oggi conservate a Gerusalemme e Istanbul, le quali recitavano in lingua greca, per essere comprese dai non ebrei:

«Nessun straniero penetri al di là della balaustra e della cinta che circonda lo hierón (la zona del Tempio riservata, n.d.r.); chi venisse preso in flagrante sarà causa a se stesso della morte che ne seguirà».

Questi che vogliono vedere Gesù si rivolgono al discepolo che porta un nome greco, Filippo, che era di una città abitata anche da molti greci e forse lui stesso parlava la loro lingua. La richiesta doveva essere singolare se lo stesso Filippo si fa aiutare ed accompagnare da uno dei primi due discepoli di Gesù, anch’egli con un nome greco: Andréa.

Ricevuta la notizia Gesù coglie il momento come un altro segnale che la sua «ora» è venuta (Venit hora), quella della sua glorificazione nella sua Pasqua (GV 17,1). A Cana di Galilea, quando si era nella fase iniziale, Gesù ne fa menzione a sua Madre, adesso qui, em vez de, si dice espressamente che l’ora: «È giunta». E come allora gli sposi delle nozze di Cana spariscono dalla scena, anche qui i greci paiono scortesemente messi da parte, affinché emerga una rivelazione su Gesù. Stavolta non un segno, ma le sue stesse parole la palesano. La sua morte sarà feconda come accade al chicco di grano che per moltiplicarsi e dare frutto deve cadere a terra e quindi marcire, morrer, altrimenti resta sterile e solo. Accettando di marcire e morire, il chicco moltiplica la sua vita e dunque attraversa la morte e giunge alla resurrezione.

Ritorna il paradosso delle parabole che Gesù sente il bisogno di chiarire:

«Chi ama la propria vita, la perde, e chi odia la propria vita in questo mondo, la custodisce per la vita eterna».

Per Gesù la vera morte non è quella fisica che gli uomini possono dare, ma sta nel rifiuto di dare la vita per gli altri, la chiusura sterile su se stessi; ao contrário, la vera vita è il culmine di un processo di donazione di sé. La vicenda del chicco di grano è la vicenda di Gesù ma anche quella di ogni suo servo, Who, seguendo Gesù, conoscerà la passione e la morte come il suo Signore, ma anche la resurrezione e la vita per sempre. Non sarà solo Gesù a essere glorificato dal Padre ma anche il discepolo, il servitore che, seguendo il suo Signore, diventa suo amico (GV 15,15).

Che cosa, assim, Gesù promette di vedere? La sua passione, morte e resurrezione, la sua glorificazione, la croce come rivelazione dell’amore vissuto fino alla fine (cf.. GV 13,1). A ogni discepolo, proveniente da Israele o dalle genti, è dato di contemplare nella sua morte ignominiosa la gloria di chi dà la vita per amore. L’Evangelista ci permette anche di gettare uno sguardo sui sentimenti più intimi vissuti da Gesù e sulla sua coscienza filiale. Come i sinottici racconteranno l’angoscia di Gesù al Getsemani (cf.. MC 14,32-42 e par.), nel momento che precede la sua cattura, Giovanni riporta la sua confessione: «Ora l’anima mia è turbata». Egli è turbato per quel che sta per accadere, come già si era turbato e aveva pianto alla morte dell’amico Lazzaro (cf.. GV 11,33-35). Ma questa angoscia umanissima non diventa un inciampo posto sul suo cammino: Gesù è si tentato, ma vince radicalmente la tentazione con l’adesione alla volontà del Padre. In modo diverso dai sinottici, ma concorde con loro, per Giovanni Gesù non ha voluto salvarsi da quell’ora, né esserne esentato, ma rimane fedele alla sua missione compiendo la volontà del Padre, in unione profonda con Lui, tanto che la gloria è fra loro condivisa: "Pai, glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora». Ritornano alla mente le parole della Lettera agli Ebrei:

«Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui (sua reverentia), venne esaudito» (EB 5,7).

Ma l’ora di Gesù corrisponde anche al giudizio sul mondo che non conosce l’amore del Cristo e vi si oppone:

«Ora avviene il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo è gettato fuori. E eu, quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me»

un rimando a quel serpente innalzato da Mosè (cf.. nm 21,4-9; GV 3,14) che salvava gli israeliti. L’«ora» messianica di Gesù espelle il principe del mondo che preferisce le tenebre del male e lascerà spazio all’autentico Re che, anche se governa da una croce, attrae tutti per amore e verso il quale bisogna rivolgere uno sguardo di fede. Ecco la vera risposta a quanti volevano, e ancora oggi vogliono, «vedere Gesù».

La pagina odierna del Vangelo è la buona notizia soprattutto per tutti quei discepoli che conoscono la dinamica del cadere a terra, del «marcire» nella sofferenza, nella solitudine e nel nascondimento. In alcune ore della vita sembra che tutta la sequela si riduca solo alla passione e alla desolazione, all’abbandono e al rinnegamento da parte degli altri, ma allora più che mai occorre guardare all’immagine del chicco di grano consegnataci da Gesù; più che mai occorre rinnovare lo sguardo della fede: «Eles olharão para aquele que perfuraram» (GV 19,37).

Secondo un’antica tradizione il Vescovo Ignazio di Antiochia (35 circa – Roma, 107 cerca de) conobbe l’apostolo San Giovanni. Non sorprende perciò ritrovare in una sua lettera indirizzata ai cristiani di Roma, dove troverà il martirio, una concordanza di termini e di vedute con il Vangelo che oggi abbiamo letto:

«Sono frumento di Dio e sarò macinato dai denti delle fiere per divenire pane puro di Cristo… È meglio per me morire per Gesù Cristo che estendere il mio impero fino ai confini della terra… Il principe di questo mondo vuole portarmi via e soffocare la mia aspirazione verso Dio. Ogni mio desiderio terreno é crocifisso e non c’é più in me nessuna aspirazione per le realtà materiali, ma un’acqua viva mormora dentro di me e mi dice: “Vieni al Padre”».

Do Eremitério, 17 Março 2024

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Os Padres da Ilha de Patmos

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Se alguém não nasce de cima, ele não pode ver o Reino de Deus

Homilética dos Padres da ilha de Patmos

SE NÃO NASCE DE CIMA, ELE NÃO PODE VER O REINO DE DEUS

A moral joanina é uma moral da verdade: «Em vez disso, quem pratica a verdade caminha para a luz, de modo que fica claro que suas obras foram feitas em Deus ". Na crescente consciência de que “sem mim você não pode fazer nada”, as consequências de ser cristão, também a nível moral, eles estão ligados em Giovanni ao tema do permanecer. Permanecer com Jesus implica um dever em nível de coerência, mas antes de tudo como consequência ao nível do ser, viva como Jesus: «Aquele que diz que permanece nele, ele também deve se comportar como se comportou".

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Visto que o Evangelho de Marcos é mais curto que os outros, algumas passagens do Evangelho de João ajudam a cobrir todos os domingos do ano litúrgico, especialmente durante Lent. São textos que ajudam a compreender aquele mistério pascal que será celebrado em particular nos dias do “Tríduo”. Eles antecipam temas importantes, como a da ressurreição do "Filho do homem", referida na seguinte passagem evangélica, proclamada no quarto domingo da Quaresma.

Henry Ossawa Tanner: Jesus e Nicodemos, óleo sobre tela, 1899, Academia de Belas Artes da Pensilvânia (EUA)

"Naquela época, Jesus disse a Nicodemos: “Como Moisés levantou a serpente no deserto, então o Filho do homem deve ser levantado, para que todo aquele que nele crê tenha a vida eterna. Na verdade, Deus amou o mundo de tal maneira que deu o Filho unigênito para que todo aquele que nele crê não se perca, mas tenha a vida eterna. Deu, na verdade, ele não enviou o Filho ao mundo para condenar o mundo, mas para que o mundo seja salvo por ele. Quem acredita nele não está condenado; mas quem não acredita já foi condenado, porque ele não acreditou no nome do Filho unigênito de Deus. E este é o veredicto: a luz veio ao mundo, mas os homens amavam as trevas mais do que a luz, porque suas obras eram más. Qualquer um de fato faz o mal, odeia a luz, e não vem à luz para que suas obras não sejam reprovadas. Em vez disso, quem faz a verdade vem em direção à luz, para que pareça claramente que suas obras foram feitas em Deus"" (GV 3,14-21)

Nos Sinópticos, Jesus prevê que ele terá que sofrer muito; anuncia que «ele será ridicularizado, açoitado e crucificado" (MT 20,19) e que no terceiro dia ele ressuscitará. Giovanni, em vez de, anunciar a paixão de Jesus apresenta-a como uma “exaltação”. Ele faz isso nos capítulos 3 (vv. 14-15), 8 (v. 28) e 12 (v. 32). A última é a música mais explícita: «Quando eu for levantado [exaltado] do chão atrairei todos para mim". No versículo anterior Jesus havia dito: «Agora é o julgamento deste mundo, agora o príncipe deste mundo [Satanás] ele será expulso". Jesus, levantado do chão, tomará o lugar dele, se tornando rei e atraindo todos para ele. Mas a exaltação de Jesus não acontecerá no Céu, mas na cruz. Muitos interpretaram, na verdade, a ressurreição de Jesus como uma antecipação joanina de sua ascensão, enquanto aqui há uma referência explícita à morte do Senhor. Tudo isto pode parecer desconcertante porque na nossa passagem, O outro irmão, estamos no início do Evangelho e não no fim, mas Jesus já fala de sua morte. Além disso, também lemos no prólogo que: «Seus pais não o acolheram» (GV 1,11). E não esqueçamos que também é domingo «Em alegria» como proclama a antífona de entrada da liturgia eucarística. Então, onde encontrar motivos para se alegrar? Evidentemente nesta verticalidade evangélica que te deixa tonto.

O primeiro a ficar desconcertado é Nicodemos, O interlocutor de Jesus, a quem é pedido um renascimento do alto (de cima), isto é, pelo Espírito derramado do alto. A reação de espanto de Nicodemos - «Como pode isso acontecer?» - encontra uma resposta de Jesus que também nos desconcerta:

«Se você não acredita quando eu falei com você sobre as coisas da terra, como você acreditará se eu falar com você sobre coisas do céu?» (GV 3,12).

De acordo com o contexto as coisas terrenas consistem precisamente na dinâmica do renascimento espiritual que deve ocorrer na vida, aqui na terra, na humanidade da pessoa que, graças à fé, abre-se à ação do Espírito. Enquanto as coisas celestiais são o paradoxo de uma ressurreição que coincide com uma sentença de morte e uma crucificação que, segundo João, é exaltação e glorificação. Encontramos o eco das palavras do profeta Isaías: «Quem vai acreditar na nossa revelação?» (53,1); que seguem o anúncio de que o "servo do Senhor será exaltado" (É 52,13). O verbo grego, dentro versão da Septuaginta (LXX), ypsóo, também será usado por João em nosso texto para indicar a ressurreição do Filho do homem. Assim, no coração da fé cristã há algo surpreendente especificado imediatamente depois: a ressurreição do Filho do homem é o acontecimento que realiza e realiza plenamente o dom que o Pai concedeu à humanidade: o dom do Filho. A elevação na cruz que parece ser o ponto mais baixo da vida de Jesus, para o olhar da fé é o momento em que se nasce do alto, como Nicodemos foi questionado: "Verdadeiramente, verdadeiramente eu te digo, se alguém não nasceu de cima, não pode ver o reino de Deus"; graças ao dom do Espírito que o crucifixo derrama. Aqui está o motivo para se alegrar, pois se "ninguém jamais subiu ao céu, exceto aquele que desceu do céu" (GV 3,13), o evento que poderíamos ler como o mais baixo na vida de Jesus, sua cruz, Segundo John, torna-se o momento mais alto para ele e para nós: ocasião de um dom que revela todo o amor de Deus. Um amor que, Como tal, não pretende condenar nem um pouco, mas apenas salve. Um amor livre e incondicional que pode difundir e manifestar as suas energias naqueles que lhe abrem espaço, acolhendo-o em si através da fé: «Deus amou tanto o mundo que deu o seu Filho unigênito». Um presente vertical e assimétrico porque não busca reciprocidade: «Como o Pai me amou, então eu te amei. Fique no meu amor" (GV 15,9); "Como eu te amei, então vocês se amam" (GV 13,34).

Aqui devemos insistir na absoluta novidade de uma afirmação. Em outras religiões, por exemplo, falamos da profundidade do mistério de Deus, da sua grandeza, da sua eternidade, da sua justiça, etc.. Mas só o Cristianismo nos ensina:

«Porque Deus amou tanto o mundo que deu o seu Filho unigênito, porque todo mundo acredita nele […] tenha vida eterna" (GV 3, 16).

Tal revelação transforma a moral cristã. Jesus nos deixou apenas um mandamento, que é um novo mandamento, o de amar um ao outro, como ele nos amou (GV 13, 34). Esta é a única maneira de explicar o fato, paradoxal à primeira vista, que toda a moral joanina é praticamente uma moral da verdade. Está resumido em dois preceitos fundamentais: a fé que nos abre ao Mistério e o amor que nos faz viver no mistério da revelação. Por outro lado, Giovanni parece saber, na sua riquíssima essencialidade e simplicidade, apenas dois pecados: a rejeição da fé em Jesus e o ódio ao irmão.

Assim, a moral joanina é uma moral da verdade: «Em vez disso, quem pratica a verdade caminha para a luz, de modo que fica claro que suas obras foram feitas em Deus ". Na crescente consciência de que “sem mim você não pode fazer nada”, as consequências de ser cristão, também a nível moral, eles estão ligados em Giovanni ao tema do permanecer. Permanecer com Jesus implica um dever em nível de coerência, mas antes de tudo como consequência ao nível do ser, viva como Jesus: «Aquele que diz que permanece nele, ele também deve se comportar como se comportou" (1 GV 2,6). «Quem permanece Nele não peca; todo aquele que peca não o viu nem o conheceu" (1GV 3,6). Se o cristão, como Giovanni, ele fica surpreso ao olhar para isso, na verdade, se realmente permanece Nele, então ele não peca mais. Pois quem permanece nesse espanto e nessa graça não pode pecar. É lindo, em sua concisão, Comentário de Agostinho sobre este versículo: «Na medida em que permanece nele, na medida em que ele não peca». Uma percepção comum, especialmente entre os Padres da Igreja Oriental. Ecumênio também, um teólogo da tradição antioquina de Crisóstomo, em seu comentário à Primeira Carta de João, escreve:

«Quando aquele que nasceu de Deus se entregou completamente a Cristo que nele habita através da filiação, ele permanece fora do alcance do pecado".

Vamos nos tornar perfeitos à medida que nos abandonamos totalmente a Jesus Cristo, enquanto permanecemos Nele.

Para concluir e resumir, se algum dia fosse possível, temas de tão grande densidade teológica que se extraem do trecho evangélico deste domingo, Relato uma passagem da constituição dogmática A luz:

«Cristo, na verdade, levantado do chão, ele atraiu todos para ele; ressuscitado dos mortos, ele enviou seu Espírito vivificante sobre os discípulos e através dele constituiu seu corpo, a Igreja, como sacramento universal de salvação; sentado à direita do Pai, trabalha incessantemente no mundo para conduzir os homens à Igreja e, através dela, uni-los mais intimamente a si mesmo e torná-los participantes de sua vida gloriosa, nutrindo-os com seu corpo e seu sangue”..

Do Eremitério, 10 Março 2024

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Gabriele Giordano M. Scardocci
Da Ordem dos Pregadores
Presbítero e Teólogo

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Padre Gabriel

Viagem noite adentro com Nicodemos

Homilética dos Padres da Ilha de Patmos

VIAGGIO NELLA NOTTE CON NICODEMO

"Deu, na verdade, ele não enviou o Filho ao mundo para condenar o mundo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui»

Autor:
Gabriele Giordano M. Scardocci, o.p.

 

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Queridos irmãos e irmãs,

nelle nostre vite abbiamo avuto momenti di grande notte e tenebra esistenziale e spirituale. In quei momenti il Signore ci è stato vicino con la sua Luce, anche se forse all’inizio non ce ne siamo accorti. In questo cammino di Quaresima possiamo ripensare a quei momenti e scoprire il senso della speranza come carità teologale. Nicodemo stesso era andato da Gesù di notte. I due hanno un lungo scambio di cui oggi effettivamente è riportata solo una parte. La sezione più importante:

Cristo e Nicodemo, opera di Pieter Crijnse Volmarijn, XVII sec.

"Naquela época, Jesus disse a Nicodemos: “Como Moisés levantou a serpente no deserto, então o Filho do homem deve ser levantado, para que todo aquele que nele crê tenha a vida eterna. Na verdade, Deus amou o mundo de tal maneira que deu o Filho unigênito para que todo aquele que nele crê não se perca, mas tenha a vida eterna. Deu, na verdade, ele não enviou o Filho ao mundo para condenar o mundo, mas para que o mundo seja salvo por ele. Quem acredita nele não está condenado; mas quem não acredita já foi condenado, porque ele não acreditou no nome do Filho unigênito de Deus. E este é o veredicto: a luz veio ao mundo, mas os homens amavam as trevas mais do que a luz, porque suas obras eram más. Qualquer um de fato faz o mal, odeia a luz, e não vem à luz para que suas obras não sejam reprovadas. Em vez disso, quem faz a verdade vem em direção à luz, para que pareça claramente que suas obras foram feitas em Deus"" (GV 3, 14-21).

Inizialmente Gesù fa riferimento al serpente nel deserto innalzato da Mosè (14-15), sostenendo con gran forza che Lui è il nuovo innalzato che donerà la vita eterna. Efetivamente, il richiamo al serpente non era nuovo per Nicodemo. por aqui, Jesus, fa riferimento all’episodio in cui Mosè aveva preso un serpente e postolo su di un’asta liberava dalla morte gli ebrei avvelenati (cf.. nm 21,8 ss).

Ecco allora che Gesù è il Nuovo Innalzato: colui che se accolto con fede e amore libera da tutti i veleni della nostra vita. I peccati, i vizi e le fragilità. Accogliere la vita vera ed autentica è scoprire tutte le proprie potenzialità, i doni di Dio e offrirli nella carità al prossimo. Occorre dunque purificare lo sguardo della nostra fede per cercare di incontrare Gesù innalzato anche nei momenti di difficoltà e sofferenza. Anche quel momento, se vissuto con fede dona momenti di crescita: si entra nella vita nuova quando si è innalzati sulla propria croce in Lui, nei momenti cruciali da vida.

Questo fiorire nella vita nuova in Cristo spalanca la speranza per un mondo migliore già adesso, che costruisce il Bene Comune nella Carità, e anche la speranza escatologica. La speranza cioè di essere redenti e un giorno di andare in Paradiso. Gesù stesso lo promette a Nicodemo:

"Deu, na verdade, ele não enviou o Filho ao mundo para condenar o mundo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».

La salvezza che Gesù ci offre avviene proprio sulla croce, no qual, con un’opera supererogatoria ci ha riscattato dal dominio del peccato e del demonio; noi abbiamo attinto a questa salvezza direttamente nel nostro battesimo e l’abbiamo rinvigorita nella cresima.

Neste tempo de Quaresma possiamo rinvigorire la fede e la speranza della vita eterna, sempre con degli atti di carità, ma anche con uno sguardo di speranza e di bene sulla storia che viviamo. De fato, la micro-storia personale che viviamo nella nostra quotidianità è un grande dono di grazia: Dio ci ha donato vita, libertà e vocazione personale, Por conseguinte, le nostre scelte personali influiscono nella costruzione del nostro quotidiano. Il nostro quotidiano se vissuto con fede e carità ci permette di sperare di costruire una macro-storia del mondo in cui viviamo, che spalanca la strada della speranza per la vita eterna. assim, nel nostro piccolo percorso quotidiano amiamo, crediamo e operiamo nel Bene al contempo fondiamo la speranza di una vita che sarà eternamente bella perché al cospetto di Dio. La vita eterna che sarà inaugurata dalla mattina di Pasqua in cui con Cristo saremo chiamati a nascere per non morire mai più.

La Quaresima ci purifica per imparare a sperare nell’Eterno e non più solo sulle realtà temporanee. Chiediamo al Signore di crescere sempre più nella speranza e generare sempre più un cuore effuso dal suo Santo Spirito e dall’amore mariano.

Que assim seja!

santa maria novela em Florença, 10 Março 2024

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Gabriele Giordano M. Scardocci
Da Ordem dos Pregadores
Presbítero e Teólogo

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Padre Gabriel

Sendo examinado pelo coração de Deus

Homilética dos Padres da Ilha de Patmos

ESSERE SCRUTATI DAL CUORE DI DIO

Gesù scruta il cuore degli uomini testimoni dei suoi miracoli e si accorge che la loro non è una vera fede ma solo emozione. É uma fé que busca apenas o sensacionalismo, o que hoje definiríamos como “fideísmo”. Gesù cerca invece di donare loro una fede che sia autentica e forte.

Autor:
Gabriele Giordano M. Scardocci, o.p.

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Caros Leitores da Ilha de Patmos,

In questa terza tappa verso la Pasqua osserviamo un momento molto forte della vita di Gesù. L’unico episodio in cui il Signore sembra quasi utilizzare delle azioni violente in cui combatte la mentalità del suo tempo. In effetti ogni scena di combattimento è sempre forte agli occhi. Pensiamo alle scene di guerra descritte nelle grandi opere classiche come l’Ilíada olá Jerusalem Liberated. Il combattimento di Gesù, Mas, non è finalizzato alla guerra, ma finché nel cuore dell’uomo e in ciascuno di noi sgorghi un sentimento di fede e di conversione continua.

In questa III domenica di quaresima Leggiamo il celeberrimo passo della cacciata dei mercanti dal tempio nel (testo del Vangelo QUI). Una scena davvero forte. Una modalità da parte del Signore per purificare il Tempio, cioè la casa di Dio, dalle impurità che le vendite non sempre giuste venivano qui operate. no entanto, il Tempio, è spazio sacro in cui i mercanti davvero non potevano entrare per finalità di compravendita.

Este episódio si applica generalmente al nostro tempo come condanna del mercato e delle speculazioni finanziarie disumane e che non rispettano la dignità e la sacralità dell’uomo. Ma questo è anche segno che Gesù non è attento alla singola materialità economica in sé stessa ma come mezzo per il fine. Il denaro, assim, per quanto mezzo necessario, non può mai diventare un sostituto di Dio.

Il dialogo successivo è scusa che Gesù usa per annunciare la sua Passione. Per affermare il suo atto d’amore finale. Questo atto d’amore è Redenzione e liberazione dal peccato. Ed è anche il Grande Segno di Gesù, più grande di tutti gli altri segni, che dobbiamo riscoprire anche noi in questa Quaresima. Se infatti leggiamo con attenzione questa pericope:

«Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, Muito de, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Jesus, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo».

Comprendiamo in che modo Gesù, tramite la sua conoscenza divina per via eternitatis, scruta il cuore degli uomini che erano testimoni dei suoi miracoli. E si accorge che la loro non è una vera fede ma solo emozione. É uma fé que busca apenas o sensacionalismo, o quello che oggi definiremmo “fideismo”. Gesù cerca invece di donare loro una fede che sia autentica e forte.

Questo è il nostro cammino quotidiano che in questo periodo forte possiamo intraprendere con coraggio. Facciamoci aiutare con la preghiera, i Sacramenti e l’affidamento al Signore a liberarci da una fede poco matura, emotiva e fragile. Questo percorso può anche aiutarci a comprendere quali sono le nostre difficoltà e distrazioni nella preghiera e nella pratica delle opere di misericordia.

Il tutto ci porterà a crescere nell’essere conosciuti per divenire gradualmente sempre più intimi col Signore. E questa intimità sarà fonte di gioia e soddisfazione.

Pedimos ao Senhor di avere sempre un cuore aperto alle sue ispirazioni d’amore e di verità per diventare uomini nuovi in Lui.

Que assim seja!

santa maria novela em Florença, 3 Março 2024

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Os Padres da Ilha de Patmos

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No Monte Tabor os discípulos recebem a revelação do filho do homem em forma transfigurada pela luz divina

Homilética dos Padres da ilha de Patmos

SUL MONTE TABOR I DISCEPOLI RICEVONO LA RIVELAZIONE DEL FIGLIO DELL’UOMO IN UNA FORMA TRASFIGURATA DALLA LUCE DIVINA

Nella narrazione evangelica e nel cammino quaresimale viene così aggiunto un altro quadro che aiuta a rispondere alla domanda che ponevamo all’inizio: Quem é ele? Ora è il Padre stesso che rivela l’identità profonda di Gesù non solo a chi assiste sul monte della Trasfigurazione, ma anche ai lettori e ai credenti in Cristo: Egli è il Figlio. Una teologia molto presente nei Vangeli che ci fa tornare alla mente quanto è scritto nel Primo Vangelo, quando Gesù dice: «Nessuno conosce il Figlio se non il Padre»

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Intraprendere il percorso quaresimale significa porsi di nuovo la domanda fondamentale su Gesù: Quem é ele? Allo stesso modo dei discepoli seduti sulla barca sballottata dalle onde, figura della Chiesa nel periodo post pasquale, che svegliato il Signore dormiente a poppa e a tempesta sedata si chiedevano: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?» (MC 4, 41). Il racconto marciano della Trasfigurazione che si legge in questa seconda Domenica di Quaresima desidera rispondere a questa domanda.

La trasfigurazione di Cristo, opera di Giovanni Bellini, 1478. Musei Capodimonte, Nápoles.

"Naquela época, Jesus levou Pedro consigo, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, à margem, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Tomando o chão, Pietro disse a Gesù: “Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, um para você, una per Mosè e una per Elia”. Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: “Questi è il Figlio mio, o amado: escute ele!”. E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, com eles. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti». (MC 9,2-10)

Tutti e tre i Vangeli sinottici inseriscono la Trasfigurazione nello stesso contesto, ossia dopo l’annuncio di Gesù della sua passione. Per il lettore si crea così un ponte fra il ministero pubblico di Gesù e la morte che avverrà in Gerusalemme. Ma anche un collegamento fra la odierna proclamazione di Gesù «Figlio di Dio», che si ode dalla nube, e altre due analoghe. Quella del Battesimo, Quando: «Si sentì una voce dal cielo» che diceva «Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto» (MC 1,11); e a outra, che si trova solo in Marco, all’inizio del Vangelo, nel primo versetto del primo capitolo: "O início do Evangelho de Jesus Cristo, Filho de Deus ".

È molto probabile che l’episodio narrato, originalmente, fosse un racconto di apparizione del Risorto, che Marco, il quale ha escluso dalla sua narrazione siffatti racconti, avrebbe inserito al centro del Vangelo, subito dopo la confessione messianica di Pietro, per bilanciare l’annuncio del destino di morte del Figlio dell’uomo (MC 8, 31) con la visione prolettica della sua glorificazione (MC 9, 2-13). Una scelta che ne avrebbe determinato la collocazione anche in Matteo e Luca. A supporto di questa ipotesi sta il fatto che nel prosieguo dei tre racconti l’incomprensione dei discepoli nei riguardi di Gesù resta intatta, malgrado alcuni fossero stati testimoni di un evento tanto eclatante. Enquanto, collocato dopo la sua morte, il racconto assume un significato cruciale. È il punto di svolta. I tre discepoli ricevono la rivelazione del Figlio dell’uomo in una forma trasfigurata dalla luce divina. Dopo la sua morte, hanno la visione di Gesù collocato allo stesso livello di Mosè ed Elia, cioè di due figure bibliche già innalzate alla gloria celeste, e ascoltano la proclamazione della sua elezione divina, la stessa che risuona al momento del battesimo. Finalmente i discepoli «sanno» chi è Gesù, ed è alla luce di tale comprensione che l’episodio storico e iniziale del battesimo assume il suo «vero» significato di investitura divina.

Nel versetto che precede la scena della Trasfigurazione che oggi leggiamo nella Liturgia Gesù dice ai suoi discepoli: ' Em verdade vos digo: vi sono alcuni qui presenti, che non morranno senza aver visto il regno di Dio venire con potenza» (MC 9,1). Sei giorni dopo questo annuncio Gesù porta Pietro, Giacomo e Giovanni con sé sopra un monte alto, in un luogo appartato, e si trasfigura davanti a loro. L’episodio non solo è descritto da tutti e tre i Vangeli sinottici, ma anche dalla Seconda Lettera di Pietro. Lì l’Apostolo ricorda e scrive di essere stato testimone oculare della grandezza di Gesù:

«Egli ricevette infatti onore e gloria da Dio Padre quando dalla maestosa gloria gli fu rivolta questa voce: “Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto”. Questa voce noi l’abbiamo udita scendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte» (2PT 1,16-18).

A differenza del Battesimo, dove la voce che proclama Gesù «Figlio» sembra sia stata udita solo da Lui, nella Trasfigurazione le parole sono indirizzate ai discepoli, che non possono ignorarle: «Ascoltatelo». È infatti importante che nel momento in cui Gesù annuncia la sua passione venga ribadita l’idea che Dio non abbandonerà il suo Figlio, anche se verrà consegnato per la crocifissione. Questa non offuscherà la fedeltà del Padre, cosicché anche il duro annuncio della passione e morte sono dentro il Vangelo, sono la buona notizia di cui il lettore deve essere consapevole, allo stesso modo dei discepoli che fecero quella esperienza.

Pietro, insieme ai compagni, è colui che più di tutti ha bisogno di ascoltare Gesù. Dopo la confessione di Cesarea di Filippo, ha preteso di mettersi davanti a lui per evitargli il pellegrinaggio a Gerusalemme. Gesù per questo chiama Pietro «Satana» (MC 8,33), ma poi lo invita a salire sul monte con lui. In altre parole qui siamo di fronte alla reazione de Deus all’incredulità di Pietro. Não somente. Se i discepoli devono prepararsi alla passione del loro maestro, anche Gesù ha bisogno di istruzioni per intraprendere il «suo esodo», come specificherà Luca in 9,31: Mosè aveva condotto gli ebrei fuori dall’Egitto, Elia aveva ripercorso i suoi passi, e ora il Messia, aiutato da coloro che hanno vissuto un’esperienza analoga di sofferenza e liberazione, potrà andare deciso verso Gerusalemme.

L’interpretazione tradizionale della presenza di Mosè ed Elia sul monte dice, na verdade, che essi rappresenterebbero la Torà e i Profeti, ovvero tutta la Scrittura prima di Gesù. Ma oggi si pensa piuttosto che il significato della loro presenza sia importante se riferita a quanto Gesù sta vivendo nel momento in cui sale su quella montagna. Mosè ed Elia hanno vissuto eventi paragonabili alla reazione di Pietro all’annuncio della passione di Gesù di cui sopra. L’analogia tra gli eventi è data dal modo in cui Gesù interpreta il rifiuto di Pietro: come una nuova tentazione, analoga a quelle dell’inizio del suo ministero; così Mosè provò l’esperienza del vitello d’oro ed Elia quella della fuga verso l’Oreb. Questi due fatti ebbero luogo proprio su un monte, dopo un fallimento del popolo di Israele che aveva, no primeiro caso, costruito un idolo e, no segundo, sostenuto i sacerdoti di Baal contro cui Elia doveva lottare. A fronte di queste due delusioni, sia Mosè che Elia chiedono a Dio di morire (cf.. É 32,32; 1Ré 19,4), mãe, in risposta, a tutti e due è concessa invece la visione di Dio. Moisés, spaventato, Mas, si nasconde nella rupe (É 33,21-22), ed Elia si copre il volto (1Ré 19,13). Mentre allora non videro Dio, ora finalmente stanno davanti a Gesù, nella sua gloria e non si velano più il volto; non hanno più paura di lui, perché «Gesù, il «Figlio amato» del Padre (MC 9,7), «l’eletto» (LC 9,35), è egli stesso la visibilità del Padre: «Chi ha visto me, ha visto il Padre» (GV 14,9). In lui Mosè ed Elia si incontrano, vedono Gesù nella gloria, e gli portano il loro conforto. No final, il Padre conferma ai tre discepoli, Pietro incluso, la strada che Gesù dovrà intraprendere» ( I . Gilbert).

Nella narrazione evangelica e nel cammino quaresimale viene così aggiunto un altro quadro che aiuta a rispondere alla domanda che ponevamo all’inizio: Quem é ele? Ora è il Padre stesso che rivela l’identità profonda di Gesù non solo a chi assiste sul monte della Trasfigurazione, ma anche ai lettori e ai credenti in Cristo: Egli è il Figlio. Una teologia molto presente nei Vangeli che ci fa tornare alla mente quanto è scritto nel Primo Vangelo, quando Gesù dice: «Nessuno conosce il Figlio se non il Padre» (MT 11,27).

Do Eremitério, 24 fevereiro 2024

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Os Padres da Ilha de Patmos

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Só Jesus poderia ser tão bom e misericordioso a ponto de curar e curar uma sogra

Homilética dos Padres da ilha de Patmos

SOLO GESÙ POTEVA ESSERE COSI BUONO E MISERICORDIOSO DA CURARE E GUARIRE UNA SUOCERA

«La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Ele se aproximou e a fez levantar pela mão; a febre a deixou e ela os serviu. A noite chegou, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta».

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La pericope del Vangelo di questa V Domenica del Tempo Ordinario ci racconta ancora della giornata-tipo di Gesù a Cafarnao.

"Naquela época, Jesus, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Ele se aproximou e a fez levantar pela mão; a febre a deixou e ela os serviu. A noite chegou, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano. Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!». E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni». (MC 1,29-39)

Se l’utilizzo frequente in Marco dell’avverbio «subito» è servito ad accelerare il tempo narrativo, evidenziando la fretta di Gesù riguardo l’annuncio del regno; nel brano odierno, anche i luoghi qui sono presi in considerazione, come uno spazio che tende ad allargarsi sempre di più. Il movimento del racconto passa infatti dalla sinagoga della cittadina sul lago (MC 1,29) alla casa di Pietro, poi ancora dalla casa alla strada aperta davanti alla porta del cortile della casa di Pietro (v. 33), da una città ai villaggi vicini (v. 38); no fim, dai villaggi fino a «tutta la Galilea» (v. 39). Come se tutto lo spazio, velocemente, debba essere occupato da Gesù, dal suo annuncio e dalle sue opere.

I personaggi del racconto sono i discepoli più vicini a Gesù, la suocera di Simone e soprattutto i malati. Sono questi ad impadronirsi della scena. Essi si possono trovare già dove arriva Gesù, come la suocera di Pietro, oppure vengono portati a lui; altri ancora lo cercano spontaneamente sin dall’alba, quando egli sta pregando. La malattia incornicia il nostro brano: che si tratti di una febbre o di una sofferenza più profonda, spirituale o fisica (come quella causata dagli spiriti impuri del v. 39), il vocabolario del campo semantico dell’infermità costella il racconto ed è presente in modo consistente, includendo tutta la narrazione.

«E subito gli parlarono di lei». La sollecitudine verso questa donna anziana colpisce, perché manifesta un’attenzione verso i fragili e la fede nella presenza di Gesù. La donna anziana e febbricitante non viene nascosta al Maestro come fosse un problema o qualcuno di cui vergognarsi, per cui non varrebbe la pena disturbare. Il fatto che i discepoli parlino subito della suocera di Pietro a Gesù mostra che quella donna era per loro una priorità. Non ne chiedono la guarigione, non sfruttano la presenza del Maestro ai loro fini, semplicemente indicano la donna malata: questa persona per loro è importante. Da questo si può capire il senso e il valore dell’intercessione come del parlare a favore di qualcuno. Gesù lo apprezza, tanto che fa subito qualcosa: le tende la mano, la solleva e poi la guarisce dalla sua malattia. Gesù vuol essere disturbato dai malati. Gesù apprezza e ammira l’intercessione a favore dei malati, come nel caso del centurione che intercede per il suo servo malato (LC 7,1-10).

Il tema della malattia, dicevamo, percorre tutto il testo marciano. La sofferenza tocca ogni uomo, ma «sperimentando nella malattia la propria impotenza, l’uomo di fede riconosce di essere radicalmente bisognoso di salvezza. Si accetta come creatura povera e limitata. Si affida totalmente a Dio. Imita Gesù Cristo e lo sente personalmente vicino» (Catechismo degli Adulti, A verdade te libertará, 1021). È la «conversione» alla quale sono chiamati i malati sanati da Gesù, em vez de, alla quale siamo chiamati tutti noi.

Scopriamo così un altro senso delle prime parole di Gesù nel Vangelo di Marco: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino» (MC 1,15). Il tempo e lo spazio, ma anche gli uomini e le donne sono toccati dalla pienezza della presenza di Dio e il regno è quella realtà in cui è possibile l’incontro con Gesù. Gesù non compie solo attività terapeutiche, perché i suoi gesti sono accompagnati da parole, da insegnamenti. In effetti si tratta di segni per dire che il regno è vicino: i miracoli annunciano e inaugurano il regno di Dio e corrispondono alle attese di Israele, dove si credeva che il Messia sarebbe venuto con capacità taumaturgiche. Per questo motivo l’annuncio che «il regno è vicino» è complementare alla parola «convertitevi e credete al vangelo», perché le folle che accorrono da Gesù, davanti a questi gesti divini, sono chiamate a credere e a convertirsi. Se questo non accade, i miracoli non servono, come spiega Matteo in un altro passo: «Allora si mise a rimproverare le città nelle quali aveva compiuto il maggior numero di miracoli, porque eles não se arrependeram: Ai de você, Corazim! Ai de você, Betsaida. Porque, se em Tiro e em Sidom se tivessem sido feitos os milagres que eram feitos entre você, elas se teriam arrependido há muito tempo, ravvolte nel cilicio e nella cenere» (MT 11,20-21). La guarigione più grande che Dio può operare è quella dalla nostra incredulità.

Finalmente, forse collegato a ciò che abbiamo appena detto, notiamo la piccola discrepanza fra i «tutti» che accorrono a Gesù per essere sanati (vv. 32.33.37) e i «molti» che invece, na realidade, sono guariti: «Guarì molti che erano afflitti da varie malattie» (v. 34). Essa, Mas, viene superata dal vocabolario della risurrezione usato da Marco. Infatti il verbo che Marco adopera per narrare la guarigione della suocera di Pietro — «la sollevò» del v. 31) — è molto importante nel Nuovo Testamento, perché non ricorre soltanto nei contesti delle guarigioni (MC 2,9.11; 5,41; 9,27), ma soprattutto nel racconto della risurrezione di Lazzaro (GV 12,1.9) e di Cristo (ad es.: No 3,15; RM 10,9). Come Gesù è stato capace di sollevare la suocera di Simone, così sarà capace di dare la vita ai morti, a todos. Si chiarisce allora la strada che vuol farci percorrere Marco per arrivare a conoscere chi è Gesù. Colui che nell’apertura del Vangelo viene definito come «Figlio di Dio» (MC 1,1), come il Battezzatore nello Spirito Santo (v. 8), come il «Figlio prediletto» (v. 11) è finalmente svelato nel suo essere nei confronti degli uomini: è colui che è «venuto» («uscito», Verbatim, dal verbo exérchomai; cf.. v. 38) agli uomini perché lo ascoltino e siano guariti dalle loro infermità.

Il racconto della giornata di Gesù prosegue col riposo, ma poi «al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!» (MC 1,35-37). Non sappiamo a quale luogo deserto possa riferirsi l’evangelista, ma certo non doveva essere distante dal lago. Marco ha già accennato alla preghiera di Gesù, nella forma celebrata in sinagoga. Questa preghiera mattutina e personale, come apprendiamo anche da altre tradizioni evangeliche, sembra essere il modo in cui il Signore riconduce tutto al Padre: quello che ha vissuto dalla sera precedente, quello che lo aspetterà nel giorno che continua. Così Gesù insegna ai discepoli che la preghiera è indispensabile per fare unità nella propria vita.

Do Eremitério, 4 fevereiro 2024

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Aquele dia em que um endemoninhado reconheceu imediatamente Jesus Cristo como poder divino

Homilética dos Padres da ilha de Patmos

QUEL GIORNO IN CUI UN INDEMONIATO RICONOBBE IMMEDIATAMENTE GESU CRISTO COME POTENZA DIVINA

«Nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, provérbio: “O que você quer de nós, Jesus Nazareno? Vieste para nos destruir? eu sei quem você é: o santo de Deus!”. E Gesù gli ordinò severamente: “Taci! Esci da lui!”. E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui».

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Canção evangélica deste domingo forma parte di quella che viene comunemente definita la «giornata di Gesù a Cafarnao».

"Naquela época, Jesus, entrato di sabato nella sinagoga, [a Cafàrnao] ele ensinou. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi. E aqui, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, provérbio: “O que você quer de nós, Jesus Nazareno? Vieste para nos destruir? eu sei quem você é: o santo de Deus!”. E Gesù gli ordinò severamente: “Taci! Esci da lui!”. E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: “Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!”. La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea». (MC 1,21-28).

Si tratta di una raccolta di brevi episodi che vanno da MC 1,21 tão longe quanto 1,34 che l’Evangelista racchiude nell’arco di ventiquattro ore. Si inizia con la preghiera del mattino in sinagoga, descritta dal v. 21― preghiera celebrata ancora oggi dagli Ebrei, che prevede la proclamazione della Torah, del Profeta e il successivo sermone tenuto dal rabbino ― per arrivare al tramonto del sole, quando ormai, finito lo Shabat, è permesso portare i malati davanti a Gesù. L’attività di Gesù è frenetica: non ha tempo se non per insegnare e per guarire. C’è un avverbio, «subito» (εὐθύς, euthys), importantissimo per Marco, che si ripete nei vv. 21.23.28 ― purtroppo non colto dalla traduzione italiana, ma presente in greco ― e addirittura dodici volte solo nel primo capitolo, quarantacinque nell’intero vangelo di Marco; sta a indicare la fretta di Gesù per il quale «il tempo è compiuto» (MC 1,15): se il tempo è compiuto, non c’è tempo da perdere per mostrare come il Regno è arrivato tra gli uomini.

La prima attività che ci riferisce Marco su Gesù è il fatto che insegnava con autorità. Il primo miracolo, vamos chamá-lo assim, che compie non è una guarigione o un esorcismo, ma l’insegnamento. E, in proporzione, Marco presenta Gesù come un maestro, più degli altri Vangeli: per cinque volte usa a suo riguardo la parola didachē ― «insegnamento» ― e per dieci volte lo chiama «maestro», riferendo questo titolo solo a lui. L’insegnamento è uno dei ministeri di cui parla Paolo nella Lettera ai Romani (12,7), ed è forse la carità di cui più abbiamo bisogno in tempi in cui è difficile trasmettere la fede.

Os outros, a cui viene paragonato Gesù, sono gli scribi. Ma non hanno la sua stessa «autorità». Anche se non vengono disprezzati o diminuiti dall’Evangelista, Marco sottolinea due volte (vv. 22 e 27) che egli insegna in modo molto diverso rispetto a loro. La differenza tra lui e gli altri «rabbini» potrebbe stare a due livelli. Il primo è quello dell’autorevolezza con cui Gesù dice le cose. Leggendo i testi della tradizione rabbinica, che sono stati raccolti a partire dalla caduta del secondo Tempio, nella seconda metà del I secolo d.C., si rimane colpiti dall’attaccamento alle «tradizioni degli antichi» ― di cui parla anche Marco in 7,1-13 ― tramandate con una lunga catena di detti e di sentenze, ma soprattutto dal modo in cui queste sono elencate una dopo l’altra, come una raccolta di opinioni diverse ma dello stesso valore. La parola di Gesù invece ha un carattere più creativo ed un peso più grande: si rifà direttamente alla Legge e a Dio e, acquisendone forza, la sua parola non è mai solo un parere. Ma c’è di più e qui siamo al secondo livello dell’autorità di Gesù. Le sue non sono semplicemente parole, ma compiono ciò che dicono. Egli è il «santo di Dio» (MC 1,24) e perciò la sua autorità esprime il potere di Dio stesso: per questo insegna, esorcizza e guarisce, ma sempre attraverso una parola che libera e salva.

Il Regno di Dio è una nuova creazione no qual, come già nella prima, le parole proferite autorevolmente realizzano ciò che proferiscono. Questo diventa evidente nella seconda attività che contraddistingue l’avvento del Regno in Gesù: la guarigione dei malati e gli esorcismi. Dove c’è Dio con il suo regno, lì non c’è spazio per il male e le sue potenze: se ne devono andare.

Gesù infatti non lascia parlare lo spirito immondo: «Taci», gli ordina. Non vuole che Satana apra bocca e non solo perché il diavolo è «menzognero e padre della menzogna» (GV 8,44). Infatti già era accaduto una volta che il serpente avesse parlato, ed ebbe inizio la triste storia del peccato dell’uomo: il serpente antico per tentare al male Adamo aveva infatti inculcato il veleno del dubbio in Eva: "É verdade que?» (Geração 3,1). Se allora fosse stato fatto tacere, Adamo avrebbe vinto la tentazione.

In questa parte del Vangelo secondo Marco la cristologia è centrata sull’idea che Gesù sia capace di recuperare la sorte del primo uomo. Who, quando fa tacere il demonio e anche nella scena del deserto, ovvero nel racconto della sua tentação. Gesù viene «cacciato» in quel luogo (MC 1,12) così come Adamo era stato «cacciato» dal paradiso (Geração 3,24), condividendone così la sventura, ma uscendo vittorioso dalla prova. Al termine di essa, registra Marco, Gesù «stava con le fiere», cioè di nuovo in pace con la creazione, come Adamo, «e gli angeli lo servivano», cioè ricevendo lo stesso onore che, secondo una tradizione rabbinica, Dio aveva dato alla sua più bella creatura, l’onore di essere nutrito dagli spiriti buoni. Jesus, no fim, appare nel Vangelo di Marco non come un bambino, come invece nei vangeli dell’infanzia di Matteo e di Luca, ma arriva sulla scena già adulto, uomo fatto, come anche Adamo era stato creato adulto.

La giornata di Cafarnao si svolge in un sabato, il giorno in cui Dio si è riposato dopo aver creato l’uomo. In questo giorno Gesù può riportare alla sua originale bellezza il mondo, per mezzo della stessa parola creatrice che ha fatto l’universo e che gli permette di esercitare la sua autorità forte; ma anche esercitando su quel giorno, il sabato, una speciale signoria. Il «Figlio dell’uomo», come ascolteremo in un’altra domenica, è «Signore anche del sabato» (MC 2,28). Il tempo è di Dio e Gesù afferma questa sovranità sul tempo compiendo guarigioni di sabato. E sono guarigioni che toccano uomini e donne che a causa della loro malattia avevano perso la ragione stessa del tempo. Per una persona sana, lo svolgersi delle attività lungo l’arco della settimana mirava ad un compimento nel riposo sabbatico: l’incontro con Dio e con la sua parola permeava di significato e di speranza l’esistenza.

Per una persona invalida, che era esclusa dal riposo sabbatico e dallo spazio del tempio, ecco che ogni giorno della settimana si caricava del medesimo dolore e sofferenza. Le guarigioni di Gesù nel giorno di sabato interrompono questo fluire indistinto del tempo nel corpo dei malati e ridonano a uomini e donne che hanno perso il senso del tempo il suo pieno valore attraverso il sabato. La guarigione di quell’uomo «posseduto da uno spirito impuro», che quel giorno di sabato si trovava proprio lì dove era presente anche Gesù, è l’inizio di un nuovo sabato, ossia di una nuova creazione, in cui al centro c’è la vita di ogni persona da salvare. Come ha scritto il rabbino e filosofo Heshel:

«Dobbiamo sentirci sopraffatti dalla meraviglia del tempo se vogliamo essere pronti a ricevere la presenza dell’eternità in un singolo momento. Dobbiamo vivere ed agire come se il destino di tutto il tempo dipendesse da un singolo momento» (Heshel A. (J), No sábado, Garzanti, Milão 2015, p. 96).

 

Do Eremitério, 27 Janeiro 2024

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Os Padres da Ilha de Patmos

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«Venha atrás de mim, Eu vos farei pescadores de homens ". E imediatamente eles deixaram as redes e o seguiram

Homilética dos Padres da ilha de Patmos

«VENHA ATRÁS DE MIM, FAREI QUE VOCÊS SE TORNAREM PESCADORES DE HOMENS". E SUBITO LASCIARONO LE RETI E LO SEGUIRONO

Come potremmo descrivere il regno di Dio proclamato da Gesù? A principal dificuldade é que Jesus nunca usou nenhuma definição para falar sobre isso. Em vez disso, ele usou parábolas e imagens, paragonandolo, per rimanere sempre al Vangelo di Marco che leggeremo quest’anno, a un seminatore che getta del seme in terra o a un granello di senapa e così via.

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Lasciato alle spalle il passaggio nel Vangelo secondo Giovanni di domenica scorsa, il lezionario ci riporta a Marco, Who, terminata l’esposizione della trilogia comune ai sinottici (João Batista, Battesimo di Gesù e la prova nel deserto), riprende la narrazione dandoci un’indicazione temporale importante che apprendiamo dall’attacco del Vangelo di oggi.

«Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo». Passando lungo il mare di Galilea, ele viu Simone e Andrea, irmão da simone, enquanto lançam suas redes no mar; eles eram na verdade pescadores. Jesus disse-lhes:: «Venite dietro a me, Eu vos farei pescadores de homens ". E imediatamente eles deixaram as redes e o seguiram. Indo um pouco mais longe, vide Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedeo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui. (MC 1,14-20).

Scrive Marco che Gesù inizia a proclamare il regno di Dio «dopo che Giovanni fu arrestato» (MC 1,14 cf.. Além disso MT 4,12). Molti immaginano che la cronologia dell’inizio del ministero pubblico di Gesù si sia svolta così: da Galiléia, regione da cui viene, Gesù scende al Giordano per essere battezzato. Subito dopo, tentativa de, rimane quaranta giorni nel deserto per poi ritornare in Galilea. Ma deve invece essere passato più tempo e il punto di svolta, ciò che fa tornare Gesù in Galilea è rappresentato dall’arresto del Battista. Forse è in quel preciso momento che per Gesù giunge la consapevolezza che è ora di assumersi le sue responsabilità.

La voce che gridava nel deserto, poiché è stata messa a tacere, passa ora alla Parola che annuncia il regno. Questa interpretazione aiuta noi credenti nei momenti di difficoltà e sofferenza, come deve essere stato per Gesù l’arresto di Giovanni e ci fa proferire: bisogna fare qualcosa. È in tali situazioni che, se non vai tu, nessuno può andare al posto tuo. La chiamata che ora Gesù farà dei discepoli, l’ha vissuta in prima persona lui; il regno che annuncia l’ha visto arrivare per primo lui, anche nella dolorosa notizia che Giovanni non può più parlare.

Ma eccoci a una questione teologica importante. Come potremmo descrivere il regno di Dio proclamato da Gesù? A principal dificuldade é que Jesus nunca usou nenhuma definição para falar sobre isso. Em vez disso, ele usou parábolas e imagens, paragonandolo, per rimanere sempre al Vangelo di Marco che leggeremo quest’anno, a un seminatore che getta del seme in terra (MC 4,26) o a un granello di senapa (MC 4,31) e assim por diante. Il regno, diz Jesus, non solo è vicino, ma bisogna accoglierlo come fanno i bambini (MC 10,15) ed entrarci dentro, anche se non è così facile, soprattutto se si hanno molte ricchezze (MC 10,23). È presente, cioè qui o vicino, ma è anche futuro, come quello in cui Gesù berrà, junto conosco, il vino nuovo, altro vino rispetto a quello dell’ultima sua cena (MC 14,25). La teologia cristiana ha elaborato a proposito una formula, quella del «già» ma «non ancora», quasi un ossimoro che dice però come il regno possiamo già ereditarlo e viverci, anche se non è ancora compiuto. Non è ancora esteso a tutti gli uomini, mãe, come insegna il documento del Concilio Vaticano II A luz «è già presente in mistero» con la Chiesa (cf.. n. 5).

Nesse sentido Gesù si distingue dalle due principali concezioni sul regno che circolavano nel giudaismo del suo tempo. Egli infatti non ha inventato questa idea, già nota all’Antico Testamento (cf. 1Cr 28,5) e non l’ha applicata né a quel modo di pensare che vedeva il regno come una realtà «nazionalistica», tutta presente, da attuare magari ad ogni costo, né tanto meno alla concezione opposta, di tipo apocalittico, che vedeva il regno possibile solo come una realizzazione futura che negava il presente. Se vogliamo rintracciare questi due estremi nella storia dell’umanità, potremmo dire che il materialismo si è spesso fondato sull’illusione che tutto potesse risolversi qui, agora; ma dall’altra parte è facile riconoscere in certi movimenti spiritualistici la svalutano del presente, considerato in modo negativo.

Gesù ha invece usato l’idea di regno per dire anzitutto che è arrivato e quindi ci si può entrare. Ma per farlo bisogna cambiare mentalità, modo di ragionare e pensare; per dirlo con le parole di Gesù: «convertirsi» (MC 1,15). "Venha seu reino!», prega ancora la Chiesa, hoje, após dois mil anos. Il regno c’è già, ma deve ancora essere accolto come un dono e trovato lì anche dove si fatica a vederlo.

In conformità dunque con l’attesa escatologica giudaica, ma con la differenza decisiva però che non più di attesa si tratta, il Regno di Dio è l’effetto dell’evento messianico annunciato da Gesù e in lui presente. Il pieno dispiegamento della sua sovranità redentrice non si è ancora realizzato, ma il tempo della fine è giunto e dunque per parlare in modo appropriato non c’è più sviluppo storico, mas sim uma recapitulação de toda a história chamada a julgamento.

«È questo il contenuto dell’«evangelo di Dio» quale ci è sinteticamente riferito dalla tradizione più antica raccolta da Marco: «Il tempo è compiuto ed è vicino il Regno di Dio: converter, e credete nell’evangelo» (1,14-15). O que se anuncia aqui é o tempo (a kairos) de conclusão final, o advento prometido do Reino, a grande virada do mundo inaugurada por Jesus, cujo último ato com sua parusia está prestes a acontecer. Evidentemente qui non può essere il Gesù storico a parlare, bensì il Risorto predicato dall’evangelista, che segna con precisione il tempo della fine tra resurrezione e parusia, come un evento unico in cui tutto il tempo, tutta la storia si condensa, ivi compresa la vita stessa di Gesù. Para isso agora, ao contrário da escatologia judaica, occorre «fede nell’evangelo», isto é, em Jesus Cristo, no Messias, que está presente como quem veio e quem vem. Tutto dunque in forza di questa fede precipita e si concentra nel presente, non vi è più oscillazione tra passato e futuro, tradizione e attesa; ma solo l’ora attuale in cui il passato è redento e il futuro è solo desiderio del compimento: "Vem Senhor Jesus" (Ap 22, 20).[1]

Il Vangelo prosegue descrivendo la fretta di Gesù di portare ad attuazione la sua parola sul regno, perché “il tempo è compiuto”. Il concetto emerge molto chiaramente nel Vangelo di Marco, dove abbonda l’avverbio euthus (εὐθὺς), «subito», ripetuto decine di volte. Tale sollecitudine trova una prima applicazione nella chiamata dei quattro discepoli (vv. 16-20) e nell’episodio dell’insegnamento nella sinagoga di Cafarnao, accompagnato dalla liberazione di un indemoniato (próximo domingo). Jesus, con gesti e con parole, mostra davvero come il regno è arrivato, e lo dice: ai discepoli (appena chiamati a sé) e alla sua gente (nella sinagoga). Ecco che allora il regno può essere solo uno spazio in cui Dio è presente, Onde, precisamente, solo lui regna. Le altre potenze non possono fare altro che riconoscerne l’autorità («Io so chi tu sei: il santo di Dio» di MC 1,24) e sottomettersi.

I padri della Chiesa erano colpiti dal modo in cui Gesù chiamò i primi a seguirlo: rilevano che erano persone semplici e illetterate (Orígenes), che probabilmente avranno obiettato con la loro inadeguatezza (Eusebio); noi ci stupiamo anche del fatto che questi «subito» lascino le reti lo seguano (cf.. MC 1,18), ma soprattutto per il fatto che ancora oggi, depois de muitos anos, Gesù ancora «passi accanto» (MC 1,16) alle nostre situazioni, al nostro quotidiano, alle nostre reti, e ci inviti a seguirlo per stare con lui.

Ciascuno di noi viene chiamato lì dove si trova e ogni inizio ha sempre un prima che lo ha preparato su cui poi si innesta una novità, un cambiamento: come il seme che è stato seminato ha una forma diversa dalla pianta che poi germoglierà, così anche noi siamo presi dal Signore a partire dalle nostre storie e dal nostro oggi per far sviluppare quelle potenzialità di bene e di vita che sono racchiuse nel «piccolo seme» della nostra vita e che solo il Signore può dischiudere e trasformare con la forza e la fantasia del suo Spirito. A noi è chiesta l’attenzione alla sua voce che chiama, l’abbandono filiale e fiducioso alle sue parole, e la prontezza nel rispondere senza dilazioni nel tempo o attaccamenti al «già», a quel noto e conosciuto che ci rassicura ma anche rischia di bloccarci: «E subito lasciarono le reti e lo seguirono».

 

Do Eremitério, 21 Janeiro 2024

 

NOTA

[1] Gaeta G., A hora do fim, Qualquer, 2020

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Gabriele Giordano M. Scardocci
Da Ordem dos Pregadores
Presbítero e Teólogo

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Padre Gabriel

Um domínio de caridade: "Rabino, onde você mora? Venha e veja"

Homilética dos Padres da Ilha de Patmos

UM MESTRE DE CARIDADE: "RABINO, ONDE VOCÊ MORA? VENITE E VEDETE»

Scriveva Isaac Newton «Più imparo, mais percebo quantas coisas não sei". Hoje parece que muitos não querem aprender mesmo tendo certeza e certeza de que sabem.

 

Autor:
Gabriele Giordano M. Scardocci, o.p.

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Caros Leitores da Ilha de Patmos,

uno degli atteggiamenti più naturali che tutti abbiamo è quello della ricerca. Quando siamo bambini ci domandiamo spesso il perché delle cose. Crescendo troviamo poi delle risposte, e continuamente rinnoviamo questa nostra ricerca del senso della verità nelle cose. Scriveva Isaac Newton «Più imparo, mais percebo quantas coisas não sei".

Nel Vangelo di oggi Gesù ci mostra due uomini in ricerca e la via da seguire per trovare la risposta definitiva. La risposta è molto bella: andare con Lui e vedere dove dimora il Signore.

«Gesù allora si voltò e, osservando che [Giovanni e due discepoli] lo seguivano, ele disse-lhes: “Che cosa cercate?”. Eles responderam a ele: “Rabbì — che, tradotto, significa maestro — , onde você mora?”. Disse loro: “Venite e vedrete”».

Troviamo dunque una scena molto bella. Giovanni, Andrea e un altro discepolo di cui non sappiamo il nome si muovono seguendo Gesù. Lui se ne accorge e li interroga. Rispondono e così lo riconoscono come maestro e vogliono sapere dove abita. Ed è allora che Gesù li invita a venire e vedere.

È un dialogo vivido e forte fra i tre e Gesù. Il Signore con il suo sguardo umano divino coglie un cuore e una mente pronti a cercare la casa di Dio. Pronti a cercare quel luogo dove possono trovare la verità che schiude il loro mistero e quello di Dio.

Gesù è davvero maestro per loro perché in quanto figlio di Dio può condurre Andrea, Giovanni e l’altro discepolo ad una maestria, ad una conoscenza che diventa amore. Una conoscenza di Dio che gli permette di amare in modo concreto e pratico sé stessi e gli altri.

In questo incontro ci siamo anche noi. Potremmo dire che siamo simboleggiati da quel discepolo innominato. Quello senza nome è colui che ascolta e chiede a Gesù qual è la sua dimora oggi nel 2024.

Il Signore chiede a tutti noi di cercarlo innanzitutto nella Chiesa, eua sua dimora principale, perché in essa si vive e si celebra l’Eucarestia, cioè la presenza reale di Gesù in corpo, sangue, alma e divindade. Se seguiamo e vediamo Gesù nella Chiesa che celebra l’Eucarestia, e dunque ci rende partecipi attivamente nell’Incontro con Lui, tutti possiamo crescere anche nell’imparare la comunione con il prossimo. Porque, efetivamente, la seconda dimora dove possiamo incontrare Gesù oggi, è proprio il nostro prossimo. Tutti noi infatti siamo tempio dello Spirito Santo e tempio dell’Eucarestia. Perciò impariamo a guardare nel prossimo sofferente e bisognoso, quello stesso Gesù che ci chiede aiuto.

Così dobbiamo innanzitutto imparare ad ascoltare la voce di Gesù che oggi domanda ai nostri cuori “Cosa cercate?”. Domandiamoci se i nostri desideri sono santi, giusti e buoni, e davvero sentiremo il Signore invitarci a camminare sui sentieri dell’Eternità.

Chiediamo al Signore il dono di una ricerca che ci porti alla vita autentica, la vita in Lui e nella sua Chiesa, per diventare ricercatori della Luce Eterna.

 

santa maria novela em Florença, 14 Janeiro 2024

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O divino provocador Jesus aos Apóstolos: "O que você está procurando??»

Homilética dos Padres da ilha de Patmos

O DIVINO PROVOCADOR JESUS ​​​​AOS APÓSTOLOS: "O QUE VOCÊ ESTÁ PROCURANDO?»

Questo primo incontro di Gesù coi suoi primi discepoli è un intreccio di sguardi e di testimonianze che convergono verso il Signore. O profundo mistério da sua pessoa começa a revelar-se, bem como os nomes dos primeiros seguidores. Tanto significativo dovette essere questo momento che ne conservarono anche l’orario: le quattro del pomeriggio, l’ora decima.

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Nel Vangelo di questa II domenica del tempo ordinario vamos ler: «In quel tempo Giovanni stava con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, ele disse-lhes: "O que você está procurando??». Eles responderam a ele: «Rabbì – che, tradotto, significa maestro –, onde você mora?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro». (GV 1,35-42).

La Chiesa ha compreso l’unità dei tre misteri che hanno attinenza con la rivelazione di Gesù, e li ha legati già nell’antica antifona dei Secondi Vespri del giorno dell’Epifania:

«Tre prodigi celebriamo in questo giorno santo: oggi la stella ha guidato i magi al presepio, oggi l’acqua è cambiata in vino alle nozze, oggi Cristo è battezzato da Giovanni nel Giordano per la nostra salvezza, alleluia».

Quest’anno il terzo mistero che attiene alla manifestazione di Gesù è annunciato sempre tramite il Vangelo secondo San Giovanni, ma invece che l’episodio di Cana, la liturgia propone quello della prima manifestazione di Gesù ai discepoli, a seguito della indicazione di Giovanni Battista che lo definisce come «Agnello di Dio».

L’episodio evangelico si colloca al terzo giorno della settimana inaugurale del ministero di Gesù, settimana che culminerà nella manifestazione della sua gloria a Cana davanti ai suoi discepoli che «credettero in lui» (GV 2,11). Il testo offre la versione giovannea della chiamata dei primi discepoli narrata dalla tradizione sinottica, ma con differenze rimarchevoli. Giovanni presenta uno schema in cui è fondamentale la mediazione di un testimone che confessa la fede in Gesù e conduce altri all’incontro con lui: è così per Giovanni Battista nei riguardi di due suoi discepoli (1,35-39), per Andrea nei confronti di Simon Pietro (1,40-41), per Filippo che si rivolge a Natanaele. In particolare Giovanni Battista che, dopo una testimonianza negativa su di sé («Io non sono il Cristo») e una positiva su Gesù («Ecco l’Agnello di Dio»), rivela davanti a due suoi discepoli l’identità di colui di cui egli è stato il precursore e li conduce a farsi discepoli di Gesù. Colui che era stato inviato da Dio come testimone del Verbo «perché tutti credessero per mezzo di lui» (1,7) adempie così il suo mandato lasciando che i suoi discepoli diventino di Gesù, chiedendo che aderiscano a lui.

Che siamo di fronte alla manifestazione di un mistero è segnalato anche dallo “schema di rivelazione”, spesso usato dall’evangelista nella sua opera e che si può riassumere nelle tre fasi del vedere, dire e proferire l’avverbio: «Ecco». Il brano evangelico si apre, assim, con Giovanni che «fissa lo sguardo» (1,36) su Gesù e dice: «Ecco l’Agnello di Dio» e si chiude con Gesù che «fissando lo sguardo» (1,42) su Simon Pietro gli dice: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni, sarai chiamato Cefa – che significa Pietro». Lida com, in entrambi i casi, di uno sguardo intenso, un vedere in profondità, un discernere l’identità di una persona. La vocazione non è solo una chiamata come nei sinottici, ma anche uno sguardo come qui in Giovanni. Lo sguardo, come e forse più della voce è comunicazione e rivelazione. In Giovanni Il verbo più neutro è scorgere, βλέπειν (Blepein). Lo troviamo per la scena iniziale del battesimo al Giordano. Giovanni Battista scorge Gesù che viene a lui e dice: «Ecco l’agnello di Dio». Ma si nota già in questo episodio un passaggio dallo scorgere al contemplare (GV 1,32) e poi all’«ho visto» di GV 1,34, come in GV 14,9.

Alla forma verbale più completa arriviamo in GV 14,9, dove il verbo «vede­re» verrà usato al perfetto: έώρακα (Eoraka). Applicato a Gesù, descrive ciò che lo sguardo attento e stupito ha scoperto in lui e di cui si conserva nella memoria la scoperta. Possiamo osservare che ogni volta che Giovanni usa questo verbo «ho visto» (e ne conservo la memoria) Gesù viene riconosciuto come il luogo santo dove Dio si manifesta, il tempio della presenza divina, casa, ovvero la dimora in cui Dio stesso abita. In un tale contesto diventa chiaro il senso del versetto di Gv14,9: "Quem me viu tem visto o pai". Aver visto Gesù e conservarne la visione interiore nella memoria vuol dire riconoscere Gesù come il luogo di inabitazione del Padre, presente nel suo Figlio come in una dimora. Por causa disso, ritornando al brano evangelico di questa domenica, bisogna dire che in modo adeguato la versione rinnovata della Bibbia CEI del 2008 ha tradotto il v.38 con: «Rabbì dove dimori?» e non «dove abiti?» come era nella precedente versione, data la presenza del verbo μένεις (Menein) che riveste nel quarto Vangelo una importanza particolare. Il tema del dimorare corre, na verdade, come un filo rosso attraverso tutto il quarto Vangelo, arricchendosi progressivamente. Allargando lo sguardo all’insieme del Vangelo e provando a tirare le fila del nostro discorso possiamo affermare che lo stesso evan­gelista in 1,14 ci invita a comprendere che nell’uomo Gesù — il Verbo fatto carne «pieno della grazia della verità» in cui i testimoni hanno «contemplato la gloria dell’unigenito» — c’era un mistero, «insondabilmente nascosto» ma che ci viene manifestato «simbolicamente» (São Máximo o Confessor). È il mistero dell’«unigenito venuto da presso il Padre», che «è venuto a mettere la sua tenda in mezzo a noi». Così egli diventa la dimora del Padre (GV 14,10), il nuovo tempio della presenza di Dio (GV 2,21; cf.. GV 4,20-24). Un bellissimo brano di san Massimo il Confessore, sep­pur difficile, dice l’essenziale:

«Il Signore […] è diventato precursore di se stesso; è diventato tipo e simbolo di se stesso. Simbolicamente fa conoscere se stesso attraverso se stes­so. Cioè conduce tutta la creazione, partendo da se stesso in quanto si manifesta, ma per condurla a se stesso in quanto è insondabilmente nascosto».

Forse più intellegibile e nello stesso tempo mirabile è questa frase di Guglielmo di Saint-Thierry, l’amico di San Bernardo, che interpretò in senso spirituale e trinitario la domanda dei primi discepoli:

"Maestro, onde você mora? Vieni e vedi, disse Egli. Non credi che io sono nel Padre, e che il Padre è in me? Grazie a te, homem! […] Noi abbiamo trovato il tuo luogo. Il tuo luogo è il Padre; e novamente, il luogo del Padre sei tu. Tu sei dunque localizzato a partire da questo luogo. Ma questa localizzazione, che è la tua, […] è l’unità del Padre e del Figlio»[1].

Questo primo incontro di Gesù coi suoi primi discepoli è un intreccio di sguardi e di testimonianze che convergono verso il Signore. O profundo mistério da sua pessoa começa a revelar-se, bem como os nomes dos primeiros seguidores. Tanto significativo dovette essere questo momento che ne conservarono anche l’orario: le quattro del pomeriggio, l’ora decima. Così iniziamo a conoscere Andrea fratello di Simon Pietro, (1,42) che da Gesù riceve la vocazione a diventare «roccia» (questo significa «Cefa»), in mezzo ai suoi fratelli. Chi è l’altro discepolo che era insieme a Andrea? Possiamo ipotizzare che sia «il discepolo amato». Egli è colui che, presente alla croce di Gesù, vedendo Gesù morire come Agnello a cui non viene spezzato alcun osso (GV 19,33.36) «testimonia perché voi crediate» (GV 19,35), proprio come Giovanni Battista testimonia di Gesù, dopo averlo visto e indicato come Agnello di Dio perché tutti credano (GV 1,34.36.37). Il parallelismo tra GV 1,38 («Voltatosi Gesù e vedendo essi che lo seguivano dice loro») e GV 21,20-21 («Voltatosi, Pietro vede il discepolo che Gesù amava che seguiva … e dice a Gesù») mostra che accanto a Pietro, agli inizi della sequela e dopo la Pasqua, c’è, con ogni probabilità, il discepolo amato che ha seguito l’Agnello con fedeltà fin dagli inizi. E Pietro, mentre viene costituito pastore delle pecore del Signore e invitato nuovamente a seguire Gesù come pecora egli stesso (cf.. GV 10,4), riceve la rivelazione che la sequela dell’Agnello e il ministero pastorale trovano il loro esito nel dare la vita per le pecore, nel glorificare Dio con il martirio. Questa sarà la testimonianza di Pietro: nella morte di croce l’apostolo si troverà là dove è stato il suo Signore: «Se uno mi vuol servire mi segua e dove sono io, là sarà anche il mio servo» (GV 12,26).

Do Eremitério, 13 Janeiro 2024

 

NOTA

[1] GUGLIELMO DI SAINT-THIERRY, La contemplation de Dieu. L’oraison de Dom Guillaume, Paris, Ed. Du Cerf, 1959 (Cole. Sources Chrétiennes, n.61), 124-125.

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