La Madonna “molliccia” e “pacioccona” del piccolo Padre Livio Fanzaga e il grande cuore cattolico di Antonio Socci che invita alla preghiera per il Sommo Pontefice

lettere dei lettori 2

Rispondono i Padri dell’Isola di Patmos

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LA MADONNA MOLLICCIA E PACIOCCONA DEL PICCOLO PADRE LIVIO FANZAGA E IL GRANDE CUORE CATTOLICO DI ANTONIO SOCCI CHE INVITA ALLA PREGHIERA PER IL SOMMO PONTEFICE

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In questa rubrica lettere dei lettori, Padre Giovanni Cavalcoli risponde spiegando il motivo del suo licenziamento da Radio Maria, avvenuto sotto questo pontificato misericordioso nel quale si stanno verificando epurazioni degne dei vecchi regimi sovietici; Padre Ariel S. Levi di Gualdo elogia invece con affetto e stima quel “maledetto toscano” di Antonio Socci.

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Caro Padre Giovanni Cavalcoli,

ci farebbe piacere se lei stesso, che è stato protagonista della spiacevole vicenda di Radio Maria, dalla quale è stato poi espulso per delle affermazioni che in verità non avrebbe fatto, ci narrasse come i fatti si sono svolti.

Redazione del blog Cogitare Humanum Est [Ndr. cf. QUI]

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Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli, OP

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PDF  rubrica dei lettori formato stampa

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Livio Fanzaga

il presbìtero Livio Fanzaga negli studi di Radio Maria

Io iniziai a collaborare con la emittente Radio Maria nel 1993 e non era mai accaduto alcun incidente, anzi, godevo della stima di Padre Livio Fanzaga, che si era fatto entusiasta diffusore del mio libro L’inferno esiste. La verità negata [Fede & Cultura, 2010].

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Da alcuni anni stavo conducendo un corso per catechisti e quella domenica, spiegando il motivo e lo scopo del battesimo, avevo detto che esso serve a togliere la colpa e il castigo del peccato originale. Così, per fare un esempio, ricordai che i terremoti potevano esser considerati una conseguenza del peccato originale e un richiamo di Dio alla conversione dai peccati.

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Nella mia catechesi, il tutto era inquadrato nel mistero del peccato originale, a causa del quale non solo l’uomo perde la sua originaria perfezione, divenendo da angelica creatura immortale creatura mortale, ma anche la stessa natura del creato è alterata da questo peccato, divenendo ostile all’uomo e manifestando questa sua ostilità attraverso maremoti, terremoti, grandi eruzioni vulcaniche; od attraverso il cambio degli assetti geologici della terra stessa, come il mare che si ritira generando zone desertiche, od il mare che avanza e sommerge zone abitate e zone coltivabili, inducendo i sopravvissuti a emigrare altrove, a combattere con le carestie e con la fame. Insomma, quella calamità naturali descritte sia nell’Antico sia nel Nuovo Testamento.

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Tutto questo, in teologia, è da sempre collegato al peccato originale, che ha toccato sia l’uomo sia la natura, ossia l’intero creato, alterando e quindi corrompendo l’equilibrio perfetto creato in origine da Dio.

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Nel corso dei secoli, la misericordia di Dio si è servita anche di questi eventi per la salvezza dell’uomo. Per esempio: quando la popolazione europea fu decimata dalla grande peste nera del 1347, le popolazioni, all’epoca sempre cristiane nella loro totalità, interpretarono quell’evento come un monito di Dio per il richiamo alla loro conversione. E se guardiamo al solo aspetto architettonico, da una parte vediamo grandi opere incompiute antecedenti al 1374 — a tal proposito mi viene a mente tra le tante la grande chiesa di San Petronio a Bologna —, dall’altra parte abbiamo, nei decenni immediatamente successivi, la costruzione di splendidi stabili di culto che rappresentavano la nuova dedicazione a Dio dell’uomo attraverso la fede, manifestata non solo con le opere d’arte, ma anche attraverso le grandi produzioni filosofiche, letterarie e teologiche che seguirono, od anche attraverso la nascita di tante nuove forme di vita religiosa consacrata.

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In questo senso, le mie, espresse in quella trasmissione radio, erano parole che richiamavano alla mente la giustizia divina, ma che però, nel contempo, suscitano nel cristiano la pace nell’animo, perché il credente vede nelle sventure non solo il segno di un Dio giusto, ma anche misericordioso; n’è prova storica il fatto che dopo certi eventi catastrofici, ci sono sempre state espressioni di grande rinascita, e questo nessuno lo può ragionevolmente negare, perché è scritto nei nostri monumenti tutt’oggi visibili.

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Queste parole, ispirate alla più comune tradizione cristiana, suscitarono contro Radio Maria, ma in particolare contro di me, un immediato intervento sdegnato da parte di diversi prelati, che basarono i propri commenti “a caldo” su quanto era stato scritto e riportato dai giornali, anziché su quanto io avevo veramente detto nell’articolato contesto di una catechesi sul peccato originale, la sintesi della quale era già tutta racchiusa in un mio articolo pubblicato un anno prima sulla pagina di Theologia de L’Isola di Patmos: Dio castiga e usa misericordia [vedere QUI], che non suscitò scandalo alcuno [N.d.R. abbiamo verificato nei dettagli delle statistiche che dal 18.11.2015 alla data di oggi, questo articolo è stato aperto e letto per un totale di 71.203 volte].

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Le accuse che mi sono state rivolte ― a parte le calunnie diffamanti per un teologo conosciuto da decenni come fedele servitore della Chiesa ― sono tutte basate perlopiù su princìpi ereticali, per cui sono assolutamente nulle ed anzi meritevoli di essere esse stesse oggetto di severa condanna. A tal proposito rimando agli articoli di Ariel S. Levi di Gualdo, che in quei giorni di polemica — dopo che i miei Superiori mi chiesero in via “cautelare” di non intervenire né di pubblicare più scritti per il momento — intervenne sulla nostra Isola di Patmos con dei resoconti precisi e dettagliati, mettendo le cose in chiaro e indicando i pensieri apertamente ereticali espressi da alcuni vescovi, e purtroppo anche da qualche alto dignitario della Santa Sede [cf. QUI, QUI].

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Per esempio, vi fu chi mi accusò di partire da un «dio pre-cristiano», contrario alla misericordia. Ma affermando questo, il prelato mio accusatore, mostrò in tal modo di essere influenzato da Marcione, eretico del II secolo e padre della cosiddetta eresia marcionita, il quale sosteneva che, mentre il Dio dell’Antico Testamento era un Dio cattivo, che castiga, il Dio del nuovo è il Dio buono, che è solo misericordia e non castiga.

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Un altro Vescovo mi accusò d’avere un «dio paganissimo», nella presupposizione che il Dio che permette i terremoti non sia il Dio biblico, ma quello pagano. Cosa del tutto falsa, giacché la Bibbia insegna chiarissimamente che anche i terremoti sono moniti della misericordia divina. Basti considerare l’Apocalisse o gli annunci escatologici del Vangelo.

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L’Evangelista Luca riporta precise parole pronunciate da Gesù che risponde ai suoi discepoli dicendo:

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«Guardate di non lasciarvi ingannare. Molti verranno sotto il mio nome dicendo: “Sono io” e: “Il tempo è prossimo”; non seguiteli. Quando sentirete parlare di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate. Devono infatti accadere prima queste cose, ma non sarà subito la fine». Poi disse loro: «Si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno, e vi saranno di luogo in luogo terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandi dal cielo [cf. Lc 21, 8-11].

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Con la sua notoria verve ironica, Ariel S. Levi di Gualdo, in quei giorni ironizzò:

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«Sicuramente, Cristo Signore, era proprio un “dio pre-cristiano”, perché una cosa resta fuori da ogni possibile discussione: Cristo, non era cristiano!».

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Possiamo forse dar torto a questo mio confratello sacerdote e teologo, che con una battuta spiritosa solo all’apparenza, sintentizzo un’ovvia verità teologica ?

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Se in quel momento io avessi avuto dinanzi quel Vescovo, gli avrei chiesto in che modo, ma soprattutto quale genere di risposta egli avrebbe dato, dinanzi al dramma di una creatura innocente di due anni morente in un reparto di oncologia pediatrica, consumata da un cancro inguaribile. Forse, questo Vescovo, una risposta non ce l’ha, io invece si, e non è certo una risposta di Giovanni Cavalcoli, ma della fede cattolica. Ebbene, premesso anzitutto che quella creatura innocente non è certo colpevole del cancro che la sta consumando, giacché nei progetti di Dio, noi, non siamo stati creati per essere assaliti dal cancro e infine dalla morte, la mia risposta di fede, di conseguenza la mia risposta teologica, è che il cancro e la morte, sono conseguenze del peccato originale che ha corrotto la natura e che ha consegnato alla discendente umanità una natura imperfetta, corrotta e mortale.

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Ma volendo c’è di peggio ancora. Se a questo Vescovo qualcuno avesse chiesto: «Perché Dio permette che una creatura innocente muoia consumata da un cancro a soli due anni, mentre fior di malfattori, che trascorrono i giorni della loro vita a fare il peggior male al prossimo ed a compiacersi del male che fanno, arrivano a vivere fino a novant’anni, morendo infine senza neppure essersi mai ammalati e senza avere sofferto per alcun genere di infermità? Noi uomini di fede, risposta a questi quesiti, l’abbiamo da sempre, perché il tutto ha la sua risposta e ragione all’interno di quel mistero che è il peccato originale. 

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Un altro Vescovo, di recente nomina, mi accusò di dire delle «idiozie» e delle «sciocchezze», di «nominare il nome il di Dio invano» e di avere un «concetto puerile di Dio». Tutte queste accuse stolte e offensive rivolte a me, accademico pontificio, che insegno teologia tomista da quarant’anni, mi sento sinceramente di respingerle tutte ai vari mittenti, come feci da subito, mentre per tutta risposta i miei accusatori rincaravano la dose dicendo: «Ecco, nega anche di presentare le sue scuse!». Sinceramente, mi domandai ieri e mi domando ancor oggi: come può, un teologo, scusarsi per la dottrina cattolica ?

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Padre Livio mi ha accusato di aver offeso la misericordia della Madonna, giacché, affermando che Dio castiga, l’ho implicitamente concepita come donna crudele, associata a un Dio crudele. Qui, il povero Padre Livio, ha fatto un improvviso vergognoso voltafaccia, interrompendo pavidamente la sua coraggiosa linea pastorale, nella quale, nei suoi precedenti libri, mostrava giustamente Maria in lotta contro il Drago e rinnegando il mio libro sull’inferno.

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Ecco dunque all’improvviso venir fuori una Madonna molliccia e pacioccona, new look, aggiornata al più becero e pericoloso misericordismo e buonismo. Ma per Padre Livio non sarà sufficiente buttare a mare Giovanni Cavalcoli, come già in passato ha fatto con il Prof. Roberto de Mattei [cf. QUI], piuttosto dovrebbe capire che contro certi famelici nemici insaziabili che oggi ci circondano da tutti i lati e che da tempo sono penetrati all’interno della nostra casa, non si deve cedere, si deve combattere, ma non con una Madonna paciona ed imbelle, ma con Colei che ha vinto Satana e tutte le eresie.

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A vicenda grazie a Dio conclusa, ci si impongono alcune riflessioni. Nei giorni seguenti gli attacchi subìti mi sono giunti migliaia di messaggi di comprensione, lode e solidarietà, anche dall’estero, da parte di buoni semplici fedeli. Molti teologi laici hanno preso le mie difese su diversi siti cattolici. Invece nessun vescovo s’è fatto vivo, su 250 che ne abbiamo in Italia. L’unico che mi ha appoggiato è stato S.E. Mons. Giovanni D’Ercole, Vescovo di Ascoli Piceno.  Questo fenomeno come si interpreta, come si spiega, che significa?

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Direi tre cose. Prima, un’evidente presenza dello Spirito Santo nel popolo di Dio più che nei pastori. Seconda, una crisi di fede diffusa tra i pastori. Terza, questi buoni laici difensori della fede hanno certamente alle spalle dei buoni preti e dei buoni vescovi, che però restano nell’ombra, non si espongono. E questo non va bene. Siamo in guerra e bisogna combattere. Abbiamo le armi per vincere, occorre uscire allo scoperto e combattere valorosamente. Non è dignitoso fare i cecchini. Il nemico deve abbassare la cresta. Ma perchè ciò possa avvenire, bisogna che mostriamo la nostra forza. Se ci mostriamo timidi e cedevoli, come per esempio un Padre Livio, il nemico ne approfitta.

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Bisogna che i preti e i vescovi che stanno alle spalle dei laici escano allo scoperto con coraggio. Non devono più dire ai laici: «Vai avanti tu, perché sai … io non posso mica compromettermi! Però ti proteggerò nell’ombra». No. Vescovi e preti devono scendere in campo per animare i combattenti. Il pastore dev’essere alla testa del gregge. Anche perchè dobbiamo contarci, sapere quanti siamo e chi siamo, dobbiamo sapere gli uni degli altri. Se stiamo nascosti, gli uni non sanno degli altri; questo diminuisce la forza, e ci impedisce di organizzarci e di avviare un’azione comune.

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Occorre in particolare liberare il Papa dal codazzo di cortigiani che gli sta attorno, che si fingono servitori della Chiesa e che invece la distruggono, che si autonominano collaboratori del Papa e invece lo adulano, lo ingannano e lo circuiscono, e probabilmente anche lo minacciano. Essi gli fanno apparire nemici i suoi veri fedeli, mentre essi si fingono fedeli e gli sono invece nemici.

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In questa situazione confusa, occorre più che mai contare sul Papa nella lotta al modernismo, benchè egli a volte sembri sposarne le apparenze. Occorre invece più che mai distinguere nel Papa la guida alla vittoria, dai suoi difetti umani, dei quali non si deve tener conto, se egli non riesce a correggersene, perchè ciò potrebbe farci perdere di vista la funzione di guida del Papa.

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Quindi, non solo il contenuto di quanto ho detto, ma anche l’opportunità di averlo detto, come ho fatto notare sopra, contrariamente a quanto è apparso a qualcuno, intendeva essere motivo di cristiano conforto, proprio per le povere vittime del terremoto.

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Ciò di cui mi rendo conto, oggi più che mai, è di quanto sia difficile per molti recepire il lessico cristiano, a volte per gli ecclesiastici stessi. Pertanto, parlando di certi temi, non bisogna mai dare per scontato niente, indugiando persino in spiegazioni che potrebbero apparire ovvie, mossi in tal senso dalla consapevolezza che tra gli ascoltatori, non solo possono esservi coloro che non sono disposti ad ascoltare, ma anche dei soggetti che in modo del tutto voluto, oserei dire diabolico, spesso fraintendono volutamente per poi seminare zizzania.

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Quanto mi è successo dimostra come, se da una parte stiamo vivendo una diffusa crisi di fede, tuttavia lo Spirito Santo non manca mai di farsi sentire anche nei momenti più bui perchè sopportiamo la sofferenza, alimentiamo la speranza e siamo forti nel compimento del bene.

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Riprendendo il mio pieno e attivo lavoro su L’Isola di Patmos, colgo l’occasione per ringraziare tutti coloro che hanno pregato per me e chiedo a tutti loro anche una preghiera per il mio amatissimo Ordine dei Frati Predicatori di San Domenico di Guzmán, perché mai io cesserò, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, di essere grato a Dio per avermi voluto a suo servizio come sacerdote e teologo domenicano, e sino alla fine della mia vita, a qualsiasi costo e costi quel che costi, porterò avanti la mia missione con l’ausilio della Beata Vergine Maria del Rosario.

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Varazze, 12 febbraio 2017

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IL GRANDE CUORE CATTOLICO DI ANTONIO SOCCI CHE INVITA ALLA PREGHIERA PER IL SOMMO PONTEFICE

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Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Caro Padre Ariel S. Levi di Gualdo.

Tempo fa lei confutò il libro di Antonio Socci, Non è Francesco”, con un suo lungo articolo. Vorrei sapere che cosa pensa dell’ultimo articolo pubblicato da Socci sul suo blog Lo Straniero [Ndr. cf. QUI].

Mattia Vizzini

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antonio socci lettere a mia figlia

la più bella immagine di Antonio Socci: sua figlia Caterina, una “figlia condivisa” nella paternità cristiana da tutti noi che abbiamo pregato e che preghiamo per lei [vedere QUI]

Ho letto con piacere l’articolo bello e toccante di Antonio Socci [cf. QUI], commentato poco dopo da Roberto de Mattei sull’agenzia cattolica Corrispondenza Romana con l’equilibrio asciutto e asettico dello studioso che analizza un fatto e lo commenta, com’è nello stile di questo insigne storico della Chiesa [cf. QUI].

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Non so se Antonio Socci abbia riflettuto su alcuni tiri che in passato gli ho indirizzato, a partire dal mio saggio breve a confutazione del suo libro Non è Francesco [cf. QUI]. Se però c’è una cosa che ricordo molto bene — e qui vale il principio scripta maneant — è che proprio muovendogli delle critiche ho sempre messo in luce due diversi elementi, uno oggettivo e uno soggettivo. Il dato oggettivo: Antonio Socci è un autentico credente, un devoto cattolico figlio della Chiesa di Cristo. Il dato soggettivo: ad Antonio Socci voglio bene e verso di lui ho sempre nutrito stima, senza mai cessare di considerarlo un giornalista e un commentatore di indubitabile talento.

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Ma veniamo adesso al “fenomeno Socci”, la cui fenomenicità è legata anzitutto al fatto che egli appartiene ad una “razza maledetta da Dio e dagli uomini”, ossia i toscani, gente che io conosco bene per mio stesso ceppo di nascita. Non che voglia gareggiare in “spirito maledetto”, ma di certo sono più “maledetto io” di Antonio Socci, perché mentre lui è un toscano di indubbia purezza, io sono invece un “meticcio”. Toscana da generazioni è la mia famiglia materna, perché la mia famiglia paterna è di ceppo romano. E così, alla “cattiveria toscana”, sufficiente ad andare in Purgatorio sino alla parusia, aggiungo quello spirito romano che all’occorrenza fa di me una via di mezzo tra Boccaccio e Pasquino, sebbene io non vada in giro per l’Urbe Quirite ad affiggere manifesti scritti in romanesco su er papa

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Per capire Antonio Socci anche come giornalista di talento, bisogna entrare nella toscanità, semmai facendo richiamo ad alcuni personaggi che nel mondo del giornalismo hanno lasciato un segno storico, forse anche in virtù del loro carattere di toscani, ossia di “gente maledetta da Dio e dagli uomini”.

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In Antonio Socci si rispecchia quella che fu la coerenza e il coraggio di Indro Montanelli, ed al tempo stesso il carattere sanguigno e intelligentemente impulsivo di Oriana Fallaci, che proprio quando giocava a fare l’impulsiva, aveva in verità studiato con prudenza e saggezza anche i sospiri alterati che poi fuoriuscivano dalla sua bocca o dalla sua penna. E chi come il sottoscritto ha conosciuto nella propria giovinezza questi due personaggi — non solo per la loro fama ed i loro scritti, ma anche di persona —, non esita a percepire che Antonio Socci è a suo modo una sintesi di questi due geniacci amabili e talentati, ma tutt’altro che facili da trattare.

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Il 29 gennaio inviai un messaggio ai responsabili di varie riviste telematiche, blog e siti cattolici, incluso Antonio Socci, ai quali scrissi:

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«La cosa peggiore che in certe circostanze noi possiamo fare, è quella di rimanere nel nostro cosiddetto orticello. Possiamo anche litigare e attaccarci vicendevolmente su certe tematiche ecclesiali e pastorali, ma dinanzi a casi di questo genere, ogni cosa deve passare in terz’ordine perché la difesa della dottrina e della fede passa avanti a tutto, compresi attriti personali, simpatie o antipatie, modi diversi di pensare e via dicendo. Se infatti i soldati in guerra si mettono a litigare tra di loro anziché combattere, inutile dire quel che accadrebbe …»

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Quali erano «i fatti di questo genere» ai quali alludevo in quella email ? Il fatto era uno: gli attacchi intollerabili rivolti da un teologastro palesemente eretico, o in ogni caso non cattolico, tale alla prova dei fatti è Andrea Grillo, che più volte aveva attaccato il Cardinale Carlo Caffarra, considerato un maestro della morale cattolica di fama mondiale anche dagli stessi studiosi che non la pensano come lui, ma che con debita onestà intellettuale ne riconoscono da sempre l’indubbio valore.

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A difesa del Cardinale Carlo Caffarra, ed a confutazione delle stoltezze di Andrea Grillo, su L’Isola di Patmos era stato pubblicato un testo di indubbio spessore teologico [cf. QUI], che in quel messaggio privato mettevo a disposizione dei vari siti e blog cattolici, affinché quella difesa potessero farla propria, mostrando in tal modo, ai nostri sempre più potenti avversari, che all’occorrenza i veri cattolici fedeli alla dottrina e al Magistero della Chiesa sono uniti tra di loro.

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Figurarsi, questi cattoliconi neppure mi risposero. E ciò per il semplice fatto che ― come già scrivevo e lamentavo due anni fa ―, questi sedicenti cattolici, in verità sono solo dei rissosi, autoreferenziali e spesso anche tremendi narcisisti che tendono a parlarsi addosso, rinchiusi nel proprio ghetto o comunque delimitati nel loro psicotico orticello. Come teologo e come pastore in cura d’anime ho tentato più volte di dir loro, in varie occasioni e senza alcun esito, che di fronte a certi grandi temi della fede bisogna mostrare unità, anziché far ridere a giusta ragione i nostri nemici palesandoci come un gruppo di membra sparse per la foresta, all’interno della quale ci lanciamo semmai anche le frecce gli uni contro gli altri.

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A nulla è però servito l’invito rivolto a questi soggetti sparsi che adesso sbraitano adesso si piangono addosso, ma che soprattutto tanto si piacciono quanto si parlano addosso. Inutile il mio invito a formare tramite le varie riviste, siti e blog una “Lega Santa”, memori della sapiente esortazione paolina: «Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!» [Gal 5, 15].

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A questi meschini che spaziano tra il ghetto e l’orticello autoreferenziale circondato di filo spinato, oggi presi a stracciarsi le vesti persino su quelli che fino a ieri erano i lefebvriani loro beniamini, ai quali hanno cominciato a lanciare accuse d’alto tradimento per le loro trattative in corso con la Santa Sede, mi verrebbe da chiedere: pensate che oggi riusciremmo a vincere una nuova Battaglia di Lepanto al grido di «Ave Maria!»? Perchè con una sbandata armata Brancaleone di litigiosi come voi, i musulmani ci sconfiggerebbero sommergendoci con una risata, mentre i vostri vari gruppuscoli sarebbero presi a litigare tra di loro sul fatto che l’Ave Maria deve essere recitata in latino, a recto tono, con quaranta candelieri accesi e con le stoffe dei paramenti liturgici la cui fabbricazione deve essere antecedente al 20 settembre 1870, data della presa di Roma che segnò la caduta dello Stato Pontificio. Perchè questo è il grottesco teatrino al quale purtroppo siamo ridotti: litigare sulla irrigazione delle margherite del giardino che rischiano di appassire per il calore sviluppato dalle fiamme che stanno bruciando tutta quanta la casa.

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Ahimè sono miseramente rimbalzato su un muro di gomma, senza riuscire a far capire neppure l’ovvio: il male che oggi ammorba la Chiesa, per imperare deve anzitutto dividere, ed in questa opera di divisione, noi rendiamo agli accoliti del Maligno splendido servizio dando ad essi risultato di successo garantito e con il loro minimo sforzo.

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Solo Antonio Socci pare aver riflettuto su certe mie parole. E sia chiaro: è una mia pura supposizione basata sul fatto che il suo ultimo scritto testè riportato sposa tutte le istanze che inutilmente cerco di portare avanti da due anni, nel tentativo disperato e a tratti purtroppo inutile di togliere dalle mani l’innaffiatoio della bambola Barbie a coloro che stanno perdendo del tempo prezioso per innaffiare le margherite, spiegando in modo altrettanto inutile che bisogna spegnere quanto prima l’incendio che sta bruciando tutta quanta la casa.

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Adesso cercherò di delineare la differenza che corre tra due autentici credenti e uomini di fede come Antonio Socci e Roberto de Mattei, rispetto alla pletora di autoreferenziali che sui ghetti chiusi e sulle divisioni trovano la propria ragione di essere ed esistere. Ma prima di delineare certe differenze è necessario un chiarimento: perché, ad Antonio Socci e a Roberto de Mattei, in alcune circostanze ho riservato un trattamento duro, mentre ad altri soggetti li ho trattati sommergendoli con sarcastiche prese di giro [cf. QUI]? Per un fatto semplice: Antonio Socci e Roberto de Mattei sono due persone che vivono e che soffrono intimamente la Chiesa Cattolica, con la quale hanno un autentico rapporto figlio-madre. Gli altri, invece, sono perlopiù ex politicanti senza successo, variamente falliti o trombati, capaci ad esprimersi solo con la litigiosità dei consiglieri comunali dei paesi di provincia, che non essendo riusciti a sfondare neppure come consiglieri di circoscrizione, hanno trovato nella Chiesa Cattolica un luogo di sfogo per le loro psicopatologie. Detto questo faccio notare che dalle colonne de L’Isola di Patmos, l’insigne studioso veramente cattolico Roberto de Mattei è stato da me appoggiato e difeso più volte in tutti i grandi temi della fede e della dottrina [tra i vari scritti vedere QUI].

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Perché ho preso assieme due persone così diverse come Antonio Socci e Roberto de Mattei? Esattamente per questo: perché sono molto diversi ma alla fine simili attraverso l’unità nel mistero della fede.

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Roberto de Mattei, romano di nascita ma discendente da una famiglia dell’antica aristocrazia siciliana, possiede la naturale aplomb del perfetto nobiluomo, è persona sempre molto misurata, soprattutto quando si arrabbia, tanto che non è facile neppure capire quand’è arrabbiato. Antonio Socci, toscano da generazioni, nasce in una famiglia operaia della provincia di Siena, figlio di un minatore di profondi sentimenti cristiani, militante nella prima Democrazia Cristiana che fu. Uomo sul quale ― il suo babbo minatore ―, Antonio Socci ha scritto più volte parole toccanti legate soprattutto ai sentimenti e alla saggezza del suo amato genitore. Antonio Socci è un figlio sanguigno delle genti dell’antica Etruria e quando si arrabbia, la sua rabbia la manifesta in tutti i modi, ivi incluso il ricorso alla teatralità dei toscani, che riescono non di rado a essere eclatanti nelle loro espressioni iperboliche. Penso da sempre che certi toscani siano riusciti a far ridere persino Dio e la Beata Vergine Maria con le loro bestemmie, perché a volte sono talmente colorite, elaborate e fantasiose ― ma soprattutto dette senza la benché minima intenzione di offendere Dio e la Madonna ―, che mi riesce difficile immaginare qualcuno di questi popolani buzzurri all’inferno nel girone dantesco dei bestemmiatori, posto che per bestemmiare veramente occorre la cosciente, ferma e diabolica volontà di offendere Dio e la Beata Vergine Maria.

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Per Antonio Socci, il Romano Pontefice, altro non era quindi che il suo amato babbo fatta somma perfezione cristologica e apostolica. Antonio Socci ha venerato il proprio genitore come degno pater familias, come uomo culturalmente semplice, ma dotato di quella innata sapienza derivante dalla cultura di quel sensus fidei che condusse Santa Caterina da Siena, illetterata e analfabeta, nell’empireo dei dottori della Chiesa. Perché questo per ogni buon cristiano è il Romano Pontefice: il supremo padre della Familia Christi.   

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Non intendo certo psicanalizzare il caro Antonio Socci, tanto più in un pubblico scritto, tutt’altro: intendo giustificare lui e molti altri devoti figli fedeli della Chiesa che sempre più spesso giungono ai nostri confessionali con dei quesiti non facili da risolvere, legati alle non poche e infelici espressioni del Regnante Pontefice, il quale più viene esaltato da tutti i peggiori nemici della Chiesa, più genera lo smarrimento nelle membra vive dei fedeli che compongono il Corpo di Cristo che è la Chiesa [rimando al mio precedente articolo, QUI].

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Antonio Socci, come molti di noi, incluso chi scrive, è stato benedetto da Dio con la grazia di un padre premuroso, saggio, dotato di paterna autorità e autorevolezza, capace come tale a essere credibile e preziosa guida per i figli.

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Tutte queste caratteristiche, possiamo riconoscerle nell’uomo Jorge Mario Bergoglio? Esso rispecchia, quelle che sono le caratteristiche del padre premuroso, saggio, dotato di paterna autorità e autorevolezza, capace come tale a essere credibile e preziosa guida per i figli? Ometto di rispondere, limitandomi a ribadire quanto risposi nei miei dettagliati commenti storico-teologici ad Antonio Socci a proposito del sul libro Non è Francesco [cf. QUI]. E detta in estrema sintesi la risposta fu questa: un cattivo padre, non cessa per questo di essere il legittimo padre.

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Il problema del “cattivo padre”, lo viviamo giorno dietro giorno, soprattutto a causa dei pericolosi cortigiani e dei perniciosi ruffiani di cui costui s’è circondato, agendo con tutta la pericolosità tipica delle persone poco intelligenti e altrettanto poco preparate sul piano filosofico, storico, teologico e giuridico, ma che pur malgrado ritengono di essere scaltre, o di riuscire a gestire e controllare tutto, senza neppure rendersi invece conto di essere gestiti e controllati, spesso anche da quanto di peggio possa esistere.

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In Antonio Socci, come in molti altri fedeli e devoti figli della Chiesa, doveva prima esplodere il disagio, anche attraverso quella rabbia che fece scrivere alla sanguigna Oriana Fallaci il libro intitolato La rabbia e l’orgoglio, che non fu affatto una espressione di rabbia, malgrado il titolo, ma la rappresentazione e la narrazione di una rabbia elaborata. Altrettanto Antonio Socci, scrivendo il suo Non è Francesco, ha prima tirato fuori e poi elaborata la propria rabbia, peraltro del tutto comprensibile e sotto molti aspetti anche condivisibile sia sul piano umano che su quello cristiano.

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Non credo che Antonio Socci oggi scriverebbe di nuovo quel libro, che però è stato prezioso per lui e anche per noi; e ritengo altresì che in un futuro, vicino o lontano, non abbia proprio alcun bisogno di dover ricorrere a smentire se stesso, perché quel libro è stato un momento di preziosa elaborazione della sua vita di autentico cattolico, che come tale non richiede e non necessita proprio di alcuna postuma smentita.

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Nel vero figlio fedele di Santa Madre Chiesa aperto all’ascolto, come dicevo poc’anzi prevale per dono e mistero di grazia il sensus fidei, che invece purtroppo non prevale nei rabbiosi fini a se stessi, nei litigiosi e nei narcisisti patologici richiamati in precedenza, ai quali se è tolta la lite e la divisione, è tolto proprio il loro senso di essere e di esistere. E costoro sono coloro che, come dicevo poco addietro, nella Lepanto di oggi si farebbero sconfiggere sommersi da una grassa risata da parte dei musulmani, mentre anzichè combattere sono presi a litigare tra di loro sui più formali e inutili cavilli delle rubriche liturgiche, dicendosi gli uni con gli altri: «la mia è la Messa di sempre », con gli altri che replicano … «Si, però la mia è la Messa di sempre, ma quella di sempre che come tale è molto sempre di più !».

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Antonio Socci ha capito, come molti di noi, che in questo momento storico abbiamo a che fare con un pater familias che sta esponendo la Santa Sposa di Cristo al meretricio sotto i lampioni dei marciapiedi; che bastona le pecore del proprio ovile e che dopo averle gonfiate di bòtte corre gioioso a dire a tutte le pecore smarrite che hanno fatto bene a smarrirsi e che soprattutto devono rimanere smarrite. O forse non è stato sotto questo Augusto Pontificato, che l’eresiarca Lutero, per le peggiori grinfie teutoniche calate da subito sul Successore di Pietro, è finito col divenire persino un «riformatore» e un animo tenero «animato da buone intenzioni» ?

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Antonio Socci, sin da bambino, ha imparato a essere un buon figlio degno di un buon padre; e come lui, questo, lo hanno imparato e vissuto anche molti di noi.

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Il figlio, specie un figlio adulto e maturo, deve però avere anche la capacità ad accettare la realtà di un cattivo padre, senza mai scegliere la strada più facile, quella assolutamente non praticabile che porta a dire: non è mio padre … non è il vero padre!

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L’esistenza del cattivo padre è una drammatica realtà, come lo è quella dei cattivi figli. Ma una cosa che in ogni caso non può essere negata, è la paternità.

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Come pastore in cura d’anime posso dire in coscienza una cosa: ho conosciuto, dentro e fuori dai confessionali, persone in cammino anche verso gli ottant’anni che sono stati figli di pessimi padri, dei quali ricordavano a una a una tutte le cattive azioni: la mancanza di cura per la famiglia, le percosse date alla madre, il maltrattamento dei figli. Eppure, diversi di questi figli, pur dinanzi al ricordo doloroso e disastroso di certi padri tutt’altro che modello, trovandosi ormai in cammino verso la fine della loro vita, sono riusciti a dire a me, loro confessore, alcune parole fondamentali per l’acquisto della pace interiore con sè stessi: «A suo modo, mio padre, mi ha lasciato comunque anche qualche cosa di buono. Una cosa è certa: è il padre che la vita mi ha dato, mai potrei negare di essere suo figlio, anche se avrei desiderato avere molto di meglio, rispetto a un padre tutto sommato disastroso com’è stato lui».

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Assieme ad Antonio Socci non cesseremo mai di pregare per il Regnante Pontefice, che con autentica devozione filiale ricordiamo ogni giorno nel canone della Santa Messa, con l’aggiunta di una particolare intenzione di preghiera: affinché la grazia di Dio protegga sempre Pietro e il ministero petrino sul quale si fonda il mistero della Chiesa, dalle imprudenze e dalle limitatezze dall’uomo Jorge Mario Bergoglio. Siamo infatti consapevoli che l’uomo Jorge Mario Bergoglio passerà, ma il ministero di Pietro sul quale si fonda il mistero della Chiesa, rimarrà sino al ritorno di Cristo alla fine dei tempi. E, molto misericordiosamente, quando Cristo Signore «tornerà nella gloria per giudicare i vivi e i morti», non dirà affatto: “Avanti tutti, che tutti siete salvi!”. Cristo Sommo Giudice separerà il grano dalla gramigna; e la gramigna sarà legata in fasci e bruciata all’Inferno, mentre il buon grano sarà riposto nel Paradiso per tutta l’eternità [cf. Mt 13, 24-30]. Questa è infatti la misericordia di Dio, non certo secondo le opinabili opinioni teologiche, ma secondo il deposito della fede Cattolica.

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Dall’Isola di Patmos, 12 febbraio 2017

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15 commenti
  1. simomar dice:

    Vorrei anche io esprimere dissenso, per la difesa a mio avviso troppo bonaria di Antonio Socci che da molti mesi a questa parte non fa che aizzare ferocemente e con pervicacia “luciferina” una moltitudine di persone che pendono letteralmente dalle sue labbra. Premetto che in passato sono stato un estimatore di Socci, ho letto molti suoi libri e tuttora leggo alcuni suoi articoli, qualche volta interessanti altre volte letteralmente infantili. Anche nella veste grafica quando vuole mettere in risalto con lo stampatello in grassetto, quelle che secondo lui sono perle imprescindibile di saggezza e verita’. Cmq per farle breve e non tediarvi troppo anche a me ha riservato lo stesso trattamento dell’amico intervenuto qualche post precedente. Fino a quando gli ho fatto i complimenti e postavo interventi completamentie proni alle sue supposte verita’, tutto bene. Un giorno, pero’, vista anche la violenza con la quale i suoi adepti intervengono contro il Papa (anche se per questi adepti il vero Papa e’ Benedetto XVI), provai a dissentire a dire semplicemente che forse quello non era il sistema di creare unita’ nei fedeli, fui bannato all’istante senza piu’ possibilita’ di replica …

      • candiac dice:

        scusi Ettore…non spiega nulla, anzi il nuovo articolo dimostra quanto ho detto. Legga il titolo: non c’è nessuna intenzione di fare marcia indietro!

        Socci avrebbe meritato molti elogi se avesse detto: “…sapete come la penso sul papa attuale col quale sono in dissenso…ma per non fomentare la ‘guerra civile’ non posterò più niente che possa aizzare chi mi legge a odiare il papa e addirittura a dire che non è il pontefice…continuo a scrivere dedicandomi ad altro”.

        e comunque creda che Socci si fa intendere benissimo, anche senza bisogno di rettifiche (inesistenti): basta vedere i suoi post sul profilo, che sono ben comprensibili del suo pensiero.

      • Zamax dice:

        Scusa Ettore, ma a me sembra che sia proprio l’articolo linkato a dimostrare che Socci ha purtroppo perso la testa; che ormai si è così calato nel ruolo (mondanamente gratificante, ad essere maliziosi?) dello Smascheratore Principe dell’Impostore che siede in Vaticano, da infarcire i suoi articoli di allusioni sonore e suggestive più che da dovizia di argomenti. C’è qualcosa di schizofrenico in lui. Sembra dire: calma, pazienza e sangue freddo! E tira fuori la metafora della colomba e del serpente, quando è proprio lui ad esserne la negazione. Parla (con umorismo involontario, visto chi ha nel mirino) di “discernimento”, ma poi tira fuori la metafora del Potere di pasoliniana ed infausta memoria. Immancabile poi il riferimento – che sa di definitiva condanna – ai passi escatologici del Nuovo Testamento, i quali possono avere un forte potere di seduzione nell’opinione pubblica, in quanto è facile sprofondarsi in essi con una certa superficiale voluttà. Infine l’uomo è purtroppo capace di meschine viltà, come quando, per prendere due piccioni con una fava, attaccò P. Cavalcoli sulla vicenda dei castighi dipingendolo per di più come grande sostenitore del nuovo corso…

    • Paolo dice:

      Concordo con quanto scritto da Candiac e Simomar…
      Di Socci ho letto alcuni libri, è un valido scrittore, però è innegabile la sua totale chiusura verso chi non la pensa nello stesso identico modo. Per la cronaca mi aveva messo in black list su twitter dopo un commento vagamente sarcastico…

      Padre Ariel, è troppo buono nei suoi confronti. Come anche nei confronti di Andrea Tornielli.

  2. Padre Ariel
    Candiac dice:

    Salve…vorrei esprimere il mio dissenso agli elogi che fate, in questo articolo, al giornalista Socci. Pur riconoscendo la sua bravura e la sua devozione alla Chiesa, tuttavia non posso esimermi dal dire che questo apparente cambio di atteggiamento verso il papa è proprio…apparente. è inoltre, a mio avviso, simile al cosiddetto ‘pianto del coccodrillo’.

    Dico questo perchè non si può ignorare quanto l’atteggiamento di Socci ha causato, sia nel bene ma anche nel male. Ero iscritto al suo profilo e chiaramente in accordo con molte sue opinioni. Notavo però una certa aggressività, cosa che di per se potrebbe essere passata per una peculiarità di un ‘toscanaccio’. Notavo però un altro effetto, e cioè che le persone che gli erano quasi devote venivano immancabilmente influenzate dalle sue parole e atteggiamento. Una volta sono intervenuto pubblicamente per dire a Socci che questa cosa era pericolosa a motivo del fatto che, accolte da chi ha fede stabile, potevano essere accettate senza danno; ma accolte da chi invece non ha un solido cammino cattolico alle spalle potevano indurre anche, nel peggiore dei casi, alla perdita della fede, se non altro nel Corpo mistico di Dio.

    E siccome quel profilo era frequentato da molti che avevano poche basi per poter accettare giudizi così forti senza conseguenze, chiesi a Socci se se la sentiva di prendere la responsabilità del rischio di minare la fede nella Chiesa a tante persone facilmente influenzabili.

    Per questo mio intervento fui bannato e non sono riuscito più a intervenire. Socci ha continuato imperterrito a sostenere le sue tesi, in parte condivisibili, e a continuato a creare nei lettori del suo profilo l’atteggiamento anti papale che possiamo leggere liberamente visitando la sua pagina. Questo è durato per mesi. Ora socci chiede invece la preghiera e mostra un atteggiamento diverso rispetto a qualche giorno fa. Questo suo fare ha causato diversi improperi, che lui stesso ammette, da parte proprio di quelli che lui stesso, il Socci, ha indottrinato.

    In aggiunta, l’atteggiamento di Socci verso il papa non è cambiato di una virgola perchè ha continuato a postare articoli su articoli che espongono, sempre in maniera aggressiva, dubbi sull’operato del papa, i quali articoli continuano l’indottrinamento di tutti quei lettori che cercano giornalmente conferma del loro pensiero sul papa leggendo il loro mentore Socci.

    quindi mi domando: che senso ha esternare la volontà di pregare per il papa dicendo che si toglieva dalla mischia, facendo capire che si sarebbe quindi astenuto dal fomentare quanto aveva finora fomentato, quando poi si continua a fare esattamente come prima?

    per questo dissento dai complimenti dell’articolo. Il titolo dell’articolo che avete elogiato dice: UN INVITO A PREGARE PER PAPA FRANCESCO E PER BENEDETTO XVI E UN INVITO (A TUTTI) A DIRE “NO” ALLA GUERRA CIVILE FRA CATTOLICI

    come faranno i devoti di Socci a non fare la guerra civile se lui stesso è stato fautore e continua tutt’oggi a fare lo stesso?

    Voglio solo aggiungere che è apprezzabile la richiesta e l’unificarsi alla preghiera per il papa…ma per invocare il deporre le armi di una guerra civile bisogna che prima lo faccia chi la invoca.

    • vincenzodatorino dice:

      E’ successo anche a me la stessa cosa. Postai tempo fa qualche commento di critica energica, ma educata a quanto scritto da Socci ed in breve fui bannato. Mi accorsi pure che in breve tempo Socci ha fatto piazza pulita di tutti quelli che dissentono dalla sua linea. Sono rimasti gli…adulatori su facebook. Non ho mai dubitato della sua grande fede e all’inizio ho pensato che si trattasse solo di carattere…impetuoso. Ora non riesco più a leggerlo…E sono molto dispiaciuto.

  3. Padre Ariel
    Padre Sebastiano C. dice:

    Ben detto! Dispersi persino i cocci del vaso di Pandora rotto.
    Pensate che a noi, a Palermo, dopo averci donato come ercivescovo un giovane … “picciotto” della “gloriosa” Scuola di Bologna, tutto modernismo e ermeneutica della discontinuità, dopo essersi accorti che esso non funzionava bene (ma no? Chi l’avrebbe mai detto!), come vescovo ausiliare gli hanno ( e ci hanno) appena nominato uno psicologo di 70 anni che con le sue psicologomanie ha disseminato altrettante opere buone negli anni …
    E’ il caso di dire che la realtà supera ogni fantasia !

  4. Padre Ariel
    Don Gaetano da Genova dice:

    Finalmente, è tornato Padre Giovanni Cavalcoli!
    Bellissime come sempre le due risposte dei nostri cari stimati Padri dell’Isola di Patmos.
    Molto vi sarebbe da dire, sicché mi limito a un breve commento su uno dei diversi problemi che padre Ariel solleva nel suo scritto … l’unità!
    Posso confermare per esperienza pastorale ultratrentennale, che mettere insieme tre cattolici sembra cosa ormai impossibile, a partire dalle parrocchie, dalle piccole parrocchie stesse, dove ciascuno vuole essere primo sull’altro, più competente dell’altro, più nel giusto dell’altro, più in vista dell’altro, con le opinioni e l’idea più giusta di tutti e di rigore da imporre a tutti, a partire dal parroco …
    Ho conosciuto confratelli sacerdoti che nominati parroci a 27/30 anni, dopo 10 anni di apostolato parrocchiale erano … distrutti, e dico ancora distrutti! Sembravano non uomini di nemmeno 40 anni, ma uomini vicini ai 60.
    Il parroco è oggetto delle peggiori critiche da parte dei laici, delle laiche, dei catechisti e delle catechiste che dopo un diplomino serale all’ISSR [Ndr. Istituto Superiore di Scienze Religiose] si credono teologi di alto livello … eppoi ci sono i liturgisti e le liturgiste improvvisate, e soprattutto le persone che si presentano una tantum in chiesa a puntare i piedi e rivendicando i più assurdi “diritti”, per esempio il … “diritto ai sacramenti” ( !?).
    Qualcuno ha aperto a suo tempo questo vaso di Pandora, lasciando poi noi “preti allo sbaraglio” a gestire situazioni che ieri erano ingestibili e che oggi sono impossibili.
    O il prete accetta di essere ostaggio nelle mani di questa gente (e non parlo nemmeno dei movimenti neocatecumenali, RNS, carismatici, focolarini, medjugoriani, ecc …), o rischia di rimanere solo, incompreso e bastonato, e alle porte dei 40 anni, rischierà di dimostrarne 60.
    Però … eh, “non abbiate paura della tenerezza!”
    Già, la … tenerezza. Ma dai, per piacere …!

    • Padre Ariel
      don Luciano (Roma) dice:

      Don Gaetano,

      credo che il vaso di Pandora non ci sia più, perché è ormai da tempo che il vaso aperto è stato totalmente frantumato e i cocci dispersi chissà dove !
      Sposo parola dietro parola e virgola dietro virgola quello che hai scritto tu e don Stefano, con un augurio del tutto speciale al carissimo Padre Giovanni Cavalcoli che rimane per noi punto di riferimento e soprattutto solida scialuppa di salvataggio.

  5. Padre Ariel
    Don Stefano Bellobuono dice:

    Padre Giovanni Cavalcoli, in questa pietosa vicenda (pietosa per certe autorità ecclesiastiche, non per lui!), è stato per noi sacerdoti modello altissimo di vita sacerdotale e modello altissimo di coerenza teologica.
    Ha accettato e sopportato un provvedimento inaudito, e dico inaudito perché a lui dato in una Chiesa dove i vescovi gareggiano con i peggiori preti nello sparare le più grosse eresie, senza che nessuno fiati.
    Chi di noi al posto suo non avrebbe fatto fuochi e fiamme, o lanciato fulmini e saette?
    Io ammetto lo avrei fatto.
    Si sono tollerati e se seguita a tollerare preti che vanno sulle televisioni a dire delle autentiche bestialità, e padre G. Cavalcoli viene invece castigato per avere osato parlare … della teologia del peccato originale ?
    Qualcuno vuole dare torto anche a Padre Ariel, che a quanto ricordo scrive da anni che siamo alla inversione? Lo spiegò nel suo libro “E satana si fece trino”, come funziona il meccanismo diabolico della inversione tra bene e male, spiegando come il bene viene mutato in male e il male in bene.
    Ma a queste menti veramente benedette da Dio, proprio nessuno le ascolta, tra un colloquio con Scalfari e un sorriso alla Bonino ??

  6. piertoussaint dice:

    Cari Padri dell’Isola e cari lettori,

    cerco di fare la massima sintesi, andando per punti.

    1. E’ diverso il caso del licenziamento del prof. De Mattei da Radio Maria, rispetto a quello del Padre Cavalcoli. Radio Maria è una realtà di grandi dimensioni, anche organizzative, che per sua scelta ha promesso fedeltà assoluta al papa, anche rinunciando alla libertà di critica dei figli di Dio, pur legittima secondo Codice diritto Canonico n. 212. Il prof. De Mattei, invece, che per sua scelta aveva già deciso di avvalersi di tale libertà, era già espressamente entrato in pur legittima rotta di collisione con l’attuale pontificato, vedi in uno dei tanti suoi interventi fin dal 2014, [vedere QUI]

    Quindi le due realtà non potevano convivere, e legittimamente dal suo punto di vista, Padre Livio lo ha congedato per incompatibilità con la linea editoriale della Radio. Devo fare ammenda, e dire che mi sono accorto, solo tardivamente, che gli argomenti del prof. De Mattei erano fondati… Padre Livio era comunque, secondo me, nel suo pieno diritto.

    Dirò di più: il prof. De Mattei, che è persona intelligente, avrebbe fatto meglio a esser consapevole di questo, e a lasciare lui stesso preventivamente i microfoni di Radio Maria, come ha fatto per esempio Riccardo Cascioli, direttore della NBQ, il quale si stava ponendo – argomentatamente! – anch’egli in posizione critica verso il pontificato di Francesco.

    Molto diverso è il caso del Padre Cavalcoli, che è stato censurato da tutti, leggo dalla sua testimonianza anche dal medesimo Padre Livio, oltre che dai mons. Becciu e Galantino, per il suo intervento sulla relazione tra terremoto e peccato, sul quale egli aveva ragione al 100%. Questo è stato un passaggio sbagliato da parte del Padre Livio, che avrebbe dovuto far fronte alle ignobili pressioni da parte dei mons. Becciu e Galantino. C’è il sospetto, d’altra parte, che silurando il Padre Cavalcoli, Becciu e Galantino volessero in realtà colpire il Padre Ariel, per la sua nota azione anti-gay-ecclesiali, la quale si è capito che in Vaticano dava molto fastidio.

    Particolarmente censurabile che il Padre Cavalcoli sia stato abbandonato da praticamente tutta la gerarchia ecclesiale, il che la dice lunga sul misero stato di paura e sudditanza della gerarchia nei confronti del “Guardiani della rivoluzione” (copyright Cascioli) bergogliana.

    2. Mi permetto di dissentire rispettosamente dal padre Giovanni Cavalcoli, ancora una volta, sul punto per il quale papa Francesco bene farebbe ad allontanare i cattivi consiglieri che lo ingannano. Questo non mi pare attendibile, in quanto l’azione del Regnante Pontefice è da attribuirsi alla sua stessa medesima intenzione personale, per la quale egli, lungi dall’esser manipolato dai suoi collaboratori, si serve di loro per portare avanti i suoi piani, come si evince da questa dichiarazione malaccortamente esplosiva, ancorché silenziata dai media, di Mons. Bruno Forte, vescovo di Chieti-Vasto e già segretario speciale del sinodo sulla famiglia, che NON è mai stata smentita [vedere QUI]

    3. La questione del padre mancante, che oggi nella società è davvero centrale. Concordo con l’intervento del Padre Ariel, dove dice che papa Francesco è il Santo Padre, ma non è un buon padre. Lo dicevo l’anno scorso, ancora a proposito dell’affaire Cavalcoli [vedere QUI]

    dove concludevo:

    “…Pregare, dicevo, in primis per papa Francesco, la cui autorità e il cui primato petrino non sono in discussione, anche se certamente lo è la sua autorevolezza, per Becciu e Galantino, affinché lo Spirito Santo li illumini. Credo che la Provvidenza ci proponga questo momento difficile per farci crescere, perché nella prova noi si impari a restare disciplinati nella Chiesa, a differenza di quanto fece Lutero. Epperò non stolidi, anzi responsabili, e si abbia il coraggio nella libertà dei figli di Dio, di dire ai nostri vescovi e al papa quando stanno sbagliando. Gravemente sbagliando”.

  7. aquila dice:

    Reverendo . P. Cavalcoli le segnalo un VESCOVO che non sa perché i bambini soffrono e non solo [vedere QUI dal minuto 26 a seguire]. Raccomando di ascoltare attentamente ogni parola e più di una volta. Con le sue approfondite conoscenze teologiche rimarrà esterefatto.
    La ringrazio anticipatamente.

    Alessandro da Roma

    • Padre Ariel
      Giovanni Cavalcoli, OP dice:

      Caro Alessandro,

      non sono rimasto «esterrefatto», benchè dispiaciuto. Ormai ci ho fatto l’abitudine.
      Certo, io non mi sarei espresso a quel modo. Se il Papa non sa parlarci della sofferenza, chi deve saperlo fare?

      Difficile capire come possa essere uscito in quelle parole. Alcuni cercano di salvarle in qualche modo.

      Sappiamo come è fatto in questo il Papa: ogni tanto gli scappano delle frasi imprudenti. Poi si riprende. Forse, per spiegarle, occorrerebbe uno psicanalista. E’ come un aereo che ogni tanto abbia dei vuoti d’aria.

      Chiudiamo un occhio, stendiamo un velo pietoso e badiamo alle cose belle che dice, che non mancano.

      E soprattutto preghiamo per lui.

      • aquila dice:

        Reverendo P. Cavalcoli la preghiera è scontata, ma non si può glissare su quanto detto dal Santo Padre , sono affermazioni un’affermazioni estremamente gravi:

        1) Dubbitare del peccato originale significa:

        – la possibilità che Dio abbia creato l’uomo malvagio, di conseguenza Dio sarebbe malvagio;
        – l’Incarnazione del Verbo sarebbe inutile;
        – inutili sarebbe tutta l’economia sacramentale.

        2) La frase “Gesù non ha detto il motivo della sofferenza dei bambini”, implica il dubbio sui
        dogmi espressi successivamente dalla Chiesa (Gesù nel Vangelo non ha detto che sua
        Madre è Immacolata ecc.).

        3) Una diversa concezione ecclesiologica: la Chiesa non è in grado di esprimersi infallibilmente su una qualche verità.

        Ciò che ha sempre distinto il suo Ordine è la VERITA’ che mai può essere contraria alla Carità della quale ne è lo scheletro, l’impalcatura che la sorregge. Nel suo articolo la premessa che intraprende è ottima, così come lo è la strada. Tutto però naufraga nella conclusione, che peccato.

        In questo articolo SOCCI è magistrale, sintetizza perfettamente la grave questione che stiamo vivendo, prospettando un quadro di breve termine estremamente realistico. In questo momento storico occorre tanta preghiera e assidua frequenza ai Sacramenti, non disdegnando di essere luce per chi non comprende la situazione.

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