Perché i Padri de L’Isola di Patmos hanno scelto di non parlare del Sinodo Panamazzonico? Perché non siamo giornalisti a caccia di scoop, tra processi alle intenzioni, schizofrenia collettiva e cattolici litigiosi allo sbando

— attualità ecclesiale —

PERCHÉ I PADRI DE L’ISOLA DI PATMOS HANNO SCELTO DI NON PARLARE DEL SINODO PANAMAZZONICO? PERCHÉ NON SIAMO GIORNALISTI A CACCIA DI SCOOP, TRA PROCESSI ALLE INTENZIONI, SCHIZOFRENIA COLLETTIVA E CATTOLICI LITIGIOSI ALLO SBANDO

[…] diceva agli inizi degli anni Settanta del Novecento il Servo di Dio Enrico Medi: «Del mondo moderno non mi spaventano le armi atomiche, l’inquinamento o le guerre; ciò che mi spaventa è la pazzia collettiva verso la quale il mondo sta precipitando».

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Autore
I Padri de L’Isola di Patmos

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Roma, gennaio 2019: i Padri de L’Isola di Patmos

La società contemporanea, ma anche la Chiesa stessa, che della società è parte viva, pare ormai pervasa da un virus molto pericoloso: presumere di sapere che …

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Con non poca inquietudine abbiamo letto, dopo che ci sono stati inviati dai Lettori, pagine di blog e riviste di vario genere che da settimane lanciano bombe di fuoco sul Sinodo Panamazzonico. La cosa singolare e che questi personaggi — perlopiù anonimi senza volto e senza nome — che si pongono come salvatori della vera e autentica dottrina, come autentici leoni da tastiera senza identità anagrafica hanno sparato e seguitano a sparare raffiche che ogni buon Lettore dovrebbe giudicare perlomeno preoccupanti. Si tratta infatti di un atteggiamento che non rientra neppure negli schemi bellici della “guerra preventiva”, ma del vero e proprio processo alle intenzioni.

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Per adesso che cosa abbiamo in mano, del Sinodo Panamazzonico tutto quanto da celebrare, quindi da decidere e da definire? Abbiamo solo uno instrumentum laboris che ha inquietato a giusta ragione un grande storico della Chiesa ed ecclesiologo della levatura del Cardinale Walter Brandmüller, che in modo del tutto legittimo e giusto ha aperta la pista per illustrare, assieme ad altri eminenti personaggi e teologi che lo hanno seguito, in che misura questo testo fosse scritto male e foriero di ambiguità. Per adesso possiamo solo dire di essere molto preoccupati che sia stato approvato un documento preparatorio che contiene errori e ambiguità. Possiamo quindi esprimere che se dallo strumento di lavoro certe tesi passassero e giungessero a realizzazione, non potremmo neppure parlare di eresia, ma di vera e propria apostasia dalla fede, come ha spiegato il Cardinale Walter Brandmüller [cf. vedere articolo, QUI]. Merita poi ricordare che su queste nostre colonne, noi siamo stati i primi in assoluto — senza con questo volerci attribuire primati di “onore” —, a scrivere che quello panamazzonico era in realtà un sinodo pantedesco [cf. vedere articolo, QUI], se numeri e date non sono una vaga opinione. A maggior ragione ci fece piacere quando alcune settimane dopo, il Cardinale Gerhard Ludwig Müller, dichiarò che sulla preparazione di questo sinodo aleggiava una forte influenza tedesca. Hanno poi fatto seguito vescovi e sacerdoti di varie parti del mondo, teologi e fedeli laici, opinionisti e giornalisti cattolici che hanno manifestato tutte le loro preoccupazioni più che legittime, fondate e motivate. 

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All’esercito di appassionati litigiosi, che senza la litigiosità perderebbero forse ogni ragione di sussistenza della loro debole e povera fede, sfugge però il fatto che l’anziano, sapiente e lucido Cardinale Walter Brandmüller, come coloro che lo hanno seguito, parlano per ipotesi, basandosi sul solo dato oggettivo che abbiamo al momento, ossia il documento preparatorio, detto instrumentum laboris. Un testo scritto male e contenente evidenti errori dottrinali. Per seguire in questi giorni con un altro membro del Collegio Cardinalizio che ha sollevato anch’esso le sue riserve, questa volta si tratta di un prefetto in carica, il Cardinale Marc Armand Ouellet, che presiede il dicastero dei vescovi e di cui riferisce in queste ore il vaticanista Sandro Magister con un suo servizio [cf. vedere articolo, QUI]. 

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Di giorno in giorno ci ritroviamo purtroppo dinanzi a persone che possono variare dai giornalisti alle varie riviste telematiche, per seguire con una giungla di blog perlopiù anonimi, che hanno già dato un giudizio deciso e severo su un Sinodo che non si è ancóra aperto.   

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Se il Sinodo progettasse e proponesse qualsiasi cosa che possa andare contro la dottrina e il magistero perenne della Chiesa, neppure dinanzi a ciò si potrebbe però urlare più di tanto. Nulla di ciò diventerebbe infatti nuova dottrina né nuova disciplina ecclesiastica finché il Romano Pontefice, a cui spetta redigere il documento finale, non avrà accolte in toto o in parte le istanze dei Padri Sinodali emanando una sua esortazione apostolica post-sinodale. Solo dinanzi a questo documento, vale a dire dinanzi al dato veramente oggettivo, sarà infatti possibile prendere atto e quindi esprimersi, o nel caso esprimere anche riserve, se vi fosse anche e solo un passaggio che in modo ambiguo creasse conflitto con il depositum fidei.

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Dinanzi al Popolo di Dio, noi abbiamo delle responsabilità oggi forse più gravose che mai. Per sacramento di grazia compete infatti a noi insegnare, santificare e guidare o governare i Christi fideles. In particolare quando certe membra schizofreniche del Popolo di Dio pretenderebbero loro, di insegnare ai loro vescovi e sacerdoti, di dettare loro le regole su come santificare, ma soprattutto di guidare loro, secondo i loro capricci umorali e irrazionali, i vescovi ed i sacerdoti.

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Chi come noi è gravato da queste responsabilità, in una Chiesa nella quale spesso il laicato sembra quasi impazzito in un sovvertimento di ruoli che dovrebbe davvero inquietare, noi non possiamo né dobbiamo metterci a fare né guerre preventive né processi alle intenzioni su qualche cosa che deve sempre realizzarsi. Con questo è detto che, se dal documento finale di questo Sinodo uscisse fuori anche un solo elemento espresso in modo esplicito o anche celato tra le parole in modo ambiguo, che vada a contraddire il deposito della fede e la dottrina cattolica, a quel punto saremmo tenuti in scienza e coscienza cattolica ad applicare le parole del Beato Apostolo Paolo e quindi ad agire di conseguenza …

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«Mi meraviglio che così in fretta da colui che vi ha chiamati con la grazia di Cristo passiate ad un altro Vangelo. In realtà, però, non ce n’è un altro; solo che vi sono alcuni che vi turbano e vogliono sovvertire il Vangelo di Cristo. Orbene, se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un Vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anàtema! L’abbiamo già detto e ora lo ripeto: se qualcuno vi predica un Vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anàtema!  Infatti, è forse il favore degli uomini che intendo guadagnarmi, o non piuttosto quello di Dio? Oppure cerco di piacere agli uomini? Se ancora io piacessi agli uomini, non sarei più servitore di Cristo!» [Gal 1, 5-10].

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… ma solo dopo sarà possibile agire così, seguendo le orme del Beato Apostolo Paolo e solo nei casi da lui indicati, non prima, perché né la dottrina né la morale cattolica prevedono né favoriscono in alcun modo il processo alle intenzioni, nemmeno quando le intenzioni non sono buone e si palesano per questo potenzialmente molto pericolose.

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Ecco perché i Padri de L’Isola di Patmos non possono né devono parlare di ciò che ancora deve realizzarsi — sempre ammesso che si realizzi — perché sentiamo tutta la nostra più profonda responsabilità verso il Popolo di Dio, in questa società ecclesiale ed ecclesiastica sempre più confusa, umorale e schizofrenica. O come diceva agli inizi degli anni Settanta del Novecento il Servo di Dio Enrico Medi:

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«Del mondo moderno non mi spaventano le armi atomiche, l’inquinamento o le guerre; ciò che mi spaventa è la pazzia collettiva verso la quale il mondo sta precipitando» [da una conferenza dell’ottobre 1974 all’Università Cattolica di Milano].

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dall’Isola di Patmos, 2 ottobre 2019

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