La verità assoluta. Il Santo Padre Francesco ed Eugenio Scalfari

Padre Giovanni

LA VERITÀ ASSOLUTA.

IL SANTO PADRE FRANCESCO ED

EUGENIO SCALFARI

 

[…] Scalfari sembra chiedere al Papa se si può ammettere un certo relativismo delle verità. Il Pontefice avrebbe potuto polemizzare col relativismo, come ha fatto Papa Benedetto, e invece riconosce che in Dio stesso c’è un relazionarsi. Naturalmente queste parole del Papa non vanno intese in contrasto con Papa Benedetto e come approvazione del relativismo, che è un grave difetto del pensiero e della condotta morale, per il quale si “relativizza” l’assoluto non nel senso legittimo detto dal Papa, ma nel senso di fare di Dio un idolo a servizio delle proprie voglie o comunque di relativizzarlo all’uomo, quasi che l’uomo stia al di sopra di Dio […].

 

Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

 

bocca aperta

quando dalle bocche fuoriesce di tutto e di più ancora …

Quando il Papa parla, occorre tenere il tono alto, al di sopra del gracchiare degli uccelli. L’Editrice Vaticana, come sappiamo, ha pubblicato il contenuto di alcuni colloqui avuti dal Papa con Eugenio Scalfari. Alcune espressioni del Pontefice in questa circostanza provocarono sul momento in una parte del mondo cattolico perplessità, apprensioni e meraviglia, mentre il mondo laicista gongolante ne approfittò per presentare slealmente un Pontefice vicino alle sue posizioni. Vorrei quindi limitarmi solo ad esprimere come, a mio modo di vedere, si debbono interpretare in realtà alcune parole del Papa, in modo da scorgerne la continuità col perenne insegnamento della sana ragione, della Chiesa e della fede.

Può sorprendere, innanzitutto, nelle lettera che il Papa ha scritto a Scalfari, la sua dichiarazione: «Io non parlerei, nemmeno per chi crede, di verità “assoluta”», quando sappiamo bene come questa espressione è tradizionale non solo nella filosofia ma anche nel linguaggio del Magistero, per indicare Dio o la verità divina; ma per capire che cosa intende dire il Papa, dobbiamo leggere le parole seguenti: no alla verità «assoluta», “nel senso che assoluto è ciò che è slegato, ciò che è privo di ogni relazione. Ora, la verità, secondo la fede cristiana, è l’amore di Dio per noi in Gesù Cristo. Dunque, la verità è una relazione!”.
Da notare che qui il Papa non sta parlando della verità in generale o della verità come tale, ma della verità divina, la quale in Dio è identica all’amore (1). Dobbiamo quindi fugare un sospetto di volontarismo che potrebbe emergere da una lettura superficiale delle parole del Pontefice.

Udienza generale di Papa Francesco

Il Santo Padre durante l’udienza generale

Ciò che in questo contesto sta cuore a Papa Francesco è ricordarci che Dio è in relazione col mondo, con quel mondo che Egli ha creato liberamente per amore e ciò soprattutto mediante il mistero dell’Incarnazione. Così pure il nostro relazionarci con Lui, diverso in ciascuno di noi, fa sì che la stessa verità divina si relazioni con noi in modi diversi per ciascuno di noi.
Per questo e in tal senso la verità divina è una relazione di Dio col mondo: Dio conosce il mondo; la verità è relazione intenzionale di un soggetto con un oggetto: adaequatio intellectus et rei, come dice San Tommaso, anche se nel caso di Dio non è Lui che deve adeguarsi alle cose, ma sono le cose che sono adeguate al pensiero progettatore e creatore che Dio ha di esse.

Ma la relazione di Dio col mondo è anche amore, perché Dio ama il mondo e in Dio verità ed amore, come si è detto, s’identificano nella semplicità assoluta dell’essenza divina. Il Papa vuol concentrare l’attenzione su questo punto ed in tal senso respinge qui l’espressione “verità assoluta”.
Non possiamo immaginare infatti che il Papa non continui a considerare col linguaggio tradizionale Dio in se stesso come l’Assoluto e la Verità assoluta, perché il termine “assoluto”, entrato da alcuni secoli nel linguaggio filosofico e teologico, può essere sinonimo di “divino”, anche se è vero che non tutto ciò che è assoluto è divino, perché un ente finito può essere assoluto per un aspetto e relativo per un altro. Invece Dio è assoluto sotto ogni punto di vista: è assolutamente assoluto (2).

È ragionevole e necessario distinguere verità relative da verità assolute e dalla verità assoluta. Errato sarebbe, come sembra supporre Eugenio Scalfari, che esistano solo verità relative. È questo l’errore del relativismo, riscontrabile per esempio nella filosofia di Auguste Comte (sec. XIX), che dice: «Tutto è relativo, e questo è il solo principio assoluto» (3). Verità relativa può dirsi o in rapporto all’oggetto o in rapporto al soggetto. Se dico “oggi è mercoledì” ed è effettivamente mercoledì, questa verità è relativa all’attuale giornata di mercoledì, passata la quale quell’affermazione, in rapporto all’oggetto (che giorno è?), cessa di esistere. Infatti se dico “oggi è mercoledì”, mentre è giovedì, sono nel falso. Se invece si considera il soggetto che fa l’affermazione, questa può essere o apparire vera solo in rapporto al soggetto, ma essere falsa da un punto di vista oggettivo, o perché il soggetto è in buona fede, sbaglia senza saperlo (la cosiddetta “verità soggettiva”, “ignoranza invincibile”) o perché è in mala fede, cioè si oppone volontariamente alla verità (“ignoranza affettata o colpevole”). Da notare che, dal punto di vista morale, nel primo caso il soggetto che pecca resta innocente davanti a Dio, mentre è colpevole nel secondo caso.

Gay-pride

“signorine” in rosa confetto al gay pride … a Sodoma e Gomorra avevano più buon gusto

Così, per esempio, non è difficile dimostrare che dal punto di vista della legge morale la sodomia è oggettivamente peccato; tuttavia, data l’attuale indegna campagna di esaltazione di questo peccato, non è facile sapere se quel dato omosessuale sappia o non sappia di peccare. In tal senso il Papa pronunciò quella famosa frase: «Chi sono io per giudicare?». Siccome però la verità si regola sull’oggetto, tutti siamo obbligati a cercare la verità oggettiva, ossia il reale come è in se stesso, ma può accadere che sembri vero ciò che non lo è, per cui restiamo ingannati o ci inganniamo. E ciò o perché erriamo involontariamente o perché ci chiudiamo colpevolmente alla verità. Nel primo caso siamo scusati, nel secondo meritiamo di essere redarguiti.

Qui ha molta importanza il principio della coscienza. Quando il Papa dice che anche l’ateo deve seguire la propria coscienza, il Papa non per questo approva l’ateismo (ve lo immaginate un Papa ateo?). Papa Francesco non insegna che la coscienza individuale o soggettiva è fonte assoluta della verità, ma evidentemente si riferisce al principio della libertà di coscienza (o di religione) proclamato dal Concilio, il quale ci ricorda che anche chi erra in buona fede, tuttavia deve seguire la propria coscienza ed è innocente davanti a Dio [si veda su questo tema il precedente articolo di Ariel S. Levi di Gualdo, qui].

Per questo lo Stato e la Chiesa devono consentire all’errante uno spazio di libertà, salve naturalmente le esigenze fondamentali del bene comune. Esistono infatti valori fondamentali per la convivenza umana, la cui contravvenzione è inescusabile e che pertanto comunque deve essere impedita o riparata, sia o non sia in buona fede l’errante o il criminale. Si tratta di un principio già insegnato da San Tommaso d’Aquino, quando dice che la coscienza erronea obbliga (4), ma nel contempo è chiaro che anche il buon Aquinate ammette alla tolleranza dei limiti invalicabili.
La coscienza soggettiva della propria innocenza o del proprio buon diritto, anche se oggettivamente ed involontariamente infondata, è di grande consolazione e conforto, quando si resta isolati ed incompresi in un ambiente ostile, perseguitati da leggi ingiuste, traditi dagli amici, oppressi dai superiori, disprezzati dai sudditi, calunniati dai bugiardi, diffamati dai malevoli o maltrattati dai prepotenti a causa della verità e della giustizia.

Urna di Santa Lucia

urna contenente le spoglie di Santa Lucia vergine e martire siracusana

Questa coscienza che in tali prove sa rinunciare ai consensi ed all’appoggio umani, è quella che caratterizza la fortezza e la libertà degli eroi, dei santi e dei martiri, sia nella storia civile che in quella della Chiesa. In tal senso Cristo proclama beati i perseguitati a causa della giustizia ed annuncia ai suoi discepoli: “sarete odiati da tutti a causa del mio nome” [Mt 10.22]. Invece, chi evita accuratamente o furbescamente di non esser odiato dal mondo per amore del mondo, per non far brutta figura davanti a lui o per non avere noie, ha una coscienza sporca e farisaica o quanto meno è un vile e non è degno discepolo di Cristo, come dice il divino Maestro: “Chi si vergognerà di me e della mie parole in questa generazione adultera e peccatrice, si vergognerà di lui il Figlio dell’uomo, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi” [Mc 8,38].

È utile in questa questione dell’oggettività (assolutezza) – soggettività (relatività) della verità ricordare anche la corrispondente distinzione fra verità gnoseologica o relazione di verità come atto dell’intelletto e verità ontologia come cosa vera oggetto del conoscere. La relazione di verità, che fa riferimento al soggetto – la verità come relazione, per dirla col Papa – è di per sé assoluta e immutabile, anche se l’oggetto è mutevole: se è vero che oggi è mercoledì, e dico che oggi è mercoledì, questa proposizione, in relazione al mercoledì che è passato, resterà vera in eterno (giudizio vero), ossia in assoluto, anche se il mercoledì (oggetto del giudizio) è passato. Invece, se l’oggetto è mutevole, anche l’affermazione, proprio per essere vera, deve mutare in conformità al mutare dell’oggetto, per cui in rapporto all’oggetto la verità muta ed è relativa al mutare dell’oggetto. Se giunge il giovedì e continuo a dire che oggi è mercoledì, evidentemente sono nel falso.

Cop_SanTommaso

l’opera di Gilbert Keith Chesterton dedicata al Doctor Angelicus

Le verità relative quindi sono mutevoli, invece la verità assoluta – umana o divina – è immutabile, perché per definizione è quella verità che non prevede mutamento né nell’oggetto, né per conseguenza nel soggetto o giudizio: sono le verità oggettive, fondamentali ed universali proprie della ragione e della fede. In tal senso si dice che la verità è “una sola”, pena la negazione del principio di non-contraddizione.
Parlando di verità relativa, il Papa precisa però che non intende sostenere alcun soggettivismo. Infatti dire verità “soggettiva” (come l’abbiamo definita sopra) non significa necessariamente soggettivismo. Il soggettivismo infatti è la pretesa arbitraria ed individualistica del singolo soggetto di essere la regola della verità, quando invece, come ho detto, la regola della verità è l’oggetto (che può esser qualcosa del proprio io, questo non vuol dir nulla). Nel soggettivismo la verità non è più una sola, ma ciascuno si costruisce la propria “verità” come crede e come gli fa comodo. Le verità possono essere molte nel senso di molte cose vere, ma non come si è detto, dal punto di vista della relazione di verità.
Per capire questo, bisogna ricordare le distinzioni che ho fatto sopra. Infatti, dalla definizione che ho appena dato, risulta che soggettivismo si dà, quando il soggetto singolo pretende di essere la regola assoluta della verità, cosa evidentemente alienissima dalle intenzioni e dalle parole del Papa. Soggettivismo si ha, per esempio, nel solipsismo idealista dell’io assolutizzato e totalizzante, considerato come fonte unica della verità assoluta e di ogni altra verità (5).
È vero che nella Bibbia non si parla di “assolutezza” come attributo divino. Non esiste nemmeno la parola (6). Nemmeno S.Tommaso considera Dio come l’Absolutum, nè parla di veritas absoluta. Invano tra gli attributi divini elencati nella Summa Theologiae cercheremmo l’attributo dell’assolutezza. Tra l’altro ai tempi di Tommaso si dà solo il concreto “assoluto”, ma non l’astratto “assolutezza”.

Viceversa l’absolutum per l’Aquinate è un attributo normale per le realtà finite sostanziali, formali o materiali. Per esempio, nel campo della logica, per lui l’universale astratto è un absolutum, in quanto è atemporale, libero e indipendente (ab-solutum) dagli individui che gli sottostanno. Per capire infatti che cosa è l’assoluto, è utile considerare l’etimologia della parola, alla quale l’Aquinate strettamente si attiene. Solo col secolo XIX che in teologia, soprattutto nell’idealismo tedesco, sorge l’exploit dello “Assoluto”. Per indicare Dio, si comincia a parlarne come dell’“Absolute”. La tendenza monistica propria di Hegel risolve tutto il reale nell’Assoluto, per cui esiste solo l’Assoluto, tutto è Assoluto, tutto è nell’Assoluto, l’Assoluto è in tutto (immanentismo), in quanto tutto è Uno. E l’Assoluto appunto è Uno.

hegel 3Per Hegel un “altro” dall’Assoluto, a lui esterno, relativizzerebbe lo stesso Assoluto, perché, per distinguersi dall’Assoluto, dovrebbe avere qualcosa che l’Assoluto non ha. Ma un Assoluto che non è Tutto, non è più assoluto. Inoltre spezzerebbe l’unità dell’Uno-Tutto. Ad Hegel sfugge però che invece ,questo “altro” dall’Assoluto, può benissimo esistere come ente relativo all’Assoluto (“essere per partecipazione”, come dice San Tommaso), il che è appunto la condizione dell’essere creaturale, come è appunto nella dottrina biblica di Dio creatore del mondo, necessariamente esterno a Dio (opus ad extra), giacchè tutto ciò che c’è in Dio è Dio. Inoltre Hegel non comprende che il creato non spezza l’unità divina, perché non si pone sullo stesso piano di Dio in competizione con lui, ma infinitamente al di sotto (trascendenza divina), come immagine, effetto o segno della divinità.

Per Hegel invece, nulla esiste al di fuori dell’Assoluto, e siccome però egli non rinuncia ad ammettere anche il relativo, ecco che per lui, visto che il relativo non può esser fuori dell’Assoluto, l’Assoluto stesso è concepito come includente in sé il relativo, ossia il mondo. Dio diventa mondo e il mondo diventa Dio. Per questo in fin dei conti l’Assoluto hegeliano non è un vero Assoluto, indipendente dal relativo, ma paradossalmente, proprio per esser assoluto, per essere Dio, ospita nella sua propria essenza divina il mondo, secondo la celebre asserzione: “Dio non è Dio senza il mondo”.

hegel 2

immagine di Georg Wilhelm Friedrich Hegel ritoccata da dei ragazzi in vena di scherzi. Il termine Swag, tradotto in italiano come “bottino” o “refurtiva“, nello slang dei giovani è il degno sostituto della parola “cool” identificando quindi una persona, un capo di abbigliamento o, in generale, un oggetto che ha stile.

Per Hegel non si può dare un puro Assoluto, un Assoluto assolutamente semplice, ma l’Assoluto stesso è relativo al mondo, è “storicizzato”, benchè poi Dio venga, dal punto di vista di Hegel, ad essere relativo solo a Se stesso, dato che il mondo stesso è in Dio coincidente con l’essenza divina. Ma ciò toglie evidentemente la distinzione fra Dio e il mondo e si cade nel panteismo.

Saremmo naturalmente fuori strada se interpretassimo in questo senso le parole del Papa, il quale sa benissimo dalla fede e dalla ragione che Dio, nella sua infinita perfezione, potrebbe esistere anche senza il mondo, essendo Egli appunto l’Assoluto, l’Infinito, l’Eterno, l’Essere perfettissimo e quindi del tutto autosufficiente. Un “Assoluto” in se stesso relativo al mondo non potrebbe essere un vero Assoluto, perché relazione dice dipendenza da ciò con cui si è in relazione. Il mondo dipende da Dio ma Dio non dipende dal mondo. Dio ha relazione col mondo nel senso che lo ha creato, lo conosce e lo ama, ma non nel senso che dipenda dal mondo. Ora, come si è visto, l’indipendenza è il carattere dell’assolutezza. Se di fatto, con la creazione e ancor più con l’Incarnazione, Dio si è posto in relazione col mondo, è semplicemente perché lo ha liberamente voluto per amore del mondo, né ciò discende necessariamente o “logicamente” dall’essenza divina, come credeva Hegel.

La questione dell’ “Assoluto”, ignorata dall’illuminista Kant, balza in primo piano nella filosofia romantica di Fichte, Schelling ed Hegel. Ma per loro l’Assoluto non è più ciò che intendeva San Tommaso. Per questi, ab-solutm vuol dire bensì sciolto, libero, indipendente, autosussistente, autosufficiente, che se ne sta per conto proprio, cose che potrebbero convenire a Dio. Ma di fatto in Tommaso, come ho detto, non è un attributo divino, ma una categoria logico-ontologico-morale di tipo analogico. Se vogliamo, “assoluto” significa anche “slegato”, ma non con la sfumatura negativa che sembra possedere nelle parole del Papa, perché l’absolutum può avere legami di fatto: l’universale, per quanto in sè indipendente dall’individuale, di fatto è presente nell’individuale (unum in multis). Dio, benchè indipendente dall’uomo, ha voluto legarsi con l’uomo con un patto d’amore.

Pensiamo anche all’ “assoluzione sacramentale”. “Assolto” viene da absolutum, participio passato di absolvo, che vuol dire qui sciogliere da legami che rendono schiavo o prigioniero, ossia i legami del peccato. Chi è assolto dai peccati è libero, integro e felice. Viceversa, come si è detto, è il relativo che non si addice all’essenza divina, perché relativo dice dipendente e Dio chiaramente non dipende da nessuno. Solo nel mistero trinitario esistono relazioni divine, le Persone divine, che però non dicono dipendenza, ma si parla di “relazione” solo di origine nell’uguaglianza dell’unica natura divina. Il Figlio, per esempio, ha origine dal Padre, ma non è dipendente dal Padre come l’inferiore dipende dal superiore, o l’effetto dalla causa, ma solo perché è generato dal Padre, che gli è uguale nella comune natura divina.

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… il Verbo si fece carne

La relazione qui non è un accidente, ma è sussistente, perché è Persona divina, per la quale la Persona relazionata è identica nella natura divina con la Persona relazionante. Per questo Dio resta l’Assoluto: Dio e la Trinità sono un unico Essere assoluto, Dio stesso. E se nella Bibbia non troviamo l’attributo dell’assolutezza, troviamo però attributi equivalenti. L’assolutezza in certo senso li riassume tutti: la libertà, l’indipendenza, la bontà, l’eternità, la totalità, l’infinità, la maestà, la perfezione, l’immutabilità. L’attributo dell’assolutezza conserva il suo valore anche se di fatto Dio ha creato un mondo, si è incarnato e quindi ha una relazione di conoscenza e d’amore nei suoi confronti. Dio infatti, creando il mondo, non muta la sua natura, per cui resta in se stesso l’Assoluto. Ma è chiaro, come si è detto – e questo certo il Papa lo sa benissimo – che Dio ha creato liberamente il mondo, liberrimo consilio, dice il Concilio Vaticano I. Poteva, se voleva, anche non crearlo. Dio che non aveva bisogno di noi, ha voluto per amor nostro in Cristo mendicare il nostro amore e chiedere un bicchier d’acqua alla samaritana. “Dio, come dice Sant’Agostino, che ti ha creato senza di te, non ti salva senza di te”.

Da qui la dignità, certo, ma anche la contingenza del mondo e l’esistenza assolutamente necessaria di Dio. Se Dio non ci fosse, il mondo non esiterebbe. Mentre il mondo potrebbe non esistere, Dio non può non esistere, perchè è l’Essere stesso assoluto, è ciò che rende ragione dell’esistenza del mondo: è quindi l’assolutamente Necessario. E’ il Necesse-esse, come lo chiamava il grande metafisico musulmano Avicenna, più volte citato da San Tommaso.
Il mondo non dipende da Dio per deduzione logico-necessaria, come le proprietà del triangolo dipendono dall’essenza del triangolo, come pensava Spinoza. Ciò comporta l’esistenza in Dio dell’amore, un amore gratuito, generoso, misericordioso, di libera scelta. Il creato non discende dall’essenza divina, ma è effetto della divina volontà. Non diciamo che le proprietà del triangolo dipendono dal triangolo perché le ama, ma semplicemente per una deduzione logica dall’essenza del triangolo. Non è così che il mondo deriva da Dio, perché non proviene dalla sua essenza ma dal nulla, in forza della sua sapienza, della sua libertà, della sua bontà e della sua onnipotenza.

BIENNALE DEMOCRAZIA:INCONTRO CON EUGENIO SCALFARI

Foto di Eugenio Scalfari con goliardica scritta ad opera dei Papaboys

Eugenio Scalfari sembra chiedere al Papa se si può ammettere un certo relativismo delle verità. Il Pontefice avrebbe potuto polemizzare col relativismo, come ha fatto Papa Benedetto, e invece riconosce che in Dio stesso c’è un relazionarsi. Naturalmente queste parole del Papa non vanno intese in contrasto con Papa Benedetto e come approvazione del relativismo, che è un grave difetto del pensiero e della condotta morale, per il quale si “relativizza” l’assoluto non nel senso legittimo detto dal Papa, ma nel senso di fare di Dio un idolo a servizio delle proprie voglie o comunque di relativizzarlo all’uomo, quasi che l’uomo stia al di sopra di Dio.

È chiaro, come dice il Papa, che Dio, per porsi in relazione con noi e perchè noi possiamo porci in relazione con Lui, si presenta a noi di volta in volta nel modo adatto a ciascuno di noi. Ma un conto è affermare che Dio si pone in relazione con ciascuno di noi in modi relativi a ciascuno di noi e un conto è negare a Dio l’assolutezza intrinseca alla sua divina essenza, per farne o un prodotto dell’uomo o un fatto contingente della storia della cultura. E’ chiaro che su questo punto Papa Francesco è d’accordissimo con Papa Benedetto. E questi non avrà difficoltà a sottoscrivere le parole di Papa Francesco a Scalfari, intese come il Papa le intende ed ho cercato di spiegare.

Può esistere del resto un sano relativismo, quando si riconosce come relativo ciò che è effettivamente relativo e non se ne fa un assoluto. Ma come però esiste un relativismo deleterio, così esiste anche un altrettanto deleterio assolutismo, che esclude l’altro, esaspera i contrasti, e crea dualismi irresolubili, contrapponendo le posizioni contrarie in modo così assoluto, che appare impossibile ogni via di dialogo e di conciliazione. E’ la sciagura dell’ideologia. È questo certamente che il Papa vuol dire concludendo questa parte della sua lettera: “bisogna intendersi bene sui termini e, forse, per uscire dalle strettoie di una contrapposizione… assoluta, reimpostare in profondità la questione. Penso che questo sia oggi assolutamente necessario per intavolare quel dialogo sereno e costruttivo che auspicavo all’inizio di questo mio dire”.

È interessante come in questa dichiarazione salta fuori due volte l’ “assoluto”, una volta come aggettivo e un’altra come avverbio. Il concetto di “assoluto” infatti è presente nel nostro stesso linguaggio quotidiano. La sua applicazione teologica dipende dal significato analogico del termine, che si presta sia per indicare il mondo, sia per designare Dio. Pertanto non c’è da dubitare che il Papa sa benissimo tutto ciò. Egli però crede in quell’Assoluto, che non estremizza e confonde stoltamente e gnosticamente, in una falsa “sintesi”, le posizioni in contrasto (l’essere col non-essere, il vero col falso, il bene col male), come per esempio nella dialettica hegeliana o nel panteismo di Emanuele Severino, ma che nella sua infinita, benefica ed assoluta potenza di pace e di conciliazione unisce le anime nella verità assoluta dell’eterna beatitudine.

Fontanellato, 8 novembre 2014

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Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

QUANDO IN FILOFOSIA E IN TEOLOGIA

IL RELATIVISMO DIVENTA SANO E CRISTIANO

dialogando in pubblico con uno dei miei maestri …

 

Carissimo Padre Giovanni,

           visto che noi tre “ragazzi” dell’Isola di Patmos siamo da tempo nel mirino di certi “tradizionalisti” e “sedevacantisti catatonici”, volendo potrei anticiparti le loro geremiadi sul sito Pizzi&Merletti, Manipoli&ChirotecheLatino che non Conosco I Love You … e via dicendo. E ciò pure se questo tuo articolo è costruito su quella magistrale “filosofia del senso comune” tanto cara al nostro confratello Antonio Livi, quindi sul tuo profondo senso ecclesiale, pastorale, teologico e metafisico. Pur malgrado, contaci: ripeteranno ciò che hanno già detto e scritto, ecco perché questa volta desidero anticiparli, tanto trite e ripetitive sono le loro argomentazioni …
… anch’io, come ricorderai, fui accusato da costoro in modo pesante. Quando infatti sulle riviste delle associazioni gay prese a spiccare la frase «Chi sono io per giudicare?», mentre i pederasti ideologici sentenziavano: «il Papa ha aperto al mondo gay», replicai con un mio articolo invitando alla corretta recezione di quella frase del Santo Padre.

         Certo, forse il Santo Padre espresse un concetto privo di spiegazioni approfondite, come del resto facciamo spesso tutti noi quando diamo per scontate certe ovvietà, che in questo mondo non sono però così ovvie e meno che mai scontate. Ecco perché in quel mio scritto precisai: «Il Santo Padre ha espresso una verità sacrosanta: nessuno di noi può infatti giudicare la coscienza più intima e profonda dell’uomo che Dio solo può leggere e di conseguenza giudicare». Da questo nasce l’ovvietà di quella espressione del Santo Padre: «Chi sono io per giudicare?». Frase che però, da giornalisti, intellettuali e politici sul libro paga della cultura del gender, privi dei rudimenti catechetici e del basilare lessico cristiano, fu mutata in tutt’altro significato espressivo, infine capovolta in modo del tutto anti-cristiano.
In quell’occasione fui aggredito dal corifeo dei soliti noti con amenità del tipo: «progressista … cripto modernista»…

          … adesso toccherà di nuovo a te, quindi preparati a leggere: «Il Padre Giovanni Cavalcoli si arrampica sugli specchi per interpretare e mitigare le parole “ereticali” di questo “antipapa”». Mentre la verità è che tu recepisci e trasmetti in coscienza, scienza e verità le parole del Santo Padre per ciò che significano e dicono e non per ciò che non significano e non intendono dire. Certo, andrebbero sempre evitate frasi monche e frasi che potrebbero suonare ambigue ad orecchie non più disposte ad udire e recepire un linguaggio cristiano. Ed è proprio in quest’ultimo caso che noi siamo chiamati a svolgere il nostro ministero di pastori in cura d’anime e di teologi, che non è certo quello di «arrampicarsi sugli specchi», ma di ricordare cosa significano nel nostro lessico certe espressioni. Cosa che dobbiamo ricordare agli ultra laicisti come a certi “tradizionalisti” che simile modo hanno perduto anch’essi il corretto vocabolario cristiano, tanto da ergersi a giudici della coscienza “collettiva” del Collegio Episcopale in comunione con Pietro, cogliendo presunte eresie persino nei più solenni atti del supremo magistero, per esempio in quelli del Concilio Ecumenico Vaticano II, da essi vergognosamente definito “ereticale” ed “apostatico” in nome di una non meglio precisata purezza cattolica, dietro la quale si cela in verità la temibile regina di tutti e sette i peccati capitali, quella che regge come solida colonna tutti gli altri sei: la superbia.
Ecco perché reputo di estrema preziosità questo tuo articolo e ritengo che sia nostro dovere tornare, di tanto in tanto, su certe precisazioni, come tu mi hai insegnato a fare assieme ad Antonio Livi. Non a caso abbiamo dato apposta vita all’Isola di Patmos per fare teologia ecclesiale e pastorale secondo la dottrina perenne ed il magistero della Chiesa, non certo secondo le nostre soggettive umoralità. E che la grazia di Dio, alla quale vogliamo essere sempre aperti — la quale passa non ultimo anche attraverso il magistero della Chiesa e l’obbedienza alla sua apostolica autorità — ci salvi sempre dalla temibile regina: quella superbia che purtroppo sta devastando i circoli sempre più chiusi e auto-referenziali di Pizzi&Merletti, Manipoli&ChirotecheLatino che non Conosco I Love You … e che in modo non solo aberrante, ma peggio diabolico, si propongono come salvatori della Chiesa fomentando giornaliero sprezzo verso il Santo Padre, che non è affatto perfetto, che può piacere o non piacere — ed è del tutto legittimo che piaccia o non piaccia — ma come più volte abbiamo ripetuto e come non ci stancheremo mai di ripetere: egli è Pietro, che piaccia o che non piaccia. E lo è per una verità di fede dogmatica che sta alla base fondante della Chiesa edificata su Pietro per il mandato a lui conferito da Cristo in persona. Ecco perché in certi casi il piacere o il non piacere è davvero relativo nel senso più squisitamente filosofico e teologico del termine. Perchè esiste, sia in filosofia sia in teologia, anche un sano e cristiano relativismo.

            Un fraterno abbraccio sacerdotale ed un ricordo nella preghiera per me alla Beata Vergine Maria di Fontanellato.

Ariel S. Levi di Gualdo

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NOTE

(1) È tesi nota della teologia classica, per esempio in S.Tommaso, che in Dio il sapere è identico all’amare. Famoso è il dogma del Concilio di Firenze del 1442 per il quale nell’essenza divina “tutto è uno, a meno che non si tratti dell’opposizione relativa delle divine persone” (In Deo omnia sunt unum , ubi non obviat relations oppositio, Denz. 1330).
(2) Per esempio la persona umana ha un valore assoluto in quanto immagine di Dio, ma ha un valore relativo in quanto creatura finita, e soprattutto fragile e peccatrice.
(3) Ci sarebbe da domandarsi come sia possibile, se tutto è relativo, che ci sia poi un principio assoluto. Ciò testimonia come anche i relativisti più spinti non possano fare a meno di un qualche assoluto, che poi non sarà più quello vero (Dio) ma l’assolutizzazione di un valore relativo.
(4) Cf Summa Theologiae, I-II, q.19. a.6
(5) Come per esempio nella filosofia di Fichte.
(6) Ma questo non vuol dir nulla: anche la parola “persona” non esiste, eppure il mistero trinitario è uno degli insegnamenti fondamentali della Bibbia.

15 commenti
  1. ettore dice:

    Il laicismo. Lettera dell’Episcopato italiano al clero, del 25-3-1960, in Enchiridion della Conferenza Episcopale Italiana. Decreti, dichiarazioni, documenti pastorali per la Chiesa italiana, vol. I, 1954-1972, EDB. Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 1985
    il testo completo si trova qui:
    http://unafides33.blogspot.it/2010/03/quando-i-vescovi-parlavano-chiaro-al.html
    ampi stralci con alcuni commenti si leggono qui:
    http://www.alleanzacattolica.org/indici/articoli/pappalardof340.htm

  2. domanileggocicerone dice:

    Considerato l’argomento, colgo l’occasione per segnalare alla Redazione un testo molto utile che mi risulta non facilmente reperibile su internet; inoltre nelle pagine web in cui appare pubblicato non viene citata la fonte, quasi si trattasse di un insieme di fogli volanti:

    “Il laicismo. Lettera dell’Episcopato italiano al clero, 25 marzo 1960”.

    Circa dieci anni fa, Avvenire ne pubblicò alcuni stralci. Il documento, come ho già detto, è comunque reperibile in alcuni blog. In questa lettera viene fatta una rassegna schematica delle modalità con cui si manifesta il pensiero laicista, analizzando le loro cause. Il testo che propongo è molto utile perché è molto sintetico ed essenziale, per cui mi auguro che non sia caduto del tutto nell’oblìo. Esso riassume alcune discussioni riportate in questo blog. La mia proposta è motivata dal fatto che, dopo aver compiuto una serrata analisi ed un appassionato confronto, è necessaria una buona sintesi, altrimenti l’approfondimento acquistato in virtù del cammino percorso rischia di sfociare in dispersione, soprattutto in momenti in cui siamo colpiti, un giorno dopo l’altro, ora da una notizia ora da un’altra.

  3. Riccardo dice:

    Mio padre e mia madre, nonché il parentado tutto loro alleato, tutti perfetti “signori nessuno”, fin dall’età della ragione hanno insegnato a me, “signor nessuno” al pari di loro, a “tenere la lingua al di qua dei denti”. Inconsapevolmente si sono sempre avvalsi del 3° e del 4° giudizio del senso comune, relativo il primo all’intersoggettività ed il secondo alla moralità; li ha sempre guidati piuttosto, il popolano e consapevole “buon senso”, il quale, detto “en passant”, immunizzato da un sana educazione religiosa, mai ha corso il rischio di trasformarsi nel “Bon sens” dell’illuminista radicale d’Holbach.
    Non intendevano fare di me un afasico cronico e insipido: rimanessi pure un “signor nessuno”, ma dovevo essere una persona prudente e temperante, in grado di valutare tanto l’efficacia, i limiti e le conseguenze delle proprie espressioni pubbliche, quanto i contesti in cui queste avvengono.
    Che i miei genitori, coltivassero segretamente la speranza di vedermi Papa un giorno, vedermi dunque “Signor Qualcuno, fatto e finito”?

  4. gianlub dice:

    Con la non trascurabile differenza che negli esempi da lei addotti di discussioni in Concili si trattava di argomenti di fede dottrinali che a quel tempo non erano ancora stati dogmaticamente e infallibilmente dichiarati tali dal Magistero della Chiesa. Quello della comunione ai divorziati si tratta di mettere in discussione addirittura il peccato (facendo credere che tutto sommato concedere l’Eucarestia in situazione di peccato mortale come è appunto quello dei divorziati risposati non è poi così male, anzi come direbbe Bergoglio: è un atto di “misericordia”). Sarebbe come mettersi a discutere ,per esempio, sul dogma dell’infallibilità pontificia stabilito dal CVI; anzi in questo caso è ancora peggio perchè come dicevo sopra si mette in discussione il male stesso presente in una situazione di peccato.

    • Padre Ariel
      Padre Ariel dice:

      … ammetto con cuore pastorale e con profondo dolore che è impossibile ragionare con chi, come lei, la verità la possiede, al contrario di me, che invece la servo e cerco di servirla nel migliore dei modi secondo le possibilità ed i talenti che mi sono stati dati dal Signore.
      E pensare che lei ha dato avvio a questo discorso proprio accusando il Padre Giovanni Cavalcoli di sofismi, meno male …
      Il Signore la accompagni verso l’apertura alla grazia della Verità, che ripeto, è cosa del tutto diversa dalla sua verità soggettiva.
      Per inciso: temo sia lei a dimenticare molte cose, a partire dal fatto che un concilio dogmatico, quello di Costantinopoli, ha “ritoccato” e “integrato” un dogma che più dogma non si può: la Professione di fede che i dogmi fondamentali li racchiude tutti e che non a caso, oggi, si chiama Simbolo di fede niceno-costantinopolitano.
      Rifletta anche su questo.

      • gianlub dice:

        “ritoccato” e “integrato” è ciò che giustamente lei mi fà notare. Peccato che la S Eucarestia ai divorziati non “ritocca” nè “integra” nulla dei dogmi precedenti; anzi in un colpo solo ANNULLA la concezione del peccato; il che, se possibile, come le avevo precedentemente detto è anche peggio. Io da me non ho nessuna verità, la colgo semplicemente dall’unica Verità che è Gesù Cristo e che si manifesta attraverso la sua Dottrina nell’unica vera Chiesa che è quella Cattolica.
        Buon per lei che chiama sofismi le mie osservazioni riguardo al fatto che un divorziato risposato si trovi in una situazione di peccato: in base alla semplice Dottrina Cattolica dovrebbe essere chiaro e non discutibile ciò;

        • Padre Ariel
          Padre Ariel dice:

          … lei seguita imperterrito a fare il processo alle intenzioni: nessuno, con nessun documento del magistero, ha mai ammesso i divorziati risposati alla Eucarestia ed alle seconde nozze, se non in caso di sentenza di nullità del matrimonio decretata dal tribunale ecclesiastico che come sappiamo non “annulla” i Sacramenti, ma li riconosce nulli, ossia non validi per la carenza di uno o di alcuni di quei requisiti minimi che sono indispensabili per la validità del Sacramento.
          Dunque lei insiste a parlare di un problema che non c’è, semplicemente “interpretando” delle discussioni tra i Padri Sinodali, alle quali non è seguito alcuno sdoganamento del divorzio e nessuna variazione circa la disciplina del Sacramento della Santissima Eucaristia.
          Questo è un fatto, il resto sono appunto processi alle intenzioni.

          • gianlub dice:

            Bergoglio è della scuola di Martini, quindi di Rahner, e Rahner non è Kung né Barth. Negli scritti di Rahner raramente si rinviene un attacco diretto alla Dottrina bimillenaria della Chiesa: Rahner – come del resto il Concilio – non gioca sul terreno della Dottrina, almeno non apertamente, ma su quello della pastorale. Già nel creare questa dicotomia egli crea le premesse per quel che ne segue, ossia incidere sul Magistero non cambiandone i principi ma la loro applicazione e la prassi. il punto non è nel precetto morale, ma nella misericordiosa elusione della sanzione. La contraddizione c’è solo se si concepisce – come è stato per duemila anni – il Magistero come un continuum non solo nel tempo ma anche in se stesso, in cui non è possibile scindere il precetto dalla sua applicazione, o quantomeno non è ravvisabile alcuna antinomia; nell’ottica rahneriana, postconciliare, invece, Dottrina e pastorale sono due dimensioni comunicanti ma distinte e sta all’uomo di Chiesa calare la norma…

          • Padre Ariel
            Padre Ariel dice:

            Tutto giusto, parzialmente, ma tutto sbagliato oggettivamente, perché ancora una volta manca l’elemento fondamentale di quella grande virtù teologale che è la speranza: e lei pensa che lo Spirito Santo, agendo attraverso la sua azione di grazia per mezzo di vescovi e di sacerdoti, nel caso improbabile che ciò fosse, permetterebbe tutto questo?
            Perché la Chiesa non è né di Rahner, né del Santo Padre Francesco né del defunto Card. Carlo Maria Martini: è di Cristo.
            Secondo lei, che cosa vuol dire “et portae inferi non praevalebunt” e che cosa significa, il messaggio di speranza dell’Apocalisse, dove si narra della sconfitta dell’Anticristo?
            Fede mio caro, fede … assieme a tanta speranza e carità, altrimenti si cada nello gnosticismo e nel pelagianesimo.

  5. gianlub dice:

    Sofismi di Padre Cavalcoli per difendere l’indifendibile. Cosa succederà quando … [PEZZO TAGLIATO]

    • Padre Ariel
      Padre Ariel dice:

      Caro Lettore,

      i miei due confratelli ed io che abbiamo dato vita a questa rivista telematica di teologia ecclesiale e di aggiornamento pastorale, siamo per nostra natura contrari alle censure; e lo siamo sia come sacerdoti sia come studiosi.
      Se lei reputa opportuno rivolgere a noi per primi una critica, il suo messaggio sarà immediatamente pubblicato senza problema.
      Se se lei rivolgesse delle pertinenti critiche anche al Romano Pontefice per avere parlato in sua veste di dottore privato, pubblicheremo senza alcun problema il suo commento, non però se ella – come ha fatto – tratterà con insolenza il Santo Padre mettendone in dubbio sia l’autorità sia la legittima elezione. A dare voce a simili messaggi provvedono di solito, ed anche con una certa gioia, vari siti di certi “tradizionalisti” ed ancor di più di certi sedevacantisti.
      Noi siamo pastoralmente impegnati ad istruire ed esortare i fedeli a vedere sempre nel Romano Pontefice, fosse anche uno dei peggiori pontefici della storia, il mistero della Chiesa eretta per volontà di Cristo in persona su Pietro, al quale il Signore ha dato potere di legare e di sciogliere. Cosa questa che non esenta certo i romani pontefici dall’errore, come accaduto più volte, a partire dallo stesso Pietro che per ben tre volte rinnegò Cristo e che ad Antiochia fu severamente rimproverato da Paolo.
      Nel corso della storia abbiamo avuto un considerevole numero di pontefici pessimi sotto tutti gli aspetti umani, morali e politici, ma nessuno di loro ha defettato sul piano dottrinale nell’esercizio del proprio supremo magistero.
      Il Santo Padre Francesco può piacere o non piacere, come dottore privato può esprimere cose condivisibili o non condivisibili, ma come Sommo Pontefice della Chiesa universale non ha mai intaccato né la dottrina né il dogma; cosa che peraltro non può fare, essendo supremo custode del deposito della fede ed essendo all’occorrenza assistito dallo Spirito Santo.
      La invito a leggere il mio articolo dedicato alla “teologia della speranza” ed a rifletterci sopra, ma soprattutto la invito ad avere profondo rispetto e devozione verso la pietra sulla quale Cristo ha edificato la sua Chiesa, se desidera essere veramente cattolico.

      • gianlub dice:

        Quando Bergoglio in una sua telefonata in Argentina ad una donna divorziata risposata gli ha “consigliato” di ricevere l’Eucarestia in un’altra parrocchia in quanto il Sacerdote di sua conoscenza non le permetteva di accostarsi al Sacramento, come agiva in quel momento: da dottore privato o da (falso) pontefice?

        • Padre Ariel
          Padre Ariel dice:

          … e suppongo che lei era lì presente ad ascoltare la telefonata, udita la quale ha preso atto di un fatto documentato in modo ineccepibile e quindi giudicando di conseguenza questo “falso” pontefice sulle sue profonde carenze legate alla disciplina dei sacramenti.
          Il fatto invece è altro: una Signora ha riferito ciò che a suo dire il Santo Padre le avrebbe detto ed i giornali ne hanno diffusa notizia in tutto il mondo nel modo in cui hanno reputato opportuno fare.
          Ora, se lei mi scrivesse: “Un pontefice non dovrebbe fare pastorale telefonica spiccia”, io le risponderei che sono perfettamente d’accordo, ma se lei mi scrive che costui è un “falso” pontefice, devo chiederle quando, come e perché lo Spirito Santo l’ha investita della missione di annunciare questa falsità al mondo.
          San Bernardo di Chiaravalle e Santa Caterina da Siena hanno trattato con estrema durezza alcuni pontefici, indicando ai diretti interessati per primi i loro sbagli e le loro debolezza, ma più gravi erano i loro sbagli e più gravi erano le loro debolezze, più questi santi e dottori della Chiesa hanno sempre visto e venerato in loro il misteri ed il ministero del Vicario di Cristo in terra.
          Questa è la differenza che corre tra i santi animati dalla fede e gli arroganti animanti invece da rabbie e disagi interiori che scelgono di sfogare su oggetti ben precisi, in questo caso il Santo Padre.
          Noi abbiamo scelto di seguire l’esempio di Bernardo e di Caterina, perché siamo uomini di fede a servizio della fede e delle verità che la fede proclama al mondo, non usiamo la presunta fede per lo sfogo di disagi interiori di tutt’altra natura.

          • gianlub dice:

            Guarda caso ha indetto un sinodo per discutere (tra le atre cose) della Comunione ai divorziati risposati (io non c’ero al sinodo come non ero presente alla telefonata alla Signora Argentina, mi concede il permesso di essere ragionevolmente certi che questo sinodo c’è realmente stato?); cioè di una “disciplina ecclesiastica” immodificabile che per il solo fatto di aver sollevato la questione è chiara indicazione di una sua volontà a modificare questa Dottrina “pastoralmente”. Comunque la Sig Argentina ha confermato tutto riguardo alla veridicità della suddetta “chiamata” di Bergoglio ed il sinodo ne è una indiretta conferma.

          • Padre Ariel
            Padre Ariel dice:

            Lei sta facendo un processo alle intenzioni affermando che per avere semplicemente permesso la discussione di certe tematiche, sia stata in tal modo espressa la volontà a modificare pastoralmente una dottrina immodificabile.
            Anzitutto non è stata modificata alcuna dottrina fondamentale né mai potrà esserlo, dato che la Chiesa, dei Sacramenti di grazia, è solo custode e dispensatrice.
            Per quanto riguarda quelle discussioni sinodali che le suscistano scandalo: lei ha la più pallida idea delle discussioni che vi furono nel corso dei grandi concili dogmatici della Chiesa, quando furono definite certe fondamentali verità della fede?
            Forse i Padri della Chiesa non avrebbero dovuto discutere?
            Ha idea, nel corso di quelle discussioni, quanti vescovi si opposero tenacemente alla proclamazione di alcuni dogmi della fede?
            Ha idea di quali idee diverse, a tratti anche profondamente divergenti, avevano tra di loro sulla Immacolata Concezione, oggi dogma di fede, alcuni uomini divenuti in seguito santi e dottori della Chiesa: Anselmo d’Aosta, Tommaso d’Aquino, Bonaventura di Bagnoregio, Duns Scoto?
            La scuola dei teologi domenicani sostenevano la tesi della “redenzione anticipata”, quella dei teologi francescani la “redenzione preventiva”, da qui le dispute tra le scuole dei “macolisti” e quella degli “immacolisti”.
            Oggi noi crediamo per fede, in quanto dogma di fede, che Maria fu concepita senza macchia di peccato originale; eppure, all’epoca di quelle discussioni, alcuni uomini oggi venerati come santi e dottori della Chiesa, sostenevano invece che fu concepita con il peccato originale e poi redenta.
            Lei non conosce la storia della Chiesa, tanto meno la teologia e tanto meno la storia del dogma.
            Se ne faccia una ragione e, come disse l’Angelo a Sant’Agostino: “Tolle lege, tolle lege” [prendi (e) leggi, prendi (e) leggi].
            Mi creda, glielo dico per il bene suo, altrimenti rischia davvero di farsi del sangue amaro per ciò che soggettivamente pensa ma che in fede e in dottrina oggettivamente non è.

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