Autore Padre Ariel

Le vocazioni adulte al sacerdozio

— Lettere dei lettori dell’Isola di Patmos —

LE VOCAZIONI ADULTE AL SACERDOZIO

 

[…] nella mia vita sacerdotale ho sempre finito col fare tutto ciò che non avrei voluto fare, cosa di cui ringrazio Dio. Questo mi ha insegnato anche a diffidare, ed in modo veramente molto profondo, di tutte quelle persone e di tutti quei preti ai quali Cristo, sempre e di rigore, chiede solo ed esclusivamente quello che vogliono loro, alcuni dei quali hanno persino l’empia sfrontatezza di vantarsi affermando in pubblico: «Gesù mi ha detto … Gesù mi ha chiesto …». Per non parlare di certi laici, in particolare di certi carismatici e neocatecumenali, che hanno invece uno Spirito Santo a proprio personale servizio che dice e che suggerisce loro – spesso anche contro la dottrina e le discipline liturgiche e canoniche della Chiesa – ciò che vogliono sentirsi dire e suggerire.

 

 

Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

Caro Padre.

Sono un terziario domenicano, e se non sono indiscreto vorrei domandarle: come mai non è diventato sacerdote nell’Ordine dei frati predicatori? Se la domanda è invasiva e indiscreta cancelli il tutto e non mi risponda. Auguri vivissimi per l’Isola di Patmos.

Andrea di Bernardo

Caro Andrea.

domenicani novizio

Un novizio veste l’abito dell’Ordine dei Frati Predicatori presso la sede del noviziato nazionale delle provincie domenicane italiane in Napoli

Come di certo capirà non è questa la sede per fare la storia della mia vocazione, anche perché il discorso è complesso. Numerose persone, sacerdoti inclusi, mi hanno chiesto di scrivere un libro sulla storia della mia vocazione, ma per adesso ho sempre desistito. Forse un giorno nella vecchiaia lo farò, in fondo non esiste cosa più pubblica di una vocazione, considerando ch’essa porta di per sé a quando di più pubblico possa esistere: l’esercizio del sacro ministero sacerdotale.

Non ho scelto l’Ordine dei Frati Predicatori né altri Ordini perché le vocazioni adulte: o fanno scelte radicali entrando in ordini claustrali di stretta osservanza, tipo Trappisti o Certosini, o in uno di quei pochissimi monasteri benedettini che pur nella decadenza irreversibile che ha colpito questa benemerita famiglia mantengono un certo rigore. L’esperienza m’insegna che gli adulti entrano di solito negli ordini di vita contemplativa o nel clero secolare, perché difficilmente possono essere formati alla vita religiosa, salvo grazie speciali.

Premesso che il seminario – sapientemente istituito dal Concilio di Trento – non rientra nei dogmi della fede cattolica, il mio vescovo, come in passato hanno fatto molti altri vescovi nell’esercizio delle loro legittime potestà, stabilì per me, che avevo compiuto 40 anni, un più idoneo iter formativo: a Roma fui affidato ad una casa sacerdotale, vivendo nella quale feci da una parte la formazione teologica, dall’altra la formazione al sacerdozio sotto la guida dei formatori scelti dal vescovo. Fu un’esperienza molto preziosa, perché ho avuto modo di vivere a contatto con 30/35 sacerdoti in fascia d’età compresa tra i 32 ed i 45 anni provenienti da tutti i continenti del mondo, acquisendo anzitutto una visione universale della Chiesa Cattolica e non certo una visione limitata all’orto attorno al campanile del paesello, visto che uno dei principali drammi che devasta da sempre il clero secolare è appunto il provincialismo.

Ritengo di avere fatto la scelta giusta, o come mi disse un pio monaco trappista: «Tu sei fatto per i fuochi d’artificio, non per il silenzio del chiostro. In te è innato il senso della preghiera, della meditazione e della contemplazione, ma come sostegno ai fuochi d’artificio che dovrai sparare». Tesi confermata di recente da un mio confratello sacerdote, anch’esso vocaziona adulta al sacerdozio, già medico psichiatra e oggi monaco, che con vena simpatica mi scrisse: «Tu sei nato per fare il cacciatore, io sono nato per fare il veterinario». Battuta dinanzi alla quale, un mio giovane confratello sacerdote replicò: «Tu non ti limiti solo a sbranare, perché dopo averlo fatto ti metti a saltellare festoso attorno ai brandelli, felice di avere fatto un buon servizio alla Chiesa».

In quella casa sacerdotale internazionale  c’era assieme a me un altro italiano ordinato diacono e poi presbitero del clero secolare a pochi mesi di distanza da me, all’età di 43 anni, oggi sacerdote missionario in una zona indigena di Panama. Un giorno, parlando tra di noi, scoprimmo che entrambi avevamo pensato a una scelta radicale: “uscire dal mondo” e “rinchiuderci” in un monastero di trappisti, ma anche a lui, in modo diverso ma simile, era stato detto: «tu hai la missionarietà nel cuore».

La formazione di un religioso, dall’ingresso nel postulandato all’ordinazione sacerdotale non dovrebbe a mio parere durare – ed infatti una volta in certi Ordini storici non durava – meno di 10/12 anni. Quando nel post-concilio Vaticano II certe famiglie religiose ridussero la formazione a 5/6 anni, i risultati più deleteri nel tempo successivo si sono visti tutti quanti. Per esempio: alcuni anni fa, guidando un gruppo di famiglie ad Assisi, dovetti tradurre e spiegare cosa significava la scritta in latino sopra la Porziuncola, la quale altro non era che l’indicazione della indulgenza riservata a quanti, pentiti e confessati, avessero varcato quella soglia. Nella basilica c’erano infatti quattro apatici e grassi fratacchioni messicani che non erano stati in grado di rispondere a questa banale domanda a loro rivolta dalle persone, segno che … et invenit in templo vendentes oves et boves et columbas, et nummularios sedentes [«ed entrando nel Tempio (Gesù) trovò gente che vendeva buoi, pecore e colombe, e i cambiavalute seduti al banco». Gv. 22,42]; e sappiamo anche bene quanto il Signore Gesù si arrabbiò dinanzi a quella scena penosa [cf. Gv. 2,13-25].

Ciò che io rimprovero a certe famiglie religiose ed a certi ordini storici è questo: ieri, le migliori vocazioni, se le prendevano loro, perché da loro entravano persone particolarmente colte e dotate per gli studi; presso di loro trovavano il proprio nucleo naturale le migliori menti speculative. In molti Ordini storici entravano anche i figli delle famiglie aristocratiche o delle famiglie più ricche, tanto che la “fortuna” di talune congregazioni monastiche deriva anche da certe vocazioni attraverso le quali conventi e monasteri acquisirono poi cospicui patrimoni in eredità alla morte dei genitori di certi monaci e frati, grazie ai quali poterono aprire molte case in giro per il mondo. Basti pensare all’attività missionaria intensa e produttiva portata avanti dai Frati Domenicani a partire dal XVI secolo. E quanto diverse nel tempo sono risultate le zone evangelizzate dai Domenicani e quelle evangelizzate dai Gesuiti, considerando a posteriori che in quelle evangelizzate dai Gesuiti si è sviluppato appresso di tutto, dalla Teologia della Liberazione ai preti-guerriglieri, dal sincretismo alla teologia indigenista. Per carità, i Domenicani hanno visto crescere nel loro seno uno tra i peggiori eretici del post-concilio, Edward Schillebeeckx, non mi risulta però che lo abbiamo esaltato come il teologo dei teologi o come il nuovo Tommaso d’Aquino, come invece hanno fatto i Gesuiti a livello “istituzionale” con un soggetto ben più pericoloso: Karl Rahner.

Oggi, alcuni Ordini storici, si sono ridotti ad accogliere i soggetti che noi sbattiamo fuori dai seminari e quasi sempre per motivi morali gravissimi; ed è presto detto che ce ne vuole, per essere sbattuti fuori da un seminario di oggi! Ciò che a diverse di queste famiglie religiose – benedettini e cistercensi in testa – rimane, è l’antica “puzza sotto il naso”, salvo avere però molte loro abbazie piene di “signorine” e di “disturbati mentali ” a vario livello. Non dimentichiamo infatti che “li boni monaci benedettini ”, grazie alla “mirabile” opera degli ultimi due Arciabati di Montecassino, hanno portato al collasso la grande abbazia dell’Occidente, ormai totalmente decaduta e ridotta ad un pugno di vecchi monaci. Ciò che infatti non riuscirono a fare i bombardieri americani che la rasero al suolo sul finire della Seconda Guerra Mondiale sono riusciti a farlo nelle più infauste stagioni del post-concilio Dom Bernardo d’Onofrio, premiato con la successiva elezione ad Arcivescovo di Gaeta; e Dom Pietro Vittorelli, già suo segretario particolare e appresso suo successore, sul quale il pudore impone di stendere un velo pietoso.

Nulla però m’impedisce di essere vicino a certe spiritualità, lo prova il fatto che appena ordinato diacono prestai i miei primi servizi presso i Domenicani a Sant’Alessio all’Aventino; e quando cominciai a predicare, il mio stile di predicazione era tutto quanto ispirato all’arte omiletica dei vecchi domenicani che avevo conosciuto da adolescente e che avevano lasciato in me un segno indelebile fungendo da mio modello di predicazione. Come però disse quel trappista, forse ero nato veramente per i «fuochi d’artificio», perché nell’economia della salvezza, nella Chiesa c’è bisogno anche degli addetti ai giochi pirotecnici.

Nella mia vita sacerdotale ho sempre finito col fare tutto ciò che non avrei voluto fare, cosa di cui ringrazio Dio. Questo mi ha insegnato anche a diffidare, ed in modo veramente molto profondo, di tutte quelle persone e di tutti quei preti ai quali Cristo, sempre e di rigore, chiede solo ed esclusivamente quello che vogliono loro, alcuni dei quali hanno persino l’empia sfrontatezza di vantarsi affermando in pubblico: «Gesù mi ha detto … Gesù mi ha chiesto …». Per non parlare di certi laici, in particolare di certi carismatici e neocatecumenali, che hanno invece uno Spirito Santo a proprio personale servizio che dice e che suggerisce loro – spesso anche contro la dottrina e le discipline liturgiche e canoniche della Chiesa – ciò che vogliono sentirsi dire e suggerire.

Una vocazione è veramente autentica nella misura in cui sono applicati e vissuti due princìpi: il principio «Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà» [cf. Lc. 22, 42], ed il principio «Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me» [cf. II Gal. 20].

In assenza di questi due princìpi radicati nella persona consacrata col sacro ordine, che concorrono in modo determinante a imprimere il nostro carattere sacramentale indelebile, o siamo di fronte a una non-vocazione, o siamo dinanzi ad una vocazione fragile, o siamo di fronte ad uno di quei tanti soggetti che non per sua colpa, ma per grave responsabilità dei seminari e dei noviziati di oggi e dei pessimi formatori che spesso li popolano, non ha ricevuto una adeguata formazione. E chi non è stato formato in modo adeguato ma bensì infarcito di filosofismi, sociologismi e psicologismi, finisce sempre col mettere l’ “Io” avanti a “Dio“, tra confusioni e disordini del corpo e dell’anima.

Per quanto riguarda il resto, la mia vicinanza spirituale ai figli di San Domenico di Guzmàn penso sia palese, non solo perché lavoro assieme ad un insigne Domenicano, ma perché questo uomo di grande fede e sapienza rappresenta per me un modello di dottrina e di teologia a cui ispirarmi ed al quale attingere con sicurezza a piene mani; allo stesso modo nel quale attingo alla produzione di un altro grande Domenicano, Tomas Tyn, di benedetta memoria [1950 − †1990], morto in giovane età e dotato veramente di tutti quei germi che lo avrebbero portato negli anni successivi a divenire un autentico Tommaso d’Aquino del XX secolo.

3 commenti
  1. giovanni.25 dice:

    Reverendo Padre,
    se non sono indiscreto, posso chiederLe se ha considerato di postulare in qualche società di vita apostolica (redentoristi, barnabiti, oratoriani ecc.)? Se non lo ha fatto, applicherebbe ad esse le considerazioni che ha fatto per gli ordini religiosi?

    Grazie

  2. Padre Ariel
    maucant.21 dice:

    … il Padre Ariel dai monaci certosini? Figurarsi, le voci dei monaci si sarebbero sentite poco dopo anche fuori dalle mura della certosa.
    Il Padre Ariel dai trappisti? Li avrebbe trasformati in un plotone di truppe d’assalto.
    Ma c’è anche un’altra possibilità: il Padre Ariel si sarebbe veramente ritirato dal mondo, rinchiuso veramente nel silenzio, e infine sarebbe diventato santo.
    Io penso che tu stia bene dove sei e come sei, perché sicuramente è questa la tua via naturale verso la santità.
    Te lo dico per esperienza: a 30 anni io volevo entrare in una trappa della stretta osservanza, oggi ho 72 anni, sono tornato in Italia da 4 anni, piuttosto malandato, insonnia compresa, dopo avere fatto per 30 anni il missionario nel Congo.
    Con lo scambio di una preghiera reciproca.

    Don Mauro Cantini

    p.s. e sono pure un toscanaccio come te …

    • Padre Ariel
      Ariel S. Levi di Gualdo dice:

      Caro Confratello.

      Un quadro, il tuo, a dir poco realistico.
      Grazie.
      Riflettendo su tante storie e vicende che molti confratelli hanno portato alla mia attenzione in foro interno e in foro esterno, confermo quanto da te sapientemente espresso: io stesso ho conosciuto vocazioni di uomini che già si vedevano in giro per il mondo a fare i missionari, ma che sono poi finiti nei monasteri di vita contemplativa; ed ho conosciuto vocazioni di soggetti che desideravano entrare in monasteri di vita contemplativa che, come te, hanno fatto invece i missionari per decenni.
      Il mistero della vera vocazione è legato al quesito “che cosa vuole Cristo da me” e non “che cosa voglio io“.

      Ricambio le reciroche preghiere.

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