Quella superficiale mediocrità e indolente tiepidezza che ci impedisce di giungere alla via, alla verità e alla vita

L’angolo dell’omiletica dei Padri de L’Isola di Patmos

QUELLA SUPERFICIALE MEDIOCRITÀ E INDOLENTE TIEPIDEZZA CHE CI IMPEDISCE DI GIUNGERE ALLA VIA, VERITÀ E VITA

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Abbiamo tanto bisogno di vede uomini che si ergano sulla breccia come difensori di un popolo oramai incapace di trovare Dio, sperduto come un fanciullo rimasto orfano. L’emergenza sanitaria attuale ha portato alla luce le miserie umane più nascoste, anche quelle miserie del popolo cristiano e dei suoi ministri entrambi dimentichi dell’unica relazione vivificante con Cristo a favore di rapporti virtuali e di soluzioni alternative non prive di nobili propositi. 

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Autore
Ivano Liguori, Ofm. Capp.

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Vangelo di San Giovanni: 14, 6

Domenica scorsa Gesù si presenta a noi come la porta delle pecore e il pastore buono, come colui che è la guida sicura verso il raggiungimento della vera vita [vedere precedente omelia, QUI]. In questo tempo pasquale, segnato dalla fastidiosa pandemia di Covid-19, la vita non può che anelare alla verità, senza capitolare davanti al fatalismo menzognero del mondo, affinché acquisti sempre più sensatezza e valore anche nell’infermità [Liturgia della Parola di questa V domenica pasquale, QUI]. Tale alta aspettativa di esistenza terrena non può che realizzarsi nella collaborazione con la grazia, ribadendo la scelta radicale del Signore Risorto: in Lui pietra angolare ogni vita cresce in modo ordinato e ben compaginato e connesso per edificarsi come luogo santo abitato dallo Spirito di Dio [cf. Ef 2,21; 4,16].

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E dentro la Chiesa, sposa del Risorto, lo Spirito Santo non cessa mai di far risuonare con fermezza quell’interrogativo del Salmo 34 che costituisce uno dei capisaldi di ogni rinnovamento interiore e di ogni sicura azione vocazionale:

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«C’è qualcuno che desidera la vita e brama lunghi giorni per gustare il bene?» [cf. Sal 34, 13].

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Chiediamocelo veramente, c’è ancora oggi qualcuno che desidera vivere in pienezza oppure ci si vuole accomodare solo sulla superficiale mediocrità e sulla indolente tiepidezza? Le nostre comunità cristiane sono ancora capaci di rispondere all’invito di Dio rivolto al profeta:

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«Io ho cercato fra loro un uomo che costruisse un muro e si ergesse sulla breccia di fronte a me, per difendere il paese perché io non lo devastassi, ma non l’ho trovato» [cf. Ez 22,30].

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Abbiamo tanto bisogno di vede uomini che si ergano sulla breccia come difensori di un popolo oramai incapace di trovare Dio, sperduto come un fanciullo rimasto orfano. L’emergenza sanitaria attuale ha portato alla luce le miserie umane più nascoste, anche quelle miserie del popolo cristiano e dei suoi ministri entrambi dimentichi dell’unica relazione vivificante con Cristo a favore di rapporti virtuali e di soluzioni alternative non prive di nobili propositi.

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Nella nostra ipocrisia, che si colora a volte di incredulità e a volte di bigottismo, abbiamo scordato che siamo stati creati esclusivamente per conoscere, amare e godere di Dio. La vita dell’uomo sulla terra, anche di quello più peccatore e distante, non serve a null’altro se non ad esprimere questa consapevolezza: Dio mi ama e io amo Lui. E la misura di questo amore è la Croce gloriosa del Risorto che mai come in questo tempo di tribolazione rifulge al mondo come spes unica.

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Dio è alla ricerca di innamorati, di uomini che desiderano vivere senza sconti, senza alibi, senza compromessi, senza interferenze con il mondo. Dio si rende – attraverso l’umanità del Figlio suo – mendicante d’amore, affinché l’uomo trovi la ricchezza della vita in Lui. In questa ricerca d’amore e di nuova vita è urgente rimuovere l’io personale e innestare l’Io di Cristo:

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«Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» [cf. Gv 14,6].

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I tre predicati che troviamo in questo versetto evangelico vengono introdotti dalla solenne formula divina dell’Ego eimi, dell’Io Sono, formula che non lascia alcuna possibilità di appello e di fraintendimento ma sigilla l’essenzialità della sequela vocazionale del discepolo. Cristo è realmente il volto del Dio visibile e conoscibile che è Via, Verità e Vita. E chi sceglie Cristo sa di dover percorrere una via differente, fare propria una verità scomoda, assumere una vita che domanda perfezione oltre misura.

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La Via che orienta l’esistenza è la Parola di Cristo, è la nuova Torah che ha portato alla perfezione e alla pienezza l’antica Legge mosaica [cf. Mt 5,17], il suo Vangelo è ora regola e orientamento sine glossa.

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La Verità che libera non è più data da quella sottile e maliziosa sapienza umana, finalmente sussiste una sapienza incarnata, graziosa che nel Verbo di Dio divenuto figlio di Giuseppe e di Maria si rivela e si comunica, svelando l’uomo a sé stesso nel suo vero volto [cf. Gv 19,5].  La Vita ci ricorda il legame profondo con Dio perché è Lui il datore di ogni vita attraverso il suo Spirito, accettare la vita significa accettare indiscutibilmente la firma di Dio sul mondo creato. Nel Vangelo di Giovanni, Cristo è il depositario della vita del Padre, è lui che la dona a chi egli vuole [cf. Gv 5,21; 11,25-26].

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La fede nel Risorto Via, Verità e Vita ci permette di raggiungere Dio, questo è l’obiettivo di ogni professione di fede tanto è vero che l’evangelista Giovanni tende a sottolinearlo molto bene nel finale del suo Vangelo:

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«Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome» [cf. Gv 20,30-31].

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La fede in Lui ci conduce sulla breccia, ci dispone all’Eccomi, ci rende possibile l’abbraccio col Padre in un tempo in cui gli abbracci ci sono negati. Non perdiamo tempo, desideriamo la vita, desideriamola sempre, desideriamola ora!

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Laconi, 10 maggio 2020

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