«Io sono Roberto Bolle, non un pollo che razzola nel pollaio». Quei cattolici depressi e deprimenti che rinchiudono la morale dentro un preservativo e che considerano il sesso come centro dell’intero mistero del male

— Le Pagine di Theologica —

«IO SONO ROBERTO BOLLE, NON UN POLLO CHE RAZZOLA NEL POLLAIO». QUEI CATTOLICI DEPRESSI E DEPRIMENTI CHE RINCHIUDONO LA MORALE DENTRO UN PRESERVATIVO E CHE CONSIDERANO IL SESSO COME CENTRO DELL’INTERO MISTERO DEL MALE

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Un Tale mi invia questo messaggio: «Come promesso compatibilmente con i miei impegni ho provveduto a fare un video in risposta alle sue eterodosse affermazioni sulla contraccezione. Convinto che personalmente conosca cosa è sana dottrina e quindi da ritenersi e cosa da scartare. Certamente tornerà utile ai tanti fedeli che da anni ci seguono e che hanno l’obbligo di conoscere la verità su questioni di tale importanza». Dal canto mio intendo chiarire che se un laico accusa di eresia sulla pubblica piazza dei social media un ministro in sacris e un teologo, è quanto meno doveroso difendere la propria dignità di sacerdote e di studioso dalle false accuse di un soggetto rivelatosi alla prova dei fatti un teologo dilettante.

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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Andrà tutto bene, oppure tutto concorre al bene nei piani di Dio? La pandemia, è stata forse una preziosa lezione perduta?

— attualità ecclesiale —

ANDRÀ TUTTO BENE, OPPURE TUTTO CONCORRE AL BENE NEI PIANI DI DIO? LA PANDEMIA, È STATA FORSE UNA PREZIOSA LEZIONE PERDUTA?

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«Andrà tutto bene». No, non è andato, non va e non andrà magicamente tutto bene; chi si limita a dire «andrà tutto bene», senza fondare la sua speranza in Dio, si illude che la pandemia sia una semplice parentesi, trascorsa la quale potrà tornare alla vita di prima, al mondo di prima, come se nulla fosse successo. No. Non «andrà tutto bene», perché invece di cogliere l’occasione della pandemia per rientrare in sé stessi, rendersi conto una buona volta che siamo mortali, abbandonare il peccato e convertirsi al bene, tornare a Dio e smetterla di confidare vanamente nell’uomo, si continua come e più di prima a dimenticarsi di Dio e a peccare contro di lui.

 

Giovanni Zanchi

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… Andrà tutto bene

Per mezzo dell’Apostolo San Paolo lo Spirito Santo ci rivela questa consolante notizia:

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«Noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno» [Rm 8, 28].

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San Paolo afferma: «Tutto concorre al bene», «tutto», anche quello che molti uomini considerano disgrazie; ma ciò è possibile unicamente perché il Figlio di Dio ha avuto compassione di noi poveri uomini rovinati dal peccato, votati alla perdizione eterna: per noi uomini peccatori e perduti il Verbo di Dio si è incarnato, per noi uomini peccatori e perduti Gesù Redentore ha sacrificato se stesso sulla croce, per noi uomini peccatori e perduti Cristo Dio è risorto, a noi che crediamo in lui il Vivente ha donato lo Spirito Santo. Perciò nessuno è più ottimista di noi cristiani e noi cristiani non possiamo mai essere dei disperati, perché siamo gli unici al mondo ad avere una speranza ben fondata e che non delude mai.

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L’esempio massimo dell’ottimismo cristiano e della forza della speranza cristiana l’abbiamo nel Buon Ladrone: finito in croce come esito della sua vita trascorsa nel peccato, proprio all’ultimo momento accolse la grazia divina della conversione e del perdono, riconoscendo in Gesù Cristo il suo Re e Salvatore; la croce ― somma disgrazia ― divenne per il Ladrone finallora malvagio l’occasione propizia per divenire finalmente buono e, subito dopo la morte, andarsene con Gesù a trionfare in Paradiso. Se non fosse stato crocifisso, il Ladrone non si sarebbe salvato l’anima.

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«Tutto concorre al bene», certo, ma solo «per quelli che amano Dio», non per quelli che non lo temono, lo disprezzano e lo odiano; infatti, l’altro Ladrone che fu crocifisso assieme a Gesù cattivo era e cattivo volle rimanere e, dopo morto, se ne andò all’inferno, perché non amava Dio e sulla croce sprecava il poco fiato che gli rimaneva per insultare Gesù.

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«Tutto concorre al bene»; ad un orecchio superficiale, queste parole divinamente ispirate sembrano del tutto simili ad altre parole che in questo tempo di pandemia abbiamo sentito spesso ripetere più o meno a pappagallo: «Andrà tutto bene».

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Il concetto paolino «Tutto concorre al bene» e lo slogan degli ultimi mesi «Andrà tutto bene»: sembrano due modi equivalenti per dire la stessa cosa, ma non è vero. Basterebbe infatti domandarsi: «Andrà tutto bene» … e perché? Limitarsi a dire «andrà tutto bene», senza aggiungere altro, senza appellarsi a Dio, significa confidare unicamente nell’uomo, aspettarsi la salvezza non dall’unico che può donarcela, cioè Dio, ma dall’uomo. Infatti, una delle canzonette in voga, strombazzata ultimamente anche dalla pubblicità commerciale, ossessivamente strilla: «Credo negli esseri umani!». Non dice: «Credo in Dio»”, ma «Credo negli esseri umani!». È questa la grande bestemmia del nostro tempo: mettere l’uomo al posto di Dio. E sì che la Sacra Scrittura, già nell’Antico Testamento, afferma: «Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, che pone nella carne il suo sostegno e dal Signore si allontana il suo cuore» [Ger 17, 5]. E così, arriva la pandemia e, invece di cercare l’aiuto del Signore e la salvezza dell’anima e del corpo che solo lui può donarci, si «confida nell’uomo» e nelle sue impotenze, con gli esiti disastrosi che sperimentiamo sulla nostra pelle, illudendoci e illudendo con il motto: «Andrà tutto bene». No, non è andato tutto bene, soprattutto per i tanti, i troppi morti soffocati dal virus nelle terapie intensive, spirati da soli, senza Sacramenti, senza la presenza confortatrice dei propri cari, i corpi dei quali sono stati subito ammassati e bruciati, senza uno straccio di funerale, senza una preghiera, senza una autopsia che avrebbe contribuito a capire prima e meglio come aiutare i malati, senza attendere l’aggravamento fisico poi non fronteggiabile.

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Al netto della propaganda politica, non va per niente bene dal punto di vista economico e lavorativo e culturale e le prospettive future già a breve termine sono sempre più fosche.

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«Andrà tutto bene»; sarà! Ma intanto, per la paura di morire, abbiamo supinamente accettato la limitazione di ogni libertà personale, la sospensione di fatto della democrazia; per paura di non riuscire più a vivere fisicamente, ci siamo ridotti a sopravvivere, cioè ci siamo ridotti nient’altro che a rimandare la morte fisica, che tanto prima o poi arriverà comunque per tutti. Intendiamoci: io non sto dicendo che abbiamo fatto male a prendere alcune delle precauzioni personali e sociali adottate per evitare il diffondersi del contagio. Dico che ― di fronte al pericolo ― limitarsi solo a dire «Andrà tutto bene» e basta, senza altro aggiungere, senza appellarsi a Dio, è qualche cosa che manifesta uno sterile e irragionevole ottimismo della volontà del tutto infondato. Al di là delle intenzioni soggettive ― che non giudico perché solo Dio le conosce ― cercare di rassicurarsi a colpi di «Andrà tutto bene» e basta, assomiglia alle pratiche superstiziose di quelli che pensano di allontanare da sé il malocchio mediante gesti apotropaici, cioè facendo le corna, toccando ferro, leggendo l’oroscopo, eccetera, eccetera … E ha la medesima efficacia, cioè nessuna.

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«Andrà tutto bene». No, non è andato, non va e non andrà magicamente tutto bene; chi si limita a dire «andrà tutto bene», senza fondare la sua speranza in Dio, si illude che la pandemia sia una semplice parentesi, trascorsa la quale potrà tornare alla vita di prima, al mondo di prima, come se nulla fosse successo. No. Non «andrà tutto bene», perché invece di cogliere l’occasione della pandemia per rientrare in sé stessi, rendersi conto una buona volta che siamo mortali, abbandonare il peccato e convertirsi al bene, tornare a Dio e smetterla di confidare vanamente nell’uomo, si continua come e più di prima a dimenticarsi di Dio e a peccare contro di lui.

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No, non «andrà tutto bene», perché durante la pandemia ai balconi e alle finestre sono comparsi i cartelli disegnati con l’arcobaleno dell’Andrà tutto bene, mica i Crocifissi e le Madonne. E, dall’inizio della pandemia, le nostre chiese sono ancora più vuote di prima, pure la domenica.

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No, non “andrà tutto bene”, perché con troppa facilità si sono sospese le Messe e gli altri Sacramenti, come se fossero cose senza importanza, anzi, si è fatto di tutto per convincere la gente che le chiese sarebbero il luogo più pericoloso per la salute, o addirittura che, ricevere la Santa Comunione, sia una sorta di azzardo sanitario. Invece, ammassarsi nei centri commerciali, nei supermercati e nei bar, quello va bene, perché conta solo soddisfare i bisogni corporali!

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Dicendo «andrà tutto bene», dovrebbe sottintendere che “anche la pandemia concorrerà al nostro vero bene”, ma solo se ci renderemo conto che, pure la pandemia, è un chiaro avvertimento, da Dio almeno permesso, per richiamare tutti alla conversione e al pentimento. È il Vangelo che ci autorizza a dire ciò. L’uomo che era stato paralizzato per ben 38 anni, dopo essere stato guarito all’istante da Gesù alla Piscina probatica di Gerusalemme, si sentì dire da lui: «Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio» [Gv 5, 14]. Rimanere paralizzati per ben 38 anni sembrerebbe una delle più grandi disgrazie che possano capitare, eppure Gesù dice che c’è qualcosa di ben peggiore, cioè l’eterna dannazione dell’anima. Detto in maniera aggiornata: ecco, il peggio del contagio sembra passato; ma non peccate più, perché non vi abbia ad accadere qualcosa di peggio.

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Sempre Gesù, nel Vangelo ammonisce: «Quei diciotto, sopra i quali rovinò la torre di Sìloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo» [Lc 14, 4 – 5]. Detto in forma aggiornata: quelli che sono morti a causa della pandemia, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti dell’Italia? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. E a niente allora sarà valso il ripetere ossessivamente: «Andrà tutto bene», senza aggiungere altro.

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«Tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio». Infatti, chi ama Dio e lo mette al primo posto nei suoi pensieri, nelle sue parole, nelle sue opere, sa profittare anche della pandemia, facendo penitenza dei propri peccati e amando ancora di più Dio e il prossimo per amore di Dio, mettendo tutta la propria confidenza non nell’uomo mortale, ma unicamente in Dio e dimostrando la sua fede nella vita eterna mediante parole e atti.

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«Tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio». L’uomo che, ispirato dallo Spirito Santo, scrisse queste immortali parole, cioè l’Apostolo San Paolo, sapeva bene quello che diceva; dopo la sua prodigiosa conversione, la sua vita fu funestata da innumerevoli e tremende prove, alcune delle quali lui stesso ricorda così:

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«Cinque volte dai Giudei ho ricevuto i trentanove colpi [cioè sono stato flagellato fin quasi a morte]; tre volte sono stato battuto con le verghe, una volta sono stato lapidato, tre volte ho fatto naufragio, ho trascorso un giorno e una notte in balìa delle onde. Viaggi innumerevoli, pericoli di fiumi, pericoli di briganti, pericoli dai miei connazionali, pericoli dai pagani, pericoli nella città, pericoli nel deserto, pericoli sul mare, pericoli da parte di falsi fratelli; fatica e travaglio, veglie senza numero, fame e sete, frequenti digiuni, freddo e nudità» [2Cor 11, 24 – 27].

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In mezzo a tutto ciò, l’Apostolo San Paolo non vacillò nella fede, non perse la speranza, non smarrì la carità; anzi tutto sopportò cristianamente, come occasione per far penitenza dei gravi peccati commessi prima della sua conversione e per crescere nell’amore di Dio e spendersi per la salvezza eterna del prossimo. Per questo rimase indomito e fedele fino alla fine e, nell’ultima prigionia patita a causa del Vangelo, alle soglie della morte per decapitazione, scrisse:

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«Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione» [2Tm 4, 7 – 8].

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San Paolo non era per niente il tipo che dice: «Andra tutto bene», oppure «Credo negli esseri umani». San Paolo dice: «Tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio» e «So in chi ho creduto» [2Tm 1, 12].

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In alcuni passi delle Sacre Scritture, il Libro dei Re [3, 5. 7 – 12] e il Vangelo dell’Evangelista San Matteo [13, 44 – 52] ci ammoniscono e invitano ad essere saggi, cioè a ad amare Dio con tutto noi stessi, pronti a sacrificare tutto il resto ― noi compresi ― per Lui, quindi ad amare il prossimo per amor di Dio, amando così anche noi stessi, cioè preoccupandoci della nostra eterna salvezza:

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«Ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche» [Mt 13, 56].

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Il cristiano, pervaso dalla divina saggezza, sa profittare spiritualmente anche della pandemia, perché ripone la sua fede la sua speranza in Dio e non scioccamente negli uomini e allora sì che per lui «tutto concorre al bene».

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Arezzo, 5 agosto 2020

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Questo articolo è stato ricavato da una omelia pronunciata nella Chiesa Cattedrale dei Santi Pietro e Donato in Arezzo, la domenica 26 luglio 2020, XVII del Tempo Ordinario dopo Pentecoste

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