Cristo Risorto antidoto al coronavirus: «Svègliati, o tu che dormi, dèstati dai morti e Cristo ti illuminerà»

L’angolo dell’omiletica dei Padri de L’Isola di Patmos

CRISTO RISORTO ANTIDOTO AL CORONAVIRUS: «SVÈGLIATI, O TU CHE DORMI, DÉSTATI DAI MORTI E CRISTO TI ILLUMINERÀ»

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La quarantena antivirus ci lascia a casa, modificando le libertà, le abitudini, i bisogni. C’è però una via d’uscita. Se possiedo Cristo, anzi se permetto a Cristo di possedermi, anche se mi trovo barricato in casa, sono libero. Fossi anche incarcerato per la mia fede, così come hanno sperimentato gli apostoli, Cristo mi renderebbe ugualmente un uomo libero. Se siamo con il Signore, qualunque situazione può essere superata, la disgrazia è essere senza Cristo, è voler essere pastori di sé stessi. Paradossalmente scopriamo adesso quanto la nostra presunta libertà può essere limitata, quanto la nostra vita può essere offuscata, quanto ciò che reputiamo reale assomigli in realtà a un lungo sonno.

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Autore
Ivano Liguori, Ofm. Capp.

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Rischio virale coronavirus: è giusto chiudere le chiese? Una cosa è certa: non è giusto né cristiano che certi fedeli aggrediscano in modo sfottente vescovi e sacerdoti, ergendosi a supremi giudici dei loro pastori in questo momento di tragica emergenza

— la Chiesa e la grave emergenza conoravirus —

RISCHIO VIRALE CORONAVIRUS: È GIUSTO CHIUDERE LE CHIESE? UNA COSA È CERTA: NON È GIUSTO NÉ CRISTIANO CHE CERTI FEDELI AGGREDISCANO IN MODO SFOTTENTE VESCOVI E SACERDOTI, ERGENDOSI A SUPREMI GIUDICI DEI LORO PASTORI IN QUESTO MOMENTO DI TRAGICA EMERGENZA

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[…] permettetemi di citare quell’atteggiamento canzonatorio di alcuni fedeli cristiani verso i loro vescovi. In questo momento la Chiesa non ha bisogno di divisioni, se è grave la situazione che stiamo vivendo è ancor più grave fomentare lotte interne. Le disposizioni date non sono certamente perfette, anzi avrebbero avuto bisogno di più assennatezza, ma questo non autorizza nessuno a trasgredirle e a ergersi a giudice dei vescovi e di noi loro sacerdoti, che per grazia o per disgrazia rappresentiamo ancora le guide riconosciute del Popolo di Dio. Come figli liberi, esprimiamo anche il nostro dolore e il nostro dissenso senza scadere però nella ribellione, cosa che ci farebbe più simili ai lupi famelici che a mansuete pecorelle.

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Autore
Ivano Liguori, Ofm. Capp.

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PDF  articolo formato stampa

 

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Redazione: i divertenti ma molto efficaci spot di Luca De Matteis che invitano i recalcitranti a rimanere isolati nelle abitazioni per la sicurezza di tutti

Devo riconoscere che a primo acchito un interrogativo del genere rischia di lasciare molto spazio all’emotività. Confesso che anch’io, sono stato portato a considerazioni di carattere più emotivo che razionale, accusando il colpo, se non altro per la mia duplice veste di cristiano e sacerdote, nonché di cittadino italiano. Altrettanto vale per i miei confratelli de L’Isola di Patmos, con i quali ci siamo scambiati pareri e opinioni, consultandoci vicendevolmente e cercando spesso risposte gli uni negli altri. Tutti ci siamo infatti sentiti toccati nella più profonda essenza dell’esercizio del sacro ministero sacerdotale, in una situazione che non ha precedenti, nella storia della Chiesa, che pure ha conosciuto momenti di persecuzioni o emergenze date dalle varie pestilenze o pandemie.

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Giunge così repentina e inaspettata per la maggioranza dei fedeli, la notizia diramata dalla Conferenza Episcopale Italiana l’8 marzo scorso, che esigeva dai cattolici il rispetto del Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che prescriveva ― tra le altre cose ― la sospensione a scopo preventivo, fino al successivo 3 aprile, sull’intero territorio nazionale di tutte le cerimonie civili e religiose, ivi comprese quelle funebri. Dopo questa notizia, le conferenze episcopali regionali hanno iniziato a diramare decreti che sostanzialmente ribadivano l’orientamento del testo C.E.I. con qualche minimo adeguamento alle situazioni specifiche del territorio diocesano di appartenenza.

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by Luca De Matteis

Diciamo subito che il Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri non parla esplicitamente di chiusura fisica dei luoghi di culto, ma di sospensione pubblica dell’esercizio delle funzioni civili e religiose. Quindi di fatto le chiese sono aperte ma senza fedeli, le messe continuano ad essere celebrate dai sacerdoti ma a porte chiuse e qualcuno poteva ancora recarsi in chiesa a pregare, rispettando le norme igieniche e di prevenzione del contagio, ma senza creare l’assembramento tipico di una messa.

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Pochi giorni dopo, il presidente Giuseppe Conte, dichiara l’emergenza nazionale ed estende le misure stringenti delle regioni più colpite dall’epidemia a tutto il territorio italiano. Il risultato è che non si può più uscire di casa se non per commissioni urgenti e comprovate esigenze lavorative, pena l’ammenda o sanzioni più severe.

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Con l’aggiornamento delle disposizioni, la maggioranza delle chiese resta ancora aperta ma senza la possibilità di vedere un fedele tra le proprie navate. Ancora, giovedì scorso il Cardinale Angelo De Donatis, vicario generale di Sua Santità per la Diocesi di Roma, ha stabilito con un decreto il divieto di accesso alle chiese parrocchiali e non parrocchiali esteso a tutti i fedeli dell’Urbe. Il giorno dopo De Donatis fa marcia indietro ed emana un nuovo decreto che corregge il precedente e interrompe la serrata: «Rimangono chiuse all’accesso del pubblico» ― si legge nel decreto ― «le chiese non parrocchiali e più in generale gli edifici di culto di qualunque genere, restano invece aperte le chiese parrocchiali».

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C’è chi vede come causa di questa brusca inversione a “U” del porporato le parole del Santo Padre, durante la messa del mattino presso la Domus Sacthae Marthae: «le misure drastiche non sempre sono buone».

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Grande fermento, grande confusione, grande paura… ma i fedeli che cosa pensano, che cosa fanno? Sui mezzi di comunicazione infuria la battaglia, si attaccano i vescovi, i sacerdoti vengono accusati di essere pavidi e novelli don Abbondio, i pareri divergenti espressi da alcuni intellettuali cattolici si sprecano sui social e sui blog, non mancano poi alcuni commenti che oltrepassano i limiti della decenza, insomma un gran guazzabuglio che non porta alcun beneficio alla Chiesa.

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by Luca De Mattei

Io mi sono fatto una mia idea in proposito, della quale ho parlato a lungo con i miei confratelli de L’Isola di Patmos e che adesso mi sento di condividere con voi: anzitutto, reputo che in questa vicenda la posta in gioco sia duplice. Da una parte la salute pubblica dei cittadini che deve essere sempre garantita dallo Stato. Dall’altra la salute dell’anima che la Chiesa ha ugualmente il dovere di tutelare per rispettare quel mandato divino ricevuto da Cristo e che rappresenta il bene più prezioso di ogni battezzato. Dico questo perché in situazioni simili è necessario essere uniti pur nella divisione dei compiti e nella separazione gli ambiti di competenza. Altrimenti si giunge ad antipatiche interferenze e incomprensioni.

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È chiaro che lo Stato non può disciplinare in materia spirituale, in quanto non gode di nessuna autorevolezza in materia e di nessun mandato divino. Di contro la Chiesa non può occuparsi di questioni che riguardano situazioni temporali, salvo il caso in cui può manifestare, come autorità morale, le sue opinioni in merito ad alcune questioni particolarmente gravi e di vitale importanza.

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La situazione d’emergenza che l’epidemia ha comportato, la necessità di prendere rapidamente delle decisioni utili ad arginare il contagio, ha di fatto impedito una riflessione seria e un sano dialogo, tale da salvaguardare le priorità di uno Stato laico senza ledere i beni spirituali della Chiesa.

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Fa molto riflettere che in un periodo storico come il nostro, attento ai diritti di tutti, garante delle minoranze, nemico di coloro che fomentano l’odio, una situazione di emergenza del genere mandi tutto all’aria, rivelando le falle di un sistema statale impreparato e di una Chiesa la cui preoccupazione è sbilanciata più verso il corpo che verso l’anima. Livellare ogni cosa, è apparsa la scelta migliore per risolvere la questione in modo veloce e quasi indolore.

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by Luca De Mattei

Così facendo, c’è il serio rischio di buttare con l’acqua sporca anche il bambino, considerando che in Italia, il numero dei fedeli cristiani cattolici rappresenta ancora la maggioranza e, sebbene il cristianesimo non sia più religione di stato, come un tempo, esso detiene un peso civile ancora importante. Personalmente ritengo che la Santa Chiesa attraverso i suoi pastori avrebbe dovuto subito avviare un dialogo franco con lo Stato affinché fosse garantita ai fedeli il diritto all’esercizio della fede e ai sacerdoti l’esercizio del ministero pur con le dovute cautele davanti alla situazione in atto.

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In una situazione di emergenza sanitaria come questa, la fede rappresenta ancora una speranza forte per tante persone, uno strumento interiore che attiva risorse e permette quella resilienza capace di andare avanti. La fede non attiene solo all’ambito religioso ma si lega alla virtù della speranza, e l’uomo senza speranza muore. Ecco perché, un provvedimento restrittivo di questo genere, malgrado le buone intenzioni, rischia di portarsi dietro degli effetti collaterali che vedremo con lucidità solo a pericolo cessato, comprendendo in un vicino futuro il genere di precedente che è stato creato.

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Il mio pensiero va ai tanti anziani che non sono abituati ad usare le nuove tecnologie e che non possono seguire la Messe in diretta Facebook. Per loro il conforto non passa solo attraverso la Messa trasmessa in tv o in radio, ma soprattutto attraverso la visita del sacerdote e la ricezione della comunione eucaristica. Questo mio pensiero trova riscontro nelle parole di questi giorni del Pontefice che dice: «i pastori non lascino solo il popolo di Dio, senza Parola, sacramenti e preghiera». Bene, ma come posso io sacerdote ascoltare una confessione se non mi avvicino, come posso amministrare l’unzione se non tocco con olio il corpo malato e morente. Decisioni difficili che impongono quasi una scelta tra corporeità e spiritualità? Giorni e giorni dopo, la Conferenza Episcopale Italiana ha emanato un documento nel quale entra nel merito di questo discorso dando delle direttive [vedere documento, QUI].

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by Luca De Mattei

Il corpo è dono di Dio ed è doveroso curarlo e salvaguardarlo dai pericoli e dalle malattie, ma questo nostro corpo è limitato non immortale. Quando non è possibile fare più nulla, si può ancora agire sull’anima, si può curare e salvare l’anima dalla morte eterna, e così facendo recuperare anche il corpo nell’attesa della sua risurrezione gloriosa, così come recitiamo nel Credo domenicale. Purtroppo, non sono mancati i casi in cui i fedeli malati non hanno potuto ricevere l’eucaristia, i penitenti non hanno potuto riconciliarsi e i sacerdoti impediti da vari fattori nel compiere il loro ministero. Dico questo non per tentare Dio o per veicolare un superstizioso sentimentalismo religioso, dico questo perché la mia esperienza di tanti anni come cappellano in ospedale mi ha portato a questa conclusione, e gli stessi operatori sanitari hanno riconosciuto il valore meritorio dell’assistenza spirituale durante la malattia.

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Quando l’emergenza sarà finita, tutti dovremmo rispondere alla nostra coscienza in riferimento ad alcune mancanze che interpellano il bene comune, che passa anche attraverso il rispetto della fede del mio prossimo.

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Per terminare, permettetemi di citare quell’atteggiamento canzonatorio di alcuni fedeli cristiani verso i loro vescovi. In questo momento la Chiesa non ha bisogno di divisioni, se è grave la situazione che stiamo vivendo è ancor più grave fomentare lotte interne. Le disposizioni date non sono certamente perfette, anzi avrebbero avuto bisogno di più assennatezza, ma questo non autorizza nessuno a trasgredirle e a ergersi a giudice dei vescovi e di noi loro sacerdoti, che per grazia o per disgrazia rappresentiamo ancora le guide riconosciute del Popolo di Dio. Come figli liberi, esprimiamo anche il nostro dolore e il nostro dissenso senza scadere però nella ribellione, cosa che ci farebbe più simili ai lupi famelici che a mansuete pecorelle.

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Laconi, 20 marzo 2020

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Per stare quanto più possibile vicini ai fedeli in questo momento di grave crisi ed emergenza, la redazione de L’Isola di Patmos informa i Lettori che il nostro autore Padre IVANO LIGUORI, dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, cura su Facebook la rubrica «LA PAROLA IN RETE», offrendo delle meditazioni tre volte a settimana. Potete accedere alla pagina curata dal nostro Padre cliccando sul logo sotto:

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«Chiesa Aperta» (VI puntata) — Il Beato Patriarca Giuseppe, silenzioso uomo eroico, modello di paternità e umana virilità

— i Padri de L’Isola di Patmos vicini ai fedeli in questa quarantena —

«CHIESA APERTA» (VI puntata) — IL BEATO PATRIARCA GIUSEPPE, SILENZIOSO UOMO EROICO, MODELLO DI PATERNITÀ E UMANA VIRILITÀ 

Offriamo ai nostri Lettori questo terzo prezioso video del nostro stimato confratello Giovanni Zanchi, presbitero della Diocesi di Arezzo, affinché possa fungere anche da efficace e sapiente antidoto a tutti coloro che purtroppo, in questo momento di straordinaria crisi ed emergenza, non hanno trovato di meglio da fare che polemizzare, spesso anche in toni duri e aggressivi, contro le decisioni prese dai nostri vescovi per motivi di sicurezza a tutela della salute pubblica: sospendere le sacre celebrazioni e in molti casi chiudere le chiese. Ricordiamo che la Chiesa, nei momenti di crisi ed emergenza, non è mai stata salvata dalle polemiche di coloro che si ergono in tutti i tempi ai più fedeli tra i fedeli o ai più puri tra i puri, ma dall’unità. Qualcuno ha scritto in questi giorni che «i vescovi stanno suicidando la Chiesa italiana». Purtroppo non ha capito niente dell’essenza della fede cattolica: la Chiesa “si suicida” attaccando i vescovi, anziché seguirli e sostenerli in un momento di così grave prova. 

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RIPRESE VIDEO E MONTAGGIO A CURA DELLA EMITTENTE TELESANDOMENICO (AREZZO)

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TESTO DEL VIDEO

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I testi del Padre Giovanni Zanchi, direttore del Centro Pastorale Culto Divino della Diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, non sono stati pensati come articoli ma come testi audio-narrativi. Abbiamo provveduto a trascrivere il testo audio per i nostri Lettori.

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Giovanni Zanchi

Benvenuti alla VI puntata di Chiesa Aperta!

In questi difficili giorni, l’Arcivescovo di Milano, S.E. Mons. Mario Delpini, ha dichiarato: «Abbiamo sospeso le celebrazioni e tutto quello che poteva facilitare il contatto tra le persone. Ma abbiamo sempre detto che le chiese sono aperte» (La Stampa, 17 marzo 2020).

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Molte chiese anche in Italia sono dedicate a san Giuseppe, il castissimo Sposo della beata Vergine Maria, del quale oggi ricorre la solennità annuale. San Giovanni Paolo II, il 15 agosto 1989, dedicò al grande Patriarca una sua Esortazione apostolica, intitolata Redemptoris custos (Il custode del Redentore). Nelle piccole “chiese domestiche” che sono le nostre famiglie (Lumen gentium 11), in questi giorni di forzata clausura sarebbe ottima cosa leggere e meditare quel testo.

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San Giovanni Paolo II ci ricorda che san Giuseppe ha molte cose da insegnarci, particolarmente in questo tempo di tribolazione. Ricordo il principale di tali insegnamenti. In questi giorni ci giunge da più parti l’invito a «rimanere a casa» e impiegare creativamente il nostro tempo trascorso fra le pareti domestiche; per i cristiani ciò significa dedicarsi maggiormente alla preghiera, alla lettura della Bibbia e del Catechismo. Ebbene proprio San Giuseppe è il modello di tutti coloro che coltivano la vita interiore:

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«I Vangeli parlano esclusivamente di ciò che Giuseppe “fece”; tuttavia, consentono di scoprire nelle sue “azioni”, avvolte dal silenzio, un clima di profonda contemplazione. Giuseppe era in quotidiano contatto col mistero “nascosto da secoli”, che “prese dimora” sotto il tetto di casa sua» (Redemptoris custos, 25). «Il sacrificio totale, che Giuseppe fece di tutta la sua esistenza alle esigenze della venuta del Messia nella propria casa, trova la ragione adeguata nella “sua insondabile vita interiore, dalla quale vengono a lui ordini e conforti singolarissimi e derivano a lui la logica e la forza, propria delle anime semplici e limpide, delle grandi decisioni, come quella di mettere subito a disposizione dei disegni divini la sua libertà, la sua legittima vocazione umana, la sua felicità coniugale, accettando della famiglia la condizione, la responsabilità ed il peso e rinunciando per un incomparabile virgineo amore al naturale amore coniugale che la costituisce e la alimenta” (Insegnamenti di Paolo VI, VII [1969] 1268)» (Redemptoris custos, 26).

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San Giuseppe incarna dunque alla perfezione il modello del vero devoto, poiché la devozione non è altro che la sottomissione a Dio, la prontezza di volontà nel dedicarsi alle cose che riguardano il servizio di Dio (cf san Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, II-II, q. 82, a. 3, ad 2). Nella presente difficile situazione giova ricordare che san Giuseppe è il Patrono della Chiesa Cattolica, dichiarato tale dal beato Pio IX (Quemadmodum Deus, 8 dicembre 1870). Leone XIII a tal proposito dichiarò: «Giuseppe fu a suo tempo legittimo e naturale custode, capo e difensore della divina Famiglia … È dunque cosa conveniente e sommamente degna del beato Giuseppe, che, a quel modo che egli un tempo soleva tutelare santamente in ogni evento la famiglia di Nazareth, così ora copra e difenda col suo celeste patrocinio la Chiesa di Cristo» (Quamquam pluries, 15 agosto 1889).

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Santa Teresa di Gesù ci testimonia quanto san Giuseppe sia potente nel soccorrere chi lo invoca:

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«Ad altri Santi sembra che Dio abbia concesso di soccorrerci in questa o in quell’altra necessità, mentre ho sperimentato che il glorioso san Giuseppe estende il suo patrocinio su tutte. Con ciò il Signore vuol farci intendere che a quel modo che era a lui soggetto in terra, dove egli come padre putativo gli poteva comandare, così anche in cielo fa tutto quello che gli chiede. Ciò han riconosciuto per esperienza anche altre persone che dietro mio consiglio si sono raccomandate al suo patrocinio» (Vita, 6).

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Dello speciale patrocinio di san Giuseppe la Chiesa Santa ha più che mai bisogno oggi per affrontare ora con zelo e creatività pastorale l’emergenza della pandemia e poi per rimanere accanto e tra la gente in modo rinnovato ed efficace, quando l’emergenza sarà finalmente terminata. San Giuseppe è anche lo speciale patrono dei moribondi, perché spirò fra le braccia di Gesù e di Maria santissima; nessuna morte fu più “buona” della sua. In questo tempo nel quale ci vogliono ingannare facendoci credere che la “eutanasia” cioè la “buona morte” sia il suicidio assistito, è urgente più che mai guardare invece all’esempio di san Giuseppe morente e, per sua intercessione, chiedere a Dio la grazia di una santa morte. Alla protezione di san Giuseppe vanno affidati adesso i moribondi a causa della pandemia, i quali affrontano il momento decisivo della loro esistenza soli e privi della possibilità di ricevere i Sacramenti.

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Infine ricordiamo che san Giuseppe è soprattutto il castissimo Sposo della beata Vergine Maria. È dal matrimonio con la Madonna che sono derivati a Giuseppe la sua singolare dignità e i suoi diritti su Gesù: 

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«Poiché il connubio è la massima società e amicizia … ne deriva che, se Dio ha dato come sposo Giuseppe alla Vergine, glielo ha dato non solo a compagno della vita, testimone della verginità e tutore dell’onestà, ma anche perché partecipasse, per mezzo del patto coniugale, all’eccelsa grandezza di lei» (Leone XIII, Quamquam pluries).

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San Giuseppe è dunque anche il modello per tutti gli sposi e le spose cristiani, molti dei quali in questi giorni hanno la possibilità di trascorrere più tempo assieme, pregando e approfondendo la propria comunione di vita. A questo proposito, concludo segnalando un avvenimento che merita di essere conosciuto. Ci si può sposare anche in questo tempo di pandemia, anche in presenza delle norme governative che vietano gli assembramenti e le cerimonie religiose. È quanto hanno fatto Pietro e Ilaria alcuni giorni fa, alla presenza del solo sacerdote e dei testimoni. I novelli sposi hanno dichiarato:

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«In una circostanza del genere quello che maggiormente emergeva è che stavamo rispondendo ad una chiamata e quello che più ci interessava quindi era poter dire il nostro sì di fronte a Cristo … Per noi ha significato andare all’essenziale della nostra vocazione … Gli amici … ci hanno aiutato a tenere fisso lo sguardo su ciò che importa davvero … e a non focalizzarci sui nostri progetti e pensieri andati miseramente in fumo, seppur giusti e belli. Siamo grati di ciò che è accaduto perché ci ha permesso di fare un grande passo di autocoscienza rispetto al nostro rapporto personale con Cristo in un inizio per noi così importante» (Il Sussidiario Net, 11 marzo 2020).

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Grazie, Pietro e Ilaria, novelli sposi! Ci avete mostrato con i fatti che anche in questi difficili giorni la Chiesa è “aperta”, sia quella di pietra e di mattoni, sia quella domestica. Auguri per la vostra vita matrimoniale! Dio benedica la vostra famiglia e san Giuseppe, il castissimo Sposo della Vergine Maria vi protegga, assieme a tutta la Chiesa e a tutte le famiglie cristiane!

A risentirci domani per una nuova puntata di Chiesa Aperta.

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Sansepolcro (Arezzo), 19 marzo 2020

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«INNO POPOLARE: GIUSEPPE E NOME SANTO»

1. Giuseppe, nome santo
è nome al cuor giocondo,
la speme egli è del mondo,
che allieta nel Signor. Rit.

Il nome tuo Giuseppe,
dolcezza suona ed amor,
felice chi lo seppe,
scolpir nell’alma e in cor!
Felice chi lo seppe,
scolpir nell’alma e in cor!

2. L’esaltino i suoi figli,
perché d’un padre è il nome
e amando veggan come,
s’ottenga il suo favor.

Rit. Il nome tuo Giuseppe…

3. È come eccelso e grande,
di forza e di possanza,
ma il suo potere avanza,
l’amabil sua bontade.

Rit. Il nome tuo Giuseppe…

4. Il tuo celeste nome,
sia in vita la mia speme
e alfin dell’ore estreme,
sia balsamo al dolor.

Rit Il nome tuo Giuseppe…

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«Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» [Gv 8,32],
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«Chiesa Aperta» (V puntata) — La pastorale sanitaria nell’attuale stato di emergenza: il lavoro dei cappellani degli ospedali durante questa pandemia da coronavirus

— i Padri de L’Isola di Patmos vicini ai fedeli in questa quarantena —

«CHIESA APERTA» (V puntata) — LA PASTORALE SANITARIA NELL’ATTUALE STATO DI EMERGENZA: IL LAVORO DEI CAPPELLANI DEGLI OSPEDALI DURANTE QUESTA PANDEMIA DA CORONAVIRUS

Offriamo ai nostri Lettori questo terzo prezioso video del nostro stimato confratello Giovanni Zanchi, presbitero della Diocesi di Arezzo, affinché possa fungere anche da efficace e sapiente antidoto a tutti coloro che purtroppo, in questo momento di straordinaria crisi ed emergenza, non hanno trovato di meglio da fare che polemizzare, spesso anche in toni duri e aggressivi, contro le decisioni prese dai nostri vescovi per motivi di sicurezza a tutela della salute pubblica: sospendere le sacre celebrazioni e in molti casi chiudere le chiese. Ricordiamo che la Chiesa, nei momenti di crisi ed emergenza, non è mai stata salvata dalle polemiche di coloro che si ergono in tutti i tempi ai più fedeli tra i fedeli o ai più puri tra i puri, ma dall’unità. Qualcuno ha scritto in questi giorni che «i vescovi stanno suicidando la Chiesa italiana». Purtroppo non ha capito niente dell’essenza della fede cattolica: la Chiesa “si suicida” attaccando i vescovi, anziché seguirli e sostenerli in un momento di così grave prova. 

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RIPRESE VIDEO E MONTAGGIO A CURA DELLA EMITTENTE TELESANDOMENICO (AREZZO)

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TESTO DEL VIDEO

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I testi del Padre Giovanni Zanchi, direttore del Centro Pastorale Culto Divino della Diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, non sono stati pensati come articoli ma come testi audio-narrativi. Abbiamo provveduto a trascrivere il testo audio per i nostri Lettori.

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Giovanni Zanchi

Benvenuti alla V puntata di Chiesa Aperta!

In questi difficili giorni nella nostra Italia le chiese fatte di pietre e di mattoni rimangono aperte, come segno della Chiesa che resta presente e operante in mezzo al nostro popolo (cf Conferenza Episcopale Toscana, 14 marzo 2020); le chiese rimangono aperte, anche se non si svolgono celebrazioni pubbliche. Fra le chiese aperte vi sono pure quelle interne agli Ospedali, officiate dai Cappellani ospedalieri. Questi sacerdoti, assieme ai loro collaboratori — spesso volontari — assicurano da sempre un ministero indispensabile nei luoghi ove si cura la malattia e si combatte la morte; sono il volto materno della Chiesa che consiglia, insegna, ammonisce, consola, perdona, prega.

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I verbi appena pronunciati riecheggiano le opere della misericordia spirituale: consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, pregare Dio per i vivi e per i morti. Verso i malati, l’impegno del personale ospedaliero è per certi aspetti assimilabile alle opere della misericordia corporale.

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In Ospedale, accanto e assieme a chi si prodiga per la cura del corpo e della psiche, vi sono i Cappellani e i loro collaboratori, i quali si prodigano per la cura dell’anima immortale. La loro missione, sempre preziosa, è particolarmente importante in questo tempo di epidemia, nel quale è ancora più urgente adempiere al comando di Gesù, sintetizzato dalla Chiesa nella VI opera della misericordia corporale: “Ero malato e mi avete visitato … ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25, 35. 40).

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L’opera dei Cappellani ospedalieri ricorda a tutti che gli Ospedali sono una invenzione dei cristiani! La presenza e l’opera dei Cappellani ospedalieri sono impegnative e difficili anche in situazioni di normalità: non sempre i sofferenti sono disponibili a cercare l’aiuto di Dio; il pregiudizio materialista e scientista che ammorba la nostra società svaluta la vita spirituale e la sua necessità; il laicismo pretende di negare il valore sociale della fede e della sua espressione pubblica.

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La presenza e l’opera dei Cappellani ospedalieri sono ancor più impegnative e difficili in questo drammatico momento, in special modo nei reparti affollati di contagiati dal coronavirus: non solo per i ritmi massacranti ai quali sono assoggettati tutti coloro che lavorano negli Ospedali; non solo per la gestione delle urgenze cliniche e i protocolli di difesa dal contagio limitanti le possibilità di soffermarsi al capezzale degli ammalati; la presenza e l’opera dei Cappellani ospedalieri sono ancor più impegnative e difficili perché di fatto essi non possono avvicinare gli ammalati più gravi, anche quelli in pericolo di morte. Molti di loro muoiono purtroppo soli, senza il conforto dei Sacramenti e della vicinanza dei propri cari.

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Per la coscienza di un sacerdote questo è un fatto molto duro da sopportare! Un medico dell’Ospedale di Cremona in questi giorni ha dichiarato: «Lentamente tutti questi morti uccidono pure noi. Più passano i giorni più mi chiedo se sono ancora in grado di curare la gente, se la mia presenza qui ha ancora un senso».

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Sul piano spirituale queste parole lasciano intuire la fatica interiore alla quale possono essere esposti anche i sacerdoti che adempiono il loro ministero negli Ospedali nei quali si affronta direttamente l’emergenza sanitaria.

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Cosa fanno i Cappellani in quegli Ospedali, quali sono le loro armi spirituali nella guerra contro il Covid-19? Innanzitutto celebrano la Santa Messa nelle chiese annesse ai luoghi di cura, intercedendo per i malati, i medici, il personale, i volontari, i moribondi, i defunti e i familiari di tutti costoro; a volte per gli ammalati dei reparti è possibile assistere tramite un collegamento televisivo. Poi i Cappellani e i loro collaboratori assistono i malati meno gravi con il conforto della preghiera, dei Sacramenti, della direzione spirituale. Quindi i Cappellani sostengono spiritualmente il personale ospedaliero, sottoposto ad uno sforzo sovrumano.

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Ascoltiamo la testimonianza di un sacerdote missionario in un grande Ospedale di Milano: «Il mio lavoro quotidiano in questo momento è soprattutto quello di sostenere i medici … facciamo sempre due ore di adorazione eucaristica in chiesa. Così le persone possono entrare alla spicciolata e pregare un po’. Anche i malati che non possono venire sanno che in cappella c’è sempre qualcuno che prega per loro e che si ricorda di loro. Anche se non possiamo raggiungere i pazienti, loro sanno che non li abbiamo abbandonati» (padre Giovanni Musazzi, Ospedale “Luigi Sacco”, Milano).

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Assieme al personale medico, anche i Cappellani ospedalieri e i loro collaboratori sono i nostri eroi, impegnati senza risparmio di sé sul fronte della battaglia per sconfiggere il gran male dell’epidemia. Al personale medico giustamente molte persone fanno giungere attestati di solidarietà e di incoraggiamento; anche ai Cappellani ospedalieri e ai loro collaboratori deve andare il pubblico sostegno e la pubblica riconoscenza, perché la nostra società ha urgente bisogno di riscoprire il valore spirituale della malattia: se l’uomo non sa trovare un senso al proprio soffrire e al proprio morire, allora non può scoprire un senso nemmeno al proprio vivere in salute.

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I Cappellani ospedalieri e i loro collaboratori sono il volto della Chiesa che rimane aperta, anzi spalancata, anche in questi tempi calamitosi. Sia nelle chiese aperte fatte di pietra e di mattoni, sia nelle chiese domestiche che sono le nostre famiglie, in questi giorni si elevi fervida la preghiera di supplica e di intercessione anche per i ministri di Dio operanti negli ospedali e per i loro collaboratori, affinchè il Signore li protegga dal contagio e li aiuti a svolgere il loro indispensabile ministero spirituale.

A risentirci domani per una nuova puntata di Chiesa Aperta.

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Sansepolcro (Arezzo), 18 marzo 2020

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«Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» [Gv 8,32],
ma portare, diffondere e difendere la verità non solo ha dei
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«Chiesa Aperta» (IV puntata) — La toccante supplica del Sindaco di Venezia a Santa Maria della Salute. Nella speranza che nessuno urli all’oltraggio verso il “dogma” dello Stato laico …

— i Padri de L’Isola di Patmos vicini ai fedeli in questa quarantena —

«CHIESA APERTA» (IV puntata) — LA TOCCANTE SUPPLICA DEL SINDACO DI VENEZIA A SANTA MARIA DELLA SALUTE. NELLA SPERANZA CHE NESSUNO URLI ALL’OLTRAGGIO VERSO IL “DOGMA” DELLO STATO LAICO …

Offriamo ai nostri Lettori questo terzo prezioso video del nostro stimato confratello Giovanni Zanchi, presbitero della Diocesi di Arezzo, affinché possa fungere anche da efficace e sapiente antidoto a tutti coloro che purtroppo, in questo momento di straordinaria crisi ed emergenza, non hanno trovato di meglio da fare che polemizzare, spesso anche in toni duri e aggressivi, contro le decisioni prese dai nostri vescovi per motivi di sicurezza a tutela della salute pubblica: sospendere le sacre celebrazioni e in molti casi chiudere le chiese. Ricordiamo che la Chiesa, nei momenti di crisi ed emergenza, non è mai stata salvata dalle polemiche di coloro che si ergono in tutti i tempi ai più fedeli tra i fedeli o ai più puri tra i puri, ma dall’unità. Qualcuno ha scritto in questi giorni che «i vescovi stanno suicidando la Chiesa italiana». Purtroppo non ha capito niente dell’essenza della fede cattolica: la Chiesa “si suicida” attaccando i vescovi, anziché seguirli e sostenerli in un momento di così grave prova. 

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TESTO DEL VIDEO

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I testi del Padre Giovanni Zanchi, direttore del Centro Pastorale Culto Divino della Diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, non sono stati pensati come articoli ma come testi audio-narrativi. Abbiamo provveduto a trascrivere il testo audio per i nostri Lettori.

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Giovanni Zanchi

Benvenuti alla quarta puntata di Chiesa Aperta!

In questi difficili giorni nella nostra Italia le chiese fatte di pietre e di mattoni rimangono aperte, come segno della Chiesa che resta presente e operante in mezzo al nostro popolo (cf Conferenza Episcopale Toscana, 14 marzo 2020); le chiese rimangono aperte anche se non vi si svolgono celebrazioni pubbliche. In una di queste chiese aperte si è svolta una preghiera del tutto particolare, della quale vogliamo ora parlare.

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La Basilica di Santa Maria della salute a Venezia fu edificata dal governo e dal popolo di Venezia come adempimento del voto fatto alla Madonna per la cessazione della peste del 1630; terminata l’epidemia per intervento della Santa Vergine, i veneziani eressero con grande impegno uno splendido monumento di spiritualità e di arte, ove ringraziare perennemente Dio per la ritrovata salute.

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Il 13 marzo ultimo scorso il Sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, si è recato ufficialmente alla Chiesa della salute per affidare la sua Città alla protezione della Madonna in questo tempo di epidemia, recitando la preghiera composta dal Patriarca di Venezia [ vedere video QUI].

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Il Sindaco di Venezia ha compiuto un gesto significativo e vero. Ce lo insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica:

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Numero 1884: «Dio non ha voluto riservare solo a sé l’esercizio di tutti i poteri. Egli assegna ad ogni creatura le funzioni che essa è in grado di esercitare, secondo le capacità proprie della sua natura. Questo modo di governare deve essere imitato nella vita sociale. Il comportamento di Dio nel governo del mondo, che testimonia un profondissimo rispetto per la libertà umana, dovrebbe ispirare la saggezza di coloro che governano le comunità umane. Costoro devono comportarsi come ministri della Provvidenza divina».

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Numero 2244: «Ogni istituzione si ispira, anche implicitamente, ad una visione dell’uomo e del suo destino, da cui deriva i propri criteri di giudizio, la propria gerarchia dei valori, la propria linea di condotta. Nella maggior parte delle società le istituzioni fanno riferimento ad una certa preminenza dell’uomo sulle cose. Solo la Religione divinamente rivelata ha chiaramente riconosciuto in Dio, Creatore e Redentore, l’origine e il destino dell’uomo. La Chiesa invita i poteri politici a riferire i loro giudizi e le loro decisioni a tale ispirazione della Verità su Dio e sull’uomo».

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Recandosi ufficialmente a pregare in Santa Maria della salute il Sindaco di Venezia ha messo in pratica le verità appena ricordate e ha dimostrato di avere a cuore il vero bene comune dei suoi concittadini. Il Catechismo della Chiesa Cattolica ricorda infatti anche un’altra verità molto importante:

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Numero 2244: «Le società che ignorano questa ispirazione o la rifiutano in nome della loro indipendenza in rapporto a Dio, sono spinte a cercare in se stesse oppure a mutuare da una ideologia i loro riferimenti e il loro fine e, non tollerando che sia affermato un criterio oggettivo del bene e del male, si arrogano sull’uomo e sul suo destino un potere assoluto, dichiarato o non apertamente ammesso, come dimostra la storia (cf Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 45; 46)».

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In questo tempo la diffusione di un microscopico virus ha reso evidente che la pretesa degli uomini di bastare a se stessi prescindendo da Dio è falsa. Una società che nega Dio diventa inevitabilmente tirannica e si ritrova sola di fronte alle catastrofi, incapace di promuovere e salvaguardare il vero bene degli uomini che la compongono. Bene quindi ha fatto il Sindaco di Venezia a chiedere l’aiuto di Dio nelle presenti necessità.

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In Italia non mancano autorità politiche si dichiarano cattoliche; ci attendiamo che nell’esercizio delle loro funzioni siano coerenti con la fede cristiana che professano, compiendo gesti simili a quelli del Sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro. Il gesto vero da lui compiuto nell’adempimento del suo alto Ufficio ricorda a tutti noi di mettere in pratica 2 altri insegnamenti del Catechismo della Chiesa Cattolica.

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Numero 1900: «Il dovere di obbedienza impone a tutti di tributare all’autorità gli onori che ad essa sono dovuti e di circondare di rispetto e, secondo il loro merito, di gratitudine e benevolenza le persone che ne esercitano l’ufficio».

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Numero 2240: «L’Apostolo ci esorta ad elevare preghiere ed azioni di grazie “per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo trascorrere una vita calma e tranquilla con tutta pietà e dignità» (1Tm 2, 2).

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Per questa intenzione i cattolici pregano solennemente ogni Venerdì Santo, ma specialmente in questo tempo di grande difficoltà è indispensabile supplicare il Signore affinché illumini, guidi e sostenga le pubbliche Autorità, così che possano agire prontamente e con successo per il bene di noi tutti. Nelle chiese aperte, sia quelle di pietra e di mattoni, sia quelle domestiche che sono le nostre case non manchi questa preghiera.

A risentirci domani per una nuova puntata di Chiesa Aperta.

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Sansepolcro (Arezzo), 18 marzo 2020

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RIPRESE VIDEO E MONTAGGIO A CURA DELLA EMITTENTE TELESANDOMENICO (AREZZO)

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«Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» [Gv 8,32],
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«Chiesa aperta» III puntata — A cura di Giovanni Zanchi: in questo momento di grave emergenza i vostri Sacerdoti, seppure da soli, seguitano a celebrare le Sante Messe offrendo il Sacrificio Eucaristico per la salute dei corpi e delle anime

— i Padri de L’Isola di Patmos vicini ai fedeli in questa quarantena —

«CHIESA APERTA» (III puntata) — A CURA DI GIOVANNI ZANCHI: IN QUESTO MOMENTO DI GRAVE EMERGENZA I VOSTRI SACERDOTI, SEPPURE DA SOLI, SEGUITANO A CELEBRARE LE SANTE MESSE OFFRENDO IL SACRIFICIO EUCARISTICO PER LA SALUTE DEI CORPI E DELLE ANIME  

Offriamo ai nostri Lettori questo terzo prezioso video del nostro stimato confratello Giovanni Zanchi, presbitero della Diocesi di Arezzo, affinché possa fungere anche da efficace e sapiente antidoto a tutti coloro che purtroppo, in questo momento di straordinaria crisi ed emergenza, non hanno trovato di meglio da fare che polemizzare, spesso anche in toni duri e aggressivi, contro le decisioni prese dai nostri vescovi per motivi di sicurezza a tutela della salute pubblica: sospendere le sacre celebrazioni e in molti casi chiudere le chiese. Ricordiamo che la Chiesa, nei momenti di crisi ed emergenza, non è mai stata salvata dalle polemiche di coloro che si ergono in tutti i tempi ai più fedeli tra i fedeli o ai più puri tra i puri, ma dall’unità. Qualcuno ha scritto in questi giorni che «i vescovi stanno suicidando la Chiesa italiana». Purtroppo non ha capito niente dell’essenza della fede cattolica: la Chiesa “si suicida” attaccando i vescovi, anziché seguirli e sostenerli in un momento di così grave prova. 

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RIPRESE VIDEO E MONTAGGIO A CURA DELLA EMITTENTE TELESANDOMENICO (AREZZO)

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TESTO DEL VIDEO

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I testi del Padre Giovanni Zanchi, direttore del Centro Pastorale Culto Divino della Diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, non sono stati pensati come articoli ma come testi audio-narrativi. Abbiamo provveduto a trascrivere il testo audio per i nostri Lettori.

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Giovanni Zanchi

Benvenuti alla III puntata di Chiesa Aperta!

In questi difficili giorni nella nostra Italia le chiese fatte di pietre e di mattoni rimangono aperte, come segno della Chiesa che resta presente e operante in mezzo al nostro popolo (cf Conferenza Episcopale Toscana, 14 marzo 2020), le chiese restano aperte anche se non vi si svolgono celebrazioni pubbliche. Nelle chiese comunque aperte rimangono presenti almeno i sacerdoti, che ogni giorno continuano a celebrare la Santa Messa, anche da soli. San Paolo VI insegna che anche se celebrata da un sacerdote solitario, dalla Santa Messa «deriva grande abbondanza di particolari grazie, a vantaggio sia dello stesso sacerdote, sia del popolo fedele e di tutta la Chiesa, anzi di tutto il mondo» (Mysterium fidei 33).

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Fra le abbondanti grazie spirituali che la santa Messa dona vi è anche il suffragio per i defunti. Parliamone brevemente. Per andare in Paradiso non basta infatti morire in grazia di Dio e quindi essere liberi dalla colpa per i peccati commessi; per andare in Paradiso occorre anche essere liberi dalle pene dovute per i propri peccati; l’anima di chi muore in grazia di Dio ma ha ancora pene da scontare per i peccati commessi è purificata dalla giustizia di Dio dopo la morte: è quello che la Santa Chiesa chiama il Purgatorio.

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Ormai separate dal corpo, le anime purganti non possono aiutare se stesse, ma possono pregare per noi ancora viventi sulla terra e possono ricevere il nostro aiuto spirituale per abbreviare la loro purificazione e giungere all’eterna beatitudine in Dio. Sono molte le buone opere che possiamo offrire a Dio per soccorrere le anime dei defunti, esse sono: ogni forma di penitenza e di elemosina, le indulgenze, la preghiera e soprattutto l’offerta del sacrificio eucaristico.

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Nelle chiese aperte i nostri sacerdoti anche da soli continuano ogni giorno a celebrare la Santa Messa per la salvezza spirituale dei vivi e pure dei defunti. Anche le nostre case sono delle piccole “chiese domestiche” che rimangono aperte alla preghiera di supplica e di intercessione presso Dio per tutti i bisognosi, sia vivi che defunti.

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In questo tempo di Quaresima la Santa Chiesa ci invita ad intensificare il nostro impegno nel digiuno, nella preghiera, nella elemosina. Della nostra elemosina, cioè della nostra carità hanno bisogno anche le anime dei defunti, specialmente quelli deceduti a causa dell’epidemia.

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Tutti si preoccupano per la situazione difficile del personale medico e di tutti gli altri impegnati per il bene sociale; i defunti finiscono invece per essere considerati solo un numero che incute timore. I morti in conseguenza del coronavirus sono ormai centinaia; a causa delle loro condizioni cliniche particolari se ne sono andati soli, senza il conforto dei Sacramenti e della vicinanza dei familiari. I sacerdoti si preoccupano di accompagnarli almeno alla sepoltura, ma senza poter celebrare le Esequie.

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Non priviamo questi defunti anche della preghiera per le loro anime. È ora urgente aiutarli con i nostri cristiani suffragi, perché non c’è solo questa vita terrena; il corpo muore, ma l’anima vive immortale. Il suffragio dei defunti è un soccorso urgente e indispensabile, che solo noi cristiani possiamo mettere in atto. La carità della Chiesa è così grande e così potente da poter soccorrere non solo i vivi, ma pure i trapassati; la carità della Chiesa è così grande e così potente da poter agire non solo in questo mondo ma anche nell’altro.

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Impariamo dai nostri antenati: in tempo di calamità non solo seppellirono i morti, ma pregarono a lungo per le loro anime: le tante chiese erette proprio per il Suffragio e sparse per l’Italia ce lo ricordano ancora. Preoccuparci del suffragio dei morti a causa dell’epidemia giova anche a noi: ci fa acquistare meriti presso Dio in vista della vita eterna e ci insegna anche a far penitenza per i nostri peccati adesso, per farne meno dopo la nostra morte. La Chiesa che in tempo di epidemia soccorre non solo i vivi ma anche i defunti è veramente una Chiesa che rimane aperta.

A risentirci domani per una nuova puntata di Chiesa Aperta.

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Sansepolcro (Arezzo), 16 marzo 2020

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«Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» [Gv 8,32],
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Sette&Dintorni: a causa dei Neocatecumenali di San Kiko Arguello e di Santa Carmen Hernandez insigni dottori della Chiesa, quattro comuni della Campania finiscono in quarantena per coronavirus

Sette&Dintorni

A CAUSA DEI NEOCATECUMENALI DI SAN KIKO ARGUELLO E DI SANTA CARMEN HERNANDEZ ILLUSTRI DOTTORI DELLA CHIESA, QUATTRO COMUNI DELLA CAMPANIA FINISCONO IN QUARANTENA PER CORONAVIRUS

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La vera natura dei Neocatecumenali, da sempre falsamente ossequiosi alla Chiesa e alla sua autorità, è venuta alla luce anche in questo momento di grave emergenza. Infatti è accaduto che per causa loro, quattro comuni della Campania, sono stati messi sotto quarantena nella provincia di Salerno, si tratta delle località di Sala Consilina, Caggiano, Polla, Atena Lucana.

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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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il libro di Padre Ariel è reperibile presso il nostro negozio librario, per accedere al quale basta cliccare sopra questa immagine di copertina

Chi sono i Neocatecumenali, fondati dal pittore bohemien spagnolo Kiko Argüello e da Carmen Hernandez? L’ho spiegato in un libro alla cui lettura rimando: sono una delle peggiori sette ereticali intra-ecclesiali che si sia affacciata nel panorama della Chiesa nell’intera storia della modernità. In questo mio libro, edito pochi mesi fa, ne spiego la storia, ma soprattutto i danni prodotti all’interno della Chiesa, dove a partire dall’epoca del Santo Pontefice Paolo VI scoppiò la grande ubriacatura dei movimenti laicali, che a seguire sotto il pontificato del Santo Pontefice Giovanni Paolo II, alcuni videro a loro modo come una sorta di futuro della Chiesa, sbagliando in ciò gravemente, ahimè Pontefici inclusi.

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La vera natura dei Neocatecumenali, da sempre falsamente ossequiosi alla Chiesa e alla sua autorità salvo fare da sempre, di prassi e rigore, ciò che vogliono e come vogliono, è venuta alla luce anche in questo momento di grave emergenza. È infatti accaduto che per causa loro, con un decreto firmato dal Governatore della Campania [cf. QUI], quattro comuni sono stati messi sotto quarantena nella provincia di Salerno, si tratta delle località di Sala Consilina, Caggiano, Polla, Atena Lucana [vedere in cronaca QUI, QUI, QUI, ecc …].
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Violando tutte le regole come di prassi i Neocatecumenali sono soliti fare da sempre nelle loro chiuse salette, salvo poi aggredire con spirito settario e menzognero chiunque li abbia pubblicamente smascherati nel corso del tempo — incluso il sottoscritto ricoperto per mesi di insulti in giro per tutta la rete telematica —, in piena emergenza coronavirus hanno tenuto una celebrazione liturgica kikiana. Il risultato è stato il seguente: in seguito a meticolose ricostruzioni della catena del contagio, i contagiati risultano a oggi 22 in totale, incluso il sacerdote celebrante. Tra i partecipanti un uomo di 76 anni di Belizzi è già deceduto il 10 marzo, mentre la moglie risultata positiva a coronavirus attualmente è in quarantena. I “contatti stretti” avvenuti durante il rito kikiano hanno sino a oggi prodotto come risultato 45 contagi a Sala Consilina, 20 a Caggiano, 10 a Polla, 8 ad Atena Lucana, 5 a Teggiano, 5 a Montesano, 3 a Buonabitacolo, 3 ad Auletta, 2 a Sant’Arsenio e 3 a Padula, per un totale di 104 infetti [si rimanda alla cronaca, QUI, QUI, ecc …].
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A questo punto ci aspettiamo dai Neocatecumenali, come loro stile e costume, il rituale grido: «Siamo stati approvati, siamo stati approvati, in tutto e per tutto da due Pontefici Santi! E chi è contro di noi, è contro la Chiesa e la santità di questi Pontefici». Per seguire con insulti distruttivi a non finire da sempre rivolti verso chiunque abbia cercato di avversarli e di mettere in luce le loro derive dottrinali e le loro eresie, che si sono sviluppate e hanno preso piede proprio per la debolezza dimostrata verso di loro dalla Chiesa e dagli ultimi quattro Sommi Pontefici. Esattamente come spiego, con documenti e prove non passibili di smentita, in questo mio libro, che sinceramente vi consiglio di leggere, anche per capire quali gravi virus sono stati prodotti nel corso degli ultimi cinquant’anni al nostro interno dalla mancanza dell’esercizio di autorità da parte della Chiesa, dei Sommi Pontefici e dei Vescovi.

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dall’Isola di Patmos, 16 marzo 2020

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Cari Lettori,

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Gabriele Giordano M. Scardocci
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Gabriele

Al termine di questa quarantena, Cristo ci attende come la samaritana al pozzo d’acqua

Omiletica dei Padri de L’Isola di Patmos

—  omiletica —

AL TERMINE DI QUESTA QUARANTENA, CRISTO CI ATTENDE COME LA SAMARITANA AL POZZO D’ACQUA 

Il dischiudersi della donna a Gesù, che è Dio realmente presente, permette alla samaritana innanzitutto di scoprire la verità su sé stessa. Si lascia scoprire da Dio e non si ferma alla superficie di sé stessa. Il dialogo con Dio realmente presente è una rivelazione su sé stessi, entrare in profondità rispetto alla propria identità.

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Autore:
Gabriele Giordano M. Scardocci, O.P.

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PDF  articolo formato stampa
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Cari fratelli e sorelle,

“Cristo e la Samaritana al pozzo”, opera di Alessandro Vodret Fava. Roma, collezione privata

in questi momenti nei quali un intero Paese è sottoposto a quarantena, con attività esterne quasi inesistenti e di molta attività interna dentro la nostra comunità e le nostre famiglie, è possibile trovare dei momenti per riflettere un po’ su alcuni temi della nostra fede che facilmente sfuggono a una meditazione profonda.

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In una gara di pallacanestro, c’è uno schema chiamato “isolamento” in cui si lascia il giocatore attaccante da solo contro il difensore. Uno contro uno, isolati dal resto delle loro squadre. In quel momento, chi attacca deve ricordare bene quali sono le sue caratteristiche, i suoi talenti atletici, per vincere la partita.

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Lo schema di isolamento è spiegato dal cestista Tony Mitchell [cf. video QUI].

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Uno dei temi che in questa Quaresima possiamo allora meditare è il tema della Presenza Reale e concreta di Dio nella nostra vita. La prima lettura ci mostra un quadro un po’ particolare. Leggiamo infatti:

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«Mosè fece così, sotto gli occhi degli anziani d’Israele. E chiamò quel luogo Massa e Merìba, a causa della protesta degli Israeliti e perché misero alla prova il Signore, dicendo: ”Il Signore è in mezzo a noi sì o no?”».

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Se diamo un’occhiata all’originale ebraico, quella protesta con cui il popolo ebraico si rivolge a Dio, è espressa con la parola Rib, indicante nel giudaismo una forma di litigio giuridico a due, che si risolve senza mettere a morte il colpevole. Ecco allora che il popolo ebraico si lamenta in continuazione e, in quella protesta, sembra quasi mettere in dubbio la capacità profetica di Mosè, in un litigio senza fine.  Anche dopo il miracolo, il popolo ebraico è indeciso. È insomma un popolo che affannosamente, ansiosamente e senza serenità cerca segni sensazionalistici. Il giusto intermediario che gli è mandato, Mosè, non lo soddisfa.

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Questa può essere una meditazione per noi: la nostra fede è affannosa, in continua ricerca di segni, miracoli e prodigi?  Il Signore ci chiede di abbandonarci a Lui, rileggendo gli eventi che ci succedono con lo sguardo di fede, senza continuamente mettere in dubbio la sua azione con noi. Potremo domandarci se anche noi, come il popolo ebraico, “litighiamo” con Dio e i suoi intermediari, perché non ci fidiamo di nessuno. Da qui la domanda: quanto ci fidiamo della presenza reale concreta del Signore?

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In questo senso il Vangelo della samaritana vuole rompere con la tradizione giudaica. Si ripropone lo scenario dell’Antico Testamento. Il deserto, la sete, e un dialogo. Ma qui è tutto diverso. Nel dialogo fra la donna e Gesù, c’è un’apertura a un dialogo col Tu Eterno di Dio. La richiesta di acqua, è un po’ una scusa del Signore, per entrare in contatto con la donna. Tanto che poi le dirà

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«Hai detto bene: ”Io non ho marito”. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero».

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Ecco allora che il dischiudersi della donna a Gesù, che è Dio realmente presente, permette alla samaritana innanzitutto di scoprire la verità su sé stessa. Si lascia scoprire da Dio e non si ferma alla superficie di sé stessa. Il dialogo con Dio realmente presente è una rivelazione su sé stessi, entrare in profondità rispetto alla propria identità.

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Immediatamente dopo è uno schiudersi anche alla verità su Dio. Gesù infatti le dirà:

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«So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa».

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Le dice Gesù:

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«Sono io (lett. Io sono = nome di Dio), che parlo con te».

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Ecco l’insegnamento per noi su come costruire un vero autentico rapporto e non una ricerca spasmodica di segni, prodigi, fantasticherie: ma un dialogo vivo e fecondo, nel silenzio del deserto, mentre Cristo ci disseta dell’acqua della verità.

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Chiediamo al Signore di essere giorno dopo giorno sempre più come la samaritana e sempre più come Maria, che nella tenerezza dell’ascolto orante, si fecero prime predicatrici delle verità divine.

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In questo momento di dolore e di prova, noi Sacerdoti di Cristo eleviamo più che mai suppliche. Nelle nostre celebrazioni eucaristiche fatte senza popolo, per i motivi di sicurezza che ben conoscete, imploriamo ogni giorno Dio Padre affinché preservi la salute dei corpi e delle anime dei nostri amati fedeli.

Così sia.

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Roma, 15 marzo 2020

 

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Il blog personale di

Padre Gabriele

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Visitate la pagina del nostro negozio librario QUI e sostenete le nostre edizioni acquistando e diffondendo i nostri libri   

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Novità dalla Provincia Domenicana Romana: visitate il sito ufficiale dei Padri Domenicani, QUI

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«Chiesa aperta» (II puntata) – A cura di Giovanni Zanchi, presbitero della Diocesi di Arezzo: il Popolo di Dio non è affatto abbandonato senza Sacramenti di grazia e con le chiese chiuse

— i Padri de L’Isola di Patmos vicini ai fedeli in questa quarantena —

«CHIESA APERTA» (II puntata) — A CURA DI GIOVANNI ZANCHI, PRESBITERO DELLA DIOCESI DI AREZZO: IL POPOLO DI DIO NON È AFFATTO ABBANDONATO SENZA SACRAMENTI DI GRAZIA E CON LE CHIESE CHIUSE

Offriamo ai nostri Lettori questo prezioso video del nostro stimato confratello Giovanni Zanchi, presbitero della Diocesi di Arezzo, affinché possa fungere anche da efficace e sapiente antidoto a tutti coloro che purtroppo, in questo momento di straordinaria crisi ed emergenza, non hanno trovato di meglio da fare che polemizzare, spesso anche in toni duri e aggressivi, contro le decisioni prese dai nostri vescovi per motivi di sicurezza a tutela della salute pubblica: sospendere le sacre celebrazioni e in molti casi chiudere le chiese. Ricordiamo che la Chiesa, nei momenti di crisi ed emergenza, non è mai stata salvata dalle polemiche di coloro che si ergono in tutti i tempi ai più fedeli tra i fedeli o ai più puri tra i puri, ma dall’unità. Qualcuno ha scritto in questi giorni che «i vescovi stanno suicidando la Chiesa italiana». Purtroppo non ha capito niente dell’essenza della fede cattolica: la Chiesa “si suicida” attaccando i vescovi, anziché seguirli e sostenerli in un momento di così grave prova. 

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RIPRESE VIDEO E MONTAGGIO A CURA DELLA EMITTENTE TELESANDOMENICO (AREZZO)

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TESTO DEL VIDEO

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Giovanni Zanchi

I testi del Padre Giovanni Zanchi, direttore del Centro Pastorale Culto Divino della Diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, non sono stati pensati come articoli ma come testi audio-narrativi. Abbiamo provveduto a trascrivere il testo audio per i nostri Lettori.

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In questi difficili giorni nella nostra Italia le chiese fatte di pietre e di mattoni rimangono aperte, «come segno della Chiesa che resta presente alla vita delle comunità», dicono i nostri vescovi. 

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Però «l’apertura delle chiese viene proposta come un segno, non come un invito a frequentarle», dicono ancora i nostri vescovi [cf. Conferenza Episcopale Toscana], e questo a causa delle indispensabili norme di profilassi che tutti dobbiamo rispettare il più possibile.

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Nelle chiese aperte rimane comunque presente notte e giorno Gesù eucaristico; assieme a Gesù, nelle chiese aperte rimangono presenti i sacerdoti, che ogni giorno continuano a celebrare la Santa Messa, anche da soli. Perché lo fanno? Spieghiamolo brevemente, considerando due aspetti …

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Primo aspetto: normalmente la Santa Messa vede radunati il Clero e il popolo; ma il semplice radunarsi del popolo dei fedeli non basta da solo perché si possa celebrare la Santa Messa.

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Per celebrare la Santa Messa è assolutamente necessaria la presenza di almeno un sacerdote, il quale mediante il sacramento dell’Ordine è stato conformato a Gesù Cristo capo del suo corpo mistico che è la Chiesa.  Il sacerdote agisce dunque nella persona di Cristo capo, lo ri-presenta sacramentalmente e quindi Gesù agisce misteriosamente ma realmente attraverso il ministero dei sacerdoti.

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Secondo aspetto: la Santa Messa è innanzitutto la ripresentazione sacramentale del sacrificio redentore offerto da Gesù una volta per tutte morendo in croce per liberarci dai nostri peccati; da questo punto di vista, l’unica differenza fra il Calvario e l’altare è che sul Calvario Gesù si immolò spargendo fisicamente il proprio sangue, ora sull’altare Gesù si immola sacramentalmente mediante il ministero del sacerdote. Ricordiamo ora due documenti della Chiesa attuale che insegnano il valore soprannaturale della Santa Messa, anche se celebrata da un sacerdote da solo. I due documenti sono: l’enciclica di san Paolo VI Mysterium fidei [il mistero della fede] e il Catechismo della Chiesa Cattolica di San Giovanni Paolo II.  Ascoltiamo a questo proposito le parole di San Paolo VI:

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«Ogni Messa, anche se privatamente celebrata da un sacerdote, non è tuttavia cosa privata, ma azione di Cristo e della Chiesa, la quale nel sacrificio che offre, ha imparato ad offrire sé medesima come sacrificio universale, applicando per la salute del mondo intero l’unica e infinita virtù redentrice del sacrificio della Croce. Ogni Messa celebrata viene offerta non solo per la salvezza di alcuni, ma anche per la salvezza di tutto il mondo».

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Ne consegue che, anche dalla Messa celebrata privatamente da un Sacerdote «deriva grande abbondanza di particolari grazie, a vantaggio sia dello stesso sacerdote, sia del popolo fedele e di tutta la Chiesa, anzi di tutto il mondo, grazie che non si possono ottenere in uguale misura mediante la sola Comunione» [Mysterium fidei 33].

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Non poter partecipare alla Santa Messa, dover rinunciare alla Santa Comunione sono le privazioni più grandi che noi cristiani subiamo nelle attuali condizioni. Ma dietro le porte aperte delle chiese deserte, tutti i sacerdoti continuano a celebrare il sacrificio eucaristico, che è la più grande preghiera di supplica e di intercessione che possa salire a Dio per il bene spirituale e corporale degli uomini.

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Tutti sono chiamati ad unirsi spiritualmente ai sacerdoti che celebrano individualmente le Sante Messe a tante ore del giorno, tutti sono chiamati alla Comunione spirituale. A unirci spiritualmente ai sacerdoti che celebrano la Santa Messa da soli, ci aiutano i vari mezzi di comunicazione di massa, mediante i quali possiamo seguire la telecronaca nazionale e locale di Sante Messe celebrate in molti luoghi, anche della nostra Diocesi.

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In questi giorni difficili le chiese saranno anche deserte, ma non sono vuote e gli uomini non sono soli e abbandonati di fronte all’epidemia: mediante i sacerdoti che continuano a celebrare la Santa Messa, Gesù eucaristia rimane in mezzo a noi per confortarci e salvarci.

A risentirci domani  su Chiesa Aperta.

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Sansepolcro (Arezzo), 14 marzo 2020

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Gabriele Giordano M. Scardocci
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Gabriele

La Quaresima e la “mission impossible” che nella via della fede e della purificazione diviene invece possibile

Omiletica dei Padri de L’Isola di Patmos

—  omiletica —

LA QUARESIMA E LA MISSION IMPOSSIBLE CHE NELLA VIA DELLA FEDE E DELLA PURIFICAZIONE DIVIENE INVECE POSSIBILE 

La Quaresima è quindi un invito a riscoprire un poco la missione che il Signore ci ha dato. Riscoprire quella vocazione a cui tutti quanti siamo indirizzati, ognuno in modo diverso, ma comunque secondo una vocazione santa.

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Autore:
Gabriele Giordano M. Scardocci, O.P.

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PDF  articolo formato stampa
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Cari fratelli e sorelle,

locandina del celebre film

non so se vi ricordate il film di Tom Cruise, il celebre Mission Impossible del 1996. In quel film, il protagonista Ethan Hunt ha appunto una missione impossibile: una missione anti terrorismo. A tal fine, chiama con sé dei colleghi fidati, a cui dà incarichi importanti e difficili.

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La Quaresima è quindi un invito a riscoprire un poco la missione che il Signore ci ha dato. Riscoprire quella vocazione a cui tutti quanti siamo indirizzati, ognuno in modo diverso, ma comunque secondo una vocazione santa.

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Le tre letture di questa seconda domenica di Quaresima ci parlano di questo, a partire dal testo vetero testamentario [vedere il testo della Liturgia della Parola, QUI]:

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«In quei giorni, il Signore disse ad Abram: “Vàttene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò”»

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Quel «vattene» non va inteso come un cacciare via Abram da parte di Dio. È sì, un imperativo, ma letteralmente suona più come un comando militare. Ecco allora che la missione ha un mandato che Abram non ha inventato ma ha ricevuto dal Signore. Un mandato pensato e voluto esclusivamente per Abram, che diventerà Abramo e inizierà la grande missione di guidare il popolo di Israele.

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Questo si riferisce anche a noi: proviamo a riflettere sulle origini del mandato che abbiamo ricevuto. Qualsiasi sia lo stato di vita a cui siamo chiamati, ecco che il Signore ci ha chiamati per nome, invitandoci a uscire da noi stessi, dalla nostra terra, le nostre sicurezze e serenità per aprirci a una missione più grande. E per farlo non ci ha lasciati da soli. Leggiamo infatti San Paolo quando scrive:

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«Figlio mio, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo. Egli infatti ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo progetto e la sua grazia».

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Ecco che San Paolo scrive all’amato Timoteo nel momento della prigionia. Nel momento in cui la sua missione di predicatore e apostolo è davvero messa alla prova. Però Paolo sa bene che ha ricevuto la grazia. La grazia è la forza che Dio ci dona per poter partecipare al meglio alla nostra missione insieme con Lui, e con Lui e metterla in pratica.

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Anche noi, dunque, abbiamo ricevuto la grazia per la nostra vocazione. E possiamo rinvigorirla mediante la vita di grazia, di preghiera e in questo periodo anche di qualche penitenza. Anche in questo momento di sofferenza a livello nazionale, sappiamo di avere l’aiuto vicino del Signore.

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Questo annuncio di avere vicino il Signore, ci è dato dal Vangelo di questa domenica:

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«Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: “Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti”».

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Gesù si è trasfigurato. Gli apostoli hanno saputo dal Padre che quello che insegna, vive e parla con loro è il Figlio prediletto; è il Figlio di Dio. Si rivela anche a loro, per quello che è, dopo che a Natale si era mostrato ai pastori tramite l’annuncio angelico. E dice quella frase. Chiede il segreto messianico: Gesù passerà da una terribile sofferenza, poi risorgerà. Da quegli atroci momenti, che gli apostoli presenti non riescono a capire, verrà la grazia. Verrà la nostra gioia e la nostra liberazione.

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In questo tempo di quaresima cominciamo sin d’ora a riflettere sugli eventi della passione come eventi che preparano l’Era Nuova della grazia: in cui ciascuno di noi avrà la sua personale Pasqua, e il passaggio ad una vita autentica.

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Scriveva Jean Paul Sartre:

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«Chi è autentico, assume la responsabilità per essere quello che è, e si riconosce libero di essere quello che è».

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Il Signore ci doni sempre il coraggio di abbracciare la nostra vocazione, per vivere sempre più con l’autenticità e il coraggio dei figli di Dio.

Così sia.

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Roma, 8 marzo 2020

 

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