Un Sommo Pontefice eretico? La cieca stoltezza del “partito dei bergogliani”: per difendere il Santo Padre Francesco e con lui il ministero petrino, è necessario mettere in luce anche i suoi molti difetti, anziché cantargli “osanna, osanna nell’alto dei cieli!” e trattarlo come fosse più perfetto di Cristo

UN SOMMO PONTEFICE ERETICO? LA CIECA STOLTEZZA DEL «PARTITO DEI BERGOGLIANI »: PER DIFENDERE IL SANTO PADRE FRANCESCO E CON LUI IL MINISTERO PETRINO, È NECESSARIO METTERE IN LUCE ANCHE I SUOI MOLTI DIFETTI, ANZICHÉ CANTARGLI «OSANNA, OSANNA NELL’ALTO DEI CIELI !» E TRATTARLO COME FOSSE PIÙ PERFETTO DI CRISTO

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L’eretico vescovo scismatico Bernard Fellay, con la propria firma su questo documento in cui si accusa il Pontefice regnante di sette eresie, ha data una sonora e meritata sberla all’imprudente Francesco I, il quale pensava che, tra offerte di pasticcini della tenerezza e di torte aromatizzate al misericordismo, potesse addolcire dei concentrati di fiele come i seguaci dell’eretico che si trova a monte: Marcel Lefebvre, conferendo ad esempio ai suoi seguaci facoltà di amministrare in modo lecito i Sacramenti. E questi sono stati poi i conseguenti risultati piovuti a breve addosso all’uomo Jorge Mario Bergoglio, che tende a non ascoltare nessuno. E, quando ascolta, tende ad ascoltare le persone sbagliate …

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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Carlo Caffarra: «Se un vescovo ha un pensiero contrario a quello del Papa se ne deve andare, ma proprio se ne deve andare dalla diocesi. Perché condurrebbe i fedeli su una strada che non è più quella di Gesù Cristo. Quindi perderebbe se stesso eternamente e rischierebbe la perdita eterna dei fedeli» – per ascoltare il video intervista cliccare sopra l’immagine

È stato reso pubblico un documento, inviato al Sommo Pontefice Francesco l’11 agosto, poi reso pubblico il 24 settembre da un nutrito gruppo di studiosi, perlopiù laici, che hanno dolcemente intitolato la missiva «correzione filiale» e nella quale il Successore di Pietro è accusato di eresia [cf. documento QUI]. Siccome il testo era «filiale», gli estensori si sono limitati ad attribuirgli solo sette eresie, meno male! Immaginate che cosa sarebbe accaduto, se anziché «filiale» fosse stato invece un testo arrabbiato.

La vera gran colpa dei firmatari è anzitutto la desolante stupidità, come prova il loro testo di venticinque pagine contenenti accozzaglie, temi nei temi e fuori tema a non finire, assai più numerosi di quanti non se ne trovino invece nelle pagine ben più numerose che compongono il testo della esortazione apostolica post-sinodale Amoris laetitia, che non è propriamente chiara e felice, ma che non è però un testo tacciabile di eresia.

Il problema delle sette eresie lo esamineremo a breve, perché prima è necessario un preambolo nel quale è doverosa la difesa di alcune persone, ma al tempo stesso anche la doverosa presa di culo di altre [cf. QUI]. Detto questo si tranquillizzino i puritani, perché San Josemaria Escriva de Balaguer diceva molte più parolacce di me, che a confronto del Santo fondatore dell’Opus Dei ho una lingua comparabile in candore a quella della Beata Imelda. Poi si tenga presente che la lingua mia, dinanzi a quella di San Pio da Pietrelcina, è comparabile a quella di Sant’Agnese vergine e martire che sussurra dolci parole all’orecchio del tenero agnellino che tiene in braccio. A tal guisa basti rammentare che il Santo confessore di Pietrelcina fece fuggire dal confessionale una trentenne urlandole nel dialetto del gargano: «Vattene via grandissima puttana!». Anni dopo, la «grandissima puttana», entrò nel monastero di clausura delle monache clarisse, morendo novantenne oltre mezzo secolo dopo, in fama di santità, dopo quella brutale cacciata dal confessionale del Santo Cappuccino. E questa monaca io l’ho conosciuta, ho predicato più volte nel suo monastero. E sempre lo stesso confessore, ad un altro giovane, poi divenuto uno dei suoi devoti figli spirituali, disse: «Tu non sei un semplice peccatore, sei proprio un uomo di merda!». Ora, essendo io anche postulatore delle cause dei santi, prendendo spunto da certe venerate figure, conto un giorno di giungere a quella santità alla quale tutti i battezzati sono chiamati, usando all’occorrenza anche un linguaggio pastoral pedagogico da carrettiere di Dio.

Il nome usato dalla gran parte dei giornalisti per dare risalto alla notizia, incluso uno tra i più celebri vaticanisti,  più ancòra che al fatto ed al testo in sé, è stato quello del Professor Ettore Gotti Tedeschi, fino al 2012 presidente dello I.O.R. la cosiddetta banca vaticana [cf. QUI]. Chi, come il sottoscritto e Padre Giovanni Cavalcoli, ha avuto modo di conoscere questo cattolico devoto, nonché uomo di fede e specchiate virtù di vita, capisce anzitutto la purezza delle sue intenzioni. Gotti Tedeschi ha infatti agito seguendo un istinto improntato sul suo amore verso la Chiesa ed il papato, ma anche verso lo stesso Pontefice regnante. Come lui, presumo abbiano agito la gran parte degli altri laici firmatari, che per la quasi totalità non conosco, fatta eccezione per il Professor Roberto de Mattei, che è uno studioso che tende ad applicare alla Chiesa schemi e criteri socio-politici celati dietro la difesa della purezza della fede. Come del resto fanno i lefebvriani, che non sono devoti eredi del Santo Pontefice Pio X, al quale è titolata la loro Fraternità Sacerdotale, ma devoti eredi inconsapevoli dello stile di Martin Lutero: abbattere il pontefice col falso pretesto di difendere il papato che non difende a loro dire la purezza della fede.

Tra i firmatari intrisi di questo stile socio-politico filo-luterano non poteva mancare la Katharina von Bora della situazione, la deliziosa Cristina Siccardi, compito della quale dovrebbe essere quello di lavare e stirare le tovaglie d’altare della Fraternità Sacerdotale di San Pio X, inamidare i corporali con la colla di pesce e rammendare gli amitti recitando le litanie del Sacro Cuore di Gesù, non quello di fare la storica della Chiesa in modo a dir poco maldestro e soprattutto accecato di ideologia. E ciò detto ricordiamo per inciso che la von Bora era una ex monaca cistercense divenuta poi moglie dell’eresiarca Lutero.

La mia stima verso un uomo di fede come Gotti Tedeschi non è diminuita, valutata la purezza delle sue intenzioni. Ciò sul quale merita riflettere è che non sempre, la purezza delle intenzioni, porta a scelte giuste, almeno sin da quando esiste il peccato originale, che per noi credenti e teologi ortodossi è un fatto reale, non una metafora allegorica. E, come tutte le persone esposte al peccato, merita ricordare che un conto è errare in buona fede nella certezza di fare la cosa buona e giusta, altra cosa è errare mossi da una mala fede resa tale dai molteplici secondi fini che certe pretestuose esternazioni spesso nascondono. Or bene, se il primo dei due casi testé esposti, è quello di Gotti Tedeschi, la cui “colpa” è attenuata sin quasi alla inesistenza della colpa stessa, il secondo ― lungi dal voler giudicare la sua coscienza ―, è invece il caso di Roberto de Mattei, di chi lo segue e di chi oltre oceano foraggia le sue attività a botte di parecchi soldi. Perché una fondazione come la Lepanto, con le sue molteplici attività nazionali e internazionali, incluse attività editoriali a perdere, fatte di libri stampati e diffusi i cui proventi non riescono a coprire neppure le spese vive di stampa, non può essere sostenuta con la vendita per abbonamento del mensile Radici Cristiane ; e chi sostenesse questo od altro di simile, recherebbe grave offesa all’intelligenza altrui.

Mentre un coretto di adulanti vaticanisti della prima e dell’ultima ora si sono sbizzarriti a prendersi perlopiù beffa di questi firmatari, facendo dal mio canto quel mestiere che mi compete, che è quello di teologo dogmatico e di persona che ha acquisita un po’ di formazione giuridica, indicherò agli uni e agli altri di questi vaticanologi, quelli della prima e quelli dell’ultima ora, chi sono coloro che tra i firmatari vanno veramente sbeffeggiati: i ministri in sacris che hanno apposte le loro firme su un testo che è giuridicamente e teologicamente empio e delirante.

Noi tutti ricordiamo con qual garbo e umiltà, seguendo una antica tradizione apostolica, quattro Padri Cardinali hanno presentato dei dubia al Romano Pontefice chiedendo una sua risposta [cf. QUI]; il tutto nel legittimo esercizio del loro sacro ministero episcopale, muovendosi all’interno di una Chiesa a tal punto “aperta” e “collegiale” da avere cessato di disquisire sulle materie di dottrina e di fede dopo la morte del Santo Pontefice Giovanni Paolo II e dopo l’atto di rinuncia del Venerabile Pontefice Benedetto XVI. Che dire poi delle contestazioni alle quali fu sottoposto il Beato Pontefice Paolo VI, a difesa del quale mai si levarono tutti gli atei anticlericali che al presente si sono eletti papafranceschisti, o che senza pena di ridicolo ricordano oggi, a noi teologi talvolta legittimamente perplessi per certe posizioni pastorali del Sommo Pontefice Francesco I e per certe sue espressioni foriere di ogni peggiore ambiguità, che ogni suo sospiro è infallibile e che compito nostro è solo quello di tacere e di ubbidire dopo avere spento il cervello e la coscienza cattolica, prendendo semmai come atti di solenne magistero infallibile i proclami pubblicati sull’organo ufficioso della Santa Sede, il quotidiano La Repubblica. E, mentre si è costretti a vivere e spesso subìre questi assurdi paradossi, ecco che Eugenio Scalfari, Alberto Melloni, Enzo Bianchi, Andrea Grillo e via dicendo a seguire, proseguono indisturbati, ma soprattutto mai smentiti dalla Santa Sede, nel diffondere una immagine assurdo-grottesca di un “Papa Francesco” che è soltanto la loro personale parodia sia del ministero petrino, sia del papato, sia dello stesso Pontefice regnante.

Accettabile sarebbe stata anche una eventuale “correzione fraterna” da parte di un gruppo di vescovi, fatta con tutti i crismi dell’umiltà e del riconoscimento della somma autorità del Principe degli Apostoli, ovviamente in privato, nell’ambito dei colloqui più intimi e segreti. E, detto questo, merita ricordare ― in questi tempi d’abissale ignoranza esercitata da molti che scrivono di “faccende di Chiesa” sui vari giornali o blog ―, che i vescovi, non sono dei dipendenti subalterni del Romano Pontefice, ma suoi fratelli a pari dignità sacramentale, chiamati come membri del Collegio Apostolico al governo pastorale della Chiesa. Infatti, sia il Supremo Pastore della Chiesa, sia i Pastori di tutte le Chiese particolari che formano il corpo della Chiesa universale, sono rivestiti dello stesso grado in dignità sacramentale: la pienezza del sacerdozio apostolico [cf. C.I.C. can. 334]. Il Romano Pontefice non è superiore per grado sacramentale neppure all’ultimo vescovo della più sperduta diocesi missionaria di questo mondo, è solo superiore nel primato di giurisdizione sull’intera Chiesa universale [cf. C.I.C. cann. 331-332], perché a lui spetta presiedere il Collegio degli Apostoli e scegliere all’occorrenza gli Apostoli stessi.

I vescovi hanno quindi, anzitutto, titolo canonico per rapportarsi da pari a pari in dignità sacramentale al Romano Pontefice [cf. C.I.C. can. 333 – §1], il quale esercita la potestà di primato su tutti loro [cf. C.I.C. can. 333 §2]. I presbiteri non hanno tale titolo, né noi teologi, che siamo chiamati a servire e diffondere il magistero della Chiesa, possiamo correggerlo, nemmeno i maestri di logica aletica possono farlo, meno che mai i laici, posto che le pecore del gregge non possono né guidare né tanto meno correggere il pastore, con buona pace di Roberto de Mattei che per meglio inguaiare i Frati Francescani dell’Immacolata, anni fa mise in piedi una via di mezzo tra una raccolta firme e un referendum contro un provvedimento preso dal Romano Pontefice [cf. QUI], verso il quale non è possibile fare appello né ricorso [cf. C.I.C. can 333 §3]. In caso contrario, non si cade neppure nel luteranesimo, ma proprio nel peggiore calvinismo, nel quale il sacerdozio ministeriale ordinato non esiste, di conseguenza, laddove esiste, va considerato come «una invenzione politica della Chiesa».

Tutta quanta la questione sollevata in quel testo, elaborato con magistrale e non poco confusa artificiosità, è anzitutto priva di una solida struttura giuridica che lo rende per questo privo di logico senso comune, anche se uno dei presbìteri firmatari si picca d’esser maestro della filosofia del senso comune, rifacendosi, lui come altri, ai migliori criteri logici e metafisici di San Tommaso d’Aquino. Pertanto, i due Padri de L’Isola di Patmos, prendono atto che queste persone hanno conosciuto e studiato un Tommaso d’Aquino diverso dal nostro. Ovviamente, l’Aquinate autentico, è il nostro e non il loro, vale a dire quello che per logico e autentico senso comune ci insegna tra le righe di tutta la sua magna opera che dare dell’eretico al Sommo Pontefice, comporta ipso facto essere eretici palesi e manifesti, con buona pace della logica aletica e delle varie supercazzole prematurate con scappellamento a destra [cf. QUI].

Detto questo passiamo all’accusa, premettendo ch’essa, se non fosse tragica sarebbe comica: il Sommo Pontefice è stato pubblicamente accusato di ben sette eresie. E, come sopra appena spiegato, è bene ribadire che rivolgere una pubblica accusa formale di eresia al Supremo Custode del Santo deposito della fede cattolica, comporta essere eretici. Pertanto, i firmatari, sono caduti in eresia sostanziale e formale.

In questi giorni, il teologo domenicano Giovanni Cavalcoli si trova a predicare gli esercizi spirituali alle monache di clausura, ed il prezioso ministero al quale sta adempiendo non gli consente di dedicarsi alla redazione di un appropriato testo sulla questione in corso, data però la nostra comunione sacerdotale e teologica, unita ad una conoscenza reciproca molto profonda, ritengo di poter parlare io anche a nome di questo insigne accademico pontificio, col quale a suo tempo ho potuto approfondire gli aspetti più delicati della metafisica e della dogmatica alla scuola di San Tommaso d’Aquino.

Se a spingere diversi dei firmatari sono state ragioni di carattere più politico che teologico, il risultato è stato anzitutto quello di avere trasformato il difettoso Sommo Pontefice Francesco I in una vittima vilipesa e insolentita nel peggiore dei modi, facendo così il gioco di coloro che al suo seguito, o manovrandolo con diabolica astuzia, stanno distruggendo la Chiesa attraverso scelte pastorali discutibili e nomine di persone improponibili piazzate in tutti i posti chiave di governo della Chiesa [cf. QUI].

I Padri de L’Isola di Patmos non possono essere accusati di spirito adulatorio nei riguardi del Sommo Pontefice, al quale abbiamo rivolto numerose volte delle critiche parecchio dure e severe, senza mai perdere di vista per un solo istante che egli è la pietra attraverso la quale, sopra la roccia di Cristo, il Verbo di Dio incarnato ha edificata la sua Chiesa [tra i numerosi articoli, vedere QUI]. A riprova di quanto io non sia tacciabile di spirito adulatorio, a parte i miei numerosi scritti pubblicati e tutti reperibili nell’archivio de L’Isola di Patmos, mi limito a citarne solo alcuni, per esempio quello nel quale mi interrogo sulla sanità mentale del Sommo Pontefice [cf. QUI], oppure quel saggio breve nel quale esprimevo un anno fa un timore che oggi, alla prova dei fatti, si sta rivelando tutt’altro che infondato, purtroppo! Ossia che «questo pontificato rischia di finire a fischi in piazza e fratture drammatiche» [cf. QUI]. E quando il Pontefice regnante sarà ― Dio non voglia, mai! ― preso a fischi in piazza, a difenderlo, a prezzo della nostra pelle, ci saremo noi, che siamo stati bistrattati nel peggiore dei modi dai cortigiani ruffiani della sua corte dei miracoli, lanciatisi in grandi carriere ecclesiastiche all’insegna di poveri&profughi e di periferie esistenziali varie [cf. QUI], ma pronti come nulla fosse a indossare domani una cappa magna di sette metri al primo cambio di vento [cf. QUI]. Pertanto penso di avere tutta quella libertà e di conseguenza tutta quella credibilità che mi porta ad affermare in chiari termini ciò che penso: temo sempre di più ― possa Dio concedermi la grazia di avere assolutamente torto! ― che l’uomo Jorge Mario Bergoglio, seguitando di questo passo, può correre il rischio di passare veramente alla storia come uno dei peggiori pontefici che la Chiesa abbia mai avuto. Non mi piace il suo modo di porgersi, di parlare, di fare pastorale; considero molti dei suoi atti di magistero intrisi di accozzaglie confuse e soprattutto di non poche ambiguità; giudico molto pericoloso che la corte dei miracoli del manipolo di delinquenti che lo circonda e lo circuisce, stia riaprendo in modo subdolo delle questioni trattate e chiuse dai suoi Sommi Predecessori, che sono peraltro, rispettivamente, un Beato e un Santo: dal diaconato alle donne [cf. QUI] alla “reinterpretazione” della Humanae vitae [cf. QUI]. Però non ho mai messo, ne mai metterò in discussione la sua autorità, a prescindere dal fatto che possa temere che passi alla storia come uno dei peggiori Sommi Pontefici della Chiesa. Un pensiero del tutto soggettivo, questo mio, che non tocca in alcun modo la mia fede nel ministero petrino e la mia devota obbedienza tributata a chi al momento lo esercita nella Chiesa universale, il Sommo Pontefice Francesco I.

In caso contrario sarebbe a dir poco incoerente che io proseguissi a esercitare il sacro ministero sacerdotale, per il quale è richiesta la comunione col Vescovo in piena comunione col Vescovo di Roma, non certo la comunione con quel che “io penso”. E non potrei esercitare il sacro ministero perché ogni giorno, sul Corpo e sul Sangue vivo di Cristo, durante la celebrazione del Sacrificio Eucaristico recito con autentica fede queste parole: «Ricordati Padre della tua Chiesa diffusa su tutta la terra, rendila perfetta nell’amore in comunione con il nostro Papa Francesco, il nostro Vescovo …». Ora, io non so, il maestro della filosofia del senso comune e delle supercazzole aletiche che celebra il Sacrificio Eucaristico come me, in che modo possa, dall’alto della sua fumosa ego-teologia, recitare delle parole del genere dopo avere firmato un documento nel quale si accusa il Romano Pontefice di ben sette eresie. Ma soprattutto mi domando come queste parole possa recitarle quel tal vescovo emerito, inesorabilmente trombato nella sua spasmodica corsa ad alcune delle più grandi e prestigiose sedi arcivescovili italiane, ma soprattutto escluso dalla dignità cardinalizia, che oggi vaga da un salotto all’altro a gettare benzina sul fuoco di questi scontenti che si sentono disorientati ― a volte anche a giusta ragione ―, da certi discorsi o da certe espressioni ambigue del Pontefice regnante. È forse questo il compito di un vescovo? E che dire di quel teologo e liturgista, oggi tutto tradizione liturgica e difesa della vera dottrina, anch’esso più o meno salottiero vagante, che dieci anni fa, quanto ancora non era settantenne ed era in speranzosa corsa per la carica di arcivescovo segretario della Congregazione per la dottrina della fede, non avrebbe mai proferito neppure un peto per fisiologico eccesso di gas intestinali, neppure se il Sommo Pontefice avesse ― per ipotesi pressoché impossibile ― enunciata per davvero un’eresia? Perché questi, miei cari Lettori, sono i perniciosi vigliacchi che si trovano dietro le quinte, alle spalle di questi firmatari, che sono stati da loro usati in modo spregiudicato e diabolico come “utili idioti”, per poter consumare a questo modo non la difesa della vera fede o della autentica dottrina, ma per consumare la loro ennesima vendetta per le aspettative di carriera a loro non concesse.

Sia chiaro, neppure il Beato Apostolo Pietro era uno stinco di santo, pur essendo stato scelto da Cristo in persona. Ma soprattutto merita ricordare che santo lo divenne poco prima di morire, attraverso il martirio, che fu una grazia da Dio concessa e da lui accettata, dopo che anche nella vecchiaia stava per fuggire la seconda volta lungo la Via Appia, detta anche la via del «Quo vadis Domine? » [cf. QUI].

Ora, le cose stanno in questi termini: lamentare che Amoris laetitia è un testo scritto male e foriero di potenziali ambiguità, è vero, ma affermare che contenga eresie sostanziali è falso; una falsità grave che rende eretici coloro che asseriscono una simile empietà.

Discutendo tra di noi nella redazione de L’Isola di Patmos, la nostra saggia domenicana Suor Matilde Nicoletti faceva giustamente notare che le accuse formulate e dalle quali i firmatari vogliono ricavare delle eresie, non stanno in piedi. E assieme al nostro giovane filosofo e teologo Jorge Facio Lince, siamo giunti tutti e tre ad una conclusione consequenziale: queste persone sono le stesse che attribuiscono al Concilio Vaticano II, anche a causa del linguaggio usato nei suoi testi ― indubbiamente nuovo e non sempre felice rispetto al consolidato linguaggio metafisico della Chiesa [cf. QUI] ―, le deviazioni e le conseguenti interpretazioni moderniste dei teologi della stagione del post-concilio. Questa incapacità di analisi e di distinzione li porta da sempre ad affermare con cieco accanimento che il post-concilio è generato in verità dal vero male che si trova a monte e che, a loro dire, è proprio il concilio, che peraltro sarebbe «solo un concilio pastorale», come afferma quel degno sacerdote e religioso di Padre Serafino Lanzetta sulla scia errata della buonanima non meno degna e pia di Monsignor Brunero Gherardini. Come se il Concilio Vaticano II, che non ha certamente proclamati nuovi dogmi della fede, non avesse promulgate delle nuove dottrine e delle riforme che sono e che restano vincolanti per l’intera Chiesa universale.

Per smentire queste persone occorre poco, anche se, dinanzi alla loro cecità, a poco servirebbe la migliore logica, più o meno aletica. Per smentirli e metterli dinanzi al loro ragionamento oggettivamente idiota, sarebbe sufficiente questa semplice domanda: all’epoca in cui il Messale Romano in uso era quello del Santo Pontefice Pio V, dinanzi ai non pochi preti che nel corso di cinque secoli celebravano male, in modo frettoloso e sciatto la Santa Messa, sarebbe stato pertinente, sempre previa applicazione della stessa logica, affermare che un elevato numero di sacerdoti celebravano male e senza dovuta devozione e venerazione verso i sacri misteri, perché la colpa era a monte, ed andava ricercata tutta quanta, nella mala stesura del testo liturgico promulgato da quel Pontefice? Io credo che, fatte salve alcune imperfezioni, poi corrette come spesso accade in tutti i testi della Chiesa, il Venerabile Messale del Santo Pontefice Pio V, che io stesso tengo da sempre in alta considerazione, sia stato redatto molto bene e che per cinque secoli ha costituito ― e tutt’oggi costituisce ― un patrimonio inestimabile di fede e di pietà liturgica che non deve essere in alcun modo perduto, allo stesso modo in cui, fatte salve alcune imperfezioni legate al linguaggio espressivo non sempre felice e idoneo, sono stati redatti molto bene i testi del Concilio Vaticano II.

L’eretico vescovo scismatico Bernard Fellay, con la propria firma su questo documento in cui si accusa il Pontefice regnante di sette eresie, ha data una sonora e meritata sberla all’imprudente Francesco I, il quale pensava che, tra offerte di pasticcini della tenerezza e di torte aromatizzate al misericordismo, potesse addolcire dei concentrati di fiele come i seguaci dell’eretico che si trova a monte: Marcel Lefebvre, conferendo ad esempio ai suoi seguaci facoltà di amministrare in modo lecito i Sacramenti [cf. QUI, QUI]. E questi sono stati poi i conseguenti risultati piovuti a breve addosso all’uomo Jorge Mario Bergoglio, che tende a non ascoltare nessuno. E, quando ascolta, tende ad ascoltare le persone sbagliate …

Il Sommo Pontefice non può essere dichiarato eretico, meno che mai accusato pubblicamente di eresia. È necessario tenere in considerazione e accettare i limiti oggettivi dell’uomo Jorge Mario Bergoglio, facendogli giungere accorata supplica di far pubblicare quanto prima dalla Congregazione per la dottrina della fede e dalla Congregazione per il culto divino e la disciplina dei Sacramenti, una Istruzione che spieghi gli insegnamenti di Amoris laetitia e che chiarisca i seguenti punti :

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1) le ragioni dell’indissolubilità del matrimonio;

2) il concetto di “stato irregolare” dei divorziati risposati;

3) se ci sono e quali sono in casi nei quali i divorziati risposati possono fare la Comunione  [cf. nota 351];

4) potere e autorità della legge morale naturale, ecclesiastica e divina;

5) l’oggettività, la fallibilità e la scusabilità del giudizio morale della coscienza;

6) la gravità del peccato di adulterio;

7) come e perché i divorziati risposati possono essere in grazia;

8) come possono essere perdonati da Dio i loro peccati;

9) come, perché e quando la colpa dei divorziati risposati può essere attenuata;

10) che cosa significa “stato di peccato”;

11) quali precisi vincoli crea il grado di autorità dottrinale legato alla recezione della esortazione apostolica post sinodale Amoris laetitia ed alla sua applicazione.

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Le venticinque pagine del testo sottoscritto dai firmatari, perlopiù laici, contengono testi intrisi di teorie oggettivamente errate, ma molto elaborate a livello tecnico. È pertanto quasi impossibile che il tutto sia stato redatto in modo autonomo da dei semplici fedeli laici. La domanda è pertanto di rigore: quali prelati si nascondono dietro a questo testo, a parte i due citati poc’anzi a titolo di esempio nel corso del discorso? Perché, questi prelati, anziché mandare avanti i laici non escono loro allo scoperto? Sono domande del tutto retoriche, perché sappiamo bene come mai non escono allo scoperto, è stato spiegato in precedenza ma lo ripetiamo ancora: perché molti di loro, anche se già avanti con l’età, non si sono ancora rassegnati ad essersi vista negata la porpora cardinalizia. Probabilmente sperano che il Sommo Pontefice Francesco I renda l’anima al Creatore anche e solo qualche settimana prima di loro, che muovendosi col deambulatore o con la sedia a rotelle giungerebbero dinanzi al Successore per essere creati finalmente cardinali. Perché questo, è ciò che solo conta, non la salvezza della propria anima, ma la agognata berretta rossa, con la quale bruciare meglio tra le fiamme eterne dell’Inferno. 

In questo susseguirsi di vicende che hanno sempre più i connotati del gioco al massacro e dei tiri incrociati dei cecchini sulla folla sempre più esigua dei nostri devoti fedeli, la domanda di rigore è: che cosa sta facendo, di piacioneria in piacioneria, il Sommo Pontefice? Perché al contrario di certi opinionisti affetti dalla devozione a senso unico, per amare e onorare veramente il Sommo Pontefice, noi dobbiamo prenderlo per ciò che egli realmente è, facendo i conti anche con quei suoi limiti e difetti che non emergono da alcun articolo di certa stampa più o meno cattolica, che pensa forse di calcare in eterno la cresta dell’onda, quasi come se questo pontificato non dovesse finire mai.

Per questo temo che il Sommo Pontefice Francesco I corra il serio rischio di passare alla storia come uno dei peggiori Pontefici della Chiesa, come un umorale tiranno sorridente in pubblico ma capace a essere disumano in privato, ma rimanendo sempre, per mistero di grazia, il legittimo Successore di Pietro. E questo mi basta e mi avanza per dire, assieme ad uno dei miei compianti maestri di sana e ortodossa dottrina cattolica, quelle parole che oggi, coloro che dopo morto vorrebbero tirarselo da una parte e dall’altra, si guardano bene dal dire e dal riferire:

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«Se un vescovo ha un pensiero contrario a quello del Papa se ne deve andare, ma proprio se ne deve andare dalla diocesi. Perché condurrebbe i fedeli su una strada che non è più quella di Gesù Cristo. Quindi perderebbe se stesso eternamente e rischierebbe la perdita eterna dei fedeli» [video registrazione intervista, QUI]..

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Questo disse il Cardinale Carlo Caffarra di venerata memoria, non mancando di precisare:

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«[…] avrei avuto più piacere che si dicesse che l’Arcivescovo di Bologna ha un’amante piuttosto che si dicesse che ha un pensiero contrario a quello del Papa».

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Queste ultime parole, desidero possano fungere da monito ai cacciatori politici di eresie papali, ai quali, più che dire, io intimo con molta chiarezza: scrivete quel che volete sui vostri giornali e blog di Vera&Pura Traditio, accusate pure il Sommo Pontefice Francesco I di eresia a colazione, pranzo e cena, ma non coinvolgete mai, a supporto di certe vostre empietà, la memoria di quel santo uomo di Dio del Cardinale Carlo Caffarra, oppure dovrete fare i conti con il Padre Giovanni Cavalcoli e con me, che siamo due pitt-bull di Dio, non siamo due barboncini toy da biscottini al burro.

Il Cardinale Carlo Caffarra è morto con la lancia di Longino nel cuore [cf. QUI e QUI], dopo una vita offerta ai più alti e preziosi servigi resi alla Chiesa ed ai suoi Sommi Pontefici, senza essere mai ricevuto dal Pontefice regnante; lo stesso Pontefice che però ha ricevuto atei orgogliosi, eretici pentecostali, grottesche arcivescove luterane lesbiche dichiarate, dittatorelli da quattro soldi, abortiste ed eutanasisti fieri del loro sprezzo per la vita ed in ciò indomiti e impenitenti … però non ha ricevuto un autentico uomo di Dio, nonché suo fratello nell’episcopato. Cosa questa che dà indubbiamente il polso della permalosità e della disumanità insita nell’uomo Jorge Mario Bergoglio, che per alcuni vaticanisti è però più perfetto dello stesso Cristo. Eppure, il Cardinale Carlo Caffarra, autentico uomo di Dio, è morto venerando il Sommo Pontefice e pregando per lui. E che questo possa essere di esempio per tutti, riguardo l’obbedienza e la venerazione sempre dovuta anche al peggiore dei Successori di Pietro; lezione che vale, anche e soprattutto, per tutti gli avvelenati cacciatori di eresie papali.   

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da L’Isola di Patmos, 26 settembre 2017

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4 commenti
  1. Zamax dice:

    Mi sembra che il titolo non riassuma bene il contenuto dell’articolo e rischi di essere fuorviante: lo dico – con filiale devozione, ça va sans dire – perché nell’era di internet le strumentalizzazioni si servono assai più facilmente dei titoli che dei contenuti. Io lo correggerei più o meno così: “Un Sommo Pontefice eretico? La cieca stoltezza di chi lo accusa di eresia e la cieca stoltezza del partito….”

  2. orenzo
    orenzo dice:

    Viene pubblicata “Amoris Laetitia”:
    – 5 Dubia,
    – 7 supposte proposizioni eretiche,
    – 12 richieste di chiarimento.
    E tutto perché taluni hanno voluto applicare le prassi in uso negli ospedali da campo anche a tutti gli altri ospedali…

    Riguardo al matrimonio indissolubile, se non sbaglio, l’Incarnazione è avvenuta all’interno di un matrimonio.

  3. Attilio dice:

    Circola una petizione online sostenuta da laici che non possiedono titoli accademici. Onestamente non vedo nell’operato del Papa una volontà distruttiva della morale cattolica e dei sacramenti. Non credo possa essere colpevole di omissioni o deliberate imprecisazioni legate all’interpretazione dell’Amoris Laetitia. Tuttavia, se dovesse esserlo, ciò non mi giustifica dal muovergli un’accusa così grave. Non ritengo corretto attribuire al Santo Padre una deriva che non è assolutamente attribuibile a lui.
    Intanto ritengo che per condannare qualcuno di eresia bisogna avere una fede granitica e, cosa non meno importante, occorre avere una vità così esemplare che dubito qualcuno possa esser sicuro di condurre. Se oltre a questo pensiamo che si tratta di un’accusa pari a ben 7 eresie promosse dalla figura del Santo Padre, svengo letteralmente a terra. Cordiali Saluti

  4. Padre Ariel
    Ettore dice:

    Un’amara considerazione.

    Salendo sui mezzi pubblici di trasporto, i passeggeri vengono avvertiti da appositi cartelli di Non disturbare il guidatore, non parlare al conducente sotto minaccia di sanzioni.

    Sembra che nella Chiesa, a cominciare dalle più alte sfere, si stia diffondendo la stessa rigida regola di comportamento … in spregio alla virtù teologale della carità.

    Questo è proprio un pontificato che crea disagio e confusione, basta vedere le scomposte reazioni degli “amici del Papa” verso chi umilmente solleva obiezioni, pone domande e avanza suppliche.
    Come contagiosa emulazione dell’esempio dei superiori, la regola è stata già recepita in certi ambiti diocesani, e va via propagandosi anche alle periferie.

    È quasi impossibile parlare di questi argomenti con i sacerdoti, in sempre più evidente imbarazzo. La maggior parte di essi è trincerata dietro frasi di circostanza, tipo «è stato frainteso», «non ha detto questo», «la colpa è dei giornalisti», «non è cambiato nulla»; se insisti, da alcuni vieni redarguito con rimproveri ed improperi, spesso etichettato come rigido e tradizionalista.

    La parola d’ordine del clero sembra essere il manzoniano «suggerimento» impartito dal conte zio «sopire, troncare, padre molto reverendo, troncare, sopire». Quasi tutti a far finta di nulla, ad adeguarsi al non vedo, non sento, non parlo, anteponendo il quieto vivere alla chiarezza, alla difesa della Verità, lasciando allo sbando la parte più consapevole del popolo di Dio.

    Isolate e rare le eccezioni che invece, proprio a motivo del disagio e della confusione, invitano a pregare per la Chiesa e il Vicario di Cristo.

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