I Padri de L’Isola di Patmos hanno urgente bisogno di vedove belle e generose. Ma c’è di più: siamo pressoché sicuri che ci offriranno anche il loro prezioso sostegno

I PADRI DE L’ISOLA DI PATMOS HANNO URGENTE BISOGNO DI VEDOVE BELLE E GENEROSE. MA C’È DI PIÙ: SIAMO PRESSOCHÉ SICURI CHE CI OFFRIRANNO ANCHE IL LORO PREZIOSO SOSTEGNO

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[…] vorrei ricordare l’ovvio senza veli e falsi pudori, perché questo è il mio stile. Così Dio mi ha fabbricato, così Cristo mi ha voluto a suo servizio nel sacro ministero sacerdotale. Ecco allora l’ovvio: come avrete notato non abbiamo sponsor né beneficiamo di contributi da parte di Fondazioni cattoliche e di Ordini Cavallescheschi sollecitati a riversare su di noi regalìe in cospicue somme di danaro dalla solerte Segreteria di Stato del Vaticano, che sovente usa a tal fine le pingui casse delli Boni Cavalieri indirizzando la loro generosità su riviste e siti genuflessi al potere, che non sempre – per non dire quasi mai – è però il potere della fede che converte e salva le anime. No, non il potere della verità, spesso purtroppo è il potere di quella menzogna che la fa da padrona di questi tempi tristi  […]

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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Cari Lettori,

La vedova di Winchester

a inizi dicembre chiediamo ogni anno il vostro aiuto per pagare le spese di gestione del sito di questa rivista, che ammontano a 6.800 euro.

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Ringrazio i Lettori che nel corso dell’anno hanno inviato offerte e che ci consentono di proseguire nella nostra opera apostolica, tra loro anche vari sacerdoti.

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Fatti i ringraziamenti ricordo adesso l’ovvio, senza veli e falsi pudori, perché questo è il mio stile. Così Dio mi ha fabbricato, così Cristo mi ha voluto a suo servizio nel sacro ministero sacerdotale. Ecco allora l’ovvio: come avrete notato non abbiamo sponsor né beneficiamo di contributi da parte di Fondazioni cattoliche e di Ordini Cavallescheschi sollecitati a riversare su di noi regalìe in cospicue somme di danaro dalla solerte Segreteria di Stato del Vaticano, che sovente usa a tal fine le pingui casse delli Boni Cavalieri indirizzando la loro generosità su riviste e siti genuflessi al potere, che non sempre – per non dire quasi mai – è però il potere della fede che converte e salva le anime. No, non il potere della verità, spesso purtroppo è il potere di quella menzogna che la fa da padrona di questi tempi tristi.

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Voi comprendete come mai certe agenzie stampa e grandi siti cattolici scrivono ciò che devono scrivere e vedono solo ciò che devono vedere? E se qualcuno osa scrivere ciò che non si deve scrivere perché legato a fatti e situazioni che non si devono vedere ― semmai osando persino reclamare che i responsabili di certi gravi errori siano neutralizzati e puniti per evitare il perpetrarsi dei loro danni recati alla Chiesa di Cristo ―, loro si affrettano pure a scrivere che non è vero, inserendo seduta stante sulla lista dei “cattivi” chi ha osato commentare il fatto in toni di fuoco. Come infatti sapete siamo arrivati anche a questo: le “liste di proscrizione” con tanto di pubblica lavagna che indica “buoni” e “cattivi”, “amatori” e “odiatori” …

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Forse è bene chiarire che coloro che si sono prodigati a stilare certe liste, avevano una libertà interiore pari all’importo annuo di 250.000 euro di sovvenzione proveniente perlopiù dalle pingui casse di certi Cavalieri, il tutto su dolce invito evangelico a essi rivolto dalla Segreteria di Stato del Vaticano, che alla prova provata dei fatti non sempre ama la verità e chi la serve, ma chi la verità la manipola, se non peggio: chi proprio la falsifica e la nasconde …

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… della serie: libertà e verità hanno per taluni un prezzo. È stato quell’imbecille di San Giovanni Battista che non volle capire come la libertà e la verità funzionano a questo mondo. Se lo avesse capito avrebbe avuto un ricco conto presso la Cassa di Risparmio di Gerusalemme e sarebbe morto vecchio su una spiaggia dei Caraibi sorseggiando un Cuba Libre, disteso su una sdraia in riva al mare. Invece non ha capito niente, quell’emerito imbecille, ed ha perduta così la testa.

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Cosa mai sarebbe costato al Battista vestire i panni del Vescovo di Belluno e domandare scusa a Erode per avere pensato che il suo legame con Erodiade, peggio quello morboso verso Salomé, poteva essere male? [vedere precedente articolo, QUI]. Oppure come il Vescovo di Vittorio Veneto, che a Erode, Erodiade e Salomè ha spalancato le porte di accesso alla Santissima Eucaristia [cf. articoli QUI, QUI, QUI, QUI]. In fondo, costoro, non ne hanno forse “sacrosanto” diritto? Perché proprio a questo, certi vescovi, stanno riducendo la Santissima Eucaristia ed i Sacramenti di grazia: a un diritto al quale si accede tra una porcata di Erode, una furbata di Erodiade, ed una danza sensuale di Salomè, mentre tutto tace tra pavidità, omissioni colpose e soprattutto opportunismi clericali.

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Non crediate che dal lor canto certi cosiddetti “conservatori” o “tradizionalisti” che strepitano agguerriti in apparenza su siffatte cose aberranti, siano diversi e migliori, o che siano connotati da un esercito di anime pure, perché quando qualche laico o ecclesiastico, anche indirettamente legato alle loro fonti di danaro, ha commesso qualche cosiddetta porcata in grande stile, loro hanno totalmente taciuto, perché dinanzi ai soldi tutte le grandi difese della tradizione e della sana dottrina cattolica finiscono “letteralmente a puttane”, se mi passate questo termine molto elegante e tipicamente ecclesiastico.

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In modo del tutto contrario a queste notorie meretrici di ieri e di oggi, noi che per fede e divina vocazione ricevuta amiamo Cristo Dio, la sua Santa Chiesa e la verità, in questo contesto socio-ecclesiale non avremmo avuto neppure i mezzi materiali indispensabili per lavorare, se non fosse stato per la libera generosità dei nostri Lettori, che di nuovo ringraziamo, ed ai quali torniamo a chiedere generoso aiuto.

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Il nostro giovanneo motto è Veritas vos liberat [La verità vi farà liberi]. Ma la verità ha sempre un prezzo, ed è un prezzo sempre molto elevato. E questo, se permettete, a dirlo è un soggetto che, se certi talenti ricevuti da Dio li avesse usati in modo mefistofelico, a servizio della menzogna più ambiziosa e del supremo spirito pavido e clerical-ruffiano, forse oggi sarebbe membro del Collegio Cardinalizio, unito in “perfetta comunione” col mondo ecclesiastico decadente di coloro che vedono ma non guardano, che dicono ma non dicono, che sapevano ma coprivano e che dinanzi allo scoppio di certi scandali non trovano di meglio da fare che mentire, affermando che non erano mai stati informati, o che non sapeva niente, mentre in verità hanno prima massacrato e poi minacciato i pochi coraggiosi che sono andati a segnalargli persone e situazioni ad alto rischio. E via a seguire con quelli che stanno alla finestra in attesa di tempi migliori e del carro di un nuovo condottiero sopra al quale saltare come se nulla fosse mai stato prima … E chi a tal proposito vuole approfondire questo discorso, non deve far altro che leggersi il mio libro E Satana si fece trino [cf. QUI].

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Questi sono i motivi per i quali non possiamo permetterci di correre il rischio di ritrovarci limitati nella nostra libertà in cambio di regalìe e sovvenzioni. Perché sia chiaro: tutti, ma proprio tutti, “progressisti” e “tradizionalisti”, sono prigionieri di un padrone, ed hanno un prezzo. Quelli che in apparenza non hanno padrone, spesso sono assoggettati al padrone peggiore: la cecità di sé stessi che produce mancanza di lucidità e di oggettivo senso analitico e critico. Spesso, questi ultimi, sono coloro che al sempre più smarrito Popolo di Dio recano anche i danni peggiori.

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E pensare che noi, i padroni, non li dovremmo neppure cercare! Proprio così, perché sono stati loro stessi a offrirsi, sapendo che L’Isola di Patmos è una rivista che marcia sulla media di oltre dieci milioni di visite all’anno, sulla quale scrivono dei sacerdoti e dei teologi resi credibili dal fatto che non sono sul libro-paga di nessuno. Ergo noi siamo creduti, quando con cognizione di causa analizziamo e scriviamo.

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Possiamo far dunque unico affidamento sull’obolo della povera vedova di cui narra il Santo Vangelo [cf.  Mc 12. 41-44], colei che con fede e amore dona gratuitamente quello che ha. Di questo noi abbiamo bisogno: del libero e disinteressato obolo di tante buone, belle e sante vedove.

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Per questo vi chiediamo di volerci sostenere con le vostre offerte che ci consentiranno di pagare le spese vive annuali del sito sul quale è appoggiata questa rivista. A vostro piacimento e comodità potete usare il codice Iban del conto intestato a Edizioni L’Isola di Patmos, il codice swift per bonifici internazionali, oppure il comodo e sicuro sistema PayPal, anch’esso intestato a Edizioni L’Isola di Patmos. Chi può farlo disponga, sull’uno o sull’altro conto, un versamento mensile per un intero anno, anche di pochi euro, ma per noi preziosi, perché se solo 100 persone ci mandassero ogni mese anche cinque o dieci euro, per noi sarebbe un notevole sollievo, vale a dire un grande aiuto per la nostra missione apostolica.

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Merita spendere infine due parole sulla figura del cattolico avaro, spiegando anzitutto chi è, ma soprattutto come ragiona. Il cattolico avaro è colui che prende sempre volentieri a piene mani il frutto del sacrificio e del lavoro pastorale altrui, che ti cerca senza esitazione alcuna per chiedere consigli, pareri e risposte. Dichiarandosi poi sereno e sollevato dai dubbi e dalle sofferenze che lo affliggevano. Però mai ti metterà un euro nella cassetta delle elemosine. E siccome il cattolico avaro ha bisogno di giustificazioni per poter vivere sereno con la sua avarizia, una delle sue principali è la seguente: «… ma come facciamo: tutti chiedono soldi!». In questo il cattolico avaro ha pienamente ragione, perché è vero: tutti chiedono soldi. Però non valuta ciò che a monte della richiesta è offerto: c’è chi in cambio di soldi offre droghe e acidi allucinogeni, chi come noi offre salutari medicine per l’anima, soprattutto per le anime affrante e smarrite. Se però noi non siamo forniti di mezzi necessari, possiamo anche chiudere tranquillamente il laboratorio farmaceutico, perché le medicine non le potremo né fabbricare né offrire gratuitamente a chiunque ne abbia di bisogno, come invece facciamo dall’ottobre del 2014.

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Dietro L’Isola di Patmos lavorano diverse persone, tutte a titolo puramente gratuito, non solo noi Padri e il caro Jorge Facio Lince responsabile delle Edizioni. Porgo quindi riconoscenti ringraziamenti alla nostra cara webmaster, la Signora Manuela Luzzardi, al caro Fiore Cappone, nostro Web hosting, che da cinque anni ci offre a un prezzo di assoluto favore un servizio di altissimo livello, specie considerando il nostro sistema, le grandi memorie di archivio, i programmi grafici ed editoriali che usiamo e via dicendo, i costi dei quali sarebbero di per sé ampiamente superiori a quelli da noi pagati.

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Per quanto riguarda le Edizioni L’Isola di Patmos, chi di voi ha acquistato i nostri libri avrà notato quanto sono curati nei caratteri di scrittura, nella grafica, nelle copertine. Di questo dobbiamo rendere grazie alla cara Ester Maria Ledda, nostra impaginatrice, alla Signora Dorotea, che cura le copertine, ma soprattutto al lavoro meticoloso del caro Ettore Ripamonti, il nostro prezioso correttore di bozze, capace a trovare non solo piccoli refusi, ma persino uno spazio bianco in più tra parola e parola. La cara Licia Oddo, che si occupa della promozione delle nostre opere. Certo, dalla vendita dei libri che è appena iniziata il 7 luglio 2019, non possiamo al momento sostenere la nostra opera, per avviare la quale ci è stato offerto un prestito d’onore di 10.000 euro che nel tempo dovremo restituire. Per caso c’è qualcuno che intende aiutarci anche in piccola parte, a pagare questo debito? Non lo abbiamo contratto per noi stessi, ma per servire al meglio il Popolo di Dio. Pur malgrado siamo però felici, perché temevamo un potenziale e doloroso fallimento, invece i libri stanno vendendo e tutto lascia presagire che la nostra sarà un’Editrice cattolica di cosiddetta nicchia che riuscirà a diffondere con le sue pubblicazioni la sana dottrina e gli insegnamenti del magistero perenne della Chiesa.

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Confidiamo nella vostra sensibilità e generosità, ben sapendo che noi lavoriamo per ciascuno di voi in un momento di grave crisi ecclesiale ed ecclesiastica, impegnando tutte le nostre forze senza risparmio alcuno per noi stessi. In cambio non chiediamo niente per noi, il nostro lavoro è da sempre gratuito, vi domandiamo solo un’offerta a sostegno della nostra opera, ossia per il pagamento delle spese vive.

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Non dimenticate che anche Cristo coi suoi Apostoli avevano bisogno d’esser sostenuti nella loro missione, ed avevano chi li sosteneva, anche se molti devoti, su queste pagine del Santo Vangelo, chissà perché preferiscono sorvolare. Come se a Cristo Dio e agli Apostoli si potesse sempre e solo chiedere, mai dare …

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Possa Dio rendere merito a tutti coloro che ci sosterranno.

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dall’Isola di Patmos, 29 novembre 2019

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QUI DI SEGUITO SONO RIPORTATI TUTTI I NOSTRI ESTREMI

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Gabriele Giordano M. Scardocci
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Gabriele

Il Re del Signore degli Anelli e il Re della croce Cristo Re dell’Universo

Omiletica dei Padri de L’Isola di Patmos

—  omiletica —

IL RE DEL SIGNORE DEGLI ANELLI E IL RE DELLA CROCE CRISTO RE DELL’UNIVERSO  

Proprio perché si è donato totalmente, Gesù può portare il ladrone in Paradiso, nel suo regno.  E così, dall’evento della crocifissione, può portare ciascuno di noi in Paradiso; riflettiamo sul fatto che in origine abbiamo ricevuto la nostra vita per un atto di donazione libero e gratuito di Dio. E anche la libertà dal peccato ci è donata sempre gratuitamente e liberamente sulla croce. Perciò da questo momento in poi anche noi possiamo essere partecipi della regalità di Gesù. 

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Autore:
Gabriele Giordano M. Scardocci, O.P.

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Cari fratelli e sorelle,

Il Signore degli anelli: «Il ritorno del Re»

recentemente è stata tradotta di nuovo la splendida opera di J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli. Per noi più giovani, tra i vari racconti è rimasto impresso Il Ritorno del Re, terzo libro della trilogia nel quale l’intrepido Aragorn Grampasso, dopo la splendida vittoria finale contro Sauron – la distruzione dell’anello da parte di Frodo – è incoronato re di Gondor. La storia di Aragorn ci richiama un regno fatato, in cui però il bene ha vinto definitivamente sul male e la morte. C’è dunque questo re che dopo una serie di peripezie è incoronato e finalmente glorificato.

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La festa di Cristo Re dell’Universo che oggi la Chiesa universale celebra, è innanzitutto del Signore, poi riguarda tutti noi. Leggiamo nella prima lettura vetero-testamentaria tratta dal II Libro di Samuele:  

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«Vennero dunque tutti gli anziani d’Israele dal re a Ebron, il re Davide concluse con loro un’alleanza a Ebron davanti al Signore ed essi unsero Davide re d’Israele».

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Il popolo d’Israele stringe un‘alleanza con il Signore che, in precedenza, aveva detto a Davide di pascere il suo popolo. Dai libri storici sappiamo che Re Davide è a un tempo forte, ma con molte fragilità e cadute, anche molto gravi. Questo ricorda come anche noi siamo deboli, nonostante la grande fede che abbiamo nel Signore. Questo però non ci deve rendere tristi o disperati. Infatti il Signore Gesù stesso, prende la nostra forza, debolezza e fragilità e la unisce a Lui. Così facendo la eleva. Ci unisce dunque al suo trono, che è la croce, come ci narrano le parole del Vangelo di San Luca:

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«Il ladrone disse: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel Paradiso”».

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Il ladrone pentito riconosce la regalità di Gesù. La regalità fu proprio quella di sedersi sul legno della croce, e da lì fu reso sovrano: perché infatti si abbassò, pur rimanendo Dio, in una donazione totale a noi.

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Proprio perché si è donato totalmente, Gesù può portare il ladrone in Paradiso, nel suo regno.  E così, dall’evento della crocifissione, può portare ciascuno di noi in Paradiso. Riflettiamo: in origine abbiamo ricevuto la nostra vita per un atto di donazione libero e gratuito di Dio. E anche la libertà dal peccato ci è donata sempre gratuitamente e liberamente sulla croce. Perciò da questo momento in poi anche noi possiamo essere partecipi della regalità di Gesù.

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Siamo già col battesimo figli nel Figlio, vale a dire figli di Dio. Adesso possiamo diventare regnanti nell’unico Re.  Su questo ci dice qualcosa San Paolo Apostolo nell’inno di Colossesi:

«Fratelli, ringraziate con gioia il Padre che vi ha resi capaci di partecipare alla sorte dei santi nella luce».

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Questa partecipazione alla sorte dei santi, implica che noi diventiamo in Cristo re insieme a Lui. Questo accade ogni volta che ci doniamo totalmente a Dio e al prossimo. Quando dico donazione al prossimo penso alle opere di misericordia spirituali e corporali. È una donazione misericordiosa, che non pretende un tornaconto monetario o morale. Compiamo un’opera verso un povero di spirito, e il Signore ci dona la sua gioia e il suo amore come unica ricompensa. E in quel momento davvero gustiamo il regno di Dio.

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Ha scritto il filosofo francese Jean Luc Marion:

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«L’amore non si dona se non abbandonandosi, trasgredendo continuamente i limiti del proprio dono, sino a trapiantarsi fuori di sé».

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Signore aiutaci a uscire dalle piaghe dell’Io egoista e di trapiantarci nel tuo abbandono tenero ed affettuoso per donarti a te, alta eterna Trinità.

Così sia.

Roma, 24 novembre 2019

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Novità dalla Provincia Domenicana Romana: visitate il sito ufficiale dei Padri Domenicani, QUI

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Il più grande scippo della storia della Cristianità: il primo Santo canonizzato da Cristo in persona è stato un ladrone convertito al Sommo Re dell’Universo negli ultimi minuti di vita

L’angolo dell’omiletica dei Padri de L’Isola di Patmos

IL PIÙ GRANDE SCIPPO DELLA STORIA DELLA CRISTIANITÀ: IL PRIMO SANTO CANONIZZATO DA CRISTO IN PERSONA È STATO UN LADRONE CONVERTITO AL SOMMO RE DELL’UNIVERSO NEGLI ULTIMI MINUTI DI VITA

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Di questo povero ladrone crocifisso non sappiamo molto, secondo la tradizione l’uomo si sarebbe chiamato Disma, però conosciamo di lui e con certezza la destinazione finale: il Paradiso. Inutile a dirsi, anche se è bene dirlo e ricordarlo: siamo davanti al primo santo canonizzato della storia della Chiesa, ed il tutto per opera di Cristo in persona, non della Congregazione delle cause dei santi, che giungerà solo secoli dopo.

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Autore
Ivano Liguori, Ofm. Capp.

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Cristo e il Buon Ladrone, opera di Tiziano Vecellio (1477 – 1576)

Resto sempre commosso davanti a questa bella espressione del buon ladrone, che manifesta una fede veramente fuori dal comune: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno» [Lc 23,42]. Egli si appella al Maestro utilizzando il nome proprio, è raro che nei Vangeli qualcuno si rivolga a Cristo in questo modo, e il fatto stesso si spiega con la consapevolezza che in Gesù si realizza un regno che non delude, capace di compiere una vera giustizia davanti al male del peccato.

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In ciò risiede il vero significato della regalità di Cristo, egli non salva sé stesso alla maniera dei governanti umani, come pretende la folla gridando forsennatamente da sotto la croce, ma salva l’uomo che implora perdono e misericordia.

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Questo buon malfattore, attraverso la sua fede si affida totalmente a Dio, compie una vera appropriazione indebita, un salto d’audacia in Cristo Re così da riscattare totalmente la sua esistenza. Per questo brigante la salvezza inizia nell’oggi: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel Paradiso». Si tratta di un avverbio di tempo con valore teologico, quello scelto dall’evangelista Luca, che produce come per Zaccheo una salvezza nell’immediato [cf. Lc 19,1-10].

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Di questo povero ladrone crocifisso non sappiamo molto, secondo la tradizione l’uomo si sarebbe chiamato Disma, però conosciamo di lui e con certezza la destinazione finale: il Paradiso. Inutile a dirsi, anche se è bene dirlo e ricordarlo: siamo davanti al primo santo canonizzato della storia della Chiesa, ed il tutto per opera di Cristo in persona, non della Congregazione delle cause dei santi, che giungerà solo secoli dopo.

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Al termine dell’Anno Liturgico, la liturgia di questa domenica ci conduce a riflettere non tanto sulla fine della nostra esistenza quanto invece sul fine [vedere Liturgia della Parola, QUI]. In che modo facciamo regnare Gesù nella nostra esistenza? Nell’oggi terreno? In quale maniera la nostra vita diventa giusta?

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Sappiamo che con Gesù, affidandoci a Lui, noi possiamo essere realmente salvati anche se le nostre azioni sembrano condannarci, anche se il mondo in cui viviamo dice il contrario, anche quando la nostra storia personale sembra contraddirci.

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«Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno», è una bellissima preghiera da ripetere tutti i giorni, che equivale all’invocazione del pubblicano al tempio: «O Dio, abbi pietà di me peccatore» [Lc 18,13]. Sono atti di fede che realizzano la regalità di Cristo che è venuto per distruggere le opere dell’accusatore dell’uomo [cf. Ap 12,10] ed immetterci all’interno di un regno di giustizia e di pace che, attraverso la misericordia, recupera ogni nostra dissonanza e infedeltà, sino ad aprirci le porte del suo Regno che non avrà fine, come recitiamo nella nostra professione di fede.  

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Laconi, 23 novembre 2019

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il blog personale di Padre Ivano

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Dal celebre gigolò Francesco Mangiacapra a Cristo che passando per la strada chiama tra la folla Zaccheo che per vederlo s’era arrampicato su un albero di sicomoro: «Oggi devo fermarmi a casa tua»

– attualità ecclesiale –

DAL CELEBRE GIGOLÒ FRANCESCO MANGIACAPRA A CRISTO CHE PASSANDO PER LA STRADA CHIAMA TRA LA FOLLA ZACCHEO CHE PER VEDERLO S’ERA ARRAMPICATO SU UN ALBERO DI SICOMORO: «OGGI DEVO FERMARMI A CASA TUA» 

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È anzitutto fondamentale operare una distinzione che è peculiare nell’agire di Cristo verso gli uomini: dobbiamo saper separare il peccato dalla persona che lo compie: il peccato si condanna sempre e condannandolo si rigetta, mentre il peccatore non si rigetta, tutt’altro: si accoglie e si perdona. Separare infatti il male oggettivo del peccato dal bene intrinseco che la persona creata a immagine Dio continua a possedere, è un elemento sul quale nessun cristiano e soprattutto nessuno sacerdote può sorvolare.

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Autore
Ivano Liguori, Ofm. Capp.

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libro intervista di Francesco Mangiacapra

Il 7 novembre l’emittente Rete 4 di Mediaset ha trasmesso una nuova puntata del programma di Paolo Del Debbio, Dritto&Rovescio, all’interno del quale si è affrontato il secondo round del pruriginoso tema riguardante le performance sessuali degli uomini di Chiesa. Un dubbio mi sorge a riguardo: perché devo fare le ore piccole per assistere a determinate tematiche ― più adatte a un pubblico adulto ―, se poi all’indomani posso visionare sul sito Mediaset la puntata intera accessibile anche ai telespettatori più giovani e indifesi?

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Protrarre la trattazione di certi argomenti all’interno di una fascia oraria protetta, così da salvaguardare i semplici dagli scandali, ha perso ogni ragion d’essere. Non sarà forse perché ― dulcis in fundo i telespettatori sono sedotti con argomenti intriganti tali da prolungare la visione del programma fino alla fine del programma e tener così alto l’audience? Strategie televisive mi direte, certamente, ma che a mio modesto parere non sono in grado di appagare fino in fondo l’autentico senso di curiosità dell’uomo anche di fronte a fatti indiscutibilmente scabrosi come questi. La curiosità è un attributo fondamentale dell’intelligenza umana e non si appaga di certo attraverso il gossip nudo e crudo.

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Se tale lettura corrispondesse al vero, si potrebbe utilizzare un’altra locuzione latina più adatta al caso, cioè in cauda venenum [il veleno sta nella coda], per significare come spesso siamo condotti nostro malgrado dentro dinamiche che ci lasciano il più delle volte con l’amaro in bocca, con tanto di stoccata mortale finale. Insomma, certi argomenti, così come sono presentati oggi, non ci fanno solo del male ma non ci servono, allora perché insistiamo nel vederli?

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Dobbiamo riconoscere che argomenti simili ghermiscono i sensi di un buon collettivo di telespettatori che, per citare una massima sapienziale biblica, mai si saziano di vedere attraverso i loro occhi, né mai si saziano di udire attraverso i loro orecchi [cf. Qoe 1,8] storie di questo tipo. In queste persone vige una sorta di dipendenza psicologica da una certa narrazione hot proibita che un tempo, tra le pagine discrete dei romanzi rosa, non si azzardava mai a superare la soglia della camera da letto. Oggi non solo ha superato la camera da letto, ma è scesa in piazza … una piazza mediatica.

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Francesco Mangiacapra alla puntata di Dritto e Rovescio del 7 novembre 2019 [per aprire il frammento del filmato cliccare sull’immagine. La puntata intera è QUI a partire da 02:06:36]

A tarda ora i telespettatori sono stati condotti da Paolo Del Debbio, come un novello Guy de Maupassant, nelle stanze del piacere di una rivisitata Maison Tellier televisiva condita in salsa ecclesiastica. Protagonisti del dibattito in studio Gianluigi Nuzzi, Luigi Amicone, Giuseppe Cruciani, Giuliano Costalunga e il nostro caro Padre Ariel S. Levi di Gualdo, che hanno saputo dibattere i temi in modo molto meno accalorato della puntata del 31 ottobre [cf. vedere QUI da 02:11:10].

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Come special guest star, tra i tanti ospiti il giovane gigolò napoletano Francesco Mangiacapra, autore e protagonista del Dossier Mangiacapra consegnato alla diocesi di Napoli in relazione alle frequentazioni amicali poco ortodosse di certi esponenti del clero locale e non solo. Perché dunque non riconoscerlo? Sotto un altro aspetto Francesco Mangiacapra è stato utile per portare allo scoperto una rete di sacerdoti indegni e con problemi morali e spirituali abnormi, costringendo le Autorità Ecclesiastiche a procedere a loro carico. Bene disse in tal senso Giuseppe Cruciani nella puntata del 31 ottobre, perché visto il tutto sotto altre angolature «A Francesco Mangiacapra bisognerebbe dare un premio».

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Con le poche e brevi battute di prassi consentite da un programma televisivo, il nostro Padre Ariel ha inquadrato il cuore del problema di certi frequenti e gravi scandali che coinvolgono membri del clero dicendo: «La Chiesa, da cinquanta, sessant’anni a questa parte è caduta in una profonda crisi dottrinale che ha generato una crisi della fede, che a sua volta ha generato per triste e logica conseguenza la grave crisi morale che oggi abbiamo sotto gli occhi». Inutile ribadire — merita però farlo —: questo nostro confratello, dieci anni or sono analizzava con ampio anticipo il problema,  esploso anni dopo, nella sua opera E Satana si fece trino, libro dato di nuovo alle stampe con le nostre Edizioni L’Isola di Patmos il 7 luglio 2019.

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Sono sincero: in questa puntata sono stato molto colpito da Francesco, tanto da soffermarmi a riflettere su di lui e così astrarmi da giudizi e critiche riguardanti la sua professione e le vicende che lo hanno visto protagonista di ben circostanziati fatti riguardanti i suoi particolari clienti.

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foto: Francesco Mangiacapra

Davanti a simili tematiche è prudente sollevare l’asta della nostra intelligenza e elevarci a livelli superiori alla media. Accantonare i pregiudizi e cercare per quanto è possibile di andare oltre, seguendo quella pedagogia che Cristo ha attuato con alcuni personaggi del Vangelo e che ci testimonia la capacità del Signore nel gestire e risolvere alcuni aspetti complessi insiti nella nostra umanità.

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È anzitutto fondamentale operare una distinzione che è peculiare nell’agire di Cristo verso gli uomini: dobbiamo saper separare il peccato dalla persona che lo compie: il peccato si condanna sempre e condannandolo si rigetta, mentre il peccatore non si rigetta, tutt’altro: si accoglie e si perdona. Separare infatti il male oggettivo del peccato dal bene intrinseco che la persona creata a immagine Dio continua a possedere, è un elemento sul quale nessun cristiano e soprattutto nessuno sacerdote può sorvolare.

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Dio, in quanto sommo bene, non può che creare nel bene ogni opera uscita dalle sue mani: tra le varie opere comprendiamo ovviamente anche l’uomo. Il peccato è invece un male in quanto privazione di Dio, è un pericoloso offuscamento del bene che produce un disordine naturale, spirituale e morale che tende a nascondere il bene e allontanare l’uomo da Dio. Da qui possiamo anche comprendere come mai, acceso come una tanica di benzina dentro la quale era stata gettata una torcia accesa, nella puntata del 31 ottobre il nostro Padre Ariel perse apparentemente le staffe, quando il sacerdote veronese Giuliano Costalunga, oggi appartenente a una non meglio precisata “Chiesa” progressiva, affermò che «Dio mi ha creato così come sono» [cf. precedente articolo, QUI]. Padre Ariel, che come teologo dogmatico e storico del dogma ha studiato per lunghi anni la connessione tra la libertà e il libero arbitrio dell’uomo in rapporto al mistero del peccato originale, tirò fuori tutto il suo pathos tosco-romano gridando: «Questa è una aberrazione! Dio non può creare il male», sottintendendo che lo permette, perché rientra nell’esercizio della libertà dell’uomo, ma non lo crea. Premessa questa necessaria per capire il senso del ragionamento che segue … 

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foto: Francesco Mangiacapra

… leggendo con attenzione il Vangelo, possiamo capire che per Cristo uomini come Zaccheo e Levi [cf. 5, 27-32] non sono solo dei peccatori pubblici in quanto pubblicani [cf. Lc 19, 1-10]; donne come l’Adultera [cf. Gv 8,1-11], la Samaritana [cf. Gv 4, 1-26] e la pubblica peccatrice [cf. Lc 7, 36-50] non sono solo delle fedifraghe; e infine Disma ― il buon ladrone ― [cf. Lc 23, 35-43] non è solo l’esponente di una falange politico religiosa di matrice terroristica che si oppone all’Impero Romano. Tutti costoro, sebbene si trovino in una condizione di disordine causata dal peccato, continuano a restare uomini amati da Dio e a possedere una ben specifica dignità divina derivante da colui che li ha creati.

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In Cristo l’uomo e la donna non si identificano più attraverso l’origine nazionale, il ruolo sociale o peggio col proprio peccato. Per Cristo tutte queste persone sono anzitutto figli del Padre e come tali oggetto di premura e tenerezza, affinché si compia la salvezza che recupera una lontananza dal Padre che trova nel male e nel peccato la sua origine. Capito e chiarito questo, ecco che come pastore in cura d’anime e come teologo che osserva il giovane Francesco Mangiacapra posso cogliere la sua più profonda identità solo nell’amore che Dio prova per lui. La verità di Francesco non risiede nella sua professione, neanche nel suo orientamento sessuale: egli è creatura di Dio che ha bisogno di Dio per essere felice ed esprimere quel bene che il Signore gli ha donato nel crearlo attraverso l’opera di Gesù Cristo. Questo discorso vale per lui, così come per me, per noi e per chiunque altro.

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Non stiamo portando avanti una apologia omosessualista, nel pericoloso stile di Padre James Martin S.J. Questa doverosa prima sottolineatura di carattere antropologico sul valore della persona umana creata da Dio è fondamentale per comprendere il passo successivo. Se l’uomo è sempre realtà molto buona, il peccato ― qualunque peccato ― non ha l’ultima parola sull’esistenza umana e può essere spodestato. In Adamo tutti abbiamo peccato e siamo privi della gloria di Dio ma in Cristo tutti siamo stati giustificati gratuitamente in virtù della redenzione realizzata da Cristo Gesù. [cf. Rm 3,23-24]. Questo significa che nessuno di noi in terra può vantare ― davanti a Dio e agli uomini ― un pedigree d’impeccabilità o pretendere una patente di santità da esibire all’occorrenza: davanti al male del peccato, l’unica realtà di salvezza consiste nella giustificazione.

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foto: Francesco Mangiacapra

Per essere giustificati è necessario accettare Cristo in tutte le sfaccettature e le pieghe della propria umanità, anche in quelle più oscure e controverse. Il pubblicano, l’adultera, il fariseo, il figlio prodigo, il ladro, l’assassino, colui che vive una sessualità disordinata e travagliata può essere costituito giusto solo attraverso l’opera di Cristo. Ciò significa operare un mutamento radicale nella vita personale di ciascuno di noi e si costituisce come alternativa sensibilmente più efficace della semplice conversione a cui siamo abituati. Il verbo greco della conversione è μετανοέω [metanoéō], esso non esprime semplicemente una sottrazione del male e del peccato ma include la necessaria esigenza a lasciarsi innestare in Cristo e a rivestirsi di lui.

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Se io tolgo il peccato ma non scelgo l’opzione fondamentale che è Cristo, resto nudo e la mia conversione risulta inefficace. L’insegnamento paolino in tal senso, nell’epistola ai Romani è chiaro a riguardo quando afferma che «Se con la tua bocca proclamerai: ”Gesù è il Signore!”, e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo» [cf. Rm 10,9]. Per essere salvi, giustificati, convertiti dobbiamo compiere una appropriazione indebita, un salto d’audacia e appropriarci di quella redenzione che Cristo ha compiuto morendo sulla croce, e che ci viene data come dono gratuito e immeritato dallo Spirito Santo quando caliamo, all’interno della nostra esistenza la persona del Redentore.

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foto: Francesco Mangiacapra

Quando questa appropriazione della gloria salvifica di Cristo avviene, così come è stato per tanti uomini che hanno vissuto nel peccato, la vita muta, fiorisce e si rinnova assumendo un carattere nuovo. Questa è una necessaria sottolineatura, affinché capiamo che pur salvaguardando il valore e la dignità creaturale dell’uomo che si è smarrito dentro il peccato, spicchi l’affermazione di una volontà, illuminata dalla grazia, che si sveste del peccato e indossa i panni dell’uomo nuovo che è Cristo.

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Perdendomi in queste divagazioni, mi sono posto la domanda: come mai Francesco Mangiacapra, uomo amato da Dio e che ha ricevuto dal Signore tanti doni per realizzare e portare a termine il suo bene, ha scelto la carriera del gigolò o, come lui stesso ama definirsi, di marchettaroPossiede la giovinezza, la bellezza della giovane età, una acuta intelligenza che gli ha permesso di ottenere una laurea in giurisprudenza e l’abilitazione all’avvocatura, la multiformità del talento e dell’estro partenopeo e il dono della fede ricevuta nel battesimo e vissuta anche attraverso la frequentazione di scuole cattoliche. Padre Ariel, che è stato a contatto diretto con lui, mi ha parlato di Francesco come un giovane uomo dotato di talento, intelligenza, sensibilità e bontà interiore. Non solo si è trattenuto con lui assieme al nostro editore Jorge Facio Lince, ma si è proposto di fargli visita a Napoli appena possibile, per approfondire diversi discorsi avviati durante quegli incontri. A maggior ragione viene da chiedersi: come mai un giovane con tante prospettive sceglie di percorrere una strada del genere? E questa non è certo una domanda banale, soprattutto non è una domanda sciocca in quanto interpella profondamente il vissuto, la libertà e l’intimità di una persona.

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foto: Francesco Mangiacapra

Non credo che i fondamenti di questa scelta risiedano nella sola brama di denaro facile o nell’orientamento omosessuale. I soldi sono un miraggio per molti giovani d’oggi, è vero, ma sappiamo che sono una realtà piuttosto labile, possono esser guadagnati con facilità ma persi altrettanto facilmente. I soldi vanno e vengono con rapidità, chi pratica un certo tenore conseguente a uno stile di vita come quello del gigolò ha bisogno di spenderne molti per mantenere il proprio outfit e assecondare le esigenze di un certo mercato che è spietato e non fa sconti per nessuno.

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Se è pur vero che il mercato della prostituzione riesce a mantenere floridi gli introiti dei suoi professionisti è anche vero che sono correlati tanti rischi, non ultimi gli accertamenti fiscali da parte delle autorità competenti. In Italia, com’è noto, la prostituzione non è un lavoro riconosciuto e come tale non è oggetto di tassazione e regolamentazione fiscale attraverso il pagamento di tasse, ciò significa che tutto quello che si guadagna è in nero. Di fatto significa essere degli evasori fiscali totali.

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Mi sia permessa un’altra considerazione, alla professione di gigolò è fissato ovviamente un limite anagrafico. Il mercato del sesso richiede corpi seducenti e giovani per poter essere competitivo e appetibile alla clientela e quando si raggiunge la fatidica soglia dei quarant’anni si è ben consapevoli che la carriera sta per volgere al termine. Per quanto riguarda l’orientamento omosessuale reputo che esso non rappresenti un incentivo sufficiente a praticare il mestiere di gigolò: in Italia tanti illustri esponenti dello spettacolo, della musica, della letteratura, della moda e della cultura sono omosessuali, eppure si sono affermati e hanno manifestato magnificamente i propri talenti senza sottolineare a ogni piè sospinto il proprio orientamento sessuale e senza arrotondare i profitti facendo gli escort.

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foto: Francesco Mangiacapra

Queste sono solo considerazioni personali che rivolgo a me stesso e che non rappresentano assolutamente un giudizio sulla persona di Francesco o una volontà direttiva nei suoi confronti. Egli è libero di spendere la libertà che Dio gli ha donato come meglio crede, anche compiendo delle scelte che lo pongono al di fuori di quella pienezza di vita che il Vangelo e la dottrina della Chiesa propongono. Nessuno può essere obbligato a seguire il Vangelo e la Chiesa, se non vuole, tuttavia esiste un di più che fa la differenza e che costituisce quella perla preziosa che arricchisce immensamente la vita umana.

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Si potrebbe forse partire da una rivalutazione differente della propria esistenza e delle proprie doti, constatando il bello e il buono che vi è presente. Vendere il proprio corpo non implica la svendita della propria intelligenza, ma proprio per questo motivo è bene utilizzare la propria intelligenza per cercare di salvaguardare anche il proprio corpo che è la realtà materiale più immediata e fragile con cui possiamo interagire e comunicare con il mondo.

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Francesco possiede un certo talento per la scrittura, perché non esercitarlo e coltivarlo per esprimere ciò che ha dentro e manifestare le sue convinzioni più importanti? La sua intelligenza profonda e la sua preparazione culturale possono servire, assieme alla sua sagacia, a generare idee capaci di aiutare il prossimo. E le idee, caro Francesco, sanno essere più potenti e seducenti dei corpi nudi e, sebbene non siano esenti dall’essere criticate, sono lo specchio di una personalità unica e irripetibile e la dimostrazione tangibile che esiste un Dio che ci ha creato in modo originale e nel bene ci ha donato ciò che è necessario per raggiungere la felicità.

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Il Vangelo, da duemila anni a questa parte, insegna che l’uomo anche se lontano da Dio per scelta personale o a causa della malizia del peccato, può sempre tornare indietro e operare una scelta differente. Nessuno è perduto o impossibilitato a scegliere il bene. E questo, caro amico, il bene che può giovare a noi e agli altri, mentre il bene auto-prodotto, auto-diretto per interessi personali presto o tardi stanca e resta sterile.

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Icona bizantina: Cristo Signore si rivolge a Zaccheo arrampicato sul sicomoro per vederlo passare: «Zaccheo, oggi devo fermarmi a casa tua» [Lc 19, 5]

Come giovane che vive un orientamento sessuale omo-diretto, se avrai il coraggio di compiere il salto d’audacia nella giustificazione di Cristo troverai quelle grazie di cui abbisogni per recuperare la tua vera, intima e singolare felicità che ha in Dio la sua origine. Chi trova Dio, trova la felicità, chi possiede la felicità, possiede anche il dono della pace ed è questo ciò che ti auguro. Ma tutto questo dipende solo e unicamente dalla tua libertà e dal tuo libero arbitrio, sul quale neppure Dio sindacherebbe mai, tanto rispetta la libertà dell’uomo.

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Mi piacerebbe vederti in televisione caro Francesco, non più come ospite di qualche programma di gossip che ti vede e usa solo come gigolò ma come protagonista in qualche dibattito utile e costruttivo; ne sei pienamente all’altezza, perché possiedi intelletto, talento ed elevata cultura.

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Sei avvocato, hai la grande opportunità di essere il difensore e l’uomo di fiducia per tante persone, con la determinazione di cui sei capace lotta per una società migliore, lotta per la tua Napoli che ha dato all’Italia giovani talentuosi che hanno saputo elevarsi sopra la mediocrità di un mondo che preferisce comprare i corpi e violentare le menti anziché nobilitare le anime.

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Sappi infine che i Padri de L’Isola di Patmos ti sono vicini e, quando prossimamente ti incontrerai a Napoli con Padre Ariel, egli ti porterà anzitutto i saluti e il ricordo nella preghiera di tutti quanti noi, che ti saremo sempre vicini come sacerdoti e come pastori in cura d’anime. 

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Laconi, 19 novembre 2019

 

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Gabriele Giordano M. Scardocci
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

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Padre Gabriele

Dai sopravvissuti della cinematografia catastrofica al Regno di Cristo che non avrà fine

Omiletica dei Padri de L’Isola di Patmos

—  omiletica —

DAI SOPRAVVISSUTI DELLA CINEMATOGRAFIA CATASTROFICA AL REGNO DI CRISTO CHE NON AVRÀ FINE 

non ci agitiamo, né facciamoci prendere da ansie varie, noi non siamo Preppers o Survivalisti, siamo Christi fideles. Viviamo quindi con serenità il nostro lavoro e la nostra quotidianità, fermi e perseveranti nella fede, e davvero anche le difficoltà più grandi sapremo affrontarle certi della presenza di Gesù. 

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Autore:
Gabriele Giordano M. Scardocci, O.P.

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Cari fratelli e sorelle,

I sopravvissuti (Survivors) serie televisiva britannica di ambientazione post apocalittica prodotta dalla BBC nel 1975. La trama si basa su uno scenario in cui il mondo intero è stato colpito da un’epidemia causata da un virus letale, al quale è scampato solo l’1% dell’intera popolazione mondiale.

nel secolo scorso si è affermato negli Stati uniti il movimento dei Preppers o Survivalisti. Questo movimento riunisce persone fermamente convinti di un’imminente catastrofe irreversibile di natura economica, bellica o ambientale: perciò si dicono pronte a sopravvivere alle peggiori condizioni esistenziali; si preparano alla “fine del mondo” conosciuto, ad esempio costruendo rifugi anti atomici in casa, facendo una raccolta perpetua di derrate alimentari o imponendosi un regime di frugalità. I preppers si preparano al peggio, ad un tempo della fine secondo una mentalità umana.

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Dobbiamo prepararci tutti a un momento in cui questo tempo avrà fine: ma dobbiamo farlo con la gioia dell’inizio. Dobbiamo prepararci all’incontro finale con Gesù, sapendo che lui è l’inizio di questo incontro.

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Le letture di questa XXXIII domenica del tempo ordinario [vedere Liturgia della Parola, QUI] di oggi ci offrono questa prospettiva, a partire dal Libro di Malachia nel quale leggiamo:

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«Sta per venire il giorno rovente come un forno. Tutti i superbi e tutti coloro che commettono ingiustizia saranno come paglia; quel giorno, venendo, li brucerà fino a non lasciar loro né radice né germoglio.  Per voi, che avete timore del mio nome, sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia».

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Il profeta Malachia distingue superbi e arroganti dai timorati di Dio, coloro cioè che vivono con una fede devota e vera. Per i primi, quando verrà il giorno del Signore, non ci sarà più possibilità di conversione e di ritorno indietro. Questo per Malachia è un richiamo agli ingiusti alla revisione della propria vita. Dio prende sul serio la nostra condotta: se ci allontaniamo da Lui peccando, non obbliga nessuno a pentirsi; liberamente invece ci aiuta a tornare in amicizia con Lui. Proviamo allora a pensare a quali sono quei peccati che spesso ripetiamo, e che sono diventati talmente abitudinari che neanche ci accorgiamo di compiere.

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Per giungere dunque con una fede viva e vera, è necessaria questa attenzione. Infatti verranno momenti di prova della nostra fede e della nostra vita. Nel Vangelo di oggi leggiamo:

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«Metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, […] a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere».

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La coerenza fino alla fine della fede cattolica prevede, per lo stesso insegnamento di Gesù, persecuzioni e calunnie. Ma il Signore non ci lascia soli, tutt’altro: ci offrirà una parola ― stoma ― cioè un linguaggio in grado di rispondere alle false accuse. Allo stesso tempo ci offrirà il dono della sapienza, con il quale sapremo cogliere dov’è l’errore che viene proposto come verità assoluta dai nostri persecutori. Così con parola e sapienza di Gesù, potremo giungere all’Incontro con Lui con grande forza e personalità.

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San Paolo ci offre un ultimo consiglio su come vivere questo tempo di attesa:

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«Sentiamo infatti che alcuni fra voi vivono una vita disordinata, senza fare nulla e sempre in agitazione. A questi tali, esortandoli nel Signore Gesù Cristo, ordiniamo di guadagnarsi il pane lavorando con tranquillità».

Dunque non ci agitiamo, né facciamoci prendere da ansie varie, noi non siamo Preppers o Survivalisti, siamo Christi fideles. Viviamo quindi con serenità il nostro lavoro e la nostra quotidianità, fermi e perseveranti nella fede, e davvero anche le difficoltà più grandi sapremo affrontarle certi della presenza di Gesù.

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Scriveva W. Goethe:

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«Come raggiungere un traguardo? Senza fretta ma senza sosta».

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Il Signore ci doni la tenacia di camminare senza sosta verso il traguardo definitivo e così, insieme a chi amiamo ritrovarci in Paradiso, per vivere la domenica senza tramonto nell’abbraccio trinitario.

Così sia.

Roma, 17 novembre 2019

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Gabriele Giordano M. Scardocci
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

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Padre Gabriele

«Ogni maledetta domenica». Scaliamo le pareti dell’Inferno un centimetro alla volta, per poter vincere così la più ardua di tutte le partite della vita

Omiletica dei Padri de L’Isola di Patmos

—  omiletica —

«OGNI MALEDETTA DOMENICA». SCALIAMO LE PARETI DELL’INFERNO UN CENTIMETRO ALLA VOLTA, PER POTER VINCERE COSÌ LA PIÙ ARDUA DI TUTTE LE PARTITE DELLA VITA 

Al Pacino interpreta l’allenatore di una squadra di football americano; prima di una partita difficilissima li sprona con un discorso bellissimo. In questo lungo discorso, invita i giocatori a scalare le pareti dell’Inferno un centimetro alla volta. Cioè a vincere la partita più ardua. Per riuscire nell’intento, li esorta a fare gioco di squadra: perché da soli non possono vincere. 

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Autore:
Gabriele Giordano M. Scardocci, O.P.

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Cari fratelli e sorelle,

Locandina del film

le Letture di questa XXXII domenica del tempo ordinario [vedere Liturgia della Parola QUI], mi ricorda un bellissimo film sullo sport, intitolato Ogni maledetta domenica. Al Pacino interpreta l’allenatore di una squadra di football americano; prima di una partita difficilissima sprona i giocatori con un discorso bellissimo. In questo lungo discorso li invita a scalare le pareti dell’Inferno un centimetro alla volta, cioè a vincere la partita più ardua. Per riuscire nell’intento, li esorta a fare gioco di squadra: perché da soli non possono vincere. Nessuno può vincere solo.

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Questo esempio filmico introduce il tema di oggi. Nessuno vince da solo, nessuno si redime da solo. Concetto questo al quale ci introduce la lettura vetero testamentaria nella quale leggiamo:

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«È preferibile morire per mano degli uomini, quando da Dio si ha la speranza di essere da lui di nuovo risuscitati; ma per te non ci sarà davvero risurrezione per la vita» [2Mac 7,1-2.9-14].

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Questo brano ci mostra la tenacia e la fedeltà dei fratelli Maccabei, che insieme resistono all’oppressione pagana, negando di cibarsi di pietanze proibite agli israeliti e così rendersi impuri davanti a Dio. Ecco che c’è il desiderio di rimanere santi e uniti a Dio. Notiamo che è ogni fratello parla a nome di tutti. I maccabei, con l’idea stessa di resurrezione delle membra, scandalizzano i greci, per i quali la carne è prigione del corpo e deve morire. Insieme, non solo non hanno paura di dire la verità, ma anche di morire per risorgere. Ciò indica anche una grande compattezza nel gruppo. Questa forza è moltiplicata da una comunione l’uno con l’altro e con Dio. Da ciò ci sembra giusto dire che si: verso la resurrezione si va con gli altri, mediante un cammino comunionale e comunitario nella verità.

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Per noi questo ci deve aiutare a generare legami di comunione. Uniti, con la fede in Gesù Cristo. Perché dove noi siamo riuniti nel suo nome, Lui è fra noi. Questo ricordiamolo anche nelle attività di difesa e protezione della vita, che non è un bene disponibile nelle mani dell’uomo. Allo stesso tempo allontaniamo le divisioni e generiamo quella comunione che porta alla resurrezione, come ascoltiamo nella lettura del Santo Vangelo lucano:

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«Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui» [Lc 20,27-38].

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Precedentemente Gesù ha spiegato che in Paradiso nulla appartiene a nessuno. La moglie vedova non sarà di nessuno dei diversi fratelli. E Cristo sarà con tutti noi, distinti da Lui, uniti con la Trinità in Lui. Questa unione tramite la vita eterna avviene tramite la resurrezione di cui Gesù è strumento. Così va inteso quel “per lui”: Gesù dona la salvezza perché Essendo il capo del corpo mistico trasmette la salvezza alle membra: cioè a noi tutti. Questa apertura alla salvezza avviene con una certezza: che la resurrezione non si attende in modo passivo ma mediante la vita di fede. Proprio perché il collante è e sarà Lui e lui è il centro della fede e dell’essere operativi tramite essa.

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Scrive allora San Paolo nella seconda lettura:

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«Per il resto, fratelli, pregate per noi, perché la parola del Signore corra e sia glorificata, come lo è anche tra voi» [2Ts 2,16-3,5].

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Paolo che scrive a una comunità, chiede a questa comunità di pregare per un’altra comunità, richiamando in tal senso il concetto di koinonia [dal greco: comunione]. E chiede di pregare perché la Parola si diffonda e affinché siano liberati dal male fondamentalmente. Questa liberazione avviene tramite l’unione dei cuori e nella corsa e glorificazione della parola del Signore. Dunque si corre tutte insieme, verso la vita eterna e glorificando il Signore nella vita morale delle virtù, nell’esercizio della carità e specialmente pregando e meditando la parola di Dio. Anche per noi, questo è un invito fortissimo a tornare su qualche versetto della parola di Dio ogni giorno, ruminarlo di continuo perché si generi una meditazione continua con il Dio Logos. Il sostegno reciproco nella Sua parola è mezzo necessario ed efficace, insieme ai sacramenti.

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Chiediamo al Signore ogni giorno la sua grazia ed essa unita alla nostra libertà, alla nostra unicità e sacralità possa renderci fiammelle unite nella luce di Cristo per il mondo caduto nel buio fitto della cultura della morte.

Così sia.

Roma, 10 novembre 2019

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Quel modello di coerenza comunista di Vauro Senesi al quale ho narrato: «Prima io avrei protetto i comunisti ricercati dai fascisti, poi i fascisti ricercati dai comunisti»

— attualità ecclesiale —

QUEL MODELLO DI COERENZA COMUNISTA DI VAURO SENESI AL QUALE HO NARRATO: «PRIMA IO AVREI PROTETTO I COMUNISTI RICERCATI DAI FASCISTI, POI I FASCISTI RICERCATI DAI COMUNISTI»

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A Vauro, comunista sincero e coerente, calza a pennello un episodio narrato dai Santi Vangeli che deve sempre tenere all’erta tutti noi cattolici. Mi riferisco all’episodio che durante la trasmissione di Dritto e Rovescio ho ricordato in tono sorridente a Giuseppe Cruciani, rivolgendomi al quale ho detto: «Giuseppe, come il buon ladrone del Vangelo, rischia di rubarci il Paradiso a tutti quanti negli ultimi due minuti di vita». Restano quindi incomprensibili quanto insussistenti, le polemiche montate su Paolo Del Debbio e la conduzione stessa del programma.

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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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il vignettista satirico Vauro Senesi [per vedere il programma cliccare sull’immagine: 01:30]

Il celebre vignettista satirico Vauro e io non siamo intimoriti – anzi purtroppo non lo siamo proprio – dalle vignette stampate sopra i pacchetti di sigarette dai terroristi psicologici, che richiamano patologie tumorali e cardiovascolari, sino alle minacce urologiche: «Il fumo causa impotenza». Così, con Giuseppe Cruciani amante del sigaro ci siamo trovati un quieto angolo fuori dallo studio 11 della cittadella di Mediaset di Cologno Monzese per andare a fumare prima e dopo le dirette di Dritto e Rovescio.

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Padre Ariel S. Levi di Gualdo nella seconda parte della serata [per vedere la puntata cliccare sull’immagine a partire dalla seconda ora: 02:06]

Io andavo in onda nella seconda serata conclusiva e non ero in studio con Vauro, quando si è verificato il tafferuglio tra lui e un certo Brasile, carnevalesco borgataro il cui cervello pare sia al di sotto di quello dell’uomo e poco sopra quello della scimmia. Soggetti simili a una diretta sono sempre rischiosi, avendo la propensione a emettere rumori dalla bocca sotto forma di parole senza prima avere attivato il poco cervello che hanno. E siccome Brasile non parla né ragiona ma emette suoni sconnessi, ha finito con l’esprimersi male con la giornalista Francesca Fagnani presente in studio, alla quale ha detto «vieni (in borgata) che te lo faccio vedere io». Vauro ha dato così in escandescenze, all’incirca come detti in escandescenze io quando nella precedente puntata di giovedì 31 ottobre mi ritrovai dinanzi a degli “ex” sacerdoti cattolici che costituivano casi molto rari e al di là di ogni limite, non solo e non tanto perché omosessuali dichiarati, ma perché “felicemente” sposati con uomini.

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Le polemiche che dal giorno successivo sono state scatenate su Paolo Del Debbio che conduce il programma non stanno né in cielo né in terra. La registrazione televisiva è un documento che non lascia spazio a ragionevoli dubbi, circa il modo ineccepibile in cui egli ha condotto e gestito il tutto, credo proprio nel migliore dei modi.

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il dibattito tra la giornalista Francesca Fagnani e il borgataro Brasile

Ho sempre mal giudicato il nostro Paese che a distanza di otto decenni seguita a parlare di Fascismo e di anti-fascismo. Ciò impedisce di fare analisi lucide sul ventennio fascista, inserito in una storia europea molto complessa. Per analizzare il Fascismo italiano e il diverso fenomeno politico del Nazismo tedesco bisognerebbe partire dal periodo che precede la Prima Guerra Mondiale e analizzare poi quel che lo segue. Infatti, i presupposti per la nascita di quello che sarà il fenomeno diabolico del Nazismo, furono creati a Versailles al tavolo delle trattative di pace al termine della Prima Guerra Mondiale, dal quale la fiera e pericolosa Germania fu fatta alzare in piedi e liquidata in maniera a dir poco umiliante.

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il borgataro Brasile

Ritengo che parlare di nazi-fascismo sia scorretto come lo sarebbe abbinare Comunismo marxista e Liberal capitalismo. Si tratta di movimenti politici nati in tempi vicini ma diversi da popoli connotati da psicologie parecchio dissimili che producono storie distinte. Fascismo e Nazismo hanno in comune solo una cosa: sono movimenti popolari ispirati al Socialismo, si direbbe oggi movimenti di sinistra.

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Vauro e il borgataro Brasile

Reputo anacronistico che dei ventenni digiuni di storia parlino di Fascismo, anti-fascismo e lotte partigiane come fossimo nei giorni successivi al 25 luglio 1943. Esperienza che ho fatto anch’io in passato studiando in due università italiane a forte presenza comunista. Ricordo anche una disputa che sfiorò la rissa, quando discutendo su questioni di carattere storico-giuridico, uno studente tentò di togliermi parola strillandomi “fascista!”. Ebbene, posto che i figli non sono responsabili delle colpe dei padri, meno che mai dei nonni, dinanzi a tutti gli ricordai che suo nonno fu il podestà fascista di quella città e, mentre il suo avo ed i suoi sodali in camicia nera manganellavano i dissidenti al canto Duce, Duce, i miei erano tra i manganellati, non tra i manganellatori, avanti a tutti il mio bisnonno, condannato all’esilio nel 1927 dopo la promulgazione delle leggi fascistissime. Pertanto, una rappacificazione tra gli animi dei contemporanei e un sapiente procedere oltre senza rimanere imprigionati nel passato, sarebbe utile a molti, specie a certi italiani che potrebbero trovarsi costretti ad ammettere il genere di antenati che hanno avuto nei loro alberi genealogici, o in caso contrario sentirseli ricordare dai loro interlocutori. Meglio quindi lasciar riposare in pace fascisti e anti-fascisti, evitando in tal senso non pochi imbarazzi.

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il conduttore del programma Paolo Del Debbio riaccompagna Vauro al proprio posto

Nel corso del tempo ho mutato in parte opinione. Come dicevo infatti a Vauro durante le sigarette fuori onda: «Mi rendo conto che quando gli italiani cominciano ad avvertire paura, tendono a spostarsi verso le destre radicali. In parte perché hanno bisogno di sicurezze, in parte perché sperano che una figura forte dia loro quelle sicurezze che non riescono a trovare in sé stessi, mutandole poi nella forza di una sicurezza collettiva».

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La storia non è un’opinione, con buona pace di chi oggi vorrebbe riscrivere il passato a proprio ideologico uso e consumo presente. Sicché è necessario partire da un dato di fatto che nessuno può smentire: il Fascismo in Italia, il Nazismo in Germania, nascono dalla libera e determinata volontà degli elettori che si espressero attraverso le elezioni, non sono frutto di una rivoluzione, come avvenne nell’ex Impero Russo nel 1917. Poi, Fascismo e Nazismo, avuto il voto degli elettori attraverso il meccanismo delle libere elezioni, hanno fatto del suffragio popolare quel che sappiamo e ciò che di criminoso la storia documenta.

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il borgataro Brasile

Ponendo il tutto in questi termini comprendo i timori di Vauro, che a otto decenni dalla sua caduta parla di Fascismo e anti-fascismo mosso da una sua logica alla quale unisce un timore motivato dalla consapevolezza che le popolazioni d’Europa, quando si sentono insicure, tendono ad appoggiare certi movimenti o partiti. Questo nasce però a monte dalla incapacità dei partiti e dei governi liberali o socialisti di dare garanzie e sicurezze ai cittadini, proprio come accadde in Italia nel 1919 e nella Germania agli inizi del 1930.

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Vauro Senesi è un uomo sincero dotato di una qualità che nel nostro Paese di camaleonti e trasformisti è da sempre merce rara, oggi in modo particolare: la coerenza. Vauro merita stima e apprezzamento, perché è nato comunista ed ha vissuto la propria vita credendo negli ideali del Comunismo. E con sincera passione ti spiega perché a suo parere ritiene che tutt’oggi valga sempre la pena essere comunista.

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Lapide commemorativa dei dodici monaci certosini trucidati dai nazisti nel settembre 1944 alla Certosa di Farneta nella lucchesia

Beninteso sia: nel panorama europeo i comunisti italiani hanno avuto sempre precise connotazioni in rapporto alla cultura cattolica e al Cattolicesimo presente nel nostro Paese. Se infatti in Italia, specie nelle “regioni rosse”, i comunisti non avessero portato i figli a battezzare e non li avessero mandati al catechismo, negli asili delle suore e non pochi anche nelle scuole cattoliche, buona parte delle nostre istituzioni nelle zone del Lazio, della Toscana, delle Marche, dell’Umbria e dell’Emilia Romagna avrebbero potuto chiuder battenti. Io stesso, come tosco-romano nato nella bassa Maremma toscana da famiglia romana e vissuto tra Roma e le zone del grossetano, sono stato testimone e spettatore di episodi a volte esilaranti. Ricordo in modo sempre vivo quando un mio compagno di scuola, nel lontano 1976, mentre dallo stabile scolastico andavamo presso la vicina palestra toccò ferro e fece le corna al passaggio di un anziano sacerdote vestito con la sua veste nera e il saturno in testa. Era il figlio del responsabile di una popolosa sezione del Partito Comunista Italiano. Nel pomeriggio del giorno stesso suo padre, tenendolo per un braccio e mollandogli un calcio ogni dieci metri in modo ritmato e sincronizzato, lo portò presso gli alloggi del clero adiacenti la chiesa cattedrale, dove quest’anziano viveva, affinché domandasse scusa per il gesto irriverente compiuto verso il sacerdote. E qui va spiegato che quell’anziano sacerdote rischiò di essere fucilato dai tedeschi nel 1944 per aver prima nascosto, poi favorita la fuga di un gruppo di partigiani comunisti. E sarebbe stato fucilato sicuramente, se i due ufficiali al comando fossero stati protestanti affetti da antica romanofobia luterana, anziché bavaresi di religione cattolica che cedettero alle insistenti richieste del vescovo che in tono imperioso si presentò al comando dicendo: «Se prendete il mio prete, dovete prendere anche me con lui».

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monumento al presbitero lucchese Aldo Mei, ucciso dai nazisti all’età di 32 anni nel 1944 [vedere servizio QUI].

Nella stessa Italia dove oggi si parla perlopiù di preti pedofili e di preti gay, dei vari Don Euro purtroppo reali ed esistenti, di preti viziosi pizzicati nelle saune gay e via dicendo, quanti sono stati i preti italiani insigniti nel dopoguerra di alte onorificenze al valore civile per avere salvato persino intere popolazioni, durante l’occupazione tedesca del 1944? Paolo Del Debbio che è lucchese conosce certamente la vicenda del suo concittadino medaglia d’oro alla memoria al valore civile, Aldo Mei, un giovane sacerdote di trentadue anni al quale le S.S. fecero scavare la fossa sotto le mura di cinta della Città e poi lo fucilarono. Sempre nella lucchesia un plotone di esecuzione delle S.S. fucilò nel settembre del 1944 tutti i monaci certosini della Certosa di Farneta, colpevoli d’aver dato asilo e rifugio a partigiani. Limitatamente alla sola Toscana presa come esempio tra queste righe, ricordiamo che tra il 1943 e il 1946 sono stati uccisi 75 membri del clero secolare e regolare [si rimanda a questo servizio, QUI]. Nella sola Diocesi di Arezzo furono 34 i membri del clero secolare e regolare che persero la vita tra il 1943 e il 1946 [si rimanda a questo servizio, QUI]. Complessivamente, in tutta Italia, i preti che hanno seguito le stesse sorti nel corso di quegli anni ammontano a circa 480.

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un gruppo di sacerdoti uccisi dai partigiani comunisti tra il 1944 e il 1946 nella Diocesi di Reggio Emilia-Guastalla

In certi contesti il prete diviene non solo una figura particolare, bensì figura ad alto rischio, perché non appartiene a una corrente o ideologia, men che mai al gruppo dei vincitori che si accaniscono sugli aguzzini finiti sconfitti. Il prete appartiene alla Chiesa madre e mediatrice di tutte le grazie, con una conseguenza paradossale: prima i preti sono stati bastonati dai fascisti per avere protetto i comunisti ricercati, poi fucilati nel triangolo rosso dell’Emilia Romagna dai comunisti per avere protetto i fascisti ricercati. Per il prete esiste l’uomo inteso come creatura creata a immagine e somiglianza di Dio. Nessuno di noi, dinanzi ad una vita umana in pericolo domanda l’appartenenza politica, previa sentenza data sulla appartenenza alla ideologia giusta o a quella sbagliata, perché dare patenti di morti giusti e morti ingiusti, di assassini buoni e assassini cattivi è molto difficile, oltre che parecchio pericoloso. Possiamo parlare di guerra giusta in quanto difensiva e di guerra ingiusta in quanto offensiva e aggressiva. Possiamo fare le dovute distinzioni tra la morte di esseri umani caduti durante azioni di legittima difesa, dove non era proprio possibile fare altrimenti, da quelle che sono state invece le uccisioni e le stragi compiute per inutile vendetta. Tra queste ultime rimangono particolarmente gravi quelle perpetrate dalle S.S. a danno delle vite di civili inermi, di cui rimane paradigma l’eccidio delle Fosse Ardeatine alla periferia di Roma, dove fu applicata la logica: dieci italiani uccisi per ogni tedesco morto. A siffatto scopo criminale furono rastrellati per le strade dei passanti a caso, poi uccisi. Oltre alle Fosse Ardeatine esistono però anche le Foibe di Istria e della Dalmazia, dove con ferocia non minore i partigiani comunisti uccisero dei civili inermi.

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nel ferrarese, nella cittadina di Argenta, il sacerdote Giovanni Minzoni fu il primo sacerdote ucciso dagli squadristi fascisti a bastonate nel 1923

Vauro possiede intelligenza e umana sensibilità per capire questo, perché è uomo storicamente colto e sa che negli stabili ecclesiastici furono nascosti i partigiani comunisti ricercati, allo stesso modo in cui furono nascosti anni dopo, negli stessi stabili, i fascisti in fuga dai partigiani comunisti. E quando le cose sono andate male, i preti sono stati uccisi a bastonate dai fascisti, poi fucilati dai nazisti, ed a seguire assassinati dai partigiani rossi. Nei conflitti bellici, soprattutto nelle guerre civili, la posizione della Chiesa e del clero è sempre difficile e ad alto rischio.

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Nella trasmissione di giovedì 7 novembre Vauro ha agito e reagito con la passione del comunista che per tutta la vita ha creduto in un ideale che per molti altri può essere opinabile e contestabile da un punto di vista storico e politico, ma senza nulla togliere alla buona fede, alla qualità umana e alla coerenza della persona che crede veramente e lealmente in ciò che crede.

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busto in onore del sacerdote Pasquino Borghi, fucilato dai fascisti nel 1944

A Vauro, comunista sincero e coerente, calza a pennello un episodio narrato dai Santi Vangeli che deve sempre tenere all’erta tutti noi cattolici. Mi riferisco all’episodio che durante la trasmissione ho ricordato in tono sorridente a Giuseppe Cruciani, rivolgendomi al quale ho detto: «Giuseppe, come il buon ladrone del Vangelo, rischia di rubarci il Paradiso a tutti quanti negli ultimi due minuti di vita» [cf. Lc 23, 39-43].

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In un modo o nell’altro la coerenza paga sempre, perché da sempre Dio è molto misericordioso verso chi ha errato in buona fede animato da sincera coerenza, molto severo sarà invece con tutti coloro che, come cortigiane impenitenti, hanno trascorsa la vita a saltare da un letto a un altro, cercando di volta in volta dei clienti paganti sempre più ricchi e generosi. Nessuno può imputare nulla del genere a Vauro Senesi, né a Giuseppe Cruciani, due persone leali e coerenti. Da sempre la Chiesa condanna il peccato, non il peccatore, verso il quale è da sempre accogliente, anche perché in caso contrario tradirebbe la missione che Cristo Dio le ha affidata tra gli uomini e per la salvezza degli uomini.

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dall’Isola di Patmos, 9 novembre 2019

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Padre Ariel torna domani sera su Rete4 al programma “Dritto e Rovescio”. Al quesito rivolto da molti Lettori che hanno chiesto se fosse preoccupato ha risposto: «Devo esserlo, perché sono di Cristo e non del mondo»

— attualità ecclesiale —

PADRE ARIEL TORNA DOMANI SERA SU RETE4 AL PROGRAMMA DRITTO E ROVESCIO. AL QUESITO RIVOLTO DA MOLTI LETTORI CHE HANNO CHIESTO SE FOSSE PREOCCUPATO HA RISPOSTO: «DEVO ESSERLO, PERCHÉ SONO DI CRISTO E NON DEL MONDO» 

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Se in certi contesti sbagli, non è come quando scrivi la bozza di un articolo sul computer, non puoi tornare indietro, correggere e sistemare il tutto prima di pubblicarlo … in una diretta quel che dici è detto e quel che è fatto è fatto.

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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Cari Lettori,

il programma condotto da Paolo Del Debbio su Rete4

domani sera in seconda serata sarò nuovamente tra gli ospiti di Paolo Del Debbio al programma Dritto e Rovescio su Rete4.

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Giovedì scorso non abbiamo dato alcun annuncio sulla nostra rivista L’Isola di Patmos in occasione della mia prima partecipazione. Lo faccio adesso per rispondere a numerose persone che mi hanno inviato messaggi augurandomi che tutto vada bene. A coloro che mi hanno chiesto se fossi preoccupato ho risposto:

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… certo che sono preoccupato, devo esserlo. Confido però nell’assistenza della grazia di Dio che non mi è mai mancata, basta chiederla, ma soprattutto accoglierla e metterla a frutto.

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In queste circostanze molto delicate, dove vanno misurate non solo le parole immediate ma anche i sospiri, non bisogna mai sentirsi sicuri. Quella sicurezza che spesso fa rima con arroganza se non peggio col peccato capitale della superbia, può indurre a scivolare nei peggiori errori, con gravi conseguenze che possono protrarsi nel tempo, specie per un sacerdote, che potrebbe rimanerne segnato anche per tutta la vita.

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Se sbagli in certi contesti non è come quando scrivi la bozza di un articolo sul computer, non puoi tornare indietro, correggere e sistemare il tutto prima di pubblicarlo … in una diretta quel che dici è detto e quel che è fai è fatto.

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Basta però pensare a Dio e al mistero della grazia, per niente invece all’ “io”. Soprattutto va tenuto sempre presente quel che insegna il Santo Vangelo: «Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe» [Mt 10, 16]. E ancóra: «il vostro parlare sia sì quando è sì e no quando è no, perché il di più proviene dal Maligno» [Mt 5,37]. E in certi ambienti e situazioni il Maligno può essere molto di casa, però alle volte bisogna affrontarlo, ma sempre e solo confidando sulla grazia di Dio, perché con le nostre sole forze sarebbe impossibile reggere anche un suo semplice soffio. Se però col Beato Apostolo Paolo crediamo e diciamo: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» [Gal 2, 20], anche il pericolo più insidioso può essere evitato: «Camminerai su aspidi e vipere, schiaccerai leoni e draghi» [Sal 90, 13].

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Ringrazio molto il mio confratello e nostro autore Padre Ivano Liguori per il sapiente articolo che ha scritto sulla nostra Isola di Patmos dopo la puntata dello scorso giovedì 31 ottobre [cf. QUI], come ringrazio il mio confratello e nostro autore Padre Gabriele Giordano M. Scardocci per i suoi preziosi consigli.

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dall’Isola di Patmos, 6 novembre 2019

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Rete4 “Dritto e Rovescio”: Padre Ariel S. Levi di Gualdo non è uno che perde le staffe, se lo fa non è per impulso emotivo ma per calibrata scelta. Se poi si invita un leone in un’arena è improbabile che questi faccia il gattino domestico

– attualità ecclesiale –

RETE4 “DRITTO E ROVESCIO”: PADRE ARIEL S. LEVI di GUALDO NON È UNO CHE PERDE LE STAFFE, SE LO FA NON È PER IMPULSO EMOTIVO MA PER CALIBRATA SCELTA. SE POI SI INVITA UN LEONE IN UN’ARENA È IMPROBABILE CHE QUESTI FACCIA IL GATTINO DOMESTICO

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… trovandosi in una vera arena Padre Ariel ha dimostrato in concreto di essere un “animale da palcoscenico”, forse senza saperlo neppure lui. Infatti non poteva, «in coscienza», come ha chiarito, tacere e soprassedere dinanzi a quei casi rari e limite, fungendo da silenzioso figurante dinanzi a una passerella di “ex” sacerdoti che ostentavano con orgoglio i rispettivi “mariti”, con tanto di “ex” prete visibilmente disturbato a livello psicologico che indicando il proprio “marito” ha ripetuto più e più volte «questo bel ragazzo», «guardate come è bello».

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Autore
Ivano Liguori, Ofm. Capp.

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PDF  articolo formato stampa
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giovedì 31 ottobre, Padre Ariel S. Levi di Gualdo è stato ospite del giornalista Paolo Del Debbio al programma televisivo Diritto e Rovescio su Rete4. Cliccando sopra l’immagine è possibile accedere alla visione del programma completo. La seconda parte alla quale ha partecipato Padre Ariel parte dal minuto 02:11:00 e termina dopo 50 minuti.

Guardo la televisione di rado. Dall’ingresso in convento – quasi vent’anni fa – i ritmi si sono uniformati a una certa forma vitae che mi ha condotto a modificare molto le abitudini. Grazie a Dio questo è stato un bene che ha giovato molto alla mia salute spirituale e alla mia umana intelligenza. 

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Tra queste nuove abitudini si annovera quindi la televisione che non guardo, almeno così come la guardavo da ragazzo, dopo cena, a casa delle buonanime dei miei genitori. Sempre alla costante ricerca di una puntata di Superquark, di un film horror o di una scazzottata di Bud Spencer che mi facesse svagare dopo una giornata passata all’università. Ciò malgrado il 31 ottobre, a Dritto e Rovescio, la trasmissione Mediaset condotta dal buon Paolo Del Debbio, ho avuto modo di sapere con tutto il debito anticipo che tra gli ospiti ci sarebbe stato anche il nostro caro Padre Ariel S. Levi di Gualdo, anima della nostra beneamata rivista L’Isola di Patmos. Per questo motivo non ho potuto esimermi dalla visione della trasmissione, sfidando l’ora tarda e il sonno. Detto questo debbo precisare che appena ricevuto l’invito, Padre Ariel si è consultato anzitutto con noi suoi confratelli e stretti collaboratori per l’opera apostolica di questa rivista, chiedendoci consiglio sulla opportunità o meno a partecipare.

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Storco sempre il naso quando vengo a sapere di preti che intervengono in trasmissioni televisive o radiofoniche. Sono antico, lo so, forse vintage, ma non biasimatemi per questo. Notoriamente, quando i preti vengono invitati in televisione, non fanno mai belle figure e, nella maggior parte dei casi sono raffigurati come i rappresentanti di un certo pensiero oscurantista, retrogrado e grottesco della peggiore fatta. Da questa nicchia televisiva si salvano ovviamente le emittenti cattoliche come TV2000, Tele Radio Padre Pio e poche altre.

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L’immediatezza del linguaggio televisivo, la repentinità della diretta coi suoi tempi e ritmi serrati costituiscono una trappola insidiosa in cui il prete cade molto facilmente. C’è infatti poco da fare: per stare in televisione bisogna avere le physique du rôle, bisogna essere un animale da palcoscenico, avere la battuta pronta, sapersi difendere all’occorrenza e persino “aggredire” a titolo di “legittima difesa” interlocutori che mirano a sviare discorsi o sovrastare gli altri. Pochi sanno fare il tutto egregiamente bene, in particolare sacerdoti e religiosi. L’immediatezza non è una caratteristica propria del prete, egli si muove col passo di Dio, col cronometro di Colui che non fa differenza tra il minuto e il secolo. Per il prete il tempo è un concetto chiaramente teologico più che fisico, è una manifestazione metafisica che riporta alla pacatezza e alla contemplazione di Dio.

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Volete una prova di questo? Tra i più giovani, il prete e la religiosità diventano sinonimi di lentezza e noia: la messa è lunga, l’omelia non finisce più, i canti fanno perdere tempo e via con tutto il solito campionario. Ecco perché reputo utile e saggio per il prete astenersi da certi salotti televisivi, semplicemente perché non sono adatti al suo ruolo e alla sua persona. Mai si è del tutto consci su cosa verterà l’intervista, su quali ospiti interverranno, quale sarà il taglio con cui sarà presentato un determinato argomento. 

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Forse sarebbe opportuno introdurre una norma canonica che concedesse il permesso di partecipare a programmi televisivi o radiofonici dopo avere informato il proprio ordinario diocesano o religioso. Troppi preti, purtroppo, vanno girando per gli studi televisivi a dare l’immagine della loro idea soggettiva di Chiesa Cattolica, per non parlare di quelli che si presentano dichiarandosi come preti contro-tendenza o fuori dal coro. Si è preti per essere liberamente in tendenza e nel coro della Chiesa Cattolica, altroché! Detto questo è bene rendere partecipi i nostri numerosi Lettori di ciò che noi Padri de L’Isola di Patmos sappiamo: Padre Ariel ha un senso molto profondo di appartenenza alla Chiesa, altrettanto profonda la sua venerazione per il sacro ordine sacerdotale che costituisce per lui una dignità di istituzione divina sul cui rispetto non transige. Sa bene di non essere un “libero cittadino” e, come tale, mai si è comportato. Si sente intimamente parte della Chiesa, nella corrente della Chiesa e nel coro della Chiesa, quindi vincolato per libera scelta e solenne promessa all’obbedienza al vescovo, che ha immediatamente avvisato, dopo essersi consultato con noi, informandolo che avrebbe partecipato a questo programma televisivo. Tutti questi sono passaggi che denotano anzitutto una corretta concezione dell’idea di Chiesa, di Sacerdozio e di Autorità, che è bene precisare e accentuare, perché così dovrebbe essere per tutti.

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Padre Ariel entra in scena a Dritto e Rovescio nell’ultima parte della serata della trasmissione, all’interno dell’approfondimento sul Sinodo Amazzonico e sulla questione dei viri probati e sul celibato sacerdotale. Con lui intervengono anche Mario Adinolfi, Giuseppe Cruciani, un sacerdote campano e un sacerdote che ha chiesto la dispensa dagli obblighi sacerdotali e che ha contratto felicemente matrimonio con una donna. Insomma, a vederla così, ci sono tutti gli ingredienti per una serata di confronto e di dialogo su un tema spinoso ma che può essere affrontato con serietà, quindi con quella competenza filosofica, teologica e storica che a Padre Ariel può essere negata solo da certi anonimi appartenenti al Cammino Neocatecumenale che, irritati per l’ultimo suo libro su La Setta Neocatecumenale, lo stanno subissando tutt’oggi di insulti, centinaia dei quali giunti alla nostra redazione e pubblicati nei tre articoli di presentazione a quest’opera. In tal modo tentano di tacciarlo di incompetenza, pur senza avere lette neppure tre righe di quel lavoro, che merita invece di essere letto, sia per com’è costruito a livello documentale sia per com’è scritto [cf. QUI].

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In apertura, l’argomento del celibato è stato introdotto dalla love story di un sacerdote che ha sposato una sua catechista dopo aver chiesto la dispensa dagli obblighi del celibato sacerdotale. Tale testimonianza era ovviamente funzionale a suscitare il dialogo sulla possibilità del matrimonio dei sacerdoti e della modifica della legge ecclesiastica in merito al celibato sacerdotale.

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Per chiarezza la legge sul celibato sacerdotale riguarda solo ed esclusivamente i sacerdoti diocesani, per intenderci: il cosiddetto clero secolare che fa promessa di celibato al proprio vescovo nel giorno della sacra ordinazione. Per i sacerdoti religiosi il discorso è del tutto diverso in quanto essi hanno pronunciato un voto che vincola non solo al celibato ma alla castità perfetta per il Regno dei Cieli. Se un domani la Chiesa Cattolica Romana concedesse ai sacerdoti diocesani il permesso di contrarre matrimonio, modificando così la legge ecclesiastica, questo permesso non riguarderebbe minimamente i sacerdoti degli ordini mendicanti e monastici e delle congregazioni e società di vita apostolica che sono notoriamente inquadrati giuridicamente come religiosi e quindi come persone che si sono vincolate a Dio attraverso il pronunciamento di voti solenni. Detto questo concludo che, pure se mi piacerebbe, non intendo spiegare ora la differenza canonica tra promessa di celibato e voto di castità, in questo contesto non è importante, basti sapere che il voto è di per sé più vincolante della promessa.

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Quello del celibato non è solo un fatto meramente giuridico ma essenzialmente teologico che tocca la spiritualità e la fede. La condizione celibataria e la castità che da essa deriva è assunta come immedesimazione alla persona di Cristo, a cui il sacerdote è imprescindibilmente legato e associato. Il sacerdote che manca al suo dovere celibatario o di castità, non compie semplicemente un peccato o un delitto secondo la disciplina canonica della Chiesa, ma manifesta una debolezza da un punto di vista della fede e della grazia sacramentale di stato che con la sacra ordinazione ha ricevuto e a cui è chiamato a corrispondere quotidianamente attraverso la docilità allo Spirito Santo.

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Il fulcro del discorso è quanto mai complesso e specifico, ed è veramente molto difficile affrontare questo tema all’interno di una trasmissione televisiva in seconda serata, altrimenti la audience cala, si perde pubblico, soldi e risorse, e la trasmissione diventa un flop. Quindi, questo cosa significa in soldoni? Semplice, significa compiere una scelta editoriale differente che aumenti l’indice di gradimento e doni alle persone ciò che cercano: una certa verve mediatica.

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Quando Padre Ariel prende parola dopo il sacerdote dimesso dallo stato clericale e oggi regolarmente sposato, comincia facendo presente che «il nostro amico», aggiungendo poi «anzi, il nostro confratello, seppure dimesso dallo stato clericale e sposato rimane sempre sacerdote». A quel punto spiega, citando e traducendo: «Perché tu es sacerdos in aeternum secundum ordinem Melchisedec, tu sei sacerdote in eterno …». La sola citazione latina induce l’esperto conduttore a far presente che non siamo in un’accademia teologica e che, partendo su certi temi, la gente a casa «cambia canale e va a vedere le partite». Tutt’altro che sprovveduto e privo di dialettica, Padre Ariel non si lascia togliere la parola ed “esige” spiegarsi con un esempio più semplice dicendo a Paolo Del Debbio: «Allora chiarisco in modo semplice: come lei, che ha ricevuto il Sacramento del Battesimo, che nessuno le può togliere, il nostro amico ha ricevuto il Sacramento dell’Ordine dal quale rimarrà sempre segnato». A quel punto Padre Ariel accentua la spiegazione aggiungendo: «Voi sapete che ci sono taluni che fanno il cosiddetto “sbattezzo”. In quei casi, i parroci, possono solo scrivere a margine sul registro battesimale che Tizio dichiara di non voler appartenere alla Chiesa Cattolica, ma nessuno può togliere loro il battesimo». Mentre lui parlava, noi che lo conosciamo a fondo, dinanzi allo schermo a casa ci siamo detti: ha capito sùbito che ogni discorso di natura teologica e canonica non è possibile da perseguire, adesso agirà di conseguenza, come poi è stato. Infatti, dopo le prime schermaglie su celibato sì, celibato no, si è giunti a trattare il tema dell’omosessualità, introducendo come guest star alcuni preti che hanno scelto di sposarsi con un uomo. Insomma: alcuni casi non solo molto rari, ma dei casi veramente limite.

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Capite bene come il tema di partenza è d’improvviso sostituito da un colpo di scena, e questo costituisce oggi uno tra gli assi nella manica più efficaci della televisione moderna. Si sostituisce il dibattito utile e arricchente a cui il pubblico si era preparato fin dall’inizio con altro più appetibile. Indagare sul celibato sacerdotale costituisce una delle grandi sfide e differenze tra la Chiesa Cattolica Romana e le Comunità Protestanti e le Comunità Anglicane, tra la Chiesa Cattolica Romana e le Chiese Ortodosse e, per un certo verso, tra la Chiesa Cattolica Romana le Chiese Cattoliche di Rito Orientale. Posto in questi termini il dibattito sarebbe stato interessante e stimolante, anche come approfondimento per capire meglio la situazione controversa del Sinodo. Come però ho appena spiegato, questo non è stato possibile, e Padre Ariel lo ha capito all’istante.

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Ammiro e stimo molto Paolo Del Debbio, lo reputo un professionista intelligente e preparato, sicuramente possiede una conoscenza approfondita su tematiche religiose, anche se non capisco la necessità di operare una virata di questo genere all’interno di un tema così serio e delicato come il celibato sacerdotale e il Sinodo Amazzonico. Per comprenderlo, occorre infatti conoscere molto a fondo i complessi meccanismi della comunicazione televisiva.

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Far parlare “ex” preti che hanno fatto la scelta del matrimonio omosessuale non ha senso, non solo non ha per nulla chiarito il discorso sul celibato sacerdotale, ma ha riaffermato in modo molto sottile il pericoloso concetto moderno che sancisce il matrimonio come istituito giuridico non più basato dall’unione tra un uomo e una donna. Poi, l’entrata in scena sul finire del gigolò omosessuale che è stato arruolato per “prestazioni professionali” da preti e seminaristi del sud Italia e che successivamente da questo sono stati segnalati ai propri vescovi, ha raggiunto proprio il culmine trash della serata.

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A quel punto, Padre Ariel, trovandosi in una vera arena ha dimostrato in concreto di essere un “animale da palcoscenico”, forse senza saperlo neppure lui. Infatti non poteva, «in coscienza», come ha chiarito, tacere e soprassedere dinanzi a quei casi rari e limite, fungendo da silenzioso figurante dinanzi a una passerella di “ex” sacerdoti che ostentavano con orgoglio i rispettivi “mariti”, con tanto di “ex” prete visibilmente disturbato a livello psicologico che indicando il proprio “marito” ha ripetuto più e più volte «questo bel ragazzo», «guardate come è bello».

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Con ciò è presto detto: se Padre Ariel ha una certa corrispondenza e affinità col suo nome, che significa “Leone di Dio”, può essere pensabile che qualcuno vada a tirargli la coda pensando che il leone rimanga fermo a fare il figurante ai gladiatori che gli girano attorno dentro il Colosseo? Per tanto, chi pensasse che a quel punto il focoso tosco-romano Padre Ariel ha perduto le staffe, pensa proprio male, ma soprattutto non lo conosce. Padre Ariel ha deciso, in modo ponderato e davvero scientifico, che in quel momento, per tutelare l’onore della Chiesa Cattolica e del Sacramento dell’Ordine, aveva il dovere di perdere le staffe, anche perché in quell’arena non aveva altro sistema. Così facendo, ha prodotto come risultato quello di riuscire a chiarire e trasmettere al pubblico alcuni punti fondamentali che tutti hanno recepito, ossia i seguenti:

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  1. il celibato non è un dogma ma una legge ecclesiastica, però, il celibato, affonda le proprie origini sin dalla prima epoca apostolica;
  2. un sacerdote, anche dimesso dallo stato clericale, anche colpito da scomunica, rimane sacerdote per sempre, perché ha ricevuto un Sacramento indelebile, non è un impiegato che si licenzia o che viene licenziato dall’azienda;
  3. nelle sue urla rivolte al sacerdote con marito, ha mostrato profonda carità e affetto, perché l’ha chiamato anzitutto «fratello» e gli ha ricordato che in ogni caso rimane sacerdote per sempre e che pregherà per la salvezza della sua anima considerando ciò che di aberrante ha fatto;
  4. ha chiarito ― smentendo questo sacerdote tutto falso amore cristologico ―, che «Dio non può creare il male», e questo dopo che lui aveva affermato che Dio lo aveva creato e voluto così, mentre Padre Ariel ha chiarito e fatto capire a chi ascoltava che certe situazioni non sono affatto normali tendenze della nuova società, ma sono delle autentiche aberrazioni;
  5. Padre Ariel ha fatto più volte e variamente richiamo alla libertà, compresa la libertà che l’uomo ha di peccare, e chi si aspettava un attacco al mondo gay e alle sue potenti lobby è rimasto deluso, ed a riprova di quanto questo “prete-felino” non sia un istintivo umorale sprovveduto, ha ribadito che non solo ciascuno è libero di avere e di esercitare le tendenze sessuali che vuole, ma ne ha proprio il diritto, però, in tali casi, non è possibile fare i preti ed esercitare il sacro ministero. Detta in altri termini ha dimostrato: io che sono un sacerdote cattolico appartengo a una sacra societas che è molto più tollerante di quanto certa gente e certi lobbisti ideologi del mondo gay possano immaginare, perché mai io impedirei a un uomo di commettere i peccati che vuole liberamente commettere, non lo ha fatto Dio che non ha impedito ad Adamo ed Eva di commettere il peccato originale, posso forse farlo io? Non potendo però fare una lezione sul Libro della Genesi, ha lanciato il messaggio in altro modo. 

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Chiariamo infine un punto fondamentale: che il prete non debba reagire, perdere la calma e arrabbiarsi, non può essere un assoluto. Se in quella situazione Padre Ariel non lo avesse fatto, avrebbe corso il rischio di fungere da pericolosa presenza passiva e omissiva, mentre a un paio di milioni di telespettatori erano presentate delle figure di “ex” sacerdoti “oltre i confini della realtà”. Quindi, con la tanto reclamata pacatezza che taluni oggi gli rimproverano di non avere avuta, Padre Ariel avrebbe fatto solo intendere una sorta di vera e propria approvazione. Cosa assolutamente impossibile per qualsiasi vero sacerdote e per qualsiasi vero teologo, e noi sappiamo bene quando questo nostro confratello sia profondamente l’uno e l’altro.

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Si guardino dall’inizio alla fine tutti i 50 minuti di spezzone di programma di fine serata, dopodiché sfido chiunque a dire che le cose non sono andate nel modo che ho riassunto.

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Non sono un bacchettone, tuttavia penso che ogni argomento sia argomento di dibattito ma sempre mantenendo e utilizzando un certo garbo, buon senso e soprattutto senso del limite. Volevamo accontentare la pruriginosa curiosità del popolo catodico e rivangare il fatto che esistono sacerdoti che hanno tendenze omosessuali? Va bene, facciamolo pure, ma è questo il modo? Abbiamo constatato tutti di come il Re è nudo, e adesso? Abbiamo messo in mutande le debolezze di quella parte di Chiesa che è costituita da uomini consacrati, siamo soddisfatti? E sul tema della omosessualità diffusa tra il clero, nessuno meglio di Padre Ariel ha titolo per parlare. Precorrendo i tempi, in un suo libro edito ormai 10 anni fa e pubblicato di nuovo in seconda edizione dalle nostre Edizioni L’Isola di Patmos, non solo egli ha analizzato il problema, ma persino spiegato a che cosa la Chiesa sarebbe andata incontro se non fossero stati presi immediati e seri provvedimenti, che ovviamente non furono presi [vedere QUI].

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In conclusione di serata, proprio chiudendo sulle parole di Padre Ariel, riferendosi al gigolò il nostro confratello ha fatto un’affermazione che dovrebbe far riflettere molto certe coscienze ecclesiastiche, perché, se dotate di un solo pizzico di umiltà, dovrebbero riconoscergli un minimo sindacale di ragione, specie dinanzi a queste sue parole pronunciate in diretta: «Sulle questioni del Signor Mangiacapra (N.d.A. il gigolò presente in studio) io ho scritto in modo dettagliato dieci anni fa, con un libro denso di analisi, intitolato E Satana si fece trino». Ha domandato Paolo Del Debbio «E come è andata a finire?». Ribatte Padre Ariel: «L’unico che ha pagato sono stato io». Conclude con aria triste Paolo Del Debbio: «Non esito a crederlo!». E noi tutti che lo conosciamo sappiamo bene quale alto tributo Padre Ariel ha pagato in ostracismi e veri e propri atti persecutori, per avere denunciata in tempi non ancora sospetti la potente e pericolosa lobby gay ecclesiastica, anticipando i gravi danni che essa avrebbe compiuto. Quando però si nasce leoni non si può diventare conigli, neppure per avere quieta vita clericale, o per fare una brillante carriera ecclesiastica che il nostro confratello avrebbe potuto fare più e meglio di molti altri. All’autostrada scorrevole che porta verso l’Inferno ha scelto di seguire Cristo lungo la Via Dolorosa, con tutto ciò che questo comporta.

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Dalle focose e accalorate parole di Padre Ariel indirizzate al fratello (ex) sacerdote: «io prego per te, per la salvezza della tua anima» si comprende ciò che interessa maggiormente alla Chiesa e che dobbiamo tenere sempre a mente: la Salus Animarum. È infatti la salvezza delle anime che muove il cuore e la mano della Chiesa in situazioni delicate come queste, è la salvezza delle anime che mitiga la giustizia con la misericordia e ci permette di guardare alla misericordia con serietà e giustizia e non come una burletta ad uso e consumo delle nostre voglie.

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Oggi ci troviamo di fronte a fratelli disorientati, in crisi di fede, fallibili, che hanno fatto determinate scelte di cui solo loro conoscono il perché, per alcune di esse hanno giustamente dovuto rendere conto alla Chiesa o in foro esterno o in foro interno ma al di là di tutto è la loro anima che ci sta a cuore. Anche a tal proposito, Padre Ariel, ha chiarito sin dall’inizio di conoscere bene questa delicata materia: «Io lavoro molto con i sacerdoti e ne ho seguiti e ne seguo molti come confessore e direttore spirituale, sono stato io stesso, in certe situazioni, a dir loro per primo di fare un passo indietro e lasciare il sacerdozio ministeriale».

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Lo scandalo non converte nessuno, la delazione sensazionalistica del reo non porta a nessun recupero, il comminare pene umilianti non conduce al ravvedimento ma all’indurimento del cuore. Cristo sulla croce, nudo e mortalmente flagellato, ha pagato umiliandosi per tutti i peccati degli uomini. Ma se gli uomini continuano ad offenderlo e a opporsi al suo amore è dovere della Chiesa porre un giusto rimedio agli scandali, tutelando i deboli, allontanando i rapaci, ma restando continuamente con la mano tesa verso il peccatore affinché si converta e viva.

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Quel 31 ottobre 2019 vigilia di Ognissanti, in televisione la santità degli uomini di Chiesa è venuta meno, dinanzi a certe presenze così tragicamente deviate e fiere di avere deviato dal retto cammino, ma resta in piedi un’altra santità, quella di Dio che non può venire meno e che tra tanti scherzetti degli uomini costituisce ancora la dolcezza di un Padre che non abbandona mai i suoi figli attendendo il loro pentimento per iniziare a far festa.

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Laconi, 2 ottobre 2019 – Festa di Ognissanti

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IMMAGINI FUORI ONDA DAGLI STUDI MEDIASET DI MILANO

… con una affettuosità del tutto particolare, al termine della trasmissione Padre Ariel si è intrattenuto fuori dagli studi di Mediaset con il sacerdote dispensato dagli obblighi del celibato e oggi regolarmente unito in matrimonio con la sua deliziosa consorte, che ha salutati e abbracciati [didascalia di Jorge Facio Lince]…

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… con altrettanta affettuosità si è intrattenuto fuori dagli studi di Mediaset con il celebre conduttore radiofonico Giuseppe Cruciani, che Padre Ariel ha sempre considerato un professionista di indubbio talento. Non si erano mai conosciuti, ma hanno simpatizzato subito. Quando Giuseppe Cruciani ha chiesto se conoscesse il programma da lui condotto, ridendo ha risposto: «Cosa pensi che io ascolti, quando faccio lunghi viaggi in macchina? Ovvio: ascolto La Zanzara»!  [didascalia di Jorge Facio Lince]

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