“Disputationes theologicae” – Replica di Giovanni Cavalcoli alla critica di Antonio Livi

Padre Giovanni

DISPUTATIONES THEOLOGICAE – REPLICA DI GIOVANNI CAVALCOLI ALLA CRITICA DI ANTONIO LIVI

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Ho detto e ripetuto in più occasioni che non sappiamo che cosa il Santo Padre deciderà e che dobbiamo essere disponibili sia al mantenimento della legge attuale che a qualche suo mutamento. Diciamo ai conservatori che la legge attuale non è intoccabile ed agli innovatori che il dogma non è mutevole. Come avviene nel mistero dell’Incarnazione, così avviene nella morale cristiana e della famiglia: dobbiamo calare l’eterno nel temporale, senza eternizzare il temporale e senza temporalizzare l’eterno.

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Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

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Giovanni Cavalcoli breviario

l’accademico pontificio Giovanni Cavalcoli

.Monsignor Antonio Livi ha pubblicato sul sito Unione apostolica Fides et Ratio [cf. QUI] un articolo dal titolo «In difesa della verità cattolica sul matrimonio», nel quale mi rivolge molte obiezioni. L’articolo è stato riportato anche dall’agenzia stampa Corrispondenza Romana [cf. QUI] e dalla rivista telematica Riscossa Cristiana [cf. QUI], e da vari altri siti e blog, diversi dei quali si sono limitati a riportare solo le critiche a me rivolte, guardandosi però dal riportare i miei testi pubblicati con le mie risposte date, tutte quante disponibili sull’Isola di Patmos, alla quale accedono ogni giorni migliaia di visitatori, e ciò mi lascia supporre che molti lettori sono andati sicuramente a leggere quel che io ho scritto realmente.

Esaminiamo dunque le quaestiones sollevate da Antonio Livi e diamo a ciascuna di esse risposta.

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1. Io ho subito replicato sostenendo che la considerazione pastorale e canonica dei divorziati risposati come di fedeli tenuti a uscire dal loro “stato di peccato” non può essere considerata contraria al Magistero e dunque teologicamente infondata.

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Ho già spiegato altrove che cosa si può intendere per “stato di peccato”. Comunque lo ripeto. Se per “stato di peccato” si intende che i conviventi, in forza della sola e semplice situazione, nella quale si trovano, sono permanentemente e necessariamente, ventiquattr’ore su ventiquattro su privi della grazia di Dio, come fossero anime dannate dell’inferno, quasi con la pretesa di scrutare l’intimo delle coscienze noto solo a Dio, ebbene, non c’è dubbio che questo sarebbe un giudizio temerario. Se invece con la detta espressione si intende la situazione stabile, che può essere indipendente dalla volontà dei due, nella quale essi sono portati facilmente a peccare, l’espressione può essere accettabile, però può apparire equivoca e può condurre a intenderla nel primo significato. Meglio parlare di “situazione pericolosa”, oppure usare il termine giuridico di “unione irregolare” o quello morale di “illecita” [cf. doc. CEI, 1979, su La pastorale matrimoniale dei divorziati risposati e di quanti vivono in situazioni irregolari o difficili, QUI, QUI].

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2. Secondo Cavalcoli, «il peccato è solo un singolo atto» che si esaurisce nel momento in cui viene commesso e non dà origine a uno “stato” o condizione permanente dell’anima: ma questa è una teoria infondata.

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Non ho mai detto che il peccato non dia origine a uno stato o condizione permanente nell’anima. Sostengo proprio il contrario, ossia quel che sostiene Antonio Livi. Ho detto semplicemente che il peccato non va confuso con la situazione conseguente al peccato stesso, situazione di colpa, che può essere più o meno durevole. I conviventi infatti possono e devono far cessare volontariamente in qualunque momento tale situazione interiore col pentimento, mentre si può dare l’impossibilità di interrompere la convivenza. Di fatto però uno dei due si può pentire e l’altro no.

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3. C’è una illogicità semantica contenuta nella definizione di peccato come «atto voluto, evitabile e vincibile» (perché quello che deve essere “vincibile” non è l’atto volontario, ma la passione disordinata che spinge ad esso il soggetto).

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La volontà non deve sempre e solo vincere la passione, ma anche se stessa negli atti che si esauriscono all’interno della stessa volontà e non comportano un rapporto con la passione. La volontà può essere cattiva in se stessa, senza rapporto con le passioni. In tal caso, la volontà deve vincere se stessa. Per esempio, un’intenzione ereticale, risiede esclusivamente nella volontà. Questa, per tornare all’intenzione ortodossa, deve vincere ed annullare quell’intenzione della volontà stessa.

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4. Cavalcoli pensa di poter poi affermare che le norme ivi contenute – a cominciare da quella per cui i divorziati risposati sono esclusi dalla comunione eucaristica – sono solo una possibile applicazione pastorale tra le tante possibili, il che rende perfettamente plausibile – dice lui – auspicare che effettivamente vengano adottate altre norme completamente diverse.

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Cristo ci comanda di nutrici del Suo corpo. Questa è legge divina. Ma ci sono tanti modi per poterla o non poterla applicare. Egli infatti ha affidato a Pietro [Mt 16, 19] il compito di regolamentare, determinare o stabilire in dettaglio chi, come, quando, dove, in quali circostanze, a quali condizioni e perché consentire o proibire alle varie categorie di fedeli l’accesso alla Comunione eucaristica. Non vedo che cosa ci sia di strano in questa prassi, che la Chiesa adotta da sempre a sua discrezione per mandato stesso del Signore.

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5. Cavalcoli ritiene perfettamente compatibile con il dogma una nuova legge in base alla quale, anche quando il perdono sacramentale è negato (perché il penitente non ha potuto manifestare al ministro della Penitenza la sua sincera ed efficace decisione di uscire dallo stato di peccato), il fedele può accedere alla Comunione se Dio lo perdona in altro modo. Ma come fa una legge della Chiesa a prevedere il verificarsi di questo evento di grazia? La Chiesa, a qualsiasi livello, non può mai venire a conoscenza di quando e come si può verificare la giustificazione del peccatore nel segreto della sua coscienza e in un modo extrasacramentale. Se la Chiesa, consapevole dei suoi limiti, nella nuova legge proposta da Cavalcoli, prescrivesse semplicemente al fedele di regolarsi secondo coscienza, in pratica si tornerebbe alla legge canonica tradizionale, sulla base di quanto stabilito dal Concilio di Trento: per accedere alla Comunione il fedele deve essere certo in coscienza di non essere in peccato mortale.

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La legge o meglio la concessione o permesso che può essere auspicato della Comunione ai divorziati risposati in casi speciali, lascia al fedele di riconoscere se egli si trova nello stato di grazia necessario per accedere alla Comunione. È ovvio che vale sempre quel precetto del Concilio di Trento, dato che si fonda addirittura sulle parole di San Paolo. Solo che nel nostro caso la Chiesa potrebbe permettere ai divorziati risposati di verificare ogni volta essi stessi, come deve fare ogni buon fedele, se sono o non sono nelle condizioni interiori adatte per poter fare la Comunione. A questo punto, è chiaro che la Chiesa potrebbe e dovrebbe conceder loro anche la confessione sacramentale.

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6. Ma come fa – allo stato attuale – un divorziato risposato ad avere la certezza che Dio gli ha concesso nel segreto della sua coscienza quel perdono e quel ritorno alla grazia che la Chiesa di Dio gli ha negato in sede di celebrazione del sacramento della Penitenza, in quanto mancano le condizioni richieste per dimostrare un autentico pentimento?

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Se la Chiesa nega ai divorziati risposati i Sacramenti, essa non ha potere sulla grazia extrasacramentale, che Dio riserva solo ai disegni misteriosi della sua misericordia. Non occorre che il divorziato risposato mostri al confessore il pentimento: basta che li manifesti a Dio. Tuttavia, nel caso che la Chiesa concedesse la Comunione, dovrebbe concedere anche la Confessione.

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7. Molti teologi (con i quali sembra concordare Cavalcoli) prospettano quello che il documento finale del Sinodo denomina, in maniera peraltro assai vaga, «accompagnamento e discernimento». Ma anche qui: che tipo di discernimento extrasacramentale può avere un sacerdote che funge da consigliere spirituale, un parroco o il vescovo della diocesi? E sulla base di quali conoscenze dell’azione della grazia nell’anima di quel singolo penitente e in base a quali strumenti di discernimento essi possono autorizzare il fedele ad accostarsi alla Comunione?

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È necessario e sufficiente che il sacerdote controlli se il soggetto è pentito, se vuol correggersi, se vuol migliorarsi, se segue le sue direttive, se vuol far penitenza, se partecipa alla vita ecclesiale e civile, se cura il lavoro, la famiglia e gli amici. Può quindi proporgli un cammino spirituale ad hoc, che utilizzi i doni che Dio gli ha dato e le sue qualità umane al servizio del prossimo e della Chiesa. Quanto al vescovo, può eventualmente approntare un prontuario che, applicando le leggi generali della Chiesa per queste situazioni, offra direttive e consigli, soprattutto per i casi più difficili, ai confessori, alle guide spirituali, ai docenti, agli educatori, alle parrocchie, alle famiglie, agli istituti della diocesi su come condursi con queste persone, come accogliere il loro contributo umano e di fede, come aiutarle e correggerle fraternamente.

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8. Quello che non è assolutamente possibile è proprio ciò che Cavalcoli pensa si debba fare e sia prevedibile che si faccia, ossia stabilire che alcune autorità locali (vescovo, parroco, cappellano) possano giudicare “da fuori” che una persona che non è in grado di ricevere l’assoluzione sacramentale è di nuovo in “stato di grazia” (e quindi può accostarsi alla Comunione) per via di un atto intimo di pentimento (che sarebbe però inefficace, ossia non tale da poter ottenere l’assoluzione sacramentale) ed una grazia assolutoria di tipo extrasacramentale.

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Il confessore ha d’ufficio la facoltà di discernere e giudicare se nel penitente esiste o no la buona volontà, in base al modo di accusarsi dei peccati ed ai segni che dà di pentimento e di fiducia nella misericordia divina. E il penitente stesso, illuminato dalla sua fede, dopo un opportuno esame di coscienza, in base alla testimonianza della buona coscienza, è qualificato a dichiarare a chiunque con parresia la propria innocenza davanti a Dio, rimettendosi, sull’esempio dell’Apostolo, al giudizio divino, che scruta i cuori. Quanto al pentimento, esso è efficace, anche senza l’assoluzione sacramentale, perché provvede Dio a perdonarlo. Si auspica pertanto che la Chiesa conceda anche la confessione sacramentale.

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9. Il discorso di Cavalcoli non va d’accordo con la logica. La legge della Chiesa che riguarda lo “stato di grazia” per essere ammessi alla Comunione fa appello al discernimento del soggetto stesso che è tenuto all’esame di coscienza (eventualmente, con il prudente consiglio del confessore “in foro interno”), come già stabilito dal Concilio di Trento quando insegna che il fedele deve discernere da sé, in coscienza, se si trova o no in peccato mortale. Ciò significa che, logicamente, una legge morale umana rinuncia a prevedere tutte le fattispecie dei casi concreti in cui un soggetto può avere la certezza di non essere tenuto a osservarla. Pertanto, se la nuova prassi pastorale chiesta da alcuni padri del Sinodo (e da padre Cavalcoli) si configura come una legge che preveda espressamente determinate fattispecie di eccezione alla regola, allora non si può parlare di una diversa applicazione possibile del medesimo criterio teologico della legge precedente. Insomma, la verità è che con questa proposta la Familiaris consortio viene abolita, in quanto la sua dottrina esplicita è sostanzialmente contraddetta da un’altra dottrina, sia pure implicita. L’andare ripetendo, come fa Cavalcoli, che si tratta solo di una diversa applicazione prudenziale di una medesima dottrina alla prassi è un mero artificio retorico.

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L’eventuale nuova legge non dovrebbe prevedere “tutte le fattispecie dei casi concreti in cui un soggetto può avere la certezza di non essere tenuto a osservarla”. Sarebbe una cosa effettivamente impossibile. E neppure dovrebbe “prevedere espressamente determinate fattispecie di eccezione alla regola”. La nuova legge, invece, potrebbe mantenere quella attuale dell’esclusione dai sacramenti, limitandosi a dare alcuni esempi di massima di possibili casi di eccezione alla legge, ma in una forma meramente indicativa, non precettiva, senza pretendere di esaurire tutti i casi possibili, ma dando spazio all’opera di prudente discernimento del confessore o del vescovo. Se una legge ecclesiastica ne contraddice un’altra, non c’è da allarmarsi. Si potrebbero indicare mille esempi di ciò nella storia della legislazione ecclesiastica. Si pensi solo alla proibizione fatta alla donna per millenni di servire all’altare, proibizione che è stata superata col concedere alla donna di proclamare le Letture della Messa o di distribuire la Comunione ai fedeli. Quindi non c’è da scandalizzarsi o da fare un dramma, se su questo punto la Familiaris consortio verrà mutata. Quante leggi la riforma attuata dal Concilio Vaticano II ha abolito o mutato, trattandosi di leggi ecclesiastiche e non divine. Ho già trattato della differenza tra questi due generi di leggi in recenti articoli sull’Isola di Patmos [cf. QUI, QUI, QUI], per cui non ci torno più sopra.

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10. La dottrina di Cavalcoli è erronea: consiste infatti nell’attribuire al Magistero la conoscenza a priori di casi nei quali la grazia divina supplisce in via straordinaria all’azione salvifica da essa garantita in via ordinaria mediante l’amministrazione dei sacramenti. Ma è proprio questa via ordinaria l’unica che il Magistero possa conoscere perché sa – non per scienza umana né per rivelazione privata ma solo per rivelazione pubblica – che Cristo glie l’ha affidata nell’istituire la sua Chiesa. Una nuova legge morale che abolisca l’indissolubilità?

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Neanche per sogno. Che cosa c’entra l’indissolubilità? Non si tratta, lo ripeto per l’ennesima volta, di “legge morale”, la quale, in quanto contenuta nella divina Rivelazione, è per noi cristiani legge divina: ma di legge della Chiesa, che in fin dei conti, per quanto dettata da somma prudenza e discendente dal dogma, resta pur sempre una legge positiva umana, mutevole come tutte le leggi umane. “Attribuire al Magistero la conoscenza a priori di casi nei quali la grazia divina supplisce in via straordinaria all’azione salvifica da essa garantita in via ordinaria mediante l’amministrazione dei sacramenti, una conoscenza a priori di casi nei quali la grazia divina supplisce in via straordinaria all’azione salvifica da essa garantita in via ordinaria mediante l’amministrazione dei sacramenti”? Non si tratta assolutamente di questo, come ho già detto, non si tratta di programmare la libertà dello Spirito Santo, ma di mettere in atto una prudenza duttile e soprannaturale, nonchè una carità illuminata, degne del cuore di Cristo, che ci mettano in ascolto dei bisogni delle anime e ci facciano valutare con saggio discernimento la diversità dei casi e delle situazioni, al fine di calare in essi la legge del Vangelo e il profumo della vita eterna.

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11. Cavalcoli fa intendere che le intenzioni di papa Francesco sono chiare e vincolanti, nel senso di desiderare proprio quello che lui va proponendo con tanta foga dialettica, ossia una norma “disciplinare” che rimette ai vescovi la facoltà di valutare “in foro interno” l’opportunità di concedere, caso per caso, l’accesso alla Comunione dei divorziati risposati. Il teologo domenicano non ne fa menzione, ma dovrebbe sapere che nel dibattito sulla famiglia in occasione del Sinodo molti avanzato la proposta di una nuova legge ecclesiastica che, sulla base di una nuova dottrina, abolisca la Familiaris consortio e con essa il principio dell’indissolubilità del matrimonio.

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Ho detto e ripetuto in più occasioni che non sappiamo che cosa il Santo Padre deciderà e che dobbiamo essere disponibili sia al mantenimento della legge attuale che a qualche suo mutamento. Diciamo ai conservatori che la legge attuale non è intoccabile ed agli innovatori che il dogma non è mutevole. Come avviene nel mistero dell’Incarnazione, così avviene nella morale cristiana e della famiglia: dobbiamo calare l’eterno nel temporale, senza eternizzare il temporale e senza temporalizzare l’eterno.

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Varazze, 29 ottobre 2015

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10 commenti
  1. Alessandro Messina dice:

    Certo Padre Giovanni, certo.
    Ora ho capito meglio la sua posizione. E sono d’accordo anche con Padre Ariel sul fatto che il rispetto della legge morale non può essere paragonata all’autovelox (bella l’immagine!) secondo criteri legalistici che spersonalizzano l’umanità delle persone. Però ora vi pongo questa domanda:non credete altresì che la soluzione pastorale del “caso per caso” , finirebbe col tempo per abbassare (progressivamente)il livello di guardia: tale da indurre “gli automobilisti” a modellare la legge sulla base dei propri vissuti? E forse anche dei propri capricci? In sostanza,se la legge (applicazione pratica del dogma), anziché essere uguale per tutti, la adattiamo alle esigenze di ciascuno, che fine fa l’universalità della legge? E soprattutto può ancora dirsi legge? Che percezione si avrebbe dell’imutabilità del dogma, qualora entrasse in vigore suddetta pastorale?Grazie per l’attenzione.

    Alessandro.

    • domanileggocicerone dice:

      Forse dietro la questione posta da Alessandro c’è un’altra questione: talvolta ci si dimentica che nella Chiesa voluta da Cristo dietro la “pastorale” ci sono dei “pastori”, e senza i pastori la pastorale non può essere applicata. Le norme pastorali e la dottrina da sole difficilmente portano il cristiano alla santificazione: sono necessari gli aiuti che Nostro Signore ha voluto donare alla Chiesa, primo fra tutti lo Spirito Santo, la cui azione può svolgersi (e si svolge) anche fuori dai confini visibili della Chiesa. I cristiani che vogliono annacquare il Vangelo ci sono sempre stati. Per quanto le indicazioni pastorali possano essere perfette, se non c’è l’onestà e la buona volontà dei singoli interessati esse non servono a niente. Un cristiano che, per vari motivi, decide di falsificare quanto la Rivelazione esige dalla sua coscienza, è uno stolto e, se non si ravvede in tempo, ottiene quella che è la ricompensa riservata agli stolti; inoltre l’insoddisfazione per uno stile di vita sbagliato non tarda a manifestarsi. Il compito dei veri credenti è portare, con la propria vita e con i singoli atti, il lume della fede, e chiedere umilmente a Dio umiltà, sapienza e discernimento.

    • Padre Ariel
      Giovanni Cavalcoli, OP dice:

      Caro Alessandro.

      Le eccezioni alla legge

      La legge è uguale per tutti, e chi, potendo, non vuole osservarla, pecca e va punito. Per questo c’è il potere giudiziario nello Stato e nella Chiesa. Qui gioca la giustizia.

      Ma c’è anche chi non ce la fa ad osservarla, ossia non ha la virtù o la forza sufficiente o motivi validi per metterla in pratica o non è nelle condizioni soggettive od oggettive o nelle situazioni adatte per poterla osservare. Qui, allora, per non peccare contro la misericordia, bisogna far intrvenire la tolleranza, l’equità, l’indulgenza, la comprensione, la clemenza, la compassione, la accondiscendenza, la misericordia.

      Qui valgono le eccezioni all’osservanza della legge. Tipico esempio di ciò è la sospensione della legge del sabato in alcuni casi da parte di Cristo. Pretendere ugualmente, univocamente, rigorosamente, ed inflessibilmente l’osservanza della legge da chi ce la fa come da chi non ce la fa, non è affatto zelo per la legge, nè è vera applicazione del principio che la legge è uguale per tutti, non è sincero amore per le anime e per la rettitudine dei costumi, ma è farisaismo, è una ingiustificata durezza e rigidezza d’animo, che può sconfinare nella crudeltà.

      La legge – qualunque legge, persino la legge divina – obbliga quando uno la conosce ed è in grado o è capace di osservarla. Altrimenti, uno è dispensato da quest’obbligo. Nemo ad impossibilia tenetur.

      L’inosservanza della legge è colpevole quando la legge è coscientemente e volontariamente trasgredita, non quando essa è ignorata in buona fede o è impraticabie per giusti o eccezionali motivi o sufficienti scuse.

      Nel qual caso, si è esonerati o dispensati o scusati dall’osservarla si resta e si resta innocenti. Colpevolizzarsi in tal caso, è uno scrupolo stolto e colpevolizzare è abbominevole crudeltà.

      Ammettere dunque dei casi, nei quali si è dispensati dall’obbedire alla legge, non significa necessariamente disprezzare o infrangere l’universalità del suo obbligo, creare dei privilegiati o fare accezione di persone o favorire i furbi o agire a capriccio o sull’impulso emotivo del momento.

      Il pretesto del caso particolare per evadere la legge è frode e truffa solo quando non ci siano motivi ragionevoli o superiori che lo giustifichino.

      Saper discernere invece i casi giusti, e decidere di conseguenza, tenendo sempre un occhio sulla legge, è saggezza, giustizia e carità, e significa da una parte volere il bene delle persone e, dall’altra, avere il senso delle circostanze, tener presenti le possibilità di ciascuno, chiedere a ciascuno il massimo dell’impegno, compatibilmente a quello che può fare, favorire in tutti la crescita morale.

      Bisogna sempre distinguere la legge in se stessa dalle possibilità concrete di osservarla. La casistica saggiamente esaminta e determinata, che permette o consente la dispensa o la modifica o la mitigazione dalla legge, legge in sè obbligatoria per tutti, non è un vulnus allla legge, non apre una falla nell’universalità e nell’obbligatorietà della legge, ma si riferisce alle condizioni particolari di certi soggetti agenti incapaci o inabilitati per seri motivi ad osservare in toto o in parte il dettato della legge.

      La legge non viene disattesa nei casi un cui è impossibile osservarla. La dispensa dalla legge concessa in alcuni casi non contesta il contenuto o il valore della legge, che resta invariato, ma si riferisce solo alla possibilità o impossibilità oggettiva ed insuperabile, dovutamente vagliata e verificata, di osservarlo da parte del soggetto alla legge.

      Per quanto riguarda, per esempio, la questione dei sacramenti ai divorziati risposati, un conto è la situazione delle coppie che sono grado di poter interrompere la convivenza e un conto è la situazione di coloro che non possono o non ci riescono o sono oggettivamente impediti nel farlo.

      E’ chiaro allora che nel campo, per esempio, della temperanza sessuale, non si può esigere da queste ultime coppie quella virtù che invece devono praticare quelle coppie che possono interrompere la convivenza.

      La legge, in generale, è un ordine pratico razionale e benefico, finalizzato ad ottenere nella realtà un determinato risultato, conforme all’essenza ed alle necessità di quella data realtà.

      Esistono leggi assolute, eterne, indispensabili, immutabili, necessarie, universali, che valgono sempre e dovunque, in ogni caso e in qualunque circostanza, senza ammettere alcuna deroga, sospensione o eccezione. Sono le leggi divine, la legge morale naturale, le leggi fisiche, logiche e matematiche.

      Invece le leggi umane, civili ed ecclesiastiche, diritto civile e diritto canonico, aventi il compito di determinare ed applicare a seconda delle circostanze, delle evenienze e delle situazioni contingenti o locali, il dettato della legge morale divina e naturale, sono particolari, locali, mutevoli, fallibili, contingenti, convenzionali, discrezionali, prudenziali (nella Chiesa sono chiamate “pastorali”) ed ammettono dispensa, deroga, mitigazione, sospensione o eccezione.

      La norma attuale dell’esclusione dai sacramenti dei divorziati risposati, benchè indubbiamente fondata sulla legge divina, non ha con essa un legame assoluto e necessario, come credono alcuni, ma solo conveniente, e quindi contingente; per cui una legge di questo tipo può essere, in linea di principio, mutata o allargata o ristretta o sospesa o tralasciata dalla competente autorità, in tal caso il Papa, senza alcuna offesa alla legge divina.

      L’autorità che emana la legge, ha la facoltà di mutare la legge e di stabilire casi generici, nei quali si può far eccezione alla legge. Invece, la guida morale o spirituale locale può, a sua discrezione e con prudenza, individuare i casi concreti, nei quali si può soprassedere all’applicazione della legge.

      Questo tipo di legge appartiene al suddetto secondo genere di leggi, le leggi umane positive, civili o ecclesiali, per le quali possono darsi circostanze, nelle quali il soggetto può prudentemente essere esonerato dall’osservanza della legge, proprio in nome della legge suporiore, questa assolutamente indispensabile, della misericordia e della carità.

  2. Alessandro Messina dice:

    Stimatissimo Padre Giovanni,in merito alla frase “Diciamo ai conservatori che la legge attuale non è intoccabile ed agli innovatori che il dogma non è mutevole” Ricorda un po’ quel simpatico sofisma che mio fratello ogni tanto usa per suscitare il sorriso, allor quando – in risposta alla sua domanda se il lavoro appena svolto è stato facile – io gli rispondo:..  beh sì,…  facile, ma non è difficile! “.. E lui a ripetere ” ma come sarebbe a dire ” facile, ma non difficile!!! “..  O è facile o è difficile!.. E giù a ridere… Capisce?..

    Perché poi, applicando un ragionamento analogo alla sua frase, sarebbe l’equivalente che dire :diciamo ai conservatori” che la legge sul semaforo rosso non è intoccabile. (Ma come? Che diamine mi ha insegnato allora il codice della strada?! E se trovandomi in prossimità di un incrocio incappo in un semaforo rosso, che faccio ? Mi fermo o non mi fermo? È permesso o è divieto? ).. ed agli innovatori che malgrado tutto il rosso(.. il dogma) resta il colore deputato alla sosta.

    Quindi riprendo io – stando alla logica mi dovrei fermare al semaforo rosso!

    Dice – sì in teoria sì, ma poi in pratica, sai.. bisogna vedere se far passare…

    • Padre Ariel
      Giovanni Cavalcoli, OP dice:

      Caro Alessandro.

      Il mio discorso è molto semplice, logico e chiaro. Lo espongo in 4 punti, cambiando un po’ le parole, nella speranza di essere capito:

      1. Le leggi divine sono immutabili; quelle della Chiesa sono mutevoli;

      2. I falsi “tradizionalisti” vorrebbero rendere immutabile l’attuale legge della Chiesa sui divorziati risposati, invocando il valore immutabile della legge divina.

      3. I modernisti vorrebbero mutare la legge della Chiesa sulla base della loro concezione evoluzionista e storicista della legge divina.

      4. I cattolici ammettono la mutabilità della legge della Chiesa e rispettano la sacralità della legge divina, che non può mutare.

      • Alessio dice:

        Caro padre Cavalcoli,

        intanto grazie per gli spunti interessanti che ci offre, anche negli altri articoli.
        Mi corregga se sbaglio, ma il punto di contesa con mons. Livi mi sembra essere il secondo in elenco. In questo punto, infatti, vi è il sottinteso che il non potersi accostare all’Eucaristia dei divorziati risposati non sia legge divina, ma sia disciplina ecclesiastica.

        In Familiaris Consortio n.84 però si legge:
        “La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. ” In seguito viene indicato il motivo oggettivo dell’esclusione.
        Quindi la Chiesa (Magistero), ribadisce una prassi (Tradizione), basata sulla Scrittura (Rivelazione). Ora, la presenza di questi tre elementi non è proprio indice oggettivo di legge divina?
        Tanto che subito dopo, nello stesso paragrafo, a questo principio ne è accostato un altro, che viene, questo sì, presentato esplicitamente come pastorale: ovvero, il fatto che si potrebbe generare confusione nei fedeli.
        Non riesco a capire come si possa aggirare questa dichiarazione.

        • Padre Ariel
          Redazione dell'Isola di Patmos dice:

          Caro Alessio.

          Sicuramente Padre Giovanni Cavalcoli le risponderà appena possibile, ma intanto le facciamo notare che la risposta al quesito che lei pone, è contenuta nei sueoi ultimi articoli, in particolare nell’articolo in cui parla proprio della Familiarsi consortio.

  3. Riccardo dice:

    Padre Cavalcoli, se lei mi chiedesse: “Come sta figliolo?” io le risponderei: “Discretamente male, grazie”. Ho appena letto la sua controrisposta a Mons. Livi dopo aver letto la risposta di questi in Fides et Ratio.
    Non mi ci raccapezzo più: è lei ad aver ragione nel suo modo di aver torto o è Mons. Livi ad aver torto nel suo modo di aver ragione? Sia lodato Gesù Cristo.

    • Padre Ariel
      Giovanni Cavalcoli, OP dice:

      Sempre sia lodato!

      Caro Riccardo.

      Dice Gesù Cristo: “Perchè non giudicate con la vostra testa ciò che è giusto?”. Dio ha dato a ciascuno di noi una ragione ed una coscienza, con le quali, illuminati ed istruiti dal Magistero della Chiesa, possiamo trovare in una disputa teologica, chi ha ragione.

      Dunque, non si perda d’animo, faccia funzionare il cervello, sfrutti le sue nozioni di fede, abbia fiducia nelle forze della sua intelligenza, chieda luce allo Spirito Santo, confronti e soppesi con calma e saggiamente le opinioini ed accolga quella che le pare vera.

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