Dialogo tra teologi: “La teologia come scienza”

Padre Giovanni

DIALOGO TRA TEOLOGI:
«LA TEOLOGIA COME SCIENZA»

 

[…] per quanto riguarda poi la tradizione teologica protestante, per quanto Lutero, prima di essere scomunicato, fosse dottore in teologia regolarmente autorizzato e ci tenesse a considerarsi “teologo”, tuttavia non si può dire che il tipo di “teologia” avviato dal protestantesimo, e che oggi sta avendo un influsso nel mondo cattolico, sia una vera e propria teologia, nonostante l’attenzione alla Sacra Scrittura e le intuizioni teologiche molto profonde di molti maestri del protestantesimo e la straordinaria intensità dei loro studi e della loro erudizione.  Ma ci vuole ben altro per avere una teologia che si rispetti.

 

Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

 

Come il lettore saprà, di recente Monsignor Antonio Livi ha pubblicato un importante trattato che tocca molto opportunamente e con grande competenza questovera e falsa teologia argomento: Vera e falsa teologia. Come distinguere l’autentica “scienza della fede” da un’equivoca “filosofia religiosa”» [vedere presentazione video qui]. Un triste e scandaloso fenomeno che purtroppo oggi si nota nella cultura cattolica è il proliferare di persone: preti, religiosi e laici, uomini e donne, magari laureati in teologia presso qualche Facoltà Pontificia, ma che in realtà non sanno che cosa è la teologia; dal che si può immaginare i disastri che combinano. Nel contempo, se da una parte si notano certi laici, anche del popolo, madri di famiglia, giovani, operai, contadini, i quali, fieri della propria fede, hanno il discernimento di notare le eresie di cattivi teologi o pastori, per converso, purtroppo, ce ne sono altri i quali, forse insuperbitisi per il successo mediatico che ottengono, soprattutto giornalisti con indubbie qualità, ma privi di formazione accademica o di mandati ecclesiastici, si atteggiano a censori dal giudizio inappellabile anche contro teologi di professione da lunghi anni al servizio della Chiesa o della Santa Sede e si offendono se quei teologi si permettono di far loro qualche osservazione; come è successo anche noi tre che abbiamo dato vita a questa rivista telematica anche per non dover soggiacere a certi generi di censure [vedere qui, qui]. Che diremmo di questo comportamento posto in essere per esempio negli ambiti clinici legati alla salute fisica? E nel campo del sapere di fede o del bene dell’anima non bisognerebbe essere più umili ed ascoltare coloro che, anche se indegnamente, hanno un mandato ufficiale dalla Chiesa o una lunga esperienza pastorale, soprattutto se sacerdoti o vescovi? Per non parlare poi del mandato conferito al Sommo Pontefice.

Vito Mancuso, teologo, direttore collana “Campo dei Fiori” (Fazi Editore)

il teologo Vito Mancuso, degno del più profondo rispetto, ma non considerabile come un teologo cattolico

Scegliamo fra tutti l’esempio più noto ed evidente: quello di un Vito Mancuso, che nel suo libro sull’anima, venduto in 130 mila copie e regolarmente invitato da molti centri culturali cattolici, dottore in teologia presso la Pontificia Università Lateranense di Roma, raccomandato dal Cardinale Carlo Maria Martini, dichiara in quel libro apertamente e, lasciatemelo dire, spudoratamente, che egli è “cattolico” e che “lo sarà sempre”, ma che nel contempo egli rifiuta quattro o cinque dogmi, perchè, a suo dire, sarebbero “contrari alla ragione”, diciamo meglio: alla sua ragione.  Del resto, mi domando: quanti teologi cattolici oggi ammettono, con metodo realistico e non soggettivistico, l’esistenza di una ragione universale ed oggettiva, propria dell’uomo come tale, alla quale la cultura europea ha creduto a partire da Platone ed Aristotele, e poi da San Tommaso fino a Kant, benchè quest’ultimo non ne riconoscesse adeguatamente il realismo e i presupposti empirici? Per tanti teologi di oggi, a causa di un malinteso pluralismo, non esiste quindi la ragione, universale ed immutabile, con salde certezze, ma ognuno ha la sua ragione, per cui ragiona come gli pare, ossia in base all’apparenza, od alla sua particolare cultura, in continua evoluzione, non quindi in base alla realtà in sè, esterna e indipendente dal pensiero: l’importante è farsi dei discepoli e che si parli di lui nei mass-media e nei circoli intellettuali. Parafrasando il famoso romanzo di Cronin: Le stelle stanno a guardare (1), potremmo dire con molto rammarico: «I vescovi stanno a guardare». San Tommaso e Kant parlano di “ragione speculativa”, anche se naturalmente in modo molto differente. Ne parlerà ancora Hegel, ma ormai in un senso panteistico e gnostico, che susciterà la giusta, anche se esagerata reazione del grande Kierkegaard, che da buon protestante ritroverà l’irrazionalismo esistenzialista ed occamista di Lutero.

tommaso

imagine pittorica raffigurante San Tommaso d’Aquino

Hegel parla ancora di “scienza” dell’Assoluto e riconosce che noi cogliamo la verità divina nel “concetto”. Egli però disprezza la teologia, che per lui si pone non nell’alto livello del denken, ma in quello basso e volgare della Vorstellung. Così la “Scienza assoluta” e il “Concetto assoluto”, di Hegel, idealisticamente identici al reale, sono talmente pretenziosi, che saranno rifiutati parimenti anch’essi da Kierkegaard. Per questo il Kierkegaard, spirito onesto e sincero amante della verità, si mostrò nel contempo un acutissimo critico delle imposture hegeliane, tanto che, come ha dimostrato Fabro nei suo studi interessantissimi, il filosofo danese è molto vicino a noi cattolici e allo stesso San Tommaso (2). Fatto sta che dopo Kierkegaard non si parla più di “ragione speculativa” a causa dell’avvento dello storicismo, del positivismo e dell’esistenzialismo, col loro caratteristico disprezzo per la metafisica e perla filosofia scolastica.

Alcuni, soprattutto tra i cattolici, continueranno a credere disinteressatamente nella verità, se non della ragione, almeno della fede, ma si avranno le varie forme di tradizionalismo, liberalismo, soggettivismo, fideismo, sentimentalismo, ontologismo e fenomenismo condannate dalla Chiesa dai tempi del Beato Pio IX e del Concilio Vaticano I a Pio XII. Infatti la fede è impossibile o falsa, se non esiste la verità razionale che fa da presupposto o da supporto. Per questo San Tommaso sostiene che una buona teologia si costruisce solo utilizzando una buona filosofia (3). La rinascita tomistica di fine Ottocento, preparata da una serie di notevolissimi e zelanti filosofi e teologi e fortemente sostenuta e promossa da Leone XIII e dai successivi Pontefici, fino al Concilio Vaticano II, che raccomanda espressamente il discepolato tomista, ha ridato credito nella cultura cattolica alla teologia come scienza o, come la chiama Antonio Livi, alla “scienza della fede”. È grande merito dell’Aquinate aver fondato la teologia cattolica come scienza (4), anche se la teologia è scienza in un senso speciale, diverso da quello di tutte le altre scienze. Infatti, mentre le altre scienze si fondano su princìpi razionali primi o sul senso comune, i princìpi della teologia cattolica sono dati della rivelazione cristiana, ossia le verità di fede o dogmi. Per questo Antonio Livi la chiama “scienza della fede”: non che la fede possa diventare scienza o che la scienza dimostri razionalmente i dati di fede, come credette di poter fare Hegel. Ma in quanto si tratta di una scienza connessa alla fede, ne costituisce o il presupposto razionale oppure è basata sulla fede e da essa discende, pur restando un sapere umano, capace di obbiettività e certezza (theologice certum), o addirittura di innalzarsi alla prossimità della fede (fidei proximum), soprattutto se si tratta di dottrine approvate o raccomandate dalla Chiesa (5), ma anche cognizione fallibile, che a volte resta limitata al livello della semplice opinione o probabilità.

scoto

La locandina pubblicitaria del film dedicato a Duns Scoto

Questa alternanza di situazioni epistemiche, ora solide, ora precarie, dipende dalla difficoltà più o meno grande delle questioni affrontate. Laddove la materia è più alla portata della nostra ragione, la sua realtà è già stata esplorata e il metodo di indagine è più sicuro, i risultati sono più certi. Diversamente, ci si muove solo nelle ipotesi e in una pluralità di punti di vista a volte contrastanti, ma tutti legittimi, se l’ambito della verità naturale e del dogma viene rispettato. Il teologo può preparare inoltre il pronunciamento dogmatico del Magistero della Chiesa, quando raggiunge risultati molto solidi ed attendibili, in piena conformità alla Scrittura, alla dottrina della fede ed alla Tradizione. Tali risultati possono essere innovativi, sì da far avanzare la conoscenza della Parola di Dio. Tuttavia, una dottrina teologica, per quanto vera, sicura, saldamente fondata sul dato rivelato definito o non definito, non può essere oggetto di fede teologale, se non è la Chiesa che con la sua infallibile autorità la eleva alla dignità di dogma o comunque di verità di fede. Stando così le cose, bisogna distinguere accuratamente l’errore teologico dall’eresia, benchè un errore teologico possa condurre all’eresia. Per esempio, il concetto scotista dell’univocità della nozione dell’essere di per sè è un errore metafisico. Ma in quel grande teologo francescano di vita santa l’univocità è tenuta a bada da tali potenti correttivi, che essa è impedita nel dare i suoi frutti amari.  Applicata infatti in teologia, conduce a concepire la differenza fra l’uomo e Dio solo come divario esistente fra finito (uomo) e infinito (Dio) sulla base di un medesimo concetto dell’essere, dimenticando che l’essere della creatura è solo “analogicamente” essere (esse per participationem) rispetto all’essere divino (esse per essentiam). L’uomo non è un ente al quale, per avere l’essere divino, si aggiunga semplicemente una quantità infinita di essere, così che l’essere come tale si predichi univocamente dell’uomo e di Dio, ossia resti lo stesso con lo stesso significato. Invece, come dice il Concilio Lateranense IV, “tra il creatore e la creatura non si può dare una tale somiglianza, senza che non si debba affermare una ancor maggiore dissomiglianza” [ Cf. Denz. 806].

È vero che l’essere metafisico di Scoto è ancora solo l‘ens ut ens, l‘esse commune. Ma tra l’essere della creatura, univoco all’essere divino, per quanto si enfatizzi la distanza infinita, peraltro quantitativa e non qualitativa, e l’essere divino, resta in realtà solo una sottile parete, che sarà facilmente abbattuta dal panteismo spinoziano ed hegeliano nei secoli seguenti. Il rimedio apportato da Ockham con l’introduzione dell’equivocità, non servirà a nulla, dato che, se da una parte, col pretesto della libertà ed onnipotenza divine, si apre un abisso incolmabile tra l’uomo e Dio, quello che Kant chiamerà il “baratro della ragione” di luterana memoria e la ragione non conduce più a Dio, dall’altra l’essere divino non si concilia più con l’essere umano, sicchè nei secoli seguenti nascerà il terribile dilemma: o l’uomo espelle Dio ribellandosi a Lui e si avrà l’ateismo; o Dio assorbe in sè l’uomo che si fa identico a Dio e si avrà il panteismo.

Hegel

Ritratto d’epoca di Georg Wilhelm Friedrich Hegel

Passiamo ad un altro aspetto del nostro tema. Certo, la teologia, in quanto discorso su Dio, non deve sempre proporsi la modalità scientifica, perchè certi suoi oggetti, come dimostra chiaramente la storia della salvezza narrata dalla Sacra Scrittura, sono fatti, eventi, luoghi o singole persone o gruppi agenti nello spazio-tempo, quindi una materia contingente, che non può assumere la forma della scienza, avendo essa per oggetto l’universale e il necessario. Per questo, taluni parlano di “teologia narrativa”. Infatti si può parlare di Dio narrando fatti, per esempio il fatto dell’Incarnazione del Verbo o dell’ascensione di Cristo al cielo. Tuttavia, poichè Dio Uno e Trino è Essere assolutamente necessario, eterno ed immutabile, principio universale di tutte le cose, e il necessario, eterno, immutabile ed universale è oggetto della scienza, ecco che la teologia, più che narrazione, è scienza; e, se essa narra, lo fa in relazione all’oggetto principale che è Dio, come rileva San Tommaso (6). La teologia certo racconta, ma lo fa o per condurci a Dio o per mostrare le opere di Dio. Il racconto fine a se stesso è storia, non teologia. Ancor più ci si allontana dalla teologia e dalla stessa verità, cadendo al limite nell’eresia, in quelle concezioni della teologia, ispirate a Hegel, nelle quali la storia finisce per invadere tutto il campo dell’essere e sostituire la metafisica, per cui nulla esiste di immutabile, ossia tutto è divenire, persino Dio. Inoltre San Tommaso, che pure è grande teologo speculativo, amante del concetto proprio e preciso, riconosce che la teologia, per il fatto stesso di usare l’analogia dell’essere, può e deve far uso della metafora (7), che è una forma di analogia, quando la mente avverte di non essere proporzionata all’immensità del divino: un linguaggio che del resto è comunissimo nel Vangelo. In tal modo il concetto preciso ed appropriato, proprio della scienza, si accompagna in teologia all’espressione metaforica, che di per sè sarebbe propria della poesia. Anche in questo sconfinamento nella poesia la teologia mostra di essere una scienza diversa dalle altre. Infatti qui concetto e metafora si illuminano a vicenda: il concetto illumina l’intelletto, la metafora sostiene l’immaginazione. Se per esempio diciamo che il peccato è un'”offesa” a Dio, chiaramente questa è una metafora, giacchè, parlando propriamente, ossia metafisicamente, da cosa può essere menomato o di cosa può esser privato l’Assoluto? Tuttavia, il paragone con le avventure dell’uomo, ci aiuta a capire il male del peccato.

rivelazioneAltra considerazione. Come sappiamo, esiste una teologia naturale e una teologia soprannaturale, che è la teologia cattolica, fondata sulla virtù teologale della fede, che nasce dall’ascolto della predicazione della Chiesa (fides ex auditu). Solo i princìpi del secondo tipo di teologia sono di fede, mentre quelli della prima sono di ragione e di senso comune. Invece il metodo di indagine e i procedimenti dimostrativi sono scientifici sia nell’uno che nell’altro caso. La teologia si costruisce attingendo a speciali fonti o valendosi di speciali mezzi epistemici o metodologici, i cosiddetti “luoghi (gr. topos) teologici” (8). Le fonti principali sono la Scrittura, la Tradizione e il Magistero. Fonti o strumenti o scienze ausiliarie sono una buona filosofia, la liturgia, la patrologia, la storia della Chiesa, la storia della teologia, il diritto canonico, l’agiografia, la storia dell’arte e della letteratura. La teologia è vera teologia, come spiega Antonio Livi, quando il suo metodo è corretto dal punto di vista epistemico, cosa, questa, che conduce all’ortodossia dei contenuti, così come la strada giusta per un certo luogo ci guida al luogo al quale intendiamo arrivare, benchè io possa in qualche modo conoscere questo luogo anche prima di arrivarci. Così similmente i contenuti della teologia hanno già un valore in se stessi, anche indipendentemente dal metodo col quale il teologo li ha stabiliti. Indubbiamente da un metodo sbagliato, come si è detto, non possono che nascere errori. Dal falso non esce il vero. Ma ciò non toglie che un teologo acquisisca o recepisca dottrine teologiche valide o per apprendimento da altri o traendo informazioni da colleghi di lavoro. Il criterio epistemico per stabilire il valore di una teologia è quindi duplice: occorre la correttezza del metodo e l’ortodossia dei contenuti, cosa che a sua volta si verifica seguendo due vie: controllo della bontà della filosofia della quale il teologo si è servito e verifica dell’ortodossia in riferimento agli insegnamenti del Magistero, il quale interpreta infallibilmente le due fonti della Rivelazione: Scrittura e Tradizione. Se la teologia di un dato autore passa a questi esami, allora, sempre secondo il nostro Autore, quella teologia è vera teologia (9).

Bianchi-Martini

il cardinale Carlo Maria Martini ed il dottor Enzo Bianchi

Quando Antonio Livi nega alle opere di certi autori che passano per teologi il vero carattere teologico dei loro scritti, naturalmente non intende necessariamente notarli di qualche errore dottrinale, ma semplicemente osservare che, stando alla rigorosa definizione di “teologia” da lui stabilita del resto sul solco della tradizione cattolica, non possono propriamente essere qualificati come “teologi”, anche se qui possiamo avere dei grandi nomi come Chesterton, Dostojevsky, Bulgakov, Berdiaeff, Guardini, Papini, Pascal, ecc., ma semmai possiamo qualificarli come “pensatori religiosi”. Per quanto riguarda poi la tradizione teologica protestante, per quanto Lutero, prima di essere scomunicato, fosse dottore in teologia regolarmente autorizzato e ci tenesse a considerarsi “teologo”, tuttavia non si può dire che il tipo di “teologia” avviato dal protestantesimo, e che oggi sta avendo un influsso nel mondo cattolico, sia una vera e propria teologia, nonostante l’attenzione alla Sacra Scrittura e le intuizioni teologiche molto profonde di molti maestri del protestantesimo e la straordinaria intensità dei loro studi e della loro erudizione.  Ma ci vuole ben altro per avere una teologia che si rispetti. Quello che manca infatti è un vero spirito sistematico, è l’assunzione di tutti i luoghi teologici, il rispetto della logica, un linguaggio preciso come si conviene alla scienza, un moderato uso dell’immaginazione ed dell’emotività. Da qui la facilità nel cadere in enormi confusioni o al contrario nell’opporre quello che andrebbe unito e armonizzato, per non parlare dell’arroganza con la quale vengono trattati non solo la tradizionale teologia scolastica, ma, come è noto, lo stesso Magistero della Chiesa.
Si direbbe trattarsi di una disastrosa confusione tra profetismo e teologia, che porta ad abusare dell’aspetto metaforico e allusivo del linguaggio profetico, che può essere certo suggestivo, ma senza un’opportuna vigilanza critica, una rigorosa concettualità e una metodologia teologica, si esce spesso dal sentiero della verità. Come stabilisce San Tommaso, la teologia è formalmente una sola scienza (10), benché materialmente e descrittivamente, anche per motivi didattici, comporti una molteplicità di diramazioni o discipline, le quali però fanno tutte capo all’oggetto principale, che nella teologia cattolica, è Dio rivelatosi in Cristo nell’interpretazione dogmatica del Magistero della Chiesa. Queste diramazioni o specializzazioni allora non si determinano in relazione a Dio, benchè si debba distinguere il trattato De Deo Uno dal De Deo Trino e dalla cristologia, ma piuttosto in relazione al creato, all’uomo ed al mondo e quindi all’agire di Dio nel creato e nella storia (magnalia Dei).

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immagine di San Bonaventura di Bagnoregio, Dottore della Chiesa

Così avviene che oggi il campo delle discipline teologiche è talmente vasto e molteplice, che non esiste ormai più, come era ancora possibile nel Medioevo, un teologo accademico capace di spaziare su tutti i settori del sapere teologico, ma, al fine di avere una buona preparazione, chi vuol fare il teologo, soprattutto se accademico, deve necessariamente scegliere una particolare disciplina e specializzazione e limitarsi a quella, senza presumere di sentenziare nei settori dove non è competente. Una cosa simile avviene oggi per la medicina, dove, per i problemi seri, bisogna ricorrere allo specialista. In tal modo la prima divisione della teologia è fra teologia dogmatica o speculativa, che considera gli attributi divini e in generale le verità divine immutabili, come per esempio gli angeli, benchè presenti nella storia passata (protologia), presente (ecclesiologia, mariologia e sacramentaria) e futura (escatologia), oggetto di pura contemplazione, e teologia pratica, che considera l’agire umano. A sua volta questo ramo della teologia abbraccia la teologia morale, che tratta delle virtù; e la teologia spirituale, che tratta della perfezione cristiana sotto l’influsso dei sette doni dello Spirito Santo. Si parla qui anche di “teologia della perfezione”, “teologia mistica”, “teologia affettiva” e simili. La teologia morale a sua volta comprende la direzione dall’azione del popolo o del comune fedele e la direzione dell’agire o dell’opera educativa e formatrice dei pastori e delle guide del popolo. La prima è la teologia precettiva (comandamenti di Dio e della Chiesa); la seconda è la teologia pastorale. Siccome poi il dovere del pastore è pascere il gregge ed annunciare il Vangelo, da qui nascono rispettivamente la teologia canonistica (fondamenti teologici del diritto canonico e delle leggi della Chiesa) e la teologia dell’evangelizzazione.  Quest’ultima comporta varie tappe o momenti educativi. Il primo passo è il dialogo con ogni uomo ragionevole concernente la tematica religiosa (teologia del dialogo interreligioso e con i non-credenti); secondo passo è la dimostrazione della credibilità del cristianesimo e la sua difesa dagli attacchi degli increduli (apologetica o educazione alla fede); il terzo è l’istruzione sulla dottrina cristiana (catechesi); il quarto è l’inculturazione, ossia l’inserzione del messaggio evangelico nelle varie culture, dovutamente purificate alla luce dello stesso Vangelo; il quinto è l’attività ecumenica (teologia ecumenica).

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Monsignor Antonio Livi durante la visita del Santo Padre Benedetto XVI alla Pontificia Università Lateranense

Dato che compito della teologia cattolica è quello di far uso di una buona filosofia per interpretare la Scrittura e la Tradizione sotto la guida del Magistero, ecco che, sotto questo punto di vista, bisogna distinguere la teologia scolastica dalla teologia biblica. La prima, la teologia per antonomasia, teologia come “scienza della fede”, come dice la parola, è la teologia che si insegna nelle scuole cattoliche e negli istituti accademici ecclesiastici di ogni ordine e grado. La seconda, è l’indagine, con l’aiuto dell’esegesi biblica, dei grandi temi teologici della Scrittura, che poi sta al teologo sistematico ordinare ed organizzare attorno alle verità fondamentali della fede. Infine c’è da tener presente che ancora per un’altra ragione la teologia cattolica non è soltanto una scienza come le altre, ma, a somiglianza del profetismo biblico e sotto la guida dei doni dello Spirito Santo, è una sapienza, che suppone nel teologo non solo un semplice sapere intellettuale, ma un vero gusto e per così dire un’esperienza delle cose divine, che lo porta a giudicare di esse per una specie di affinità con esse, che San Tommaso chiama iudicium per modum inclinationis (11). La teologia scolastica è così strettamente imparentata con la teologia mistica, frutto dell’esperienza contemplativa di quella verità infinita, che è il Pensiero di Dio, del quale l’uomo è chiamato a partecipare quaggiù nella fede e dopo la morte nella visione beatifica.

Fontanellato, 28 ottobre 2014

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NOTE

(1) Edizione originale The Stars Look Down, 1935
(2) Vedi per esempio i saggi contenuti in Dall’essere all’esistente, Morcelliana, Brescia 1957.
(3) Sum.Theol., I, q.1,a.1.
(4) Vedi su ciò gli studi storici di Dominique Chenu.
(5) Per esempio certe dottrine fondamentali o principali (pronuntiata maiora) di San Tommaso d’Aquino.
(6) Sum.Theol.,I,q.1,aa.2 e 7.
(7) Sum.Theol.,I,q.1,a.9.
(8) Iniziatore di questo trattato, poi divenuto classico, fu il domenicano Melchior Cano con l’opera De Locis theologicis, Edizione di Venezia, 1776.
(9) Questo importantissimo tema dello statuto scientifico della teologia è sempre stato trattato dai tomisti, soprattutto della scuola domenicana. Tanto per fare alcuni nomi del secolo scorso: Garrigou-Lagrange, Maritain, Congar, Journet, Ramirez, Gagnebet, Gardeil, Spiazzi. Cf il mio libro Teologi in bianco e nero. Il contributo della scuola domenicana alla storia della teologia, Piemme, Milano, 2000.
(10) Sum.Theol., I, q.1,a.3.
(11) Sum.Theol.,I,q.1,a.5.

1 commento
  1. Padre Ariel
    Antonio Livi dice:

    Ringrazio di cuore padre Giovanni Cavalcoli, autorevole teologo dominicano, per aver ben compreso e anche ulteriormente sviluppato il mio discorso sull’epistemologia teologica, iniziato con il trattato su Vera e falsa teologia (2012) e continuato con il dialogo fra specialisti (tra i quali lo stesso Cavalcoli) nel volume collettaneo Verità della teologia, a cura di Marco Bracchi e di Giovanni Covino (Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2014).
    Proprio in base a questi continui confronti mi rendo conto che alcuni aspetti della mia critica epistemologica alle vie forme di “falsa teologia” non sono state ben comprese. Ad esempio, il grande teologo Brunero Gherardini, specialista di ecclesiologia e interprete autorevole del pensiero religioso dei protestanti (da Lutero a Karl Barth), non accetta che io neghi all’opera di Barth la qualifica di “vera teologia” e la sua classificazione epistemologica come “filosofia religiosa”. Ma io gli ho risposto che la qualifica di “vera teologia” riguarda, nel mio discorso, la “scienza della fede”, nata e sviluppata in seno alla Chiesa cattolica e caratterizzata dalla ricerca di ipotesi scientifiche di interpretazione razionale del dogma; se ci si vuole riferire ad altre forme di pensiero scientifico, non si può usare per queste il medesimo nome di “teologia”, a meno che non le si qualifichi con degli aggettivi pertinenti, come quando si parla di “teologia naturale”, ossia di filosofia o metafisica sul Primo Principio. Si può allora parlare di “teologia protestante” o anche di “teologia ebraica”, di “teologia islamica” o di “teologia buddhista”? Certo che si può, ma la confusione che ne deriva è davvero esiziale, da un punto di vista scientifico. Queste cosiddette “teologie” prendono infatti il loro nome, non dalla teologia naturale (che è una scienza filosofica di antichissima tradizione e con una determinazione ben precisa del proprio oggetto e del metodo che ne consegue) ma dalla teologia sacra, che è una scienza nata nell’epoca tardo-antica in un conteso di fede cristiana. Queste riflessioni sulla religione (cristiana, ebraica, islamica, buddhista) vengono denominate “teologie” per un’apparente analogia con la teologia cattolica, ma si differenziano sostanzialmente da essa con la perdita del suo oggetto specifico, che è il dogma, ossia la verità rivelata da Dio e proposta dalla Chiesa con il suo Magistero (“dottrina degli Apostoli”). Ignorare questa differenza sostanziale comporta, come dicevo, una confusione è davvero esiziale, a tutto svantaggio della funzione pastorale che spetta alla teologia vera e propria all’interno della Chiesa cattolica. Questa funzione, infatti, non può essere svolta se non sulla base di un formale rigore metodologico, senza il quale le affermazioni sulla fede non hanno assolutamente alcun valore per la fede stessa. Alla fine, equiparare e mescolare le tesi di una teologia protestante, ebraica, islamica o buddhista con le tesi della vera teologia cattolica è come equiparare e mescolare, in un congresso scientifico sui pianeti del sistema solare astri, l’astrologia con l’astronomia, senza tener conto del fatto che la prima non è altro che una serie di fantasie arbitrarie, prive di rigore scientifico, mentre la seconda è un ramo importante della fisica classica, coltivato con accumulo di conoscenze preziose dall’antichità fino ai nostri giorni.
    Mi si dirà che queste sottili distinzioni epistemologiche hanno poca importanza pratica. Ed invece hanno tutta l’importanza che io continuo da anni ad attribuire loro: perché la teologia cattolica, come ho ricordato, è una funzione pastorale della Chiesa, della quale il Magistero ha sempre voluto e saputo servirsi per lo sviluppo omogeneo del dogma. La vera teologia cattolica è sempre stata coltivata in funzione della catechesi e dell’evangelizzazione, motivo per cui ogni proposta avanzata con l’etichetta di “teologia” ma che di fatto ignora o contraddice il Magistero, non solo manca al dovere di fedeltà al suo statuto epistemologico, ma è direttamente causa di disorientamento del popolo di Dio per quanto riguarda la purezza o l’integrità della fede cattolica.

    Antonio Livi

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