Gli omosessuali e quella virtù cardinale della prudenza che il Sommo Pontefice dovrebbe esercitare, essendo sulla terra il Successore dell’Apostolo Pietro, non il Successore di Cristo

— attualità ecclesiale —

GLI OMOSESSUALI E QUELLA VIRTÙ CARDINALE DELLA PRUDENZA CHE IL SOMMO PONTEFICE DOVREBBE ESERCITARE, ESSENDO SULLA TERRA IL SUCCESSORE DELL’APOSTOLO PIETRO, NON IL SUCCESSORE DI CRISTO

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Il Romano Pontefice è sì il Vicario di Cristo, ma non è Cristo, è il suo vicario sulla terra, non il suo Successore sulla terra. Il Sommo Pontefice è il Successore di Pietro, non il Successore di Cristo. Quindi non può essere più “aperto” e più “buono” di Cristo stesso. Né può abolire ciò che Cristo ha stabilito anche attraverso la creazione dell’uomo e della donna, creati per mezzo di Lui e in vista di Lui (cfr. Col 1,16).

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Autore
Ivano Liguori, Ofm. Capp.

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«I bambini non si comprano» – Se il disegno di legge contro la omotrasofobia sarà convertito in Legge dello Stato, per una immagine come questa si rischierà il carcere. 

Da giorni ascolto fedeli cristiani turbati dalle recenti affermazioni del Romano Pontefice sulle unioni civili tra persone con tendenze omosessuali. Aggiungo a costoro diversi confratelli sacerdoti che si sono ritrovati spiazzati e imbarazzati per queste esternazioni private del Papa. Noi sacerdoti, fedeli a ogni Successore di Pietro, sappiamo, quanto certe affermazioni producano nel comune sentire precedenti che rendono poi problematica e difficoltosa la pratica pastorale, sacramentale e morale. Come già accaduto in passato con la esortazione apostolica post-sinodale Amoris Laetitia. Questo a causa di una debolezza formativa intrinseca delle persone che non riescono più a distinguere tra un pronunciamento magisteriale della Chiesa e un pettegolezzo ecclesiale. Detta in altri termini: per gli uomini di oggi ― compresi molti cristiani ― non c’è nessuna differenza tra una intervista a braccio del Pontefice con Eugenio Scalfari o con Antonio Spadaro, una enciclica e un motu proprio summorum pontificum.

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Per questo non intendo soffermarmi di proposito sull’analisi delle parole ambigue presenti in quel documentario di Evgeny Afineevsky mostrato alla Festa del Cinema di Roma di pochi giorni fa. L’opera del regista russo, da più parti è stata definita come «un buon prodotto, capace di tratteggiare il profilo di un Pontefice che è proteso verso le periferie, nel dare ascolto alla comunità tutta, soprattutto agli ultimi e ai distanti» [cfr. QUI].

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Una valutazione ardita, questa, che potrebbe avere anche un merito ai fini dell’arte cinematografica, ma che appare totalmente lesiva per l’autorità e la dignità del Papa che non può essere paragonato e assoggettato a un qualsiasi uomo in forza del suo ruolo spirituale e morale che riveste per tutta la cattolicità. Nel progetto cinematografico documentaristico il Papa dell’inclusività avrebbe affermato:

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«Le persone omosessuali hanno il diritto di essere in una famiglia. Sono figli di Dio e hanno diritto a una famiglia. Nessuno dovrebbe essere estromesso o reso infelice per questo. Ciò che dobbiamo creare è una legge sulle unioni civili. In questo modo sono coperti legalmente. Mi sono battuto per questo» [cfr. QUI].

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Di fronte a questa affermazione, possiamo annoverare la testimonianza dell’attivista cileno Juan Carlos Cruz, presente anche lui all’evento cinematografico di Roma, che ha affermato:

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«Quando ho incontrato Papa Francesco mi ha detto quanto fosse dispiaciuto per quello che era successo. Juan, è Dio che ti ha fatto gay e comunque ti ama. Dio ti ama e anche il Papa poi ti ama».

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Unendo il documentario del regista russo alla testimonianza dell’attivista cileno si confeziona così una ben precisa intenzionalità con cui leggere la figura del Pontefice, riducendolo a un capo fazione. Purtroppo, un tale tentativo non serve, perché la figura del Papa non si regge in forza di recensioni o valutazioni soggettive, bensì la figura del Papa è autentica in base a quello che ha stabilito Cristo stesso per lui, costituendolo suo vicario e rappresentante in terra. Ecco perché non serve fare l’analisi dell’intervista al Papa e cercare di ricostruire una complessa esegesi con l’unico scopo di scagionare o incolpare il Romano Pontefice. Tanto meno serve una interpretazione in bonam partem di certi teologi che hanno il solo scopo di salvare il salvabile e far dire al Papa quello che forse egli non ha mai pensato, detto o semplicemente ipotizzato. Perché bisogna anche fare i conti con quest’altra tipologia di soggetti: quelli che da sette anni si sono ormai specializzati a far dire al Sommo Pontefice ciò che non ha detto, trovando nelle sue parole quello che non c’è.

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La voce del Papa è quella della Chiesa, che si esprime attraverso organi e canali ufficiali della Santa Sede e attraverso un magistero solido, preciso e puntuale, non attraverso improvvide e inopportune chiacchiere private. La sua, piaccia o non piaccia, deve essere una voce chiara e tutelata scrupolosamente, non può essere utilizzata in documentari, interviste a braccio o live su Facebook o su Instagram. Il Papa non deve essere l’influencer di Dio.

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La voce del Papa non dovrebbe dare adito a smentite ufficiali in quanto è garanzia di quella virtù cardinale della prudenza che è imprescindibile per ogni pastore della Chiesa. Una voce che si dovrebbe sentire con saggia parsimonia, evitando quelle dispute di parola con il mondo che il Serafico Padre Francesco sconsigliava ai suoi frati.

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Ecco perché considero questi scoop così sensazionalistici, lesivi della figura del Sommo Pontefice e non vincolanti per il fedele cattolico che non ha nessun obbligo di assenso di fede. Sappiamo bene come oggi ogni affermazione può essere sapientemente manipolata e utilizzata a dovere. La stampa, i social media e i media sono in grado di cucire una nuova veste a qualsiasi affermazione quando, estrapolandone il contesto originario, viene rivoltata così tante volte da assumere una valenza contraddittoria, con il risultato di mutare in bianco quello che è nero e in bene quello che è male.

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Tali escamotage sono palesi a tutti, ma alcuni risultano essere più utili di altri quando agevolano, ad esempio, fini ben precisi e molto specifici. E il fine in questo caso coincide con la legge contro l’omotransfobia e i diritti LGBT che in Italia è in via di approvazione. Se ci pensiamo bene, questa intervista al Papa ha avuto il merito di un tempismo perfetto, infatti quale migliore sponsor del Pontefice per presentare le istanze aperturistiche della comunità arcobaleno nel contesto mediatico e sociale italiano da sempre cattolico?

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È sicuro che davanti a tali esternazioni, tutti si sentiranno in dovere di affermare ingenuamente: «se lo dice il Papa è una cosa buona, è una legge urgente e giusta», quindi bisogna farla passare. Attenzione, esemplificazioni come questa conducono molto rapidamente alla conseguenza della supremazia del positivismo giuridico sul diritto naturale e sulla morale naturale. Con la conseguenza che una legge diventa giusta solo per il fatto che è stata attuata e approvata da un legislatore umano o perché il legislatore umano considera tale legge giusta in forza del suo stesso esistere. Sappiamo bene che così non è, anzi molte leggi che pretendono il titolo di giuste e civili si sono rivelate quelle più deleterie e pericolose.

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Per San Tommaso d’Aquino il diritto umano procede da quello naturale, quindi una legge che contrasta con il diritto naturale non solo può essere nociva ma anche moralmente inumana e sconveniente in quanto si oppone a Dio come supremo bene e legislatore. Chiarito questo, ritorniamo alle esternazioni papali e ai problemi contingenti.

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Deve essere a tutti chiaro che qualsiasi Papa non può andare contro il deposito della fede cattolica e della dottrina perenne della Chiesa. In merito alle persone con tendenze omosessuali la Chiesa è già stata abbastanza chiara, sia attraverso la rivelazione scritturistica, sia attraverso i pronunciamenti magisteriali, sia nella pratica pastorale dei direttori d’anime. Il Papa non può che ribadire e confermare quello che c’è già nell’insegnamento della Chiesa e nel caso in cui voglia chiarire ulteriormente il suo pensiero circa questioni particolari, lo può fare senza però uscire dall’alveo del magistero bimillenario.

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Quindi il Papa, come tale, non potrà mai dire che è necessario per le coppie omosessuali sposarsi, avere dei figli ed equiparare il loro matrimonio a quello naturale tra un uomo e una donna. Questo non potrà mai accadere, ma questo non deve essere visto necessariamente come una presa di posizione all’odio, anzi è necessario ribadire con chiarezza che nella Chiesa qualsiasi persona predisposta all’omosessualità non andrà mai dileggiata o condannata ma semmai accompagnata con sollecitudine verso un cammino di verità che non può però rinnegare sé stesso.    

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La mia analisi appare corretta e possiede un senso se la confrontiamo con l’evidenza dei fatti e con le reazioni scaturite dopo l’uscita del documentario sul Papa. In Italia l’onorevole Zan, principale firmatario della legge contro l’omotransfobia, scrive su Twitter:

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«Le parole di @Pontifex_it su #UnioniCivili riconoscono il diritto delle persone #lgbt alla vita familiare e aiutano il contrasto all’odio e alle discriminazioni. È compito del legislatore combattere questi fenomeni violenti: ora acceleriamo su legge contro #omotransfobia» [cfr. QUI].

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Risposte pubbliche come queste si sono moltiplicate in tutto il mondo politico internazionale e in tutti gli ambienti che sostengono le lobby LGBT, tanto da innalzare un canto di vittoria e portare in trionfo il Pontefice come colui che ha posto finalmente fine all’oscurantismo cattolico di matrice medievale, razzista, fascista e maschilista.

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È palese che tali signori ignorano profondamente cosa sia il Romano Pontefice e quale sia il suo ruolo all’interno della Chiesa Cattolica. Egli è sì il Vicario di Cristo ma non è Cristo, è appunto il suo vicario sulla terra, non certo il suo Successore sulla terra. Il Sommo Pontefice, per meglio ancora chiarire, è il Successore di Pietro, non è il Successore di Cristo. Né può tanto meno essere più “aperto” e più “buono” di Cristo stesso. Con ciò è presto detto che non può abolire ciò che Cristo ha stabilito anche attraverso la creazione dell’uomo e della donna, creati per mezzo di Lui e in vista di Lui (cfr. Col 1,16). Così l’uomo e la donna, maschio e femmina, unici e complementari, fanno parte di una finalità naturale che si realizza non soltanto attraverso un atto fisiologicamente corretto ma anche rispettando il fine a cui quest’atto intrinsecamente mira, cioè al vivere una sessualità unitiva e procreativa orientata e redenta dall’unico e sommo bene che è Dio.

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E la consapevolezza di essere Servo dei servi di Dio costituisce proprio la via di redenzione del Beato apostolo Pietro. Egli a Cesarèa di Filippo, sebbene costituito da Cristo come pietra su cui edificare la Chiesa (cfr. Mt 16,18), ha dovuto convertirsi attraverso una nuova sequela. Dopo aver scandalizzato il Maestro con una proposta di salvezza alternativa alla croce e all’obbedienza al Padre (cfr. Mt 16,21-23), ha capito che Cristo è l’unica strada percorribile all’uomo. Pietro, quindi ogni Pontefice di ogni tempo, si rende ben conto che il suo ufficio è nelle mani di Cristo e produce salvezza solo e soltanto quando si permette a Cristo di salvare il mondo attraverso il sacrificio della croce e dell’obbedienza a Dio (cfr. Gv 21,15-19).

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Come ben sappiamo, oggi parlare di croce e di obbedienza significa essere presi per fanatici, queste sono realtà non gradite al mondo. Per questo motivo è meglio cercare realtà di salvezza aliene da Cristo, mostrando nel Vicario di Cristo un sostituto, attraverso il quale mostrare strade nuove più stuzzicanti, o per meglio dire, procedendo ovviamente per assurdo paradosso: “Se Cristo è rimasto indietro, il suo Vicario sulla terra può aggiornare, o meglio rivoluzionare tutto quanto”.

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Questa è la vera astuzia demoniaca che imperversa la nostra contemporaneità e che ancora cerca di usare la figura del capo della cristianità per confondere gli uomini e disunire la Chiesa. Pietro, che in passato è stato vagliato come il buon grano da Satana (Lc 22,31-34), patisce ancora gli attacchi della scimmia di Dio, che da fuori e da dentro la Chiesa, sottopone i successori dell’apostolo a una continua tentazione a cui si può resistere solo attraverso la preghiera di Cristo e a un continuo ed umile ravvedimento dopo l’errore: «Simone, Simone ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli» (Lc 22,31-32).

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Laconi, 24 ottobre 2020

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