Papa Francesco e l’Idealismo

Padre Giovanni

– Theologica –

PAPA FRANCESCO E L’IDEALISMO

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Giovanni Cavalcoli OP

Giovanni Cavalcoli OP

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Oggi è ormai chiaro ed assodato, dopo le potenti e decisive parole di Papa Francesco, che non c’è spazio nella Chiesa per l’idealismo, così come non c’è spazio per quelle dottrine filosofiche, che, per i più diversi motivi, impediscono, distruggono o falsificano la conoscenza di fede e quindi la verità di fede. L’idealista, quindi, non può più essere, come si è creduto per lungo tempo, saccente compagno di strada col realista sulla via del Vangelo e nella comunione con la Chiesa, ma, come ci ha fatto capire il bigliettaio Jorge Mario Bergoglio, è un viaggiatore abusivo, senza biglietto, che vien messo alle strette: o tu paghi il biglietto realista, e allora puoi viaggiare con me e i passeggeri sul treno della fede e della salvezza; oppure prendi un altro treno, dove speri di arrivare a Cristo magari più sicuramente e più celermente del realista.

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Giovanni Cavalcoli, OP – PAPA FRANCESCO E L’IDEALISMO

 

5 commenti
  1. Navigare necesse est dice:

    Non una sola parola, anzi un solo segno di interpunzione, di questo post è condivisibile. Ma in questa materia trovare un punto di intesa con gli scolastici, che da un po’ di secoli rivendicano l’esclusiva di fede e dottrina, è impossibile. Dunque non resta che cedere loro il campo e lasciarli (lasciarvi, direi) a baloccarsi con le loro illusioni di realismo e i loro sogni di monopolio. La loro è una battaglia perduta, perché condotta contro la verità del logos, viva e pulsante al di qua e al di là di Tommaso (nonché in Tommaso stesso).

  2. ettore dice:

    http://it.radiovaticana.va/news/2015/10/14/sinodo,_card_scola_clima_lavori_molto_positivo_/1179290
    Trascrivo un risposta del card. Scola:
    “Nel mio Circolo non tanto, anche perché molti dei vescovi presenti sono giovani, hanno avuto una buona teologia, che ha trovato le sue radici negli studi di de Lubac, di Balthasar, di Rhaner. Quindi sono abituati a fare unità e capiscono anche che non si può creare dualismo tra teologia e pastorale: non esiste una dottrina astratta da applicare alla vita. La dottrina è una riflessione sistematica e critica, necessaria che deve arrivare fino alla formulazione del dogma, ma che scaturisce dall’esperienza vitale. Credo che questa unità di dottrina e di pastorale sarà anche la chiave per dare al Santo Padre suggerimenti in ordine alle problematiche scottanti, come quelle – appunto – dell’eventuale accesso o meno alla comunione sacramentale per i divorziati e i risposati.”
    Se ho ben inteso quello che qui viene sovente ripetuto, la citazione anche del solo nome di Rahner non è forse “infelice”?

    • Padre Ariel
      Giovanni Cavalcoli, OP dice:

      Caro Ettore,

      le dichiarazioni del Card. Scola sono gravemente erronee per molti motivi, che adesso esporrò.

      E’ falso innanzitutto che la pastorale non sia l’applicazione di principi astratti di carattere teologico o morale. I princìpi della teologia e della morale, come di qualsiasi sapere umano e quindi anche di fede, sono di per sè astratti, ossia prescindono dal particolare contingente, per considerare, sotto lo sguardo dell’intelletto, ciò che è comune a molti individividui e includono virtualmente sotto di sè un’infinità implicita di individui o casi particolari possibili. I princìpi teologici e morali non vengono intuìti o sperimentati aprioricamente o immediatamente, quasi fossero un primum del sapere, ma solo in seguito ad un opportuno e prudente processo astrattivo, che, partendo dall’esperienza delle cose, degli altri e di noi stessi, li mostra nella loro oggettività, purezza ed universalità, immutabili, indipendenti dal divenire, dalla caducità e dal molteplice, come meta, fine e regola del divenire e del molteplice.

      L’astratto è indispensabile alla vita umana. Se non fosse possibile, per esempio, come crede Rahner, formare un concetto astratto ed universale della natura umana, che astrae dalla molteplicità delle razze, e se quindi l’astratto coincidesse col concreto e col particolare, ne verrebbe fuori la concezione nazista, per la quale solo l’ariano è uomo, mentre l’ebreo non è uomo.

      Così pure, anche la legge morale è un astratto, mentre solo l’atto umano singolo è un concreto. L’astrazione consente alla legge di essere applicata in molti modi. Se, per esempio, come credeva Lutero, la carità può essere vissuta solo formandosi una famiglia, i religiosi non potrebbero esercitare la carità.

      Non esiste quindi, come crede Rahner, una legge concreta per l’azione concreta, ma la legge, ripeto, è sempre un universale, che va applicato al concreto. Il concreto non può aver valore di legge, perchè, come ho detto, la legge può essere applicata in molti modi diversi, e se essa fosse un concreto, ciò non sarebbe possibile.

      Non confondiamo, inoltre, un sano progressismo col modernismo. La legge naturale e la legge divina non mutano, checchè ne dica Rahner. Dios no se muda, ci dice Santa Teresa. Solo le leggi umane ed ecclesiastiche possono mutare.

      I princìpi non mutano. Non li facciamo noi, ma li stabilisce il Creatore e quelli di fede li ha stabiliti Cristo per mezzo della Chiesa. Siamo noi che dobbiamo progredire nel conoscerli ed applicarli.

      Certamente, per praticare una buona pastorale, i princìpi morali non bastano e non possono essere immediatamente calati nel concreto; occorre la conoscenza delle circostanze e la mediazione della prudenza.

      Ma una condotta che non sia illuminata e guidata dai principi, lascia l’uomo nell’ignoranza e schiavo delle passioni, impegolato nella meschinità e negli affari terreni e non riesce ad elevarlo al mondo dello spirito e, a maggior ragione, della fede.

      Scola riconosce bensì che “la dottrina è una rIflessione critica e sistematica”. Ma appunto questo si ottiene grazie alla forza astrattiva metodica del pensiero, che, astraendo dal contingente e dall’accidentale, sa penetrare nell’intimo del reale (intus-legere) e cogliere così le verità universalmente e perennemente valide della ragione e della fede.

      La dottrina, soprattutto quella della fede, non nasce da nessuna vaga, atematica e confusa “esperienza vitale”, alla maniera di Rahner, ma, partendo dall’esperienza sensibile, nell’ascolto della Parola di Dio, nasce dall’esercizio metodico, concettuale e ragionato dell’intelletto, che coglie i nessi essenziali ed universali delle cose e quindi delle norme morali, da applicare alla condotta concreta.

      Anche un cane possiede un'”esperienza vitale”, cioè un’esperienza del proprio vivere, e non per questo è capace di elaborare una dottrina, nè di riflessione critica e sistematica.

      L’applicazione della dottrina morale nel concreto della vita e della condotta umana non è altro che l’incarnazione o l’immanenza o la presenza vitale e produttiva dell’intelligenza e del pensiero morale nel concreto dell’agire e non comporta di per sè nessun dualismo tra teologia e pastorale, ma uno stretto rapporto, qual è quello che esiste tra il pensiero e l’azione, tra l’essere e l’agire, tra l’anima e il corpo, tra il principio e il principiato.

      Quindi, l’applicazione fedele e prudente della dottrina ai singoli casi, è il modo doveroso, normale, corretto e fruttuoso di vivere razionalmente e cristianamente. Se la dottrina teologica morale non è applicata con cura e diligenza, nel rispetto ad ogni costo delle leggi divine e della Chiesa, si ha la disobbedienza alla lagge e la rovina, ed anzi la perdizione eterna dell’uomo.

      Il vero, disastroso dualismo si dà, quando, per una falsa concezione della libertà, rintracciabile in un Rahner, come in altri suoi seguaci, la condotta è individualisticamente sganciata dalla dipendenza dalla legge, legge colta dalla attività astrattiva universalizzante del pensiero.

      Senza tale sublime attività teoretica, opera dell’intelligenza, che fa la dignità della persona fatta per Dio, e che si attua nel sapere teologico e morale di fede, non si dà la buona condotta umana e cristiana, non si dà nessuna pastorale, ma solo una condotta bestiale (come è dimostrato oggi per esempio in certe aberrazioni sessuali), perchè è tipica della conoscenza animale l’incapacità di astrarre l’universale dal particolare e farsi guidare solo dall'”esperienza vitale”.

      Viceversa, sacro dovere del buon pastore, illuminato nella fede e zelante nelle opere, è quello di stimolare nei fedeli un sano gusto dell’astrazione speculativa e teologica, secondo le capacità di ciascuno, onde poter condurre le anime all’esercizio della carità, e ad elevare lo sguardo alle salvifiche verità celesti ed agli orizzonti sconfinati della vita eterna, meta e premio del nostro cammino terreno, dai quali si devono trarre ispirazione, motivo e forza per la nostra condotta nella vita terrena quotidiana, nel concreto delle situazioni.

      Qui abbiamo l’esempio d tutti i grandi pastori santi della Chiesa del passato, pensiamo solo a quella ambrosiana, Sant’Ambrogio, San Carlo Borromeo e il Beato Alfonso Schuster.

      Dualismo, semmai, si dà proprio quando la legge non è applicata nella vita, ma se ne sta astratta, isolata e coccolata, quale idolo nella mente o nelle parole come semplice idea staccata dalla realtà, come dice il Papa.

      E’ evidente che l’agire deve essere coerente col pensiero. Ma non si deve neppure avvilire il rigore speculativo e la serietà della teologia in pateracchi e compromessi, con la scusa della “pastorale”, se non vogliamo trasformare il pastore in un affarista faccendiere e maneggione e i fedeli in animali, pecoroni da allevamento.

      Occorre certo quella sensibilità pastorale che fa discernere i vari casi concreti, al fine di saper discernere quando si deve tollerare e quando si deve esigere, quando si deve pazientare e quando si deve intervenire, quando si applica la regola e quando si fa eccezione.

      Esiste certo un astrattismo idealistico da rifiutare, come dice il Papa, per la sua tendenza a ridurre l’essere al pensato – vedi ancora Rahner – e ad incasellare la realtà in schemi astratti prefabbricati o in improbabili “esperienze atematiche” o a farsi promotore di un utopismo astratto che ignora o violenta la realtà.

      Inoltre, “unità di dottrina e pastorale” non deve voler dire, come vuole Rahner, ridurre la dottrina alla pastorale confondendole tra di loro, per manipolare le coscienze a proprio arbitrio.

      Sarà bene che i “giovani vescovi”, consci della loro grave responsabilità, tengano presenti queste cose, se vogliono prepararsi una buona vecchiaia.

      Un disonesto e deleterio pasticcio come quello di cui sopra non potrà che essere rifiutato dal Papa, che più che mai oggi ha bisogno di accostare, con l’aiuto di collaboratori illuminati e fedeli, gli orizzonti più ampli del pensiero ai casi umani più difficili, bisognosi di essere illuminati dalla luce della verità evangelica e di essere compresi e guariti dalla grazia di Dio.

  3. ettore dice:

    Rev.Padre,
    nel suo lungo saggio ci offre una chiave di lettura diversa da tanti altri commentatori che ne hanno evidenziato altri passaggi positivi o negativi.
    Ella dimostra autorevolmente ed inequivocabilmente che , con le parole dei punti da Lei citati , il Papa condanna l’idealismo.
    Scripta manent, sed acta..?
    Un dubbio – forse effetto cattivo della distorsione mediatica – che traduco in questa domanda: le azioni pastorali, gli incontri, le decisioni, i recenti motu propri di Papa Francesco sono sempre in concreto coerenti con quelle parole?
    Penso ai discorsi a Cuba, all’Onu, negli Usa. Penso al Sinodo in corso.
    Kasper, Marx, Bonny, Forte, Galantino , ma anche Pell , Sarah, Muller, Caffarra sono “realisti o idealisti”?
    Grazie.

    • Padre Ariel
      Giovanni Cavalcoli, OP dice:

      Caro Ettore.

      Se il Papa assume certi comportamenti o fa certe scelte che ci sembrano in contraddizione con i suoi insegnamenti dottrinali, non dobbiamo troppo farcene un problema. Qui ci è consentito un rispettoso dissenso o una franca disapprovazioine, sempre con spirito filiale.

      Mentre infatti nel primo ambito egli può rivelare carenze, inadempienze o difetti umani come tutti noi, nel secondo ci è maestro nella fede e dobbiamo sempre ascoltarlo con religioso ossequio o con fede divina, a seconda dell’importanza o del livello della dottrina che insegna.

      Se egli ci dà saggi insegnamenti, questi non venngno assolutamente smentiti o invalidati da suoi comportamenti, che appaiono in contraddizione con quello che egli dice, ma conservano perfettamente il loro valore e vanno quindi accolti con una piena adesione della mente e del cuore.

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