il Papa eretico, Antonio Livi e la toppa che finisce con l’essere peggiore dello strappo, il dramma della superbia intellettuale

IL PAPA ERETICO, ANTONIO LIVI E LA TOPPA CHE FINISCE CON L’ESSERE PEGGIORE DELLO STRAPPO, IL DRAMMA DELLA SUPERBIA INTELLETTUALE

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«Per mezzo di parole, atti e omissioni e per mezzo di passaggi del documento Amoris laetitia, Vostra Santità ha sostenuto, in modo diretto o indiretto (con quale e quanta consapevolezza non lo sappiamo né vogliamo giudicarlo), le seguenti proposizioni false ed eretiche, propagate nella Chiesa tanto con il pubblico ufficio quanto con atto privato» [dalla Correctio filialis]

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Autori
Ariel S. Levi di Gualdo
Jorge Facio Lince

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PDF  articolo formato stampa
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«Non pigliateli sul serio, pigliateli per il culo»

[Lettera apocrifa di Sant’Ireneo di Lione]

 

 

Buongiorno!

per aprire il testo del Rev. Prof. Antonio Livi, cliccare sopra l’immagine tratta da La Nuova Bussola Quotidiana del 27.07.2017

Oggi, su La Nuova Bussola Quotidiana, è apparso un articolo di Mons. Antonio Livi, uno dei firmatari della supplica filiale nella quale si formula una accusa di sette eresie che, a quanto pare, non sarebbe tale. E, chi lo pensa, sbaglia, perché ha frainteso il testo [cf. Correctio filialis – testo italiano].

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Con questo articolo Mons. Antonio Livi entra in piena comunione col Sommo Pontefice Francesco I, condividendo con Sua Santità un elemento che caratterizza questo pontificato: «il Santo Padre è stato capito male», «è stato male interpretato», «con quell’espressione voleva dir tutt’altro, ma è stato travisato per colpa dei giornalisti che hanno riportate male le sue parole». 

 

Uno scritto col quale Mons. Antonio Livi s’inserisce a pieno titolo in quello che è il cosiddetto e impropriamente detto spirito bergogliano, per usare questo infelice termine giornalistico che nulla ha da spartire col linguaggio ecclesiale ed ecclesiastico, meno che mai con quello teologico.

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Nel testo latino della supplica filiale, molti, inclusa la Santa Sede e gli organi della Conferenza Episcopale Italiana, pensano d’aver ravvisato la formulazione di sette eresie, cadendo però sicuramente in errore dinanzi a questo testo latino:

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His verbis, actis, et omissionibus, et in iis sententiis libri Amoris Laetitia quas supra diximus, Sanctitas Vestra sustentavit recte aut oblique, et in Ecclesia (quali quantaque intelligentia nescimus nec iudicare audemus) propositiones has sequentes, cum munere publico tum actu privato, propagavit, falsas profecto et haereticas.

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Un testo tradotto dagli stessi Supplicanti a questo modo in lingua italiana:

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Per mezzo di parole, atti e omissioni e per mezzo di passaggi del documento Amoris laetitia, Vostra Santità ha sostenuto, in modo diretto o indiretto (con quale e quanta consapevolezza non lo sappiamo né vogliamo giudicarlo), le seguenti proposizioni false ed eretiche, propagate nella Chiesa tanto con il pubblico ufficio quanto con atto privato.

Nella altre lingue in cui questo testo è stato scritto, il verbo italiano «sostenuto» è stato tradotto: upheld, sostenido, soutenu …

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Malgrado la lapalissiana ed evidente chiarezza di queste parole, oggi, diversi degli estensori, affermano di non avere mai accusato di eresia il Sommo Pontefice, neppure dopo avere firmato un testo che recita: «Vostra Santità ha sostenuto, in modo diretto o indiretto […] le seguenti proposizioni false ed eretiche». Insomma, dinanzi all’articolo di smentita e di chiarimento di Mons. Antonio Livi tornano davvero alla mente le parole di quel “Santo dottore della Chiesa ” di Hegel, che in una frase a lui attribuita afferma: «Se i fatti non si adeguano alla teoria, tanto peggio per i fatti».

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Nel Santo Vangelo possiamo leggere queste parole: «Nessuno mette un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio, perché il rattoppo squarcia il vestito e si fa uno strappo peggiore» [cf. Mt, 16]. Esattamente quel che fa Antonio Livi che su La Nuova Bussola quotidiana di oggi si straccia le vesti sotto il titolo «Correzione al Papa, la verità che i lettori meritano». Ecco, se c’è una cosa che i Lettori proprio non meritano, tutti, ed in particolare i nostri fedeli, è quella di essere trattati da perfetti imbecilli. Perché quando si comincia a giocare sulle parole, si esce dall’ambito della teologia, che richiede sempre e di per sé termini chiari e precisi che significano e possono significare una sola cosa, non una molteplicità di cose. In caso contrario si esce appunto dall’ambito teologico per entrare nei sofismi ed in quei bizantinismi giuridici che funsero da preludio alla caduta dell’Impero Romano, cosa questa che, come storico della Chiesa, dovrebbe sapere anzitutto Roberto de Mattei [cf. QUI]. Altrettanto la dolce Cristina Siccardi, che oggi cerca di nascondersi dietro la «materna protezione di Maria» [QUI], che è bene ricordare essere Madre della Chiesa e Madre dei Sacerdoti, non Madre dei politicanti maldestri di siffatta bassa lega, che dietro pretesti dottrinali e teologici celano tutt’altri fini, malumori, frustrazioni, caste nobiliari venute meno e non ultimo anche interessi economici, visto che fare gli ultra-tradizionalisti, da una parte è per alcuni molto costoso, mentre per altri è invece molto redditizio.

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Pertanto, chi di parola ferisce di parola perisce: Infatti, l’accusa — va da sé legittima — che è fatta a diversi passaggi del testo della esortazione post sinodale Amoris laetitia, è proprio quella di non essere chiara, di essere a tratti ambigua, foriera della più diverse e disparate interpretazioni, in quanto scritta in un linguaggio e con termini non sempre chiari.

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Antonio Livi è caduto nello stesso gioco attraverso il testo da lui firmato, del quale a suo dire sarebbero state male interpretate le parole, od il senso delle parole stesse. Il tutto detto da un filosofo e teologo che dovrebbe sapere molto bene che il termine ipostasi, ha un preciso significato e non una varietà di significati, perché al proprio interno esso non contiene solo la spiegazione precisa, ma anche l’interpretazione già data attraverso la enunciazione di un dogma, così come il termine transustanziazione e via dicendo. E questi termini, nella loro sostanza e nel loro significato, rimangono tali anche se trasposti o tradotti in altre lingue.

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A meno che non si viva in un mondo nel quale tutti fraintendono tutto, in tal caso, Mons. Antonio Livi dovrebbe anche spiegare questa sua affermazione, perché alla domanda, ripetuta per la seconda volta … «Ripetiamo: ci sono eresie in Bergoglio?». Egli risponde:

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«Lui non è personalmente e formalmente in eresia, non ne ha dette in modo palese. Lui non proclama cose che risultino eretiche, però le fa dire agli altri senza correggerle o smentirle, pertanto avallandole. Penso che sia quantomeno un peccato contro la prudenza ed è una prassi pastorale dannosa. Noi cerchiamo di farlo ravvedere sia nella prassi sia nella dottrina che risente negativamente del modernismo. Questa iniziativa è doverosa» [cf. QUI].

Mons. Antonio Livi non si è forse reso conto di avere affermato, con questa sua risposta, che il Sommo Pontefice, a suo dire, è di fatto a tal punto pavido e privo di virili attributi, che neppure ha il coraggio di enunciare eresie, le fa proclamare agli altri, poi lui le avalla in modo tacito? O forse abbiamo capito e interpretato male anche questa sua magistrale risposta?

Il Santo Padre Francesco ha tanti difetti, più volte noi li abbiamo messi in luce e ne abbiamo discusso su L’Isola di Patmos [cf. QUI], ma se c’è una cosa della quale egli non è privo, sono proprio gli attributi virili.

Duole riportare certi fatti, ma Mons. Antonio Livi non è nuovo a certe sparate a raffica pericolose e fuorvianti proprio sul piano dottrinario. Ci limitiamo solo a un paio di esempi: dopo aver pubblicamente definito «famigerato» il discorso del Santo Pontefice Giovanni XXIII all’apertura del Concilio Vaticano II, egli prosegue rincarando la dose affermando «faccio fatica a chiamarlo San Giovanni XXIII, perché una canonizzazione che avviene fuori dalle leggi canoniche pone dei problemi». Dinanzi a queste parole, è per noi molto doloroso dover ricordare all’improvvido relatore che si picca di essere uno degli ultimi puri difensori del dogma rimasti nella devastata Orbe Catholica, che questa canonizzazione non dovrebbe creargli proprio alcun problema, perché ogni canonizzazione comporta un pronunciamento che implica quella infallibilità suggellata come dogma di fede dal Beato Pio IX. Pertanto duole ricordare, a questo difensore di una dogmatica che rischia di essere una dogmatica a elastico soggettivo, che il Prof. Andrea Grillo, da noi più volte duramente criticato in dispute teologiche su queste colonne e indicato come un esponente del modernismo, reso “pericoloso” dalla sua profonda preparazione e dalla sua spiccata intelligenza, non si è mai permesso — che finora se ne sappia — di mettere in discussione né la beatificazione di Pio IX né tanto meno la canonizzazione di Pio X. Inoltre, l’onestà intellettuale e teologica, ci impone oggi di rimanere molto ben colpiti per il modo ed contenuti attraverso i quali, il Prof. Andrea Grillo, ha commentato la vexata quaestio [cf. QUI]. E, detto questo, tragga Mons. Antonio Livi le sue debite conclusioni, a ben considerare che sempre in questo suo lungo intervento egli prosegue affermando:

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«[…] come ho scritto più volte a proposito dell’esortazione apostolica post-sinodale Amoris laetitia, il Papa ha voluto essere volutamente ambiguo. Perché? Perché da una parte vorrebbe dire cose sostanzialmente eretiche, e dall’altra sa che non le può dire».

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Leggendo questa frase infelice alla luce della logica, del diritto e della stessa teologia, questo meschino parlare ed esprimersi si chiama “processo alle intenzioni”. E per oltre un’ora, dinanzi ad un numeroso pubblico, Mons. Antonio Livi, registrato e filmato, infine sbobinato e pubblicato, ha affermate queste ed altre cose ben peggiori. Senza quindi procedere oltre, rimandiamo i Lettori alla lettura di questa sua lectio magistralis tenuta lo scorso anno [la lectio magistralis è leggibile QUI], in attesa che il direttore de La Nuova Bussola Quotidiana pubblichi presto un altro suo articolo di smentita più o meno improntato sul principio che «Se i fatti non si adeguano alla teoria, tanto peggio per i fatti». E, va da sé, con l’aggiunta, da parte di Mons. Antonio Livi che, chi non la pensa come me, è uno storicista, un rahneriano ed un pericoloso eretico modernista. Ignaro del fatto che, per essere teologi ortodossi, non basta essere contrari alle speculazioni teologiche di Karl Rahner, salvo poi agire, in certi concreti fatti, in modo molto peggiore di quanto non abbia agito questo pericoloso teologo gesuita tedesco. Pertanto, il caro Mons. Antonio Livi, anche in questo abbia l’umiltà di imparare da un autentico uomo di Dio come Padre Giovanni Cavalcoli, che studiato per un trentennio e poi criticato in ogni modo il pericoloso pensiero di Karl Rahner, non ha mai mancato di metterne sempre in luce, anche e soprattutto, i non pochi aspetti interessanti in esso contenuti. Così come più volte, il Padre Ariel S. Levi di Gualdo, nemico giurato del modernismo, non ha mancato di mettere in luce sia il problema oggettivo del «modernismo reattivo ad un rigore eccessivo», sia il fatto che il povero Don Ernesto Buonaiuti, dopo la sua meritata condanna, fu trattato dall’Autorità Ecclesiastica con una mancanza di carità veramente disumana; perché la Madre Chiesa non può trattare disumanamente neppure un pericoloso eretico, severamente si, ma disumanamente no.

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E questa, per inciso, si chiama: onestà intellettuale, in assenza della quale si cade nella cieca ideologia, ed anziché fare teologia, si rischia di fare solo soggettiva egologia

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Dinanzi alla penosa vicenda di Mons. Antonio Livi torna alla mente Socrate, che poco prima di bere la cicuta affermò: «Meglio morire con il corpo sano per evitare la decadenza».

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In ogni caso siamo certi che Mons. Antonio Livi, uomo di fede e di gran pietà sacerdotale, non avrebbe alcuna difficoltà, a pena della salute o della dannazione eterna della sua anima, a dichiarare solennemente che, a partire dal 2014 a oggi, egli non ha mai sostenuto che il Sommo Pontefice Francesco I è eretico. Non ha mai detto nulla di simile ad alcuna persona, ad alcun gruppo di persone, in nessun circolo e raduno scelto di persone. Mai, in alcun suo messaggio privato, indirizzato a una o più persone, ha risposto a quesiti a lui posti da fedeli smarriti e disorientati, dichiarando che il Sommo Pontefice Francesco è eretico, né mai ha spiegato a nessuno, con tutti i dettagli del caso, quali fossero le sue eresie.

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Analoga dichiarazione, non avrebbe difficoltà a farla neppure quel vescovo emerito che dietro le quinte di questo testo ha caricato diversi laici in buona fede, usando la propria autorità episcopale per trarli in grave errore. Questo prelato, che mai ha superata e digerita la rabbia di non essere stato creato cardinale, dal canto suo, sempre a pena della salute o della dannazione eterna della propria anima, potrebbe aggiungere anche la rassicurazione che in alcun dove, ad alcuna persona e ad alcun gruppo di persone, egli ha mai affermato, a partire dalla fine del 2013, che il Sommo Pontefice Francesco I, oltre a essere eretico, sarebbe persino legato alla Massoneria internazionale (!?).

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Dinanzi a questa straziante desolazione, è nostro desiderio rimandare i Lettori ad un articolo scritto nel 2015 dal Padre Giovanni Cavalcoli e dedicato alla apologia della superbia. È un articolo molto illuminante, nel quale il teologo domenicano indica e spiega in qual misura, quella intellettuale, è da sempre la forma di superbia peggiore. Quella che tra le varie cose impedisce al superbo di chiedere scusa, dopo avere palesemente sbagliato, trasformando di fatto quel «Confesso a Dio Onnipotente e a voi fratelli che ho molto peccato in pensieri, parole, opere e omissioni», solo in una filastrocca ritmata, particolarmente suggestiva se recitata poi in latino [l’articolo di Giovanni Cavalcoli è leggibile QUI].

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Buon pranzo!

L’Isola di Patmos, 27 settembre 2017

 

 

 




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7 commenti
  1. Francesca Pannuti dice:

    “Un’affermazione magisteriale che non abbia la “forma” della definizione dogmatica non può mai essere considerata in contraddizione con il dogma già stabilito dalla Tradizione, e dove non c’è contraddizione con il dogma non c’è eresia. Può esserci… una formulazione imprecisa (difetto di espressività dottrinale) o inappropriata (difetto di prudenza pastorale) del dogma… La teologia, di fronte a un testo magisteriale che risulta semanticamente incerto e ambiguo, non può gridare all’eresia” (Teologia e magistero oggi, Casa editrice Leonardo da Vinci, pp. 11, 12). Prima mons. Livi, nei confronti del quale qui viene fatta una critica inappropriata che prescinde dai suoi testi scritti dove spiega la sua personale ed ufficiale posizione, aveva detto con chiarezza (p. 10) che esclude la possibilità di un Papa eretico, a motivo della FEDE nella chiesa e nella preghiera e nelle promesse di Cristo. Non ho motivi di credere che le sue intenzioni, confermate in articoli pubblicati sulla Nuova Bussola quotidiana, allo scopo di giungere a più persone possibili, fossero diverse nel firmare la correzione. Fu lui a raccomandare la fede in Cristo che guida Chiesa e Papa.

    • Padre Ariel
      Ariel S. Levi di Gualdo dice:

      Cara Francesca,

      molto pacatamente: la firma di Antonio Livi è sotto questa frase:

      His verbis, actis, et omissionibus, et in iis sententiis libri Amoris Laetitia quas supra diximus, Sanctitas Vestra sustentavit recte aut oblique, et in Ecclesia (quali quantaque intelligentia nescimus nec iudicare audemus) propositiones has sequentes, cum munere publico tum actu privato, propagavit, falsas profecto et haereticas.

      Un testo tradotto dagli stessi Supplicanti a questo modo in lingua italiana:


      Per mezzo di parole, atti e omissioni e per mezzo di passaggi del documento Amoris laetitia, Vostra Santità ha sostenuto, in modo diretto o indiretto (con quale e quanta consapevolezza non lo sappiamo né vogliamo giudicarlo), le seguenti proposizioni false ed eretiche, propagate nella Chiesa tanto con il pubblico ufficio quanto con atto privato.

      Detto questo, a me risulta che l’insigne studioso conosca benissimo il latino e benissimo la lingua italiana.
      Valuti lei, ma valuti alla luce di quello che è stato firmato, non alla luce del ” non intendevo“, “non volevo“, o che “le persone hanno frainteso“, perché altrimenti si cade veramente nei sofismi e nei bizantinismi.

      Bastava semplicemente dire: “Mi sono sbagliato” ed ho difettato in prudenza.
      Si sono sbagliati i Santi Padri e dottori della Chiesa, non si capisce perché non possa sbagliarsi Antonio Livi, rimanendo pur malgrado un teologo di altissimo livello.

  2. fabriziogiudici dice:

    Cari padri,

    anche questo articolo non mi pare soddisfacente: in gran parte è una disputa su mons. Livi, nei termini della quale non entro. L’unica parte significativa è sull’analisi del citato paragrafo del documento; ma è una parte del documento, poi c’è un altro paragrafo in fondo che chiarisce il concetto (non lo riporto per motivi di spazio, ma si trova facilmente). Ok: forse si poteva scrivere meglio e forse è il risultato di un compromesso tra due “anime” diverse nei firmatari (cosa citata da mons. Livi). Ma il senso, per me, rimane chiaro. Ritengo peraltro che l’apparente ambiguità sia causata dall’evidente ambiguità del Papa: Francesco scrive documenti ed agisce in modo che altri sostengano eresie e rifiuta di rispondere a chiunque sui chiarimenti – lasciando anche morire due cardinali “in sospeso” – rimandando a interviste informali o ai suoi collaboratori. Per favore, non ditemi che questo è un comportamento virile: un uomo affronta le cose in prima persona, come fate voi, mons. Livi ed altri. Se Francesco lo fa apposta o no, non è compito mio dirlo: ma il fatto è evidente. La “correctio” mette in evidenza questo fatto.

    Con immutata stima.

    • Padre Ariel
      Ariel S. Levi di Gualdo dice:

      «Per favore, non ditemi che questo è un comportamento virile: un uomo affronta le cose in prima persona, come fate voi, mons. Livi ed altri».

      Caro Fabrizio,

      è un discorso caratteriale.
      Certe psicologie latinoamericane, ed in particolare gli argentini, hanno difficoltà a esprimersi con una certa chiarezza, per un discorso proprio di cultura, non di volontà a confondere le acque.
      E non solo gli argentini. Per esempio mi vengono a mente certi messicani, che non dicono mai le cose in modo diretto ma sempre indiretto, spesso facendo uso di sottintesi e frasi a doppio senso.
      Non è un discorso di voluta ambiguità – che nel caso del Santo Padre non manca, l’ambiguità! -, ma un diverso modo di esprimersi legato a diverse tradizioni e culture.

      Per esempio: una volta io, a Roma, nel parco di una casa sacerdotale, stavo discutendo in modo amabilmente animato con un prete, entrambi alzando la voce e smanettando. Accorsero poco dopo un gruppetto di preti originari di diversi paesi del latinoamerica a chiedere se tutto andava bene. Noi rispondemmo: «Certamente!».
      Loro seguitarono a rimanere sbalorditi e perplessi, visto il modo in cui discutevamo, perché stavano temendo che da un momento all’altro potessimo prenderci a cazzotti.
      E questo servì a loro – che solo da poche settimane si trovavano a Roma -, per capire il nostro modo del tutto diverso di rapportarci e di dialogare in privato ma a volte anche in pubblico.

      Né Padre Giovanni Cavalcoli né io abbiamo mai negato che in Amoris laetitia vi siano passi non chiari, lo prova il fatto che alcune Conferenze Episcopali, in modo del tutto illecito, stanno concedendo l’accesso all’Eucaristia ai divorziati risposati dopo due chiacchiere di pochi minuti fatte con un prete che dovrebbero essere un “prudente e attento discernimento” del problema, ossia come stanno facendo in Italia i Vescovi siciliani, degni figli del Gattopardo, incuranti che comunque, nessun documento consente loro di ammettere all’Eucaristia persone che vivono in situazioni matrimoniali irregolari, neppure dopo “prudente e attento discernimento” del problema.

      Ecco perché, noi stessi, più volte, abbiamo chiesto che il Santo Padre facesse luce, semmai con la pubblicazione di una guida da parte della Congregazione per la dottrina della fede o con un suo breve motu proprio.

      Ciò che invece non abbiamo mai fatto, è di accusarlo di “non avere mai pronunciato eresie ma, con il suo atteggiamento ambiguo, di indurre altri a farlo, quindi avallando le eresie altrui”.

      Questo non lo abbiamo mai fatto, né mai potremmo farlo.

      • fabriziogiudici dice:

        Cari padri,

        quello che intendevo io con “atteggiamento virile” non era tanto legato all’intensità della forma della comunicazione, quando alla presa di responsabilità in prima persona. Per esempio: discutere direttamente con l’interlocutore, non facendo dire cose da altri. Non tenere un atteggiamento apparentemente benevolente e “misericordista” in una polemica, lasciando poi ai collaboratori il compito di intervenire con toni più diretti… eccetera. Per non parlare dei provvedimenti repressivi, sempre fatti mettere in pratica da altri, per non intaccare l’immagine “misericordista”… Spero di essermi spiegato.

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