La critica e il bavaglio: reati di opinione, fantascienza o insulti gratuiti alla comunità gay? Usiamo il buon senso nel caso di Silvana De Mari e del suo libro ritirato dalla distribuzione da Amazon

— attualità ecclesiale —

LA CRITICA E IL BAVAGLIO: REATI DI OPINIONE, FANTASCIENZA O INSULTI GRATUITI ALLA COMUNITÀ GAY? USIAMO IL BUON SENSO NEL CASO DI SILVANA DE MARI E DEL SUO LIBRO RITIRATO DALLA DISTRIBUZIONE DA AMAZON

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[…] i periti clinici consultati in seguito alle affermazioni del Dottore Silvana De Mari, replicarono che anche un certo numero di donne praticavano ― a volte anche per questioni di carattere socioculturale ― il sesso anale, cosa riscontrata da più ginecologi e ostetriche, al punto che si posseggono in tal senso anche i dati clinici statistici. Non risulta però che la pratica del sesso anale da parte delle donne sia collegata alle patologie indicate da questa specialista riguardo i rapporti omosessuali.

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Autore
Ivano Liguori, Ofm. Capp.

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Placca di terracotta mesopotamica raffigurante un rapporto anale e risalente al primo secondo millennio a.C. e conservata nel Museo archeologico dello Stato d’Israele

Apprezzo Silvana De Mari, specialista in chirurgia generale ed endoscopia, di cui leggo gli articoli su La Verità, anche se non sempre concordo con le sue analisi. Ritengo infatti che l’apprezzamento personale non deve mai mutarsi in venerazione a-critica. Quando stimiamo una persona è di rigore mantenere lucidità dinanzi alle sue posizioni, senza perdere il senso critico e analitico. Ciò senza disdegnare il sacro fuoco della passione in una personalità, elemento positivo se saggiamente incanalato, perché gli eccessi di passione possono produrre più problemi che benefici.  

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Alcune posizioni del pensiero del Dottore Silvana De Mari che riguardano questioni di morale sessuale, come è il caso dell’omosessualità e della sua espressione fisica, hanno bisogno di un surplus di prudenza non solo in ambito medico ma anche in quella multidisciplinarità che fa dialogare la medicina con la morale cattolica e la pastorale.  E dico questo non tanto in riferimento ai soggetti direttamente interessati ― le persone con orientamenti e attitudini omoaffettive ― ma in riferimento alle pratiche e agli stili di vita sessuali che l’omosessualità si trascina dietro. 

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Partire con eccessiva passione nel trattare tematiche così delicate, come farebbe un qualsiasi giovane opinionista di testata, più che professionalmente rischioso è anche deontologicamente azzardato se chi parla è un medico, quindi un uomo di scienza che attraverso l’osservazione e gli studi clinici dovrebbe fornire dati documentati, sottolineando anche i possibili lati oscuri della questione e le situazioni di stallo. L’ultima bufera che ha interessato Silvana De Mari riguarda il suo libro Non facciamoci imbavagliare, recentemente censurato da Amazon nella rete di distribuzione online. La casa editrice Fede&Cultura con cui questa Autrice ha pubblicato il suo libro ha espresso solidarietà davanti a questa presa di posizione attraverso un comunicato dell’editore Giovanni Zenone:

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«Venerdì ci è arrivata una email da Amazon che comunicava che il nostro libro scritto da Silvana De Mari, Non facciamoci imbavagliare, è stato rimosso dalla vendita sia in ebook che in cartaceo in quanto viola le linee guida di Amazon (in sostanza perché dice la verità sulle conseguenze mediche della pratica sodomitica)» [cfr. QUI].

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Questo Editore che oggi lamenta la censura e il martirio forse alle porte, dovrebbe pensare al nostro Padre Ariel S. Levi di Gualdo, che nell’ambito pubblicistico, editoriale e televisivo nazionale non è poi così sconosciuto. Come sacerdote e teologo ha affrontato più volte tematiche legate all’omosessualità e al mondo LGBT, interloquendo anche a più dirette televisive con alcuni noti esponenti di questo mondo, usando all’occorrenza molta severità e decisione nel sostenere i fondamenti e la dottrina morale cattolica, non certo le personali opinioni sue. Nella puntata di Dritto e Rovescio dell’8 ottobre 2020 contestò l’Onorevole Alessandro Zan riguardo la proposta di legge sulla transomofobia. Giorni fa, in un suo articolo pubblicato su questa nostra rivista il 17 marzo [cfr. QUI], rifacendosi al suo amico Paolo Poli ― al quale si capisce dalle righe quanto fosse affezionato ―, usando un linguaggio non piccante o scurrile ma letterario e teatrale, ha fatto vari riferimenti ironici ai «froci», termine ormai rubricato ― giustamente ― in quella sequela di insulti per i quali un qualsiasi gay può adire vie legali, chiedendo e ottenendo la pressoché sicura condanna di chi ha pubblicamente insultato lui come persona fisica, oppure l’intera comunità gay. Ma è proprio qui che qualche cosa non torna: Padre Ariel ha sempre criticato le lobby LGBT, è contrario ai tripudi mediatici di omosessualismo, ai Gay Pride che sfilano a Roma dinanzi ai più antichi luoghi simbolo della cristianità e da sempre è contrario a tutti i tentativi di imposizione coatta della teoria del gender. Tutto questo lo ha scritto anche nei suoi libri pubblicati dalle nostre Edizioni, che da Amazon non sono soltanto distribuiti, sono anche stampati nelle due stamperie europee che si trovano in Polonia e in Inghilterra. Quindi noi “dipendiamo” dall’ottimo servizio Amazon, al quale siamo affiliati come edizioni, non solo per la vendita online, ma anche per la stampa e la distribuzione. Per questo l’Editore di Fede&Cultura che lamenta la censura per un verso è un martirio forse alle porte per l’altro verso, dovrebbe domandarsi: come mai i libri del Padre Ariel non hanno mai avuto problemi? Soprattutto, perché non è mai stato querelato dalle associazioni LGBT, pur avendo persino esordito a una diretta televisiva, il 31 ottobre 2019, affermando dinanzi a diversi casi di omosessualità davvero estrema: «Stasera pare di essere al teatrino delle checche!». Espressione iperbolica palesemente umoristica con la quale fece ridere persino gli esponenti dello stesso mondo LGBT. Perché, gli esponenti del mondo LGBT, in questo sacerdote e teologo vedono un “rivale” che esprime il pensiero della dottrina e della morale cattolica e porta avanti le idee su di esse fondate, mentre nel medico specialista Silvana De Mari vedono una persona che ha recato insulto a tutta quanta la loro comunità? Questa sarebbe la domanda da farsi e alla quale rispondere, considerando che il giudice penale del Tribunale di Torino Melania Eugenia Cafiero chiarisce nella motivazione di sentenza che l’imputata è stata condannata per la seguente frase scritta sul suo blog: «Il movimento Lgbt vuole annientare la libertà di opinione e sta diffondendo sempre di più la pedofilia», mentre le altre affermazioni nei riguardi della comunità LGBT non sono punibili perché «la facoltà di manifestare il proprio pensiero è un diritto costituzionalmente garantito […] Non è dunque il pensiero a essere processato ma la sua offensività al bene giuridico protetto in sede penale», vale a dire l’avere associato la pedofilia a un soggetto collettivo identificabile, la comunità LGBT.

Dal comunicato dell’Editore di Fede&Cultura il libro di questa Autrice è presentato come politicamente scorretto e pericoloso, quindi meritevole di essere boicottato e ritirato dal mercato editoriale, perché afferma che la pratica sessuale omoaffettiva da un punto di vista medico è altamente dannosa. Cosa c’è di sbagliato? Quali falsità sono affermate? Quali dati scientifici e medici sono stati alterati? Quali verità omesse? Nello specifico il sunto del discorso portato avanti dal Dottore Silvana De Mari specialista in chirurgia generale ed endoscopia sulla questione riportata nel suo libro si basa su una osservazione semplice: i rapporti omoaffettivi insistono su uno stile sessuale anatomicamente incompatibile e rischioso in cui il partner attivo espone il passivo a uno stress organico della parte finale dell’intestino. Infatti, nelle delicate pareti del retto e del canale anale si verificherebbero traumi e una miriade di microlacerazioni a causa del passaggio del pene non anatomicamente compatibile così come invece avviene in vagina. Questo condurrebbe a patologie estremamente dolorose e al rischio di facilitare la trasmissione di malattie sessualmente trasmissibili [cfr. QUI].

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Apparentemente non c’è nulla di sbagliato nel parere medico di questa specialista, ma quello che mi preme far notare è una generalizzazione del problema al solo ambito sessuale omoaffettivo e alla sola pratica clinica-esperienziale che ella ha avuto modo di riscontrare nei suoi anni di attività come medico. Quindi se l’errore c’è, esso consta di una estrema generalizzazione del problema e di una univocità alla sola esperienza relativa ai casi trattati.

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Desidero ricordare ai Lettori che i comportamenti non naturali in materia sessuale non sono a esclusivo appannaggio degli omosessuali ma anche degli eterosessuali. Quando la Chiesa parla di rapporti sessuali «alla maniera umana» non solo si riferisce a una complementarità naturale, fisiologica e anatomica ma anche funzionale e relazionale. Tutte le varianti alternative sul tema snaturano la sessualità umana che è unica e ordinata da Dio per un fine specifico, tralasciando le implicazioni omo ed eterodirette di cui si deve tener presente anche e soprattutto una componente psicologica. Se per ciò è questo il discorso che si vuole fare si deve ampliare il ventaglio della trattazione non ridurlo, analizzando semmai i casi specifici, come tali e non come assoluti. La brava medico-specialista dovrebbe provare a immaginare quanti sacerdoti nell’esercizio del loro ministero si trovano davanti donne vessate da continue richieste di pratiche sessuali alternative da parte di mariti, compagni e fidanzati che a volte potrebbero far arrossire i più spregiudicati porno attori. E tutto questo nel silenzio e nell’indifferenza generale, che tutto giustifica e comprende nella normalità dei doveri della donna verso l’uomo. Per queste poverette di tutte le età, la sola consolazione e sfogo davanti a queste proposte consiste nel dialogo fraterno e franco con il confessore o con il padre spirituale, al fine di trovare una soluzione all’angoscia provata e alla sensazione di disordine suscitato nell’anima.

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Non bisogna però dimenticare al tempo stesso la sussistenza di una casistica che vede il gentil sesso come il richiedente di prestazioni sessuali alternative dai propri partner, che semmai rimangono molto colpiti da queste richieste, perché non considerano affatto quello della sodomia come il conseguimento di una pratica erotica ma come una grave mancanza di rispetto nei riguardi della donna. E oggi noi sacerdoti ci ritroviamo ad avere a che fare anche con questo: donne, in particolare giovani, che chiedono certe prestazioni e uomini che le rifiutano rimanendo spesso anche molto toccati da certe richieste.

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Per questi e altri motivi reputo che le divagazioni sull’uso dell’ano multitasking non siano oggetto di indagine scientifica nei libri del Dottore Silvana De Mari, né dalla censura di Amazon e del Popolo Arcobaleno. Si tratta infatti di pratiche sessuali che possono riguardare e approfondirsi in situazioni di vita molto più comuni e serie, medicalmente più critiche e moralmente più compromettenti. In una società come la nostra che crede di essersi affrancata dai tabù sessuali non c’è nulla di più moralistico di una omertà che tace sul silenzio di tanti poveretti che vivono un martirio quotidiano originato da una sessualità non ancora compresa come liberante e amica dell’uomo.

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Per i pochi sacerdoti che come noi tre Padri de L’Isola di Patmos hanno avuto il prezioso piacere di frequentare a loro tempo il corso di Audiendas in preparazione all’esercizio del Sacramento della Riconciliazione presso la Penitenzieria Apostolica, non potrà sfuggire l’esempio e le raccomandazioni del santo moralista Alfonso Maria de’ Liguori. Ai tempi del santo vescovo di Pagani l’ultimo tratto dell’intestino rimandava, nell’ignoranza diffusa del popolo rudes, all’amplesso tra uomo e animale e viceversa. Ma per noi uomini evoluti, etero o LGBT, l’ano multitasking si è approfondito in quella filosofia del piacere edonistico che conosce pratiche estremamente “coraggiose” e al limite che prevedono l’introduzione di oggetti di vario genere fino ad arrivare alla mano, al pugno, al piede in quella pratica estrema conosciuta come fisting. Perché non affrontare allora in un discorso scientifico omnicomprensivo tutte queste realtà sessuali alternative e le loro implicanze mediche e morali? Perché soffermarsi solo sull’ambito omosessuale e non trattare anche quello eterosessuale? Vorremmo infatti conoscere da questa donna di scienza in quali casi clinici da lei trattati, tra la popolazione omosessuale, si sono osservate evidenze cliniche maggiori e chiaramente lapalissiane inerenti agli eventi patologici descritti rispetto a quelli presenti tra gli eterosessuali? In caso contrario si rischia di cadere nell’umorismo e di ricorrere a spiegazioni esilaranti come quelle date in tono ironico e scherzoso da un colto e intelligente amico gay di noi Padri de L’Isola di Patmos, che discutendo una volta sulla pratica del sesso anale esordì dicendo: «Alle donne non è consentito, giammai! Per loro è contro natura».

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Non tutti gli specialisti in medicina interna e gastroenterologia e urologia, inclusi diversi cattolici, concordano con la collega Silvana De Mari. Affermare da esponente della classe medica che gli omosessuali, per il loro stile di vita, rappresentano una categoria esposta e più soggetta a certe malattie e persino a certi tumori, incluso il tumore al colon retto, il tutto senza portare alcun dato scientifico probante e meno che mai statistiche documentate, è davvero rischioso e azzardato, altro che censura e bavagli.

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A questo proposito i periti clinici esperti consultati nel corso di questo procedimento in seguito alle affermazioni fatte dal Dottore Silvana De Mari e alle querele che ne conseguirono, replicarono che anche un certo numero di donne praticavano ― a volte anche per questioni di carattere socioculturale ― il sesso anale, cosa riscontrata da più ginecologi e ostetriche, al punto che si posseggono in tal senso anche i dati clinici statistici, persino legati a questa pratica in rapporto alle diversi regioni geografiche d’Italia. Non risulta però che la pratica del sesso anale da parte delle donne sia collegata alle patologie indicate da questa specialista, semmai possono riscontrarsi casi di infezione sia da parte della donna sia da parte dell’uomo in carenza di adeguata profilassi e prevenzione. Quindi di fatto non è stato ancora dimostrato con sufficiente chiarezza scientifica e statistica quello che sosteneva nella sua pubblicazione. E questi errori, in sede civile e penale, inevitabilmente si pagano, se la parte colpita è la lobby gay sulla suscettibilità della quale possiamo anche non discutere, anzi darla come dato assodato, ma al tempo stesso dobbiamo evitare che la stessa sia additata e colpita senza motivazioni e senza supporti di carattere scientifico.

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Personalmente vedo il pericolo di rendere le persone omosessuali ancora più ghettizzate, una categoria protetta per patologia, favorendo quel divario societario che giustifica un vittimismo che è generatore di leggi scriteriate come quelle che vengono proposte in sede parlamentare, mi riferisco ovviamente al disegno di legge Zan-Scalfarotto che può seriamente rischiare di andare a colpire i reati di opinione. Proprio come disse Padre Ariel all’Onorevole Alessandro Zan a quel programma di Dritto e Rovescio dell’8 ottobre 2020, non portando certo le sue opinioni personali ma facendo presente che i vescovi italiani avevano sollevato molte perplessità, conoscendo le conseguenze prodotte da leggi analoghe varate in altri Paesi del mondo in applicazione delle quali abbiamo avuto già più vescovi e sacerdoti condannati dai tribunali semplicemente per avere detto che il matrimonio è tale solo tra un uomo e una donna e che un bambino può nascere solo da un padre e da una madre.

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A questo discorso si aggiunga la concreta possibilità di leggere tali patologie correlate come una punizione divina per uno stile di vita peccaminoso. Se la masturbazione un tempo faceva diventare ciechi gli adolescenti oggi il tumore al colon o al retto sarebbe forse la conseguenza di un uso inadeguato del proprio intestino? Ci rendiamo conto della portata di tali esternazioni e delle conseguenze risibili che relegherebbero noi cattolici in irrecuperabili bacchettoni o sessuofobici?

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Se è necessario fare critica e resistenza allora bisogna partire da un lavoro lungo e meticoloso, rigoroso e con numerose prove su differenti ambiti disciplinari, così come le associazioni ProLife hanno fatto per smontare la liceità dell’aborto. Se questo approccio non c’è o c’è in parte ― perché sono io a dirlo ―, si facilita il gioco delle organizzazioni LGBT che citeranno in giudizio e colpiranno con querele tutte le persone come il Dottore Silvana De Mari, con il solo risultato di avallare le accuse di omofobia che poi in ambito penale troveranno accoglimento in sentenze che non toccano la facoltà di manifestare il proprio pensiero in quanto diritto costituzionale ma come intenzionalità offensiva sottesa a un pensiero veicolato. Ecco perché ho portato l’esempio del Padre Ariel e della linea adottata da noi Padri de L’Isola di Patmos su questa nostra rivista di teologia ecclesiale e di aggiornamento pastorale: nostro compito di sacerdoti, teologi e pastori in cura d’anime è di condannare in modo deciso il peccato, ma sempre accogliendo il peccatore, soprattutto i peggiori peccatori. Poi, se con la scusa dell’accoglienza del peccatore qualcuno dovesse invece rivendicare il diritto al peccato facendo passare il male per bene, senza esitare risponderemo sempre che il peccato non è un diritto e che non può essere mai accolto.

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Forse qualcuno potrà storcere il naso su queste parole, ma oggi bisogna essere scaltri e tutelati in tutti i modi possibili. Essere martiri per il Vangelo e per l’insegnamento della Chiesa è una cosa lodevole, esserlo per la propria imprudenza o passionalità lo è un po’ meno. E dico questo salvando tutti i buoni propositi che nell’immediato non sono conoscibili. Per questo, a me e ai miei confratelli, dispiace davvero molto per il Dottore Silvana De Mari, donna che vive di passione ma anche di innegabile testardaggine, che analogamente ad altri fratelli cristiani possono provocare, con tutte le buone intenzioni del caso, dei danni verso i deboli, i semplici e i confusi del nostro tempo.

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Laconi, 25 marzo 2021

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Gabriele Giordano M. Scardocci
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

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Padre Gabriele

Il diritto alla felicità? Tra la felicità del Grande Architetto dell’Universo e la felicità di Dio corre un abisso

—  Attualità ecclesiale —

IL DIRITTO ALLA FELICITÀ? TRA LA FELICITÀ DEL GRANDE ARCHITETTO DELL’UNIVERSO E LA FELICITÀ DI DIO CORRE UN ABISSO

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La Costituzione americana, odorosa di illuminismo massonico ed entrata in vigore mentre in Europa scoppiava nel 1789 la Rivoluzione Francese, prevede anche il diritto alla felicità, con tanto di richiamo a un Creatore che somiglia però al Grande Architetto dell’Universo, anziché a Dio Padre.

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Autore:
Gabriele Giordano M. Scardocci, O.P.

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Nella IV settimana di Quaresima, quando giorni fa si è celebrata la Domenica in Laetare, anche conosciuta come Domenica della Felicità, mi sono interrogato su che cosa sia la felicità, soprattutto cosa può condurci alla sua scoperta. È una domanda che assilla molti animi cristiani, soprattutto oggi che nel mondo trionfano l’edonismo e il materialismo.

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L’anno 2021 è nato sotto il grave peso dalla pandemia, con tutti i problemi sociali ed economici che ne conseguono. Problemi di cui già prima eravamo ricolmi; problemi dai quali temo saremo afflitti ancora in futuro, forse a lungo. Quanto basta a lamentare la sottrazione del … “diritto alla felicità”.

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Oggi per molti la felicità è sapere se si può uscire, fare la movida e trovarsi per l’aperitivo con gli amici, se è possibile riprendere le abitudini di sempre, in una vita senza dolore, malattia, invecchiamento, decadimento fisico e morte. Insomma, il trionfo del mondo dell’irreale, come spesso abbiamo scritto e lamentato noi Padri de L’Isola di Patmos su queste nostre colonne. Certo, voler sapere quando questo incubo sarà finito e desiderare che finisca, è a dir poco comprensibile, meno lo è invece il rifiuto della realtà, in questa nostra società di giovani immortali che non soffrono, non si ammalano, non invecchiano, non decadono fisicamente e infine non muoiono.

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Per molti la felicità è avere l’ultimo smartphone, l’abbonamento in tribuna allo stadio della propria squadra del cuore, o conquistare quella ragazza come se fosse un trofeo, semmai solo per una notte di passione. E con ciò è stato dipinto il mondo delle cosiddette “tre esse”: sesso, soldi e successo. Per molti la felicità è principalmente costituita dalla liquidità di danaro col quale si può conseguire successo e avere i migliori appagamenti sessuali. E proprio a proposito dei liquidi Jerome David Salinger illustrava saggiamente la sostanziale differenza che corre tra felicità e gioia:

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«[…] è un fatto che appare sempre ovvio quando ormai è troppo tardi, ma la più spiccata differenza tra la felicità e la gioia è che la felicità è un solido e la gioia un liquido» [Il periodo blu di De Daumier-Smith; in Nove racconti, 1953; Einaudi, 1962, traduzione di C. Fruttero].

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La Costituzione americana, odorosa di illuminismo massonico ed entrata in vigore mentre in Europa scoppiava nel 1789 la Rivoluzione Francese, prevede anche il diritto alla felicità, con tanto di richiamo a un Creatore che somiglia però al Grande Architetto dell’Universo, anziché a Dio Padre:

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«tutti gli uomini sono stati creati uguali, che essi sono dotati dal loro Creatore di alcuni Diritti inalienabili, che fra questi sono la Vita, la Libertà e la ricerca delle Felicità; allo scopo di garantire questi diritti, sono creati fra gli uomini i Governi, i quali derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati; ogni qual volta una qualsiasi forma di Governo, tende a negare tali fini, è Diritto del Popolo modificarlo o distruggerlo, e creare un nuovo governo, che ponga le sue fondamenta su tali principi e organizzi i suoi poteri nella forma che al popolo sembri più probabile possa apportare Sicurezza e Felicità».

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Molto vi sarebbe da discutere, sul concetto di soggettiva felicità umana mutato in diritto positivo, per esempio domandandosi come sia possibile innalzare a diritto uno stato emotivo soggettivo o collettivo della persona. Che l’uomo ricerchi la felicità intesa come benessere fisico e psicologico, questo è noto da sempre. A maggior ragione bisognerebbe capire che cosa s’intende per felicità sul piano giuridico e filosofico, forse la virtù cinico-socratica o forse la soppressione dell’istinto di desiderio della scuola epicurea? Che poi la ricerca della felicità sia lo scopo della vita dell’uomo è una posizione filosofica decisamente diffusa e dalle origini nobili e antiche. La questione impone quindi di capire, anzitutto, cosa sia la felicità: è forse l’atarassia stoica e scettica trasmessa come virtù dalla scuola socratica, oppure la soppressione del desiderio della scuola epicurea?

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Tutto questo è di per sé qualche cosa di molto liquido, mentre invece il Signore ci guida alla scoperta della felicità solida, che nasce e diviene stabile attraverso l’incontro con Lui. Nicodemo, che ebbe un lungo colloquio con Lui di notte, poté sì sperimentare in quel modo la felicità vera. Gesù infatti, parlando con lui, riportò la sua memoria agli eventi biblici che avevano formato la cultura ebraica, richiamandolo con queste parole:

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«Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» [Gv 3, 14-16].

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Qui Gesù cita l’episodio presente nel Libro dei Numeri [cfr. 21, 1–10], quando il Signore dice a Mosè che ponendo un serpente su un’asta, gli Israeliti guariranno dai morsi sempre di altri serpenti velenosi. Il Signore però non si ferma alla memoria. La salvezza, la guarigione eterna sono presenti ora e adesso per Nicodemo. La vita eterna è offerta tramite la fede nel Figlio dell’Uomo, Gesù Cristo Figlio del Padre.

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La gioia del Dio trinitario si può vivere anche oggi, basta passare dalla memoria del passato alla fede di un presente penetrato e abitato dalla redenzione di Cristo. A questo, il Signore aggiunge:

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«Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio» [Gv 3, 17-18].

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La felicità che dona il Padre consiste, materialmente, nel ricevere e donare la Carità. Non c’è in quest’ottica una condanna senza appello. La fede porta a questo: fare un atto di giustizia e umiltà di fronte ai propri peccati, debolezze ed errori e chiedere l’amore del Padre nel Suo Figlio, che ci sarà effuso senza limite. La gioia solida è sfuggire le opere delle tenebre e del male, che soddisfano l’effimero desiderio di vendetta. Infatti:

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«E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio» [Gv 3, 19-21].

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La felicità solida è dunque compiere le opere della Luce ed effondere questo amore di carità. Il Dio Padre, Figlio, Spirito Santo, vale a dire Dio stesso uno e trino, ci chiede di donarlo ad altri. Perché in queste opere di misericordia saremo strettamente uniti a Lui. Questa la gran differenza che corre tra la felicità che procede da Dio e la falsa felicità che procede dal Grande Architetto dell’Universo, con tutte le conseguenze del caso.

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Roma, 20 marzo 2021

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Il solenne no della Chiesa alla benedizione dei “matrimoni” gay. Sono anni che dico ai gai arcobalenisti: non v’inventate un uomo Jorge Mario Bergoglio che non è mai esistito, perché ne rimarrete profondamente delusi

—  attualità ecclesiale —

IL SOLENNE NO DELLA CHIESA ALLA BENEDIZIONE DEI “MATRIMONI” GAY. SONO ANNI CHE DICO AI GAI ARCOBALENISTI: NON V’INVENTATE UN UOMO JORGE MARIO BERGOGLIO CHE NON È MAI ESISTITO, PERCHÉ NE RIMARRETE PROFONDAMENTE DELUSI.  

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La sensazionalità di questa dichiarazione equivale ad annunciare come scoperta straordinaria la notizia ― anch’essa oltremodo “sensazionale” ― che Margherita da Cortona, poi proclamata Santa e chissà mai perché patrona delle prostitute pentite, non era vergine.

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Paolo Poli (Firenze 1929 – Roma 2016)

Ieri ha campeggiato su tutti gli organi d’informazione una notizia “sensazionale”:

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«La Chiesa non dispone del potere di impartire la benedizione alle coppie dello stesso sesso».

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La sensazionalità di questa notizia equivale ad annunciare come scoperta straordinaria la notizia ― anch’essa oltremodo “sensazionale” ― che Margherita da Cortona, poi proclamata Santa e chissà mai perché patrona delle prostitute pentite, non era vergine.

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Giunta dalla Congregazione per la dottrina della fede e firmata dal Prefetto del dicastero, Cardinale Francisco Luis Ladaria Ferrer e dall’Arcivescovo segretario Giacomo Morandi, questa nota esplicativa termina con la chiusa finale che recita:

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«ll Sommo Pontefice Francesco, nel corso di un’udienza concessa al sottoscritto Segretario di questa Congregazione, è stato informato e ha dato il suo assenso alla pubblicazione del suddetto Responsum ad dubium, con annessa Nota esplicativa».

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Con tutto l’ironico disincanto del presbitero e teologo ormai navigato, confesso che questa nota esplicativa mi ha fatto morire dalle risate. Come a loro tempo mi fecero ridere altri due documenti, diversi ma analoghi. Il primo fu la Dichiarazione Dominus Jesus che si conclude con questa chiusa:

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«Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nell’Udienza concessa il giorno 16 giugno 2000 al sottoscritto Cardinale Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, con certa scienza e con la sua autorità apostolica ha ratificato e confermato questa Dichiarazione, decisa nella Sessione Plenaria, e ne ha ordinato la pubblicazione».

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Il secondo documento che mi fece ridere a lungo fu la Istruzione Redemptionis Sacramentum che si conclude con questa chiusa:

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«Questa Istruzione, redatta, per disposizione del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti d’intesa con la Congregazione per la Dottrina della Fede, è stata approvata dallo stesso Pontefice il 19 marzo 2004, nella solennità di San Giuseppe, il quale ne ha disposto la pubblicazione e l’immediata osservanza da parte di tutti coloro a cui spetta».

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Comprendo che i buoni Lettori si staranno chiedendo che cosa mi induce a ridere dinanzi a questi due documenti così importanti e necessari. Per questo non indugio oltre e corro in loro soccorso chiarendo: se a distanza di alcuni decenni dal Concilio Vaticano II la Chiesa si è trovata costretta a ricordare nella Dominus Jesus i fondamenti basilari della cristologia e soprattutto dei dogmi cristologici; se dopo una grande riforma liturgica preceduta da decenni di studi articolati e approfonditi da parte del Movimento Liturgico si è ritrovata a dover ricordare a vescovi e presbiteri i fondamenti basilari della Santissima Eucaristia, vuol dire che nell’intera stagione del turbolento post-concilio molte cose non sono andate per il verso giusto. E se oggi la Chiesa si trova costretta a ricordare ai propri vescovi, presbiteri, teologi e laici ― ahimè sempre più ignoranti sui fondamenti stessi del Catechismo ―, quelle che sono le basi della dottrina e del deposito della fede cattolica, ciò dimostra che dopo la baldoria del post-concilio inscenata dagli interpreti che hanno dato vita al loro personale concilio egomenico, molte cose non sono andate per il verso giusto. E oggi siamo di fronte a una crisi devastante che nasce a monte da una crisi della fede che ha generato una crisi della dottrina che ha prodotto una crisi morale senza precedenti storici all’interno del clero. E tutto questo, bene ricordarlo, lo scrivevo oltre dieci anni fa nel mio libro E Satana si fece trino.

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Quando si sprofonda in quella decadenza irreversibile di cui da un decennio vado parlando, una volta superata la soglia del non ritorno, indietro non è possibile tornare. Per questo ho fatto ricorso in vari miei scritti alla iperbole del lancio dall’aereo senza paracadute. Perché fin quando il paracadutista è in bilico sul portello dell’aereo può retrocedere, indossare il paracadute e lanciarsi. Però, se decide di lanciarsi senza, non potrà arrestarsi nell’aria, risalire sull’aereo, indossare di nuovo in paracadute e poi lanciarsi di nuovo. E a coloro che dinanzi a questa evidenza hanno cercato di fuggire la realtà affermando che «la Chiesa di Cristo è governata dallo Spirito Santo e che quindi ci penserà lui», ho sempre ribadito che lo Spirito Santo non è Mago Merlino e non può sovvertire le leggi della fisica per mettersi contro il libero arbitrio di chi si è lanciato senza paracadute, perché Dio non si è mai messo contro la libertà dell’uomo nell’intera storia dell’umanità, a partire dalla commissione del peccato originale.

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Presto detto: la Congregazione per la Dottrina della Fede, con questo nuovo documento è tornata a ricordarci per l’ennesima volta che la nostra Santa Fede si fonda e si regge sulla incarnazione del Verbo di Dio, il suo sacrificio redentore sulla croce, la sua risurrezione e ascensione al cielo, esattamente come ha fatto con la Dominus Jesus. Vi domando: è giusto emanare un documento per ricordare questi fondamenti della fede, solo perché molti vescovi e presbiteri potrebbero non conoscerli, sino a rendere necessario istruirli in tal senso? Aggiungo: e come mai, sotto questo augusto pontificato, i preti più lacunosi sul piano dottrinale e morale, li stiamo vedendo diventare vescovi uno dietro l’altro da otto anni a questa parte? E così, di questo passo, ci dovremmo aspettare l’uscita di altri documenti più o meno simili, dove si dichiara che la Beata Vergine Maria è nata senza macchia di peccato originale e che quello di Cristo Dio è stato un parto verginale; o di documenti in cui si dichiara che nella Santissima Eucaristia Cristo Dio è realmente presente in modo sostanziale in anima corpo e divinità, proprio come hanno fatto con la Redemptionis Sacramentum a quasi quattro decenni di distanza dalla grande riforma liturgica del Concilio Vaticano II. Potrebbero poi seguire altri documenti tutti conseguenti al lancio dal portello dell’aereo senza paracadute. Questo il motivo per il quale rido e invito i veri credenti a ridere, perché al punto in cui ormai siamo giunti solo la sapiente ironia della fede ci salverà. O per dirla in altri termini: il Cardinale Luis Francisco Ladaria Ferrer e l’Arcivescovo segretario Giacomo Morandi, col suggello d’approvazione del Sommo Pontefice Francesco I, hanno rivelato al mondo una notizia straordinaria, destinata come tale a rimanere scritta nella storia a caratteri di fuoco, questa: Santa Margherita da Cortona non era vergine.

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La doccia fredda di questo non possumus alla benedizione delle gaie coppie arcobaleno, giunge dalla Congregazione per la dottrina della fede dopo anni di incendi appiccati dal Pontefice felicemente regnante ai pini della Macchia Mediterranea, dove si è dilettato a passeggiare con una tanica di benzina in una mano e una scatola di fiammiferi nell’altra, insomma: roba da piromane professionista. E col suo dire e non dire e col suo giocar sull’ambiguo, il Sommo Pontefice ha lasciato intendere ciò che non era vero, ma soprattutto ciò che lui per primo non crederebbe né mai accetterebbe, soprattutto ciò che per la Chiesa non è possibile, non potendo noi esercitare poteri che Cristo non ci ha dato né potendo cambiare il Santo Vangelo per andare incontro ai capricci degli arcobaleni dell’uomo, che non è obbligato a essere cristiano né a seguire gli insegnamenti della dottrina e della morale cattolica.

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La Sinistra internazionale, i mezzi di comunicazione di massa e le potenti associazioni LGBT si sono inventate un Jorge Mario Bergoglio che non è mai esistito e che mai potrà esistere, specie in veste di Romano Pontefice. Prima si sono inventati aperture cosiddette “epocali” ai divorziati risposati, poi lo sdoganamento dell’omosessualismo, quello oggi portato avanti dai catto-luterani tedeschi capeggiati dal Cardinale Reinhard Marx ed altri personaggi di area Nord Europea, incluso il confuso Cardinale Christoph Schönborn, di cui capiamo il dramma interiore: avere sofferto per il divorzio dei genitori e avere avuto un fratello gemello notoriamente omosessuale. Ma queste sue vicende personali non possono influenzarlo né togliergli raziocinio e spirito logico nel suo delicato ruolo di teologo e vescovo, se in lui, già membro dell’Ordine dei Frati Predicatori, rimane qualche cosa della formazione scolastica, logica e metafisica ricevuta dai suoi vecchi maestri domenicani.  

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Eccoci infine giunti alle porte coi sassi: la Chiesa non può benedire «le coppie dei froci» ai quali «ci mancava solo di dare quella gran buffonata del matrimonio frocio», come affermava con teatrale sarcasmo il mio compianto amico Paolo Poli, al quale appartiene la paternità del virgolettato testé riportato. E quest’ultima grande stella del nostro teatro, che omosessuale lo era sin nel midollo spinale, facendo queste battute non aveva paura di essere accusato di omofobia, perché per tutta la vita si è dilettato a farle.

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Questa battuta di risposta non chiude il discorso, perché ce n’è un altro aperto, ne parlo da anni, purtroppo inutilmente. E non vi dico le facce, o peggio le scene mute di tutti i vescovi ai quali ho sollevato la questione. Uno spettacolo, vedere le facce coi loro occhi imbarazzati che si girano nel vuoto. Uno spettacolo degno di due ore di monologo di Paolo Poli nell’opera satirica Caterina de’ Medici.

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Il mio sapiente amico, che mai nella sua vita pubblica come in teatro ha usato la parola “omosessuale” e tanto meno “gay”, soleva dire:  

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«I froci hanno problemi talmente seri ad accettare sé stessi, che prima riversano questo complesso di non accettazione sugli altri e poi si inventano dei nemici. Purtroppo i froci non riescono a vivere senza nemici, per questo sono i più grandi fabbricatori di nemici immaginari».  

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Interloquendo con Paolo Poli in una caffetteria di Piazza Navona un paio d’anni prima della sua morte, ricordo in modo indelebile questa sua frase che mi raggelò e che vorrei riportare integralmente, senza censure e senza quei puntini di sospensione che mi sanno tanto di ipocrisia calvinista nordamericana. Infatti sono italiano, cattolico e prete, se perciò un intellettuale mi dice «cazzo» e io devo riportare integralmente il suo discorso, mi sentirei ridicolo e ancor più ipocrita a scrivere “c…o”. L’interlocutore ha detto «cazzo», non ha detto “c” tre puntini e “o” finale. Ecco quindi che cosa mi disse testualmente il mio caro amico:

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«Tesorino caro, credimi: alla maggioranza assoluta dei lobbisti froci, della Chiesa e del Cattolicesimo non gli importa un emerito cazzo. Loro la Chiesa la vogliono mettere in ginocchio a quattro zampe, come una povera baldracca, col culo all’aria e il buco in bella vista pronto all’uso».

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Forse nemmeno Pietro l’Aretino, dinanzi al quale Giovanni Boccaccio era poco più che un’educanda, avrebbe potuto esprimersi in modo più incisivo di Paolo Poli, che aveva però sacrosanta ragione. Con buona pace dei nostri vescovi impegnati a scrivere “c” tre puntini “o” finale, tanto reputano sconveniente esprimere ed accettare un «cazzo» letterario, mentre un altro, molto materiale e peggiore si sta per appropinquare dietro nostra madre gettata a terra a quattro zampe …

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Nell’esprimermi con quella frase un paradigma di siffatto e tremendo realismo Paolo Poli fu profetico. E adesso tocca a me, prete e teologo, spiegarvi quel drammatico significato che i nostri vescovi non vogliono capire, essendo troppo impegnati a scrivere in compagnia dei quacqueri e dei puritani: “c” tre puntini “o” finale, pur di evitare il realismo di un «cazzo» letterario e della Chiesa in ginocchio a quattro zampe col culo all’aria e il buco in bella vista pronto all’uso». A obbligarli a un terrificante bagno di realismo, entro breve saranno le coppie di lesbiche che hanno messo al mondo una bimba-giocattolo dopo avere abortito una o due volte, appena appurato dall’amniocentesi che il feto era un maschio, perché non solo avevano deciso di avere un figlio, ma di avere una bambina da destinare appresso alle meraviglie del mondo lesbo. I nostri vescovi saranno letteralmente affogati nel realismo dalle coppie di quelli che il mio amico Paolo Poli chiamava con ironia ricchi&ricchioni, che dopo essersi acquistati un bambino da un utero in affitto si presenteranno al fonte battesimale più sfacciati di Satana che tentò l’uomo Gesù nel deserto. Forse perché interessa loro liberare la creatura dalla macchia del peccato originale? No, perché sempre come mi disse anni fa in quella caffetteria il compianto Paolo Poli, a loro interessa mettere la Chiesa «[…] in ginocchio a quattro zampe, come una povera baldracca, col culo all’aria e il buco in bella vista pronto all’uso», facendo a tal scopo uso sacrilego del Sacramento, per trasformare quei battesimi in sceneggiate della lobby LGBT, con tutto il gotha del mondo gay e lesbo radunato in chiesa assieme ai trans in equilibrio sui tacchi a spillo. E dalla Chiesa usciranno tutti quanti assieme all’infelice creatura dichiarando: «La Chiesa ci approva … la Chiesa ci approva!». Questo gli interessa, non il Battesimo. E con questo ho descritto l’altro problema che a breve la Congregazione per il culto divino e la disciplina dei Sacramenti e la Congregazione per la dottrina della fede dovranno necessariamente affrontare.

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Domando ai vescovi: come dovremmo comportarci noi loro presbiteri, quando simili coppie porteranno queste infelici creature innocenti ai fonti battesimali, al solo scopo di «piegarci a quattro zampe con il culo all’aria e il buco pronto all’uso in bella vista»? In che modo dovremmo far emettere le promesse battesimali a una coppia di lesbiche o di gay? Perché se non ricordo male il formulario è il seguente: «Rinunci a Satana … e a tutte le sue opere … e a tutte le sue seduzioni?». Fatemi capire, Venerabili Vescovi: forse dobbiamo chiedere a Satana di rinunciare a sé stesso? Perché è stato Satana, al culmine delle sue peggiori seduzioni e opere, a indurre due uomini a giungere al vero e proprio abominio: commissionare un bambino a un utero in affitto e portarlo poi al fonte battesimale per poterla avere vinta a tutti i costi e fare scempio del Sacramento attraverso un pubblico spergiuro sui fondamenti della fede, o no? E ancora, sempre se non ricordo male mi pare che i genitori si impegnano a crescere ed educare il figlio secondo gli insegnamenti di Santa Romana Chiesa. Per carità, nessuna coppia di genitori è perfetta, come non lo siamo noi preti nella nostra paternità sacerdotale. In gioco non è però l’imperfezione di tutti noi, bensì altro: qualcuno crede per davvero che due gay o due lesbiche possano fare una promessa del genere durante una solenne azione sacramentale?

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Siccome i nostri eroici vescovi a questi quesiti non rispondono, per quanto mi riguarda posso rispondere seguendo i dettami e gli imperativi della mia coscienza cristiana e sacerdotale: coppie del genere in chiesa, non le farei neppure entrare, se non per andare in ginocchio davanti al confessionale e rialzandosi in piedi dopo aver confessato i propri peccati e fatto solenne proposito di cambiare vita. A questo punto qualcuno potrebbe dire: oseresti forse negare il battesimo a una creatura e sentirti poi in pace con la tua coscienza? Certo che sì, perché la mia fede m’insegna che esistono due diversi mezzi di salvezza: quelli ordinari, che sono i Sacramenti di grazia, che ricordo non sono beni disponibili, non a caso la Santa Chiesa ne è custode e dispensatrice, non padrona. Per seguire con i mezzi straordinari di salvezza, che Dio solo conosce e può esercitare. Siamo infatti noi che abbiamo bisogno per la nostra salvezza dei Sacramenti di grazia, ma Dio no, perché per salvarci non ha bisogno dei Sacramenti. Quindi negherei in serena coscienza il Battesimo a quella creatura che in un futuro, giunta all’età della ragione, potrebbe scegliere tutt’altra vita e domandare di essere ammesso al Santo Battesimo e alla Comunità cristiana.

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Potrebbe il vescovo obbligarmi a battezzare l’egoistico bimbo-giocattolo di due gay e di due lesbiche? Il vescovo mio sicuramente no, perché è cattolico e credente. Poniamo però che io sia assoggettato alla giurisdizione di un altro genere di vescovo, per niente cattolico e per niente credente, ve ne sono parecchi in circolazione di questi tempi. Oltre a rifiutarmi non esiterei a invitare lui ad amministrare il battesimo, con me che assisto in un angolo, per vedere con quale tono di voce e con quale espressione facciale, a due uomini che si sono acquistati un bimbo da un utero in affitto, il vescovo domanderà: «rinunciate a Satana … e a tutte le sue opere … e a tutte le sue seduzioni?». E ancora: «… promettete di crescerlo secondo gli insegnamenti di Santa Romana Chiesa?».

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Usando alcuni frasari scurrili, intrisi però di quell’elegante arte teatrale e lessicale del mio compianto amico Paolo Poli, capace a rendere qualsiasi parolaccia non volgare sino a trasformarla in arte e letteratura, a certi vescovi di nuova generazione sono venuto incontro dando loro una grande ancora di salvezza, questa: non potendo rispondere nel merito, come spesso è nel loro stile, potranno attaccarsi al linguaggio, alla forma, alla … parolina, eludendo tutta quanta la questione che ho sollevato. Già lo facevano i farisei all’epoca di Nostro Signore Gesù Cristo. Anche loro, come molte membra del nostro episcopato odierno mondano e secolarizzato, erano infarciti del peggiore clericalismo prodotto dal post-concilio dell’epoca. Però i farisei erano seri e soprattutto colti, basti soltanto dire che dalla loro scuola è uscito Shaul di Tarso, divenuto poi Paolo, il grande Apostolo delle Genti. Invece, certi nostri vescovi mondani e secolarizzati di nuova generazione, rischiano di essere caricaturali, rendendo caricaturali anche noi, loro presbiteri.

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intervista a Paolo Poli, cliccare sull’immagine per aprire il video

Al punto in cui ormai siamo giunti, solamente la sapiente ironia della fede ci salverà, fatevene una ragione, ve lo dice un autentico uomo di fede, che non teme affatto di negare l’ingresso in chiesa a chi, tra poco, cercherà di fare scempio sacrilego dei Sacramenti e pubblico spergiuro, pur di piegarci al principe di questo mondo, al quale mai nessuno potrà comandarci di flettere il ginocchio.

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«Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l’anima e il corpo nella Geenna» (Mt 10, 28).

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E adesso chi è che avrà tutti i necessari ed ecclesiali attributi virili per spiegare al mondo arcobaleno che l’Inferno esiste per davvero e che non è una metafora, che il Demonio è persona reale e non allegoria?

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 Dall’Isola di Patmos, 16 marzo 2021

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NOVITÀ – È stato ristampato il libro «Erbe Amare», inattaccabile e inattaccata critica storica al Sionismo politico che lanciò Ariel S. Levi di Gualdo come saggista nel 2006

— negozio librario delle Edizioni L’Isola di Patmos —

È STATO RISTAMPATO IL LIBRO «ERBE AMARE», INATTACCABILE E INATTACCATA CRITICA STORICA AL SIONISMO POLITICO CHE LANCIÓ ARIEL S. LEVI di GUALDO COME SAGGISTA NEL 2006

Da anni si parla d’Ebraismo senza gemere su quel che è diventato: un fenomeno alla deriva politica rivestito d’aura religiosa. Queste pagine guidano il Lettore in un viaggio nel mondo arcaico con stile avvincente e non privo d’ironia, attraverso narrazioni che sminuzzano la figura dell’ebreo assurto a icona della vittima oppressa

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Autore:
Jorge Facio Lince
Presidente delle Edizioni L’Isola di Patmos

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In copertina: Marc Chagall: Il rabbino di Vitebsk opera nota come L’ebreo in preghiera. Olio su tela, anno 1914. Museo d’Arte Moderna Ca’ Pesaro Venezia

La Shoah ha reso agli ebrei la purezza da tempo perduta dando vita al tabù sociale di una ebreolatria che impedisce di narrare alla piazza le nudità del re.

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Da anni si parla d’Ebraismo senza gemere su quel che è diventato: un fenomeno alla deriva politica rivestito d’aura religiosa. Queste pagine guidano il Lettore in un viaggio nel mondo arcaico con stile avvincente e non privo d’ironia, attraverso narrazioni che sminuzzano la figura dell’ebreo assurto a icona della vittima oppressa e svelando ottusità e fanatismi che hanno imposto al mondo equivalenze pericolose: Ebraismo uguale Stato d’Israele, antisionismo uguale antisemitismo, critica rivolta a una istituzione ebraica uguale aggressione antisemita da stroncare col braccio della legge …

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Originale la difesa del Sommo Pontefice Pio XII, attraverso l’esame di fatti storici che portano allo scoperto la psicologia motrice della locomotiva che traina da decenni il carico di falsità mirate a colpire la figura titanica di Eugenio Pacelli. Da questo studio articolato e approfondito costruito sulle fonti storiche, nasce un saggio autonomo dato alle stampe nel gennaio 2021 dalle nostre edizioni: Pio XII e la Shoah – Essere grati a chi ti ha salvato la vita è una umiliazione che alcuni non reggono.

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Meditando su un preludio di San Paolo Apostolo l’Autore conclude che la carità è paziente e benigna, non dispera e non si adira. La carità è dunque tante cose, compreso l’ossequio alla verità. E talvolta anche la critica è segno di carità, se animata da sentimenti costruttivi e correttivi.

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lo storico italiano Franco Cardini: «[…] quel silenzio imbarazzato e imbarazzante su Erbe Amare di Ariel S. Levi di Gualdo»

Gli storici indipendenti accolsero Erbe Amare con molto favore. L’insigne storico italiano Franco Cardini lo definì «un libro molto importante, una pietra miliare tra le monografie storiche di critica scientifica al Sionismo politico». Insomma, un libro che aveva osato con coraggio e che per questo era destinato a rimanere per divenire più attuale col trascorrere del tempo. Trascorso poco più di un anno dalla pubblicazione il Prof. Franco Cardini scrisse in un suo articolo del 21 settembre 2008:

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«[…] E pensiamo, ancora, al silenzio imbarazzato e imbarazzante che ha accolto il libro di Ariel S. Levi di Gualdo, Erbe amare (2007), una desolata monografia sul Sionismo che avrebbe dovuto invece venir accolto da un fuoco di fila di attacchi e di liberatorie confutazioni. Perché tutto ciò non è avvenuto? Perché da noi certi argomenti possono solo venire non già discussi, bensì solo zittiti o demonizzati?».

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Prossime pubblicazioni in uscita ad aprile:

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saggistica:

L’ERESIARIO, Leonardo Grazzi 

narrativa:

IL CAMMINO DELLE TRE CHIAVI, Ariel S. Levi di Gualdo

 

 

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Gabriele Giordano M. Scardocci
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Gabriele

La teoria dei quanti e il miracolo dell’Eucaristia, camminando tra scienza e fede in compagnia di Niel Bohr e San Tommaso d’Aquino

—  Attualità ecclesiale —

LA TEORIA DEI QUANTI E IL MIRACOLO DELL’EUCARISTIA, CAMMINANDO TRA SCIENZA E FEDE IN COMPAGNIA DI NIEL BOHR E SAN TOMMASO D’AQUINO

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Dio è il Dio che entra in relazione con noi e che ci ascolta, ci vede, ci scruta, ci gusta e ci tocca. Cosa questa che accade per noi mediante il miracolo dell’altare, anche detto miracolo dei miracoli: la Santissima Eucarestia, nella quale Gesù Cristo è presente in corpo, sangue, anima e divinità. E se è presente realmente, sostanzialmente e veramente, nel suo momento eucaristico entra in relazione con noi.

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Autore:
Gabriele Giordano M. Scardocci, O.P.

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Qualche giorno fa, mentre preparavo degli articoli un’amica ha introdotto una discussione nuova su un tema antico, ma sempre denso di riflessioni: scienza e fede. Ne ho già parlato in diversi momenti con riferimento alla tematica dei vaccini. L’amica mi ha girato un bell’articolo scritto dal gesuita Paolo Beltrame il 4 marzo e intitolato: Se i quanti gettano luce sulla teologia. Presentato su La Civiltà Cattolica col titolo Forse Dio gioca a dadi?

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Mi ha fatto molto piacere leggere questo articolo, che mi ha ricordato anche gli anni universitari quando anch’io ho approfondito per circa un anno la materia della filosofia della scienza, studiando il bellissimo testo di Werner Heisenberg, Fisica e Filosofia, per studiare poi approfonditamente la teoria dei quanti, sebbene non sia entrato in terminologia matematica [N.d.R. Padre Gabriele prima di entrare nell’Ordine dei Frati Predicatori ha svolto i corsi di laurea in filosofia all’Università La Sapienza di Roma]. Il gesuita Paolo Beltrame offre una riflessione-ponte fra la teoria dei quanti e la teologia trinitaria. Lascio a voi la lettura integrale dell’articolo che non richiede eccessive competenze né di fisica né di filosofia.

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Nell’articolo mi ha colpito questa citazione attribuita al fisico danese Niehls Bohr premio Nobel nel 1922 per gli studi sull’atomo, che diceva:

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«[…] i fenomeni esistono in quanto osservati e in quanto entrano in relazione con l’apparato di misurazione».

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Forse sembrerà lontano dalla nostra prospettiva. Forse sembrerà un concetto filosofico. Ma in effetti questo è un dato anche dell’esperienza ordinaria. Ogni volta che conosciamo qualcosa, dal conoscere il quantitativo di denaro da pagare al supermercato per prendere la spesa, agli orari delle Sante Messe, venendo poi alle grandi scelte di vita, come conoscere se possiamo fidarci di quella persona o meno, c’è sempre una relazione fra noi e l’oggetto conosciuto. L’oggetto conosciuto si chiude a noi perché è osservato ai nostri sensi che lo misurano. Diventa evidente per noi e per tutti coloro che lo osservano e lo misurano. Certo, non tutta la realtà è un fenomeno misurabile e calcolabile. L’uomo non è un mero misuratore. Ma tutta la realtà è comunque studiata, appresa, compresa perché è in relazione con noi. San Tommaso D’Aquino diceva che allora la verità di un certo dato è adeguazione fra la mente che conosce quel dato e il dato stesso, vale a dire adeguazione fra l’intelletto e la realtà.

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Perché dunque mi sento di condividere il pensiero di Padre Paolo Beltrame circa i legami di questa teoria con la teologia e con la fede? Il gesuita scrive infatti che tutta la Trinità è relazione. Una dottrina classica per la teologia scolastica:

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«La Trinità è relazione in sé stessa, relazione con l’universo, e relazione con tutti gli esseri viventi, senzienti o meno».

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Questo spalanca anche la nostra via di fede e preghiera. Dio è il Dio che entra in relazione con noi e che ci ascolta, ci vede, ci scruta, ci gusta e ci tocca. Cosa questa che accade per noi mediante il miracolo dell’altare, anche detto miracolo dei miracoli: la Santissima Eucarestia, nella quale Gesù Cristo è presente in corpo, sangue, anima e divinità. E se è presente realmente, sostanzialmente e veramente, nel suo momento eucaristico entra in relazione con noi.

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Pensate anche al Santo Sacrificio della Messa, quando Gesù è presente in Persona Christi nel sacerdote e dice in quel momento «Prendete e mangiate […] prendete e bevete». E quando assumiamo la specie eucaristica, a toccarci per primo, relazionalmente, è Cristo Dio. Mentre a poco a poco noi siamo trasformati in Lui.

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Pensiamo ai momenti di dubbio e di buio per i quali alcuni grandi miracoli hanno riportato sacerdoti e fedeli alla fede eucaristica, come il Miracolo Eucaristico di Bolsena, che non è affatto «presunto» e «riproducibile in laboratorio», come ieri ha smentito con dolore e imbarazzo il nostro Padre Ariel S. Levi di Gualdo in una sua nota ― da noi Padri de L’Isola di Patmos pienamente condivisa ― ribattendo a un post infelice pubblicato da un sacerdote palermitano su Facebook. E ancora: pensate all’adorazione eucaristica, a quanto silenzioso, maestoso e tremendo è il Dio Cristo che è lì ad ascoltarci. Siamo noi che entriamo nel suo “campo visivo” sacramentale. Possiamo porgergli tutte le nostre paure, tutte le nostre speranze, tutti i nostri sogni. Li possiamo poggiare sul suo cuore eucaristico, il suo Sacro Cuore e Lui ci ascolta nel Suo Silenzio.

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Forse non avevamo mai pensato a tutto questo. Ma in fondo la Quaresima è anche approfondimento e ritorno a queste certezze della fede. Approfittiamone per riscoprire questi tesori della fede, ringraziando sia Bohr che l’Aquinate per averci aiutati a riscoprire la bellezza dell’unicità relazionale fra Dio e il miracolo dei miracoli: la Santissima Eucaristia, che è miracolo della «cristica realtà», non «presunto miracolo».

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Roma, 8 marzo 2021

Giovanni di Dio, Santo della Carità

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Quello di Bolsena è un «presunto miracolo» eucaristico? Siamo invasi da preti non cattolici che dipendono da Vescovi meno cattolici di loro che stanno alla finestra a guardare, semmai in attesa della berretta cardinalizia al merito del migrante?

—  I danni fatti attraverso i Social Media —

QUELLO DI BOLSENA È UN «PRESUNTO MIRACOLO» EUCARISTICO? SIAMO INVASI DA PRETI NON CATTOLICI CHE DIPENDONO DA VESCOVI MENO CATTOLICI DI LORO CHE STANNO ALLA FINESTRA A GUARDARE, SEMMAI IN ATTESA DELLA BERRETTA CARDINALIZIA AL MERITO DEL MIGRANTE?

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«Il sanguinamento dell’ostia di Bolsena è stato ritenuto spiegabile da Johanna C. Cullen, ricercatrice presso la Georgetown University di Washington, con la presenza di un batterio molto comune: la serratia marcescens, che, in periodi di caldo e luoghi umidi, produce su pane e focacce un abbondante pigmento rosso vivo chiamato prodigiosina, di consistenza leggermente viscosa, facilmente scambiabile per sangue fresco. La Cullen, inoltre, riuscì a riprodurre in laboratorio gli effetti del presunto miracolo»

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Vorrei tanto non rispondere, ma stanno giungendo domande di Lettori che chiedono lumi sul post che qui riproduco, pubblicato da un confratello che l’ha scritto su una pagina Facebook di cui ho scelto di non fare il nome. Questo il post del confratello:

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«Il sanguinamento dell’ostia di Bolsena è stato ritenuto spiegabile da Johanna C. Cullen, ricercatrice presso la Georgetown University di Washington, con la presenza di un batterio molto comune: la serratia marcescens, che, in periodi di caldo e luoghi umidi, produce su pane e focacce un abbondante pigmento rosso vivo chiamato prodigiosina, di consistenza leggermente viscosa, facilmente scambiabile per sangue fresco. La Cullen, inoltre, riuscì a riprodurre in laboratorio gli effetti del presunto miracolo»     

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Chiarisco anzitutto, non tanto come sacerdote e teologo ma come uomo di fede, che quelli eucaristici di Bolsena e di Lanciano sono riconosciuti dalla Chiesa come miracoli, ossia come eventi scientificamente inspiegabili nei quali la Chiesa mater et magistra ha riconosciuto il divino intervento soprannaturale. Nulla di tutto questo, per esempio, possiamo dire per la liquefazione del sangue di San Gennaro, che mai la Chiesa ha riconosciuto come miracolo, anche se il popolino partenopeo lo indica come tale. Tra miracolo e prodigio c’è una gran differenza, a chiarircelo è San Tommaso d’Aquino spiegando che quanto ai nostri occhi e sensi appare mirabile e straordinario non è detto sia un miracolo: «I veri miracoli non possono essere compiuti che dalla virtù divina: Dio infatti li compie a vantaggio degli uomini» (Summa theologiae, II-II, 178, 2). Alcuni eventi sembrano miracoli però non lo sono. Numerose sono le situazioni attraverso le quali l’uomo può cadere in inganno sino a vedere ciò che non esiste. Come vi sono invece fatti reali che non hanno però alcuna natura di miracoli, in quanto frutto di varie cause naturali, incluse quelle al momento sconosciute. Quello di Bolsena fu invece giudicato così eclatante e importante come miracolo, che da quell’evento nacque un anno dopo nel 1264 la solenne festività del Corpus Domini istituita dal Sommo Pontefice Urbano IV con la bolla Transiturus de hoc mundo.

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Tommaso d’Aquino assieme a Bonaventura di Bagnoregio, altro grande futuro Santo e dottore della Chiesa, su ordine del Sommo Pontefice prestarono assistenza al Vescovo di quella diocesi per lo studio e la verifica del miracolo. Poco dopo il Sommo Pontefice dette incarico all’Aquinate di preparare dei testi adatti per la liturgia di quella nuova solennità istituita. Fu così che nacquero alcuni tra gli inni eucaristici più belli della storia della Chiesa, tra i quali l’Inno Adoro Te Devote, citato in molti documenti del magistero della Chiesa, in documenti dell’ultimo concilio e nel Catechismo della Chiesa Cattolica. Tutto questo è forse avvenuto per un … «presunto miracolo»? Perché chiamare quello eucaristico di Bolsena «presunto miracolo» dovrebbe indurre a interrogarsi anzitutto su una formazione non semplicemente presunta, ma decisamente non cattolica ricevuta da questo sacerdote che instilla dubbi con un simile post pubblicato sui social media. Allo stesso tempo bisognerebbe interrogarsi sulla formazione teologica e pastorale forse più carente ancora del suo vescovo che lo lascia fare non da oggi ma da sempre, non essendo questo suo presbitero nuovo a queste espressioni inopportune e infelici. Forse perché S.E. Mons. Corrado Lorefice, Arcivescovo metropolita di Palermo, la pensa di fondo come il suo prete, essendo semmai, presumibilmente, persino peggiore del suo prete stesso?

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Per quanto mi riguarda sono molto onorato di affermare che se una dichiarazione pubblica di questo genere l’avessi fatta io, il mio Vescovo mi avrebbe intimato di smentirla immediatamente, poi penso che mi avrebbe proibito di scrivere sui social media per i successivi tre anni. E nell’agire a questo modo non avrebbe fatto semplicemente bene, ma benissimo, tanto pesa sulla coscienza di un Vescovo il dovere inderogabile di proteggere i Christi Fideles dagli errori di certi sacerdoti, che proprio in quanto sacerdoti possono recare molti più danni di quanti mai ne recheranno dei laicisti non credenti. Certo, il mio vescovo avrebbe agito a questo modo perché è un autentico credente, come lo sono io suo presbitero. Per quanto riguarda questo presbitero e il suo Vescovo Corrado Lorefice sinceramente non so, davvero non so. Perché quando un Vescovo lascia libero un suo sacerdote di affermare pubblicamente cose di questo genere, si è obbligati a interrogarsi sulla fede cattolica del Vescovo, per poi dire con profondo dolore: non lo so … con un grazie del tutto particolare rivolto al Pontefice regnante, che da otto anni ci regala questo genere di vescovi, dopo che lo hanno emulato parlando solo di poveri e migranti, di migranti e poveri. Peccato che la Chiesa si regga però sull’Eucaristia, non sui poveri e i migranti, qualcuno lo spieghi, al Romano Pontefice, non è mai troppo tardi.   

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 Dall’Isola di Patmos, 7 marzo 2021

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Ecco infine documentata la fonte dalla quale l’autore dell’infelice post ha tratto la sensazionale notizia “scientifica” con un copia/incolla … Wikipedia (!?)

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Diceva Massimo Troisi: «Non ci resta che piangere» (dall’omonimo film del 1984)

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Gabriele Giordano M. Scardocci
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Gabriele

Quella luce che pervade e che disintegra ogni limite in questa società in cui la cultura della morte cerca di prevalere sulla vita: Paolo Palumbo e la sua storia di S.L.A. mutata in «Solo Luce Attorno». E in coda la straordinaria band dei «Ladri di carrozzelle»

—  Attualità ecclesiale —

QUELLA LUCE CHE PERVADE E CHE DISINTEGRA OGNI LIMITE IN QUESTA SOCIETÀ IN CUI LA CULTURA DELLA MORTE CERCA DI PREVALERE SULLA VITA: PAOLO PALUMBO E LA SUA STORIA DI S.L.A. MUTATA IN «SOLO LUCE ATTORNO». E IN CODA LA STRAORDINARIA BAND DEI «LADRI DI CARROZZELLE»

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Le lungaggini burocratiche per ottenere ciò che è un diritto dei disabili, come la sedia a rotelle o il montascale, le pensioni di invalidità e di accompagnamento così esigue da non coprire minimamente le spese sanitarie che devono sostenere, sono tutte realtà con cui i disabili e le loro famiglie devono convivere ogni giorno, come ci cantano il rock music i mitici Ladri di carrozzelle.

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Autore:
Gabriele Giordano M. Scardocci, O.P.

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PDF  articolo formato stampa

 

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Paolo Palumbo, ammalato di S.L.A. (Sclerosi Laterale Amiotrofica) ospite al Festival di Sanremo nella stagione 2017

Incredibile come l’incipit del Vangelo di Giovanni sia a un tempo denso di significati teologici e spirituali e al tempo stesso in che modo questi significati continuino ad illuminare le nostre vite di fede intessute di un quotidiano di incertezza. In fondo era quello che l’Apostolo Giovanni voleva, quando ha composto il suo Vangelo: mostrare che l’Incarnazione fosse un fatto vero, concreto, reale, affinché questa realtà potesse irrompere nelle nostre vite per cambiarle una volta e per sempre:

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Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto (Gv 1, 9-10).

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Questo è il vero Incontro di fede, con coloro che trasmettono il dato della fede dell’Incarnazione, quella che festeggiamo ogni Natale, anche se troppo spesso ce ne dimentichiamo. Perché l’Incarnazione è il mistero rivelato di una Luce che pervade l’umanità nella notte più oscura. Nella tenebra dell’anima, la fiaccola della Luce di Gesù Cristo, il Verbo Incarnato, viene ad ardere e donare chiarezza e calore nel freddo glaciale giunto fino al punto di divisione dell’anima.

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C’è ovviamente chi questa Luce non l’ha voluta. Si è voltato dall’altra parte. C’è chi quindi ha rifiutato Gesù e lo ha fatto condannare a morte. È accaduto nella storia di eri e continua ad accadere. Ancora oggi che l’azione di Cristo prosegue nella Sua Chiesa, c’è chi preferisce tramare nell’ombra del peccato, dell’egoismo, della violenza e dell’omicidio, come ho già parlato attraverso il caso di Willy Monteiro in un mio precedente articolo [vedere QUI]. Eppure, al contrario di molti che non l’hanno riconosciuto, c’è però qualcuno che la Luce del Verbo Incarnato l’ha voluta prendere. Anche se per la mentalità perfezionista e materialista del mondo Gesù Cristo, oggi, sarebbe considerato un perdente.

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Paolo Palumbo, credente e malato di SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica), la sua storia ha voluto raccontarla in un libro meraviglioso intitolato: Per volare mi bastano gli occhi.

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Dinanzi a Paolo che convive con questa brutta malattia da quando aveva 18 anni, già immagino le supercazzole di qualche cattolico adulto che si sta domandando come mai non ha chiesto subito l’eutanasia, perché in fondo «che vita sarebbe mai quella?», «Perché tutte quelle sofferenze?», «Perché negargli un atto di libertà?». Eppure tutta la vita di Paolo è una risposta a questo immenso e disumano mare di sciocchezze dettate dalla cultura della morte.  Chi legge i suoi post, non solo esce dagli schemi hitleriani eutanasici, ma si trova catapultato in una realtà positiva, piena di gioia e di tanta fede che fa riflettere e interrogare più volte, una realtà tutta quanta ripiena della Luce del Risorto.

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Ma andiamo con ordine e incominciamo dal principio: il 10 Settembre 2016, quando Paolo ha diciotto anni gli viene diagnosticata la Sclerosi Laterale Amiotrofica, una malattia neurodegenerativa progressiva che colpisce i motoneuroni, ovvero le cellule nervose cerebrali e del midollo spinale in grado di regolare l’attività di contrazione dei muscoli volontari. Quando ricevono la notizia i familiari cadono in uno stato di shock. Paolo risulta infatti essere il più giovane individuo colpito da questa malattia, i genitori e il fratello non sanno come affrontare questa durissima prova a cui sono chiamati. Ma nel frattempo lui li stupisce tutti fin da subito mostrando una forza e una positività incredibile. La sua forza risiede soprattutto in un ottimismo generato dalla grazia di Dio e dalla luce del Cristo che Risplende nelle tenebre, che non l’hanno vinta (cfr. Gv 1,5). E così Paolo, la sua malattia abbreviata con la sigla SLA, giunge al punto di ribattezzarla:  Solo Luce Attorno!

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Difficile non innamorarsi di Paolo dopo avere letto le sue parole, perché è una vera forza della natura elevata dalla grazia, un concentrato di vitalità e caparbietà. In ogni parola del libro si coglie quanto forte sia la sua personalità. Mai, si è lasciato sopraffare dalla malattia, anzi con la sua vita la sconfigge ogni giorno. Nulla gli è impossibile, perché ha cominciato a vivere nell’ottica della memoria resurrectionis, in quella dimensione della vita che vince e sconfigge ogni morte. E così, riempito di Luce trinitaria, Paolo ci offre una lezione magistrale su come affrontare le nostre debolezze. Lui stesso scrive infatti che i limiti siamo solo noi a imporceli, perché sono solo nella nostra testa. Basti pensare che Paolo è salito sul palco di Sanremo, che ha incontrato il Sommo Pontefice Francesco, il Presidente degli Stati Uniti d’America Barack Obama e il Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella per parlargli della dura realtà con cui convivono i disabili. Paolo ha guidato un drone attraverso gli occhi e inventato un modo per far sentire i sapori dei cibi anche a chi come lui, a causa della disfagia, non può più avere il piacere di farlo. E sono solo alcune delle molte cose che ha fatto da quel fatidico 10 settembre, quando come una sentenza inappellabile fu formulata la sua diagnosi.  

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Paolo Palumbo è una persona straordinaria, un vero dono di Dio all’umanità, forse l’unico a non esserne ancora del tutto consapevole è lui, animato da una fede così grande che ogni giorno gli dona il coraggio per affrontare le tante difficoltà che la sua grave malattia, ma soprattutto la società, gli pongono davanti, andando avanti senza paura, mossa dalla cultura della vita, non dalla cultura della morte.

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Poi, se nella storia di questa vita radiosa vogliamo ricercare una stonatura oscura, che prescinde però del tutto dalla malattia di Paolo, è al solito l’impatto sociale, perché è lì che ci sono molte cose da aggiustare. La realtà che dovrebbe portare un aiuto ai disabili, da trent’anni a questa parte non è purtroppo cambiata.

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Le lungaggini burocratiche per ottenere ciò che è un diritto dei disabili, come la sedia a rotelle o il montascale, le pensioni di invalidità e di accompagnamento così esigue da non coprire minimamente le spese sanitarie che devono sostenere, sono tutte realtà con cui i disabili e le loro famiglie devono convivere ogni giorno. E anche in questo frangente Paolo non si è mai tirato indietro, insieme al suo inseparabile fratello Rosario ha affrontato a “muso duro” tantissime battaglie per far valere i suoi diritti e quelli di tutti i disabili. Peccato che, come al solito, in molti gli hanno fatto promesse per poi abbandonarlo. O come dice Paolo: «I limiti sono solo e soltanto quelli che noi stessi ci imponiamo». Perciò, cari amici de L’isola di Patmos, attingiamo dalla storia di Paolo Palumbo il coraggio di chiedere a Dio la sua Luce Trinitaria, che pervada e disintegri ogni nostro limite e ogni nostro orgoglio. E anche per noi inizierà l’era della Sola Luce Attorno, l’era in cui diventeremo uomini vivi e forti nella fede, con la Vita e la Gioia del Risorto.

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Roma, 3 marzo 2021

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(Con la collaborazione di Alessandra Fusco, autrice del Club Theologicum)

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I MITICI LADRI DI CARROZZELLE IN «DISTROFICHETTO»

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Padre Gabriele

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Com’è triste Venezia ai tempi del Covid, cantata da un prete politicamente scorretto anziché da Charles Aznavour

—  Attualità ecclesiale —

«COM’È TRISTE VENEZIA» AI TEMPI DEL COVID, CANTATA DA UN PRETE POLITICAMENTE SCORRETTO ANZICHÈ DA CHARLES AZNAVOUR

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Oggi che sono in vena di rivelazioni vi svelerò un arcano: chi ha letto gli scritti stomachevoli ancor più che dissacranti del de Sade e dell’Apollinaire ― e ciò non tanto per interesse letterario ma psichiatrico e demonologico ―, ha molto chiaro quanto certi odierni aspiranti al politicamente scorretto siano in verità solo ingenue creature che pensano di avere svaligiato col colpo del secolo il caveau della Banca d’Italia dopo avere rubato soltanto un barattolo di marmellata in un ipermercato.

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PDF  articolo formato stampa

 

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Merda d’Artista, opera d’arte di Piero Manzoni, conservata al Museo del Novecento di Milano, al Centro Georges Pompidou di Parigi e al Museum of Modern Art di New York. Nel 2018 uno di questi barattoli di merda è stato venduto a 275.000 euro dalla casa d’aste milanes Il Ponte. A questo link sono disponibili tutte le spiegazioni artistiche con le relative implicazioni psicanalitiche, socio-politiche, culturali, ecc …

Uno dei cavalli di battaglia del cantante francese di origine armena Charles Aznavour [nato Chahnourh Varinag Aznavourian, Parigi 1924 – Mouriès 2018] è la canzone Com’è triste Venezia:

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«Com’è triste Venezia soltanto un anno dopo/  Com’è triste Venezia se non si ama più/ Si cercano parole che nessuno dirà/ E si vorrebbe piangere e non si può più».

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Prima di giungere a Venezia usata come paradigma, è bene spiegare cos’è politicamente scorretto e cosa no. Forse lo è Piero Manzoni autore della sua Merda d’Artista tutt’oggi conservata al Museo del Novecento di Milano, al Centro Georges Pompidou di Parigi e al Museum of Modern Art di New York? Opera preziosa e quotata, si pensi che una delle sue scatolette di merda è stata venduta nel dicembre del 2018 presso la casa d’asta milanese Il Ponte a 275.000 euro [cfr. QUI]. E tutt’oggi i critici spiegano il senso di quell’opera assicurando con serietà: «… è un artista di rottura, contro-tendenza, politicamente scorretto …».

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Sarebbe questo il politicamente scorretto, una scatoletta di merda? O forse «Piss Chirst» (piscio di Cristo), “opera” di Andres Serrano, consistente in un Crocifisso immerso in un bicchiere pieno della sua orina? [cfr. QUI]. Sarebbe questo il tanto decantato politicamente scorretto che produce eccitazione nei fricchettoni della Sinistra radical chic che si muovono tra i superattici dei Parioli e le ville di Capalbio?

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Oggi che sono in vena di rivelazioni vi svelerò un arcano: chi ha letto gli scritti stomachevoli ancor più che dissacranti del de Sade e dell’Apollinaire ― e ciò non tanto per interesse letterario ma psichiatrico e demonologico ―, ha molto chiaro quanto certi odierni aspiranti al politicamente scorretto siano in verità solo ingenue creature che pensano di avere svaligiato col colpo del secolo il caveau della Banca d’Italia dopo avere rubato soltanto un barattolo di marmellata in un ipermercato.

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Volete portare allo scoperto certi principianti del politicamente scorretto o della dissacrazione di bassa lega, tipo il Crocifisso immerso in un bicchiere di “artistico” piscio, facendoli esplodere all’istante al di fuori d’ogni logico equilibrio? Per farlo basterà questa pubblica affermazione: «Nella tarda mattina un negro già ubriaco fradicio mi ha attraversato la strada col semaforo rosso per i pedoni. Meno male che ho avuto i riflessi pronti e inchiodato una frenata, altrimenti rischiavo di stendere un negro ubriaco sotto le ruote».

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Udito questo i principianti del politicamente scorretto, gli stessi che difendono la artisticità di chi deve esercitare il libero diritto a mettere un Crocifisso a mollo dentro il proprio piscio, si stracceranno le vesti dinanzi a chi ha osato far uso dell’innocua parola «negro», anziché indicare quella persona molto abbronzata come “uomo di colore”. Un conto è infatti esporre un Crocifisso dentro un bicchiere di piscio e chiamare il tutto arte con tanto di pubblici patrocini a beneficio di eventi e manifestazioni artistiche, un conto chiamare negro un africano nero come un tizzone di carbone, perché ciò non si fa, è una espressione razzista inaccettabile! Nella società di oggi che si reputa veramente civile, un negro non è un negro, è un uomo di colore, allo stesso modo in cui Gesù Cristo crocifisso immerso dentro un bicchiere di piscio non è patetica dissacrazione da quattro soldi, è arte. Anzi: “arte di rottura”, “di trasgressione”, come direbbe il critico di turno fricchettone di sinistra e, ovviamente, manco a dirsi orgoglioso gay dichiarato. E non sia mai che qualcuno gli risponda a tono dicendogli «… ma smettila frocetto di dire scemenze, impara piuttosto a rispettare gli altri». Chiamare infatti “frocetto” un critico d’arte ostentatamente gay che ti presenta come arte un Crocifisso a mollo dentro un bicchiere di piscio, è un insulto tale da richiedere una apposita legge sulla transomofobia, da approvare di corsa e con assoluta priorità in piena pandemia, mentre gli ospedali italiani scoppiano e le terapie intensive sono al collasso. Invece, Gesù Cristo immerso nel piscio, è “arte di rottura” sulla quale non si discute. E chiunque osasse mettere in discussione quell’opera d’arte sarà puntualmente definito come bigotto catto-fascista, soprattutto da un esercito di frocetti in vena di trasgressioni, che poi tali non solo, primo perché non hanno inventato niente, secondo perché, molti secoli fa, a Sodoma e Gomorra hanno trasgredito molto più e molto meglio di loro. Ah, dolce ignoranza dei LGBT+ che pensano di avere inventata la trasgressione! Probabilmente non immaginano neppure che cosa fossero città come Corinto all’epoca in cui il Beato Apostolo Paolo predicava ai suoi abitanti. Ah, dolce e gretta ignoranza provinciale …

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La verità è che i sinistri radical chic con i loro amici LGBT+, con i loro barattoli di Merda d’Artista e i poveri Cristi messi a mollo nel piscio e dichiarati “arte” dal critico d’arte gay di turno, pronto però a dare all’istante del catto-fascista a chiunque osi dissentire, sono politicamente scorretti e dissacranti come potrebbe esserlo un’educanda che giammai verga d’uomo vide neppure in fotografia, ma che millanta d’essere una sciupa-uomini seriale, salvo cadere nel ridicolo, perché nei concreti fatti è una vergine illibata e persino timida. Così come nel ridicolo sprofondò l’oggi giustamente dimenticato Alberto Moravia, che con la sua miseranda opera La vita interiore e il personaggio della sua giovane Desideria vogliosa, autore dissacrante e di rottura poteva esserlo giusto per quattro figli di papà alto borghesi che mai avevano letto nelle loro insipide esistenze gli autori più dissacranti e distruttivi del Settecento, convinti che il disprezzo per tutto ciò che è puro e sacro fosse stato inventato nel 1978 da un sessuomane come Alberto Pincherle detto Moravia, o da quell’ubriaco di Charles Bukowski, per il quale non si capisce perché non sia stato mai istituito il Premio Letterario Cirrosi Epatica.

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Tra questi discorsi mi è caro ricordare il mio amico Paolo Poli, che con tutta la sua platealità teatrale soleva dirmi in tono sconsolato:

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«Io che sono un frocissimo serio, non sopporto questi piccoli frocetti di nuova generazione privi di serietà, sono patetici! Il vero frocismo è roba da professionisti non da … [N.d.A. e giunto a questo punto della frase mi devo fermare]».

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Sugli aspiranti alle “rotture” e alle “dissacrazioni” cosiddette epocali, il caro Paolo Poli proseguì dicendomi:

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«… ma figurati tesorino mio, certi soggetti che pensano di essere intellettuali dissacranti e di rottura? Oh, che ridicoli! Nella migliore delle ipotesi fanno il bidet tre volte al giorno nella pila dell’acqua santa per purificarsi e mondarsi dai loro piccoli peccatucci».

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Questi erano per Paolo Poli gli intellettuali della Sinistra italiana e i suoi quattro figli di papà alto borghesi che giocavano agli intellettuali e ai trasgressivi. 

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Chiarito cosa non è politicamente scorretto, anche col prezioso ausilio del ricordo del mio amico «frocissimo» Paolo Poli, ma soprattutto dopo avere puntualizzato come certi chierichetti di paese che servono la Messa a un curato di campagna pensino di essere i cardinali diaconi che assistono il Romano Pontefice durante un solenne pontificale all’altare della Confessione nella Papale Arcibasilica di San Pietro, io che della scorrettezza politica sono un grande professionista — se permettete anche di alto livello politico ed ecclesiale —, adesso vi canterò Com’è triste Venezia ai tempi del Covid-19. In verità triste lo era anche prima, però la vacca era grassa e spargeva latte, per questo nessuno si accorgeva della sua intima e profonda tristezza.

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Ogni persona dotata di buon senso è preoccupata perché assieme al problema del Covid-19, delle sue ondate che non si arrestano e delle sue varianti, c’è quello non meno lieve della situazione economica che coinvolge aziende, attività commerciali e singoli lavoratori. Interi nuclei familiari temono per la loro sussistenza e dal marzo del 2020 vivono in situazioni di grandi difficoltà. Non parliamo del lavoro, delle casse integrazioni giunte, non giunte o da giungere. Dei contributi, dei finanziamenti o dei cosiddetti “ristori” dati o non dati, ricevuti o non ricevuti, giunti o da giungere, che in ogni caso non potranno comunque durare in eterno. È a dir poco ovvio che a un certo punto sia stato scelto uno specialista in economia di fama mondiale come Mario Draghi per presiedere il nuovo “governo di emergenza”. O forse potevamo permetterci di seguitare a dissipare soldi tra monopattini, biciclette e reddito grillino di cittadinanza con il quale i dilettanti allo sbaraglio del comico schizofrenico si sono comprati voti nell’intero meridione d’Italia, dove in molti collegi elettorali sono state superate persino le mitologiche maggioranze bulgare? [cfr. precedente articolo, QUI] Così, ciò che nella disgrazia non certo auspicabile e meno che mai desiderabile poteva essere un’occasione di riflessione, maturazione e cambiamento sociale, si è presto mutata in una occasione perduta, soprattutto perché nessuno, in testa a tutti politici e pubblici amministratori affamati di voti, è disposto a dire al popolo, o a certe sue fette o categorie di persone, delle spiacevoli verità, esattamente quelle che nessuno vuole sentirsi dire.

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In vari programmi televisivi abbiamo più volte assistito alle proteste dei commercianti veneziani che rispondevano ai giornalisti nelle varie dirette televisive: «Non riusciamo ad andare avanti … tra poco saremo alla fame … Venezia sta morendo … ». Seguitavano poi alcune urla di rabbia: «Ci hanno dimenticati, ci hanno dimenticati!». 

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Come cittadino italiano amante dell’arte e pastore in cura d’anime, vorrei rispondere a quei commercianti veneziani da protesta televisiva che per quanto mi riguarda non li ho affatto dimenticati, anzi li ricordo benissimo, persino a distanza di anni. Per esempio ricordo di avere visto da porte semi-aperte o da finestre alte un metro e mezzo affacciate sulle calli della Città lagunare, gli interni di cucine di ristoranti, osterie, pizzerie e fast-food di una tale sporcizia interna da non essere equiparabili a quelli dell’Algeria degli anni Cinquanta, che di certo erano più puliti. Vedendo ciò che all’interno c’era di sporco mi sorse persino il dubbio che gli stessi topi fossero riluttanti ad avvicinarsi. Ricordo anche d’aver pagato nel 2001, in piedi davanti al bancone di un bar, che tanto per chiarire non era in Piazza San Marco ma in una zona decentrata, l’importo di 11 euro per due cappuccini e due cornetti. Ma non è questo il punto, perché a Venezia possiamo, anzi dobbiamo concedere anche 11 euro per due cappuccini e due cornetti, ben precisando che sto a parlare non di ieri ma vent’anni fa, Venezia è infatti una città unica al mondo, certi importi se li merita tutti, i prezzi alti potrebbero essere persino un eccellente deterrente per evitare che sia presa d’assalto da numerose orde di turisti selvaggi, che questa delicata Città d’arte non può reggere. Se quindi vai a Venezia devi essere pronto a spendere, altrimenti è bene scegliere mete più economiche. Però, ciò premesso, proseguo dicendo che solo dei ladri patentati come i veneziani possono offrire a quel prezzo dei cappuccini fatti non con latte fresco ma con latte a lunga conservazione di terza qualità, per non parlare della qualità assolutamente scadente del caffè. I due cornetti li gettammo poi nel cestino, sotto gli occhi del tutto indifferenti del barista, perché non solo erano grassi idrogenati surgelati, peggio: erano stati scongelati male, quindi cotti all’esterno ma crudi dentro.

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E vogliamo parlare dei negozi traboccanti chincaglierie con gestori e commessi di rara maleducazione e ignoranza, poiché sicuri che tanto migliaia di persone se ne sarebbero andate via la sera più o meno scontente e altre migliaia pronte per essere spennate sarebbero giunte il giorno dopo? No, non abbiate paura di essere dimenticati, cari commercianti veneziani oggi piangenti, perché in molti non vi dimenticheremo mai, molti e sparsi per tutto il mondo. E come potrei dimenticare quel che mi accadde in un hotel a quattro stelle nel 1998, quando eravamo sempre con la vecchia moneta? Accadde che in un periodo di media stagione pagai per una camera singola con prima colazione 280.000 lire, corrispondenti secondo le tariffe oggi applicate a circa 650 euro. Quando la sera andai a dormire trovai nel letto due capelli neri ed esaminando bene le lenzuola alla luce notai alcune macchie sulle quali sorvolo. Scendo alla reception dove faccio le mie rimostranze. Giunge il direttore che senza menarla per le lunghe mi dice: «Se la nostra struttura non l’aggrada può trovare posto sotto qualche ponte, a Venezia ce ne sono tanti!». Prima di diventare prete ho girato abbastanza per il mondo e posso testimoniare che in tutti gli alberghi dei Paesi del Magreb degli anni Novanta nessuno mi aveva mai presentato un letto rifatto con delle lenzuola già usate e delle macchie sulle quali è meglio sorvolare. Può accadere che per errore una camera non sia stata rifatta? Tutto inavvertitamente può accadere per involontario errore umano, però a quel punto ci si scusa e si manda immediatamente la cameriera a rifare il letto, non si invita certo il cliente che protesta ad andare a dormire sotto un ponte. Capite perché non vi dimenticherò mai, cari commercianti veneziani oggi piangenti a causa della crisi economica dovuta a Covid-19?

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Eppure pare che oggi si dovrebbe piangere non solo per quelli veneziani ma pure per i commercianti fiorentini e romani che si sono ingrassati nelle zone turistiche di queste città d’arte molto frequentate, dove per anni hanno offerto prodotti scadenti e tanta maleducazione rivolta ai clienti, certi del fatto che migliaia se ne sarebbero andati via la sera, semmai gran parte scontenti, altre migliaia pronti per essere spennati sarebbero giunti il giorno dopo. O qualcuno dimentica l’impazzimento dei prezzi attorno a Piazza San Pietro e alla Città del Vaticano nel 2005 in occasione della morte del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II? Altro che Venezia, in Via della Conciliazione si giunse a chiedere 24 euro per due cappuccini e due cornetti. Dato però che sono politicamente scorretto, ma lo sono sul serio e come dicevo ad alti livelli professionali, in tutta tranquillità vi dichiaro che per costoro non intendo affatto piangere una lacrima, neppure se Gianfranco Vissani, con la sua aria più simile a quella di un vecchio macellaio d’altri tempi anziché a quella di un elegante chef stellato, gira per le reti televisive a difendere acriticamente, tra urla e discorsi spesso campati in aria, una categoria composta anche da tante persone per le quali non si è tenuti a piangere, per esempio per l’esercito dei non pochi improvvisati all’arrembaggio che da sempre recano gravissimi danni al delicato settore alberghiero, ma soprattutto a quello della ristorazione.

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Lungi dal piangere per certi ristoratori o albergatori di zone turistiche dove si pratica la “rapina” del turista, le mie lacrime sono riservate per i loro dipendenti e le rispettive famiglie. Sono riservate a tutti quei ristoratori che amano il proprio lavoro con passione e che considerano la cucina italiana una vera e propria cultura di questo nostro Paese di arti e talenti. Le mie lacrime sono rivolte a cuochi e camerieri, bravi professionalmente e molto attaccati al loro lavoro, costretti da gestori assatanati di soldi e incuranti della salute dei loro clienti a usare alimenti di terza qualità fatti passare per prima, presentando come italiane carni scadenti provenienti da dubbi allevamenti degli ex Paesi dell’Est, pesci surgelati spacciati come pesca della notte, funghi porcini garantiti come raccolti nei vicini boschi dalle mani sante dei vecchi nonni e venduti per questo a peso d’oro, ma provenienti in realtà da coltivazioni dell’Ucraina dove avevano assorbito residui tossici radioattivi [cfr. QUI].

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Sorvoliamo sulle truffe alimentari, perché sarebbe un tema enciclopedico. Quante volte nella mia qualità di prete mi sono ritrovato a parlare con aiuto-cuochi e camerieri che mi hanno esposto le loro non lievi crisi di coscienza, dovendo assistere ogni giorno silenziosi a tutto questo e altro ancora, sino agli alimenti avanzati dai piatti dei clienti e riciclati in cucine di ristoranti pretenziosi, non in osterie di quarta classe? Forse a Gianfranco Vissani, celebre chef e rappresentante della categoria, certe domande può essere che non le abbiano mai rivolte, mentre a me che sono un prete sì, tanto che più volte mi sono sentito chiedere: «Il mio lavoro di aiuto cuoco … di cameriere … di lavapiatti … mi serve per vivere. Il mio stipendio mi costringe però a vedere ogni giorno dentro le cucine carenze igieniche nella preparazione dei cibi, alimenti deteriorati rigenerati, avanzi riciclati e poi rimessi nei piatti». Per quanto possa sembrare impossibile, di persone che ancora hanno una coscienza ne esistono. Semmai la coscienza ce l’ha però l’aiuto-cuoco, il lavapiatti e il cameriere, non certi ristoratori che a prezzo della salute altrui devono sfoggiare un’auto sportiva nuova all’anno e che oggi strepitano contro governo e politici davanti alle telecamere a causa della crisi generata dalla pandemia in corso.

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A Venezia sorge nell’area della punta della Dogana la maestosa chiesa basilicale di Santa Maria della salute, eretta dai veneziani come voto fatto dalla cittadinanza alla Vergine Maria alla quale è attribuita la liberazione dalla peste del 1630-1631. E qui va ricordato che in quella come in altre epoche, Venezia era un bordello a cielo aperto e crocevia di ogni genere di malaffare. Non lo dico io, è la storia che lo documenta in tutti i dettagli. Lo documentano persino le cronache ecclesiastiche, oltre alle sentenze dei tribunali ecclesiastici, che definirono più volte i conventi e i monasteri delle monache veneziane «perfin peggiori delli lupanari» e sconsigliavano gli uomini di retti costumi dal visitare certe case religiose femminili [rimando a questo mio articolo storico, QUI]. All’epoca di quella pestilenza i veneziani si raccomandarono però all’intercessione della Beata Vergine alla quale poi dedicarono questa chiesa. Oggi, a chi intendono rivolgersi? Ai ristori, ai fondi dell’Unione Europea?

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Credo di avervi mostrato a sufficienza cosa veramente e costruttivamente sia il vero politicamente scorretto. Non un barattolo di merda fatto passare per arte e neppure il povero Crocifisso messo a mollo dentro un bicchiere di piscio per rappresentare chissà quale “arte di rottura” e “arte di trasgressione”. Il vero politicamente scorretto è quella verità che non si vuol sentire e che per questo si cerca d’impedire in tutti i modi e con qualsiasi mezzo che possa essere detta, perché di mezzo ci sono i voti per i politici, il quieto vivere per i vescovi e per i preti, oltre a un’economia sommersa fatta di gente che non vuole pagare le tasse ma che vuole vivere bene e che, alla prima difficoltà, incomincia a bestemmiare contro lo Stato.

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Non siamo più capaci a chiedere intercessione alla Beata Vergine e non siamo più capaci a costruirle, a peste cessata, una nuova chiesa di Santa Maria della Salute, segno della nostra salus animarum.

 

  Dall’Isola di Patmos, 28 febbraio 2021

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