Conservazione e progresso

Padre Giovanni

— attualità ecclesiale —

CONSERVAZIONE E PROGRESSO

Per risolvere l’attuale conflitto intra-ecclesiale fra modernisti e lefebvriani bisogna accordare fra di loro questi due fattori essenziali del dinamismo ecclesiale: conservazione e progresso.

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Autore
Giovanni Cavalcoli, O.P.

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Rileggendo alcuni testi delle meditazioni mattutine del Santo Padre nella cappella della Domus Sanctae Marthae, il 31 ottobre 2017 — come riferì l’articolista de L’Osservatore Romano del 1 novembre seguente —, il Papa si domanda, tra l’altro: I cristiani «credono davvero nella forza dello Spirito Santo» che è in loro? E hanno il coraggio di «gettare il seme», di mettersi in gioco, o si rifugiano in una «pastorale di conservazione», che non lascia che «il Regno di Dio cresca»? E risponde: «Tante volte noi vediamo che si preferisce una pastorale di conservazione» piuttosto che «lasciare che il Regno cresca».

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Ci permettiamo alcune osservazioni. Occorre distinguere conservazione da conservatorismo. Conservare diligentemente e, gelosamente e il sacro deposito della divina Rivelazione, senza accomodamenti, senza aggiungere e senza togliere [cf Gal 3,15; Ap 22,19] ed essergli fedele a costo della vita è dovere assoluto di ogni cattolico,  in primis dei vescovi e del Papa.

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Il conservatorismo, invece, al quale allude probabilmente il Papa, è una stolta ed inutile conservazione. È il conservare ciò che non serve più, è il restare attaccati o per miopia o per pigrizia o per paura o per interesse a idee, costumi, usanze, abitudini, tradizioni superati o abbandonati dalla Chiesa, è lo scambiare per modernismo il giusto progresso, il restare bloccati ad una data fase storica del cammino della Chiesa verso il Regno, è il chiudere l’occhio ai campi che già biondeggiano per la mietitura» [Gv 4,35]; è chiudere l’orecchio alla voce dello Spirito, che «rinnova la faccia della terra», che «rinnova la nostra mente» [Rm 12,2] e di giorno in giorno rinnova il nostro uomo interiore [cf II Cor 4,16]. Lo Spirito Santo spinge sì la Chiesa al progresso, ma nel senso indicato da quelle parole del Signore, che Egli ha la funzione di farci ricordare [Gv 14,26]e quindi di stimolarci a far fruttare.

Ammesso — lo vogliamo credere — che il Papa parli di conservatorismo e non di legittima conservazione, non sembra corrispondere a verità, come pare Papa Francesco voglia insinuare, che esista una vasta diffusione del conservatorismo, che pur esiste nei lefebvriani; ma  ciò che oggi maggiormente affligge e turba la Chiesa sono una ben più vasta diffusione del modernismo o di un falso progresso e o di un falsa interpretazione del rinnovamento promosso dal Concilio. E di questi mali il Papa non parla mai, tutto preso da un’esagerata e faziosa polemica contro il tradizionalismo, dove rischia di fare di tutte le erbe un fascio, prendendosela anche con quel sano tradizionalismo che, insieme con una sana conservazione, sono fattori essenziali della struttura e del progresso della Chiesa.

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Se Francesco vuol essere un riformatore della Santa Sede cominci dunque con l’allontanare o il fermare quei falsi collaboratori che sono infetti di modernismo e di rahnerismo, ed assuma collaboratori veramente leali e fedeli al Magistero pontificio e nemici non solo del lefebvrismo, ma anche del modernismo, sia pur aperti ai lati buoni degli uni e degli altri.

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Esiste comunque un certo ostinato, miope e presuntuoso conservatorismo che, sotto il pretesto della fedeltà alla Sacra Tradizione, accusa i Papi del post-concilio di disattenderla, e vorrebbe tornare al clima dottrinale e pastorale pre-conciliari, come se il Concilio Vaticano II non fosse avvenuto, dimenticando che, quando un Concilio compie un progresso dottrinale, come quasi sempre avviene, la Chiesa, maggiormente illuminata dal Vangelo e vinti certi errori, data l’infallibilità della sua dottrina, non torna più indietro, mentre può capitare che un nuovo Concilio corregga una prassi pastorale difettosa avviata da un Concilio precedente, o ripristini o recuperi certe pratiche pastorali abbandonate da quel Concilio, perché su questo piano, per il mutare delle contingenze storiche o per la fallibilità degli stessi uomini di Chiesa, essa può mutare o sbagliare e quindi può correggersi, dopo aver sperimentato le conseguenze dannose provocate dall’errore commesso.

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Così il Concilio, andando incontro ad un’esigenza del tempo nel quale fu celebrato, insiste molto sul rinnovamento della pastorale e dà in merito molte direttive, che toccano tutti gli aspetti della vita ecclesiale. Ma dopo cinquant’anni di applicazione di queste direttive, molti osservatori e pastori imparziali ed amanti della Chiesa ci hanno condotto ormai da anni a renderci chiaramente conto del fatto che la pastorale conciliare, per certi aspetti, ha bisogno di una correzione di rotta, che forse solo un nuovo Concilio o un grande Papa riformatore potranno attuare.

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Ciò non significa assolutamente che si debba tornare in toto alla pastorale del pre-concilio, ma significa mantenere le conquiste pastorali del post-concilio — per esempio un sano ecumenismo o il dialogo interreligioso —, purificandole da certi eccessi buonistici e troppo ottimistici nei confronti del mondo moderno, tanto che oggi, per la mancata vigilanza dei vescovi, assistiamo ad un impressionante ritorno di modernismo, molto peggiore e più insidioso di quello dei tempi di San Pio X, anche perché, mentre questo aveva attecchito soltanto nel basso clero e fra i teologi ed esegeti, quello infetta lo stesso corpo episcopale soprattutto nella sottile ad astuta forma del rahnerismo.  

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Tutti i buoni cattolici, fedeli e pastori, si sono ormai accorti di questa enorme truffa, tranne, chissà perché, gli stessi modernisti, i quali o cadono dalle nuvole o fanno finta di non sapere o restano sordi a richiami ed avvertimenti o ignorano sprezzantemente le accuse loro rivolte o le respingono sdegnati o, povere vittime calunniate, da ipocriti sopraffini, perseguitano i pochi coraggiosi che scoprono le loro trame.

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Il grande problema pastorale oggi, non è più quello che si imponeva cinquant’anni fa, come comandava il Concilio, di abbandonare una pastorale troppo conservatrice, anacronistica, statica, ripetitiva, troppo difensiva, sospettosa, timorosa, diffidente ed aggressiva nei confronti del mondo moderno, del resto mal conosciuto e a volte anche frainteso, per un rinnovato accostamento alla modernità benevolo, aperto, leale, sanamente critico, certo prudente come il serpente, ma anche semplice come la colomba, sapendo che il mondo riserva insidie, ma anche che il mondo creato da Dio offre molti valori da riconoscere, da salvare e da condurre a Cristo.

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Sulla via del rinnovamento, del divenire, del cambiamento, dello svecchiamento, dello sviluppo  e del progresso si è molto insistito e si è andati molto avanti in questi cinquant’anni, e certamente il vero progresso non ha mai termine; ma non sempre si è avanzati nella maniera giusta, e più che avanzare, in tanti casi, si è deviato o ci si è allontanati dal retto cammino e dalla fedeltà ai veri insegnamenti del Concilio; non sempre ci si à mossi con la dovuta intraprendenza, moderazione, cautela e saggezza, in obbedienza alla guida dei Pontefici o alla dottrina del Catechismo della Chiesa Cattolica, anzi cadendo molto spesso nella rete del  modernismo, che è un approccio ingannevole alla modernità, nella quale occorre distinguere il grano dal loglio, e invece  i modernisti hanno confuso l’uno con l’altro.

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Quello che allora oggi bisogna soprattutto fare per promuovere una sana, efficace ed equilibrata pastorale, adatta alle necessità dell’ora presente, diverse e per certi aspetti opposte alla situazione storica, che dovette affrontare e risolvere il Concilio, non è più tanto redarguire il conservatorismo, benché poi esso esista tuttora, ma è che il Papa si decida, alla buon ora, con franchezza e coraggio, incurante dell’eventuale starnazzare dei modernisti, a denunciare il modernismo dilagante, ben più pericoloso e dannoso del lefebvrismo o del conservatorismo, considerando gli immensi danni che il modernismo ha fatto in questi 50 anni. e sta facendo, sotto pretesto del rinnovamento conciliare, nella Chiesa e nella società. E qui faccio notare che fin dal 1966 il Maritain denunciò il grave pericolo del modernismo. E non è che il Maritain fosse precisamente un conservatore. Non si deve insistere in modo unilaterale sullo sviluppo lasciando in sordina la conservazione del deposito della fede. È l’inverso che bisogna fare, dopo cinquant’anni di retorica progressista, che ha finito per degenerare nel modernismo e in polemiche faziose contro la conservazione.

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Il vero futuro della Chiesa e dell’umanità

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Occorre piantarla una volta per tutte con un relativismo e storicismo di origine hegeliana, denunciati più volte da Papa Benedetto XVI sulla scia della condanna dell’evoluzionismo modernista fatta da San Pio X. Il divenire suppone l’essere. Il relativo ha senso solo in rapporto all’Assoluto e la storia ha un fine solo in rapporto all’Eterno. Occorre invece ritrovare i princìpi e i valori assoluti della ragione e della fede, oggi largamente dimenticati, trascurati, fraintesi, incompresi, disprezzati e derisi, tra coloro stessi che dovrebbero custodirli ed insegnarceli, vescovi compresi. Valori che invece sono sempre stati insegnati e sempre saranno insegnati per la salvezza dell’umanità, dalla sana filosofia, in quanto razionali, e dalla Chiesa, in quanto valori di fede. Occorre sapere con certezza quali sono questi valori di ragione e di fede, occorre sapere perchè sono questi e non altri, occorre distinguerli dalle opinioni soggettive e caduche. Occorre distinguere il dogmatismo e il fondamentalismo dalla certezza di fede e dalla certezza razionale.

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Occorre saper distinguere i valori immutabili, immortali ed incorruttibili da quelli che mutano e si corrompono. Occorre distinguere le verità immutabili e sovra-temporali da quelle mutabili e temporali, ciò che è vero oggi, è vero da sempre e sarà sempre vero — le verità filosofiche, morali teologiche — da ciò che è vero oggi e potrà non esserlo domani certe condizioni o realtà storiche o istituzioni giuridiche o politiche o ecclesiali.

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È con la ragione e con la fede che sappiamo cosa è di ragione e cosa è di fede. A questo punto abbiamo sotto i piedi non le sabbie mobili, ma la roccia sulla quale costruire la casa, il saldo terreno su cui poggiare  e camminare. Sappiamo quali sono i valori che non verranno mai meno. Sappiamo qual è il senso dell’esistenza e della vita. Sappiamo chi siamo, da dove veniamo e dove possiamo, vogliamo e dobbiamo andare. Sappiamo che Dio esiste. Sappiamo di chi fidarci. Sappiamo il perché del bene e del male. Sappiamo che non c’è via di mezzo tra il sì e il no. Conosciamo la nostra vocazione e il nostro dovere. Vediamo il nostro destino eterno e possiamo perseguirlo con speranza, costanza e coraggio, sapendo di non essere delusi. Sappiamo che potremo farcela. Sappiamo quali sono i valori e i beni, per i quali val la pena di sacrificare la nostra vita, sappiamo quali sono i valori sui quali non possiamo cedere, anche a costo della vita. Sappiamo cosa è il martirio. Sappiamo che possiamo vendere tutto, negoziare su tutto, trafficare tutto, all’infuori della nostra anima. Così compreremo Tutto. Sappiamo che è impossibile la salvezza senza questi valori, per cui sono questi i valori che garantiscono la salvezza. Se noi abbandoniamo la consegna che ci è stata data da Cristo, ritenendola superata o invecchiata o non più valida o non più attuale, per un futuro inventato da noi nell’idea che venga dallo Spirito Santo, non siamo degli innovatori, non  facciamo nessun vero progresso, ma siamo dei traditori, dei disertori e dei fedifraghi; non siamo più sotto la guida dello Spirito Santo, ma del demonio.

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Invece occorre che teniamo sempre davanti agli occhi del’intelletto e del cuore i valori  e i beni assoluti, perenni ed immutabili, la Parola di Dio che non passa — Verbum Domini manet in Aeternum — che illumina il nostro cammino, ci indica i nostri doveri, ci fa gustare la legge divina, infiamma il cuore, ci spinge alla santità — caritas Christi urget nos —, corregge i nostri errori, perdona i nostri peccati, conduce al vero progresso, fondato sulla verità divina conosciuta sempre meglio eodem sensu eademque sententia.

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Quanto all’appello alla ”Tradizione” per sapere cosa è di fede e cosa non lo è, di per sé non basta, ed è addirittura illecito ed empio, se si pretende di appellarsi direttamente e soggettivamente alla Tradizione, per contestare o contraddire o ”correggere” l’insegnamento dottrinale di un Papa o di un Concilio, dato che sono proprio loro i  custodi ed interpreti supremi e definitivi della Tradizione.  

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L’errore poi si aggrava, se tra i contenuti della Tradizione non si sa discernere quali sono quelli veramente permanenti, inviolabili ed insuperabili, e quali invece sono i contenuti vecchi e superati. La Tradizione non è questione di durata temporale, ma di valore intrinseco di verità, al di sopra del tempo, del contenuto della Tradizione. Occorre saper distinguere nella Tradizione ciò che è legato al tempo e alle contingenze storiche passeggere, da ciò che attiene essenzialmente l’Eterno e l’Assoluto, ossia alla volontà istituzionale di Cristo (“diritto divino”) — per esempio i sacramenti — che non può mai essere, né sarà mai mutato o abbandonato dalla Chiesa.

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Così non è sufficiente in ogni caso dire: «da 2000 anni» — ammesso che lo si sappia con certezza — «si è sempre pensato o fatto così», perché invece non è detto che si debba continuare a fare sempre così. Esiste un passato che è ormai passato morto e sepolto. Non avrebbe senso estrarre una salma dalla tomba come fosse il ripristino dei valori del passato. Ciò che è giustamente passato, è bene che resti passato, altrimenti sarebbe come voler far tornare quelle «cose passate» [II Cor 5,19], delle quali parla San Paolo. Meglio comunque una verità antica che un errore nuovo.

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Esistono del resto rispetto alla Tradizione novità assolute, mai prima esistite. Se però la Chiesa istituisce cose nuove ignote alla Tradizione precedente, come per esempio i ministeri femminili o il novus ordo Missae, questa non è una rottura con la Tradizione, ma vuol dire semplicemente che quelle cose erano contenute implicitamente nella Tradizione.

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Queste sono le linee della vera “svolta profetica”, della vera riforma che ci attendiamo da Papa Francesco. Certo egli non deve ascoltare i laudatores temporis acti, e fa bene ad arguirli, ma soprattutto non ascolti gli adulatori e i falsi amici, ma chi gli vuole veramente bene, chi lo esorta a congiungere dottrina e pastorale, conservazione e sviluppo, continuità e progresso, fedeltà e inventiva, anche se il vero amico può avere il tono del richiamo o rimprovero. Le ”rivoluzioni” populiste, scriteriate e a basso prezzo le lasci ai dittatorelli ambiziosi, panciuti e demagoghi  dell’Africa e dell’America Latina, senza abbassare la sua sacra dignità di Vicario di Cristo.

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Se il Papa vuole essere padre dei poveri, come appare chiaro dalle sue intenzioni, imiti il suo Signore Gesù Cristo e gli innumerevoli Santi padri dei poveri e lasci stare i Don Lorenzo Milani, i Fidel Castro o gli Helder Câmara. Di oppressi non ci sono solo gli immigrati. Invitiamo il Santo Padre ad esercitare la sua misericordia anche con gli oppressi dai modernisti, non abbia troppa confidenza con gli oppressori modernisti.

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È vero che i lefevriani parlano anche loro di ”modernisti”, ma essi stravolgono il senso del concetto, quando accusano di  ”modernismo” il Papato post-conciliare e le dottrine del Concilio, confondono il progresso col modernismo o Maritain con Rahner o confondono la Messa novus ordo con la Cena luterana. Prosegue più sotto il  giornalista: «La realtà, infatti, è che “il grano” — parole del Papa — “ha la potenza dentro, il lievito ha la potenza dentro”, e anche “la potenza del Regno di Dio viene da dentro; la forza viene da dentro, il crescere viene da dentro”».

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Non c’è dubbio circa la verità di quanto qui dice il Papa. Solo che l’immagine evangelica del chicco di grano non è l’unica immagine che Cristo propone della sua Parola. Non c’è dubbio che essa nel corso della storia, vien sempre meglio conosciuta dalla Chiesa in eodem sensu eademque sententia, come dice San Vincenzo di Lerino, con lo sviluppo della dogmatica ecclesiale.

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Per chiarire la questione della funzione conservatrice della pastorale ed evitare il conservatorismo, occorre rifarsi alle affermazioni o ai paragoni di Cristo, nei quali emerge la perennità, la stabilità, l’immutabilità, l’incorruttibilità, l’eternità della Parola di Dio, come quando, per esempio, essa viene paragonata a un .«tesoro» [cf.   ], a una «perla preziosa» [cf.  ], a una «dracma» [cf.  ] o a una «roccia» [cf.  ]. È una parola che «non passa» [cf.  ]. È una parola di «vita eterna» [cf.   ]. Le cose preziose vanno conservate con cura e gelosamente. È un principio di buon senso, che tutti capiscono. E quanto più allora va conservato intatto ed integro, ad ogni costo, senza cambiamenti, senza correzioni, senza aggiungere e senza togliere, anche se con continue spiegazioni, quel messaggio divino di salvezza, che ci assicura e ci promette la vita eterna.

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Certo, il messaggio evangelico non è come un cibo deperibile, che si corrompe, se non è ben custodito e conservato. Esso infatti non teme l’usura del tempo o gli agenti corrosivi. Non è fatto di materia corruttibile, ma è puro spirito immortale. È un tesoro che, se ben custodito «il ladro non può rubare e la tignola non può sfondare». Chi può corrompersi è il suo possessore, che è infedele, negligente e trascurato nel conservarlo e custodirlo e quindi può anche perderlo. Ecco l’apostasia. Può male concepirlo e può travisarlo. Ecco le eresie. Può male amministrarlo. Ecco il rispetto umano, l’accidia e le trascuratezze dei pastori.

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Prosegue l’articolista: «Allo stesso modo, ha spiegato Francesco, “se noi vogliamo conservare per noi il grano, sarà un grano solo. Se noi non mescoliamo con la vita, con la farina della vita, il lievito, rimarrà solo il lievito”». Qui il Papa tocca un aspetto del conservatorismo. Egli ovviamente non nega che bisogni conservare il grano: altrimenti, come si fa a donarlo? Possiamo donare ciò che abbiamo conservato con cura.  Ma, se sono valori da donare, e questo è proprio il caso della Parola di Dio, bisognerà pur donarli. Sono le stesse parole di Gesù: «Se il chicco di grano non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» [Lc 12,24].

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Come accordare conservazione e progresso

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Può progredire il vivente che ha una propria stabile identità. Infatti il vero progresso è il miglioramento delle condizioni e dell’attività del soggetto. Il che suppone ovviamente la conservazione del soggetto. È vero che la vita è movimento, è divenire, è mutamento. Ma perché sia vera vita dev’essere sviluppo o esplicazione nella giusta direzione del soggetto preesistente. Il progresso il movimento dev’essere sano, ossia ordinato e ben guidato e non patologico, disordinato o sconclusionato. Anche un pazzo furioso è pieno di movimento, ma nessuno gli invidia la sua condizione.

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Il soggetto che divide o muta negando la propria identità ossia cessando di conservare se stesso, avvia un movimento che non comporta progresso, ma dissoluzione o disintegrazione. È il processo che conduce alla morte. È vero che il morto non esercita più le attività vitali. Tuttavia la rigidità della morte non esclude affatto nel cadavere un divenire che è la sua dissoluzione. Dunque il puro e semplice divenire, il semplice cambiare o mutare non è un bene in se stesso. Ogni divenire ha una direzione.

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Non c’è da fidarsi di un divenire confuso e contraddittorio. Per verificare se si tratta di progresso e non di corruzione, bisogna vedere dove tende. Se tende al meglio è progresso; se tende al peggio è regresso. Occorre insomma sia il divenire, lo sviluppo o l’accrescimento o il miglioramento di un soggetto che si suppone mantiene in essere nella sua propria identità. Altrimenti, il divenire non è vita, ma morte, non è progresso, ma regresso, non evoluzione ma involuzione, non avanzamento ma retrocessione, non decadimento.

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La preoccupazione di conservare la propria identità supposta sana, è una preoccupazione più che legittima e doverosa, che nulla ha a che fare col conservatorismo e non so quale «chiusura all’altro». Essa manca in soggetti masochisti e d Essa corrisponde a quello che nel regno animale è l’istinto di conservazione, senza del quale quell’animale sarebbe presto distrutto dagli agenti contrari.

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Occorre che il Papa, quale sommo custode, fautore, garante e moderatore dell’unità, della concordia e della pace nella Chiesa, si assuma le proprie responsabilità. Deve porsi nella posizione di giudice imparziale che gli spetta, facendo capo ai princìpi universali della Chiesa, così che entrambe le parti  conflitto — lefevriani e modernisti — possano riconoscersi come cattoliche.

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Occorre, in secondo luogo, che riconosca la parte di verità e di giustizia — accennata in questo articolo —, presente e portata avanti da entrambe le parti. Le due parti, accostate l’una all’altra, combaciano perfettamente, come le due metà di una sfera spezzata, perché Dio le ha create appunto perché, unite, facciano una cosa sola, che è la stessa realtà della Chiesa.

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Il Papa deve fare ogni sforzo perché le due parti si avvicino e s’incontrino, superando vecchi rancori, odî. e diffidenze. Deve abbandonare la sua attuale propensione per i modernisti, altrimenti non può pretendere di suscitare la fiducia dei lefebvriani e i modernisti resteranno confermati nei loro errori e assumeranno un atteggiamento arrogante, il che non porterà a nessun risultato. Il Papa deve fare in modo che i lefebvriani si sentano compresi e apprezzati nelle loro buone ragioni, cosa che il Papa finora non ha fatto, cadendo anzi nel disprezzo e nell’insulto. Essi, però, da parte loro, devono sforzarsi di accogliere fiduciosamente tutte le dottrine del Concilio, come li ha esortati più volte Papa Benedetto XVI e, per conseguenza, il magistero pontificio seguente fino a Papa Francesco.

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Per quanto riguarda i modernisti, il Papa deve seguire lo stesso metodo applicato per i lefebvriani: riconoscere i lati buoni e correggere i difetti. Lato buono dei modernisti, che è sfuggito ai lefebvriani, che lo hanno frainteso, è l’attenzione al pensiero moderno e la volontà di ammodernamento e di progresso della Chiesa. Ma se per la Chiesa è relativamente facile rimediare agli errori dei lefebvriani, tutto sommato pochi di numero e abbastanza compatti un fatto di dottrine e di costumi, impresa gigantesca e al di sopra delle forze della Chiesa appare l’opera di correzione degli errori dei modernisti, sia perché essi sono sparsi per tutta la Chiesa, tra i pastori e tra i fedeli, e sia perché gli errori sono svariatissimi e toccano tutti i dogmi della fede. Volendo fare un paragone tratto dalla nettezza urbana, il far pulizia in campo lefebvriano sta al far  pulizia in campo modernisti, così come il far pulizia in una città svizzera sta al curare la nettezza urbana di Napoli.

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Tuttavia un punto di accordo tra il Papa, i lefebvriani e i modernisti si potrebbe trovare attorno al problema Rahner. Infatti, mentre i modernisti considerano Rahner il loro più grande teologo, i lefebvriani hanno acutamente individuato in Rahner il pericolo maggiore per la Chiesa di oggi. A questo punto il Papa — sarebbe ormai ora — dovrebbe decidersi con coraggio, succeda quel che succeda,  a condannare gli errori di Rahner, dando una giusta soddisfazione ai lefebvriani e a tutti gli amanti della verità e della Chiesa. Tuttavia le cose non sono così semplici, perché in realtà Rahner dette un contributo alle dottrine del Concilio. È a questo punto che i lefebvriani passano dalla parte del torto e quindi bisogna che il Papa li corregga, perché essi considerano come modernista il contributo rahneriano al Concilio. Da qui il loro rifiuto di tali dottrine considerate come moderniste, il che è falso, perché i lefebvriani interpretano quelle dottrine nel senso del modernismo rahneriano; e invece lì Rahner dette un contributo positivo, altrimenti esso non sarebbe stato approvato dal Concilio. Se il Papa riuscirà a mostrare ai lefebvriani e ai modernisti i punti sui quali s’incontrano tra di loro e se gli uni egli altri accetteranno le correzioni pontificie, la pace sarà fatta.

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Lo Spirito Santo e la Madonna sostengano il Papa nella sua missione di guida della Chiesa nella verità, nell’unità, nella santità, in un sano pluralismo e nella concordia, in una rinnovata evangelizzazione, che allarghi i confini della Chiesa visibile, vinca le forze ad essa ostili, converta le religioni a Cristo, riconduca i fratelli separati alla Santa Madre Chiesa, mostrando al mondo il volto di Dio giusto vindice degli umiliati, misericordioso consolatore degli afflitti, liberatore degli oppressi, vincitore del peccato e della morte.

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Varazze, 14 settembre  2018

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40 commenti
  1. Zamax dice:

    Ai critici dell’articolo di Padre Cavalcoli sfugge lo sfondo teologico nel quale il suo intervento è stato inquadrato. Senza tale consapevolezza si rischia di restare irretiti nella sola e confusionaria dimensione del Divenire e di cadere, per reazione, nello stesso errore di chi si vuole combattere. Sul piano pratico e contingente (per quanto questo “contingente” abbia dimensioni storiche ormai rilevanti) P. Cavalcoli ha messo bene in chiaro che “Volendo fare un paragone tratto dalla nettezza urbana, il far pulizia in campo lefebvriano sta al far pulizia in campo modernisti, così come il far pulizia in una città svizzera sta al curare la nettezza urbana di Napoli.” Quindi P. Cavalcoli non vive affatto su Marte. Se la legione dei progressisti “eretici” vuole mettere la Verità al servizio della Storia, la sparuta pattuglia dei tradizionalisti “eretici” finisce per negare la Storia in nome della Verità, ma così facendo ottengono un risultato opposto e tuttavia ad immagine e somiglianza di quello prodotto dai primi, un risultato che nega la stessa metafisica alla quale si appellano: la Verità finisce per vetrificarsi nella sola dimensione spazio-temporale e a diventare feticcio…

    …la Verità finisce per vetrificarsi nella sola dimensione spazio-temporale e a diventare feticcio anziché sciogliersi in essa.
    Con tale consapevolezza, un critico irriducibile di Rahner come P. Cavalcoli, può perciò permettersi di riconoscere al teologo tedesco di aver dato anche (cioè “accidentalmente”) un contributo positivo al Concilio, che nulla toglie però alla sostanza ereticale del suo pensiero. Scrisse Chesterton: «Giacché un’eresia spesso non è una semplice menzogna; come disse lo stesso Tommaso Moro, “Non c’è mai stato un eretico che abbia detto solo cose false”. Un’eresia è una verità che nasconde tutte le altre verità».

    Insomma, dopo le legnate di P. Ariel è arrivata la carota di P. Cavalcoli, forse perché solo per mezzo di una vasta prospettiva teologica e temporale oggi si riesce ancora ad esercitare una caritatevole e speranzosa comprensione nei confronti di questa stagione della Chiesa.

    A scanso di equivoci: l’ “anziché sciogliersi in essa” è riferito alla posizione dei progressisti “eretici”. Nell’uno e nell’altro caso (progressisti e tradizionalisti) si arriva per vie differenti ad un’identificazione di Verità e Storia, di Essere e Divenire, cioè ad una negazione dell’Essere nel senso cristiano.

  2. Padre Ariel
    Lettera Firmata dice:

    Chr.mo Prof. Cavalcoli,

    non esistono i pericolosi modernisti da una parte e le vittime innocenti dei modernisti dall’altra, semmai esiste la debolezza di Paolo VI (tra poco santo) e il grande personalismo di Giovanni Paolo II (già santo) al quale interessavano solo i discorsi legati alla morale sessuale, mentre nelle chiese si facevano messe creative, si ballava, si facevano concerti, si faceva teatro, mentre le fondamenta della casa tremavano sotto le scosse del terremoto, però bastava che in Africa non si usassero i contraccettivi e tutto era a posto.
    A suo tempo mi laureai in lettere classiche, poi feci con tanta passione gli studi teologici (proprio a Bologna dove lei ha insegnato) e poi ebbi ruolo di insegnante di religione nelle scuole.
    Nel 1997 fui licenziata dal liceo dove insegnavo perché scivolai sul discorso della contraccezione parlando con gli studenti delle ultime classi, e quando fui richiamata commisi l’errore di insistere nel sostenere le mie ragioni, che erano sbagliate, ma sentendomi richiamata io mi intestardii ancor più.
    A molti potrebbe sembrare insolito, ma a difendermi e chiedere al vescovo di quella diocesi che fossi reinserita fu mons. Carlo Caffarra, all’epoca vescovo di Ferrara, senza però riuscirci.
    I miei colleghi che spiegavano che i miracoli dei vangeli erano allegorie e non fatti accaduti realmente hanno continuato a insegnare fino alla pensione, però non scivolavano sui contraccettivi sotto il grande ‘pontificato morale’ di Giovanni Paolo II.
    Chi dunque ha protetto i modernisti di cui lei parla, a partire dai figli di Bultmann in cattedra?
    A 78 anni sono giunta grazie a Dio alla serenità e alla pace con certe vicissitudini passate, e ritengo inutile domandarle (anche se retoricamente scrivo la domanda): se non ci fossimo limitati a difendere solo il “no ai preservativi”, le cose sarebbero potute andate diversamente?
    Tutti noi abbiamo concorso a questa situazione, ecclesiastici e laici, per questo Padre io l’ammiro per il modo in cui lei individua ‘origini’ e ‘colpe’ negli altri, come se in questi anni lei fosse vissuto in un’isola felice (non l’Isola di Patmos), mentre tutto questo prendeva vita.
    Ce ne fosse uno soltanto pronto ad ammettere che tutto questo è colpa nostra!
    No.
    Tutti pronti ad ammettere che è colpa degli altri, si chiamino essi modernisti o rahneriani, mentre i progressisti indicano come colpevoli i conservatori o i tradizionalisti lefebvriani.
    Intanto la casa cade a pezzi, ma è colpa degli altri …

    S.L. (Ravenna)

    • Padre Ariel
      Giovanni Cavalcoli, O.P. dice:

      Cara Professoressa,

      Lei accenna opportunamente ad un aspetto essenziale del cristianesimo: il riconoscimento delle nostre colpe, che ci porta al pentimento, alla richiesta di perdono a Dio e ai fratelli, ottenendo con ciò la divina misericordia, che ci spinge alla riparazione ed alla correzione dei nostri difetti. In questo processo di conversione non è proibito accusare il fratello di qualche colpa, a patto che ce ne siamo liberati noi per primi. Anzi è cosa utile per lui, affinchè faccia penitenza e per la comunità, affinchè eviti di seguirne l’esempio. Così, se tra lefevriani e modernisti corrono accuse reciproche, ciò non è necessariamente cosa sconveniente che rompa la carità reciproca, a patto che le accuse siano ben fondate e costruttive.

      Si realizza infatti in tal modo la correzione fraterna reciproca, fosse anche nei riguardi del Papa, benché egli resti sempre il supremo custode dell’unità fraterna, ed arbitro nelle controversie, e nel comporre le divisioni, chiamato da Cristo a creare la pace, la concordia e la riconciliazione tra i fratelli.

  3. Padre Ariel
    luiselladean dice:

    Lei dice che ‘ un papa riformatore potrebbe correggere la rotta pastorale del Vaticano II ‘. Temo che scrivendo questo le sia sfuggito una piccola … sfumatura … Benedetto XVI ci aveva provato. Ricorda gli ultimi suoi discorsi fatti dopo le annunciate dimissioni quando disse che il Vaticano II non era un ‘superconcilio’ e un ‘superdogma’ ? Ricorda anche la sorte che a Benedetto XVI era stata riservata prima che giungesse alle dimissioni? Non crede che Papa Benedetto che al concilio partecipò sia giunto a capire che nel Vaticano II varie cose non hanno funzionato a dovere? Come interpretare sennò le frasi dei suoi ultimi discorsi sul Vaticano II che non andava preso come un ‘superconcilio’ e un ‘superdogma’ ? Papa Benedetto si è dimesso facendo capire che i gravi problemi della Chiesa andavano ricercati in quello che nel Vaticano II non aveva funzionato, se il problema fosse stato il modernismo, ce lo avrebbe detto con la stessa chiarezza prima di ritirarsi a Castel Gandolfo in attesa del conclave che eleggesse il suo successore.

    Luisella De Angelis
    Roma

    • Padre Ariel
      Giovanni Cavalcoli, O.P. dice:

      Cara Luisella,

      Papa Benedetto denunciò quei difetti pastorali del Concilio, ai quali ho fatto cenno sopra, pur confermando la validità delle sue dottrine. Egli non ha usato il termine «modernismo», ma ha usato espressioni equivalenti, come quando ha parlato di diffusione del soggettivismo e del relativismo, di falsa esegesi biblica, di filosofie irrazionalistiche, di «ermeneutica della rottura», di crisi generalizzata della fede, di «sporcizia» nella Chiesa e quando da Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede condannò molti errori modernisti, specialmente rahneriani.

  4. Padre Ariel
    andry11 dice:

    Mi domando se la frase “i vescovi non vigilano e questo favorisce il modernismo di ritorno” vuol essere una battuta scherzosa o vuol essere una battuta seria. Se la battuta è seria bisogna chiedersi … chi è che nomina i vescovi che non vigilano, e chi dovrebbe vigilare sui vescovi che non vigilano? A noi a Bologna dopo Biffi e Caffarra chi è stato che ci ha mandato un vescovo che ha trasformato san Petronio in trattoria e che oggi si batte per la costruzione delle moschee mentre le chiese cittadine sono sempre più vuote?

    Andrea Sanguinetti

    • Padre Ariel
      Giovanni Cavalcoli, O.P. dice:

      Caro Andrea,

      il fenomeno di vescovi che non vigilano è ormai vecchio di cinquant’anni. Tuttavia, prima di Papa Francesco abbiamo avuto Papi Santi, i quali hanno cercato di frenare l’avanzata del modernismo, e per questo si sono sforzati di vigilare sui vescovi, benchè con scarso successo. Il Papa attuale, invece, purtroppo, che è troppo benevolo verso i modernisti, ci dà dei vescovi ancora peggiori.

  5. Padre Ariel
    don Francesco Russo dice:

    Padre, se come lei dice … “il Concilio si fosse limitato ad abbandonare una pastorale troppo conservatrice, anacronistica, statica, ripetitiva, troppo difensiva, sospettosa, timorosa, diffidente ed aggressiva nei confronti del mondo moderno” … oggi ci troveremo nella situazione in cui siamo?
    Domando: quale è stata la situazione della chiesa nei decenni successivi al concilio di Trento e qual è la situazione oggi della chiesa a 5 decenni dal concilio Vaticano II ? Concilio del quale io non ho mai messo in discussione autorità e documenti, sono un prete di 69 anni, per chiarire.
    A me pare che quando le cose vanno bene è merito della chiesa e di tutte le sue personalità illuminate, quando le cose vanno male è colpa del mondo, della società, della politica, degli eventi storici …
    In questo, la cosiddetta chiesa preconciliare e la chiesa postconciliare sono rimaste identiche in una perfetta e immutata linea di continuità.

    • Padre Ariel
      Giovanni Cavalcoli, O.P. dice:

      Caro Don Francesco,

      Il Concilio certamente non si è limitato a fare quello che ho detto, ma ha proposto un ammodernamento, una riforma ed un avanzamento della Chiesa, così da renderla più efficace evangelizzatrice del mondo moderno, assumendo, alla luce del Vangelo, quanto di buono c’è nella modernità e respingendo il cattivo.

      Se il Vaticano II non ha dato gli splendidi frutti che dette il Concilio di Trento, ciò non è dovuto agli insegnamenti e alle direttive del Vaticano II in se stessi, ma al fatto che al Concilio ha fatto seguito un fortissimo, insidiosissimo ed inaspettato rigurgito di modernismo, mascherato da «progressismo», che i Papi del post-concilio, per quanto Santi, non sono stati capaci di frenare.
      Il Papa attuale, poi, anzichè correggere alcuni difetti pastorali del Concilio, come per esempio una certa tendenza buonistica e troppo ottimista sul mondo, li ha aggravati col suo equivoco misericordismo, per cui siamo giunti alla situazione attuale.

  6. Padre Ariel
    Salvo Fazio dice:

    Oggi in papa lo abbiamo avuto a Palermo, in un capoluogo siciliano in pratica semindifferente, altra roba la visita di Giovanni Paolo II un quarto di secolo fa, ma non è questo il tema …
    Rev.mo Padre, i modernisti non perseguitano nessuno. Non ne hanno bisogno !!! Come dire che la mafia che ha tutto il territorio sotto pieno controllo con gli uomini giusti ai posti giusti, si scoprisse mettendosi a perseguitare e fare attentati con cariche esplosive a tre gatti dell’associazione antimafia che la criticano. Semmai la mafia farà avere a quest’associazione delle sovvenzioni.

    • Padre Ariel
      Giovanni Cavalcoli, O.P. dice:

      Caro Salvo,

      è vero che i modernisti si sentono potenti e sono potenti. Ma sanno che il loro potere è fondato sulla menzogna e sulla violenza. Sanno di essere un corpo estraneo nella Chiesa e di avere contro i buoni cattolici. Certo il Papa è cedevole nei loro confronti, ma con ciò egli non sta assolvendo al suo dovere di custodire il gregge di Cristo, anche se, forse ingannato dagli stessi modernisti, crede di far bene, anche per il successo che ottiene, al quale del resto è troppo attaccato.
      Ma il potere dei modernisti non è così tranquillo come Lei crede, lo sanno che Cristo è contro di loro. Oggi la lobby modernista è scossa dalle fondamenta dal tremendo scandalo denunciato dal memoriale di S.E. Mons.Carlo Maria Viganò, che ha coinvolto il Papa stesso e che ha suscitato indignazione contro di loro in tutta la Chiesa. Per questo, essi cercano affannosamente ed irosamente di mantenersi a galla con le invettive, la calunnie e le persecuzioni, intravvedendo, disperati, seppur ancora arroganti, che la loro fine è prossima.

  7. Padre Ariel
    mardepis dice:

    Udite, udite! Bergoglio è circondando da “falsi collaboratori infetti di modernismo e di rahnerismo”. E chi se li è messi attorno? Si sono nominati da soli? E quando hanno combinato disastri chi li ha protetti e chi ha proseguito a tenerseli attorno (cito solo mons. Ricca) ?
    Il card. Mueller che non era tra quelli “infetti di modernismo e rahnerismo” che fine ha fatto?
    Mi spiace, alle volte non riesco a capire il padre Cavalcoli, ma sicuramente è colpa mia.

    Martina De Piscopo (Napoli)

    • Padre Ariel
      Giovanni Cavalcoli, O.P. dice:

      Cara Martina,

      sono dell’idea che il Papa non sia solo colpevole di essersi circondato di collaboratori adulatori, corrotti, astuti ed eretici, ma che egli, per la sua ingenuità, ambizione ed imprudenza, ne sia anche vittima, tanto che, se non compie il suo dovere di guida sicura della Chiesa, non è solo per colpa sua, ma anche dei malfattori che lo ingannano e lo bloccano.

  8. Padre Ariel
    Simone Santi dice:

    “E di questi mali il Papa non parla mai, tutto preso da un’esagerata e faziosa polemica contro il tradizionalismo, dove rischia di fare di tutte le erbe un fascio, prendendosela anche con quel sano tradizionalismo che, insieme con una sana conservazione, sono fattori essenziali della struttura e del progresso della Chiesa”.

    E secondo lei perché il papa di questi mali non parla mai? Ha mai pensato che ciò che per lei è male per papa Francesco non sia invece per nulla male?

    • Padre Ariel
      Giovanni Cavalcoli, O.P. dice:

      Caro Simone,

      Io non giudico il Papa in base a quello che pare a me, ma in base a ciò che la Chiesa stessa insegna sui doveri del Papa. Se il Papa ritiene bene ciò che io indico come male, egli non agisce contro il mio parere, ma contro i doveri che gli sono imposti da Cristo e dalla Chiesa.

  9. Padre Ariel
    Leoluca Sallei dice:

    Padre Cavalcoli dice che Bergoglio è garante dell’unità della concordia e della pace nella chiesa. Quindi tutte le divisioni e le lotte in atto da cinque anni le hanno scatenate i perfidi modernisti sotto i poveri occhi papali, mentre il povero papa prigioniero nell’albergo di santa Marta, non sa come fare per mantenere con il suo linguaggio sempre così chiaro e univoco questa concordia e questa pace?
    Nel vecchio linguaggio marxista sessantottino si sarebbe detto che “Bergoglio è vittima innocente del sistema imperial capitalista”

    • Padre Ariel
      Giovanni Cavalcoli, O.P. dice:

      Caro Leoluca,

      Il Papa ha avuto da Cristo il compito di garantire, fondare, assicurare, promuovere nella Chiesa l’unità, la pace e la concordia fra le sue varie componenti e tendenze. Papa Francesco, benché per diritto e incarico divino abbia questo ufficio, non lo esercita con le dovute prudenza, giustizia, diligenza, carità ed imparzialità, ma, forse per la sua sete di successo, favorisce indebitamente i modernisti concedendo loro un potere esorbitante e maltratta i lefevriani tenendoli lontano dalla partecipazione alla direzione della Chiesa. Egli è nel contempo colpevole e vittima di questo sistema che egli stesso ha creato.

  10. Padre Ariel
    gil.pa17 dice:

    E’ vero come lei dice Padre che noi non possiamo dire che da 2000 anni si è sempre pensato e fatto così e che si debba continuare a fare sempre così. Io che però sono un divorziato risposato civilmente, non vado a ricevere la comunione, anche se tutte le domeniche vado a messa, perché so di non poterla ricevere. E quando con tutte le garanzie date in questo senso dai preti, gli altri nelle mie stesse condizioni ci vanno perché i preti dicono ai divorziati che papa Francesco ha aperto alla comunione ai divorziati risposati, io non ci vado, perché continuo a credere a quello che la chiesa ha sempre insegnato.

    Secondo lei faccio male a fare come si è sempre fatto?
    Ossequi.

    Paolo P.

    • Padre Ariel
      don Pino M. dice:

      Gentile Paolo P,

      le parlo da prete, non da gran teologo, non lo sono e non avrei potuto mai esserlo, né da specialista in dommatica sacramentaria, non lo sono e non avrei mai potuto esserlo, ho la testa dura come il Curato d’Ars. Le parlo da prete che infarinato della necessaria teologia di base conosce il catechismo.
      Lei fa bene a fare come fa e di ciò Dio le renderà merito.
      Per il secondo anno consecutivo, per le prime comunioni in parrocchia io mi sono fatto sostituire da un confratello, non intendendo rendermi complice di comunioni sacrileghe da parte dei componenti assemblee composte non solo da divorziati risposati (il divorziato risposato perlomeno si è assunto delle responsabilità) ma da una pletora di conviventi fuori dal matrimonio (nel qual matrimonio essi dichiaran pubblicamente di non credere) e che al momento della comunione si mettono in fila.
      Se in chiesa avessi 10 parrocchiani come lei sarei il parroco più felice di tutta l’Emilia Romagna, invece ne ho 100 che disertano da anni il confessionale, che vivono situazioni irregolari, incluse provocanti coppie gay esigenti piena legittimazione, che ti vengono a dire che la comunione “è un mio diritto” aggiungendo poi “Papa Francesco ha detto chi sono io per giudicare?”.
      Per adesso me la sono cavata perché ho un vescovo settantenne di pura scuola Giovanni Paolo II, in Italia non so quanti ne restino, credo però pochi.
      Domani non so, se me la caverò col nuovo che verrà, ma non darò mai a nessuno “da mangiare la propria condanna”.
      Tenga conto però che io ho solo un’infarinatura di teologia e conosco e applico il catechismo, per ciò quel che dico vale per quel che vale.

      • Padre Ariel
        Giovanni Cavalcoli, O.P. dice:

        Caro Don Pino,

        fai bene ad attenerti a quanto dispone la Familiaris consortio, perché, come ho detto, la nota 351 della Amoris laetita, che parla al condizionale, non è una vera legge in vigore, ma solo un’ipotesi di legge. Ora una legge non si esprime al condizionale ⦋«si potrebbe»⦌, ma all’indicativo o all’imperativo.

    • Padre Ariel
      Giovanni Cavalcoli, O.P. dice:

      Caro Paolo,

      Lei fa bene a fare come fà. Papa Francesco nella Amoris Laetitia ⦋nota 351⦌ non ha affatto dato il permesso della Comunione a coniugi nelle sue condizioni, ma ha semplicemente detto che potrebbe darlo in futuro. Ma finora non l’ha fatto. Quindi quei preti che danno la Comunione a queste coppie, disobbediscono al Papa.

      Quanto a voi, avete come punto di riferimento il disposto del n.84 della Familiaris consortio, in conformità col quale, nel compimento dei vostri doveri cristiani, potete esser certi di vivere in grazia.

  11. Padre Ariel
    Paolo M. Adalvise dice:

    Il.mo Prof. Cavalcoli,

    sono solo un piccolo appassionato di filosofia, ma piccolo. O io non capisco, o lei mi confonde o lei è confuso … ma siccome lei non può essere confuso, sono confuso io, perché se il papa “deve fare ogni sforzo perché le due parti (lefevriani e modernisti) si avvicinino e si incontrino”, questo vuol dire che tesi e antitesi devono armonizzarsi assieme e che gli opposti contrari possono unirsi in maniera armonica.

    La ringrazio, leggendo i suoi articoli si imparano veramente tante cose nuove.

    • Padre Ariel
      Giovanni Cavalcoli, O.P. dice:

      Caro Paolo,

      lefevriani e modernisti non sono due entità astratte come sono la tesi e l’antitesi della dialettica hegeliana. È chiaro che se è vero A, non può essere vero non-A. Ma le cose nel caso presente non sono così semplici. Lefevriani e modernisti sono due realtà umane ed ecclesiali storiche, concrete e collettive, coi loro lati buoni e lati cattivi, come sempre succede nelle realtà umane. Non si tratta di unire il vero col falso. Ma il Papa, invece di coccolare continuamente i modernisti e di strapazzare i lefevriani, dovrebbe, redarguendo i difetti degli uni e degli altri, raccogliere i valori che si trovano negli uni e negli altri, perchè sempre un vero s’accorda con un altro vero.

  12. Padre Ariel
    claudia2013 dice:

    Gentile Padre, perché come lei scrive … il papa dovrebbe lasciar stare il vescovo brasiliano Camara? Per caso lei non è informato? Guardi che “La Santa Sede ha già ratificato il via libera all’introduzione della causa di canonizzazione del brasiliano vescovo delle favelas”, lo scrive Stefania Falasca su Avvenire.
    Legga sotto per averne conferma.

    https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/dom-camara-via-libera-al-processo-di-canonizzazione

    “La concessione del Nihil obstat è stata già firmata il 25 febbraio scorso” (2015).

    Suor Claudia
    (22 anni missionaria in Brasile)

    • Padre Ariel
      Luciano Lippi dice:

      Suor Claudia,
      le faccio osservare che padre Cavalcoli dice poco prima che Papa Francesco deve lasciar perdere anche “i don Lorenzo Milani”, e io sono d’accordo con lui.
      Temo che oltre a Camara prossimo santo padre Cavalcoli dimentichi che Papa Francesco ha reso onore a tutte le tombe ad alto rischio, onorando don Lorenzo Milani poi don Tonino Bello, passando tra l’uno e l’altro nel grossetano a render omaggio a quel fuori di testa di don Zeno Saltini (Dio l’abbia in gloria) fondatore del kibbuz cattolico-socialisteggiante di Nomadelfia. Pensi che era solo ad una cinquantina scarsi di chilometri di superstrada da noi (sono di Siena), ma s’è ben guardato di passare a rendere omaggio a Santa Caterina dottore della Chiesa che tanto strigliò i papi confusi come lui ad Avignone, antica omologa della futura casa di Santa Marta.
      Quello che di padre Cavalcoli non si capisce è che da una parte lo striglia e dall’altra lo giustifica e quasi lo esalta, come se ad una critica pacata dovesse subito far seguito un’incensata che lavi la colpa d’averlo criticato sommessamente.
      Naturalmente sarà io che non capisco, anzi sono proprio certo che no capisco, e poi … chi sono io per giudicare!

      https://www.avvenire.it/papa/pagine/il-papa-a-nomadelfia-com-e-nata-e-cos-e

      https://www.avvenire.it/papa/pagine/papa-francesco-a-barbiana-visita-alla-tomba-di-don-lorenzo-milani

      https://www.avvenire.it/papa/pagine/papa-francesco-alessano-don-tonino-bello

      • Padre Ariel
        Giovanni Cavalcoli, O.P. dice:

        Caro Luciano,

        le mie critiche e la mia difesa del Papa non battono sullo stesso terreno, per cui io non mi contraddico affatto. Infatti, se da una parte sono libero di criticarlo nella sua condotta morale e nel suo governo della Chiesa, perché qui egli può peccare – e lo dimostra il memoriale Viganò -, come Maestro della Fede, egli possiede inammissibilmente da Cristo un dono di infallibilità, nonostante il linguaggio a volte ambiguo e disonesto, per cui nel campo delle verità di fede non può ingannarsi, né può ingannare.

        Io critico pertanto questo Papa per la sua imprudenza e per la sua visione ristretta della santità, che si limita alla considerazione degli operatori sociali o eventualmente di agitatori politici, lasciando fuori mistici, contemplativi, monaci, eremiti, filosofi, teologi, magistrati, militari, letterati, artisti, poeti e scienziati, oltre all’ingenuità o negligenza di non informarsi di quanto hanno realmente fatto certe persone che egli ammira. Detto questo, non possiamo negare, come fece Lutero, che egli sia il Successore di Pietro e quindi non possiamo negargli il rispetto che gli è dovuto come tale. Similmente, S.Caterina da Siena rimproverava il Papa proprio per richiamarlo al corretto compimento di quell’ufficio petrino, del quale dobbiamo avere sommo rispetto.

    • Padre Ariel
      Giovanni Cavalcoli, O.P. dice:

      Cara Suor Claudia,

      una Causa di Beatificazione che viene iniziata non è detto che giunga in porto, perché nel corso delle indagini possono emergere relativamente al Servo di Dio fatti scandalosi o cattivi esempi o testimonianze contrarie, che dissuadono dal proseguire.

  13. Padre Ariel
    Antonio Marinelli dice:

    Caro Padre Cavalcoli,
    lei scrive … “Il conservatorismo, invece, al quale allude probabilmente il Papa, è una stolta ed inutile conservazione”.
    Dunque lei pensa che papa Francesco abbia una mente così illuminata e una cultura così profonda da essere perfettamente in grado di distinguere “conservatorismo” da “conservazione”?

    • Padre Ariel
      Stefano Sarcina dice:

      … volendo in questo scritto c’è di peggio, perchè l’illustre autore scrive che abbiamo avuto “Cinquant’anni di retorica progressista che ha finito per degenerare nel modernismo”.
      Basterebbe solo chiedere, in base al principio di causa/effetto, chi è che ha generato, favorito, protetto e portato avanti questa “retorica”? O forse si tratta di una “retorica” sine causa che ha la causa solo ed esclusivamente in se stessa?

      • Padre Ariel
        don Ciro dice:

        … vi sbagliate: al peggio non c’è mai fine!
        Padre Cavalcoli dice anche che se rispetto alla tradizione “esistono novità assolute” tra le quali “i ministeri femminili”, ciò vuol dire che tra poco lui approverà e ci spiegherà la ottima scelta del diaconato femminile e anche di quel sacerdozio agli uomini sposati che sarà discusso al prossimo sinodo pan amazzonico, perché ciò non costituirà affatto una “rottura con la tradizione” poiché si tratterà di una cosa “contenuta implicitamente nella tradizione”, e lui ci spiegherà anche in che modo e contenuta nella tradizione.

        • Padre Ariel
          Giovanni Cavalcoli, O.P. dice:

          Caro Don Ciro,

          il rispetto per la Tradizione non esclude la facoltà del Papa di introdurre novità assolute, che non siano in contrasto con la Tradizione. Il nuovo non è necessariamente in contrasto con l’antico, ma vi può essere un certo antico – e questa è la Tradizione – che può dar spazio per un certo nuovo. E un esempio di ciò è appunto l’introduzione dei ministeri femminili, i quali non negano l’esistenza dei ministeri ordinati propri del maschio, ma vi si aggiungono, così come il femminile si aggiunge al maschile e non lo nega.

          Lo stesso dicasi dell’eventuale sacerdozio a uomini sposati, che del resto esiste già nelle Chiese Orientali. Non negherebbe il valore permanente e preminente del sacerdozio celibatario, ma vi si aggiungerebbe come forma diversa di essere sacerdoti.

          Diversa è la questione del diaconato femminile. Qui occorre distinguere. Il progetto promosso dal Papa non è assolutamente quello di istituire un diaconato come primo grado del sacramento dell’Ordine – questa sì che sarebbe una rottura con la Tradizione –, ma di ripristinare in forma nuova l’antico diaconato femminile, che era e resta un ministero laicale.

      • Padre Ariel
        Giovanni Cavalcoli, O.P. dice:

        Caro Stefano,

        questa retorica fu segretamente preparata, con abile finzione, da un’organizzazione internazionale col segreto appoggio del mondo comunista e della massoneria, già all’interno dei lavori del Concilio. Durante i lavori del Concilio i complottisti si mascherarono sotto l’etichetta di «progressisti», così da non generare sospetti e si acquistarono la stima di molti vescovi. Un difetto del Concilio fu quello di non organizzare un robusto sistema di difesa contro l’eresia, perché si ebbe troppa fiducia che non ce ne fosse bisogno.
        Finito il Concilio, i modernisti, sicuri dell’impunità a causa del prestigio che si erano acquistato con l’inganno, uscirono spavaldamente allo scoperto, dando ad intendere a molti di essere stati loro i protagonisti del rinnovamento conciliare. A questo punto i vescovi, per non fare la figura dei retrogradi anticonciliari, presi in contropiede, non ebbero il coraggio di denunciarli. Purtroppo gli stessi Papi del post-concilio, attorniati e ingannati da questa massa chiassosa e crescente di finti progressisti, che per un certo verso, del resto, avevano dato un contributo valido al Concilio, non ebbero la forza di fermarli. Queste sono le origini della tragedia di oggi, con un Papa che non riesce a governare la nave nella tempesta, vantandosi di essere un «rivoluzionario». Io ho personalmente vissuto tutti questi avvenimenti, avendo 77 anni.

        Oggi bisogna chiarire ai giovani queste cose.

        Vi ringrazio

    • Padre Ariel
      Giovanni Cavalcoli, O.P. dice:

      Caro Antonio,

      Papa Francesco, come Maestro della Fede, avrebbe a disposizione i criteri per fare questa distinzione, ma purtroppo, frastornato dal suo desiderio di successo, suggestionato da collaboratori modernisti e confuso dal suo carattere umorale, pare che non ne sia capace.

  14. fabius dice:

    Caro padre Cavalcoli

    le volevo domandare perché cerca di conciliare la tradizione con la modernità?
    Se Rahner è eretico perché lei afferma che ha portato qualcosa di positivo al Concilio Vaticano II?

    Perché per lei considerare il concilio un mezzo fallimento sarebbe una tragedia? visti i risultati dopo 50 anni una domanda me la farei, perché condannare l’errore non va più bene
    come si faceva nel preconcilio? Il concilio ha aperto alla libertà religiosa ed ecco il risultato l’intera Europa è in mano alle false religioni e le anime si perdono anzi si dice tutte portano a Dio.

    il Santo Padre l’ha affermato pubblicamente: ebrei, musulmani, cristiani, buddisti,siamo tutti figli di Dio, ma non se l’è inventato Bergoglio, ed è conseguenza della Nostra Aetate e delle aperture conciliari.

    vi ringrazio

    • Padre Ariel
      Giovanni Cavalcoli, O.P. dice:

      Caro Fabius,

      occorre conciliare la tradizione non con la modernità presa in blocco, ma con quanto di buono c’è in essa al vaglio del Vangelo. È questo il vaglio che ha fatto il Concilio. Per questo il Concilio è tuttora attuale, perché occorre continuare a fare questo vaglio nei confronti dei nuovi problemi che sorgono, e che non esistevano ai tempi del Concilio, come per esempio la diffusione dell’Islam o della massoneria o la questione degli immigrati. Non è quindi il Concilio che ha fallito, ma la falsa riforma conciliare promossa da Rahner e da altri.

      Io non cerco di conciliare la tradizione con la modernità presa in blocco, ma solo con quella parte di sana modernità, che si concilia con la tradizione. Infatti la vita della Chiesa e per conseguenza la vita del cristiano nasce dall’esperienza della tradizione, per la quale egli conserva i valori perenni, li approfondisce continuamente, li fa fruttare, li sviluppa, li migliora, li fa progredire e li ammoderna, senza mutarli nella sostanza, ma conservandoli intatti nella loro immutabile identità.
      Rahner, come tutti gli eretici, accoglie o insegna alcune verità. È questo l’aspetto positivo del pensiero rahneriano – non sono certo le sue eresie – che ha dato un contributo valido agli insegnamenti del Concilio.
      Considerare il Concilio un mezzo fallimento sarebbe una tragedia, perché in realtà i suoi insegnamenti dottrinali sono preziosi. Se ha un difetto, questo tocca la parte pastorale, dove riscontriamo un certo ingenuo buonismo, come se tutti gli uomini fossero in buona fede e di buona volontà, e un certo ingenuo ottimismo nei confronti del mondo, quasi come se in esso non vi fossero le conseguenze del peccato originale e l’azione del demonio.

      Da qui viene un atteggiamento troppo benevolo verso le altre religioni, che trascura di ricordare i loro lati negativi. Ciò ha dato occasione a quell’indifferentismo relativista, che Lei denuncia e che sembra presente nella predicazione di Papa Francesco. Ma in realtà questo errore non è autorizzato dal Concilio, il quale ribadisce il primato del cristianesimo sulle altre religioni.
      Tenendo conto di questo e senza andarvi contro, la dottrina della libertà religiosa, rettamente intesa, è da accettare tranquillamente, perché nulla ha a che vedere col relativismo, ma semplicemente ordina allo Stato di non disturbare e non interferire nelle convinzioni religiose delle comunità appartenenti a diverse religioni, presenti nel suo territorio, purchè esse non mettano in percolo il bene comune e la convivenza civile. Non appartiene allo Stato, ma alla Chiesa stabilire qual è la vera religione.

    • Padre Ariel
      Giovanni Cavalcoli, O.P. dice:

      Caro Fabius,

      occorre conciliare la tradizione non con la modernità presa in blocco, ma con quanto di buono c’è in essa al vaglio del Vangelo. È questo il vaglio che ha fatto il Concilio. Per questo il Concilio è tuttora attuale, perché occorre continuare a fare questo vaglio nei confronti dei nuovi problemi che sorgono, e che non esistevano ai tempi del Concilio, come per esempio la diffusione dell’Islam o della massoneria o la questione degli immigrati. Non è quindi il Concilio che ha fallito, ma la falsa riforma conciliare promossa da Rahner e da altri.

      Io non cerco di conciliare la tradizione con la modernità presa in blocco, ma solo con quella parte di sana modernità, che si concilia con la tradizione. Infatti la vita della Chiesa e per conseguenza la vita del cristiano nasce dall’esperienza della tradizione, per la quale egli conserva i valori perenni, li approfondisce continuamente, li fa fruttare, li sviluppa, li migliora, li fa progredire e li ammoderna, senza mutarli nella sostanza, ma conservandoli intatti nella loro immutabile identità.

      Rahner, come tutti gli eretici, accoglie o insegna alcune verità. È questo l’aspetto positivo del pensiero rahneriano – non sono certo le sue eresie – che ha dato un contributo valido agli insegnamenti del Concilio.

      Considerare il Concilio un mezzo fallimento sarebbe una tragedia, perché in realtà i suoi insegnamenti dottrinali sono preziosi. Se ha un difetto, questo tocca la parte pastorale, dove riscontriamo un certo ingenuo buonismo, come se tutti gli uomini fossero in buona fede e di buona volontà, e un certo ingenuo ottimismo nei confronti del mondo, quasi come se in esso non vi fossero le conseguenze del peccato originale e l’azione del demonio.

      Da qui viene un atteggiamento troppo benevolo verso le altre religioni, che trascura di ricordare i loro lati negativi. Ciò ha dato occasione a quell’indifferentismo relativista, che Lei denuncia e che sembra presente nella predicazione di Papa Francesco. Ma in realtà questo errore non è autorizzato dal Concilio, il quale ribadisce il primato del cristianesimo sulle altre religioni.
      Tenendo conto di questo e senza andarvi contro, la dottrina della libertà religiosa, rettamente intesa, è da accettare tranquillamente, perché nulla ha a che vedere col relativismo, ma semplicemente ordina allo Stato di non disturbare e non interferire nelle convinzioni religiose delle comunità appartenenti a diverse religioni, presenti nel suo territorio, purchè esse non mettano in percolo il bene comune e la convivenza civile. Non appartiene allo Stato, ma alla Chiesa stabilire qual è la vera religione.

  15. Padre Ariel
    Lucio Fornasari dice:

    Caro Padre,
    Se le cose stanno come lei dice che non bisogna fidarsi di un divenire confuso e contraddittorio (e sicuramente le cose stanno così), ciò vuol dire che non bisogna fidarci dell’inquilino di santa Marta? Perché chi è ambiguo e contradditorio è lui, o le risulta il contrario?

    • Padre Ariel
      Giovanni Cavalcoli, O.P. dice:

      Caro Lucio,

      Il divenire confuso e contraddittorio è quello provocato e invocato dai modernisti. Il Papa, come Successore di Pietro, ci guida sulla via del Vangelo. Tuttavia, ha ogni tanto certe espressioni, che possono farlo sembrare un modernista. E soprattutto il suo difetto è che egli non corregge i modernisti, non risponde a chi chiede chiarimenti sul suo insegnamento e non smentisce le cattive interpretazioni delle sue parole.

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