La scomunica come rimedio all’eresia

Padre Giovanni

— attualità ecclesiale —

LA SCOMUNICA COME RIMEDIO ALL’ERESIA  

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L’appartenere o non appartenere alla Chiesa, il restare o uscire dalla Chiesa non sono cose così semplici. Certo, possono esistere forme di separazione netta e totale, come la perdita della fede con l’apostasia. Ma solitamente esistono diversi gradi di separazione e quindi di scomunica. Bisogna anche vedere che idea uno si fa della Chiesa e dell’appartenenza alla Chiesa o della comunione ecclesiale. Uno può essere convinto di appartenere pienamente alla Chiesa e invece vi appartiene solo parzialmente, come per esempio i protestanti o i modernisti.

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Autore
Giovanni Cavalcoli, O.P.

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foto Alinari 1950 – i Frati Domenicani, durante la Festa della Fiorita a Firenze, depongono un omaggio sul luogo dove fu impiccato e bruciato Girolamo Savonarola

San Paolo Apostolo ammonisce: «Se qualcuno vi predica un Vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anatema!» [Gal 1,9].

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In ogni comunità il presidente ha il potere e il dovere di proteggere con opportuni interventi correttivi o coercitivi la comunità da membri che le recano disturbo o ne mettono in pericolo il buon ordine e la pace. Questo principio di giustizia vale anche per la Chiesa, come recita il Codice di Diritto Canonico: «La Chiesa ha il diritto nativo e proprio di costringere con sanzioni penali i fedeli che hanno commesso delitti» [can. 1311].

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Sin dai primissimi tempi della Chiesa gli apostoli, riprendendo la tradizione della sinagoga, che espelleva gli indisciplinati, i facinorosi e gli apostati, esercitarono il potere giudiziario contro i delitti gravi, come testimonia l’episodio di Anania e Saffìra [cf. At 5, 1-11]. Così San Paolo espelle dalla comunità l’incestuoso [cf. I Cor 5,8]. Per condannare gli erranti, egli usa un termine greco: anàthema, corrispondente all’ebraico chèrem, che significa “maledetto” e quindi “scomunicato”. Così egli avverte: «Se qualcuno non ama il Signore, sia anàthema!» [I Cor 16,22]. E: «Se qualcuno vi predica un Vangelo diverso, sia anàthema» [Gal 1.8]. Gesù stesso più volte lancia maledizioni. E infatti, sin dai primi secoli i Concili dichiarano anàthema, ossia scomunicati coloro che sostengono gli errori condannati.

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San Tommaso d’Aquino spiega l’origine del concetto di anàthema e quindi di scomunica. Dice l’Aquinate: « anàthema è voce greca composta di anà, che significa ‘sopra’ e thesis, che significa ‘posizione’, così da chiamare ‘anàtema’ ‘ciò-che-è-posto-in-alto’, perché quando veniva catturato come preda qualcosa che non si voleva mettere in uso degli uomini, lo si sospendeva nel tempio, sicché è invalsa fino ad oggi l’abitudine che quelle cose che sono separate dall’uso comune degli uomini, venivano chiamate “anàtemi”, come vediamo nel Libro della Genesi: «Sia questa città anàtema [1] e sia votato al Signore tutto ciò che si trova in essa” [Gs 6,17]» [2].

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Da qui, nei Concili Ecumenici, l’usatissima formula anàthema sit, che apparirà per l’ultima volta nel Concilio Vaticano I, mentre è assente nel Concilio Vaticano II, il che chiaramente non vuol dire che il Concilio non condanni degli errori, sostenendo i quali si incorre nella scomunica. L’odierna scomunica è ciò che la Chiesa in passato ha chiamato anàtema, ossia maledizione: un verdetto di condanna di un errore o di un errante, pronunciato dall’autorità con l’irrogazione di una pena e l’espulsione o allontanamento del  dissidente o del criminale dalla comunità.

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“Maledire” in questo contesto biblico significa “dir-male”, ma non nel senso della maldicenza, bensì nel senso di dichiarare in giudizio che qualcuno ha sparlato o fatto del male e quindi merita di essere punito, merita un male di pena. In tal senso la Bibbia dice che Dio maledice i malvagi e Cristo al Giudizio Universale allontana da se i reprobi [cf. Mt 25,41]. La maledizione può colpire l’azione malvagia, ma può colpire anche la persona che ha commesso quell’azione. È vero che tanto il Vangelo [cf. Lc 6,28], quanto San Paolo raccomandano di non maledire [cf. Rm 12,14]. Ma queste proibizioni colpiscono chi maledice gli innocenti, così come è proibito uccidere l’innocente, ma non il criminale. Diversamente, la Chiesa non avrebbe anatematizzato per secoli e millenni eretici e scismatici. E se oggi non sentiamo o leggiamo più i Papi maledire gli eretici, non possiamo ignorare che solo di recente la Chiesa ha abbandonato questo linguaggio, che essa ha usato tranquillamente per tanto tempo, ma che oggi, nell’attuale clima di ecumenismo e di dialogo inter-religioso, effettivamente ci metterebbe in imbarazzo. Oggi infatti a noi pare che il maledire sia suscitato dall’odio. Ma non è necessariamente così. Inteso nel senso giuridico, è atto di giustizia. E se la parola è stata abbandonata dal Magistero della Chiesa, resta il termine equivalente di “scomunica”. Ora, la comunione, l’unità, la pace, la carità reciproca e la concordia nella Chiesa nascono dalla comune accettazione da parte di tutti i fedeli delle medesime verità di fede e della medesima disciplina insegnate dal Magistero della Chiesa sotto la guida del Sommo Pontefice. Si capisce allora che l’eretico merita di essere scomunicato. La Chiesa è una comunità unita, coordinata e concorde nell’amore reciproco dallo Spirito Santo, il quale sostiene il Papa nel compito di fondar la comunione fraterna e con Dio sulla verità della Parola di Dio da tutti accolta. Tuttavia, col permesso di Dio, all’interno della Chiesa terrena, lavora il Demonio, col suo seguito di «figli del diavolo» [I Gv 3, 10]. Ciò fa sì che nella Chiesa nascano e si diffondano eresie, per cui l’autorità ecclesiastica è obbligata ad intervenire per mettere in guardia i fedeli e fermare la diffusione dell’errore. Così avvenne, per esempio, col fenomeno del modernismo all’epoca di San Pio X ed alcuni teologi, come per esempio Ernesto Buonaiuti, Alfred Loisy, George Tyrrell, Romolo Murri ed altri.    

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Succede infatti ogni tanto che il Demonio persuada e spinga astutamente e perfidamente alcuni fratelli imprudenti, ambiziosi e incauti, che possono essere anche pastori, a falsare il concetto di Chiesa e a lavorare per dividerla, profanarla e distruggerla, agendo in modo insidioso e coperto, con vani e speciosi pretesti di riforma o di conservazione, per non farsi scoprire e sedurre più facilmente.

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Questi falsi cattolici, sedotti da Satana, rivelano apertamente i loro piani perversi e sovversivi, per esempio massonici o atei, solo a quegli allocchi o sciagurati che, dopo averli per bene imboniti, magari con meschine adulazioni o scintillanti promesse, sanno di avere ormai alleati o in pugno nell’opera satanica intrapresa, mentre mantengono il segreto o sanno ben mascherarsi davanti ai veri fedeli. In tal senso il Diritto canonico mette in guardia contro le «associazioni che complottano contro la Chiesa» [can. 1374].

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Dopo avere tessuto le loro trame, gli eretici e gli scismatici emergono improvvisamente dalle tenebre e colpiscono di sorpresa, come dice il Salmo: «Affilano la loro lingua come spada, scagliano come frecce parole amare per colpire di nascosto l’innocente; lo colpiscono di sorpresa e non hanno timore. Si ostinano nel fare il male; si accordano per nascondere tranelli» [Sal 64 3-6]. «Il misero soccombe all’orgoglio dell’empio e cade nelle insidie tramate» [Sal 9, 23]. Può trattarsi di gruppi di potere e di pressione nascosti all’interno della Chiesa e dello stesso ceto dei vescovi o dei cardinali, i quali all’apparenza sembrano rispettosi dell’autorità pontificia. Ma all’occhio esperto, come a quello del buon medico, bastano pochi segni o sintomi per intravedere il marcio che c’è sotto la bella apparenza, come quei sepolcri imbiancati dei quali parla il Signore. Si tratta di quel «nemico» [Mt 13, 25-36], del quale parla il Vangelo, che di nascosto nel campo di grano ha seminato la zizzania. Al riguardo, Gesù raccomanda di lasciar crescere assieme grano e zizzania, per timore che, togliendo questa, venga tolto anche quello. Si deve attendere, Egli dice, il giorno del Signore, quando Egli svelando i segreti dei cuori, farà giustizia. Ora, è chiaro che qui Gesù si riferisce al giudizio divino alla fine del mondo, giudizio definitivo ed inappellabile, che fissa il destino ultimo di tutti noi. Ma ciò non impedisce affatto a Gesù di affidare un potere giudiziario ai pastori della Chiesa, in primis a Pietro, quando gli ordina di pascere le sue pecorelle. E’ chiaro altresì che questo potere, limitato e fallibile, fa riferimento solo al foro esterno e non pretende di scrutare l’intimo delle coscienze, che solo Dio conosce. Tuttavia, a questo potere, funzionale al mantenimento del buon ordine della pace nella Chiesa, è assegnato da Cristo il diritto e il dovere di fissare per tutti le condizioni e i gradi di appartenenza alla Chiesa, per cui non gli è proibito, nelle dovute circostanze e per validi motivi, di escludere dalla comunione ecclesiale – ecco la scomunica – coloro che se ne rendessero indegni o per le loro false idee o per la loro cattiva condotta.

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LA SCOMUNICA ESCLUDE DALLA COMUNIONE ECCLESIALE

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La scomunica è un decreto dell’autorità, Papa o Vescovo, col quale il prelato, al fine di correggere — pene medicinali o censure, titolo IV, capitolo I — o di proteggere la comunità — pene espiatorie, capitolo II —, irroga delle pene che isolano in vari modi lo scomunicato dalla comunità e gli limitano la possibilità di aver rapporti con essa o di influire su di essa, perché tale attività è considerata pericolosa o comunque riprovevole. Tali pene possono essere, a mo’ di esempio: o il trasferimento ad altra residenza, l’esilio, o la dimissione da un ufficio o la proibizione di lasciare il domicilio o la proibizione dell’attività pubblicistica o dell’amministrazione o della recezione dei sacramenti, fino alla riduzione allo stato laicale per i chierici o all’espulsione dall’istituto per i religiosi.

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Lo scisma e l’eresia di per sé sono peccati mortali. Essi sono puniti a norma di legge canonica. È possibile che questi criminali sfuggano alla giustizia della Chiesa, ma non sfuggono al giudizio di Dio. Ogni fedele deve saper riconoscere lo scismatico e l’eretico, senza aspettare la sentenza della Chiesa, perché deve difendersi da queste tentazioni diaboliche. Per questo la Scrittura dà diversi avvertimenti.

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Nella condanna per eresia la Chiesa è infallibile e non si smentisce mai. Invece nello scomunicare la Chiesa può sbagliare o può togliere la scomunica. Questo perché nella questione dell’eresia c’è un gioco la verità di fede, che non muta e in questo campo il Sommo Pontefice ha ricevuto espressa promessa da Cristo di non errare. Invece la scomunica può essere legata alla condotta dello scomunicato, che può correggersi, per cui essa può essere tolta. Resta comunque che l’effetto della scomunica, che può essere anche ingiusta, illecita o invalida, non tocca per nulla lo stato dell’anima dello scomunicato davanti a Dio, stato che potrebbe essere di peccato mortale —  e di per sé lo scisma e l’eresia sono peccato mortale —, ma potrebbe essere anche uno stato di grazia, in quanto lo scomunicato è incolpato ingiustamente. Per questo, la potestà ecclesiastica, come disse fieramente Girolamo Savonarola al suo carnefice salendo al patibolo, può escludere dalla Chiesa terrena, ma non da quella celeste.

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C’è da dire inoltre che l’appartenenza alla Chiesa e per conseguenza la comunione ecclesiale e l’esclusione da essa —  ossia la scomunica —  non è un atto semplice della volontà, col quale essa può accogliere o rifiutare in toto una proposta o un’ingiunzione che le viene fatta, come sarebbe quella di restare in una stanza, oppure quella di uscirne.

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L’appartenere o non appartenere alla Chiesa, il restare o uscire dalla Chiesa non sono cose così semplici. Certo, possono esistere forme di separazione netta e totale, come la perdita della fede con l’apostasia. Ma solitamente esistono diversi gradi di separazione e quindi di scomunica. Bisogna anche vedere che idea uno si fa della Chiesa e dell’appartenenza alla Chiesa o della comunione ecclesiale. Uno può essere convinto di appartenere pienamente alla Chiesa e invece vi appartiene solo parzialmente, come per esempio i protestanti o i modernisti. Per questo, esistono solitamente gradi di appartenenza e gradi di esclusione o di separazione. Per questo, le scomuniche non sono tutte dello stesso peso o livello. Il tralcio può essere periclitante a vari livelli. Si può essere separati da certi valori, ma non da altri. Per converso, la comunione ecclesiale è il vertice di un’appartenenza che inizia da un grado minimo per salire al massimo. Qui ci soccorre l’immagine evangelica della vite e dei tralci. Un tralcio può essere parzialmente staccato dalla vite, ma riceve ancora la sua linfa. Così i fratelli separati godono di una certa comunione con la Chiesa cattolica, anche se questa comunione non è piena.

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Ogni fedele deve saper distinguere il grano dalla zizzania, deve saper giudicare da sé se un altro fratello, fosse teologo, vescovo o cardinale, è o non è in comunione con la Chiesa, e per conseguenza frequentarlo, se è in comunione; starsene alla larga, se non è in comunione. Ecco allora le direttive del Nuovo Testamento: «Tenetevi lontani da ogni fratello che si comporta in maniera indisciplinata» [II Ts 3,6]. «Se qualcuno non obbedisce a quanto diciamo per lettera, prendete nota di lui e interrompete i rapporti» [v. 14]. «Sta lontano dall’eretico [airetikòn]» [Tt 3,10]. «Se qualcuno viene a voi e non porta questo insegnamento, non ricevetelo in casa e non salutatelo, poiché chi lo saluta partecipa delle sue opere perverse» [II Gv 10-11]. Si tratta evidentemente di casi nei quali il dialogo è impossibile o sconveniente o pericoloso o inutile per i seguenti motivi: o perché l’eretico non accetta la correzione o perché tenta egli stesso di sedurci o perché ci tratta con disprezzo.

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Al fine di custodire e promuovere i valori teoretici e morali sui quali  si regge la compagine della Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica, dev’essere dunque somma cura di tutti i fedeli, ma soprattutto dei pastori e dei teologi sotto la supervisione e la direzione del Papa, aver cura che la sana dottrina del Vangelo sia da tutti rettamente interpretata, accolta, condivisa, diffusa e difesa contro le eresie, che sono appunto il rifiuto o la deformazione delle verità di fede. Il prelato, dunque, nella Chiesa, e innanzitutto il Sommo Pontefice, supremo custode dell’unità della Chiesa e fautore della comunione ecclesiale, hanno la facoltà di espellere dalla Chiesa, ossia di scomunicare, quei fedeli, i quali, o per il loro atteggiamento scismatico o per le loro idee ereticali o scandalose, falsificano la dottrina, disobbediscono al Sommo Pontefice o creano divisioni nella Chiesa.

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Ci sono fedeli che di fatto o per le loro idee o per loro condotta, sono fuori della Chiesa e contro la Chiesa, eppure vogliono restarvi per cambiarla con i loro errori. Capita in questi casi che il prelato ingenuo o connivente non li scomunichi, ma li lasci fare o addirittura li sostenga, oppure, che li inviti a predicare ai fedeli dentro le chiese. Viceversa ci sono vescovi, sacerdoti e fedeli in piena comunione con la Chiesa, della quale possono denunciare mali e scandali, che però, per il fatto di opporsi a pastori o teologi scismatici o eretici, vengono trattati da loro come se fossero scomunicati. Esiste dunque una differenza tra la scomunica ufficiale e l’esser di fatto fuori dell’apparato ecclesiastico.

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Qualunque cristiano può essere eretico, scismatico o scomunicato, all’infuori del Papa, che per assistenza divina è il supremo custode della verità evangelica e della comunione ecclesiale. Infatti l’esser scomunicato comporta la rottura con un superiore ecclesiastico o col Papa. Ma il Papa evidentemente non ha alcun superiore terreno al quale egli possa ribellarsi, se non Gesù Cristo. Ed inoltre c’è da notare che un Papa può essere un cattivo pastore della Chiesa, ma non può insegnare l’eresia. Per questo, il Codice pone tra i «delitti contro la religione e l’unità della Chiesa» [parte II, titolo I], «l’apostasia, l’eresia e lo scisma» [can. 1364], nonché la pubblicazione e diffusione della «bestemmia, dell’offesa ai buoni costumi, delle ingiurie, l’eccitamento all’odio o al disprezzo contro la religione o la Chiesa [can. 1369] e gli insegnamenti di dottrine condannate o dal Romano Pontefice o dal Concilio Ecumenico» [can. 1371], il che equivale al rifiuto o alla falsa interpretazione o falsificazione degli insegnamenti del Papa o del Concilio. Per questo il delitto di eresia merita la scomunica [cann. 1364, 1331].

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La scomunica può essere latae sententiae o ferendae sententiae. La prima scatta automaticamente al compimento dell’atto criminoso, per esempio percuotere la persona del Papa o abbracciare un’eresia per la quale sia già prevista scomunica. Latae sententiae vuol dire che la sentenza è già pronunciata. Ferendae sententiae invece vuol dire che occorre un processo, al termine del quale il giudice pronuncia la sentenza, per esempio per stabilire se una persona è o non è eretica.

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ESEMPI NOTEVOLI DI SCOMUNICA

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Un esempio recente, è quello dei quattro vescovi lefevriani, i quali, in un primo tempo scomunicati, sono poi stati successivamente liberati da Benedetto XVI. Invece chi appoggia la Messa vetus ordo — che peraltro in se stessa è lecita — ma rifiuta, come fece Lefebvre, la Messa novus ordo accusa di filo-luteranesimo, è scomunicato. La Messa novus ordo rappresenta infatti il momento massimo della comunione ecclesiale. Rifiutare tale Messa vuol dire quindi separarsi dalla comunione ecclesiale e per questo si è colpiti da scomunica.

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Famosa è rimasta la revoca reciproca della scomunica tra il Beato Paolo VI e il Patriarca Atenagora. Ci si domanda però che senso avesse avuto la scomunica nei confronti del Papa da parte del Patriarca Michele Cerulario nel 1054. Il Papa può scomunicare, ma non può essere scomunicato, perché non ha in terra nessun superiore dal quale possa separarsi. Il Papa infatti è il principio della comunione ecclesiastica, mentre il fedele è ciò che deriva da questo principio. Ora il principiato può separarsi dal principio, ma il principio non può separarsi da se stesso. Quindi il Patriarca di Costantinopoli, scomunicando il Papa, non ha fatto altro che separarsi dalla Chiesa. Paolo VI fece un gesto magnanimo revocando la scomunica ad Atenagora, ma il Patriarca, al di là della sua amicizia con Paolo VI,  fece un gesto obbiettivamente e giuridicamente nullo, come nulla era stata la sua scomunica. C’è inoltre da notare che la Chiesa può togliere la scomunica a eretici che restano eretici, come sono i nostri fratelli ortodossi, dato che con loro non è stata ancora risolta la vertenza sul Filioque. È evidente allora che questa loro reintegrazione comporta una comunione molto imperfetta, data la permanenza di carenze dottrinali.

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Nella storia ci sono state scomuniche che non solo non hanno sortito l’effetto sperato di indurre o stimolare lo scomunicato al pentimento, ma che hanno avuto l’effetto di provocarlo ancora di più all’odio contro il Papa e la Chiesa, come successe con la scomunica a Lutero di Papa Leone X e di San Pio V nei confronti della regina Elisabetta d’Inghilterra. Se lo scomunicato ha già un grosso seguito, egli è orgoglioso di ciò e se ne fa forte, per cui la scomunica lo inalbera e lo inasprisce maggiormente. Sono i santi, per esempio un San Pio da Pietrelcina, che si sottomettono anche a censure ingiuste. Ma gli eretici, potenti e facinorosi che sono scomunicati, facilmente fanno peggio. Per questo, soprattutto oggi che i modernisti sono molto potenti, i Papi rinunciano a scomunicarli.

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Quanto invece alla scomunica a chi professa la dottrina del comunismo ateo marxista, comminata da Pio XII, essa non è mai stata abolita, benché la Chiesa da allora non ne abbia fatto più cenno. Tuttavia, tale scomunica mantiene di fatto il suo valore, giacché è evidentemente impossibile che un ateo partecipi della comunione ecclesiale.

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Quanto all’appartenenza alla massoneria, un decreto della Congregazione per la Dottrina della Fede del 1984 avverte che chi è affiliato alla massoneria è in peccato mortale e non può fare la Comunione. Anche in questo caso il motivo della scomunica è evidente: la massoneria non riconosce il dogma della comunione dei santi.

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Per quanto riguarda la scomunica degli associati alla mafia, essa è motivata dal fatto che si tratta di associazione a delinquere finalizzata al furto e all’estorsione con ricorso all’assassinio e alla vendetta privata, per cui è evidente che un membro di tale associazione non può fruire della comunione ecclesiale. La stessa cosa vale per i modernisti, i quali, hanno un concetto di Chiesa incompatibile con quello proprio della Chiesa cattolica.

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I MOTIVI E I FINI DELLA SCOMUNICA

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Merita di essere scomunicato chi sparge eresie, turba, ferisce, offende o disorganizza la comunità, crea scandalo e divisioni tra i fedeli, disobbedisce all’autorità. Purtroppo però oggi in modo macroscopico — salvo a non voler vedere perché bloccati dalla paura o dal rispetto umano o perché al carro dei modernisti o perché parte in causa o perchè chiusi nei propri meschini interessi o perché affetti allocchismo dottrinale [3] — questi personaggi si moltiplicano, sono onorati e salgono ad alti posti, mentre coloro che sono veramente in comunione con la Chiesa vengono bastonati, umiliati o emarginati. Così gli scomunicabili non sono scomunicati e capita che chi è in comunione è scomunicato o quanto meno viene trattato come se fosse uno scomunicato. Una bella confusione ed ingiustizia, dove chi ci gode è il demonio, maestro dell’oscurantismo che conduce alla perdizione.

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Circa la questione delle specie della scomunica, dobbiamo porci tre quesiti: un primo quesito è quello di distinguere la scomunica giusta o lecita da quella ingiusta o illecita; un secondo è quello di distinguere la scomunica valida da quella invalida o nulla; e un terzo è quello di distinguere lo scomunicato dichiarato o ufficiale da quello effettivo o di fatto.

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La scomunica è giusta, quando il prelato interviene mosso dalla preoccupazione di salvaguardare la verità della fede, la comunione ecclesiale e di richiamare il ribelle all’obbedienza. A proposito della scomunica ingiusta, invece, San Tommaso d’Aquino dice che la scomunica può essere ingiusta o da parte dello scomunicante o da parte dello scomunicato. Nel primo caso essa ha effetto, cioè il soggetto viene ufficialmente scomunicato mediante pubblico decreto, benché non meriti tale provvedimento e semmai avrebbe meritato un decreto di lode.  Quindi la scomunica può essere ingiusta, in quanto motivata non dal rispetto per l’autorità superiore, come sarebbe il Magistero della Chiesa, o il timor di Dio o l’amore per la verità o per la Chiesa, ma dall’ignoranza, dall’odio o dall’invidia per lo scomunicato; oppure può essere ingiusta perché senza fondamento o motivo giuridico o dottrinale, ed anzi basata su accuse false e motivi o pretesti ereticali [4]. La prima è valida ma illecita; la seconda è invalida e nulla.

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Il prelato deve fare molta attenzione a comprendere e valutare i motivi che guidano il pensiero e l’azione del supposto dissidente o eretico, soprattutto se ha molto seguito, per non confondere un profeta con un ribelle, come successe col Savonarola o viceversa per non confondere un ribelle con un riformatore, come successe a  certi vescovi tedeschi nei confronti di Lutero, i quali, anziché condannare il cosiddetto “Riformatore”, passarono dalla parte di Lutero. Il prelato non sia precipitoso nel giudicare, non si lasci condizionare dal clima passionale e fazioso che solitamente si crea attorno a queste vicende, sia cauto nel valutare le accuse rivolte dall’ambiente al supposto reo e preferisca ascoltarlo e consultarlo direttamente. Se è il caso, istituisca un processo, per non rischiare di condannare un innocente o di assolvere un colpevole.

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Può capitare anche che una scomunica ingiusta sia irrogata da un prelato eretico, il quale può non essere ufficialmente scomunicato, per cui non è sostanzialmente ed effettivamente in comunione con la Chiesa, mentre il suddito ufficialmente scomunicato, in quanto ortodosso, resta di fatto in comunione con la Chiesa.

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È chiaro che un prelato che scomunichi in base a un falso concetto di Chiesa o di obbedienza o senza essere lui per primo ad esser sottomesso al superiore maggiore o al Romano Pontefice o alla Parola di Dio, scomunica invalidamente, per cui di per sé, tale scomunica, è nulla e non dovrebbe produrre effetto. Tuttavia, di fatto, l’azione di un prelato autoritario, influente, prepotente, sorretto da pari suoi o dai poteri mondani verso una persona onesta ma indifesa  può comunque produrre un effetto sociale deleterio, esercitando violenza sullo scomunicato e sui suoi discepoli, lo diffama presso la comunità e danneggia la comunità stessa così ingannata dalla falsa scomunica.

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San Tommaso d’Aquino insegna che in questi casi lo scomunicato può ricorrere ai superiori maggiori. Certo, se è il Papa che ha scomunicato ingiustamente, bisognerà sopportare con pazienza, evitando di assumere atteggiamenti vendicativi o rancorosi, che metterebbero senz’altro lo scomunicato, nel caso avesse ragione, dalla parte del torto. Se poi, come fu il caso di Lutero, il ribelle è scomunicato giustamente, è chiaro che un’eventuale contestazione da parte dello scomunicato, aggraverebbe maggiormente la sua colpa.

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Il fatto che una scomunica non abbia vizi di forma —  essere per esempio emanata dalla legittima autorità o entri nel merito —  non vuol dire necessariamente che essa sia giusta, opportuna, benefica, lecita. Essa può esser originata da  prepotenza o grave colpa nello scomunicante, come fu la scomunica del Savonarola da parte di Alessandro VI. Se poi la scomunica è infetta anche da vizi di forma, come per esempio essere effetto di un abuso di autorità o, come osserva San Tommaso d’Aquino, essere «non dovuta o perché la sentenza è contraria all’ordine giuridico» [5], oltre ad essere ingiusta nel contenuto e nei motivi, essa è del tutto nulla.

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Casi di questo genere oggi sono frequenti per il fatto che il modernismo si è diffuso tra i vescovi, per cui non solo è raro che un vescovo scomunichi un eretico, ma succede addirittura che fedeli ortodossi siano scomunicati da vescovi eretici. È chiaro che una scomunica motivata da una causa ereticale, essendo contraria alle norme della fede e del diritto, è nulla, per cui lo scomunicato in linea di principio potrebbe non tenerne conto. Sennonché, però, è possibile che in tal caso il prelato infierisca ancora di più, per cui allo scomunicato conviene rassegnarsi. Sotto questo punto di vista San Tommaso d’Aquino osserva che una scomunica può essere ingiusta e tuttavia sortire l’effetto punitivo [6], al quale lo scomunicato, nell’ipotesi, non ha mezzo per scampare o liberarsi, come invece ebbe la fortuna di poter fare San Giovanni della Croce, fuggendo dal carcere del convento.

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La scomunica ha un duplice scopo: primo, quello di essere una punizione esemplare e salutare; esemplare, per scoraggiare altri ad imitare lo scomunicato; salutare, ossia tale da indurre lo scomunicato alla resipiscenza, al pentimento e alla penitenza, onde possa correggersi ed essere reintegrato nella comunione ecclesiale. Per questo, non deve essere né eccessiva, né troppo mite, ma commisurata all’entità del danno causato a se stesso e alla Chiesa dallo scismatico o dall’eretico e alla qualità e quantità delle sue forze morali e della sua reputazione nella Chiesa, nonché dell’ascendente, della fama e del seguito che egli ha in essa. Non deve isolarlo troppo dalla comunità, in modo che non peggiori la sua ostilità ad essa e non abbia la tentazione di lasciarla del tutto, ma gli sia mantenuto in essa un certo grado di stima e di considerazione. Capita anzi che il dissidente sia oggetto di un’ostilità ingiusta ed esagerata da parte di certi fedeli o nemici troppo zelanti, maligni o di corto intelletto, per cui il prelato deve difendere e proteggere il dissidente anche  da essi.

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La scomunica non deve neppure lasciare allo scomunicato troppa libertà di azione e di movimento, né deve lasciarlo troppo inserito nella comunità, perché ciò gli consentirebbe di continuare a spargere le sue eresie e a fomentare la ribellione alla Chiesa. Le scomuniche troppo blande, e puramente formali, che non disturbano lo scomunicato più di tanto, perdono la loro efficacia deterrente ed educativa, vengono derise da lui e dai suoi seguaci e non sortiscono alcun effetto, se non quello di creare un martire agli occhi dei seguaci. Tale probabilmente sarà la scomunica dei mafiosi e tale, purtroppo, è stata la scomunica dei comunisti.

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Secondo scopo della scomunica è quello di far chiarezza nel senso di aiutare a discernere chi appartiene alla Chiesa e chi è fuori, è quello quindi di liberare la Chiesa da un agente pericoloso scoraggiando i fedeli dal volerlo seguire. Può capitare che la Chiesa in questi interventi sia troppo severa, come sembra essere accaduto nei casi di Pietro Valdo nel XII secolo, degli albigesi nel XIII secolo, di Jan Hus nel XV secolo e di Lutero. Essi non mancavano di qualche buona idea nel proporre una riforma della Chiesa, anche se certamente le loro eresie erano condannabili. Essi tuttavia contavano tra le loro fila anche persone in buona fede, per cui, se si avesse avuta maggior fiducia nel dialogo, forse si sarebbe evitata una dolorosa divisione che dura ancora dopo secoli.

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LA RICOSTRUZIONE DELLA COMUNIONE

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Paradigmatica è la parabola del figliol prodigo [Lc 15, 11-32]. Lo scomunicato non è tanto uno che è cacciato, ma è uno che se ne va. Il decreto di scomunica bene spesso non è altro che la presa d’atto addolorata e la triste notizia pubblica che il fratello ci ha lasciato e ci è diventato nemico. Nella scomunica non c’è tanto lo sdegno, quanto piuttosto il dolore e la speranza che il figlio perduto sia ritrovato. È lui che se ne è voluto andare. E se un fratello è cacciato, è perché già praticamente non era in comunione e disturbava la comunione. Dunque che cosa si attende la scomunica? Il ritorno del fratello, il suo pentimento, il suo ravvedimento. Come mai sono così rari i fenomeni della conversione? Forse la Chiesa finora non ha fatto abbastanza per recuperare questi fratelli, queste pecorelle smarrite. Si è usata troppa severità e troppo poca misericordia. Così almeno pensò San Giovanni XXIII nel volere e nell’indire il Concilio Vaticano II. Si è voluto trattenere il figliol prodigo con la forza, senza tentare di convincerlo di che cosa sarebbe andato incontro lasciando la casa paterna. Però, bisogna anche riconoscere francamente che in molti casi l’onestà e l’umiltà delle quali il figliol prodigo dà prova nella parabola lucana, accorgendosi del brutto affare che ha fatto lasciando la casa paterna, sono sempre state virtù rare. Quasi sempre gli eretici sembrano trovarsi bene nel mangiare le carrube dei porci, e se ne vantano, indorandole di speciosi orpelli, come fossero segno di libertà e di saggezza, ed anzi invitano altri a seguirli ed altri li seguono.

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Che cosa la Chiesa può fare in questi casi? Col Concilio Vaticano II essa ha deciso di imboccare una nuova via, che riduca al minimo l’uso della severità e quindi della scomunica e del temuto anàthema sit. Alcuni teologi hanno interpretato la scelta conciliare nel senso che il Concilio supporrebbe che tutti gli uomini, almeno inconsciamente, cercano Dio e sono in grazia; per cui l’annuncio del Vangelo non dovrebbe essere più proposto nei termini categorici e minacciosi di un aut-aut: come unica via di salvezza, rifiutando la quale si apre il baratro dell’inferno: o credi o non ti salvi; ma semplicemente come annuncio di una misericordia, della quale già tutti gli uomini di buona volontà sono oggetto, magari inconsciamente, quale che sia la religione alla quale appartengono. In questa visuale ottimistica, siccome tutti si salvano, ognuno è libero di seguire la propria religione. I contrasti dottrinali non avrebbero importanza. Il fatto determinante sarebbe che tutti sono oggetto della divina volontà salvifica. Tutti quindi, magari inconsciamente, appartengono alla Chiesa, che abbraccia tutte le religioni, nessuno escluso.

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Per i modernisti non possiamo dire, quindi, al luterano, all’ebreo o al musulmano: tu sei in errore. Egli infatti può sempre dirci: in errore lo sono per te, ma non nella mia religione. Si comprende allora come in questa visuale relativistica perde di senso o di interesse la scomunica. È chiaro che  una Chiesa che non si ritiene in possesso della verità assoluta, come la concepiscono i modernisti, non distingue più nettamente e definitivamente il dogma dell’eresia, per cui l’idea stessa della scomunica non per lei ha alcun significato. Essa si oppone quindi alla Chiesa del passato, detta da costoro pre-conciliare, che adesso appare impositiva e illiberale, irrispettosa del pluralismo, e della libertà di coscienza.

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Altri dicono: la severità e la minaccia dell’Inferno non è servita. Ma poi non sarà che in fin dei conti la misericordia divina raggiunge tutti e tutti si salvano? Rispettiamo le diversità, puntiamo sul dialogo e su ciò che ci unisce: i comuni interessi della pace e della giustizia. Va bene. Tuttavia, ci sono delle verità che toccano Dio o la salvezza, che non piacciono ai fratelli separati. E allora che facciamo? Alcuni, sono dell’idea che è bene tacerle e ammettere solo quelle verità nelle quali tutti concordiamo. Le altre le lasciamo facoltative alle singole confessioni. Ma non è questo il comando di Cristo. E difatti il Concilio ripropone il Vangelo a tutta l’umanità.

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Il Concilio, però, a differenza dei precedenti, consapevoli dell’irrimediabile tendenza umana al peccato, propria della natura decaduta, prevalentemente dedicati quindi alla lotta contro il mondo ed alla condanna degli errori e dei vizi, con i relativi castighi comminati ai disobbedienti, sembra animato dalla fiducia di poter edificare su questa terra la concordia generale dell’umanità attorno a Cristo [cf. Pacem in terris], nella fiducia di poter realizzare la collaborazione della Chiesa col mondo, di poter costruire un’umanità giusta, unita e pacifica, nella quale Chiesa e il mondo vanno d’accordo. Il mondo è visto come sostanzialmente disponibile ad accogliere il Vangelo, e la Chiesa sembra fiduciosa di poter conquistare tutto il mondo, perché tutto il mondo attende Cristo. E così il Concilio sembra minimizzare  la tendenza degli uomini alla malizia e al peccato —  quindi la necessità della coercizione e della disciplina —, conseguenti al peccato originale e ritenere che l’educazione, la testimonianza e la predicazione del Vangelo siano sufficienti a creare quaggiù un’umanità finalmente giusta, felice e  concorde.

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Eppure, l’Apocalisse, prevede che lo scontro della Chiesa col mondo —  la Donna e il Drago —  durerà fino alla Parusia, per cui la conclusione della storia non sarà la simbiosi della Chiesa col mondo e l’unificazione generale dell’umanità nella concordia e nella pace, ma bensì la vittoria di Cristo sulle potenze del male e la separazione finale del grano dalla zizzania, con la salvezza degli eletti e la dannazione di reprobi.

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Un’altra cosa da notare: fino al Vaticano II la Chiesa ha sempre tenuto a precisare la sua identità e ad opporsi al mondo. Da qui la facilità con la quale essa polemizzava col mondo, condannava gli errori del mondo e scomunicava chi cedeva alle seduzioni del mondo, in particolare del mondo moderno. Essa aveva molta cura per i suoi figli, ci teneva che fossero protetti dalle insidie del mondo e dagli errori  delle altre religioni, compresi i cristiani non-cattolici, mentre era severa verso il mondo, nel quale vedeva quasi solamente pericoli e corruzione. Se essa contattava il mondo, lo scopo era quello di convertirlo al Vangelo, secondo il comando di Cristo.

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Il Vaticano II ha indirizzato la Chiesa ad una maggiore apertura ai valori del mondo e delle altre confessioni religiose. Ciò ha portato ad un arricchimento e ad un miglioramento del costume, della teologia e della cultura cattolici, ma nel contempo è diminuita la cura di preservare la Chiesa dalla penetrazione in essa di dottrine erronee  o pericolose. Così è successo che, se da una parte la Chiesa ha assunto un atteggiamento più conciliante nei confronti del mondo, dall’altra sono sorti conflitti e corruzione al suo interno a causa della penetrazione degli errori e dei cattivi costumi del mondo, penetrazione non sufficientemente impedita dai pastori, i quali hanno molto diminuito l’uso della scomunica.

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Ciò che oggi si impone è una maggior cura nei pastori, a cominciare dal Papa, della buona formazione dei fedeli e degli stessi pastori, nel pacificare gli animi aspramente divisi da una sciagurata e incancrenita opposizione tra lefebvriani e modernisti, che si trascina da cinquant’anni, nel difendere la Chiesa dalla penetrazione di idee false o eterodosse e quindi nella ripresa moderata di un saggio e prudente uso dell’istituto della scomunica, senza affatto per questo rinunciare a quanto il Concilio ha prodotto nel rapporto della Chiesa col mondo moderno. È chiaro che occorre portare avanti l’opera dell’evangelizzazione; ma non c’è da illudersi che in un futuro lontano o vicino l’umanità si raccoglierà attorno alla Chiesa. E neppure c’è da sperare in una convivenza pacifica mondiale tra le religioni, come alcuni ipotizzano o auspicano.

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Al cristianesimo, per volere di Cristo, spetta il dominio del mondo. Le religioni devono essere sottomesse alla religione cristiana cattolica. Il cristianesimo non si adatta, per sua natura, ad essere una religione alla pari delle altre, come fosse un partito politico in un parlamento mondiale. Non confondiamo i rapporti civili fra le religioni con l’Organizzazione delle Nazioni Unite. Non sono queste le cose previste dall’escatologia apocalittica. Il cristianesimo continuerà ad espandersi, ma sempre in lotta contro le forze di Satana. Sempre, nella Chiesa, si mescoleranno il grano e la zizzania, sempre essa dovrà purificarsi dal peccato ed espellere dal suo seno gli indegni, sempre sarà contrastata da nemici e sempre sarà perseguitata. Sempre avanzerà e si rinnoverà nella storia, e convertirà a Cristo i cuori, sempre accoglierà nuovi figli, e genererà nuovi santi, fino a che, in un momento noto solo a Dio, la Chiesa apparirà sconfitta ed avverrà la grande apostasia, prevista da San Paolo, che però precederà il Ritorno trionfale di Cristo glorioso.

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Varazze 24 settembre 2018

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NOTE

[1] “votata allo sterminio” (eb. cherem), nella trad. della CEI.

[2] Commento alle Lettere di S.Paolo, c.9, 3, lect.I, n.739, Edizioni Marietti,Torino-Roma 1953, p.134.

[3] Difetto spirituale riconducibile all’opportunismo, alla piaggeria e alla vigliaccheria, oggi diffuso tra i vescovi, per il quale essi, per ignoranza crassa o per rispetto umano o attaccamento al seggio episcopale, non si accorgono neppure di farsi prendere per il naso dagli eretici. Non solo fuggono davanti al lupo entrato nell’ovile, ma non si accorgono neppure della sua presenza affidando importanti uffici ecclesiastici a persone che dovrebbero essere scomunicate.

[4] Summa Theologiae, Suppl., q.21, a.4.

[5] Ibid.

[6] Summa Theologiae, Suppl., q.21, a.4.

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