Gabriele Giordano M. Scardocci
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

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Padre Gabriele

Dalla giustizia resa ai “Promessi Sposi”, alla giusta preghiera rivolta a Dio Padre

Omiletica dei Padri de L’Isola di Patmos

DALLA GIUSTIZIA RESA AI PROMESSI SPOSI, ALLA GIUSTA PREGHIERA RIVOLTA A DIO PADRE

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«Il pubblicano si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro [fariseo], tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato» [Lc 18,14].

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Autore:
Gabriele Giordano M. Scardocci, O.P.

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Cari fratelli e sorelle,

La indimenticabile e compianta Anna Marchesini [1953-2016] con i compagni del trio Solenghi-Marchesini-Lopez, in una celebre edizione satirica de I Promessi Sposi degli anni Ottanta [cliccare sull’immagine per aprire il video]

ricordo con grande affetto e allegria uno dei personaggi secondari de I Promessi Sposi. Agnese, la mamma di Lucia Mondella, che consiglia a Lucia e Renzo di convolare alle desiderate nozze mediante l’espediente del matrimonio a sorpresa. Con questo consiglio umile e, nonostante tutto, pieno di saggezza, Agnese cerca di rendere giustizia ai promessi sposi e al progetto di Dio, fungendo in tal senso di esempio d’umiltà e devozione.

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Cerchiamo adesso di cogliere l’umiltà della preghiera nelle letture di questa XXX domenica del tempo Ordinario [vedere Liturgia della Parola, QUI]. Nella prima lettura tratta dall’Antico Testamento leggiamo:

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«Il Signore è giudice, e per lui non c’è preferenza di persone. Non è parziale a danno del povero e ascolta la preghiera dell’oppresso» [Sr 35,15].

 

L’Autore del libro sapienziale si rivolge al Popolo Ebraico, cercando di rompere uno schema mentale e di formalismo religioso di un’epoca nella quale alcuni pensavano che il povero e oppresso si fosse ridotto in tale stato per qualche colpa personale, ad esempio la superbia. Il concetto che se uno è povero, tale lo è per causa di sé stesso, lo ritroviamo in un certo pensiero calvinista, specie in quello sviluppatosi nella società liberalista degli Stati Uniti d’America a partire dal XVII secolo. Di tutt’altro avviso Siracide che afferma l’esatto contrario: il povero è invece ascoltato. Proprio perché sa elevare a Dio una parola di fedeltà con una povertà di cuore grandissima. Dunque sa pregare in modo più autentico.

Proviamo a pensare anche al nostro modo di pregare. Se siamo troppo formali oppure ripetiamo in modo abitudinario, chiediamo al Signore di aiutarci invece a vivere la preghiera con maggiore profondità e autenticità.

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Nella seconda lettura troviamo infatti la vicinanza del Signore per chi prega in modo più autentico e con un atto di abbandono nei suoi confronti:

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«Nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito; tutti mi hanno abbandonato […] Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza» [2Tm 4, 16].

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San Paolo ricorda la forza e la vicinanza di Dio nei momenti più duri e più depressivi del suo essere cristiano e predicatore di Gesù Cristo. Messo sotto accusa dagli ebrei per blasfemia e poi dai romani per aver disobbedito al comando di non annunciare il mistero di Gesù Risorto, Paolo ricorda a Timoteo che l’abbandono a Dio è avvenuto con un atto di umiltà. Questa umiltà gli ha permesso di sentire la prossimità e forza del Signore. Di questo ci dà l’insegnamento più grande Gesù nel Vangelo di San Luca dove leggiamo:

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«Il pubblicano si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro [fariseo], tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato» [Lc 18,14].

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Se mettete a confronto le due preghiere, entrambe si rivolgono a Dio. Nel caso del fariseo, egli compie una preghiera ritualmente e liturgicamente perfetta, ringraziando Dio di non essere come il pubblicano. C’è una sorta di disprezzo che viene espresso, in modo neanche tanto nascosto, verso il pubblicano. Questa preghiera, perfetta stilisticamente, è assoluta inutile dal punto di vista contenutistico. Perché il fariseo non sa cogliere quei semi di bene che il Signore ha messo nel pubblicano, al di là delle ingiustizie che questi può aver effettivamente fatto. Il pubblicano invece si riconosce peccatore. Non si confronta con gli altri; non offre una preghiera ritualmente perfetta. Solo piccole parole, umili, ma piene di significato. Ecco perché, dice Gesù, il pubblicano sarà esaltato. Perché offre quel poco che ha, il suo essere uomo fragile e peccatore, al Signore. E in questa offerta vera e autentica il Signore può fare grandi cose.

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Questo è un invito anche per noi a non focalizzare troppo l’attenzione su noi stessi: di ringraziare il Signore per i talenti e i doni ricevuti, ma come humus fertile, umilmente offrirli a Dio. E in questa offerta di noi, Dio ci esalterà. Ci renderà suo fermento sacro in cui sbocciare di gioia.

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Scriveva il letterato e patriota italiano Niccolò Tommaseo:

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«Chi vuole specchiarsi in acqua limpida, conviene che si chini. Senza umiltà non si conoscono le anime pure».

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Il Signore doni l’umiltà di chinarci sui suoi misteri e sulle persone che ci manda, per essere specchi limpidi del suo amore trinitario.

Così sia.

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Roma, 27 ottobre 2019

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