Mentre i vescovi bastonano le pecore e dialogano con il lupo, lo Spirito Santo soffia in quel Popolo di Dio che salverà la Chiesa

MENTRE I VESCOVI BASTONANO LE PECORE E DIALOGANO CON IL LUPO, LO SPIRITO SANTO SOFFIA IN QUEL POPOLO DI DIO CHE SALVERÀ LA CHIESA 

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Come si può “correggere” in modo immediato e sollecito il Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ― cosa del tutto legittima da parte di qualsiasi Romano Pontefice in cattedra ―, ma al tempo stesso soprassedere però sul numero due della Conferenza Episcopale Italiana che inneggia a Lutero in modo veramente blasfemo ad un simposio tenutosi presso la Pontificia Università Lateranense? Si è forse abolita la legge ecclesiastica, ed assieme ad essa anche il comune buon senso, per dare spazio sfrenato al puro arbitrio ed alla tirannide in nome del dialogo, della collegialità e soprattutto della misericordia?

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Autori
Giovanni Cavalcoli, O.P – Ariel S. Levi di Gualdo

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Profetizza contro i pastori di Israele [Ez 34,2]

I tuoi pastori dormono [Na 3,18]

raffigurazione dello Spirito Santo nella Arcibasilica di San Pietro

Dio guida normalmente la Chiesa per mezzo dei pastori, ma tuttavia, il suo intero Popolo possiede lo Spirito Santo. Se per ciò in questi momenti eccezionali i pastori non fanno il loro dovere, lo Spirito Santo illumina direttamente i fedeli, che facendo sempre riferimento al Magistero della Chiesa, conoscono ugualmente il sentiero della verità e i mezzi per mantenersi in esso, anche se molti pastori trascurano di indicarlo, di mettere in guardia contro deviazioni e pericoli, di riportare sulla buona strada chi ne è uscito o si fosse smarrito, di punire coloro che guidano fuori strada con l’inganno. Per non parlare dei pastori che, con la loro condotta riprovevole o le loro idee perverse, sono di ostacolo a chi vuol camminare per il giusto cammino. E in queste situazioni può accadere che il Supremo Pastore, Vicario di Cristo, la Pietra sulla quale Cristo vuole edificare la sua Chiesa [cf. Mt 16, 13-20], non sia in grado di controllare e di gestire convenientemente la comunità ecclesiale ed ecclesiastica.

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A distanza di pochi giorni l’uno dall’altro, si sono verificati due fatti emblematici, dinanzi ai quali, anche i più strenui difensori, coloro per i quali il Pontefice regnante è più perfetto di Cristo stesso [vedere precedente articolo, QUI], non possono non interrogarsi, se in loro sopravvive anche un solo barlume di lucidità analitica. I due fatti sono i seguenti: S.E. Mons. Nunzio Galantino, Segretario generale della Conferenza Episcopale italiana, ha empiamente sproloquiato che la “riforma” di Martin Lutero è stata «un dono dello Spirito Santo», mentre l’Eminentissimo Cardinale Robert Sarah, che è potuto giungere ai suoi attuali settantadue anni perché l’allora sanguinario dittatore della Guinea non fece in tempo ad ammazzarlo [cf. QUI], è stato smentito dal Sommo Pontefice per la questione riguardante la traduzione dei testi liturgici. Il fatto è riportato dalla rivista La Nuova Bussola Quotidiana [cf. QUI] che ha messo a disposizione anche il testo originale della lettera pontificia [cf. QUI]. L’agenzia di informazione Vatican Insider, limitandosi a riportare il fatto di cronaca, come fa in linea di massima proprio nella sua qualità di agenzia di informazione, offre a tal proposito un riassunto preciso del fatto [cf. QUI].

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Noi che non facciamo cronaca ma teologia ed ecclesiologia, ci addentriamo invece proprio nell’ambito delle interpretazioni socio-ecclesiali, perché questo è il nostro mestiere e la nostra missione. E il fatto a dir poco inquietante è questo: come si può “correggere” in modo immediato e sollecito il Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ― cosa del tutto legittima da parte di qualsiasi Romano Pontefice in cattedra ―, ma al tempo stesso soprassedere però sul numero due della C.E.I che inneggia a Lutero in modo veramente blasfemo ad un simposio tenutosi presso la Pontificia Università Lateranense? [cf. nostro articolo QUI]. Si è forse abolita la legge ecclesiastica, ed assieme ad essa anche il comune buon senso, per dare spazio sfrenato al puro arbitrio ed alla tirannide in nome del dialogo, della collegialità e soprattutto della misericordia? Perché dinanzi a dati oggettivi come quello testé riportato, dire che siamo dinanzi ad un modo di agire pastorale squilibrato, è davvero un eufemismo. Ciò che infatti il Vescovo Nunzio Galantino ha enunciato, ed il contesto nel quale lo ha enunciato, rivelandosi anzitutto un autentico asino nell’ambito della teologia e della storia della Chiesa, avrebbe dovuto comportare come ovvia conseguenza la sua immediata rimozione dalla carica di Segretario generale della C.E.I. I primi a invocare la sua rimozione immediata, avrebbero dovuto essere i membri di questa Conferenza, se alla prova dei fatti non fossero dei coniglietti adagiati dentro quella tremolante conigliera chiamata appunto Conferenza Episcopale Italiana.

Ecco perché quando non si può fare affidamento sulla guida e sulla protezione dei Pastori ai quali è affidato il Popolo di Dio, bisogna confidare che lo Spirito Santo illumini e guidi con altri mezzi e illuminazioni il Popolo di Dio. Infatti, il caso recente e scandaloso del Vescovo Nunzio Galantino apologeta di Lutero, è il sintomo impressionante e chiaro di una grave crisi di identità in atto nell’episcopato italiano. Chiunque voglia fare un giro a ritroso nell’archivio di questa nostra giovannea Isola di Patmos, potrà trovare decine di articoli, nei quali si parla della situazione ormai drammatica del nostro episcopato [tra i tanti vedere QUI, QUI, ecc ..]. Ma, come è noto, situazioni simili ― se non parecchio peggiori ―, ci sono anche in altri episcopati, soprattutto europei.

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Vogliamo dedicare due parole all’episcopato che il Cardinale Cláudio Hummes, attuale gran sostenitore dei “preti sposati in via sperimentale”, ha lasciato in eredità al Brasile? Perché tanto per cominciare, vista la situazione morale del clero brasiliano, il pio Cardinale teutonico-brasilero dovrebbe anzitutto specificare se per preti sposati egli intenda quelli sposati con donne o quelli più probabilmente sposati con uomini. Un esempio concreto in tal senso? Presto detto: un sacerdote brasiliano che tra il 2009 e il 2010 si trovava a Roma presso una Casa sacerdotale internazionale, poi rientrato in Brasile al termine degli studi specialistici svolti nell’antica Urbe, alla fine dello scorso anno fu convocato e informato che era stato scelto come Vescovo della diocesi suffraganea di una grande sede arcivescovile metropolitana. Dopo avere immediatamente anteposto il proprio rifiuto, questo santo sacerdote spiegò anche il motivo del suo rifiuto, facendo delle precise affermazioni che il giorno dopo scrisse in confidenza al Padre Ariel S. Levi di Gualdo, col quale visse a contatto per un anno intero, per l’esattezza scrisse a lui testuali parole:

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«In quella diocesi, una media di sette preti su dieci sono omosessuali, gran parte dei quali con problemi dottrinali veramente molto gravi. Come può, un vescovo, governare e curare pastoralmente una diocesi senza poter disporre di sacerdoti che siano affidabili e presentabili?».

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A questo si aggiunga anche il fatto che il vescovo di quella diocesi, benché lontano svariati anni dal compimento del settantacinquesimo anno d’età, era stato rimosso sotto il pontificato di Benedetto XVI, dopo che la Santa era stata informata ed aveva preso atto della sua pericolosa conduzione della diocesi, specie per quanto riguardava la moralità del clero. E la risposta motivata di questo mio confratello, trasmessa poi alla Santa Sede, qualcuno l’ha letta sia presso la Segreteria di Stato sia presso la Congregazione per i Vescovi. Ebbene, che cosa ha da dirci, a tal proposito, il Cardinale  Cláudio Hummes, che per molti anni, del Brasile, è stato sia Dominus, sia grande inceneritore ? Perché la sua idea peregrina dei preti sposati in via “sperimentale” nella regione delle Amazzoni del Brasile, produrrà effetti molto peggiori dell’incenerimento delle foreste portato avanti dalle multinazionali anti-ecologiste. E, dopo questo suo incendio, non sarà per niente facile riparare l’errore scrivendo o cantando … Laudato si’.

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Questa debolezza o desistenza dell’episcopato è un fenomeno morboso che ebbe i suoi inizi sin dall’immediato post-concilio, allorché, per un fraintendimento della nuova pastorale e della nuova evangelizzazione promosse dal Concilio, cominciò a diffondersi tra i vescovi la convinzione che tutti gli uomini sono di buona volontà ― ciò che oggi chiamiamo “buonismo” ―, per cui non esistono più colpe da punire o condotte o idee da correggere, ma sbagli per ignoranza o in buona fede, o debolezze da tollerare, compassionare e perdonare; che essi non dovevano più esercitare il potere coercitivo o disciplinare o condannare eresie, ma solo dialogare con tutti, cercare solo ciò che unisce e rinunciando a risolvere i problemi che sorgono da ciò che divide; che la Chiesa non avesse più nemici da combattere o escludere, ma solo “diversi” da capire, apprezzare, integrare, accogliere ed accettare.

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Purtroppo questo male, negli ultimi decenni, si è venuto aggravando, fino a giungere al caso sintomatico e inaudito del Vescovo Nunzio Galantino; caso che dovrebbe essere per tutti i vescovi un campanello d’allarme che occorre finalmente mutar rotta e recuperare quella saggezza pastorale che caratterizza il vero buon pastore evangelico, che sa congiungere sapientemente sana dottrina e prudenza pastorale, comunione  col Romano Pontefice e comunione collegiale, giustizia e misericordia, fermezza e dolcezza, mitezza e coraggio, accoglienza e vigilanza, pietà e zelo, fedeltà e rinnovamento, disinteresse  e generosità.

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L’escalation della prepotenza

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raffigurazione di San Michele Arcangelo che colpisce il Demonio

Stanno sorgendo altresì casi estremi, nei quali buoni cattolici, che intendono restar fedeli alla verità e ne danno franca testimonianza, non vengono più soltanto mal tollerati da vescovi modernisti e rilassati, ma addirittura perseguitati, magari in nome della “misericordia”, tanto avanti si è giunti nell’ipocrisia e nell’ingiustizia. Nemmeno Pontefici santi come Paolo VI e Giovanni Paolo II sono riusciti a fermare la marea montante dell’episcopato modernista e secolarista, il quale dispone ora di infiltrati nella stessa Santa Sede vicini al Sommo Pontefice o di sedicenti o cosiddetti ”amici del Papa”.

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Il Pontefice regnante ha ereditato una realtà ecclesiale molto pesante per non dire tragica, e non c’è da stupirsi se egli ha grande difficoltà nel governare la Chiesa e correggere gli abusi. Un Pontefice può essere anche un santo ― e ne abbiamo gli esempi recenti ―, ma se l’episcopato non è unito e docile, non ha spirito di collaborazione e non lo aiuta, soprattutto per difenderlo, egli può fare ben poco e in certo modo, come pare abbia detto in privato lo stesso Santo Padre Francesco: «ha le mani legate» [vedere precedente articolo, QUI]. Poi, che queste mani siano finite legate in parte per causa ed opera sua, questo è un altro e altrettanto complesso discorso.

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Si Aggiunga poi che purtroppo, come abbiamo già fatto notare più volte sulle nostre righe, il Pontefice regnante non corregge l’interpretazione modernistica del Concilio data nella turbolenta stagione del post-concilio, come avevano fatto i suoi Sommi Predecessori, né corregge gli ormai noti difetti pastorali dello stesso Vaticano II, che com’ebbe a dire il suo Sommo Predecessore, non va trattato «come un inizio totalmente nuovo, come se fosse un superdogma che rende tutto il resto irrilevante» [cf. QUI]. La sua tendenza buonista e troppo acriticamente aperta ad un dialogo ottimista a tutti i costi e costi quel che costi, con la conseguenza di aggravare non poco i problemi ecclesiali ed ecclesiastici che da mezzo secolo ci trasciniamo dietro. Inoltre, anziché imitare gli esempi degnissimi dei Pontefici che lo hanno immediatamente preceduto, il Pontefice regnante pare voler fare troppo a modo suo, per giunta mal consigliato, con la conseguenza che la situazione della Chiesa è oggi più che mai confusa, conflittuale e problematica.

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 Che cosa sta facendo il Pontefice regnante ?

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la Cattedra del Vescovo di Roma nella basilica maggiore di San Giovanni in Laterano

Difficile capire dove il Pontefice regnante vuol guidarci. Si mostra molto attivo, miete successo, ma lo miete purtroppo tra i nemici della Chiesa, mentre i devoti cattolici si manifestano sempre più disorientati. Forse anche da questo, nasce la perplessità dell’episcopato. Non che a lui manchino le iniziative, ma una domanda ci viene spontanea: che cosa sta annunciando? Qual è il suo messaggio? Quali sono le sue idee-guida? Che cosa ci propone? Egli ha firmata un’enciclica, peraltro bella, sull’annuncio del Vangelo [cf. testo QUI]. Ma, all’atto pratico, ci sta annunciando veramente il Vangelo? Ci sta annunciando Cristo unico Salvatore del mondo? Ci sta dicendo che solo in Cristo c’è salvezza? Ci sta annunciando il dovere di far penitenza, perché si sta avvicinando il  regno dei cieli? Ci insegna a vincere il mondo, a salvarlo e a condurlo a Cristo? Ci sta annunciando la venuta di Cristo giudice? O si limita a promuovere un incontro pacifista tra tutte le religioni nel comune lavoro per la causa dell’uomo, soprattutto dei poveri e degli oppressi? Sta chiamando tutti a Cristo o si accontenta di dialogare e di fare accordi solo sul piano umano?

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La missione storica che forse lo Spirito Santo ha affidato al Pontefice regnante è quella di convocare, sullo stimolo del Vaticano II, tutte le genti attorno a Cristo. È, in fondo, quello che era racchiuso nel motto inciso sullo scudo pontificio del Santo Pontefice Pio X: instaurare omnia in Christo. Nel Sommo Pontefice Francesco si vede questo sforzo di accettare tutti, di contattare tutti, di accogliere tutti, di andare verso tutti, con particolare attenzione ai poveri. Raramente fa questione di vero o di falso, non parla mai di dogma o di eresia, ma è quasi sempre impegnato in una tematica economica, sociale, ecologica, umanitaria  e morale, per non dire politica.

Il Vangelo, però, non annuncia solo la misericordia, ma anche il giorno del giudizio, di cui Cristo Signore parla molto chiaramente:

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«Ma io vi dico che di ogni parola infondata gli uomini renderanno conto nel giorno del giudizio».

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Non c’è solo la giustizia sociale, ma c’è anche la giustizia e l’ira divina:

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«Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio incombe su di lui» [Gv 3, 36].

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Non c’è solo l’apertura, ma anche la  chiusura e il preannuncio di un castigo molto severo, un esempio tra i tanti:

«[…] Se quella casa ne sarà degna, la vostra pace scenda sopra di essa; ma se non ne sarà degna, la vostra pace ritorni a voi. Se qualcuno poi non vi accoglierà e non darà ascolto alle vostre parole, uscite da quella casa o da quella città e scuotete la polvere dai vostri piedi. In verità vi dico, nel giorno del giudizio il paese di Sòdoma e Gomorra avrà una sorte più sopportabile di quella città» [Mt 10, 13-15].

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Ci vogliono i ponti, ma anche i muri. Al banchetto di nozze sono sì invitati tutti, ma bisogna andare con l’abito nuziale, altrimenti non si è ammessi:

«[…] scorto un tale che non indossava l’abito nuziale, gli disse: Amico, come hai potuto entrare qui senz’abito nuziale? Ed egli ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti» [Mt 22, 11-14].

Dinanzi a parole inequivocabili e chiare come queste impresse sul Santo Vangelo, le soluzioni sono soltanto due, non ne esiste una terza che sia vaga o intermedia, pertanto: o prendiamo atto che il Verbo di Dio fatto Uomo, che è misericordia incarnata, parla e ammonisce con estrema chiarezza, oppure, dinanzi a certe odierne derive olezzanti un rifiuto ostinato ad accettare parole come ira di Dio, castigo, pena, dannazione eterna … dobbiamo prendere atto che c’è qualcuno che è più accogliente, includente, accomodante e misericordioso di Cristo Dio stesso. Come infatti ci istruisce il Beato Apostolo Paolo:

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«Orbene, se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un Vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anàtema! L’abbiamo già detto e ora lo ripeto: se qualcuno vi predica un Vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anàtema! Infatti, è forse il favore degli uomini che intendo guadagnarmi, o non piuttosto quello di Dio? Oppure cerco di piacere agli uomini? Se ancora io piacessi agli uomini, non sarei più servitore di Cristo!» [Gal 1, 8-10].

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In queste righe, il Beato Apostolo, rivolgendosi soprattutto alle guide del Popolo di Dio, insegna come deve agire un apostolo, ma soprattutto a chi l’apostolo deve cercare sempre di piacere: a Dio, non agli uomini.

Dovrebbe essere alquanto chiaro, ed in specie in questi tempi nei quali nella Chiesa si accoglie tutto e soprattutto tutto ciò che non è cattolico, che escludere il danno e il pericolo, non è esclusivismo, elitarismo e discriminazione, ma è prudenza e difesa di noi e dei nostri cari. Che ci sta a fare il cane attorno al gregge? Forse a dialogare con le pecore? E che dice Cristo del pastore che fugge all’arrivare del lupo? Forse è bene ricordare le sue precise parole:

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«Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde» [Gv 10, 11-12].

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O qualcuno crede che oggi i lupi non esistono più? Altro che, se i lupi esistono, vanno persino in Vaticano a fare interviste al Pastore e poi scrivono, senza essere smentiti dalla Santa Sede, scempiaggini di questo genere:

«Papa Francesco … ha abolito i luoghi dove dopo la morte le anime dovrebbero andare: Inferno, Purgatorio, Paradiso […] Tutte le anime sono dotate della Grazia e quindi nascono perfettamente innocenti e tali restano a meno che non imbocchino la via del male. Se ne sono consapevoli e non si pentono neppure al momento della morte, sono condannate. Papa Francesco ― lo ripeto ― ha abolito i luoghi di eterna residenza nell’ Aldilà delle anime. La tesi da lui sostenuta è che le anime dominate dal male e non pentite cessino di esistere mentre quelle che si sono riscattate dal male saranno assunte nella beatitudine contemplando Dio. Questa è la tesi di Francesco» [vedere articolo di Giovanni Cavalcoli, QUI].

L’appartenenza alla Chiesa non coincide con la pura e semplice appartenenza a questo mondo: per appartenere alla Chiesa, occorre impegnarsi a vincere il mondo nelle sue seduzioni e nei suoi pericoli, ed a salvarlo dove può essere salvabile. Se manca un criterio di discernimento tra chi può appartenere alla Chiesa e chi no, dato che comunque bisogna ben dire o sì o no [cf. Mt 5,37] si verifica un’accoglienza indiscriminata, che ha per contropartita l’esclusione indiscriminata. Si dice sì a chi merita il no e si dice no a chi merita il sì. A quel punto accade così che una misericordia non illuminata e non controbilanciata dalla giustizia, da un buon criterio per distinguere l’una dall’altra, finisce per produrre il suo contrario, che sono l’ingiustizia, il favoritismo e il dispotismo, insomma: la tirannide. L’errore pastorale del Sommo Pontefice Francesco I è il rischio di presentare un Vangelo monco che annuncia la misericordia e trascura la giustizia.

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Occorre tuttavia rintracciare il Vicario di Cristo al di là delle apparenze, che possono ingannare e scandalizzare, anche se la cosa non è facile. E l’impressione che pervade da tempo i Padri del L’Isola di Patmos è che la parte meno degna dell’episcopato stenti a superare questa difficoltà, fraintenda il vero intento e dovere del Sommo Pontefice, influenzata dal modernismo e da poteri occulti molto pericolosi, mentre la parte buona, sofferente ma fedele, resti in silenzio perplessa, o manchi di coraggio per farsi sentire. I buoni ci sono, sono pochi e timidi, perché «Sono più scaltri i figli di questo mondo che i figli della luce» [Lc 16, 8]. Sono più saldi gli eretici nel loro errore che i fedeli nella verità. Comunque, a nostro modo di vedere, tutto sommato, quello che oggi non funziona non è tanto il papato, ma è l’episcopato. Certo, il Sommo Pontefice ha la sua grave responsabilità di non essere chiaro; una responsabilità che i Padri de LIsola di Patmos non hanno mancato a più riprese di segnalare, permettendosi anche di esortarlo alla chiarezza e mettendolo in guardia contro finti amici e traditori. Siamo infatti certi che il Sommo Pontefice sarebbe più chiaro nel suo messaggio, se i buoni vescovi lo sollecitassero ad essere più chiaro. Ma come si spiega questo silenzio? 

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Il problema grave è quindi quello dell’episcopato

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la Beata Vergine Maria con il serpente sotto i propri piedi

Riteniamo in fin dei conti sia meglio che, invece di attaccare o ”correggere” ― per non dire ingiuriare ― il Sommo Pontefice, si ritrovasse il tono degli antichi Profeti di Israele, non certo le eresie seminate da Enzo Bianchi di cattedrale in cattedrale sotto il compiacente sorriso di vescovi sempre più sdottrinati che lo invitano a seminare empietà. E il tono degli antichi Profeti di Israele ci è indicato nella Sacra Scrittura: il loro zelo e la parola infuocata per la causa di Dio, i rimproveri, i richiami e gli avvertimenti ai pastori per il loro bene e per bene del popolo, il loro coraggio, la loro franchezza, la loro dedizione, la loro misericordia e la loro combattività, l’accettazione dei sacrifici e delle sofferenze, perseguitati a causa della giustizia. Citeremo allora qualche loro passo significativo, che appare di un’enorme ed urgente attualità. Il tutto in un momento nel quale non si riesce a capire il silenzio dei pastori davanti al dilagare delle eresie, al disprezzo conclamato e sfacciato della legge morale naturale e divina ed alla gravissima corruzione dei costumi, soprattutto religiosi, personali e familiari.

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Perché mai dovremmo leggere o sentire solo le denunce, le proteste e le confutazioni date da semplici piccoli gruppi di laici, spesso giornalisti, in siti, blog e pubblicazioni di modesta diffusione? Da dove prendono essi la preparazione teologica, la saggezza, la tempestività, l’acume critico e il coraggio dei quali i vescovi non danno prova? Sicuramente dallo Spirito Santo. Noi però non siamo come i luterani che ritengono che la Chiesa sia semplicemente la comunità dei battezzati guidati dallo Spirito, indipendentemente ed anzi contro le frodi di un cosiddetto magistero episcopale, nel quale essi non credono, ma che è invece oggetto di fede per noi  cattolici. Se noi infatti rimproveriamo ed accusiamo i nostri vescovi, maestri della fede e non di frottole, non è perché non crediamo nella pienezza sacramentale del sacerdozio da essi ricevuto, ma è proprio perché ci crediamo e vogliamo che i vescovi facciano il loro dovere di vescovi.

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La saggezza dei laici

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laici e santi, una immagine del Beato Pier Giorgio Frassati [Torino 1901 – Torino 1925] terziario domenicano

I buoni laici che si levano contro le eresie e le ingiustizie, per la promozione della fede, pagando spesso di persona e dando uno splendido esempio di fedeltà alla Chiesa e allo stesso Sommo Pontefice, nonostante la sua poca chiarezza, richiamandosi agli insegnamenti della Chiesa, dando spesso prova di cultura teologica, solidità di convinzioni, parresia evangelica, acume critico ed abile oratoria cristiana, non possono essere degli autodidatti. Non essendo noi Padri de L’Isola di Patmos propriamente degli sprovveduti, è presto detto: molti di questi cattolici laici e giornalisti cattolici, alle spalle hanno maestri e protettori ecclesiastici di alto rango e competenza, forse vescovi, teologi accademici e cardinali. Non solo, leggendo certi scritti, capiamo all’istante di quale livello e rango siano gli ispiratori, ma più volte abbiamo anche indicato tra le nostre righe le generalità di questi ispiratori, suggeritori o mandanti impliciti o espliciti, che però restano nell’ombra in modo pavido e deplorevole. Pertanto, se da una parte certi laici sono da lodare come difensori della sana dottrina e dei buoni costumi, dall’altra, i loro suggeritori vestiti di rosse o paonazze vesti, danno invece squallida prova di un’irragionevole e poco dignitosa pavidità e di meschino opportunismo, salvo però spacciarsi, coi loro fedeli “portavoce”, per dei politici sopraffini.

Si potrebbe anche dire che per riconoscere le eresie e gli spropositi dei pastori insensati e dei teologastri cantafrottole, non occorrono l’intelligenza di San Tommaso d’Aquino o il possesso di speciali titoli accademici, che di questi tempi sono solo carte il cui valore è equiparabile a quello del marco tedesco durante la grande iper-inflazione degli anni Venti del Novecento. Basta solo confrontare gli spropositi di questi pastori insensati e dei teologastri cantafrottole con gli insegnamenti del Catechismo della Chiesa Cattolica, ed a volte coi princìpi stessi della sana ragione naturale a tutti noti, per cogliere tutta la enormità dei loro controsensi e delle loro assurdità.

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Si ricordino poi i nostri vescovi dei tempi gloriosi nei quali gli Atanasio e gli Agostino si opponevano con zelo apostolico contro i Nestorio, i Pelagio e gli Ario per l’onore di Cristo e il bene del gregge turbato dall’eresia. Oggi i tempi sono molto simili a quelli, ed il vescovo zelante non deve temere per queste nobili cause di mettersi contro i nemici della verità, fossero pure confratelli nell’episcopato. Ma purtroppo, non pochi di questi pavidi membri dell’episcopato, confidando sugli ormai ottantuno anni del Pontefice regnante, hanno già fatto i loro cinici e politici conti a cosiddetto babbo morto, mandando avanti i laici a lanciare dure accuse [vedere QUI, QUI, QUI, QUI], mentre loro pensano di poter tornare sulla cresta dell’onda al cambio di vento, semmai conseguendo ottantenni quella “maledetta” porpora rossa che hanno rincorsa per tutta la vita sino alla perdita ed alla dannazione eterna delle loro anime [si rimanda a questo duro articolo, QUI].

Venerabili Padri del Collegio Episcopale, prendete a modello il Santo Vescovo Atanasio di Alessandria che mirava alla gloria di Dio e non alla gloria propria, scendendo nel santo campo di battaglia senza temere, ma soprattutto ricordando che il giudizio di Dio su di voi, sarà veramente severissimo, perché «A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più» [Lc 12, 48].

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Come dunque gli impostori ed i falsari non temono di far bella mostra con sfrontatezza e sfacciataggine delle loro vergognose sconcezze e di propalare ai quattro venti con intollerabile arroganza le loro perverse dottrine, così a ben maggior ragione i buoni vescovi devono uscire allo scoperto; devono scendere sul santo campo di battaglia a rivendicare con zelo e coraggio l’onore di Dio, i diritti della verità, la salvezza delle anime, la dignità del sacro ceto episcopale, l’obbedienza e la devozione al Sommo Pontefice, fraintesa dagli adulatori, dai mestatori, dai traditori e dai falsi amici. Rimanere dietro le quinte e mandare avanti i laici, usandoli per esprimere ciò che non si ha il coraggio di esprimere, non rende affatto questi soggetti dei politici sopraffini, come loro credono di essere, ma solo dei vigliacchi e, come tali, delle autentiche vergogne del sacro collegio episcopale, dei seminatori di veleni e di sconcerto nel Popolo di Dio già fin troppo confuso e smarrito. 

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Possibile che davanti a tante scempiaggini e peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio e che si commettono quasi ogni giorno da personaggi d’alto rango ecclesiastico, su 250 vescovi che abbiamo in Italia non se trovi uno solo che con parresia evangelica, mosso dal timor di Dio, sappia affrontare la buona battaglia della fede, forte del suo carisma episcopale, pronto a subire l’umiliazione della croce, fidente nella futura gloria celeste? Possibile che non ci sia un solo vescovo capace a far risuonare con forza la voce apostolica della verità per svergognare gli empi e i criminali, salvando le anime pericolanti dal fuoco dell’Inferno? A che serve, essere vescovi, quando poi si fanno di simili figure meschine? Che cosa sono questa inerzia vergognosa, questa paura dell’insuccesso, questa prudenza carnale, questa latitanza riprovevole, questo silenzio colpevole e questa ignavia ripugnante?

Nella nostra diversa ma simile esperienza di predicatori e confessori, noi Padri de L’Isola di Patmos abbiamo riscontrato molte volte più parresia evangelica e acume critico nelle parole di certe monache di clausura, che non in certi vescovi tromboni e latitanti che non si vedono e non si sentono, nascosti chissà dove dietro le quinte a mandare avanti gli altri per lanciare al posto loro, spesso, anche vere e proprie stilettate velenose.

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Santa Caterina da Siena, rivolgendosi al Romano Pontefice, lo supplica di istituire buoni pastori, perché sono i buoni pastori che rendono buono il gregge. Così si fanno le vere riforme della Chiesa. Se il pastore infatti tace davanti i vizi del gregge e non li corregge ― osserva la Santa Senese con fine psicologia ―, è un brutto segno: è segno che il pastore è frenato dal disagio della sua coscienza, che gli ricorda che egli stesso è impigliato in quei peccati dai quali dovrebbe liberare i fedeli.

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Oggi più che mai appaiono di attualità ed utilità per i nostri pastori gli appelli e i richiami dei grandi profeti biblici Isaia, Geremia ed Ezechiele, come il rimprovero:

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«i suoi guardiani sono tutti ciechi, non si accorgono di nulla. Sono tutti cani muti, incapaci di abbaiare; sonnecchiano accovacciati» [Is 56,10].

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I pastori hanno trascurato il gregge. Dio stesso allora se ne prende cura direttamente col suo Spirito, suscitando laici coraggiosi, affinché i pastori siano scossi dal loro torpore e facciano il loro dovere:

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«Oracolo del Signore: Voi avete disperso le mie pecore, le avete scacciate e non ve ne siete preoccupati; ecco, io mi occuperò di voi e della malvagità delle vostre azioni. Radunerò Io stesso il resto del delle mie pecore da tutte le regioni dove le ho lasciate scacciare e le farò tornare ai loro pascoli; saranno feconde e si moltiplicheranno. Costituirò sopra di esse pastori che le facciano pascolare, così che non dovranno più temere né sgomentarsi; di esse non ne mancherà neppure una» [Ger 23,1-4].

Il Signore rimprovera i pastori per la loro trascuratezza. Egli stesso allora, per mezzo di buoni laici e sacerdoti, docili allo Spirito Santo, si prende cura direttamente del gregge, ma con ciò stesso stimola i pastori a compiere il loro dovere:

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«Eccomi contro i pastori: chiederò loro conto del mio gregge e non li lascerò più pascolare il mio gregge, così i pastori non pasceranno più se stessi, ma strapperò loro di bocca le mie pecore e non saranno più il loro pasto. Perché così dice il Signore Dio: Ecco, Io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura. Come un pastore passa in rassegna il suo gregge, quando si trova in mezzo alle sue pecore che erano state disperse, così passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine. … Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita; fascerò quella ferita e curerò quella malata; avrò cura della grassa e della forte e le pascerò con giustizia» [Ez 34,10-12; 16].

Si ricordino dunque i pastori del severo avvertimento di Cristo:

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«chi si vergognerà di me davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi» [Mc 8,38].

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Si può ridurre un episcopato a scimmiette tristi in gabbia ?

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una amabile scimmietta triste

E si ricordi, il Pontefice regnante, in che modo prudente e universale, i suoi recenti predecessori, hanno scelto e selezionato i nuovi vescovi e cardinali. Nell’uno e nell’altro Collegio sono stati chiamati ed eletti uomini che rappresentavano tutti i diversi volti della Chiesa. O per usare dei termini sociologici e giornalistici che a noi non piacciono, ma in ogni caso utili per essere compresi da tutti: sotto gli Augusti Pontificati del Beato Pontefice Paolo VI, del Santo Pontefice Giovanni Paolo II e del Venerabile Pontefice Benedetto XVI, con lodevole e sapiente equilibrio sono stati consacrati vescovi ed elevati alla dignità cardinalizia uomini appartenenti alle più diverse correnti della Chiesa. Abbiamo così avuto, ed abbiamo visto convivere e lavorare assieme, spesso anche tra dibattiti e accesi scontri teologici, vescovi e cardinali di area progressista, conservatrice o cosiddetta tradizionalista, sempre per usare questi termini impropri ma comprensibili.

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Oggi pare invece di assistere all’episcopato delle scimmiette tristi in gabbia. Quasi tutti i vescovi eletti nel corso degli ultimi quattro anni, sono dei penosi e sotto-mediocri duplicati ed emulatori ― o cosiddetti scimmiottatori ― del Pontefice regnante, tutti presi in una gara spasmodica a parlare di poveri, di profughi e di jus soli. In gara gli uni con gli altri a promuovere incontri di studio sul grande Lutero “riformatore” e sulla preziosità della sua “riforma”. In concorrenza gli uni con gli altri a chi organizza nelle loro chiese cattedrali il pranzo per i poveri che faccia più colpo su giornali e televisioni. Tutti in processione col pastorale di legno prodotto in falegnameria, gareggiando a chi sfoggia la croce pettorale più “umile” e “povera”. Insomma: oggi, un vescovo, si vergognerebbe molto di meno a giungere all’assemblea plenaria dei vescovi accompagnato da due fotomodelle ucraine in minigonna e abiti trasparenti, piuttosto che indossare una “vergognosa” croce pettorale d’oro, che peraltro simboleggia da sempre, come metallo, la incorruttibilità della fede. 

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Avere generato questo, ha comportato uccidere la dimensione della pluralità e della stessa collegialità, facendo sprofondare la Chiesa nel provincialismo e applicando surreali categorie socio-politiche di Popolo che non corrispondono al grande respiro universale della realtà del Popolo di Dio. Uno stile, questo, non certo degno di un uomo dotato di straordinarie e geniali capacità come poteva esserlo e come lo era uno Stalin, ma uno stile degno purtroppo dei peggiori e più provinciali dittatorelli della storia dell’America Latina. E chi col livellamento verso il basso uccide l’episcopato, uccide la Chiesa, ed a poco vale affermare poi, nei colloqui privati: «Ho le mani legate», perché il giorno in cui Cristo le mani gliele slegherà e gli dirà «adesso mostrami i palmi», saranno sicuramente dolori, grandi dolori, dinanzi al Rex tremendae maiestatis, al quale sarà molto difficile poter rispondere … “ma io sono povero e misericordioso”.

Dall’Isola di Patmos, 28 ottobre 2017

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14 commenti
  1. non metuens verbum dice:

    Molto vero e pertinente, ma la digressione sui laici tutti imbeccati da oscuri complottardi a caccia di porpore mi sa assai di arzigogolo. Qualche figura del genere esisterà pure, e Lei ha molte più informazioni di me che non ne ho, ma a un laico che ama la Chiesa, per accorgersi e per deprecare certe storture, basta il catechismo.
    Ardiamo dal ricevere luce dal Papa, e invece ci sembra di brancolare in un fitto fumo che non è quello delle sigarette (chiedere al beato Paolo VI). E’ vero che le parole d’El Papa, in maggioranza, possono essere interpretate cattolicamente, ma di fronte a tale difficoltosa possibilità, non sarebbe piuttosto auspicabile ch’El Papa tacesse ? C’è già ben chiaro il magistero perenne della Chiesa, perché diluirlo e oscurarlo, sotto i riflettori e gli applausi dei “falsi amici” ?

    • Padre Ariel
      Ariel S. Levi di Gualdo dice:

      Caro Fabio,

      condivido la inopportunità di quanto avvenuto, ma devo al tempo stesso dire che la preghiera non è e non può essere uno strumento di protesta. Come la liturgia non può essere un pretesto per altri fini, ed a tal proposito basti ricordare quante volte, certi preti, in clima elettorale, hanno mutato i pulpiti in tribune politiche.

      • fabriziogiudici dice:

        È vero, Don Ariel, la preghiera non può essere uno strumento di protesta. Ma pare che questa non fosse l’intenzione. Intervistato da ChurchMilitant, uno dei partecipanti ha detto che lo spirito era di testimonianza e riparazione all’oltraggio che veniva compiuto:

        We didn’t do it in a spirit of polemics towards faithful priests, just in a spirit of reparation and resistance against profanation and celebration of a revolt against the Holy Catholic Church.

        Ovvio che il limite di queste iniziative spontanee, nate senza un particolare coordinamento, sta nel fatto che ognuno può andarci con le proprie intenzioni… e non è detto che siano sempre quelle giuste. Anche il grande rosario polacco può essere stato interpretato in diversi modi. Ma nel momento in cui la Chiesa gerarchica è allo sbando, questo fenomeno mi pare inevitabile.

      • fabio71 dice:

        carissimo, io consideravo quella un’autentica testimonianza di fede cattolica … mariana, non una protesta.
        In tempi di confusione e promiscuità religiosa, delle Ave Marie cattolicissime non possono che far bene.

    • Padre Ariel
      Redazione de L'Isola di Patmos dice:

      Caro Orenzo,

      Padre Giovanni Cavalcoli ha già trattato l’argomento in questo articolo [QUI]

      • orenzo
        orenzo dice:

        Strano: la dichiarazione che ho linkato è datata 31.10.2017 (oggi) mentre il commento di P. Cavalcoli commenta la dichiarazione dello scorso anno.

        Mi riferisco in particolare alle parole:
        “Cattolici e luterani ritengono che questi percorsi vanno sostenuti e incoraggiati nella prospettiva di favorire un RIPENSAMENTO DELLA CATECHESI IN CHIAVE ECUMENICA, SOPRATTUTTO IN RELAZIONE ALLA CELEBRAZIONE DEL BATTESIMO E DEL MATRIMONIO e, più in generale, alle liturgie ecumeniche di riconciliazione, così da aiutare a vivere questi momenti della vita delle comunità locali come opportunità… in grado di aiutare una migliore comprensione delle proprie identità, rendendo più vivace e pregnante la missione della Chiesa.”

        Ma se per i luterani
        – il battesimo non cancella il peccato originale ma semplicemente lo copre cosicché di tale peccato permane la concupiscenza invincibile
        – ed il matrimonio non è un sacramento ma è cosa profana e può essere sciolto,
        – quale catechesi ecumenica viene invocata dal documento odierno riguardo al battesimo ed al matrimonio?

        … sempre sperando che con “liturgie ecumeniche di riconciliazione” non si alluda all’Eucarestia in comune…

  2. Iginio dice:

    Caro don Ariel, attenzione: il dittatore da lei indicato col richiamo a Wikipedia è uno della Guinea Equatoriale, non il famigerato Sekou Touré della Guinea pura e semplice.
    Cordiali saluti

    • Padre Ariel
      Ariel S. Levi di Gualdo dice:

      Caro Iginio,

      le sono molto grato.
      Il link è stato messo dalla redazione ed io non mi ero accorto che non si trattasse di Sekou Touré, perché non lo avevo aperto.
      Cerco di correggerlo.

  3. physicus dice:

    Bergoglio non si trova lì per caso. Le decisioni avvengono con la sua firma col suo benestare. Ma non è uno che la pensa diversamente dagli episcopati modernisti. Certo, non essendo omosessuale, probabilmente non ha gran piacere a nominarli vescovi o ad accettare il loro potere. Su questo punto posso capire che abbia le mani legate. Non è successo solo a lui. Ma sulla dottrina e sulla pastorale non è meno modernista di altri. A Buenos Aires, secondo varie testimonianze-mi pare abbiano pure scritto un libro- permetteva la comunione ai divorziati conviventi e a tutti i conviventi. AL l’ha scritta lui. Le affermazioni su Lutero le ha fatte lui. Le affermazioni su Inferno e Purgatorio le ha pronunciate lui all’udienza del mercoledì. Capisco che sia difficile sciogliere i gesuiti o scomunicarne il superiore per le incredibili affermazioni su inferno e Vangeli: ma un intervento forte lo poteva fare. Se non lo fa, è perché, in fondo, salvo forse qualche dettaglio, la pensa come p.Sosa.

  4. orenzo
    orenzo dice:

    Quando però, a commento del brano di Mt 22,1-14, ascolto un’omelia nella quale, dopo aver specificato che
    “… Molti invitati hanno detto no, perché erano presi dai loro interessi: «non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari»… non pensavano che le nozze fossero tristi o noiose, ma semplicemente «non se ne curarono»: erano distolti dai loro interessi, preferivano avere qualcosa piuttosto che mettersi in gioco, come l’amore richiede. Ecco come si prendono le distanze dall’amore, non per cattiveria, ma perché si preferisce il proprio: le sicurezze, l’auto-affermazione, le comodità…”,

    si afferma che Dio
    “… davanti ai continui rifiuti che riceve, davanti alle chiusure nei riguardi dei suoi inviti, va avanti, non rimanda la festa. Non si rassegna, ma continua a invitare. Di fronte ai “no”, non sbatte la porta, ma include ancora di più. Dio, di fronte alle ingiustizie subite, risponde con un amore più grande… mentre soffre per i nostri “no”, continua invece a rilanciare, va avanti a preparare il bene anche per chi fa il male. Perché così è l’amore, fa l’amore; perché solo così si vince il male…”,

    non posso che rimanere perplesso.

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