Dal Grillo Teologante del Sant’Anselmo al Domenicano che esalta Schillebeeckx

lettere dei lettori 2

Rispondono i Padri dell’Isola di Patmos

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DAL GRILLO TEOLOGANTE DEL SANT’ANSELMO AL DOMENICANO CHE ESALTA SCHILLEBEECKX

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Parlando solo sul piano prettamente teologico, giammai su quello umano, va’ rilevato che questo accademico, dottrinalmente parlando, è una sorta di antitesi del mitico Re Mida che mutava in oro tutto ciò che toccava. Al suo contrario, Andrea Grillo, come una specie di Re Mirda, tutto ciò che teologicamente e dottrinalmente tocca diventa merda, perché palesemente e radicalmente viziato nel suo pensiero dalla madre di tutte le eresie: il Modernismo.

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Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Caro Padre Ariel.

Il mio vescovo mi mandò anni fa al Sant’Anselmo di Roma per far la specializzazione. Non terminai neppure il primo semestre, perché dopo aver partecipato a una serie di lezioni tenute dal prof. Elmar Salmann e dal prof. Andrea Grillo, dissi al vescovo che non intendevo proseguire, dato che in quell’ateneo non s’insegnava teologia e sacramentaria cattolica. Il vescovo non la prese bene, mi destituì dall’incarico di cerimoniere, ma accettò la mia decisione. Leggendo quest’ultimo articolo del prof. Grillo [Ndr vedere QUI], mi glorio di quella mia decisione passata. Tu che cosa ne pensi?

Lettera Firmata

 

 

 

andrea-grillo

il Pontificio Ateneo Sant’Anselmo, un nome, ed una garanzia, oggi, di eresia …

Andrea Grillo è un uomo intellettualmente sgradevole, come lo sono di prassi le persone d’indole altezzosa. Lo abbiamo visto anche di recente, attraverso il modo in cui ha dibattuto col vaticanista della Rai Aldo Maria Valli, noto a tutti ― anche ai suoi colleghi non in linea con lui ― come uomo amabile dallo stile espressivo delicato e signorile [link del dibattito, QUI].

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Trovo sgradevole Andrea Grillo non come persona, perché come persona non è affatto sgradevole, tutt’altro! Lo trovo sgradevole sul piano squisitamente teologico, come trovo sgradevoli tutti quei teologastri dell’ultimo cinquantennio che non parlano di Dio e dei Misteri della Fede, ma delle fenomenologie politico-clericali. Si prenda come esempio tra i tanti l’articolo segnalato dal Sacerdote nostro lettore [cf. QUI], lo si analizzi e poi si dica: dove, quante volte, in qual modo Andrea Grillo, parlando della sua fenomenologia clerical-politica di un Sacramento come l’Ordine Sacro, ha menzionato solo di sfuggita Dio, o il Verbo di Dio, il Figlio consustanziale al Padre che il Sacramento dell’Ordine lo ha istituito per la perpetuazione del Memoriale vivo e santo? Una sola volta lo menziona — ed a sproposito — affinché: «la “presenza di Cristo” esca dalle contrapposizioni storiche tra “transustanziazione” e “consustanziazione”». E ciò equivale a leggere il concetto di “presenza di Cristo” non in una dimensione metafisica, ma come problema politico da risolvere, affinché trionfi il supremo dogma di quel dialogo inaugurato dal falso ecumenismo distruggente, quello che sta protestantizzando la Chiesa da dentro, grazie ai Pony di Troia come Andrea Grillo. Pertanto, in modo intellettualmente molto più onesto, questo accademico dovrebbe fare il sociologo o l’esperto in fenomenologia ecclesiale, anzi meglio ancora: ecclesiastica, non però il teologo sacramentario liturgico, posto che quanti i Sacramenti li vivono e quanti come noi li celebrano per mistero di grazia, hanno con essi tutt’altro rapporto, che è un rapporto di fede, un rapporto mistico, non un rapporto clerical-politico-fenomenologico.

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Sempre parlando solo sul piano teologico, giammai su quello umano, va’ rilevato che questo accademico, dottrinalmente parlando, è una sorta di antitesi del mitico Re Mida che mutava in oro tutto ciò che toccava. Al suo contrario, Andrea Grillo, come una specie di Re Mirda, ciò che teologicamente e dottrinalmente tocca diventa merda, perché palesemente e radicalmente viziato nel suo pensiero dalla madre di tutte le eresie: il Modernismo. E sempre a scanso di equivoci torno a ripetere: “tutto ciò che teologicamente e dottrinalmente tocca”, perché solo a questo è riferita l’espressione del mirdiano mutamente dell’oro delle Verità di fede, nella merda delle eresie. Infatti, per quanto poi riguarda tutto l’altro resto, quest’uomo è sicuramente il più degno ed esemplare cittadino della Repubblica Italiana, la persona più splendida, il marito più fedele al sacro vincolo del matrimonio, il modello di padre di famiglia più lodevole di questo mondo e via dicendo a seguire. Infatti — ribadisco — io non contesto la persona, né le sue indubbie qualità umane e morali, ciò che contesto è solo la sua eterodossia teologica, alla quale ho applicata la parola più appropriata: «Merda». Perché l’eresia rimane ed è tale per ogni buon cattolico: la peggiore merda di Satana, principe della corruzione e della falsificazione, colui che muta il vero in falso ed il falso in vero.

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Andrea Grillo è degno allievo del monaco benedettino tedesco Elmar Salmann [cf. QUI], al quale va’ il merito di avere protestantizzato nel corso di un trentennio di suo dominio il Pontificio Ateneo Sant’Anselmo. Basti solo ricordare ― e con me lo ricordano molti altri ―, che quando Elmar Salmann teneva tra il 2010 e il 2011 i corsi in preparazione al dottorato presso questo ateneo, soleva dilettarsi a definire il Beato Pio IX come «un caso psichiatrico», citando a suffragio di queste sue idee il Gesuita Giacomo Martina, che risulta esser stato un insigne storico, non però uno psichiatria specializzato in disturbi psicosomatici della personalità pontificia. E menzionando i quattro volumi editi dallo storico Gesuita avverso alla beatificazione di questo Sommo Pontefice [cf. QUI e QUI] ― che non risultano essere “verità di fede” ma opinioni di uno studioso ―, il buon Benedettino affermava in che modo quel caso clinico-psichiatrico di Pio IX « si è posto la sua medaglietta sul petto inventandosi un nuovo dogmino », con chiara allusione al dogma della infallibilità pontificia.

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Sberleffi teutonico-romanofobi del tutto comprensibili, considerata la testa e la bocca in questione, oltre al fatto che gli adoranti allievi modernisti della corte dei miracoli salmanniana, consigliavano ― ovviamente a livello critico, s’intende! ― la lettura di due opere dell’eretico Hans Küng, tra le quali: Infallibile? Una domanda. Dopo di ché, il sacro fuoco luteran-teutonico di Elmar Salmann procedeva avanti e si abbatteva sul Santo Pontefice Pio X, il quale ― cito testualmente ― «con la sua Pascendi Dominici Gregis, tentò di frenare il progresso e la speculazione scientifica, mentre gli esegeti protestanti facevano meraviglie sul piano delle ricerche filosofiche, teologiche e bibliche». E detto questo merita ricordare che tra il ristretto pubblico beneficiario di siffatte perle di saggezza salmanniana, era presente come uditore anche il celebre giornalista Giuliano Ferrara, che proprio non mi risulta esser privo di eccellente memoria.

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Questo è l’uomo, o meglio il minuscolo eretico che ha messo in cattedra al Sant’Anselmo la propria corte dei miracoli modernista, Andrea Grillo incluso, con questa logica conseguenza: all’interno di quelle mura, oggi non può neppure avvicinarsi ciò che teologicamente e dottrinalmente è cattolico. Basti dire che gli interscambi tra il Sant’Anselmo e la Facoltà teologica valdese spaziano tra l’idolatria pseudo-ecumenica e la vera e propria prostrazione ai protestanti, a tal punto che il Pastore evangelico Paolo Ricca è da anni professore ospite in quel pontificio ateneo.

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Questo per dire che se un cattolico, per sua somma sventura, si avvicinasse a siffatto ambiente avvelenato e avvelenante, radicalmente corrotto poiché infarcito di modernismi e protestantismi, verrebbe arso al rogo dai membri della ereticale corte dei miracoli insediata al suo interno da Elmar Salmann, inclusi non pochi monaci sculettanti che lanciavano occhiate languide a vari studenti, perché l’eresia ― per parafrasare il mio Confratello polacco Darius Oko [cf. QUI e QUI] ―, diventa spesso omoeresia, con tutto il nubifrocio universale che ne consegue nella Chiesa, com’ebbi a spiegare io senza troppe perifrasi in un mio libro del 2011.

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Molto vi sarebbe da scrivere sull’eretico modernista Andrea Grillo, che dell’ingegno dei grandi modernisti del calibro di Ernesto Buonaiuti, dotati di notevole intelletto, di scienza e di sapienza usata però purtroppo al contrario, non ha proprio niente, perché ormai siamo divenuti mediocri persino nell’eresia. E che il Grillo teologante sia un modernista, è fuori discussione, non perché lo dica io, ma perché lo provano i suoi scritti, le sue idee non cattoliche sulla Eucaristia, sul Sacramento dell’Ordine, sul Sacramento del Matrimonio, o più generalmente sulla dogmatica sacramentaria. Per non parlare dell’ecumenismo, della esaltazione della inter-comunione coi protestanti, dell’ipotesi sugli ordini sacri alle donne, del secondo matrimonio cattolico, per seguire con tutto il devastante corollario che ha portato al collasso le varie aggregazioni luterane e anglicane. Perché con le loro ideologie liberali sostituite ai vecchi dogmi della fede, il loro femminismo esasperato, le loro “donne prete”, le loro pittoresche “vescovesse” lesbiche sposate che adottano bambini con la loro coniuge [cf. QUI], nei concreti fatti, i tanto ammirati teologisti luterani, hanno solo ottenuto il risultato di svuotare le loro chiese, da tempo molto più vuote di quelle cattoliche, dove capita invece che entrino per professare la fede nella Chiesa «una santa cattolica e apostolica» numerosi loro fuoriusciti, in particolare gli anglicani. Se infatti il Grillo teologante fosse un teologo cattolico anziché un teologista-ideologico, dovrebbe anzitutto ricordare a se stesso che nel Simbolo di fede niceno-costantinopolitano, noi non professiamo la fede nella “molteplicità delle Chiese”, seguitiamo a professare: «Credo la Chiesa una, santa cattolica e apostolica» [Εἰς μίαν, Ἁγίαν, Καθολικὴν καὶ Ἀποστολικὴν Ἐκκλησίαν]. Perché Il Verbo di Dio Incarnato, tramite il Beato Apostolo Giovanni, ci esorta a essere perfetti nell’unità [cf. Gv 17, 23], non nella molteplicità e nella frammentarietà delle “chiese”. Pertanto, l’unico ecumenismo che noi possiamo cattolicamente concepire, è quello che mira a riportare i fratelli separati nell’unità della Chiesa «una, santa cattolica e apostolica», non certo a conferire al loro scisma ereticale il rango di “riforma” ed al loro eresiarca Lutero il rango di “riformatore”.

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Ciò malgrado, il Grillo teologante non perde occasione per insistere in modo oggi aperto, non più subliminale, di quanto sarebbe a suo parere opportuno discutere sulla ammissione delle donne ai sacri ordini, sebbene dolosamente consapevole che questo discorso è stato chiuso per sempre con un pronunciamento di San Giovanni Paolo II, che rifacendosi a quanto già affermato dal conciliarissimo Beato Paolo VI — e non dalla “vecchia Chiesa” dei Santi Pontefici Pio X o Pio V —, ribadì che la Chiesa «non si riconosce l’autorità di ammettere le donne all’ordinazione sacerdotale» [vedere documento, QUI]. Affermazione alla quale il Grillo teologante ribatte con sofismi di bassa lega definendola come: «una dichiarazione di “non autorità”» [vedere articolo integrale, QUI]. A quel punto, il Grillo Teologante, giocando più sul giuridico che sul teologico, afferma: «la non irreformabilità di Ordinatio Sacerdotalis che, in una prospettiva più lunga, la autorità ecclesiale potrebbe riconoscere domani di avere la autorità di estendere la ordinazione sacerdotale anche alla donna. Infatti il testo del 1994 è definitive tenendum, ma non in modo assoluto. Solo finché la Chiesa non riterrà di avere quella autorità che nel 1994 ha ritenuto di escludere. Mancando dei requisiti di “infallibilità”, il documento è solo relativamente irreformabile».

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Purtroppo, questo giocatore per niente abile, giocando pro domo sua con il fallibile e l’infallibile, non tiene conto del Vangelo e soprattutto della vita del Verbo di Dio Incarnato, proprio quella dinanzi alla quale, i Sommi Pontefici, hanno affermato che la Chiesa «non si riconosce l’autorità di ammettere le donne all’ordinazione sacerdotale». Semplice il motivo per il quale la Chiesa non si riconosce questa autorità, perchè chi vive una dimensione della fede cristocentica anziché politicocentrica, sa bene che Cristo, con le donne, non aveva problemi di alcun genere, come invece li avevano i giudei soggetti, ancor più che alla Legge Mosaica, alle cavillosità rabbiniche. Basti pensare al genere di scandalo più volte destato dal Cristo che permetteva alle donne di avvicinarlo e persino di toccarlo; in una società e dinanzi a una Legge che non consentiva neppure ai padri stessi, di toccare le proprie figlie, ma soprattutto viceversa, per non parlare dei criteri meticolosi di separazione tra uomini e donne, dei relativi riti di purità e via dicendo. Cose queste di cui, il Cristo, non si curava affatto. E allora perché mai, istituendo il Sacerdozio e l’Eucaristia, non scelse come Sacerdoti delle donne? E che genere di donne,  stavano vicine a Cristo Dio! A partire dalla Mater Dei, nata senza macchia di peccato originale. Perché scelse invece Giuda che lo tradì, Pietro che lo rinnegò tre volte, ed altri che, dinanzi alla mal parata, come narra il Vangelo della Passione: «Allora tutti i discepoli, abbandonatolo, fuggirono»? [cf. Mt 26,56]? Perché non scelse quella figura straordinaria di Maria Maddalena, che lo seguì fin sotto la croce e che giunse per prima il mattino al sepolcro? Probabilmente, il Verbo di Dio, non scelse le donne perché non era ancora un cristiano adulto, non c’era stata ancora la “riforma” del grande “riformatore” Lutero grazie al quale oggi possiamo assistere al grottesco carnevale delle “vescovesse” lesbiche che si pavoneggiano con mitria e pastorale; non c’era ancora stato il post-concilio dei teologi interpreti fautori del loro personale concilio egomenico, ma soprattutto non era stata sviluppata la ermeneutica della rottura e della discontinuità da parte della Scuola di Bologna di Dossetti & Alberigo. Adesso che però abbiamo avuto questo e molto altro, potremmo andare anche oltre, rispetto a certe “limitatezze” del … povero Cristo, per causa delle quali la Chiesa «non si riconosce l’autorità di ammettere le donne all’ordinazione sacerdotale». In fondo, basterebbe solo porsi al di sopra di Dio, ed agire di conseguenza come meglio riteniamo opportuno. Non è forse questa l’essenza della bestemmia contro lo Spirito Santo?

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Andrea Grillo è un eretico perché nel suo pensiero eterodosso e pseudo ecumenico ricorrono tutti i principali errori indicati nella dichiarazione Dominus Jesus dell’anno 2000, mentre nelle sue errate concezioni della sacra liturgia ricorre tutto ciò che è indicato come errore dalla istruzione Redemptionis Sacramentum, posto che egli stesso si è prestato a gravissimi abusi liturgici in varie chiese parrocchiali della Liguria, dove più volte ha tenuto le omelie al Vangelo al posto del Presbitero durante la celebrazione del Sacrificio Eucaristico, che è appunto “sacrificio”, attraverso il quale il pane e il vino si transustanziano nel Corpo e Sangue di Cristo, realmente presente in anima, corpo e divinità. L’Eucaristia non è una luterana transignificazione, né una protestantica transfinalizzazione, né una festosa cena alla maniera calvinista nella quale l’Eucaristia è intesa come mero simbolo svuotato di ogni sacralità. Perché per il Grillo Teologante qualsiasi termine è buono, specie se protestante, fuorché il termine di sacrificio vivo e santo. Senza infatti andare neppure a sfiorare le alte sfere della dogmatica sacramentaria, basterebbe limitarsi a ricordare ciò che insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica sulla Santissima Eucaristia:

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Nel SS. Sacramento dell’Eucaristia è contenuto veramente, realmente, sostanzialmente il Corpo e il Sangue di nostro Signore Gesù Cristo, con l’anima e la divinità e, quindi, il Cristo tutto intero. Tale presenza si dice “reale” non per esclusione, quasi che le altre non siano “reali”, ma per antonomasia, perché è sostanziale, e in forza di essa Cristo, Dio e uomo, tutto intero si fa presente [cf. CCC, n. 1374]

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Ma in fondo, chi sono io, per giudicare una celebrità come il Grillo teologante, lasciato libero da anni di avvelenare le menti con le proprie eresie in un Pontificio Ateneo, direttamente sotto le finestre della Congregazione per la dottrina della fede presieduta dal Cardinale Gerhard Ludwig Müller e della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei Sacramenti presieduta dal Cardinale Robert Sarah? Se infatti non ci pensano questi due Cardinali, vestiti di rosso non per coreografia, bensì qual simbolo di fedeltà e di obbedienza alla fede sino allo spargimento del loro stesso sangue, preposti come tali a dirigere questi due dicasteri strettamente competenti per le eresie moderniste spacciate dalla cattedra pontificia del Grillo Teologante, dovrei forse pensarci io? Purtroppo non ho la potestas per destituire dalle cattedre certi personaggi palesemente e orgogliosamente non cattolici. Fossi stato in carica al posto di certi Prefetti, lo avrei fatto da tempo, incurante delle ire e degli attacchi della potente cordata dei modernisti che da mezzo secolo a questa parte la fa da padrona all’interno della Chiesa.

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Questo per dire quanto io sia memore d’esser davvero poca cosa, dinanzi a questa realtà andata ormai ben oltre la stessa «Immaginazione al potere», perché neppure la più fervida fantasia avrebbe mai immaginato che un giorno, tutto ciò che fu condannato dal Santo Pontefice Pio X, riguardo il Modernismo qual madre di tutte le eresie, avrebbe spadroneggiato all’interno della Chiesa, al punto che oggi sono gli eretici, a punire ed estromettere i devoti alla dottrina e al sacro deposito della fede cattolica, a partire dalle più blasonate università e atenei pontifici, ed in specie quelli più antichi, nei quali non si insegna ai futuri teologi quanto perniciosi siano stati gli errori della eresia protestante, tutt’altro! Si chiama l’eresiarca Lutero «riformatore», si giunge persino a dire che grazie alla “riforma” protestante si è potuto avere, dopo quasi cinque secoli, il Concilio Vaticano II, che «ha accolto le istanze di Lutero» (!?) cosa vera solo parzialmente e come tale da analizzare e spiegare con molta cura, posto che alcune delle istanze nate da non poche legittime proteste di Lutero ― come già in passato ho scritto ―, non solo furono accolte in seguito dal Vaticano II, ma già prima, il Concilio di Trento, in diversi dei suoi canoni disciplinari, fece proprie diverse di queste sue legittime istanze. Diverso è invece attribuire a Lutero certe riforme del Vaticano II e, casomai ciò non bastasse, accogliere direttamente i protestanti in casa nostra come professori invitati nelle università ecclesiastiche dove si formano i nostri futuri teologi, gran parte dei quali presbiteri e religiosi, che una volta titolati in eresia mediante il suggello delle sante carte accademiche romane, saliranno poi sui pulpiti delle chiese per annunciare fieramente altrettante eresie, con aura da intellettuali sopraffini e scimmiottando in modo peggiorativo i loro cattivi maestri.

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Consapevole pertanto della mia pochezza, lascio che a rispondere alle eterodossie del Grillo teologante sia il Sommo Pontefice San Pio X, che riguardo la corte dei miracoli modernista posta dal capo eretico Elmar Salmann sulle cattedre del Pontificio Anteneo Sant’Anselmo, afferma con parole chiare e inequivocabili quanto sotto segue …

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dall’Isola di Patmos, 3 novembre 2016

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.stemma-pio-xDISCORSO DEL SOMMO PONTEFICE PIO X
RIVOLTO AI NUOVI CARDINALI *

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Città del Vaticano, 17 aprile 1907

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il Santo Pontefice Pio X, autore della solenne sconfessione dell’eresia modernista [Vedere Pascendi Domici Gregis, QUI]

Accogliamo colla più viva compiacenza i sentimenti di devozione e di amore figliale verso di Noi e di questa Sede Apostolica, che Ci avete significati in nome vostro e dei vostri dilettissimi confratelli per l’onore della Porpora a cui foste chiamati [1]. Ma se accettiamo i vostri ringraziamenti, dobbiamo pur dire, che le preclare virtù, di cui siete adorni, le opere di zelo, che avete compiute, e gli altri segnalati servigi, che in campi diversi avete resi alla Chiesa, vi rendevano pur degni di essere annoverati nell’albo del Nostro Sacro Senato.

E Ci allieta non solo la speranza, ma la certezza, che anche rivestiti della nuova dignità consacrerete sempre, come per il passato, l’ingegno e le forze per assistere il Romano Pontefice nel governo della Chiesa.

Se sempre i Romani Pontefici hanno avuto bisogno anche di aiuti esteriori per compiere la loro missione, questo bisogno si fa sentire più vivamente adesso per le gravissime condizioni del tempo in cui viviamo e pei continui assalti, ai quali è fatta segno la Chiesa per parte dei suoi nemici.

E qui non crediate, Venerabili Fratelli, che Noi vogliamo alludere ai fatti, per quanto dolorosi, di Francia, perché questi sono largamente compensati dalle più care consolazioni: dalla mirabile unione di quel Venerando Episcopato, dal generoso disinteresse del clero, e dalla pietosa fermezza dei cattolici disposti a qualunque sacrificio per la tutela della fede e per la gloria della loro patria; si avvera un’ altra volta che le persecuzioni non fanno che mettere in evidenza e additare all’ ammirazione universale le virtù dei perseguitati e tutto al più sono come i flutti del mare, che nella tempesta frangendosi negli scogli, li purificano, se fosse necessario, dal fango che li avesse insozzati.

E voi lo sapete, Venerabili Fratelli, che per questo non temeva la Chiesa, quando gli editti dei Cesari intimavano ai primi cristiani: o abbandonare il culto a Gesù Cristo o morire; perché il sangue dei martiri era semente di nuovi proseliti alla fede. Ma la guerra tormentosa, che la fa ripetere: Ecce in pace amaritudo mea amarissima, è quella che deriva dalla aberrazione delle menti, per la quale si misconoscono le sue dottrine e si ripete nel mondo il grido di rivolta, per cui furono cacciati i ribelli dal Cielo. E ribelli pur troppo sono quelli, che professano e diffondono sotto forme subdole gli errori mostruosi sulla evoluzione del dogma, sul ritorno al Vangelo puro, vale a dire sfrondato, com’ essi dicono, dalle spiegazioni della teologia, dalle definizioni dei Concilii, dalle massime dell’ascetica, — sulla emancipazione dalla Chiesa, però in modo nuovo senza ribellarsi per non esser tagliati fuori, ma nemmeno assoggettarsi per non mancare alle proprie convinzioni, e finalmente sull’ adattamento ai tempi in tutto, nel parlare, nello scrivere e nel predicare una carità senza fede, tenera assai pei miscredenti, che apre a tutti purtroppo la via all’eterna rovina.

Voi ben vedete, o Venerabili Fratelli, se Noi, che dobbiamo difendere con tutte le forze il deposito che Ci venne affidato, non abbiamo ragione di essere in angustie di fronte a quest’attacco, che non è un’eresia, ma il compendio e il veleno di tutte le eresie, che tende a scalzare i fondamenti della fede ed annientare il cristianesimo.

Sì, annientare il cristianesimo, perché la Sacra Scrittura per questi eretici moderni non è più la fonte sicura di tutte le verità che appartengono alla fede, ma un libro comune; l’ispirazione per loro si restringe alle dottrine dogmatiche, intese però a loro modo, e per poco non si differenzia dall’ ispirazione poetica di Eschilo e di Omero. Legittima interprete della Bibbia è la Chiesa, però soggetta alle regole della così detta scienza critica, che s’impone alla Teologia e la rende schiava. Per la tradizione finalmente tutto è relativo e soggetto a mutazioni, e quindi ridotta al niente l’autorità dei Santi Padri. E tutti questi e mille altri errori li propalano in opuscoli, in riviste, in libri ascetici e perfino in romanzi e li involgono in certi termini ambigui, in certe forme nebulose, onde avere sempre aperto uno scampo alla difesa per non incorrere in un’ aperta condanna e prendere però gli incauti ai loro lacci.

Noi pertanto contiamo assai anche sull’opera vostra, Venerabili Fratelli, perché qualora conosciate coi Vescovi Vostri suffraganei nelle vostre Regioni di questi seminatori di zizzania, vi uniate a Noi nel combattere, Ci informiate del pericolo a cui sono esposte le anime, denunciate i loro libri alle Sacre Congregazioni Romane e frattanto, usando delle facoltà che dai Sacri Canoni vi sono concesse, solennemente li condanniate, persuasi dell’obbligo altissimo che avete assunto di aiutare il Papa nel governo della Chiesa, di combattere l’ errore e di difendere la verità fino all’ effusione del sangue.

Del resto confidiamo nel Signore, o diletti figli, che ci darà nel tempo opportuno gli aiuti necessarii; e la benedizione Apostolica, che avete invocata, discenda copiosa su voi, sul clero e sul popolo delle vostre diocesi, sopra tutti i venerandi Vescovi e gli eletti figli, che decorarono con la loro presenza questa solenne cerimonia, sui vostri e sui loro parenti; e sia fonte per tutti e per ciascuno delle grazie più elette e delle più soavi consolazioni.

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Pius, PP X

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NOTE

[1] Card. Aristide Cavallari, Patriarca di Venezia.

 *  AAS, vol. XL (1907), pp. 259-262.

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QUEL DOMENICANO CHE ESALTA SCHILLEBEECKX

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Uno dei gravi difetti di Edward Schillebeeckx è che egli confonde concetto e linguaggio. I linguaggi variano, mutano e devono mutare; devono essere aggiornati e adattati all’ambiente; ma certe realtà di ragione o di fede, che essi esprimono, sono universali e immutabili, sono, per dirla con Benedetto XVI, valori “non negoziabili”, irrinunciabili. Quindi andiamo cauti prima di definire Schillebeeckx un “grande teologo”.

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Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli, OP

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Caro Padre Giovanni ,

vi seguo da sempre sull’Isola di Patmos e ricordo d’aver letto suoi giudizi critici sul teologo olandese domenicano Schillebeeckx, da lei accusato di modernismo, gnoseologia, ecc.. Giorni fa, mi sono imbattuta in una presentazione fatta sul sito ufficiale dell’Ordine Domenicano [Ndr. QUI], dove questo teologo da lei più volte criticato è presentato nella lista delle “grandi figure domenicane”. Sono un po’ confusa, potrei chiederle una spiegazione?

Francesca Papa

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Edward Schillebeeckx

nella foto: Edward Schillebeeckx – Caratteristica degli ecclesiastici e dei religiosi modernisti, è che rimangono agli annali loro foto ufficiali che li ritraggono di rigore in giacca e cravatta, con in mano un boccale di birra (Kark Rahner) o con una sigaretta (Edward Schillebeeckx), ma nessuno di loro si è fatto immortalare con il proprio abito ecclesiastico o religioso, meno che mai con il breviario o con la corona del rosario in mano …

Sul sito della Provincia domenicana di San Tommaso d’Aquino dell’Ordine dei Frati Predicatori è apparsa la presentazione della figura e dell’opera del domenicano Edward Schillebeeckx per la penna di Padre Gerardo Cioffari, OP [Vedere QUI].

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L’Autore ne fa grandi lodi, molte delle quali sono immeritate, perché io sin dal 1984 [1], insieme con altri critici e in consonanza con le censure, che Edward Schillebeeckx a suo tempo ha ricevuto dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, ho segnalato in molte occasioni e in alcune pubblicazioni [2], i suoi gravi errori, che trovano la loro radice nella sua gnoseologia storicista e relativista e che mettono la sua teologia in contrasto con la dottrina della fede.

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Il fatto che Schillebeeckx sia stato tra gli ispiratori del Catechismo olandese, messo così in rilievo da Gerardo Cioffari, non fa onore a Schillebeeckx, dato che il Catechismo conteneva errori contrari alla fede e così gravi lacune, che il Beato Paolo VI fu costretto a farlo correggere e completare da una commissione cardinalizia appositamente istituita. Il Catechismo Olandese senza le correzioni apportate da Roma, è la bandiera dell’attuale neo-modernismo filo-protestante e si spaccia falsamente per interpretazione del Concilio Vaticano II.

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Il vizio fondamentale della gnoseologia di Schillebeeckx sta in una radicale sfiducia nella ragione, sostituita da una “fede” esperienziale ed atematica, che ricorda molto l’impostazione di Lutero. Egli infatti crede che il concetto non coglie la realtà, quindi non può essere una rappresentazione oggettiva e fedele del reale, ma è l’espressione o interpretazione relativa al soggetto di una precedente “esperienza atematica” della realtà, sicché il concetto si limita ad indicare l’oggetto, senza identificarsi intenzionalmente con esso, ma lo rappresenta solo in forma convenzionale, linguistica o simbolica, così come, per esempio, un cartello stradale indica la direzione da seguire per giungere alla meta, ma non è ancora il luogo che occorre raggiungere.

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Da notare che l’ “esperienza atematica” non è l’esperienza dei sensi, ma è una intuizione intellettuale apriorica del reale concreto mista a senso, che Schillebeeckx desume dalla fenomenologia husserliana. Il sapere, quindi, per Schillebeeckx, non inizia con l’esperienza sensibile, come per Aristotele e San Tommaso, ma con questa esperienza o intuizione apriorica, che ricorda anche l’apriorismo cartesiano e kantiano.

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L’esperienza sensibile, per Schillebeeckx, non avviene prima della concettualizzazione, come nel tomismo, ma nell’orizzonte dell’esperienza atematica, che non esiste in San Tommaso, e che invece per Schillebeeckx è il punto di partenza del conoscere. Egli ammette che il concetto sia legato all’esperienza del senso, ma esso è formato solo dopo l’esperienza atematica, come interpretazione ed espressione “inadeguata” (nel senso che vedremo) di questa esperienza. Il tutto è accompagnato da una spiccata antipatia per l’astrazione intellettuale, di origine occamistica, che rende Schillebeeckx incapace, in nome di un’indiscreta concretezza e storicità, di cogliere e apprezzare il valore oggettivo e realista dell’astrazione dell’essenza universale dal particolare concreto, e quindi l’indipendenza dell’essere sovratemporale ed immutabile dal temporale e mutevole.

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Secondo il vecchio pregiudizio occamista, l’astrarre è inevitabile, ma esso toglie qualcosa o impoverisce il contenuto del conoscere, che sarebbe raggiunto solo dall’esperienza atematica, ed aggiunge un elemento soggettivo, che sarebbe la “interpretazione”, se si tratta di cogliere l’oggetto; o l’espressione concettuale nel linguaggio, se si tratta di comunicarlo agli altri.

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Per Schillebeeckx, noi, per mezzo del concetto non possiamo conoscere oggettivamente la realtà, ma solo “interpretarla” secondo categorie mutevoli e diversificate, compresi i dogmi. L’esperienza atematica coglierebbe il reale, ma è in se stessa, in quanto atematica, incomunicabile nel concetto e nel linguaggio. È presto detto che tutto ciò ovviamente è deleterio per la comprensione dei dogmi della fede, il cui contenuto è notoriamente immutabile ed eterno, essendo interpretazione infallibile della Parola di Dio. Per questo, meraviglia sommamente, per non dire che scandalizza, che lo Schillebeeckx sia stato proprio docente di teologia dogmatica. Del resto, casi simili nella storia del pensiero non sono nuovi. Basti pensare che Kant era docente di metafisica. Si direbbe che per Schillebeeckx l’enciclica Pascendi Dominici Gregis di San Pio X sia venuta per niente.

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Per comprendere la teoria di Schillebeckx sul concetto, non comprensore ma “indicatore”, possiamo fare un esempio. Se io vedo per la strada il cartello “Bologna”, conosco la direzione che devo mantenere per arrivare a Bologna, ma non posso dire ancora di essere a Bologna. Ma questa separazione dalla realtà si aggrava nella visione Schillbeecckxiana, per la quale il concetto indica la realtà, ma non la fa mai raggiungere.

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Così si spiega la dichiarazione di Schillebeeckx citata da Gerardo Cioffari: «L’espressione concettuale non è che l’imperfetta, inadeguata ed astratta esplicitazione dell’atto conoscitivo costituito da una intuizione implicita. Essa dipende sempre da una determinata esperienza terrena, da un dato momento storico e da una particolare cultura».

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Questa “intuizione implicita” è un’esperienza originaria pre-concettuale, globale ed ineffabile della realtà, che successivamente viene “interpretata” o espressa in concetti che tendono ad essa, ma non la raggiungono.

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La realtà, per Schillebeeckx, è una ed oggettiva; dà la verità, ma gli approcci concettuali sono molti e contingenti, così come sono molti i segnali stradali, che indicano Bologna nelle diverse direzioni. Di una sola realtà, quindi, non si dà un solo concetto, ma molti nel tempo e nello spazio. Da qui la mutabilità e relatività dei concetti dogmatici.

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Per esempio, uno è il mistero di Cristo. Ma un conto è la cristologia neotestamentaria, un conto quella calcedonese, un conto quella medioevale, un conto quella moderna. Confrontate tra di loro in assoluto, si contraddicono tra di loro. Esse invece risultano vere, se riferite ciascuna al proprio tempo. Veritas filia temporis. Il concetto ontologico di persona andava bene per i tempi di Calcedonia. Oggi bisogna usare quello esistenzialista. La bandiera si muove a seconda del vento.

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Osserviamo altresì che “espressione inadeguata” non è solo sinonimo di “imperfetta” — l’imperfezione è connaturale al concetto umano, soprattutto in teologia, nel senso che il concetto non comprende totalmente la cosa —, ma vuol dire che manca quell’ adaequatio intellectus et rei, che condiziona e costituisce la verità del conoscere. E manca appunto perché il concetto non raggiunge la realtà, non la fa propria, non la assimila, non la interiorizza, ma le resta fuori, impenetrabile, inconoscibile ed estranea, ci gira solo attorno, come nella gnoseologia kantiana.

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In tal modo il soggetto — “una determinata esperienza terrena, un dato momento storico, una particolare cultura” — entra, mediante l’ “interpretazione”, a costituire l’oggetto, per cui la verità non è più una semplice adaequatio all’oggetto, ma è relativa al soggetto. È il relativismo gnoseologico. Non posso conoscere la cosa com’è, ma come è per me.  L’oggetto non è in sé, ma è relativo a me. Non c’è più pura oggettività, ma il soggetto concorre a costituire o a formare l’oggetto, come in Kant.

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Osserva Gerardo Cioffari: «Non si tratta però di un’affermazione di agnosticismo, in quanto l’inadeguatezza del concetto non significa che non corrisponde ad alcunché di reale, bensì che non coglie adeguatamente il reale, ma lo indica, ne offre la direzione ed il senso. Il che vale specialmente per il discorso su Dio, del quale conosciamo, al dire di S. Tommaso, ciò che non è, e non ciò che è. Di conseguenza la rivelazione resta un mistero insondabile, e le definizioni dogmatiche hanno la funzione di orientarci verso il mistero della salvezza».

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Per evitare l’agnosticismo non basta che il concetto corrisponda a “qualcosa di reale”, se poi il concetto non lo raggiunge e non si sa cosa sia questo qualcosa.  Anche per Kant la cosa in sé esiste, ma il  guaio è che è inconoscibile. Occorre invece che la mente sappia qual è l’essenza della cosa. Se manca questo atto della mente, manca la stessa conoscenza, perchè conoscere vuol dire appunto sapere, di una cosa, che cosa è, vuol dire conoscerne l’essenza. La conoscenza è conoscenza di qualcosa.

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Riguardo poi alla conoscenza di Dio, bisogna ricordare la distinzione fatta dal Gaetano tra il cognoscere quidditatem, conoscere l’essenza in qualunque modo e il cognoscere quidditative, conoscere per modo di essenza o in forza dell’essenza.

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Quando San Tommaso dice che di Dio razionalmente sappiamo solo ciò che non è, piuttosto che ciò che è, si riferisce al conoscere quidditativamente, ossia conoscere Dio per essenza o nella sua essenza propria. E’ impossibile definire l’essenza di Dio o formare un concetto di Dio per genere e differenza, perchè Dio è purissimo Essere, al di sopra di tutti i generi e le specie. Conosciamo Dio quidditativamente solo nella fede e soprattutto nella visione beatifica. Ma ciò non vuol dire che sia del tutto impossibile formare un qualunque concetto di Dio o definirne la essenza — cognoscere quidditatem — in un modo qualunque, per quanto imperfetto ed analogico. Si utilizza, come ci suggerisce la stessa Sacra Scrittura [Es 3,14], la categoria dell’ente, che è al di sopra di tutti i generi,  e quindi meglio di ogni altra si presta per formare un concetto di Dio, come appunto fa San Tommaso con la sua famosa nozione dell’ipsum Esse per Se Subsistens.

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Il concetto, come già sapeva Hegel, non è altro che la cosa “nell’elemento del pensiero”; la cosa in quanto pensata, la cosa in anima, come diceva San Tommaso. Questo non vuol dire che non occorra distinguere il pensiero dall’essere, o la cosa dal concetto della cosa. Confondere questi due termini, con la pretesa di conoscere esaustivamente l’oggetto, come fece Hegel, sarebbe idealismo gnostico, più volte condannato da Papa Francesco [3]

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Gerardo Cioffari cita poi altre parole di Schillebeeckx: «Teologicamente mi sembra insostenibile e anche impossibile voler fissare una volta per sempre i concetti teologici ricorrendo ad una regolazione ecclesiastica del linguaggio. Perché ogni asserzione, anche dogmatica, significa qualcosa soltanto entro un contesto concreto. Se viene portata dentro un altro contesto, il significato di quanto era stato asserito viene inevitabilmente spostato».

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Un altro grave difetto dello Schillebeeckx è che egli confonde concetto e linguaggio. I linguaggi variano, mutano e devono mutare; devono essere aggiornati ed adattati all’ambiente; ma certe realtà di ragione o di fede, che essi esprimono, sono universali e immutabili, sono, per dirla con Benedetto XVI, valori  “non negoziabili”, irrinunciabili.

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È vero che una medesima cosa può essere espressa in modi diversi. Ma non bisogna prendere a pretesto il mutamento dell’espressione o del linguaggio, cose che possono essere utili o necessarie, per cambiare la cosa. Se si cambia il significato o il concetto di una cosa, la cosa non può più essere la stessa. E se un valore è immutabile, è sleale e ingannevole presentarlo come mutevole. Deve permanere il concetto di ciò che permane e mutare il concetto di ciò che muta. Il sapere, certo, deve progredire; ma se l’oggetto conosciuto è immutabile, non si tratta di cambiar concetto, ma di migliorarlo.

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Il linguaggio certamente non è fatto solo di termini verbali o segni linguistici. È troppo evidente che questi variano e mutano. Ma esistono anche modi espressivi di carattere concettuale, come per esempio i concetti metaforici, le immagini, i simboli, i miti, i paragoni, differenti da cultura a cultura, da tempo a tempo in una medesima cultura. È chiaro che anche questi elementi espressivi variano e devono cambiare, restando lo stesso il significato dell’oggetto.

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Stando così le cose, bisogna dire che il Magistero della Chiesa fissa una volta per sempre i concetti teologici, soprattutto dogmatici, non ricorrendo anzitutto “ad una regolazione ecclesiastica del linguaggio”, ma approfondendo il significato della Parola di Dio. Il Magistero non è l’Accademia della Crusca. Esso fissa per sempre tali concetti, soprattutto nelle solenni definizioni dogmatiche, semplicemente perchè le realtà o verità che sono oggetto di queste definizioni sono eterne e divine.

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Si tratta dell’interpretazione infallibile, sotto l’assistenza dello Spirito Santo, di quella Parola di Dio, che “non passa” (Mt 24,35) e che è “stabile come il cielo” [Sal 119,89]. Che poi il Magistero tenga anche alla proprietà del linguaggio, questo è vero; ma sempre e solo al fine di far comprendere al fedele il vero significato del dogma e quindi di quella Parola di Dio che il dogma interpreta.

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È quindi falso che «ogni asserzione, anche dogmatica, significa qualcosa soltanto entro un contesto concreto». Al contrario, essa significa qualcosa, ossia la verità di fede, entro qualunque contesto, anche se dev’essere mediata da un certo contesto, perché la verità di fede è una verità universale ed immutabile. Il significato delle verità di fede, quale che sia il contesto nel quale esso viene espresso, è sempre lo stesso, perché esso è al di sopra del tempo ed appartiene all’orizzonte dell’eterno e del divino, non è legato a nessun particolare contesto storico e vale per tutti. Verbum Domini manet in aeternum.

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Diverso discorso vale per il linguaggio, col quale la Chiesa esprime la verità dogmatica. Il suo linguaggio è e può effettivamente essere legato al variare dei contesti storici e dei sistemi linguistici. La formula dogmatica, però,  può variare nel suo aspetto linguistico e semantico, ma giammai nel concetto di fede che essa esprime.

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Altre dichiarazioni di Schillebeeckx riferite da Gerardo Cioffari: «Il Magistero stabilisce ogni volta nelle mutevoli circostanze temporali quale linguaggio è valido nella Chiesa; in altre parole esso regola l’uso del linguaggio ecclesiastico e stabilisce: Chi non parla così e così della fede, espone, almeno in questa situazione culturale con i suoi presupposti specifici, se non se stesso, certamente gli altri fedeli, al pericolo di alterare il senso inteso del messaggio evangelico riguardo alla realtà salvifica».

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Compito della Chiesa non è anzitutto stabilire delle parole o delle formule verbali, ma dei concetti, chiarire i concetti, i concetti di fede, sia pure espressi in parole adatte e comprensibili. Certamente la Chiesa ha la preoccupazione di esprimere il messaggio evangelico nella maniera più adatta, così da farsi comprendere dagli uomini del suo tempo. Ma ciò che le sta più a cuore è di farci sapere che cosa Cristo ci ha insegnato per la nostra salvezza. E per capire queste cose, occorre una gnoseologia che ammetta che l’intelletto coglie il reale mediante il concetto, altrimenti la conoscenza svanisce e noi perdiamo l’altissima dignità che Dio ci ha dato di essere stati creati a sua immagine e somiglianza. Quindi andiamo cauti prima di definire Schillebeeckx un “grande teologo”.

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Varazze, 3 novembre 2016

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NOTE

[1] Cf Il criterio della verità in Schillebeeckx, in Sacra Doctrina, 2, 1984, pp.188-205.

[2] Accenno a Schillebeeckx anche nel mio recente articolo “Decadenza e ripresa dell’Ordine Domenicano” [vedere testo QUI].

[3] Cf il mio saggio “La dipendenza dell’idea dalla realtà nell’ Evangelii Gaudium di Papa Francesco, in PATH, 2, 2014, pp.287-316.

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Nota

La Redazione aveva titolato questo articolo della rubrica dei Lettori pubblicato il 3 novembre alle ore 21: «Piccoli eretici crescono: dal Grillo teologante del Sant’Anaselmo al Domenicano burlone che esalta Schillebeeckx». Titoli e fotografie sono frutto del lavoro redazionale e non degli Autori, ho provveduto a cambiare il titolo dato comulativamente a  due scritti diversi pubblicati assieme. Infatti, la “accusa” di eresia e di modernismo che io ho reputato opportuno rivolgere alle posizioni del teologo sacramentario liturgico Andrea Grillo, nell’ambito di quelle che sono le ordinarie dispute teologiche, non si possono estendere al domenicano Gerardo Cioffari OP, per quanto riguarda lo scritto che segue e che tratta tutt’altro argomento. Ho provveduto così a titolare: «Dal Grillo teologante del Sant’Anaselmo al Domenicano che esalta Schillebeeckx»

Ariel S. Levi di Gualdo

4 novembre 2014 ore 20.30

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4 commenti
  1. Bregolin Adriano dice:

    Sono d’accordo con le valutazioni fatte sui docenti Grillo e Salman.
    E così con le osservazioni di Cavalcoli sullo stato della teologia nell’ Ordine Domenicano.
    Tuttavia osservo che è una battaglia che si deve affrontando studiando di più. Troppo la teologia è divenuta un protocollo ripetitivo.
    Non vedo però all’orizzonte menti nuove o nuove iniziative teologiche profonde e meritevoli di attenzione. Vedo in Francia un grande interesse per San Tommaso e nei Paesi anglosassoni è più studiato dai laici che dai religiosi. C’è qualcosa di nuovo per fortuna.

  2. Zamax dice:

    Quando Gesù diceva “le mie parole non passeranno” non si riferiva forse a quanto esse esprimevano, cioè ai “concetti” che esse esprimevano? E tali “concetti” non sono forse validi per sempre? Le parole sono mezzi potenti ma in se stesse sono solo “carne” se non vengono illuminate dallo spirito di verità. Peraltro nell’ascolto e nella lettura è sempre implicito uno sforzo ermeneutico, anche nella contemporaneità. Un’ermeneutica che si fermi allo studio e non attinga alla carità – cioè ad una volontà di capire – rimane infeconda. E quindi è il dogma stesso che illumina la formula che lo definisce, e fors’anche il contesto in cui è nata. Ma esso sopravvive ai contesti, anche senza eventuali “aggiornamenti” linguistici. Nulla toglie che possa essere rischiarato, e quindi riformulato, ma solo al fine di giungere ad una migliore percezione della stessa verità: è un veder meglio, non un veder qualcosa di diverso.

    Quanto poi alle “esperienze atematiche”, alle “intuizioni implicite” o “aprioriche”, io penso che contengano un grumo di verità e che potrebbero anche essere feconde, se non partissero implicitamente o esplicitamente da un falso presupposto: e cioè che l’uomo possa spogliarsi della propria sensibilità, della propria “carne”. L’uomo può anche cercare di chiudere tutte le porte al mondo esterno, come nelle “ascesi mistiche” di Plotino; può anche nascere cieco, sordo ed essere abbandonato in una landa deserta, ma egli rimane sempre prigioniero della propria sensibilità, e quindi in ultima analisi è sempre dall’esperienza sensibile che egli parte per conoscere il mondo, anche quando non avesse occhi per vedere e orecchi per sentire.

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