7 thoughts on “La pena di morte ed i nuovi “dogmi”della Chiesa: perché non affidare Adolf Hitler e Pol Pot ai servizi sociali diretti dal Presbìtero Antonio Mazzi?”
Caro Padre, condivido in tutto la sua analisi. Fatta salva l’obbedienza dovuta al Pontefice, sorgono però alcuni dubbi:
1) di natura giuridica: in molti notano che il CCC non è il Denzinger. Bisognerà aspettare ulteriori chiarimenti?
2) Stiamo parlando di una materia a cui si applica il criterio del III grado di autorità, per il quale è richiesto l’ossequio della volontà?
2) È troppo affermare che quindi la pena di morte è un intrinsece malum? Se mai si dovessero presentare occasioni analoghe a quelle da lei citate (un dittatore-simbolo la cui non uccisione comporta non arrestare la scia di morte che lo accompagna), che dovrebbe fare un cattolico (magari giudice)? Non si rischia di cadere in un peccato di omissione?
Grazie
Il filosofo totalmente laico Guido Calogero, in difesa della sacralità della pena di morte, chiedeva che fosse eseguita non dallo spregevole boia, ma dal capo dello Stato, unico Pontefice tra la maestà dello Stato e l’espiazione-redenzione del reo. Il che sarebbe in perfetta sintonia con la sacramentalità della Chiesa, se solo esistesse ancora, a un qualsiasi livello della società sia laica sia religiosa, un minimo senso di serietà, da non confondere con la seriosità alla quale padre Ariel riserba un non invidiabile trattamento. Perciò una decisione pontificia in merito può essere legittima in punto di diritto, ma hic et nunc è molto dubbio che sia seria, che sia saggia, e che sia rilevante.
Gent.mo padre, per comprendere come vada intesa la nuova formulazione dell’articolo 2267 del CCC le propongo un esempio, forse surreale ma possibile in determinate condizioni socio-politiche.
Ammettiamo che la legge di uno Stato per il reato di strage ammetta solo la pena di morte e nessuna forma di detenzione, neppure l’ergastolo. Un giudice cattolico di tal Stato, chiamato a giudicare uno stragista reo confesso, filmato mentre compie l’efferatezza e capace di intendere e volere, deve assolverlo per non peccare mortalmente?
Da come avevo inteso la formulazione precedente, che tollerava come extrema ratio (ma non ammetteva affatto la pena di morte come misura ordinaria) la pena di morte avrei risposto di no: poteva condannarlo a morte e non commettere peccato mortale, essendo l’assoluzione di un reo e la possibilità di una sua reiterazione persino peggiori della sua morte. E con la formulazione attuale?
La ringrazio per i suoi interessanti articoli e spero vorrà rispondermi. Non è la prima volta che cerco la certa continuità col passato in atti magisteriali di Papa Francesco (penso alla nota 351 di Amoris Laetitia) e vorrei riuscirvi anche stavolta. Un caro saluto.
questo suo quesito, riguardo il “giudice cattolico”, andrebbe posto a tutti i politici democristiani cosiddetti “baciapile”, specialisti sopraffini nel voltare le carte in tavola e che hanno firmato a suo tempo la Legge sull’aborto, nascondendosi poi dietro al dito del … «è stato un atto istituzionale dovuto».
Nella stessa situazione, il Re del Belgio, Baldovino, con uno stratagemma costituzionale, abdico il trono per un paio di giorni affinché la Legge sull’aborto non passasse con il suo nome.
Però mi scusi ma non mi ha risposto o forse non l’ho colto io. Mi sta forse cercando di far capire che se si trovasse nella condizioni del “giudice cattolico” da me ipotizzato si dimetterebbe prima di arrivare a sentenza? E quindi che la pena di morte in tal caso sarebbe immorale?
tenga presente che certi monsignori romani docenti di storia ecclesiastica alla Gregoriana – ne ho in mente uno che la conosceva, per inciso – vanno ripetendo che Zizola ha riferito che Ottaviani calunniò l’allora monsignor Montini davanti a Pio XII insinuando che avesse gusti sessuali molto particolari. E citano il giornalista Zizola con approvazione, ossia prendendolo per fonte storica attendibile, e per dare addosso a Ottaviani.
Tenga inoltre presente – ma qui la cosa è più facile da smontare, trattandosi di un anticlericale inveterato – che il famoso Giordano Bruno Guerri ha sentenziato che la lettera di Serenelli gliel’avrebbero scritta i frati.
Caro Padre, condivido in tutto la sua analisi. Fatta salva l’obbedienza dovuta al Pontefice, sorgono però alcuni dubbi:
1) di natura giuridica: in molti notano che il CCC non è il Denzinger. Bisognerà aspettare ulteriori chiarimenti?
2) Stiamo parlando di una materia a cui si applica il criterio del III grado di autorità, per il quale è richiesto l’ossequio della volontà?
2) È troppo affermare che quindi la pena di morte è un intrinsece malum? Se mai si dovessero presentare occasioni analoghe a quelle da lei citate (un dittatore-simbolo la cui non uccisione comporta non arrestare la scia di morte che lo accompagna), che dovrebbe fare un cattolico (magari giudice)? Non si rischia di cadere in un peccato di omissione?
Grazie
Il filosofo totalmente laico Guido Calogero, in difesa della sacralità della pena di morte, chiedeva che fosse eseguita non dallo spregevole boia, ma dal capo dello Stato, unico Pontefice tra la maestà dello Stato e l’espiazione-redenzione del reo. Il che sarebbe in perfetta sintonia con la sacramentalità della Chiesa, se solo esistesse ancora, a un qualsiasi livello della società sia laica sia religiosa, un minimo senso di serietà, da non confondere con la seriosità alla quale padre Ariel riserba un non invidiabile trattamento. Perciò una decisione pontificia in merito può essere legittima in punto di diritto, ma hic et nunc è molto dubbio che sia seria, che sia saggia, e che sia rilevante.
Gent.mo padre, per comprendere come vada intesa la nuova formulazione dell’articolo 2267 del CCC le propongo un esempio, forse surreale ma possibile in determinate condizioni socio-politiche.
Ammettiamo che la legge di uno Stato per il reato di strage ammetta solo la pena di morte e nessuna forma di detenzione, neppure l’ergastolo. Un giudice cattolico di tal Stato, chiamato a giudicare uno stragista reo confesso, filmato mentre compie l’efferatezza e capace di intendere e volere, deve assolverlo per non peccare mortalmente?
Da come avevo inteso la formulazione precedente, che tollerava come extrema ratio (ma non ammetteva affatto la pena di morte come misura ordinaria) la pena di morte avrei risposto di no: poteva condannarlo a morte e non commettere peccato mortale, essendo l’assoluzione di un reo e la possibilità di una sua reiterazione persino peggiori della sua morte. E con la formulazione attuale?
La ringrazio per i suoi interessanti articoli e spero vorrà rispondermi. Non è la prima volta che cerco la certa continuità col passato in atti magisteriali di Papa Francesco (penso alla nota 351 di Amoris Laetitia) e vorrei riuscirvi anche stavolta. Un caro saluto.
Caro Lettore,
questo suo quesito, riguardo il “giudice cattolico”, andrebbe posto a tutti i politici democristiani cosiddetti “baciapile”, specialisti sopraffini nel voltare le carte in tavola e che hanno firmato a suo tempo la Legge sull’aborto, nascondendosi poi dietro al dito del … «è stato un atto istituzionale dovuto».
Nella stessa situazione, il Re del Belgio, Baldovino, con uno stratagemma costituzionale, abdico il trono per un paio di giorni affinché la Legge sull’aborto non passasse con il suo nome.
Ricordo quell’evento.
Però mi scusi ma non mi ha risposto o forse non l’ho colto io. Mi sta forse cercando di far capire che se si trovasse nella condizioni del “giudice cattolico” da me ipotizzato si dimetterebbe prima di arrivare a sentenza? E quindi che la pena di morte in tal caso sarebbe immorale?
Caro don Ariel,
tenga presente che certi monsignori romani docenti di storia ecclesiastica alla Gregoriana – ne ho in mente uno che la conosceva, per inciso – vanno ripetendo che Zizola ha riferito che Ottaviani calunniò l’allora monsignor Montini davanti a Pio XII insinuando che avesse gusti sessuali molto particolari. E citano il giornalista Zizola con approvazione, ossia prendendolo per fonte storica attendibile, e per dare addosso a Ottaviani.
Tenga inoltre presente – ma qui la cosa è più facile da smontare, trattandosi di un anticlericale inveterato – che il famoso Giordano Bruno Guerri ha sentenziato che la lettera di Serenelli gliel’avrebbero scritta i frati.