Le domande al Santo Padre su Amoris laetitia e il dramma delle sue “mani legate”, in una Chiesa governata da chi?

Padre Giovanni

Rispondono i Padri de L’Isola di Patmos

LE DOMANDE AL SANTO PADRE SU AMORIS LAETITIA  E  IL DRAMMA DELLE SUE “MANI LEGATE”, IN UNA CHIESA GOVERNATA DA CHI ?

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Sono sempre più autorevoli, attendibili e numerose le persone che, dopo essere riuscite a portare certi problemi direttamente all’attenzione del Santo Padre, si sono sentite da lui rispondere: « … ho le mani legate». La domanda è quindi di rigore: allora chi è che governa la Chiesa?

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Cari Padri,

vi seguo da tempo con assiduità e profitto, perché vedo nelle vostre posizioni quella via media che ha sempre caratterizzato la Chiesa Cattolica e che oggi sembra essere quasi sparita, sopraffatta dai due opposti estremi del tradizionalismo e del progressismo. Volevo chiedervi però un parere su questo passo di Amoris laetitia n. 303 […] Come va intesa bene questa parte di Amoris laetitia? Cioè, in che senso non si cade qui nella morale della situazione ? Da un po’ di tempo sono in crisi su questo punto, perché non ne riesco a venire a capo in modo convincente. Vi ringrazio e che Gesù e Maria vi benedicano e accompagnino sempre!

Don Carlo

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Autore
Giovanni Cavalcoli, O.P.

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L’Esortazione apostolica Amoris Laetitia recita al n. 303:

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«A partire dal riconoscimento del peso dei condizionamenti concreti, possiamo aggiungere che la coscienza delle persone dev’essere meglio coinvolta nella prassi della Chiesa in alcune situazioni che non realizzano oggettivamente la nostra concezione del matrimonio. Naturalmente bisogna incoraggiare la maturazione di una coscienza illuminata, formata e accompagnata dal discernimento responsabile e serio del Pastore, e proporre una sempre maggiore fiducia nella grazia. Ma questa coscienza può riconoscere non solo che una situazione non risponde obiettivamente alla proposta generale del Vangelo; può anche riconoscere con sincerità e onestà ciò che per il momento è la risposta generosa che si può offrire a Dio, e scoprire con una certa sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo. In ogni caso, ricordiamo che questo discernimento è dinamico e deve restare sempre aperto a nuove tappe di crescita e a nuove decisioni che permettano di realizzare l’ideale in modo più pieno».

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Le ripetute domande che molti lettori hanno rivolto, inclusi nostri Confratelli Sacerdoti, sono più o meno quelle che seguono: di quale situazione si tratta? Chiaramente si tratta della situazione nella quale la coppia si unisce sessualmente in modo illecito. E per questo la situazione non corrisponde obiettivamente alla proposta generale del Vangelo, il quale proibisce l’adulterio, sempre e in ogni caso. Tanto che molti, inclusi nostri Confratelli Sacerdoti, si domandano: non c’è forse il rischio di cadere nella “morale della situazione?”.

Ora, la coscienza di certe coppie in stato di irregolarità, può riconoscere “con sincerità e onestà che per il momento” questa situazione “è la risposta generosa che si può offrire a Dio, e scoprire con una certa sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo” ? Può esistere un caso nel quale Dio considera un’unione adulterina come “donazione che Egli sta richiedendo?” .

Inoltre: un’unione adulterina, si può considerare in certi casi una situazione che “non è ancora pienamente l’ideale oggettivo”, ossia una situazione in sé onesta ― anzi persino un “dono di Dio” ―, ma solo imperfetta, “che ha bisogno di maturare per raggiungere la situazione ideale?” . E qual sarebbe, in tal caso, questa “situazione ideale?”. Il matrimonio e la legittima unione che ne consegue?

Altri ancora si domandano: “allora un’unione adulterina, in certi casi, non è un’unione illecita, ma potrebbe essere semplicemente un’unione imperfetta, bisognosa di maturare per raggiungere l’ideale del matrimonio ?”. Ma allora il matrimonio, che è il vertice di un’unione fra uomo e donna, “può comportare, in certi casi, come stadio inferiore ed imperfetto, un’unione adulterina o non piuttosto l’unione adulterina in ogni caso è sempre illecita?” . L’unione adulterina, quindi illecita, non è forse sempre proibita dal Vangelo?

Nelle righe precedenti ho riportato tutta una serie di quesiti che molti si pongo e che altrettanti ci pongono sempre più di frequente. Per non parlare delle situazioni a fronte delle quali, non pochi nostri Confratelli Sacerdoti che esercitano il ministero di confessori, si dichiarano sempre più in stato di confusione, o peggio nella condizione di non poter dare adeguate risposte.

Detto questo mi domando: forse ci si poteva ― anzi forse ci si doveva ― esprimere in altro modo. Per esempio si sarebbe dovuto dire che la coppia, quando si trova in una situazione irregolare per ipotesi non eliminabile, moralmente molto pericolosa, dove la tentazione è pressoché irresistibile, si trova di per sé in una situazione nella quale facilmente, o quasi inevitabilmente, è indotta dalla spinta erotica a commettere il peccato di adulterio. Tuttavia, la misericordia divina non è assente anche in queste situazioni. Il peccato, benché oggettivamente comporti materia grave, può avere delle attenuanti  soggettive tali che, se i due perdono la grazia, la possono recuperare con un sincero pentimento, con opere di penitenza e chiedendo perdono a Dio che, in tal caso, restituisce la grazia perduta. Come infatti più volte i Padri de L’Isola di Patmos hanno espresso in ormai numerosi articoli di spiegazione e chiarimento sul tema, sin dalla fine del Sinodo della Famiglia [vedere i nostri articoli di archivio], è che nessuno può presumere, tanto meno stabilire, che una persona, o una coppia di persone, siano di per sé, sempre e in ogni caso, fuori della grazia di Dio in modo permanente. Dio solo, infatti, può leggere e soprattutto giudicare la profonda coscienza dell’uomo. Elemento questo che non deve certo portarci alla comoda de-responsabilizzazione, a rinunciare a chiamare il peccato per ciò che esso è, vale a dire peccato, meno che mai a mutare il peccato in bene. Se infatti, per grazia di Dio e con la grazia di Dio, anche dal peccato può nascere il bene, ciò non vuol dire che il peccato sia bene. Non è questo che s’intende quando, nella lode del Cero, sulle parole di un sermone di Sant’Agostino si canta nel Preconio Pasquale: « O felix culpa, quae talem ac tantum meruit habere Redemptorem » [O beata colpa, che ci fece meritare un tale e così grande Redentore].

È chiaro che queste considerazioni e queste norme, come in generale quelle dell’Amoris Laetitia, accennando alla questione della pratica dei Sacramenti [cf. nota n. 351] valgono solo per le coppie cattoliche, e non interferiscono affatto, ed in alcun modo, nell’autonomia della Legge civile dello Stato per quanto riguarda le cosiddette unioni civili di persone non interessate alla vita cristiana, spesso neppure appartenenti o legate alla Chiesa Cattolica.

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Varazze, 17 ottobre 2017

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Rev. Padri,

Stanotte, rigirandomi nel letto, m’è affiorato nella mente il passo di Matteo 5, 23-24 : «Se stai per presentare la tua offerta all’altare, e là ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa  contro di te, lascia là il tuo dono, davanti all’altare, e va’ prima a riconciliarti col tuo fratello. Poi torna a offrire il tuo dono» L’ho associato prima a me stesso naturalmente, facendo un esame di coscienza. ai miei comportamenti, alle mie azioni, all’impegno che devo dedicare per osservare faticosamente tale insegnamento, poi l’ho associato al Papa, alle sue mancate risposte ai dubia dei suoi fratelli cardinali, alle suppliche sottoscritte da vescovi, teologi, e fedeli. E così mi sono sorte alcune domande: Possibile che il Papa non conosca queste parole del Vangelo? e per quali ragioni dia l’impressione di non volerle osservare? Vanno forse interpretate diversamente, senza alcuna bi-direzionalità? Potete chiarirmi voi queste mie perplessità?

Ettore, Milano

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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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«Se stai per presentare la tua offerta all’altare, e là ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia là il tuo dono, davanti all’altare, e va’ prima a riconciliarti col tuo fratello. Poi torna a offrire il tuo dono» [Mt 5, 23-24]. Questa frase tratta dal Vangelo del Beato Evangelista Matteo, è usata come monito nel Rito Ambrosiano. Infatti, durante la Santa Messa, prima dei riti di offertorio, il celebrante rivolge questo monito all’assemblea per invitarla allo scambio del segno di pace.

Dopo la riforma liturgica, nel Messale Romano del Beato Paolo VI fu inserito lo “scambio della pace”. Da anni vado ripetendo che la sua collocazione, a mio modesto parere, è stata a dir poco infelice. Infatti, sul Santo Vangelo, non sta scritto che lo riconosceremo dallo scambio del segno di pace, ma sta scritto che i discepoli, in cammino lungo la Via di Emmaus, lo riconobbero dallo spezzare del pane [cf. Lc 24, 13-35].

Nel Rito Romano lo scambio del segno di pace avviene spesso tra musiche inopportune, battimani, bonghi ritmati e canti sinagogali fuori luogo al grido di «shalom, shalom!», ed è collocato in un contesto liturgico molto particolare: la fractio panis. E così, mentre il sacerdote che agisce in Persona Christi e che come alter Christus fraziona quel sacro pane nel quale il Signore Gesù è presente in anima, corpo e divinità, capita spesso che i membri dell’assemblea, formata perlopiù da persone rumorose impegnate in altro, si muovano a destra e a manca per elargire strette di mano e via dicendo a seguire. E certe brutte abitudini sono ormai così radicate che da tempo, gran parte dei Sacerdoti, hanno gettata la spugna e fanno finta di niente, come se assieme al munus santificandi non avessero anche quel munus docendi che gli impone di insegnare e di istruire il Popolo di Dio, che deve riconoscere Cristo dallo spezzare del pane, non da danzanti scambi di segni di pace. E non parliamo poi dei preti superstar, che giunti allo scambio del segno di pace, per meglio male educare il Popolo di Dio, lasciano incustodito il Corpo e il Sangue di Cristo sopra la mensa eucaristica per scendere tra l’assemblea a dare strette di mano, abbracci e pacche sulle spalle a tutti.

Usando un’espressione iperbolica, un nostro Lettore si domanda se il Sommo Pontefice conosca quelle parole del Beato Apostolo Matteo che abbiamo riportate all’inizio. Così, facendo anch’io uso di altrettanta iperbole, da prendere ovviamente come tale e non certo come ironica mancanza di rispetto, potrei aggiungere: chissà se conosce quelle parole che dicono:

«Simone, Simone, ecco Satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli» Lc 22, 31-32].

Perché è proprio questo che noi stiamo aspettando: che si ravveda, per poi confermare i fratelli nella fede [cf. nostri precedenti articoli QUI, QUI]. Ma, per confermare, occorre anzitutto essere chiari; e se chiarezza non c’è, in tal caso va fatta, perché altrimenti non si conferma nessuno, si rischia di confondere.

Capisco che per molti devoti cattolici non è cosa facile ― e neppure per noi sacerdoti, spesso lo è ―, ma dobbiamo in tal senso metterci l’animo in pace, perché ormai abbiamo prova, riprova e controprova che il Romano Pontefice non governa la Chiesa. Le scelte infelici si moltiplicano giorno dietro giorno assieme a nomine disastrose nelle diocesi e presso i dicasteri della Santa Sede stessa, in un inquietante brulicare di persone improponibili, spesso gravate di seri problemi morali e dottrinali.

Nella stessa Diocesi di Roma, a breve rimpiangeranno con le lacrime agli occhi il precedente Vicario Generale di Sua Santità, Cardinale Agostino Vallini, visto il modo in cui il suo successore ha sistemato in parrocchie storiche di rilievo anche non pochi preti che sarebbe un eufemismo definire problematici e disturbati, compreso quello che in una grande basilica romana foraggiava un giro di giovani marchettari romeni, dei quali conservava intere collezioni di servizi fotografici dei loro nudi mentre facevano la doccia nella domus presbiterorum. Cosa risaputa, per intendersi, da tutto il Vicariato, sin dall’epoca in cui era Vicario il Cardinale Camillo Ruini e Segretario generale dello stesso Vicariato l’attuale Vescovo di Tivoli, Mauro Parmeggiani. Così come era noto a tutti che quella basilica era stata soprannominata la basilica bancomat, presso la quale i giovani gay entravano a fare rifornimento, uscendone poi fuori con duecento o trecento euro in tasca. Pur malgrado oggi, grazie alla lungimiranza del Vicario Angelo De Donatis, costui è stato sistemato in una monumentale parrocchia del centro, dalla quale dipendono sette rettorie storiche, con probabile incremento di marchettari e di servizi di nudi fotografici sotto la doccia, perché l’esperienza dovrebbe insegnare alla Chiesa che certi problemi non si risolvono spostando i disturbati da una grande parrocchia all’altra, ma curandoli ― se accettano di essere curati ― e soprattutto mettendoli in condizione di non poter nuocere più. Se però avviene che un buon presbìtero romano sia sbattuto come suol dirsi in culo al mondo in una parrocchia sperduta sul grande raccordo anulare di Roma, ed un disturbato del genere abbia invece una simile sistemazione, ciò può avvenire solo perché i disturbati ― che oggi gestiscono molte diocesi, inclusa a quanto pare anche quella di Sua Santità ―, sono protetti e portati avanti da soggetti disturbati tanto e quanto loro, come forse lo è lo stesso Vicario Generale di Sua Santità per la Diocesi di Roma, a ben valutare certe pericolose scelte dinanzi alle quali tutto potrà dire, al presente e nel futuro, meno che la fatidica frase: «Ah, ma io, non ne sapevo niente!». In tal caso allora s’informi, perché su questo soggetto ad alto rischio, c’è sempre agli atti una mia relazione corredata di prove e di testimoni consegnata a mano nel 2011 dal mio Ordinario Diocesano dell’epoca all’allora Prefetto della Congregazione per il Clero, Cardinale Mauro Piacenza. La stessa relazione fu da me personalmente consegnata al Nunzio Apostolico uscente in Italia, Cardinale Giuseppe Bertello, oggi Governatore della Città del Vaticano, che la trasmise sollecitamente alla Segreteria di Stato di Sua Santità, la quale a sua volta la trasmise al Vicario Generale per la Diocesi di Roma, Cardinale Agostino Vallini.

E se io mento, o se dicessi anche la verità, ma la dicessi in modo parziale ed alterando i dati di fatto oggettivi, o peggio ancòra usassi la verità per chissà quali sporchi scopi nascosti, sarebbe quantomeno opportuno che fossi prima smentito, poi sottoposto a tutti i dovuti procedimenti canonici, specie avendo affermato, dinanzi ad un uditorio di decine di migliaia di lettori, che un Vicario di Sua Santità per la Diocesi di Roma che sistema in simili posti di rilievo dei disturbati così conclamati, lungi dal poter dire oggi o domani «non ne sapevo niente», non può che essere, a sua volta, una persona altrettanto disturbata. Oppure si tratta di un soggetto sottoposto a ricatti che come tale deve di necessità sistemare gli elementi peggiori nei luoghi migliori, se vuole avere quieta vita con i membri di quella pretaglia che per una fascetta da monsignore venderebbero la loro stessa madre al mercato di Campo dei Fiori, per non dire di peggio …

Quando in privato alcuni hanno chiesto qualche cosa al Santo Padre, o semplicemente sono corsi da lui per supplicarlo di annullare la scelta di quel vescovo appena selezionato da qualche cosca mafiosa ecclesiastica, prima che lo nomina fosse ufficializzata, trattandosi di un soggetto che dava grossi problemi sin da quand’era seminarista, tanto che sarebbe stato opportuno non solo, non farlo vescovo, ma non farlo proprio prete a suo tempo, lui, più volte, ha risposto a varie persone: «Non posso fare niente, ho le mani legate». Altrettanto è accaduto quando qualcuno, riuscendo a parlare personalmente col Santo Padre, ha fatto presenti alcune gravi violazioni ed altrettante gravi ingiustizie: «Vedrò cosa posso fare», ed ha concluso «… non so se riuscirò a fare qualche cosa, perché con certe persone ho le mani legate».

Sono sempre più autorevoli, attendibili e numerose le persone che, dopo essere riuscite a portare certi problemi direttamente all’attenzione del Santo Padre, si sono sentite da lui rispondere: « … ho le mani legate».

Inizialmente pensavamo che dietro a certi dire o non dire del Santo Padre, dinanzi a certe sue fughe da risposte che comportavano un semplice “si” o un semplice “no”, vi fosse un suo elemento caratteriale, tipico di certe culture dell’America Latina, nelle quali le cose non vengono mai dette in modo diretto, ma con uso di sottintesi, a volte con ambiguità. Invece abbiamo ormai appurato che ci sono situazioni molto più complesse, delle quali lui per primo è vittima; e sicuramente, dentro sé stesso, solo Dio può sapere quanto ne soffra, sperimentando lui per primo, come tutti noi che amiamo la Chiesa, un senso di profonda impotenza.

Il Santo Padre sorride, a volte fa anche il piacione più o meno opportuno, altre volte sembra persino che sia un autoritario, ed invece non lo è, perché se c’è una cosa che qualsiasi autoritario sa fare benissimo, è quella di dire “si” o “no”, oppure “si può fare” o “non si può fare”. E dopo che l’autoritario ha fatta la sua affermazione, è molto bene non contraddirlo.

Io propendo a credere che il Santo Padre sarebbe capace a dire “si” o “no”, ma non può farlo, perché per avere libertà di movimento non basta vivere nella suite di un albergo anziché nell’appartamento pontificio, per accedere al quale c’era il filtro ― tutto sommato anche molto utile ― della Segreteria di Stato. Di conseguenza, se posto dinanzi a dei quesiti molto precisi, il Santo Padre si dilegua e, di fatto, ai figli devoti che lo supplicano, non risponde. È presto detto: se non può dire “si” o “no”, il motivo è in parte semplice, in parte doloroso: non è lui a governare la Chiesa. O nell’ipotesi migliore: non ha il controllo del governo. A governare la Chiesa, oggi sono cordate di persone più o meno note; e dico più o meno note perché i governatori veri, quelli che non si conoscono perché celati dietro le quinte, sono i veri responsabili dell’attuale disastro. Qualche esempio concreto in tal senso? Presto detto: siamo giunti all’apoteosi della fantascienza con le Poste dello Stato della Città del Vaticano che dedicano un francobollo commemorativo a Martin Lutero [cf. Vittorio Messori, QUI], mentre in più articoli, l’organo ufficiale della Santa Sede, L’Osservatore Romano, ha persino conferito titolo di “riforma” e “riformatore” a questo tragico e doloroso scisma col quale questo eresiarca ha lacerata la Chiesa. Siamo giunti alle cosiddette inter-comunioni con i protestanti, o peggio alle concelebrazioni ecumeniche della Santa Messa con persone che non hanno la successione apostolica, non riconoscono il Sacramento dell’Ordine e la Presenza Reale di Cristo nell’Eucaristia. Siamo giunti ai pastori valdesi invitati a tenere l’omelia nelle nostre chiese durante l’azione liturgica, perché averli invitati in precedenza a tenere corsi presso le nostre disastrate università ecclesiastiche non era abbastanza sufficiente, perché ciò che il Demonio voleva e doveva colpire era il cuore del Sacrificio Eucaristico della Santa Messa. E via dicendo a seguire, grazie a un esercito incontrollato e ormai incontrollabile di preti esibizionisti e narcisisti, composto da soggetti che variano da coloro che sostengono la teoria del gender a quelli che benedicono due promesse spose lesbiche all’altare, ed avanti a seguire …

A questo punto si potrebbe incenerire il Codice di Diritto Canonico come libro del tutto inutile, posto che su di esso, tra i vari delicta graviora ― che ricordiamo comportano ipso facto la scomunica e implicano al tempo stesso la commissione di un peccato la cui assoluzione è riservata alla Santa Sede ― seguita ad essere chiaramente indicato:

«I delitti più gravi contro la santità dell’augustissimo Sacrificio e sacramento dell’Eucaristia riservati al giudizio della Congregazione per la Dottrina della Fede sono: […] 4° la concelebrazione del Sacrificio eucaristico vietata dal can. 908 del Codice di Diritto Canonico e dal can. 702 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, di cui  di cui al can. 1365 del Codice di Diritto Canonico e al can. 1440 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, insieme ai ministri delle comunità ecclesiali che non hanno la successione apostolica e non riconoscono la dignità sacramentale dell’ordinazione sacerdotale» [vedere testi, QUI].

E oggi, dinanzi a certi scempi eucaristici fatti in nome di una non meglio precisata, esotica e soprattutto arbitraria idea sbagliata di ecumenismo, se qualcuno osa ricordare che esiste ed è sempre in vigore una Legge ecclesiastica che certi delitti li relega nella fattispecie dei delicta graviora, c’è da essere tacciati di legalismo e di fariseismo, o persino di idolatria della dura e arida legge, con l’immancabile prete empio che, sotto lo sguardo impotente del suo vescovo inetto e per questo più empio ancòra di lui, replica: «Macché Diritto Canonico, roba da legalismo tridentino! Quello che oggi conta è il dialogo, la pace, l’amore …». E nessuno di questi soggetti ha purtroppo un vescovo che, prima, se li mette a sedere dinanzi e gli chiede: «Adesso tu mi spieghi che cosa sono secondo te dialogo, pace e amore», poi lo tonifica nell’anima e nel corpo con una bella sospensione a divinis per uno o due anni, inviandolo in un adeguato centro di spiritualità con l’obbligo di studiare bene i fondamenti della Dottrina Cattolica, senza più facoltà di celebrare la Santa Messa in pubblico, di predicare e di amministrare le confessioni, fino a quando non avrà dimostrato di averla imparata e di conoscerla bene, la Dottrina Cattolica.

Signori, non è che « Something is rotten in the state of Denmark » [“c’è del marcio in Danimarca”], come diceva Amleto, perché nella Santa Chiesa di Cristo, dal marcio, siamo ormai passati all’anarchia. Nella Chiesa è scoppiata l’anarchia, ed oggi, questa anarchia, è incontrollabile e ingestibile, ma soprattutto auto-distruttiva. Pertanto, a onore del vero, a varie persone molto critiche nei riguardi del Sommo Pontefice Francesco I, da un po’ di tempo a questa parte sono solito rispondere dicendo che in un momento di decadenza avanzata e di profonda crisi ecclesiale ed ecclesiastica come quello che stiamo vivendo oggi, neppure i Santi Pontefici Gregorio Magno e Leone Magno riuscirebbero a gestire un simile caos.

La Chiesa visibile è un corpo malato in stato terminale, dinanzi al quale nessuno può pretendere che il Santo Padre guarisca le metastasi diffuse che si trovano nello stato degenerativo finale; e dicendo questo, come al solito sono buono e ottimista, perché forse, allo stato attuale, più che di metastasi in stato degenerativo finale, si dovrebbe parlare di quanto impossibile sia rianimare un cadavere disteso sul lettino dell’obitorio.

La speranza, come spesso ho scritto e ripetuto, rimane quindi quella virtù teologale che sta nel mezzo e che a suo modo unisce tra di loro la fede e la carità. È pertanto con autentica speranza che noi speriamo e crediamo che, «una volta ravveduto», il Sommo Pontefice confermerà i fratelli nella fede, memore delle parole dette da Cristo Signore a Pietro, il suo primo Sommo Predecessore :

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«Simone, Simone, ecco Satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede».

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Se però ci pensiamo bene, anche in questo caso era tutto scritto, ed al tempo stesso confermato con parole inequivocabili indirizzate dal Beato Apostolo Paolo al discepolo Timoteo:

« Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno: annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina. Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole. Tu però vigila attentamente, sappi sopportare le sofferenze, compi la tua opera di annunziatore del vangelo, adempi il tuo ministero » [II Tm 4, 1-5].

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Si, tutto era stato già scritto, ma giunti a questo punto, al cadavere agonizzante di questa Chiesa visibile non resta ormai che morire, perché la Chiesa che sopravvivrà sino al ritorno di Cristo alla fine dei tempi, non è certo la Chiesa visibile dei modernisti o dei lefebvriani, meno che mai la Chiesa della ormai potentissima lobby clerical gay al potere, con tutti i suoi affiliati ed i suoi potenti protettori gay friendly. Colei che sopravvivrà è la Chiesa Corpo Mistico di Cristo, quella di cui Lui è capo e noi membra vive [cf. Col 1, 18]. Quella, è la Chiesa che mai morirà e che si ricongiungerà al Divino Sposo nella Gerusalemme Celeste alla fine dei tempi nella perfetta comunione dei Santi. O forse qualcuno pensava per davvero che la Chiesa eterna che convolerà a nozze con l’Agnello Vittorioso, era il teatrino di questi quattro squallidi clericali spesso in bilico tra degli eretici e dei pervertiti?

Suvvia! Noi non siamo mica sull’Isola di Patmos per vacanza, o perché era un nome stravagante che colpiva. A Patmos ci soggiorniamo sulle orme dell’Autore dell’Apocalisse, il grande esiliato Giovanni, ed assieme all’Apostolo viviamo nel luogo dell’ultima rivelazione, proiettati verso l’ ἔσχατον, le cose ultime, seppure circondati da uomini di Chiesa che affogano nel presente del tutto e subito, ubriachi di quello gnostico e godereccio «di doman non c’è certezza» che aprì le porte prima all’Illuminismo anti-cristico col pretesto politico dell’anticlericalismo, poi al modernismo, ed infine ― storia dei nostri giorni ― a quell’ateismo clericale per il quale tutto è lecito, al di là del bene e del male, inclusa la profanazione dei nostri corpi consacrati nel Sacro Ordine Sacerdotale.

Credo nella risurrezione dei morti e nella vita del mondo che verrà.

Amen!

da L’Isola di Patmos, 17 ottobre 2017 

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6 commenti
  1. orenzo
    orenzo dice:

    Reverendi Padri, chiedendoVi scusa se mi permetto di abusare della Vostra comprensione, Vi invio questo mie sfogo con un nodo in gola.
    Su “la Nuova Bussola Quotidiana” di oggi è stata pubblicata, su Sua espressa richiesta, una lettera di Papa Francesco che intende smentire l’interpretazione del cardinale Sarah sul Motu Proprio riguardo le traduzioni nella liturgia:
    http://lanuovabq.it/storage/docs/lettera-papa.pdf
    Certamente non mi compete il confronto al riguardo della corretta interpretazione da dare ai termini “recognitio” e “confirmatio”, ma voglio solo far rilevare due cose:
    1 – La sciatteria di una lettera a firma “Francesco” inviata al destinatario, ovviamente da qualche segretario, nonostante la prima pagina sia stampata obliquamente.
    2 – Leggendo poi nella conclusione di detta lettera che “… constatando che la nota “Commentaire” è stata pubblicata su alcuni siti web, ed erroneamente attribuita alla sua persona, Le chiedo cortesemente di provvedere…”, preso atto che la firma in calce al “Commentarie” è proprio del Card. R. Sarah, mi sembra di trovarmi di fronte ad una esplicita richiesta di pubblica ammenda e mi sale alla bocca un vago sapore di “purga staliniana”.

  2. orenzo
    orenzo dice:

    Reverendi Padri, chiedendoVi scusa se mi permetto di abusare della Vostra comprensione, Vi invio questo mie sfogo con un nodo in gola.

    Su “la Nuova Bussola Quotidiana” di oggi è stata pubblicata, su Sua espressa richiesta, una lettera di Papa Francesco che intende smentire l’interpretazione del cardinale Sarah sul Motu Proprio riguardo le traduzioni nella liturgia:
    http://lanuovabq.it/storage/docs/lettera-papa.pdf

    Certamente non mi compete il confronto al riguardo della corretta interpretazione da dare ai termini “recognitio” e “confirmatio”, ma voglio solo far rilevare due cose:
    1 – La sciatteria di una lettera a firma “Francesco” inviata al destinatario, ovviamente da qualche segretario, nonostante la prima pagina sia stampata obliquamente.
    2 – Leggendo poi nella conclusione di detta lettera che “… constatando che la nota “Commentaire” è stata pubblicata su alcuni siti web, ed erroneamente attribuita alla sua persona, Le chiedo cortesemente di provvedere…”, preso atto che la firma in calce al “Commentarie” è proprio del Card. R. Sarah, mi sembra di trovarmi di fronte ad una esplicita richiesta di pubblica ammenda e mi sale alla bocca un vago sapore di…

  3. orenzo
    orenzo dice:

    Reverendi Padri, monsignor Nunzio Galantino, intervenendo alla Pontificia Università Lateranense ad un Convegno promosso dall’ateneo del Papa per celebrare l’anniversario della riforma, ha affermato: «La Riforma avviata da Martin Lutero 500 anni fa è stata un evento dello Spirito Santo».
    Sbaglio ad essere perplesso?

  4. Beppe1944 dice:

    dunque, fatemi pensare: hanno legato le mani a chi dovrebbe legare in terra ciò che dovrebbe essere legato anche nei cieli; ma non solo: egli ha le mani legate anche per sciogliere in terra ciò che dovrebbe essere sciolto anche in cielo… una situazione – diciamolo! – molto ingarbugliata per un cattolico!

    • Padre Ariel
      Redazione de L'Isola di Patmos dice:

      Caro Beppe,

      ha dato una bella risposta un confratello sacerdote dei Padri de L’Isola di Patmos, il barnabita Padre Giovanni Scalese, insigne teologo e acuto pubblicista teologo, di cui può trovare il blog nella nostra pagina “siti amici”.
      Il pezzo che può aiutarla a comprendere è quello riportato qua sotto:

      http://querculanus.blogspot.it/2017/10/io-ho-le-chiavi.html#more

  5. piertoussaint dice:

    Caro Padre Ariel, 

    se è vero che il Papa ha detto « … ho le mani legate» a coloro che gli hanno chiesto di intervenire su problemi urgenti per la Chiesa, viene subito a mente Matteo 16,18-19:

    «E anch’io ti dico: tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia chiesa, e le porte dell’Ades non la potranno vincere. Io ti darò le chiavi del regno dei cieli; tutto ciò che legherai in terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai in terra sarà sciolto nei cieli».

    Se il Papa rinuncia esplicitamente al potere che gli è stato conferito da Cristo stesso, per esercitare il suo ministero, che ci sta a fare?….

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