Davvero «il proselitismo è una solenne sciocchezza», come ha detto il Santo Padre Francesco? Alcune cose da chiarire su “proselitismo” e “ecumenismo”

DAVVERO IL «IL PROSELITISMO È UNA SOLENNE SCIOCCHEZZA» COME HA DETTO IL SANTO PADRE? ALCUNE COSE DA CHIARIRE SU “PROSELITISMO” ED “ECUMENISMO”

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In un’intervista del 2013 il Sommo Pontefice Francesco affermò: «Il proselitismo è una solenne sciocchezza» [cf. QUI]. Alcuni cattolici accusarono il Successore di Pietro di demolire la dottrina cattolica e di contraddire il precetto evangelico che comanda: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato» [Mc 16, 15-16]». Oggi, gli stessi stanno rilanciando queste accuse mentre il Sommo Pontefice è in procinto di recarsi in Svezia per partecipare alla celebrazione dei 500 anni della psuedo “riforma” luterana …

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Autori:

Autore Giovanni Cavalcoli OP

Giovanni Cavalcoli, OP

Autore Padre Ariel

Ariel S. Levi di Gualdo

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Francesco dona calice a luterani

Il Santo Padre Francesco in visita alla Comunità luterana di Roma

In un’intervista del 2013 il Sommo Pontefice Francesco affermò: «Il proselitismo è una solenne sciocchezza» [cf. QUI]. Alcuni cattolici accusarono il Successore di Pietro di demolire la dottrina cattolica e di contraddire il precetto evangelico che comanda: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato» [1]. Oggi, gli stessi stanno rilanciando queste accuse mentre il Sommo Pontefice è in procinto di recarsi in Svezia per partecipare alla celebrazione dei 500 anni della psuedo “riforma” luterana; una visita che forse poteva anche evitare, dato che niente noi cattolici abbiamo da festeggiare dinanzi all’eresiarca Lutero. Il Vicario di Cristo in terra non necessita certo delle nostre difese d’ufficio, merita però ricordare che il proselitismo, nella sua accezione negativa, non è stato condannato solo dal Santo Padre Francesco, ma da Gesù Cristo in persona: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che percorrete la terra e il mare per fare un solo proselito e, ottenutolo, lo rendete figlio della geenna peggio di voi!» [2].

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Più volte il Santo Padre Francesco ha definito il proselitismo come contrario all’ecumenismo, forse non chiarendo i guai che di per sé il proselitismo può creare. Procediamo allora noi a chiarire, a partire dallo stesso termine che potrebbe essere frainteso da chi non conosce anzitutto la radice etimologica delle parole. Esso deriva infatti da “proselito”, dal greco prosèlytos, lemma usato nel Nuovo Testamento per indicare il “convertito”, alla lettera: colui-che-si-è-avvicinato [3]. L’origine della parola non ha nulla di spregiativo o sconveniente. In origine “proselitismo” vuol dire semplicemente “far proseliti”, il che è evidentemente un’opera buona. Sennonché già Cristo indica un modo del tutto sbagliato per far proseliti:

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«Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che percorrete la terra e il mare per fare un solo proselito e, ottenutolo, lo rendete figlio della geenna peggio di voi!» [4].

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Da qui nasce il senso negativo del proselitismo. Occorre quindi fare attenzione a come annunciamo il Vangelo, a come esortiamo gli uomini a convertirsi e ad avvicinarsi a Cristo e alla Chiesa, con quali mezzi, con quale metodo, con quale animo, per qual fine. Bisogna poi interrogarci: è il vero Vangelo quello che annunciamo, o sono idee raccattate da impostori della teologia alla moda? Nell’opera di evangelizzazione, seguiamo le indicazioni che ci vengono dalla Chiesa o agiamo per attirare le simpatie del mondo? Vogliamo in quest’opera affermare le nostre idee e attirare discepoli che ci applaudano, o insegnare umilmente e coraggiosamente ciò che insegna la Chiesa accettando sofferenze e contrarietà? Siamo mossi da autentico spirito di servizio e da compassione per i peccatori, o semplicemente dal desiderio di imporci sugli altri con le nostre novità dottrinali?

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Il proselitismo non punta sulla persuasione, ma sulla suggestione, non fornisce segni di credibilità, ma gioca sul sentimento, non mostra le cose ardue, ma solo le comodità. Non dimostra la ragionevolezza del credere, ma stimola le emozioni, nasconde da una parte i difetti dei propri correligionari ed esagera le loro qualità, mentre dall’altra denigra la religione della controparte. Usa mezzi sleali per convincere, o esercita indebite pressioni, prospettando magari vantaggi inesistenti. Tace sulle difficoltà della religione che gli propone e solletica le sue passioni, non stimola la responsabilità, ma crea delle persone plagiate. Non forma delle persone libere, ma crea, come nel caso degli islamisti, dei pecoroni e dei fanatici, pronti all’occorrenza ad uccidere chi non accetta la conversione forzata, ignari che il dono della libertà e del libero arbitrio è contenuto nel mistero stesso della creazione dell’uomo, al quale Dio si è sempre proposto nel corso dell’intero Mistero della Rivelazione, mai si è imposto, tanto meno con violenza.

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Il proselitismo è contrario all’ecumenismo non perché il proselitismo voglia persuadere la controparte della bontà dei valori che le propone, questo c’è anche nell’ecumenismo; né perché il proselitista vuol convincere il fratello separato ad entrare nella Chiesa Cattolica — pur essendo invece questo il fine ultimo dell’ecumenismo —, ma perché il proselitista si rifiuta di ammettere che la controparte conserva certi valori del cattolicesimo, o perché non vuole ammettere certi errori storici della Chiesa, o perché il proselitista tratta il fratello con disprezzo o alterigia. Il proselitismo, quindi, è un eccesso di zelo, o uno zelo sleale, per sua natura amaro e aggressivo nel compiere un’opera in sé importantissima e doverosissima: l’evangelizzazione. Esso è privo di motivazioni e finalità soprannaturali e si basa su metodi e fini meramente umani, poco puliti o disonesti, a volte solo nazionalistici, politici o di potere. È un lavoro in sé buono, ma compiuto male, in modo tale che si ottengono risultati illusori o controproducenti: o il fratello resta ingannato, o abbraccia il cattolicesimo su basi fasulle, o abbraccia un falso cattolicesimo. In questi casi i “convertiti” non sono veri convertiti, ma persone che fingono di credere per ottenere vantaggi temporali o per non essere perseguitati o emarginati.

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Il Concilio Vaticano II insegna al n. 3 della Unitatis Redintegratio : «All’unico corpo di Cristo sulla terra» ― la Chiesa Cattolica ― «bisogna che siano pienamente incorporati tutti quelli che già in qualche modo appartengono al Popolo di Dio», cioè i cristiani non cattolici, appartenenti a «comunità non piccole, che si sono staccate dalla piena comunione della Chiesa Cattolica». Quindi devono riunirsi alla Chiesa Cattolica. Queste comunità, pur avendo talvolta delle «carenze» gravi − eresie – che «costituiscono impedimenti alla piena comunione ecclesiastica», mantengono tuttavia «una certa comunione, sebbene imperfetta, con la Chiesa Cattolica».  Esse infatti, benchè «non godano di quella unità, che Gesù Cristo ha voluto elargire a tutti quelli che ha rigenerato e vivificati insieme per un sol corpo e per una  vita nuova», tuttavia «conservano alcuni elementi ed anzi parecchi e segnalati» – dogmi –, «dai quali la stessa Chiesa Cattolica è edificata e vivificata. Tutte queste cose provengono da Cristo e a Lui conducono, per cui esse appartengono all’unica Chiesa di Cristo», che è la Chiesa Cattolica, la quale possiede «la pienezza della grazia e della verità», per cui «solo per mezzo della Cattolica Chiesa di Cristo, che è lo strumento generale della salvezza, si può ottenere tutta la pienezza dei mezzi della salvezza». Tuttavia «lo Spirito di Cristo non ricusa di servirsi di queste comunità come di strumenti di salvezza», strumenti utili ma non sufficienti.

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Le comunità non-cattoliche posseggono quindi solo alcuni mezzi di salvezza e per questo, per averli tutti, devono entrare nella Chiesa Cattolica, la quale sola possiede la pienezza dei mezzi della salvezza.

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Da questo documento conciliare risulta che, sebbene esistano divisioni tra cristiani, ciò non comporta che la Chiesa cattolica sia divisa in se stessa o che l’attuale contrasto fra la Chiesa cattolica e le altre chiese si risolva nell’unione di tutte in una supposta «Chiesa» più vasta e superiore, che le abbracci tutte, perché questo è falso ecumenismo. Questa supposta “Chiesa”, suprema e superiore alla stessa Chiesa cattolica, non esiste, perchè la Chiesa, l’unica fondata da Cristo, non è altro che la Chiesa Cattolica Romana, una e indivisibile, quindi, in questo senso, una Chiesa Cattolica divisa dalle altre o in se stessa, che dovrebbe confluire con le altre in una super-Chiesa, non è mai esistita, né mai esisterà.

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L’esistenza di comunità non-cattoliche separate da Roma non è il segno che l’unità della Chiesa si è spezzata, che la Chiesa è per così dire “frantumata”, per cui le parti o i pezzi di Chiesa ― le varie Chiese ― andrebbero ricondotte all’unità, a somiglianza di un vaso, che va ricomposto riunendo tra di loro i pezzi, perché le cose, da come risulta sempre dal n. 3 di questo documento, non stanno così. L’immagine che invece esso ci suggerisce  ― «si sono staccate» ― è quella del tralcio che si stacca dalla vite [5]. Il fenomeno delle comunità non-cattoliche non è il segno che la vite si è lacerata, non è il segno che essa è, per così dire, andata in brandelli: è evidente infatti che in tali condizioni la vite non potrebbe neanche vivere, ma suppone una vite ben viva e robusta, dalla quale si sono staccati dei tralci. Un conto infatti è la separazione tra A e B e un conto è la separazione di A da B. Il fenomeno delle comunità dissidenti è del secondo tipo e non del primo. Sono i tralci che non possono vivere senza la vite, non viceversa. E se le comunità di fratelli separati vivono ancora, vuol dire che non si sono staccati del tutto, ma che conservano una certa unione con la vite. È questo che il Concilio intende, quando dice che le comunità dissidenti non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica.

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Vi sono però anche i falsi ecumenisti che dicono: non dobbiamo metterla così sul tragico. Non si tratta di lacerazioni o cose del genere. Le comunità cosiddette «separate» da Roma non sono propriamente separate, ma semplicemente “diverse”. Ora, la diversità è una ricchezza, non è un difetto. Quindi non va tolta, ma rispettata e promossa. Per questo, Roma, non può pretendere che tutte le altre comunità siano uguali a se stessa. Si tratta dunque, secondo loro, di un fenomeno positivo, un fenomeno di pluralismo e diversità, di diversi modi, parimenti legittimi, di vivere il Vangelo e di essere cristiani. Da qui le “molte fedi” e il prevalere dell’interesse per la diversità a scapito della verità, come uno che apprezzasse il malato perché è “diverso” dal sano. Costoro concepiscono la fede come fosse un’opinione: come ci sono molte opinioni, così ci sono “molte fedi”. Ma la fede è verità e la verità come adesione all’oggetto è una sola. Se Gesù è Dio, negare che Gesù è Dio non è una fede diversa, ma è una fede falsa. Se Dio è Trino, negare che Dio sia Trino non è una fede diversa, è una falsità e così via. Esistono bensì molte verità di fede, nel senso che esistono molti dogmi; ma per ognuno di essi si dà una sola interpretazione, quella data dalla Chiesa, al di fuori della quale non ce ne sono altre.

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Costoro concepiscono l’unità e il pluralismo della Chiesa sul modello della Confederazione Elvetica: non un solo ovile con un solo pastore, ma una federazione di ovili sotto un collegio di pastori. Ma se qui Gesù parla al futuro ― «diventeranno» ―  non intendeva dire che l’unità della Chiesa sotto di Lui è una meta escatologica, ma si riferiva semplicemente al fatto che allora Gesù la stava convocando, stava raccogliendo le pecore ― «ho altre pecore» ― perché era il momento della formazione della Chiesa. Ma essa, ai tempi di San Paolo è già formata, è già «un solo corpo, un solo Spirito, una sola speranza, un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo» [6], anche se essa è come un corpo organico con molteplici diversificate funzioni sotto un solo capo, Cristo, il cui Vicario in terra è Pietro [7].  

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Da come il Concilio presenta l’ecumenismo, vediamo quanto siano invece false quelle concezioni di ecumenismo che vorrebbe presentarsi come interpretazione della dottrina conciliare e che vorrebbe chiamare “proselitismo” proprio quello che invece il Concilio prescrive. Tale falsa interpretazione, infatti, pretende che ecumenismo voglia dire limitarsi a prendere atto delle posizioni del fratello separato nell’idea che esse riflettano semplicemente un “diverso” cammino di salvezza, che va rispettato nella sua diversità, per cui si perde di vista la presenza in quelle posizioni, di errori che necessitano di essere confutati e quindi si trascura di aprire al fratello l’ingresso nella Chiesa cattolica.

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Il vizio per difetto nel campo dell’ecumenismo, tipico del modernismo, è dato dalla negligenza, effetto a sua volta dell’indifferentismo e del relativismo, che è un falso ecumenismo. Il falso ecumenista confonde il valore della verità con quello della diversità. L’ecumenista modernista non si cura dell’oggettività e dell’universalità del vero nella sua assoluta opposizione al falso, ma bada solo alla diversità e ne fa un assoluto, un idolo, al quale sacrifica la distinzione tra vero e falso, riducendo tutto al soggettivo, all’opinabile e al “diverso”. Per lui, colui che è caduto in eresia, non è vittima del falso, ma è semplicemente un “diverso”, così come semplicemente un francescano è diverso da un domenicano. Il fratello separato non deve quindi essere corretto, ma lasciato nella sua idea, così come a nessun domenicano viene in mente di dire a un francescano che per salvarsi deve farsi domenicano, anche se i tomisti non sempre concordano con gli scotisti.

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Oggi, con la scusa dell’ecumenismo, del pluralismo e della libertà di pensiero, non ci si accorge dei fratelli in pericolo, di chi vive «nelle tenebre e nell’ombra della morte», per cui non si fa niente per salvarli. Si risponde a Dio che chiede conto del fratello: «Sono forse il custode di mio fratello»? [8]. Ecco allora che per ignavia, negligenza, scetticismo, paura, opportunismo o accondiscendenza al peccato, non si comprende o non si vuol comprendere che l’ammonire il peccatore nei modi dovuti e al momento giusto non è un litigare, un condannare, un importunarlo o fargli violenza, non è uno strapparlo alle sue giuste convinzioni, ma è esser un medico premuroso che offre la cura, è un’opera di misericordia.

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Altra concezione sbagliata dell’ecumenismo è quella che lo concepisce come un semplice “incontrarsi a mezza strada” tra cattolici e non-cattolici, come se l’una e l’altra parte dovesse lasciare qualcosa per incontrare l’altra. Ora questo può esser vero e doveroso sul piano umano e della carità, ma non in rapporto alle esigenze della verità, che sono quelle che caratterizzano maggiormente l’ecumenismo. Infatti, per fermarci al solo rapporto con i luterani, che è il massimo problema dell’ecumenismo, questi fratelli devono rendersi conto che non è Roma che deve lasciarsi correggere da Lutero, ma sono loro che devono lasciarsi correggere da Roma. Quindi Roma può e deve andar loro incontro nella carità, ma il percorso della verità devono farlo tutto loro fino a Roma, che li aspetta con le braccia aperte, non possiamo certo essere noi ad andare a celebrare Lutero, come se costui fosse stato veramente un riformatore.

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Un’altra forma di ecumenismo sbagliato è quella di quei cattolici che, sulla base di loro studi da loro considerati più avanzati, si permettono di accusare di ingiustizia e di eccessiva severità le condanne contro Lutero pronunciate dal Pontefice Leone X e dal  Concilio di Trento, quasi che la Chiesa non si sia accorta che su certi temi luterani da essa considerati eretici, egli non fosse eretico, ma cattolico. Ora, se un simile giudizio può valere contro certi avversari di Lutero passionali, sbrigativi, effettivamente ingiusti ed eccessivamente severi, che hanno frainteso certe sue intenzioni e posizioni, questo giudizio è del tutto insensato e gravemente ingiurioso e presuntuoso, se riferito agli interventi fatti dalla Chiesa, soprattutto da parte di studiosi che si dicono cattolici, i quali dimenticano che la Chiesa, se è infallibile nell’insegnarci la verità di fede, sarà infallibile anche nell’indicarci ciò che le è contrario.

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Il vero ecumenismo si inquadra con tutte le sue conseguenti difficoltà nell’esercizio più ampio della evangelizzazione compiuta nella carità, nella giustizia e nella misericordia. Pertanto, esso assume alcuni paradigmi evangelici, come i seguenti: esso fa capo anzitutto alle parabole del figliol prodigo e della pecorella smarrita, senza dimenticare la parabola del re che fece un banchetto di nozze per suo figlio e manda i servi a chiamare gli invitati alle nozze [9]. La Chiesa cattolica è questo banchetto e gli invitati sono i fratelli separati. Sappiamo bene che molti di essi non si sentono affatto figli prodighi o pecorelle smarrite, ma grandi teologi e biblisti. E non vedono nella Chiesa cattolica nessun banchetto, ma solo cibi grami e andati a male, o al massimo uno di quegli incontri studenteschi dove per poter mangiare bisogna portarsi dietro del proprio. Ma questo vuol dire allora che compito iniziale e irrinunciabile dell’ecumenismo è che i cattolici facciano capire a questi fratelli, con ogni carità, competenza e pazienza, che hanno bisogno di conversione e che la luce del mondo non sono loro, ma la luce viene da Roma.

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Il Beato Pontefice Pio IX, nell’imminenza della convocazione del Concilio Vaticano I, scrisse la Lettera Apostolica Iam vos omnes [10] ai protestanti per invitarli a congiungersi alla Chiesa Romana. Una iniziativa simile la prese anche il Venerabile Pontefice Pio XII nell’Enciclica Mystici corporis [11] del 1943. Purtroppo la risposta è stata assai debole. Nel frattempo erano frequenti gli incontri ecumenici fra non-cattolici, ma il Papato, sul momento, non fu favorevole a che vi partecipassero anche i cattolici, per il timore che si potesse in qualche modo diffondere l’idea tra i dissidenti che Roma avesse rinunciato al suo primato. Intanto però cresceva tra molti cristiani, cattolici e non-cattolici, forse anche come reazione agli orrori della recente guerra mondiale, il desiderio di ritrovarsi assieme nei valori comuni. È accaduto così che il Concilio Vaticano II è andato incontro a questo desiderio col decreto sull’ecumenismo, nel quale però si ribadisce con tutta chiarezza il valore del primato pontificio e della stessa Chiesa cattolica.

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Le attività ecumeniche spettano a tutti i cristiani desiderosi dell’unità e della comunione, ma è evidente che il Sommo Pontefice, come Vicario di Cristo, padre comune di tutti i cristiani, principio, garante, custode e promotore dell’unità di tutti i figli di Dio, non può non sentire sommamente il desiderio che tutti i discepoli di Cristo attualmente separati o dissidenti entrino pienamente nella Chiesa da Lui fondata e non si sentano coinvolti in prima persona ad operare tutto il possibile per questo scopo. Le continue visite che i Papi dalla fine del Concilio fanno nei loro viaggi ai fratelli separati, esprimono e incarnano la speranza di tutti i cattolici che questi fratelli, come dice il Concilio, «siano pienamente incorporati» alla Chiesa cattolica.

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Nell’ecumenismo i teologi delle due parti svolgono una funzione importante nel chiarimento e nella proposta di soluzioni delle vertenze sempre aperte. I teologi cattolici operano con efficacia nei confronti della controparte non-cattolica mostrandole i punti della dottrina cattolica assenti nella loro teologia, rispondendo al tempo stesso alle obiezioni contro il cattolicesimo. Ma è chiaro che nei punti che maggiormente riguardano la dottrina della fede, solo il Romano Pontefice può dire l’ultima parola, per ribadirli, o per chiarirli o per correggere o per rispondere alle difficoltà. Tali punti che impegnano la fede e non la semplice teologia, possono essere quindi trattati con definitiva autorevolezza solo dal Sommo Pontefice.

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Il fratello separato, quindi, non è semplicemente un “diverso” da rispettare e lasciare com’è, da “lasciar libero”, come alcuni dicono, perché questa è una comoda scusa per scaricarsi delle proprie responsabilità. Il fratello separato è un fratello che sbaglia, in buona o cattiva fede, che è in pericolo di perdersi, quindi va aiutato, avvertito e corretto, sempre naturalmente che si lasci correggere. Certo, a rimproverare o smascherare il superbo c’è solo da tirarsi addosso il suo odio con la conseguenza che faccia di più e di peggio. A Gesù stesso è costato caro rimproverare i farisei, ma d’altra parte, non dobbiamo seguire il suo esempio? E non hanno fatto così tutti i santi? Qual è quel santo che non si è tirato addosso l’odio del mondo e dei falsi fratelli? Chi non si preoccupa del peccatore e non lo rimprovera, potendo farlo, dice di amarlo, ma in realtà odia lui e se stesso. Non dimentichiamoci che anche il rimprovero fatto nei dovuti modi è carità, anche questo è ecumenismo. Non è carità solo la misericordia, ma anche la severità.

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L’ecumenismo comporta due finalità. Esso ha come fine immediato e più specifico quello di fare in modo, per mezzo del dialogo e di una comune ricerca, che tutti i cristiani si ritrovino assieme nella condivisione delle medesime verità fondamentali, che sono rimaste a tutti comuni, pur dopo le rotture. Occorre qui conoscersi meglio, con maggior benevolenza e con un metodo storico-critico più efficace di quello del passato, dissipare alcuni equivoci o correggere alcuni errori interpretativi del passato., illustrare meglio le verità comuni.

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Questo ritrovarsi insieme nelle medesime verità, è già una grande conquista, è una meta alta e bella, fonte di concordia e di pace; però, non è fine a se stessa, c’è ancora del cammino da fare, perché essa è solo la base per la prosecuzione di un dialogo proficuo e costruttivo, che ha come fine ulteriore quello di mettere sul tavolo con franchezza, oggettività, serenità e speranza i punti controversi. È a questo punto che occorre più che mai invocare lo Spirito Santo. È questo il punto più difficile, dove il dialogo oggi si è inceppato e a volte è stato anche falsificato. Bisogna avere il coraggio di andare oltre, verso la meta finale. Infatti, mentre i cattolici si fanno troppo riguardi, sembrano intimiditi, senza prendere iniziative apostoliche davanti alle posizioni rigide e fiere dei non-cattolici, questi ultimi ― pensiamo soprattutto ai teologi protestanti ― pare invece abbiano fatto tacitamente o esplicitamente un patto scellerato, una liaison dangereuse, con i teologi modernisti, al fine di far penetrare le idee protestanti tra i cattolici, in una forma subdola e mascherata, sotto colore di “progressismo”, in modo che i cattolici diventino di fatto protestanti senza accorgersene e credendo di restare cattolici, dando in tal modo vita ad una colossale falsificazione dell’ecumenismo.

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Facciamo un esempio di questo stallo nel quale appare con evidenza la resistenza dei dissidenti e la debolezza delle argomentazioni e prese di posizione dei cattolici, i quali spesso, anziché sostenere l’autorità pontificia con buone ragioni, confutando le posizioni protestanti, mostrando scarso rispetto per l’Autorità Pontificia o disprezzandone l’esercizio post-conciliare, come fanno i lefebvriani; oppure indebolendone la forza dottrinale, come fanno i modernisti. Ma ecco l’esempio: verità di fede accettata da tutti i cristiani è che Cristo è il capo celeste della Chiesa, ma, al di fuori dei cattolici, tutti gli altri credono essere verità di fede che Cristo non governi la Chiesa terrena per mezzo di un Vicario da Lui stabilito, ossia il Sommo Pontefice, successore di Pietro, come capo visibile di tutti cristiani su questa terra, ma la governa direttamente per mezzo dello Spirito Santo.

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L’idea del Romano Pontefice come capo della Chiesa e rappresentante di Cristo in terra, agli occhi dei non-cattolici sarebbe un’invenzione umana, un sopruso di Roma, desiderio di dominio, nostalgia dell’Impero romano, sviante e pericolosa, perché il Sommo Pontefice, che è uomo fallibile come tutti gli altri, anziché condurci a Cristo, potrebbe metterci contro di Lui. Il Sommo Pontefice, al massimo, potrà essere il Vescovo di Roma, o un vescovo come tutti gli altri, Successore di Pietro solo perchè Pietro è stato Vescovo a Roma, ma non può pretendere di essere il Vescovo della Chiesa universale. Per loro, Cristo, non avrebbe affatto voluto un capo visibile suo Vicario, ma la Chiesa terrena sarebbe già abbastanza bene organizzata come un insieme di comunità unite sotto la guida di Cristo e dello Spirito Santo. Quali guide più infallibili di queste? Sarebbe questa, secondo loro, la vera volontà di Cristo. Ecco un tema importantissimo, circa il quale noi cattolici siamo chiamati a fornire prove e a mostrare ai fratelli separati, con ogni carità e saggezza, ma anche con sicura competenza ed indefettibile fermezza e chiarezza, la via per avvicinarsi a Roma e, come dice il Concilio, affinchè, sotto la mozione Spirito Santo, «siano pienamente incorporati» nella Chiesa. Non dobbiamo, su di un punto come questo, rassegnarci alla loro incredulità o dar loro l’impressione che diamo loro ragione, o che andiamo a festeggiarli, anziché a correggerli.

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L’ecumenismo comporta anche due livelli di attuazione. Essi sono quello dottrinale e quello caritativo, i quali si implicano e si sostengono a vicenda. Ci si basa sul primo per passare al secondo. Il secondo, tuttavia, è di immediata e facile attuazione, mentre il primo, almeno nella sua pienezza finale, è molto difficile da conseguire e non è stato ancora pienamente raggiunto. Il livello dottrinale è quello più specifico, e non è altro che un’applicazione del dovere generale della evangelizzazione nel campo dei rapporti dei cattolici con i cristiani non-cattolici. La evangelizzazione, in generale, è l’annuncio del Vangelo, per mezzo del quale, con l’aiuto dello Spirito Santo, conduciamo il mondo ad obbedire a Cristo.

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Con l’ecumenismo, noi cattolici, sulla base dell’accettazione comune, insieme con i fratelli separati, di quelle verità di fede che abbiamo con essi in comune, ci adoperiamo affinchè essi, liberati dagli «impedimenti» e da quelle «carenze», che fanno da ostacolo alla loro assunzione della «pienezza di quella verità che è stata affidata alla Chiesa cattolica» possano, sotto la mozione dello Spirito Santo, essere «pienamente incorporati» nella Chiesa cattolica [12].

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Il cattolico, nell’esercizio di questo delicato aspetto o livello dell’ecumenismo, deve fare molta attenzione a distinguere bene la dottrina cattolica in se stessa, nella sua divina pienezza, infallibilmente e perfettamente custodita dal Magistero della Chiesa, al quale deve sempre far capo con totale fedeltà, dalla sua personale cultura cattolica, la quale, per quanto pura e ortodossa, non può essere infallibile, per cui essa può, su qualche punto, essere lacunosa o erronea, senza che egli se ne renda conto. Per questo, mentre un non-cattolico non può permettersi di correggere o integrare la dottrina cattolica come tale, può benissimo, in forza della sua conoscenza delle verità della fede cristiana, correggere o istruire un cattolico, che manca su di un dato punto.

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L’altro livello dell’ecumenismo è un’applicazione della virtù generale della carità al campo specifico dell’ecumenismo. E qui è chiaro che se nel campo dottrinale il cattolico farà da guida al non-cattolico e lo aiuterà a correggersi dai suoi errori e a colmare le lacune, come insegna il Concilio, in questo aspetto della carità è d’obbligo una reciprocità, giacchè il cattolico come il non-cattolico non sfuggono alla comune condizione di peccatori, figli di Adamo, dotati nel contempo da Dio di doni reciprocamente complementari, che devono essere messi a frutto a vantaggio l’uno dell’altro. E benchè il cattolico in linea di principio disponga di maggiori e migliori mezzi di grazia che non il dissidente, non si può escludere che questi sia più virtuoso e meno peccatore, grazie a una maggiore buona volontà e ad un migliore impiego dei mezzi soprannaturali a sua disposizione.

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L’ecumenismo, espressione indubbia della carità fraterna, racchiude i propri profondi benefici ed è una buona regola di convivenza pacifica tra cattolici e non-cattolici. Ora, la carità fraterna si muove in una duplice direzione: operare il bene e togliere il  male. Esiste dunque una carità promotrice e una carità correttiva. Entrambe hanno la loro applicazione nell’ecumenismo. Infatti, nell’ambito della promozione del bene, l’ecumenismo incentiva l’umiltà, la lealtà, l’onestà, l’amore alla verità, la reciproca comprensione e solidarietà, il comune impegno per le opere della giustizia e della misericordia, per il bene pubblico e per i diritti umani, per la promozione delle scienze, delle arti e della cultura, una comune testimonianza cristiana, laddove esistono valori comuni.

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Ci sono poi due modi per togliere il male nel fratello: o la compassione, grazie alla quale liberiamo il fratello dal male di pena, cioè dalla sofferenza, o la correzione o ammonizione, per la quale lo liberiamo dal male di colpa, dal peccato e dall’errore. Nell’uno e nell’altro caso, affinchè l’operazione riesca, bisogna che il fratello ci metta la buona volontà. Non c’è peggior malato di quello che non vuol guarire e non c’è peggior peccatore di quello che non si pente.

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In questo campo della carità, sia la compassione che lo zelo della correzione devono spingere il cattolico a guidare il fratello separato verso la pienezza della verità e della comunione con la Chiesa. Il dissidente, dal canto suo, deve ascoltare gli impulsi dello Spirito di verità e di amore, che lo spingono ad abbandonare i suoi errori e cattive abitudini, non conformi alla pienezza della virtù cristiana e a cercare la piena comunione con la Chiesa.

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Dall’Isola di Patmos, 19 ottobre 2016

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NOTE

[1] Mc 16, 15-16

[2] Mt 23,15

[3]  Cf. Mt 23,15; At 2,11; 6,5; 8,27; 13,26; 13,43.

[4] Cf. Mt 23,15.

[5] Cf. Gv 10,16

[6] Cf Ef 4,4-5

[7] Cf. Rm 12, 4-8;I Cor 10,17; 12, 12-31; Col 3,15

[8] Cf. Gen 4,9

[9] cf Mt 22,3

[10] Denz. 2997-2999

[11] Denz. 3821-3822.

[12]  Cf. n. 3 Unitatis redintegratio.

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1 commento
  1. Antonio dice:

    A voler difendere a tutti i costi si riesce a difendere anche l’indifendibile! Perché mai in duemila anni di missioni per convertire o far proseliti,con martiri e sacrifici, oggi per difendere un chiaro pensiero del papa, suffragato da una serie di atti, di parole, di iniziative che dovrebbero far rizzare i capelli anche a voi, oggi all’improvviso si vanno a fare le pulci a chi oggi obbedisce al comando del Signore, scrutandone le intenzioni ( nell’articolo tutte negative) a cui per giunta il papa non ha fatto riferimento. Mi dite qual’è l’utilità che apportate al fedele disorientato? Ricordate che l’incendio ha quasi divorate le scale, e siamo riuniti tutti sul solaio e quando crollerà ci sarete anche voi, a meno che non saltiamo su un’altra barca, che proprio perché ” un’altra” non sarà quella di Cristo! Mi aspetto una risposta caritatevole!

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