Vedere nel coronavirus un castigo divino? Riflessioni sulla fine dei tempi: paura o speranza? Quanto a quel giorno e a quell’ora …

— la Chiesa e la grave emergenza coronavirus —

VEDERE NEL CORONAVIRUS UN CASTIGO DIVINO? RIFLESSIONI SULLA FINE DEI TEMPI: PAURA O SPERANZA? QUANTO A QUEL GIORNO E A QUELL’ORA …

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Non è opportuno e rispettoso verso Dio Padre vedere nelle sciagure temporali i castighi divini, consumando intimamente un velato senso di vendetta e di soddisfazione verso tutti coloro che non si sono ancora convertiti e che fanno opposizione a Dio. Quei giorni sono misteriosi e tali devono rimanere.

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Autore
Ivano Liguori, Ofm. Capp.

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Masaccio, Cappella Brancacci (Firenze), Cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre

In un passo del Vangelo di San Matteo leggiamo una frase in apparenza enigmatica pronunciata da Cristo Signore: Quanto a quel giorno e a quell’ora, però, nessuno lo sa, neanche gli angeli del cielo e neppure il Figlio, ma solo il Padre [cf. Mt 24, 36].

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Nel clima di paura e di incertezza come quello che abbiamo vissuto durante la quarantena a causa del Covid-19, qualcuno particolarmente sensibile ha cominciato ad accarezzare l’idea che questo contagio virale sia stato in realtà un segno dei tempi. Questa idea prende forma sui profili social di numerose persone, alcune delle quali credenti, ed è per questo che è necessario fare un poco di chiarezza. Invece di intrattenerci con i vari messaggi di veggenti, mistici e profeti di turno è giusto dare la priorità al messaggio del Vangelo come rivelazione autentica e definitiva.

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L’espressione «segno dei tempi» non dovrebbe suscitare alcuna paura e angoscia nell’animo del credente, né tanto meno essere utilizzata come un sinonimo di fine del mondo, proprio perché è riconducibile all’insegnamento di Gesù e alla sua opera evangelizzatrice. Nel Vangelo di Matteo al cap. 16 versetto 3 troviamo queste parole: «Non sapete distinguere — chiede Gesù ai farisei e ai sadducei — i segni dei tempi?». 

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Davanti ai suoi ascoltatori che pretendevano un segno che avvalorasse la sua autorità e identità divina ― cosa del resto che aveva già preteso il demonio nel deserto ― Il Signore rivolge un interrogativo che orienta la loro attenzione all’opera di salvezza del Padre attraverso la mediazione del Figlio.

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Il messaggio è chiaro. Non serve produrre segni esteriori per sapere che Dio abita il tempo, Gesù è il segno definitivo del Padre con cui è possibile leggere i tempi. È curioso ― ma se andiamo ad analizzare bene l’episodio evangelico ― ci rendiamo conto come i farisei e i sadducei sono più preoccupati di tirare Gesù per la giacchetta e di associarlo al club degli affidabili, invece di prendere atto che il Regno di Dio ha già iniziato a rivelarsi in mezzo a loro nella potenza e nella libertà dello Spirito Santo.

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L’ora messianica è giunta ma i maestri di Israele sono incapaci di riconoscerla e ― cosa ancor più imbarazzante ― l’ora della salvezza è giunta proprio in tempi dove la libertà di un popolo è messa in discussione dall’occupante Impero Romano. Un’autentica bestemmia per ogni pio israelita!

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Oggi non abbiamo perso la libertà a causa di un popolo invasore, ci siamo ritrovati a perderla per un virus. Parlare di segni dei tempi significa fare riferimento all’opera di Gesù in mezzo al suo popolo, significa dire che Gesù mi sta salvando adesso, in questo tempo di epidemia, mentre eravamo a casa tristi e sconsolati, mentre ci preoccupavamo per il futuro dei nostri cari.

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Dio, in questi tempi di Coronavirus, ci parla attraverso il segno eloquente di suo Figlio risorto, non attraverso altri linguaggi o tramite castighi vendicativi. Dico questo proprio per rassicurare tutti coloro che mi stanno ascoltando e che rischiano di scambiare questa epidemia come una punizione divina.

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Prendo in prestito le parole di Papa Giovanni XXIII per suscitare la speranza all’interno della nostra vita cristiana durante questi giorni di esilio forzato dal mondo:

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«A noi piace collocare una fermissima fiducia del divino Salvatore […] che ci esorta a riconoscere i segni dei tempi», così che «vediamo fra tenebre oscure numerosi indizi, i quali sembrano annunciare tempi migliori per la Chiesa e per il genere umano» [cf. A.A.S. 1962, p. 6].  

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Gesù non spinge gli uomini a nutrire curiosità morbose sulla data del suo ritorno in terra o sulla scadenza del tempo a nostra disposizione. Non è opportuno e rispettoso verso Dio Padre vedere nelle sciagure temporali i castighi divini, consumando intimamente un velato senso di vendetta e di soddisfazione verso tutti coloro che non si sono ancora convertiti e che fanno opposizione a Dio. Quei giorni sono misteriosi e tali devono rimanere. «Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta…» [cf. At 1,7]. Commentano questo passo degli Atti degli Apostoli San Girolamo spiega: «Con ciò mostra che egli [Gesù] lo sa, ma non conviene che lo sappiano gli Apostoli, così che, sempre incerti sulla venuta del giudice, vivano ogni giorno come se in quel giorno dovessero essere giudicati».

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Scorgiamo il segno che è Cristo, in questo tempo in cui sembra che un virus abbia la meglio sulla nostra vita, sulla nostra fede, sulle nostre tradizioni religiose, scorgiamo Cristo, oggi che sembrano passati i giorni della prima grande emergenza, da noi tutti vissuti tristemente nella paura e nello smarrimento; gettiamo via l’acqua vecchia, ma cercando però l’acqua nuova, cioè l’acqua viva del Vangelo, dell’incontro con Cristo che ci assicura: «Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno» [cf Mt 24, 35].

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Quanto a quel giorno e a quell’ora … non lasciamoci turbare, scorgiamo Gesù, solo nell’incontro giudicante con il suo amore tutto potrà acquistare un senso, tutto potrà finalmente andare bene.

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Laconi, 27 maggio 2020

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