Massimalismo ed eroismo. L’opportunismo di Andrea Grillo che tenta di giocare tra “Amoris Laetitia” e “Veritatis Splendor”. Con appendice postuma sul caso dell’Arcivescovo Luigi Negri

Padre Giovanni

— difendere il Santo Padre dai falsi amici —

MASSIMALISMO ED EROISMO. L’OPPORTUNISMO DI ANDREA GRILLO CHE TENTA DI GIOCARE TRA AMORIS LAETITIA E VERITATIS SPLENDOR. CON APPENDICE POSTUMA SUL CASO DELL’ARCIVESCOVO LUIGI NEGRI

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Le idee morali di Andrea Grillo producono dei Don Abbondio, pronti ad obbedire al primo briccone che capita, dei furbi che vogliono farla franca a poco prezzo e con l’aurea del profeta, dei giullari di corte o degli adulatori del padrone che li paga bene, dei machiavellici al servizio del dittatore, degli opportunisti spinti dal vento che tira, dei Talleyrand che stanno sempre a galla, abili nel salvare la pelle in ogni circostanza, dei pavidi pronti ad inginocchiarsi fino a terra ed a baciare i piedi del primo prepotente che fa la voce grossa. Pertanto, certe idee e modi di agire, non producono il volo dell’aquila, ma lo starnazzare della gallina nel pollaio.

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Autore
Giovanni Cavalcoli, O.P.

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Ti scongiuro di conservare senza macchia e irreprensibile il comandamento fino alla manifestazione del Signore Nostro Gesù Cristo [I Tm 6,14]

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Giovanni Cafarra

Giovanni Cavalcoli nel convento domenicano di Bologna con il Cardinale Carlo Caffarra in occasione dell’apertura della fase diocesana del processo di beatificazione del teologo domenicano Tomas Tyn

Andrea Grillo è intervenuto il 3 maggio scorso sul suo sito Rivista Europea di Cultura con un breve articolo intitolato «Amoris Laetitia: Oltre Veritatis Splendor, ovvero al di qua del massimalismo morale» [cf. testo leggibile QUI]», nel quale vede nell’Amoris Laetitia un contrasto, anzi un approccio alla questione del rapporto fra legge morale e circostanze dell’atto morale, «che non sarebbe esagerato definire “diametralmente opposto”» rispetto alla Veritatis Splendor di San Giovanni Paolo II, che secondo lui sarebbe inficiata di «massimalismo», «razionalismo» e disprezzo per la «tradizione», mentre l’Amoris Laetitia, «realizza con grande forza e con vera profezia un recupero della tradizione», per cui essa «elabora, nel cap. VIII, una comprensione delle “ferite della famiglia” in cui si propone una relazione tra “norme” e “discernimento” che recupera una antica sapienza ecclesiale, rispetto a cui una “morale fredda da scrivania” [cf. Amoris laetitia, 312] aveva preteso di prendere le distanze in modo drastico e massimalistico».

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Questa contrapposizione fatta da Grillo fra questi due grandi documenti pontifici è del tutto falsa e sofistica, calunniosa verso San Giovanni Paolo II e smaccatamente  adulatoria nei confronti di Papa Francesco, secondo un riprovevole costume che si è diffuso fra gli adulatori modernisti del Pontefice regnante, come per esempio anche Enzo Bianchi. Semmai si deve dire che i due documenti si completano e si illuminano a vicenda, poiché mentre l’Enciclica di Giovanni Paolo II si ferma di più su alcuni princìpi di fondo della teologia morale, l’Esortazione apostolica di Papa Francesco prende in maggiore considerazione le condizioni, le circostanze e le modalità, nelle quali il soggetto agente deve applicare, nel caso della vita matrimoniale, la legge morale.

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Come sciocca è l’accusa fatta da alcuni al Papa di relativizzare la legge morale, o di mettere in dubbio l’indissolubilità del matrimonio o addirittura la sacralità dell’Eucaristia, quasi a favorire il lassismo morale, altrettanto sciocca è l’accusa fatta da Grillo a un Santo Pontefice, espertissimo nella cura pastorale, di “massimalismo” morale, ossia di astrattezza, rigidezza, eccessive esigenze, troppa severità e scarsa comprensione delle debolezze umane, quasi chè mancasse di misericordia e di senso delle circostanze.

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Non c’è dubbio che non solo per il Santo Pontefice Giovanni Paolo II, ma anche per il Santo Padre Francesco l’adulterio è un intrinsece malum, giacché questo concetto, come risulta chiaramente dalla Veritatis Splendor, è necessariamente connesso con le parole di Cristo stesso sull’indissolubilità del matrimonio e la proibizione dell’adulterio.

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Diverso però è il caso dell’adulterio e dello scioglimento del matrimonio. L’adulterio è sempre proibito senza eccezioni. Nel secondo caso, invece ― a parte la legge mosaica in merito mutata da Cristo ―, San Paolo dà il permesso al coniuge credente, la cui fede è messa in pericolo dal coniuge non-credente, di lasciarlo, sicché il matrimonio viene sciolto. È il cosiddetto privilegio paolino. Così troviamo scritto nel Dizionario di Teologia Morale diretto dal Cardinale Francesco Roberti [1], alla  voce privilegio paolino: «Il cosiddetto privilegio paolino è contenuto in I Cor  7, 11-16. […] Per esso può sciogliersi solo il matrimonio legittimo, anche consumato, cioè quello contratto da due non battezzati, se uno di essi si converta alla religione cristiana. Non si applica al matrimonio tra un battezzato e un infedele, contratto previa dispensa dall’impedimento della disparità di culto».

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Qui abbiamo un valore sacro – il vincolo matrimoniale ―, al quale in due modi differenti si oppone un certo atto umano. Ma quale abissale differenza nell’uno nell’altro caso! L’adulterio è un atto privato col quale l’uomo compie un grave peccato contro l’indissolubilità e la sacralità del matrimonio, per cui il vincolo resta intatto. Lo scioglimento del vincolo è atto pubblico della legittima autorità ecclesiastica, autorizzata dalla dottrina di San Paolo.

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Qui vediamo che differenza c’è, riguardo alla disciplina del sacramento del matrimonio, fra l’istituzione divina (volontà di Cristo) e il potere dell’autorità giuridica della Chiesa (“potere delle chiavi”). Mentre Cristo non concede alla Chiesa e quindi alla morale da essa insegnata — con buona pace di Grillo — di fare eccezioni alla proibizione dell’adulterio e del divorzio, ha concesso alla Chiesa, per il tramite di San Paolo, la facoltà, in certi casi, di sciogliere il vincolo coniugale.

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Un gioco sleale

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Grillo gioca slealmente sull’inveterato equivoco idealista, che dà il primato del soggetto sull’oggetto, intendendo per  soggetto la coscienza come la intende Cartesio, ossia non come regolata dalla verità, ma come regola della verità, non come pensiero che mediante l’idea si adegua al reale, ma come reale o essere (sum) dedotto dal pensiero (cogito) o dall’idea, per cui la verità per Cartesio non è ciò che esiste realmente davanti a me (obiectum), indipendentemente da me (semmai dipendente da Dio), ma ciò che io (subiectum, “soggetto”) decido essere la verità e la realtà. Ora, bisogna dire che è vero che se io penso, vuol dire che esisto, ma è ancor più vero che per poter pensare, devo prima esistere. Da qui il primato dell’essere sul pensiero e quindi sulla coscienza. La dissoluzione dell’essere nel pensiero e nella coscienza soggettiva è la follia dell’idealismo, produttrice di solipsismo metafisico, soggettivismo teoretico, relativismo e corruzione morali, disturbi emotivi, patologie allucinatorie o autistiche, illusioni a non finire.

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Questo principio, portato alle sue estreme conseguenze ha prodotto l’identificazione hegeliana e gentiliana dell’essere col pensiero. È questo il soggetto moderno che piace a Grillo e che egli senza accorgersene ha messo al posto di Dio, giacché è solo Dio, è solo l’Autocoscienza divina, che è regola dell’essere, della verità e della nostra coscienza.

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È chiaro che se per soggetto, secondo il linguaggio idealista, si intende il mondo dello spirito o la coscienza, mentre l’oggetto sono le cose materiali esterne, si ha il primato del soggetto, ossia dello spirito, sull’oggetto, cioè sulla materia. Ma se per soggetto, secondo il linguaggio realista, si intende il pensiero e per  oggetto si intende il reale, qui è il pensiero che deve adeguarsi al reale. Ma occorre dire che la coscienza non va intesa come fonte assoluta della verità, ma come obbligo morale di accogliere la verità. Invece, quello che Grillo chiama «soggetto moderno», non è altro che il concetto modernista della coscienza, per il quale Padre Arturo Sosa parla di «primato della coscienza», dimenticando, come ho dimostrato in un mio precedente articolo a lui dedicato, che la coscienza non ha nessun primato né nell’ambito del sapere, dove il primato va all’intuizione della realtà, nè tanto meno nell’ambito dell’essere, dove  il primato va alla verità dell’essere, regola oggettiva della verità della coscienza.

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Confronto tra Veritatis Splendor e Amoris Laetitia.

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 Quindi, se da una parte ha ragione Papa Francesco nel sostenere che:

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  1. «È vero che le norme generali presentano un bene che non si deve mai disattendere né trascurare, ma nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari» [Amoris Laetitia 304]. Il che non nega affatto l’esistenza di valori irrinunciabili, ossia l’intrinsece bonum o bonum honestum, e neppure significa che il fatto che il legislatore ignori tutti i casi possibili ammetta la possibilità di casi nei quali si possa fare eccezione alla legge.

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  1. «La Chiesa possiede una solida riflessione circa i condizionamenti e le circostanze attenuanti. Per questo non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante» [Amoris Laetitia 301]. È possibile l’alternanza di periodi nei quali essi sono in grazia a periodi nei quali sono in peccato, privi della grazia.

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  1. «È possibile che entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa» [Amoris Laetitia 305].

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  1. «Bisogna accompagnare con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone che si vanno costruendo giorno per giorno, lasciando spazio alla misericordia del Signore che ci stimola a fare il bene possibile […] Gesù vuole una Chiesa attenta al bene che lo Spirito sparge in mezzo alla fragilità: una Madre che, nel momento stesso in cui esprime chiaramente un suo insegnamento obiettivo, non rinuncia al bene possibile, benché corra il rischio di sporcarsi con il fango della strada» [Amoris Laetitia, 308]. È chiaro che l’uso dell’accompagnamento, della misericordia, della comprensione, della tolleranza e della pazienza, in certe circostanze non esclude, in altre circostanze, lo stimolo, l’incitamento, l’ammonimento, il richiamo, il rimprovero e l’avvertimento.

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Dall’altra parte ha fatto bene San Giovanni Paolo II a ricordare che:

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  1. «Si danno degli oggetti dell’atto umano che si configurano come “non ordinabili a Dio”, perché contraddicono radicalmente il bene della persona, fatta a sua immagine» [Veritatis Splendor, 80].

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  1. Nella tradizione morale della Chiesa gli atti umani che si orientano a tali oggetti «sono denominati intrinsecamente cattivi (intrinsece malum): lo sono sempre e per sé, ossia per il loro stesso oggetto, indipendentemente dalle ulteriori intenzioni di chi agisce o dalle circostanze» [Veritatis Spendor, 80].

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  1. «Le circostanze e le intenzioni non potranno mai trasformare un atto intrinsecamente disonesto per il suo oggetto in un atto ‘soggettivamente’ onesto o difendibile come scelta» [Veritatis Splendor, 81].

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Qui non c’è nessun massimalismo, nessun rigorismo, nessuna rigidezza, nessun razionalismo, nessuna pretesa esagerata. Nessuna rigidezza o esigenza troppo rigorosa, ma duttilità sapiente e prudente nell’adattare l’appello alla perfezione, alle possibilità e ai bisogni propri di ciascuno. Il Papa sa quanto Dio può chiedere all’uomo, dove l’uomo  può essere responsabile e dove invece è degno di pietà.

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«La Chiesa ― dice San Giovanni Paolo II [Veritatis Splendor,95] ―, che non può mai rinunciare al “principio della verità” e della coerenza, per cui non accetta di chiamare bene il male e male il bene, dev’essere sempre attenta a non spezzare la canna incrinata e a non spegnere il lucignolo che fumiga ancora [cf Is 42,3]. Il Beato Paolo VI ha scritto: «Non sminuire in nulla la salutare dottrina di Cristo è eminente forma di carità verso le anime. Ma ciò deve sempre accompagnarsi con la pazienza e la bontà di cui il Signore stesso ha dato l’esempio nel trattare con gli uomini. Venuto non per giudicare ma per salvare [cf. Gv 3,17], Egli fu intransigente con il male, ma misericordioso verso le persone”».

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Si tratta di considerazioni perfettamente ragionevoli, basate sul concetto razionale del bene dell’uomo e del suo fine ultimo, che è Dio. La conoscenza di questo fine è dimostrabile, come è noto, dalla ragione naturale, trattandosi di un fine o bene assoluto, che obbliga assolutamente, mancando al quale l’uomo fallisce nella vita. Anche le norme da seguire per il conseguimento del fine ultimo, ossia la legge naturale, la ragione le ricava dalla considerazione dell’uomo come animale razionale.

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La morale cristiana crea dei santi, non delle mezze figure

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Se la guida alpina indica a valle al camminatore la vetta da conquistare, non pretende certo che egli la raggiunga di botto con un salto, né gli passa per la mente di redarguirlo se non lo fa subito, ma evidentemente è pronta ad aiutarlo e ad accompagnarlo, con premura e saggezza, nella lenta salita fino alla cima.

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Per facilitare il cammino della vita non dobbiamo abbassare l’ideale morale o far sconti di nostra iniziativa, ma metterci tutta la nostra buona volontà con l’aiuto della grazia, confidando nella misericordia di Dio, ma senza approfittare furbescamente della sua bontà per fare i nostri comodi. Dobbiamo saper presentare al prossimo, chiunque egli sia, l’ideale cristiano in tutta la sua elevatezza, assicurargli il nostro aiuto e soprattutto esortarlo a fare il massimo – ecco il buon “massimalismo”! – confidando nell’aiuto del Signore. 

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San Giovanni Paolo II non chiede a nessuno l’impossibile, ma  ricorda a tutti la dignità altissima della persona e della sua responsabilità, creata ad immagine di Dio, senza dimenticare affatto le sue miserie, conseguenti al peccato, soprattutto nel clima odierno di diffuso disorientamento intellettuale, e i sui limiti della natura umana fissati eternamente dal Creatore e superati in varia misura dalla vita della grazia e della santità, dono della misericordia del Salvatore.

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E Papa Francesco non è quel manovratore ambiguo o quell’astuto  lassista che alcuni vorrebbero farci credere. Occorre invece, con un’esegesi attenta e benevola, prender atto della sua saggezza pastorale e del fatto che Amoris Laetitia aggiunge a Veritatis Splendor indicazioni casuistiche, alle quali non dà spazio la Veritatis Splendor, di impostazione più teoretica.  È vero che alcuni passi di Amoris Laetitia, per poca chiarezza, possono far problema, ma molto si chiarisce facendo ricorso al Magistero precedente, a partire dalla Familiarsi Consortio.

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Diciamo invece a Grillo che non bisogna confondere la serietà e il rigore morale col rigorismo, lo sforzo morale col massimalismo, la fedeltà alle nostre promesse, alla nostra vocazione o all’ideale inviolabile e al fine sacro che ci siamo prefissi, col conservatorismo o la stagnazione o il fondamentalismo o la cocciutaggine o la «chiusura al nuovo».

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I princìpi morali di Grillo, viziati  di storicismo, sono troppo deboli e fragili per produrre non dico dei martiri e degli eroi, ma neppure persone di carattere, con la spina dorsale robusta. Se Maria Goretti avesse avuto le idee di Andrea Grillo sul sesso e sul matrimonio, avrebbe senz’altro acconsentito alle richieste di Alessandro Serenelli, che per lo meno distingueva l’uomo dalla donna e non faceva confusione tra i sessi.

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Le idee morali di Grillo producono dei Don Abbondio, pronti ad obbedire al primo briccone che capita, dei furbi che vogliono farla franca a poco prezzo e con l’aurea del profeta, dei giullari di corte o degli adulatori del padrone che li paga bene, dei machiavellici al servizio del dittatore, degli opportunisti spinti dal vento che tira, dei Taillerand che stanno sempre a galla, abili nel salvare la pelle in ogni circostanza, dei pavidi pronti ad inginocchiarsi fino a terra ed a baciare i piedi del primo prepotente che fa la voce grossa. Pertanto, certe idee e modi di agire, non producono il volo dell’aquila, ma lo starnazzare della gallina nel pollaio.

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Varazze, 23 maggio 2017

Traslazione del Santo Padre Domenico di Guzman

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[1] Editrice Studium, Roma 1961.

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APPENDICE POSTUMA SUL CASO DELL’ARCIVESCOVO LUIGI NEGRI

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Andrea Grillo ha colpito ancora. Questa volta ha attaccato alcune riflessioni di S.E. Mons. Luigi Negri, Arcivescovo emerito di Ferrara, sull’attentato di Manchester, episodio gravissimo al quale ha fatto seguito la recentissima strage un Egitto [vedere i testi integrali QUI].

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Dobbiamo rilevare con vero dolore la stoltezza e l’irresponsabilità dell’aggressione di Grillo all’Arcivescovo. Grillo, che, con diabolica astuzia, sfrutta un difetto di forma nei pensieri dell’illustre e coraggioso Pastore, non capendo il modulo letterario di cui Mons. Luigi Negri si è servito per esprimere, in un ideale accorato colloquio con i poveri fanciulli uccisi, da una parte la sua amarezza e il suo sdegno per l’ennesima aggressione islamica al cristianesimo, che continua una tradizione vecchia di XIV secoli e, dall’altra, denunciare con doveroso disgusto l’ipocrisia di una putrefatta e secolarizzata Europa ex-cristiana, ridotta al nichilismo, che nega con affettata ignoranza la matrice religiosa del terrorismo islamico e vorrebbe nascondersi dietro questo pretesto per tentare invano di tacitare la propria coscienza, che la accusa e la tormenta per aver tradito Cristo, per non difendere la causa della fede contro l’attacco islamico e per aver perso con ciò le ragioni ultime del vivere, del gioire, del soffrire e del morire.

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Grillo è un esponente pericoloso ed emblematico di un cristianesimo corrotto e ipocritamente papista, e gli brucia il fatto che Mons. Luigi Negri, da buon medico e pastore, abbia messo il dito sulla piaga per sanare, non per uccidere. 
Ma Grillo, questo, non lo ha capito o non lo vuol capire, e così, orgoglioso ed ostinato com’è, invece di riflettere sulle sagge considerazioni morali di questo Vescovo e convertirsi, accentua il suo livore e sciorina i suoi sofismi contro chi lo richiama paternamente ai suoi doveri di cristiano, appigliandosi invano ad una pretestuosa critica basata sull’incomprensione dell’infelice modulo letterario adottato da Mons. Luigi Negri. 

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1 commento
  1. Carlo dice:

    Caro padre, la ringrazio davvero di cuore per questo articolo!

    Infatti dopo le ultime “sparate” del sig. Grillo sull’incompetenza di papa Benedetto XVI e del card. Sarah in materia liturgica (http://www.cittadellaeditrice.com/munera/una-postfazione-senza-discrezione-ratzinger-si-ostina-a-raccomandare-sarah/) ho provato a scrivergli alcuni commenti per mostrargli quanto odio ideologico e “personale” trasudasse dalle sue parole, non supportate da argomentazioni e fatti seri, tuttavia – guarda un po’! – i miei commenti non sono stati mai pubblicati! Anzi addirittura consiglia ai lettori “contrari” alla sua opinione di “aprirsi un blog tutto loro in modo da non dover rispondere a nessuno di quello che fanno”…ecco il campione del Dialogo e della Chiesa della Misericordia che contraddice tutti ma non vuole mai essere contraddetto, un vero “paladino della libertà d’espressione (propria ovviamente, mai quella degli altri…)!!!

    Cari padri dell’Isola, vi prego: continuate in questo importante lavoro di proclamazione della Verità con Misericordia che il Signore vi ha affidato, a favore dell’edificazione di tutti noi fedeli! Vi supportiamo con la nostra preghiera!

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