La risurrezione di Cristo è quell’atto d’amore salvifico perfetto che caccia via in noi la paura della morte
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Stimato padre
Si comprende benissimo il valore di ciò dal punto di vista della dottrina cattolica che esprime il suo punto di vista sulla paura della morte e la correlativa fede nella resurrezione, sostenendo che questa paura costituisca il substrato comune al genere umano perchè la morte è il doloroso salario del peccato di Adamo (di cui tutti siamo figli) inaugurando tale concezione quel “paradossale” tempo lineare che poi concreta la storia della salvezza, inconcepibile in altri ambiti.
Ciò però non coincide con il sentire di molti popoli variamente distribuiti nel globo terracqueo che, credendo il tempo circolare e non lineare, immaginarono (o fu loro insegnato in via di rivelazione) e vissero (e vivono) in una condizione diversa la temporalità. Legati a cicli cosmici via via più ampi, videro nella ripetitiva macchina celeste, sempre ritornante al medesimo punto, il ritmo delle stesse loro esistenze individuali e a questo ormeggio convitamente ancorarono le loro effimere individualità nella perfetta e imperturbabile convinzione che anche nella loro persona fosse impresso quel medesimo moto che scorgevano presentarsi nel lento volversi dei cieli.
Per conseguenza si convinsero che c’è una vita con il corpo e una vita senza il corpo, ovvero il corpo apparve loro come una tunica dismissibile.
Anche la frase “donna partorirai con dolore” – l’ingresso alla vita – è una convinzione culturalmente condizionata in quanto presso molti gruppi umani il parto, seppur evidentemente impegnativo, è raramente doloroso e avviene in modo del tutto naturale, addirittura conversando con gli astanti, in similitudine a questo atteggiamento è accettata dal morente la sua separazione dal corpo.
Sono i pensieri che si fa un religioso senza religione come me in queste giornate.