L’Arcivescovo di Palermo perseguitato dalle Iene? Ha voluto la bicicletta, adesso deve pedalare

— attualità ecclesiale —

L’ARCIVESCOVO DI PALERMO PERSEGUITATO DALLE IENE? VOLEVA LA BICICLETTA, ADESSO DEVE PEDALARE

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[…] ho provato però una certa tristezza nel vedere nel filmato l’Arcivescovo di Palermo fuggire via di corsa più volte, perché in quel momento mi sono tornati alla mente diversi santi vescovi, alcuni dei quali martiri della fede, che con una dignità mirabile, si sono fatti trovare seduti sulla loro cattedra episcopale, direttamente sulla quale furono sgozzati dai musulmani

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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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S.E. Mons. Corrado Lorefice, Arcivescovo Metropolita di Palermo, inseguito dalle Iene delle reti televisive Mediaset [cliccare sull’immagine per aprire il video]

Le Iene dell’omonimo programma televisivo vanno sempre prese con le pinze. Pertanto, sulla vicenda circa il presunto mal trattamento dei dipendenti di una fondazione dell’Arcidiocesi di Palermo, non possiamo esprimere giudizi che spettano alla magistratura, nello specifico al giudice del lavoro. Se le Iene sollevano un caso, ciò non autorizza nessuno a emetter giudizi di sentenza. Sappiamo che certe questioni sono di prassi sempre complesse.

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Corrado Lorefice, opera dedicata alle figure di Giuseppe Dossetti e Giacomo Lercaro: La Chiesa povera e dei poveri nella prospettiva del Concilio Vaticano II

Può essere però che S.E. Mons. Corrado Lorefice, Arcivescovo Metropolita di Palermo e Primate di Sicilia, si stia accingendo a prendere una salutare lezione di vita che lo renderà sicuramente un pastore in cura d’anime molto migliore, giungendo forse alla sua vecchiaia come un vero e proprio santo vescovo. E la lezione è la seguente: fare il Vescovo nel 2018 è difficilissimo. Parlando poi come coetaneo dell’Arcivescovo panormitano, dal quale mi differenziano appena dieci mesi d’età, posso dire che se a me, presbìtero senza alcuna pregressa esperienza di ministero episcopale, a cinquantadue anni avessero prospettata la nomina ad Arcivescovo Metropolita di Palermo, mi sarei rifiutato in modo categorico di accettare, perché conosco anzitutto i miei limiti e perché non occorre particolare scienza per capire che stiamo parlando di una tra le più grandi e soprattutto difficili sedi episcopali d’Italia; e Palermo, una così detta sede difficile, lo è storicamente, da sempre. In tempi recenti dovrebbe essere fin troppo emblematica la storia del Cardinale Francesco Carpino [Palazzolo Acreide 1905 – Roma 1993], eletto alla cattedra arcivescovile di Palermo nel 1967 ed alla quale fece atto di rinuncia tre anni dopo nel 1970, dando come motivazione ufficiale che l’Arcidiocesi aveva problemi pastorali molto difficili per i quali era necessario un arcivescovo più giovane che potesse abbozzare dei programmi a lungo termine …

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… nel rifiutare la nomina a quella sede, mi sarei anche premurato di dare all’Autorità Ecclesiastica un consiglio non richiesto: inviare a Palermo un vescovo che avesse già acquisita e maturata una certa esperienza nel sacro ministero episcopale, dando buona prova di sé nel governo pastorale. Come però ripeto, io ho il senso dei miei limiti e soprattutto il senso delle proporzioni.

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il 29 aprile 2016 fu celebrato nella Cattedrale panormitana il Giubileo degli Sportivi, in occasione del quale fu donata all’Arcivescovo Metropolita un pallone ed una bicicletta con la quale fece un giro sul presbitèrio

Chi avesse accettato senza far simili valutazioni, oggi dovrebbe applicare il saggio detto popolare: «Hai voluto la bicicletta? Adesso pedala!». Oppure chiarire che la nomina alla complessa e delicata sede arcivescovile di Palermo non gli è stata offerta, ma imposta per obbedienza. Cosa più impossibile che rara, perché se uno risponde che non se la sente o che non si reputa all’altezza del gravoso compito, nessuna Autorità Ecclesiastica imporrà mai l’obbedienza.

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S.E. Mons. Corrado Lorefice è autore di diversi libri nei quali si parla dei poveri e si anela una Chiesa povera per i poveri. Cosa questa che mi induce ad una grande fiducia nei suoi confronti e soprattutto a stimolare i lavoratori che pare abbiano aperto un contenzioso con la diocesi, ad avere profonda fiducia nel loro Arcivescovo, che per sensibilità e per formazione è molto sensibile ai poveri ed alla povertà, come provano i suoi libri; e questa profonda sensibilità gli impedirà sicuramente, in coscienza pastorale, di lasciar finire in stato di disagio e povertà dei lavoratori con le loro rispettive famiglie.

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uno dei testi dedicati alla povertà ed alla Chiesa povera per i poveri di S.E. Mons. Corrado Lorefice

Ripeto: nessuno può entrare nel merito di una questione che dovrà essere valutata e giudicata nelle appropriate sedi, non certo dalle Iene, che hanno anzitutto mancato gravemente di rispetto e di educazione andando a cercare l’Arcivescovo nella sua chiesa cattedrale durante un pubblico incontro, o peggio disturbandolo durante una processione religiosa. Ciò che solo posso dire è di avere provato una certa tristezza nel vedere nel filmato l’Arcivescovo di Palermo fuggire via di corsa più volte, perché in quel momento mi sono tornati alla mente diversi santi vescovi, alcuni dei quali martiri della fede, che con una dignità mirabile si sono fatti trovare seduti sulla loro cattedra episcopale, direttamente sulla quale furono sgozzati da quei musulmani appartenenti a quella religione di pace e amore di cui tempo fa narrava l’Augusto Pontefice, quantunque delicatamente e prontamente smentito dall’islamologo gesuita Samir Khalil Samir [cf. QUI]. Tra i diversi vescovi martiri ricordiamo la bella figura dell’Arcivescovo di Otranto, martirizzato dai musulmani nel 1480 [cf. QUI], del quale la cronaca narra:

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il volto di una Chiesa povera

«l’arcivescovo Stefano, dopo che per tutto il giorno precedente aveva rincuorato la popolazione col Sacramento dell’Eucaristia, salì dalla cripta della cattedrale nel coro e lì, martire della fede in Cristo ed insignito dai paramenti sacerdotali, fu sgozzato sulla sua cattedra episcopale dai turchi, quando vi fecero irruzione» [cf. Antonio de Ferrari, in De situ Japigiae].

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Ciò equivale a dire: una volta avuta la bicicletta, hanno pedalato fino al Paradiso molto meglio di come avrebbero fatto due ciclisti professionisti come Gino Bartali e Fausto Coppi. Ma come sappiamo, erano altri tempi. All’epoca, sulla bicicletta, ci venivano messi solo gli agonisti professionisti, mentre oggi, una bicicletta, è una cortesia clericale che non si nega a nessuno …

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«Signore, non si inorgoglisce il mio cuore
e non si leva con superbia il mio sguardo;
non vado in cerca di cose grandi,
superiori alle mie forze» [Salmo 131].

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dall’Isola di Patmos, 20 ottobre 2018

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Ipazia gatta romana a colloquio con il corvo di Enzo Bianchi, oggi partecipante al Sinodo per indicare ai giovani la via, la verità e la vita …

— il cogitatorio di Ipazia —

IPAZIA GATTA ROMANA A COLLOQUIO CON IL CORVO DI ENZO BIANCHI, OGGI PARTECIPANTE AL SINODO PER INDICARE AI GIOVANI LA VIA, LA VERITÀ E LA VITA …

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[…] sono un corvo, come credo che di fatto lo sia Enzo Bianchi, pur non avendo le penne. Il nostro suono è simile, anche lui come me quando parla gracchia. Entrambi giriamo per il mondo alla ricerca di qualche perla o gioiello da rubare. Io cerco e rubo i gioielli e le perle materiali, lui ruba invece quelli delle anime che lo ascoltano dopo aver già rubato le perle ed i gioielli del Cristianesimo e della Chiesa Cattolica.

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Autore
Ipazia gatta romana

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

Il Sinodo dei Giovani: Enzo Bianchi e il peccato originale nel quadro di una dissoluzione

—  attualità ecclesiale — 

IL SINODO DEI GIOVANI: ENZO BIANCHI E IL PECCATO ORIGINALE NEL QUADRO DI UNA DISSOLUZIONE

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Chi oggi vuol parlare ai giovani in modo credibile, ma soprattutto chi intende tutelarli dall’opera del Demonio che tra il Novecento ed il Nuovo Millennio pare essersi scatenato in tutti gli àmbiti ed a tutti i livelli, dovrebbe anzitutto invitarli a fuggire le inside del peccato, non certo ad inserire l’acronimo LBGT nell’Instrumentum Laboris del Sinodo, per vedere come sistemare certe nuovo “edificanti” tendenze.

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Autore
Giovanni Cavalcoli, O.P.

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Enzo Bianchi in visita dal Sommo Pontefice Francesco I

Poteva mancare il Priore emerito di Bose, Sua Beatitudine Enzo Bianchi, al Sinodo dei Giovani? Il tempo di terminare la predicazione degli esercizi spirituali al clero ad Ars [cf. articolo QUI], ed eccolo giungere a donar preziose perle come partecipante al Sinodo. E siccome siamo in piena èra di cosiddetta «rivoluzione epocale», egli spiega anzitutto ai giornalisti che in questo Sinodo «c’è una grande libertà di intervento che nei sinodi precedenti io non ho sperimentato» [cf. QUI]. Ovviamente Sua Beatitudine omette di precisare che questa “libertà” rammenta molto il periodo del terrore di Robespierre durante la Rivoluzione Francese, visto che tutti coloro che hanno sollevato a vario titolo libere obiezioni, o sono stati destituiti dai loro uffici di curia, o dimessi senza motivo, o lasciati al loro posto ma totalmente esautorati dall’esercizio delle loro funzioni, oppure morti di crepacuore, come il compianto Cardinale Carlo Caffarra [cf. nostri articoli, QUIQUI].

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Forse, Sua Beatitudine, ignora che nel mondo, i crimini e le ingiustizie peggiori, paradossalmente sono state realizzate proprio in nome dei pretesti di libertà. Ne rimane emblema la nobildonna Marie-Jeanne Roland de la Platière, che salendo la scale verso la ghigliottina disse: «Oh Liberté, que de crimes on commet en ton nom!» [Oh, libertà, quanti crimini che si commettono nel tuo nome!].

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Chi oggi vuol parlare ai giovani in modo credibile, ma soprattutto chi intende tutelarli dall’opera del Demonio che tra il Novecento ed il Nuovo Millennio pare essersi scatenato in tutti gli àmbiti ed a tutti i livelli, dovrebbe anzitutto invitarli a fuggire le inside del peccato, non certo ad inserire l’acronimo LBGT nell’Instrumentum Laboris del Sinodo, per vedere come sistemare certe nuove “edificanti” tendenze [cf. nostro articolo QUI]. Ovviamente, nulla di tutto questo può essere realizzato, quando a parlare ai giovani viene invitata appunto Sua Beatitudine, che non solo è specializzato a sorvolare sul peccato, perché andando più a fondo ancora e partendo dalla radice, Enzo Bianchi finisce col negare, attraverso le sue fumose interpretazioni, lo stesso peccato originale. A quel punto, tutto diviene più o meno lecito al di là del bene e del male. E poi si pretende di parlare ai giovani? Perché ai giovani non va offerto né un Vangelo annacquato, né una via agevole, stando almeno a quanto ci ha detto Gesù Cristo:

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«Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!» [Mt 7, 13-14].

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Vediamo adesso qual è il concetto di peccato originale in questo soggetto invitato al Sinodo dopo avere appena terminato di predicare ai preti …

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Tutto il senso del cristianesimo poggia sulla dottrina del peccato originale. Se questa dottrina è falsata, tutto il cristianesimo crolla. Infatti, il cristianesimo, è forza divina di salvezza dal peccato originale e dalle sue conseguenze e ritorno dell’umanità alla condizione felice precedente al peccato, con l’aggiunta di una superiore condizione, quella dei «figli di Dio», «uomini spirituali», ad immagine del Figlio Gesù Cristo.

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L’opera redentrice di Cristo consiste essenzialmente nel liberare l’umanità dalla colpa originale e dalle sue conseguenze: nel guarire le ferite, togliere la condanna del peccato, la concupiscenza, la sofferenza, la morte e la schiavitù a Satana, dando soddisfazione col sacrificio della croce al Padre per i nostri peccati, riconciliandoci tra di noi e col Padre ed ottenendoci la sua misericordia e il suo perdono, e donandoci la legge e la grazia dello Spirito Santo, che ci rende figli di Dio, eredi della vita eterna.

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È chiaro allora che è impossibile capire ed apprezzare la grandezza della misericordia del Padre, che per misericordia ci manda il Figlio innocente a morire sulla croce propter nos et propter nostram salutem, per noi peccatori, debitori insolventi, se non si capisce l’immensa gravità e pervasività del peccato originale, origine di tutti i nostri peccati e della miseria, nella quale, per giusto giudizio del Padre, esso ha gettato l’intera umanità.

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Cristo è il Medico divino, che conosce bene i nostri mali, sa interpretare i nostri disturbi, ce ne mostra le cause e le conseguenze e ci insegna come guardarcene, nonché il modo e i mezzi per giungere alla guarigione. Gesù è venuto apposta per insegnarci e rivelarci, attraverso la Chiesa, meglio e al di là di qualunque filosofia, qual è l’origine del male che affligge l’intera umanità ab immemorabili, male del quale da sola non solo non riesce a liberarsi, ma del quale non riesce neppure a comprenderne pienamente la natura e a farne la diagnosi.

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È dunque falsissimo quello che dice Bianchi, che la Chiesa non sappia qual è l’origine e il perché del male, perché, se così fosse, non avrebbe modo di eliminarlo, cosa assolutamente falsa, perché verrebbe a vanificare l’opera della redenzione e renderebbe nullo l’intero cristianesimo, o tutt’al più lo renderebbe un filantropismo al livello della massoneria o dello gnosticismo, dove Gesù Cristo è niente più che un profeta o un grande benefattore dell’umanità, un premio Nobel, che, per sostenere la causa della giustizia e degli oppressi, resta saldo contro gli oppositori fino alla morte.

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La massima manifestazione della misericordia divina è certamente il perdono gratuito dei peccati, ma, secondo il piano del Padre, spiegato dal dogma della Chiesa [1], questo piano prevede che noi collaboriamo con le nostre sofferenze, penitenze ed opere buone in grazia, all’opera sacerdotale [2] e cultuale riparatrice ed espiatrice di Gesù Cristo crocifisso, dono appunto della misericordia del Padre grazie alla quale espiamo i nostri peccati e rendiamo soddisfazione al Padre, offeso dal peccato, riconciliandoci con Lui in Cristo e nella Chiesa mediante i sacramenti. Così la salvezza non è solo dono della grazia, ma anche nostra conquista e premio grazie al merito [3] soprannaturale delle buone opere. Negando il valore dei meriti, Bianchi cade nella medesima eresia di Lutero.

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Bianchi non comprende che la dottrina, insegnata dal Concilio di Trento [Denz. 1511, 1522, 1529], per la quale il Padre, sdegnato e offeso per il peccato dell’uomo, esige riparazione, e a tal fine manda il Figlio ad offrirsi in sacrificio sulla croce per il riscatto dai nostri peccati, non è per nulla una falsa interpretazione, ormai superata, dell’opera del Padre e del Figlio, come se si trattasse di un Padre crudele e di un Figlio succube dal padre-padrone, ma è dogma immutabile della fede [4]. Invece si tratta di dottrina biblica e dogmatica, che ci fa comprendere l’immensa misericordia ed ammirevole giustizia del Padre, che ci dona il Figlio per la salvezza di noi peccatori, glorificando il Figlio insieme con noi, i quali a nostra volta, nello Spirito Santo, glorifichiamo in Cristo il Padre [Gv 17]. E in questa sacra e divina circolarità di una reciproca glorificazione si riassume tutto il mistero della liturgia cristiana, fons et culmen totius vitae christianae, mistero che si dissolve nella concezione di Bianchi.

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La dottrina del peccato originale, come tutte le verità rivelate, non è di facile interpretazione ed offre forti difficoltà alla nostra ragione. Inoltre essa emerge solo da un sapiente collegamento di passi della Scrittura, che vanno dal famoso racconto genesiaco, al libro di Giobbe, a San Paolo, all’Apocalisse, tra di loro assai distanti, il cui nesso non è immediatamente visibile. Inoltre, questa dottrina, proprio perché fondamentale, stantis et cadentis christianismi, si dirama ed ha agganci con tutte le altre verità morali della divina Rivelazione, financo con quelle teoretiche, sicché uno che volesse esporre questa dottrina in tutti i suoi rapporti con le altre verità di fede, dovrebbe prendere in considerazione tutto l’insieme del Credo cristiano. Infatti, anche la percezione e la contemplazione di una verità così puramente speculativa come è il dogma trinitario, è resa possibile, in fin dei conti, dal fatto che noi ci siamo liberati dalla colpa originale, accogliendo la grazia della redenzione offertaci da Cristo.

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Questa dottrina non risulta da una semplice esegesi biblica, ma è lentamente maturata nella storia ed è stata esplicitata e precisata nei secoli con l’apporto dei Padri, dei Dottori e dei Santi, sotto la guida del Magistero della Chiesa, soprattutto nel Concilio di Orange del 529 [Denz. 371-372], e nei grandi Concili Lateranense IV e di Trento, nei quali ha assunto una forma dogmatica definitiva, che da allora non è più stata ulteriormente approfondita, neppure dal Concilio Vaticano II, che si limita ad assumere la dottrina tradizionale. Questa dottrina è oggi affidata al Catechismo della Chiesa Cattolica [nn. 396-406]. Nel contempo il dato rivelato che essa esprime sollecita i teologi a sempre nuovi chiarimenti ed approfondimenti e li spinge a porsi sempre nuove domande, che conducono a una sempre migliore conoscenza della Parola di Dio.

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I progressi dell’esegesi storico-critica, soprattutto a partire dal secolo XIX, sono stati di grande aiuto alla Chiesa per correggere certe ingenuità popolari, chiarire il genere letterario del racconto genesiaco, la storia della sua redazione, i rapporti dell’agiografo con culture coeve extra-bibliche, per separare il nucleo storico e teologico dal rivestimento simbolico e mitologico, per superare una visione cosmologica evidentemente superata dal progresso scientifico moderno, soprattutto in relazione ai dati della teoria dell’evoluzione. Hanno giovato alla comprensione del dogma del peccato originale anche i progressi filosofico-teologici compiuti a partire dal secolo XIX, soprattutto con la rinascita tomista promossa da Leone XIII, i progressi della metafisica concernenti la natura del bene e del male, della teologia naturale riguardanti la creazione del mondo, i progressi dell’antropologia circa la natura dell’uomo e della donna, i progressi della psicologia e della teologia morale sulla natura del libero arbitrio, della responsabilità, della coscienza, del peccato, della colpa e della grazia.

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L’oscurità del dato biblico, l’apparente ingenuità del racconto genesiaco — una coppia posta in un giardino di delizie tentata da un serpente di mangiare un frutto proibito — , il suo apparente contrasto con i dati della scienza sull’origine dell’uomo [5] e la sua apparente assurdità, una colpa che si trasmette per generazione biologica o di un Dio buono, che però permette il male, tutte queste difficoltà sono state occasione perché da sempre la dottrina del peccato originale sia stata fraintesa, derisa, falsificata o rifiutata in vari modi.

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LA CONCEZIONE DI BIANCHI E IL PENSIERO DELLA CHIESA

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In questo articolo esaminiamo la posizione di Enzo Bianchi. Egli si considera «cattolico» e dichiara di esporre la visione che oggi la Chiesa ha del peccato originale, dando ad intendere che essa non accetterebbe più quel che troviamo esposto nel Catechismo della Chiesa Cattolica. Vorremmo allora chiedere a Enzo Bianchi di quale «Chiesa» parla, dato che non è quella del Catechismo. In realtà Bianchi non espone affatto la dottrina della vera Chiesa, ma di una falsa Chiesa, che è quella dei modernisti.

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Sul peccato originale Bianchi presenta una concezione che, come ho detto, spaccia per dottrina della Chiesa, ma che in realtà, come si può verificare facilmente consultando il Catechismo, è esattamente l’opposto di quella insegnata dalla Chiesa e pertanto è del tutto falsa. Egli comincia col deridere il racconto genesiaco come fosse una favola da bambini:

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«Inutile dire che la Bibbia non dice da dove veniva il male. Spero che nessuno di voi ricordi questa storiella raccontata che ci raccontavano tutti che ci sarebbe stato un angelo che si è rivoltato a Dio, Dio lo ha precipitato e questo è diventato il diavolo, il diavolo ci tenta, il mondo era bello, era dorato, si passeggiava dal mattino al tramonto. Anzi il tramonto non veniva mai perché non c’era la tenebra. Poi quei due poverini di Adamo ed Eva han fatto quella cosa e la paghiamo noi dopo non so per quanti milioni di anni»[cf. Enzo Bianchi, QUI]. 

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E spiega:

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«ma quando si dice peccato originale oggi la Chiesa, attenzione su questo, non intende il peccato commesso alle origini e che poi ha causato per sempre un disastro, ma il peccato che sta all’origini di ciascuno di noi, della nostra esistenza, della nostra libertà e della nostra facoltà di decisione; questo è il male»[cf. Enzo Bianchi, QUI]. 

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«nessun peccato originale nel senso di un peccato commesso all’inizio. Questo la Chiesa cattolica non lo dice più. Ma il peccato originale che abita in ogni uomo emerge ogni volta che entriamo in contatto, in comunicazione o in relazione con le cose. Di fronte a un albero simbolo di tutte le cose, l’uomo e la donna si sentono tentati»[cf. Enzo Bianchi, QUI]. 

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«La Chiesa non è più su queste posizioni. La Chiesa non legge più il peccato originale nella preistoria degli uomini. Questo è ormai una sciocchezza. Più nessuno osa dire questo. Ma il peccato originale viene letto come il peccato che sta nelle fibre di ogni uomo che viene al mondo»[cf. Enzo Bianchi, QUI].

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Al contrario, il Catechismo presenta il peccato originale proprio come peccato commesso da una coppia umana realmente esistita, capostipite di tutta la specie umana, creata da Dio a sua immagine e somiglianza, ribellatasi alla proibizione divina di sostituirsi a Lui nel decidere del bene del male [nn.396-399] [6]. Il peccato originale, quindi, non è affatto un peccato che è alle origini della nostra esistenza personale, come fosse un atto nostro, ma è all’origine dell’umanità.

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Il peccato originale non è il primo peccato che commettiamo nella nostra storia personale, giunti all’età di ragione. Il racconto biblico non è, come credono anche Karl Rahner e il Cardinale Gianfranco Ravasi, un «mito eziologico», per spiegare con un rimando al passato ciò che avviene nel presente. La colpa del peccato originale, nella quale nasciamo, non è una colpa nostra, ma una colpa che abbiamo ereditato dai progenitori. Come infatti potrebbe essere una colpa nostra, se alla nascita ancora non siamo giunti all’età di ragione?

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Secondo il dogma della Chiesa, che chiarisce la dottrina di San Paolo, la colpa del peccato originale non è solo una colpa personale propria dei progenitori, ma è colpa collettiva dell’intera umanità, colpa che, una volta commessa dai progenitori, si trasmette per generazione all’intera umanità nata da Adamo, per cui ognuno di noi, tranne la Beata Vergine Maria, esente dalla colpa originale, è concepito dalla madre affetto e macchiato da questa colpa originaria ed ereditaria, indipendentemente dalla volontà del singolo, ancora incapace di intendere e di volere, colpa dalla quale lo libera il Battesimo.

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E se è vero che Cristo non parla mai con precisione del fine, dell’effetto e del motivo del Battesimo, se non per dire che purifica dal peccato ed assicura la salvezza, e non accenna mai al peccato originale, il fatto stesso che ordini di battezzare ogni uomo, è l’implicita ammissione dell’esistenza in ciascuno di noi della colpa originale, colpa che appunto viene tolta dal Battesimo.

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La trasmissione della colpa originale, che coinvolge e infetta l’intera umanità, suppone una concezione corporativa della natura umana, quasi fosse non una semplice collezione di persone, ma un unico soggetto o un’unica persona [7], una “super-persona” composta di persone, senza con ciò escludere affatto la singolarità, l’autonomia e la responsabilità delle singole persone fisiche.

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Questa concezione dell’umanità appare chiaramente nel pensiero paolino relativo sia all’umanità peccatrice a seguito del peccato originale [«in Adamo tutti abbiamo peccato»], [Rm 5,12] [8] e sia nella sua concezione dell’umanità santa, ossia della Chiesa come «Corpo mistico» del Signore, «Sposa di Cristo». Per questo San Tommaso d’Aquino spiega che il peccato originale non è tanto il peccato di quell’individuo, quanto piuttosto è peccato della natura umana, peccatum naturae, come se dicessimo che se uno pecca con la mano, è lui stesso che pecca [9]. Così, per quanto riguarda la colpa originale in Tizio e Caio è la stessa umanità a peccare in loro. Oppure — Tommaso fa un altro paragone — noi diciamo che un corso d’acqua è inquinato perché viene inquinato alla sorgente. Certo, si tratta di semplici paragoni, che, per quanto facciano luce, non possono togliere l’oscurità del mistero. Il fatto storico del peccato originale è un puro dato della divina Rivelazione. La ragione arriva a comprendere l’essenza del male di colpa e di pena, capisce che questa è conseguenza di quella; capisce che l’esistenza del male non è necessaria, ma è un qualcosa di accidentale e contingente.

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Partendo dal suo falso presupposto, si capisce allora come Bianchi non riesce a spiegare come mai tutti noi, pur nascendo buoni, in quanto creati da Dio, e dotati del potere di scegliere tra il bene e il male, diventiamo ineluttabilmente cattivi; e non trovando una soluzione, addebita alla Bibbia un errore che è soltanto suo.

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Bianchi dunque confonde qui evidentemente due cose. Un conto è il peccato originale, peccato dei progenitori, che tocca le nostre origini e la cui colpa si diffonde in tutta l’umanità. E un conto è la nostra innata inclinazione a peccare, — la concupiscenza — che è conseguenza del peccato originale. Bianchi afferma così che la Chiesa avrebbe abbandonato come fosse una «sciocchezza» e una «mancanza d’intelligenza imperdonabile», il racconto della creazione di Adamo nel paradiso terrestre, dotati di doni preternaturali, felici, immortali ed innocenti, in comunione con Dio. Dice:

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«La Chiesa non legge più il peccato originale nella preistoria degli uomini. Questo è ormai una sciocchezza. Più nessuno osa dire questo. Ma il peccato originale viene letto come il peccato che sta nelle fibre di ogni uomo che viene al mondo. Se voi volete è quell’incapacità di operare sempre il bene. Il male a un certo punto entra in noi» [cf. Enzo Bianchi, QUI].

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Ma basta consultare ciò che il Catechismo insegna per accertarsi della falsità delle parole di Bianchi. Dice infatti il Catechismo riferendosi al peccato dei progenitori:

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«L’uomo, tentato dal diavolo, ha lasciato spegnere nel suo cuore la fiducia nei confronti del suo Creatore e, abusando della propria libertà, ha disobbedito al comandamento di Dio. In ciò è consistito il primo peccato dell’uomo [cf Rm 5,19]. In seguito, ogni peccato sarà una disobbedienza a Dio e una mancanza di fiducia nella sua bontà» [n. 397].

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Inoltre, a causa della sua negazione della storicità del peccato originale, Bianchi finisce per concepire la tendenza umana al male non come conseguenza della caduta originaria, ma come intrinseca alla stessa natura umana, con gravissime conseguenze per quanto riguarda il male dell’uomo e nell’uomo, perché, se questo è naturale, diventerà bene, giacché bene è ciò che è secondo natura. Ne segue allora una conseguenza orribile e cioè che il peccato diventa buona azione e la buona azione diventa peccato. Non si distingue più ciò che è secondo natura da ciò che è contro natura. Da qui probabilmente l’eccessiva indulgenza di Bianchi nei confronti della sodomia.

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Dice Bianchi:

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«il racconto che tutti conosciamo e che l’uomo e che la donna. L’umanità nella sua dualità nel mettersi in rapporto con le cose, nel vivere nell’esistenza. Mostra di scegliere il male e di non scegliere il bene. Non leggete quel racconto come se fosse l’origine della nostra storia. Sarebbe davvero una mancanza d’intelligenza imperdonabile. Il racconto della Genesi ci vuol dire la realtà dell’uomo, di ogni uomo che viene al mondo, di ogni donna che viene al mondo. Si trova in un mondo in cui c’è già il male. C’è già il serpente, che precede l’uomo. Esso era già là. C’era già il male. E l’uomo nella sua vita vi consente e sceglie il male» [cf. Enzo Bianchi, QUI].

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Per Bianchi, come abbiamo già visto, la tendenza al peccato non è propria della natura umana decaduta da uno stato primitivo d’innocenza, ma è insita nella stessa natura umana. Ma se il male è naturalmente nell’uomo, allora il male è naturale e non è più male. Dunque, pensare che Cristo ci liberi dal male è un’illusione o una stortura. Per Bianchi la presenza della morte e le ostilità della natura non sono conseguenze o castigo di un peccato che abbiamo commesso alle origini, perché il male c’era già prima del peccato. Dice:

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«Con la conoscenza delle scienze che abbiamo, sappiamo che prima dell’uomo il male regnava nella natura già prima: il lupo mangiava l’agnello. Già prima, la catena della vita andava avanti attraverso la morte di alcuni perché altri vivessero. Non c’è stata una introduzione del male da parte nostra. Il male c’era. E certamente il male ci precedeva: il serpente, Satana, il diavolo e poi le denominazioni sono molte. Ma il male c’era» [cf. Enzo Bianchi, QUI].

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Rispondiamo dicendo che è vero che il male c’era già a causa del peccato dell’angelo ed è vero che la morte dei viventi infra-umani ha preceduto storicamente la comparsa dell’uomo sulla terra. Questo secondo dato risulta dalla scienza, mentre il primo è un dato della Rivelazione. Dalla Scrittura infatti sappiamo che il male ha avuto origine dalla ribellione di alcuni angeli a Dio [Ap 12, 7-9]. Ma per quanto riguarda la morte dei viventi infra-umani, essa è naturale; infatti è presente già nell’Eden. Non è conseguenza del peccato dell’uomo. I viventi infra-umani servono al nutrimento dell’uomo.

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Invece, per quanto riguarda la nostra morte, la Rivelazione insegna che essa è conseguenza del peccato originale, benché anch’essa di per sé sarebbe naturale [10]. Ma, come insegna il Concilio di Trento [Denz, 1511], nell’Eden possedevamo una grazia di immortalità, che abbiamo perduto col peccato. Infatti, i progenitori nell’Eden erano immortali. Ed inoltre, secondo la Rivelazione, la morte, dalla quale Cristo ci salva, trae la sua prima origine dal peccato dell’angelo [Sap 2,24] [11] all’inizio della creazione.

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Da considerare inoltre che Pio XII nell’enciclica Humani Generis del 1950 [Denz. 3897] ribadisce che occorre ammettere l’esistenza storica di una coppia, dalla quale tutta l’umanità ha avuto origine, altrimenti sarebbe stata impossibile la trasmissione della colpa originale a tutta l’umanità, cosa che rientra nel dogma del peccato originale.

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Come dice infatti il Catechismo:

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«Adamo ci ha trasmesso un peccato, dal quale tutti nasciamo contaminati» [n,403]. «Tutti gli uomini sono coinvolti nel peccato di Adamo, così come tutti sono coinvolti nella giustizia di Cristo» [n.404]. S.Paolo fa capire chiaramente che, se non ci fosse stato Adamo col suo peccato, non ci sarebbe stato Cristo, perché Cristo ripara il peccato di Adamo [Rm 5, 12-20]. «Adamo ed Eva commettono un peccato personale, ma questo peccato intacca la natura umana, che essi trasmettono in una condizione decaduta. Si tratta di un peccato che sarà trasmesso per propagazione a tutta l’umanità, cioè con la trasmissione di una natura umana privata della santità e della giustizia originali. Per questo, il peccato originale è chiamato “peccato” in un modo analogico: è un peccato contratto e non un peccato commesso, uno stato e non un atto» ⦋ibid.⦌. Esso non è rimesso con un atto cosciente del soggetto, come se questi ne fosse responsabile, ma semplicemente ricevendo la grazia del Battesimo, conferibile anche a un neonato» [ibid.].

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Bianchi riconosce che Dio non può volere il peccato, ossia il male di colpa; ma è carente laddove si tratta delle punizioni o dei castighi divini, nei quali Dio infligge un giusta pena. In nome della misericordia, Bianchi non vuole ammettere la giustizia punitiva, che gli sembra una crudeltà indegna del Dio Amore. Indubbiamente il castigo del peccato è propriamente il male che il peccatore si tira addosso col suo peccato.

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Tuttavia, sappiamo come la Bibbia parli francamente di «castigo» divino, senza che ciò debba giudicarsi il segno di una teologia arcaica o superata, perché la severità si trova anche nel Dio di Cristo. Dunque ciò non può che far riferimento alla logica e necessaria conseguenza del peccato, che turba l’ordine posto da Dio stesso nelle cose, benché Dio, nella sua bontà abbia in certi casi la possibilità di sospendere o annullare la pena.

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IL PROBLEMA DEL MALE [12]

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La questione del peccato originale è certamente legata al problema della natura e dell’origine del male, giacché peccare è fare il male. E il male di pena è conseguenza del peccato. Bianchi si pone più volte la seconda questione, dichiarando peraltro falsamente, come abbiamo visto, che la Bibbia non dà una risposta, quando invece esiste già una risposta, per quanto imperfetta, fornita dalla filosofia, benché ovviamente non all’altezza della risposta che viene dalla Scrittura.

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Ma la grave lacuna di Bianchi è quella di non dirci che cosa è il male, male di pena e male di colpa. Anzi si nota come egli abbia un concetto sbagliato del male, quando afferma che il serpente genesiaco è il «male». Niente affatto. Il serpente, come egli dovrebbe sapere, è il simbolo di una creatura spirituale malvagia, creata prima dell’uomo, ossia del demonio, come ha chiaramente insegnato il Concilio Lateranense IV del 1215 ⦋Denz. 800⦌.

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Bianchi, con questo grave fraintendimento, dimostra dunque di ipostatizzare o sostanzializzare il male, cadendo esattamente in quel manicheismo, che egli dichiara di voler evitare. In tal modo e congiuntamente nega che il peccato dell’uomo tragga la sua occasione dal peccato dell’angelo, rifiutando, lo abbiamo visto, come sciocca favola questa verità di fede, che pure è insegnata da quel Concilio [ibid.], verità estremamente illuminante ed utile per il nostro cammino di salvezza, perché ci istruisce sul nostro dovere di vigilare e di guardarci dalle insidie, dalle illusioni, dagli attacchi, dagli inganni e dalle tentazioni del demonio, senza temere le sue minacce, né lasciarci confondere dalle sue accuse e dai suoi rimproveri, che ci insinuano falsi sensi di colpa, e senza cedere alle sue lusinghe e seduzioni, che ci induriscono nel peccato, ci accecano nella superbia e nell’orgoglio, e senza lasciarci turbare dai suoi spaventi, che vogliono gettarci nella disperazione.

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La gravissima questione del male, per poter essere affrontata seriamente, con speranza di successo, senza restare nel buio, richiede, come già ci insegna Aristotele, il ricorso alla metafisica, perché essa tocca la questione dell’essere e del non-essere, della posizione e della negazione-privazione, temi specifici della metafisica. Ora purtroppo Bianchi dimostra di essere in fatto di metafisica completamente digiuno. E qui sta la causa dei suoi gravi errori circa la questione del male.

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Così la suddetta maldestra sostanzializzazione o reificazione del male operata da Enzo Bianchi, lo getta in una gravissima difficoltà, della quale sembra non accorgersi, la stessa difficoltà per non dire assurdità del manicheismo, e cioè che, se il male è una sostanza, non vi è ad esso rimedio. Infatti è possibile rimediare al male, proprio perché esso non è una sostanza e non esiste necessariamente, ma è accidentale e precisamente una privazione [13], una mancanza di bene o di entità, alla quale si può rimediare apponendo il bene mancante. Certo, un soggetto o una sostanza dannosa può essere distrutta o impedita di nuocere. L’assassino può essere giustiziato. Ma il male, dal quale allora ci si libera, non è il soggetto come tale, in senso ontologico, ma il danno compiuto dal soggetto.

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Il male rientra nel non-essere, benché sia concepito come fosse essere, ad instar entis [ens rationis]. Il che ovviamente non vuol dire che il male non sia nulla o che non esista o sia solo apparente o un fatto soggettivo e non abbia influsso sul reale [14]. Tutt’altro. Tremenda è la potenza mortifera e distruttiva del male. Ma essa lo è appunto come negazione, e più precisamente come privazione di essere. Ma se il male, come sembra credere Bianchi, è una sostanza, se esiste o sussiste in sé e non in un soggetto, non è più male, ma bene. Occorre infatti ricordare che la sostanza in sé, ontologicamente, è buona. Non esistono sostanze cattive per essenza. Di cattivo in essa non può esserci che la sua azione, ma non il suo essere. Una sostanza può essere nociva, ma in se stessa, in quanto ente, è buona. Ens et bonum convertuntur, secondo il noto principio trascendentale.

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Già la filosofia, sul piano fisico e morale, confermata dalla Rivelazione cristiana, benché assai meno perfettamente della Rivelazione, ci dice che cosa è il male, quale ne è la causa e quali ne sono gli effetti. Ci dice anche come toglierlo. Cristo, sul piano soprannaturale della fede e della vita della grazia, è il Medico divino, che, mediante la sua Chiesa, ci dice che malattia abbiamo, come ce la siamo presa e cosa dobbiamo fare per guarire.

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Se Dio avesse voluto, poteva creare un mondo libero dal male. Poteva impedire all’angelo di peccare. Poteva impedire ad Adamo ed Eva di peccare. Se avessero peccato, poteva perdonarli subito, senza che il male si estendesse a tutta l’umanità. Perché non lo ha fatto?

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Questo è il mistero impenetrabile, nascosto nell’infinità della sapienza, della bontà e della libertà divine, mistero non “rivelabile” a noi per la sua trascendenza. Esiste il motivo per il quale Dio ha voluto permettere l’esistenza del male, benché Egli sia innocente, perché Egli non fa nulla senza ragione. Ma lo sa solo Lui. Fidiamoci [15]Il grande ed incomprensibile mistero, pertanto, non è propriamente che cosa è il male, da dove viene, cosa produce e come si toglie — su questi punti Bianchi mostra una riprovevole ignoranza e disprezzo per la divina Rivelazione —, ma è perché Dio permette il male, quando, se avesse voluto, avrebbe potuto creare un mondo senza il male. Tuttavia, il male non esiste necessariamente col creato, ma esistono solo le condizioni di possibilità dell’esistenza del male, che sono date dall’esistenza del libero arbitrio della creatura.

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Il male non potrebbe assolutamente esistere se esistesse Dio solo, perché il male è legato all’esistenza del creato. Infatti Dio è assolutamente buono e perciò non può né compiere, né subire il male, che suppone invece un agente o paziente finito, ossia la creatura. La finitezza però non è male; è solo proprietà di un bene finito. Tuttavia, la finitezza è la condizione della possibilità che un soggetto spirituale compia o subisca il male. Infatti il male è la carenza di un bene dovuto ad un soggetto passibile, che, come tale, non può che essere finito, perché solo il finito può essere privato del suo bene o attivamente, perché fa il male o passivamente, perché subisce il male.

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Chi infatti subisce il male deve essere finito, perché solo il finito può essere privato del suo bene. Ma anche l’attore del male deve essere finito, perché solo l’agente finito può essere difettoso nell’agire, ossia privare il paziente del suo bene. Il male può essere o fatto – nocumento – o patito – dolore.

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L’atto dannoso, che procura nel paziente un male di pena, può essere volontario, e allora abbiamo il peccato, male di colpa; per esempio un adulterio o un furto; o può essere involontario — umano o animale — e allora abbiamo il semplice nocumento; per esempio il leone che uccide la gazzella. Tuttavia, se l’uomo che fa il male, pecca, ossia disobbedisce alla legge morale, il leone che uccide la gazzella obbedisce alla legge della sua natura.

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Mentre per l’uomo la morte è conseguenza e castigo del suo peccato, per il leone la morte è conseguenza della sua natura. Il male non può che trarre origine da una creatura capace di disobbedire a Dio sommo Bene, quindi dotata di libero arbitrio. Infatti, tutte le creature infra-umane non fanno che obbedire alle leggi divine, che sono sempre buone.

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Se una zanzara vi punge, non lamentatevi, perché non fa altro che il suo dovere, benché nessuno vi proibisca di ucciderla. Semmai si può dire che nell’Eden le zanzare avevano rispetto per l’uomo. L’ostilità della natura contro l’uomo non è infatti intrinseca alla natura stessa, come sembra supporre Bianchi, ma è conseguenza del peccato originale [Gen 3,17-18]. Dio non ha creato una natura cattiva, ma essa da madre è diventata «matrigna» in punizione del peccato originale.

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Il male dunque non è una sostanza, non è un assoluto, tanto meno è una divinità, ma è una semplice accidentale mancanza di bene, alla quale si potrebbe rimediare con l’apporto del bene mancante. Il male esiste perché c’è il bene, che viene reso difettoso dal male. Invece, il bene di per sé potrebbe esistere anche senza il male. Il male esiste perché c’è un soggetto nel quale si trova. Se il soggetto si corrompe, anche il male scompare. Se un tale muore di cancro, il cancro scompare, ma solo perché quel tale è morto. Già la ragione filosofica sa quindi che in linea di principio il male potrebbe essere tolto e vinto. Il male è effetto di una causa, per cui, tolta la causa, si potrebbe eliminare il male.

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La ragione sa inoltre che Dio, nella sua infinita bontà, non può aver voluto il male e che quindi esso dev’essere stato causato da una colpa originaria della creatura, forse dell’uomo. Platone ha pensato che ci troviamo adesso nelle tenebre e nell’ingiustizia a causa di una caduta avvenuta in passato da uno stato felice, nel quale contemplavamo la verità e il bene. Di questa colpa ancestrale abbiamo sentore, secondo Platone, per il fatto che adesso nasciamo con un’inclinazione irresistibile a peccare, esser soggetti alla sofferenza. Una cosa del genere non è normale: si dovrebbe nascere buoni e felici. Deve dunque — ipotizza Platone — essere capitata, all’origine dell’umanità, una tragedia, per cui essa è precipitata nell’attuale stato di cecità, di miseria e di malizia.

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La divina Rivelazione riprende, chiarisce e corregge l’antica visione pagana, mostrandoci meglio la natura e la gravità di questa caduta primitiva, nonché le sue conseguenze. Ma soprattutto — e sta qui l’elemento maggiormente rivelativo — la Scrittura, nell’interpretazione della Chiesa, dà all’umanità in Cristo i mezzi e i modi per liberarsi dalla sua ancestrale miseria e dalla tendenza al male, per ritrovare il piano originario della creazione, elevato dalla prospettiva cristiana della figliolanza divina.

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La sofferenza, da conseguenza del peccato originale viene trasfigurata da Cristo in strumento di espiazione e in via di salvezza. Da ripugnante diventa amabile. Non certo amabile per se stessa, ma per amore di Cristo. Da condanna diventa risposta d’amore all’amore di Colui che ha dato Se stesso per liberarci dalla sofferenza e dal peccato. Essa resta sempre un male che va combattuto. E tuttavia non va respinta con qualunque mezzo, ma, all’occasione va accolta per amore di Cristo come via per farci santi. Solo il peccato dev’essere respinto in modo assoluto, giacché, come dice un inno liturgico, «i chiodi della croce, benché duri, sono dolci».

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Questo è ciò che pensa e che annuncia Sua Beatitudine il Priore emerito di Bose Enzo Bianchi, che appena terminata la sua predicazione al clero mondiale ad Ars, si è precipitato a Roma, per parlare ai giovani, quindi per partecipare al primo “sinodo della libertà”, a ben considerare che, com’egli stesso afferma: «c’è una grande libertà di intervento che nei sinodi precedenti io non ho sperimentato» [cf. QUI]. Però, in questo clima di “libertà” come mai s’era visto prima, egli non ci narra che fine hanno fatto, quelli che la pensano diversamente …

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… «Oh Liberté, que de crimes on commet en ton nom!». Oh, libertà, quanti crimini che si commettono nel tuo nome! [Marie-Jeanne Roland de la Platière: 1734-1793].

Questa, è la fine che hanno fatto!

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Varazze, 19 ottobre 2018

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NOTE

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[1] Lo illustro nel mio libro Il mistero della Redenzione, Edizioni ESD, Bologna 2004.

[2] Cf. C.V.Héris, Il mistero di Cristo, Editrice Morcelliana, Brescia 1938.

[3]La dottrina del merito, negata da Bianchi sulla scia di Lutero, è dogmaticamente insegnata dal Concilio di Trento [Denz.1545-1550].

[4] Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica [nn.166-172].

[5] M.-J. Nicolas, Evoluzionismo e cristianesimo. Da Teilhard de Chardin a S.Tommaso d’Aquino, Editrice Massimo, Milano 1978.

[6] Cf. S.Giovanni Paolo II, Io credo. Catechesi del mercoledì a cura di Sandro Maggiolini, Edizioni Piemme, 1988, vol.IV, nn.4-5.

[7] Cf. Heribert Muehlen, Una Mystica Persona, Editrice Città Nuova, Roma 1968.

[8] Cf. il mio libro Il mistero della redenzione, Edizioni ESD, Bologna 2004, pp.29-56.

[9] De Malo, q.4,a.6; In II Sent., Dist.31, q.1,a,1.

[10] S. Pio V nel 1567 condannò Michele Baio, il quale sosteneva che l’immortalità era dovuta allo stato d’innocenza [Denz. 1921,1926, 1978].

[11] Cf. C. Journet-J,Maritain, Philippe de la Trinité, Le péché de l’ange. Peccabilité, nature et surnature, Beauchesne, Paris 1961.

[12] Cf. S.Tommaso, Il male. Questioni disputate, a cura di G.Cavalcoli e R.Coggi, vol.VI, Edizioni ESD, Bologna 2002; C.Journet, Il male. Saggio teologico, Borla Editore, Torino 1963.

[13] La steresis, della quale parlava Aristotele.

[14] Luigi Pareyson, nell’affermare giustamente cha il male esiste, resta intrappolato in una inadeguata concezione dell’esistere, per cui finisce col sostenere che il male è una realtà, cadendo anche lui nel manicheismo o quanto meno nella dialettica hegeliana del male presente anche in Dio, benché poi Pareyson cerchi di rimediare col dire che Dio ha «vinto il male in Se stesso». Tuttavia Pareyson ha almeno il merito di aver capito che la questione del male è anzitutto una questione metafisica, mentre il «cattolico maturo» bultmanniano di Enzo Bianchi vive ancora nel mondo delle favole. Cf il libro di Pareyson, peraltro bello e profondo, Ontologia della libertà. Il male e la sofferenza, Casa Editrice Einaudi, Torino 2000.

[15] Cf. J.Maritain, Dieu et la permission du mal, Paris 1963.

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The Synod of the young. the Church, after the Shoah of the catholic world, will be judged to the new Process of Nuremberg, where cardinals and bishops will reply to the judges: “I only obeyed the higher orders”.

—  ecclesial news  —

THE SYNOD OF THE YOUNG. THE CHURCH, AFTER THE SHOAH OF THE CATHOLIC WORLD, WILL BE JUDGED TO THE NEW PROCESS OF NUREMBERG, WHERE CARDINALS AND BISHOPS WILL REPLY TO THE JUDGES: “I ONLY OBEYED THE HIGHER ORDERS”.

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In the most inappropriate historical-ecclesial moment, a Youth Synod is taking place, while the visible Church, after the Holocaust of Catholicism, is about to end up in the Nuremberg court, which will issue a sentence that will remain written in history. In the course of this process, the culprits who brought the Church into the court of justice before the eyes of the world will be judged for committing great crimes against the Church, the mystical body of Christ [cf. Col 1, 12-20]. And as happened seventy years ago with the Nazi leaders, we will hear cardinals and bishops, respond to the judges: “I only obeyed the higher orders”.

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article in the original Italian version

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PDF  article print format

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Author
Ariel S. Levi di Gualdo
Italian presbyter

The impression one has is that the synods are probably set up as the Assembly of Deputies of the Soviet Union, or as it is now the Parliament of North Korea. We admit that we can also discuss within the synods, as happened during the Synod on the family. Naturally, that we proceed to discuss, the synods are celebrated precisely for this purpose. What is the purpose of the discussions, however, when in the final document, previously, we have seen the approval of what the Synod Fathers have rejected decisively and with a broad threshold? In fact, if the Court of Miracles, as I call it, or the Magic Circle, as Cardinal Gerhard Ludwig Müller calls it, already has a ready and approved program, what is the usefulness of synods? Perhaps saving the appearance of collegiality in the same way that the young dictator of North Korea, Kim Jong, wants to have a semblance of parliamentary democracy? And what happened to the dissidents of Korea, maybe they ended up tied on the missiles and then launched during the experimental tests?

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We come to the agenda of the Court of Miracles or the Magic Circle : the Youth Synod will have to serve, as already amply demonstrated, to offer some recognition to the LBGT lobby. And although the youth representatives have never used or mentioned this acronym in their programmatic documents, the mention was made by His Eminence Cardinal Lorenzo Baldisserri, without neglecting to express himself in an imprecise and contradictory way, which in some way is tantamount to lying [see HERE]

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The use of the acronym LGBT, which means: lesbian, gay, bisexual and transsexual, is first of all a question of form and law, which later could have implications in the doctrine and the magisterium. Let’s try to understand: if in the work Gai Institutionum Commentarii — which has nothing to do with gays, but with the famous jurist Gaius who compiled his comments the year 180 a.C. — the problem of oral sex had been inserted according to the jurisprudence of the principality of Augustus, dating back to 30 b.C., this erotic practice would then have a legal status in the system of Roman law. However, considering that the problem of oral sex does not exist in the law, it can not be inserted as a legal institution, even applying other laws in the most extensive form. And it does not exist because, in the law, there is no such thing as the legal institution of oral coitus. Jurisprudence can not treat or regulate what for the law does not exist. That’s why in any kind of juridical system, both in Roman law and in common law, the use of words and terms is always very delicate, because the law, long before punishment, which is only the final act, aims to recognize , establish and then adjust. And a term inserted into juridical language automatically becomes a juridic term.

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To this must be added, as an example, a fact that few in the visible Church of today can deny: in many Catholic theological institutes, when we speak of the Most Holy Eucharist, the theologies and terminologies drawn from Lutheran lexicon, are increasingly used; for example, the Lutheran terminology of consubstantiation. If in some Roman Pontifical universities one dares to refer to scholasticism and Thomism, then to the theological term of transubstantiation, one risks being derided or indicated as pre-conciliar (!?). And the mockers, whose prerogative is the most stupid ignorance, will continue to ignore that one of the two Supreme Pontiffs of the Second Vatican Council, the one who managed it, has brought forward and then closed, the Blessed Pontiff Paul VI, that soon will also be canonized, he defined as opportune and not replaceable this theological term of transubstantiation [Encyclical Mysterium Fidei, nr. 47, text HERE]. Or perhaps we must deduce that Blessed Pontiff Paul VI was actually a pre-conciliar? As I have written several times: in the visible Church of today the decrees of beatification and canonization of the Roman Pontiffs are signed with one hand, with the other the documents that strike, or in some cases annul, their supreme magisterium.

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Today we live in a visible Church where we can define the term of transubstantiation as scholastic-archaeological, then reject it in the halls of the pontifical universities. However, at the same time, we can insert ecclesiastical lexical terms such as LBGT, with the risk that this acronym luciferian assumed by the vocabulary of the Magisterium of the Church. And all this, cannot disconcert only the Cardinal Lorenzo Baldisseri, with all the coryphaeum of journalists Pravda Pontifical, for which never, as «at the time of this epochal revolution», things had gone so well. The facts show that things, at the height of the Pontifical Russian Revolution, are so good that the churches are increasingly empty, the disappointed faithful, the depressed clergy and the missing vocations. The abandonment of the priesthood has never been as numerous as in the last five years of the history of the Church, even if the Congregation for the Clergy is silent on the statistical, because it is presided over by another friend of the Court of Miracles, or Magic Circle.

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His Eminence Cardinal Charles Joseph Chaput, Metropolitan Archbishop of Philadelphia

Thanks be to God, His Excellency Mons. Charles Chaput, Metropolitan Archbishop of Philadelphia, made his voice heard and recalled the importance of using correct words [cf. chronicle: HERE, HERE], because at the level of Catholic doctrine, substance is linked to words. And this should be known by all those who have studied, even in a non-exhaustive way, the first great dogmatic councils of the Church, where, to define the nature of Christ God, we have resorted to precise terms modulated by terminology of Greeks philosophers, such as concept of ὑπόστασις [hypostasis or hypostatic nature].

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Someone, to define today — and therefore clarify — the various forms of exercise of human sexuality, since “male and female God created them” [Gen 1, 26-27], perhaps wants to insert into the ecclesial lexicon terms such as LGBT, thus giving life to a new quatripostatic human nature: to the lesbian nature, gay, bisexual and transsexual?

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The Synod on the family has left a divided and disoriented Church, as well as several deaths due to sudden infarcts in the ranks of the Lord’s vineyard. And after the attempt to erase adultery, today the Synod of Youth has opened up, which seems to want to legitimize the various practices of sexual expression, without clarifying — as Archbishop Charles Chaput laments holyly — that LGBT Catholics cannot exist, and the Church cannot legitimize their existence. With another paradoxical example, we can ask: can a subject be defined as Catholic-atheist and claim, as atheist, his full membership in Catholicism? Yes, he can do it exactly to the extent that, a one transsexual proud of his transsexualism, he can call himself a catholic-transsexual and claim full right of citizenship in the body of the Catholic Church and claim full legitimacy of all his demands. Because if the enthusiastic singers of the «epochal revolution» had not noticed it, is completely new figure of Catholicism is born: the Catholic atheists. And these atheistic Catholics have a diabolical prerogative: to persecute the faithful believers fiercely.

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Of the Archbishop by Philadelphia we invite you to read the article «Charity, clarity, and their opposite» [article, HERE]

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We will see how this Synod will end, but above all we will see if, as in the previous one, what will be rejected by the Synodal Fathers will then end in the final document, if anything hidden, once again, in some ambiguous expression or footnote, which is equivalent to saying … “I am intelligent, you are stupids!”. But what counts is listening to everyone, giving the impression of being synodal, collegial and above all democratic, just like the Korean dictator Kim Jong, who first calls the puppet Parliament of North Korea, then does exactly what he wants.

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After this Synod, opened with the insertion of the LGBT quatripostatic dogma, not required by anyone in the Instrumentum Laboris, in 2019 the Amazonic Synod, will also open, for to discuss the granting of the priesthood to married men. Attention,  everything only … ad experimentum. Meanwhile, in the Diocese of Rome, even if the fact has not made any news, the general rehearsals are already underway: a few days ago he was appointed “parish priest” of a metropolitan parish — of course: ad experimentum — a permanent deacon, arrived in canonical with his wife and four children. And this family nucleus, from the official page of the Deacons of Rome, which is also a filial of the Neocatechumenal Movement, has been indicated as … «diaconal family» (!?) [Cf. service: HERE]. Having said this, I would like to know: can the members of my family, who have a presbyter in their family, be called the “presbyteral family”? And my mother and my brother can be called “presbyteral mother” and “presbyteral brother”. Obviously extending the title to my “presbyteral sister-in-law” and to my “presbyteral nephew”? And perhaps we want to forget my cat, which would have the title of “presbyteral cat”? Needless to say that the speech would be really long, because those who do not know the story is condemned to repeat it in a pejorative form. It is worth remembering, even if briefly and rapidly, that the diaconate, now called permanent, fell into disuse as an autonomous order and became a step in the process of presbyteral ordination. In fact, in Rome, between the eighth and tenth centuries, the deacons had acquired a pre-eminent role. The deacons were at the head of the main churches and did not even want to be ordained presbyters, because then, from these prestigious churches, they became directly bishops. The permanent diaconate will thus be restored only after a thousand years, by the Second Vatican Council. And note that not all the dioceses of the world have ordained permanent deacons, who are absent, for example, in most African countries, in order not to generate confusion among Catholic populations; and especially where, for anthropological and cultural reasons, the rules relating to the chastity of celibacy by priests are not always applied. In the heart of Europe, in Poland, the first two permanent deacons were ordained only four decades after the Second Vatican Council, in 2009.

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Married priests have always existed in the Eastern Catholic clergy, but they could exercise their ministry only in the dioceses belonging to their rite; a rite regulated, among other things, also by the Code of Canon Law of the Eastern Churches. However, since great general tests are under way, many of these priests and their families have been received in various Italian dioceses, beginning with the Archdiocese of Perugia, whose archbishop is not a bishop among many, but the president of Episcopal Conference of Italy. Faced with this, I limit myself to asking: in the event of disputes involving a married priest, what right will be applied, the Latin or that of the Eastern Churches? Obviously I know well that the canon law has been replaced by pure free will, which then turns into authentic arrogance that comes to life from the lack of any rule, but the rhetorical question sounds good, and even if it is useless, I do the same. Regarding the possible incardination in the dioceses of the Latin rite, as may happen, the incardination of married priests of the Eastern rite, specifically Latinized, since they are useful for the general tests under way, which aim to please the Head and the circle of his most trusted advisors? All this could be explained by His Eminence Cardinal Gualtiero Bassetti, who is metropolitan archbishop of Perugia and president of the Italian bishops, and which houses two married priests in his diocese, to anticipate the decisions of the Synod of the Amazon, which we remember: the decisions have already been taken before the opening of the Synod [service HERE].

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Having said this, a question arises: for the region of the Amazon, an experiment is asked to consecrate priests married men, because there is lack of clergy. In Rome, instead, for to entrust a parish to a permanent deacon, what a dramatic lack of clergy there is? Because looking at the diocesan yearbook we find that the metropolitan parishes are 332. The Roman presbytery has 1,256 presbyteries, to which are added 2,929 presbyters of other dioceses residing in Rome. To these secular priests, 5,317 members of the regular clergy (the presbyters of the various religious orders) and 87 other priests belonging to various personal prelatures are added [Official Yearbook of the Diocese of Rome: HERE]. In Rome there are therefore a total of about 9,580 presbyters, among Roman presbyters, presbyters residing in the diocese and presbyters of various religious families. The Diocese of Rome has about 2,350,000 baptized. If we divide the number of Catholic faithful with the number we will have this result: one priest for every 250 faithful. And all this in a Rome with increasingly empty churches. It is also good to specify that the territory of the Diocese of Rome is limited only to the Capital of Italy, because out of the city, in the Municipality of Rome, arise the suffragan dioceses. Question: was it therefore necessary, as an exotic experiment, to entrust a parish to a permanent deacon in the Mother and Mother Church of all the Catholic Churches? Therefore we note that while the Synod of Youth is being celebrated, the general rehearsals for the Amazon, from which the married priests will have to go out, ad experimentum, are already underway, because everything has already been established. I repeat: only ad experimentum and after convening the Pontifical Parliament of North Korea, where presumably dissidents end up on the heads of missiles fired during military exercises. Things are worse in Rome than in North Korea, never in the history of the Church has mercy made so many victims! A new term has also been born, not easily translatable: “i misericordiati“. And this term “misericordiati” rhymes with “giustiziati“, the sentenceds to death.

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If Cardinal Gerhard L. Müller, in a recent long interview with Raymond Arroyo, has returned to various topics: on the speech of the evil friends who surround the Roman Pontiff, who were sought by him with the lantern of Diogenes; therefore on the argument that His Excellency Monsignor Carlo Maria Viganò, did not say anything other than the truth [cf. HERE, HERE], this happened because the former Prefect of the Congregation for the Doctrine of the Faith is a true man of God. Add to what the Cardinal Gerhard Ludwig Müller, at the anthropological level, contains in himself the strength of the Teutonic barbarian, in the noblest sense of the term. In fact, we remember that when the barbarians descended from northern Europe while the Roman empire was in agony, they found the holders of power, drunk and made up by women, engaged in playing inside the alcoves with young men [cf. my previous article, HERE]. Or, in other words: the Romans, during the decadence of the Empire, lived a LBGT lifestyle that had long absorbed the S.P.Q.R. lifestyle, an acronym that once summarized the concept and foundation of Senatus Populus Quirites Romani and later Senatus PopulusQue Romanus [Senate of the Roman People]. The difference, as I have often emphasized, was that the barbarians, struck by the virile temperament of the great Fathers of the Church, in that climate of total decadence, they were converted, in mass, to Christianity. In today’s Rome, the new barbarians, from whom should they be conquered to Christianity? Perhaps by four homosexuals clinging like polyps to the throne, to which all in all they are very useful, being the most devoted ruffians, the most interested servants, the most efficient spies, as well as easily managed and manipulated by the sovereign, who knows, one after the other , all the rotten corpses that remain locked up in their graves? And their tombs are very different from those of the ancient Pharisees [cf. Mt 23, 27-32], because the tombs of the Pharisees were at least well painted on the outside.

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I am afraid that no one has analyzed the historical relationship that links the psychology of Cardinal Gerhard Ludwig Müller to the history of his native country, which is Germany. Today the situation of the visible Church is comparable to the defeat of Germany in 1945, with Adolf Hitler locked up in the bunker of Berlin, along with the restricted court of his faithful, while faced with the defeat, the German army continued to fight, up to enlist teenagers of sixteen. To deceive the German people, word spread that the Great Secret Weapon would soon be completed and used. In the same way, today, the main propagandists of Pontifical Pravda, not so much defend the indefensible — which can also be understandable and even justifiable on a human and psychological level — but show total insensitivity, while knowing all the details of the lives of many saints priests who have been totally marginalized and ruined, for not having accepted to become accomplices of a diabolical system of corruption, preferring to go to great suffering, without betraying the Church of Christ and coming to terms with evil. And this makes some Italian journalists of Pravda Pontifical, unscrupulous men, real criminals deprived of basic Christian sentiments. So it is good to inform these people that the bridge over the river now overflows with patients spectators who await the passage of their bodies dragged by the current, when with an ease that would scandalize even the lowest level whores, after the next conclave, like chameleons they will change skin color. The is that instead they will not have to change color, they will have to change jobs, because in the face of every sigh, all the writings with which they have sustained the untenable and defended the indefensible, to the detriment of the truth and the innocent affected and injured, will be taken and thrown publicly on their faces. These journalists of Pontifical Pravda have not even hesitated to falsify facts and news. They spread false news and concealed the truth to the detriment of the victims and the suffering of many holy priests. They “licked the ass” of the executioners, showing total indifference towards the victims affected and persecuted within the Church, of whom they knew very well the stories and the great sufferings. And all this, it is not simply inhumane, because it is really satanic. And the devil can never be allowed to enter through the window again, having thrown it out the door; and if by chance the Devil asks for forgiveness by pretending to be repentant, one must absolutely not believe him, because he is the Supreme Prince of Lies and deception.

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After Adolf Hitler’s death, Germany was hit by a wave of suicides; whole families committed suicide. The most common phrase that ran between the good Germans  which we remember were many — was: «I’m ashamed to be German». I have already heard this kind of phrase in private from bishops and presbyters many times: «Faced with this situation, I am ashamed to belong to this Church», implying that this shame is entirely linked to the ecclesial and ecclesiastical structure of this visible Church, certainly not to the mystery of the Church, which is the mystical Body of Christ.

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As we know, from the Berlin bunker, we then moved on to the Nuremberg trial, where the main Nazi leaders were judged and condemned on the charred body of the Führer, but above all on the ruins of Germany. And many of the Nazi leaders were sentenced to death in that trial. Seventy-three years after the last great world war, the New Church of Mercy has removed the more remote and exceptional hypothesis of the death penalty from the Catechism. Therefore, if tomorrow something similar to the Nuremberg trial were to happen, we will be “merciful” to those responsible for the death of millions and millions of people, and we will entrust them to social services [cf. our previous articles: HERE, HERE, HERE].

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The Nuremberg trial is about to be repeated in the Church. Tomorrow, sooner or later, on the disastrous ruins of destruction, while bishops and priests will tell the world «I am ashamed to belong to this Church», we will see before the judges an army of cardinals and bishops who will try to justify themselves by saying: «I only obeyed higher orders!». While the journalists of the former Pontifical Pravda, who can no longer recycle themselves, will say on their side: «We have only written what we have been ordered to write!». Then the judges will ask: «Your Excellency … Your Eminence … Monsignor … but you realize that your obedience to the higher orders has covered the perpetrators of serious crimes and has seriously affected the innocent, subjected to every kind of suffering and anguish?» At that point the answer will be: «But I was bound by the pontifical secret!».

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The death of Christ the Lord, in its substance, is renewed, and over time it is proposed in different ways. Not by chance, his glorious body, after the resurrection, still lives with the signs of passion. So today Christ died again on the cross because bishops and cardinals have «obeyed the higher orders», and when in the day of their judgment, God will ask them: «why did not you act in defense of the Church and of the People of God?». They will answer: «But I was bound by pontifical secrecy!».

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It’s just a matter of little time. We let this monster give the last dangerous and deadly blows, because soon we will be in the great hall of Nuremberg, to listen to those directly responsible for the Holocaust of the Catholic Church that they say«I have only obeyed the higher orders!». And we, precisely because of profound and authentic mercy, will guarantee them the expiatory grace of the gallows. Because we who today are suffering, anguished and persecuted in our home, we are the salvation and the future of the Church of Christ, of the pilgrim Church on earth. And no one will ever prevent us from fulfilling our mission for Christ, with Christ and in Christ. Because the church is of Christ, it is not of Peter, who is the Vicar of Christ, not his Successor. And the power given to Peter is not at all total and absolute as some would have us believe, indeed: it is a very vincolated power. The power of Peter is strictly vincolated to the deposit of the Catholic faith, of Tradition and of doctrine. Peter is not the absolute master of the Church, on the contrary: he is his first and faithful servant, called to guard the truth and to confirm his brothers in faith [cf. Lk 22, 31-34]. Peter’s mission, is not to convene the “democratic” Parliament of North Korea. Peter’s mission is not to confuse the People of God, using ambiguous and unclear words, because Christ teaches us: «But let your statement be, “Yes, yes” or “No, no”; anything beyond these is of Evil» [cf. Mt 5, 37].

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In the Holy Gospels, everything is very clear, no any “sly” has ever inserted ambiguous small footnotes. Having said this, it is still necessary to clarify: it is true, no priest, bishop or cardinal is obliged to be a hero. But for a priest, a bishop or a cardinal, it is certainly not a great human and Christian honor to be a rabbit who, opposite the judgment of history, replies: «I only obeyed the higher orders».

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Rome, 7 October 2018

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I apologize to the Readers if there were errors in my English translation.

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Il Sinodo dei giovani. La Chiesa, dopo la Shoah del mondo cattolico, sarà giudicata al nuovo Processo di Norimberga, dove i cardinali ed i vescovi risponderanno: « Ma io ho solo obbedito a degli ordini superiori ! »

— attualità ecclesiale —

IL SINODO DEI GIOVANI. LA CHIESA, DOPO LA SHOAH DEL MONDO CATTOLICO, SARÀ GIUDICATA AL NUOVO PROCESSO DI NORIMBERGA, DOVE I CARDINALI ED I VESCOVI RISPONDERANNO AI GIUDICI: «MA IO HO SOLO OBBEDITO A DEGLI ORDINI SUPERIORI !»

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Nel momento storico-ecclesiale più inappropriato è stato indetto un Sinodo dei giovani mentre la Chiesa visibile, dopo la Shoah del Cattolicesimo, si accinge a finire su banco degli imputati al processo di Norimberga, che su di lei emanerà una sentenza che rimarrà scritta nella storia. Nel corso di questo processo saranno giudicati uno appresso all’altro tutti coloro che sul banco degli imputati hanno portato la Chiesa visibile sotto gli occhi del mondo, dopo la perpetrazione di gravi crimini consumati in danno della Chiesa Corpo Mistico di Cristo [cf. Col 1, 12-20]. E come accaduto settant’anni fa, noi sentiremo cardinali e vescovi rispondere: «Ho solo ubbidito a degli ordini superiori!»

.Versione inglese – English version

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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PDF  articolo formato stampa
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Senza fare processo alcuno alle intenzioni, la sensazione che si ha è che i sinodi rischiano di essere impostati come lo era l’Assemblea dei Deputati del Popolo dell’Unione Sovietica, o come adesso lo è il Parlamento della Corea del Nord. Ammettiamo che all’interno dei sinodi si possa anche discutere, com’è avvenuto nel corso del Sinodo sulla famiglia. Certo, che si discute, i sinodi servono apposta per questo. A cosa servono però le discussioni, quando poi nel documento finale si è visto approvare ciò che i Padri Sinodali avevano respinto in modo anche deciso ed a grande maggioranza? Se infatti la Corte dei Miracoli, come la chiamo io, oppure il Cerchio Magico, come invece lo chiama il Cardinale Gerhard Ludwig Müller, ha già un’agenda pronta con tutta una serie di questioni già stabilite, ma soprattutto di fatto già approvare, perché convocare dei sinodi? Forse per dare la parvenza di collegialità allo stesso modo in cui il giovane dittatore della Corea del Nord, Kim Jong, vuol dare una parvenza di democrazia parlamentare? E che fine hanno fatto i dissidenti coreani, sono forse finiti legati sulle testate dei missili poi lanciati appresso per le prove sperimentali?

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Veniamo all’agenda della Corte dei Miracoli o Cerchio Magico : il Sinodo dei giovani dovrà servire, come già ampiamente dimostrato, a sdoganare la lobby LBGT. E benché i rappresentanti dei giovani non abbiano mai usato né fatto riferimento a questo acronimo nei loro documenti programmatici, vi ha però provveduto il Cardinale Lorenzo Baldisserri, non omettendo di esprimersi in modo impreciso e contraddittorio, che sotto certi aspetti pare equivalga a mentire [si rimanda alla cronaca, QUI].

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La menzione dell’acronimo LGBT, che come sappiamo indica lesbiche, gay, bisessuali e transessuali, è anzitutto una questione di forma e di diritto, che successivamente avrà poi implicazioni non indifferenti sul piano della dottrina e del magistero. Cerchiamo di capire: se nell’opera Gai Institutionum Commentarii — che per inciso non ha niente a che vedere con i gay, bensì col celebre giurista Gaio che compilò i propri commentarî nel 180 circa d.C. — fosse stato inserito il problema dei coito orale secondo la giurisprudenza del tardo principato Augusteo, risalente all’anno 30 circa a.C, è presto detto che questa amena pratica erotica avrebbe avuto anzitutto rango e dignità giuridica nel sistema del diritto romano. Mentre invece, il problema del coito orale, non esiste di diritto e di fatto nella giurisprudenza; dubito altresì vi si possa giungere, anche applicando nella forma più estensiva altre leggi. E non esiste perché, sempre di diritto e di fatto, non esiste appunto l’istituto giuridico del coito orale. La giurisprudenza non può infatti trattare né regolamentare ciò che per la Legge non esiste. Ecco perché in qualsiasi genere di sistema giuridico, sia in quelli di impianto romano sia in quelli fondati sulla common law, l’uso di parole e di termini è sempre molto delicato, perché la Legge, molto prima di punire — la punizione è infatti solo l’atto finale estremo conclusivo —, mira a riconoscere, stabilire, quindi a regolamentare.

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A questo si aggiunga, sempre a titolo di esempio, un fatto che pochi all’interno della odierna Chiesa visibile possono smentire: in molti istituti teologici cattolici, trattando per esempio della Santissima Eucaristia, sono sempre più usate teologie e terminologie tratte dal lessico luterano, a partire da consustanziazione. Se in certe università pontificie romane uno osa fare riferimento alla scolastica ed al tomismo, quindi al termine di transustanziazione, corre il rischio di essere sbeffeggiato o indicato come pre-conciliare (!?). E, gli sbeffeggiatori, prerogativa dei quali è la più crassa ignoranza, seguiteranno a ignorare che uno dei due Sommi Pontefici del Concilio Vaticano II, proprio colui che lo ha gestito, portato avanti e poi chiuso, il Beato Pontefice Paolo VI, che a giorni sarà anche canonizzato, ha definito come opportuno e non sostituibile questo termine teologico [Enciclica Mysterium Fidei, n. 47, testo QUI]. E da ciò dobbiamo forse dedurre che il Beato Pontefice Paolo VI era nei concreti fatti un pre-conciliare? Come però ho scritto più volte, nella Chiesa visibile odierna si firmano con una mano i decreti di beatificazione e canonizzazione dei Romani Pontefici, con l’altra mano si firmano invece documenti che colpiscono, od in alcuni casi azzerano, il loro sommo magistero.

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Il fatto che oggi si viva in una Chiesa visibile nella quale si può definire come scolastico-archeologico il termine di transustanziazione, quindi rigettarlo o contestarlo nelle aule delle università pontificie, ma al tempo stesso si inseriscano però nel lessico ecclesiastico termini come LBGT, con il rischio che questo acronimo luciferino entri poi nel vocabolario del Magistero della Chiesa, può non toccare e non sconcertare solo il Cardinale Lorenzo Baldisseri, con appresso tutto il corifeo dei giornalisti della Pravda Pontificia per i quali mai, come «nei tempi di questa epocale rivoluzione», le cose erano andate così bene. E che le cose, in piena Rivoluzione Russa Pontificia vadano bene come mai prima erano andate, lo provano le chiese sempre più vuote, i fedeli smarriti e delusi, il clero allo sbando, la caduta delle vocazioni, gli abbandoni del sacerdozio mai numerosi come nel corso degli ultimi cinque anni, ma sui quali tace però a livello statistico la Congregazione per il Clero, presieduta da un altro amico della Corte dei Miracoli, o Cerchio Magico.

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S.E. Mons. Charles Joseph Chaput, Arcivescovo Metropolita di Philadelphia

Così, tra L’Assemblea dei Deputati del Popolo della Pontificia Unione Sovietica si è levata, grazie a Dio, la voce di S.E. Mons. Charles Chaput, Arcivescovo Metropolita di Philadelphia, che ha richiamato all’uso delle corrette parole [cf. cronaca QUI, QUI], perché sul piano della dottrina cattolica, alle parole è poi legata la sostanza: le parole ed i segni esterni servono per esprimere la sostanza. Cosa questa che dovrebbe essere nota a chiunque abbia studiato, anche in modo non approfondito, i primi grandi concili dogmatici della Chiesa, nei quali per definire anzitutto la natura di Cristo Dio si fece ricorso a precisi termini modulati dal lessico filosofico greco, come il concetto di ὑπόστασις [ipostasi, o natura ipostatica].

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Dell’Arcivescovo di Philadelphia invitiamo a leggere il suo articolo: «Carità, chiarezza ed il loro contrario» [articolo QUI].

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Qualcuno, per definire oggi — quindi sdoganare — le varie forme di esercizio delle sessualità umana, posto che Dio «maschio e femmina li creò» [Gen 1, 26-27], vuole forse inserire nel lessico ecclesiale termini come LGBT, dando semmai vita ad una nuova natura umana quatripostatica, vale a dire la natura lesbica, gay, bisessuale e transessuale?

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Il Sinodo sulla famiglia ha lasciato una Chiesa divisa e disorientata, oltre a diversi morti per infarti repentini tra i filari della Vigna del Signore. E dopo che si è tentato di sdoganare l’adulterio, è seguito il Sinodo dei giovani nel quale pare si stia da sùbito tentando di sdoganare le varie pratiche di espressione sessuale, senza porsi il problema — come lamenta santamente l’Arcivescovo Charles Chaput — che i cattolici LGBT non possono esistere, meno che mai la Chiesa può legittimarne l’esistenza. O, detta con un altro esempio, tutt’altro che paradossale: può un soggetto definirsi cattolico-ateo e rivendicare in quanto tale, ossia come ateo, la sua piena appartenenza al Cattolicesimo? Sì, può farlo esattamente nella stessa misura in cui, un transessuale orgoglioso del proprio transessualismo, può definirsi un cattolico-transessuale e pretendere pieno diritto di cittadinanza nel Corpo della Chiesa Cattolica ed esigere la piena legittimazione di tutte le sue istanze. Perché, qualora i laudatori della Rivoluzione Russa Pontificia non se ne fossero accorti, in forme diverse, proprio a questo stiamo andando incontro, ad una figura del tutto nuova di Cattolicesimo e di Cattolici: il Cattolicesimo dei Cattolici atei, muniti sia come ecclesiastici sia come laici, dell’esercizio di una diabolica prerogativa, che è quella di angariare e di perseguitare i credenti.

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Vedremo come andrà a finire anche questo Sinodo, ma soprattutto vedremo se, come nel precedente, quello che sarà rigettato dai Padri Sinodali finirà nel documento finale, nascosto semmai, anche questa volta, in qualche espressione ambigua o in qualche nota marginale messa a fondo di pagina, della serie … “io furbo, voi scemi!”. Però, quel che solo importa, è di ascoltare tutti, dando così l’impressione di essere sinodali, collegiali e soprattutto democratici, proprio come lo è il dittatore coreano Kim Jong, che prima convoca il parlamento fantoccio della Corea del Nord, poi fa rigorosamente quel che gli pare.

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Terminato questo Sinodo che si è aperto con l’inserimento dell’acronimo dogmatico quatripostatico LBGT, non richiesto da nessuno nello instrumentum laboris, poco dopo se ne aprirà un altro, il Sinodo Pan Amazzonico, nel quale è da tempo in agenda lo sdoganamento del sacerdozio conferito agli uomini sposati. Ma si presti attenzione, il tutto solo … ad experimentum. Intanto, nella Diocesi di Roma, sebbene il fatto non abbia richiamata attenzione e prodotta notizia, sono già in corso le prove generali, se consideriamo che pochi giorni fa è stato nominato “parroco” di una parrocchia metropolitana — beninteso sia: ad experimentum un diacono permanente, giunto in canonica con moglie e quattro figli. E questo nucleo familiare, dalla pagina ufficiale dei Diaconi di Roma, che peraltro sono una vera e propria succursale del Movimento Neocatecumenale, è stato indicato come … «famiglia diaconale» (!?) [cf. servizio QUI]. Detto questo vorrei sapere: i membri della mia famiglia, avendo un loro congiunto presbìtero, possono essere indicati come “famiglia presbiteràle”? E mia madre e mio fratello, possono essere indicati come “madre presbiteràle” e come “fratello presbiteràle”, ovviamente estendendo il titolo alla mia “cognata presbiteràle” ed al mio “nipote presbiteràle”? E vogliamo forse dimenticare la mia “gatta presbiteràle”? Inutile dire che il discorso sarebbe davvero lungo, dato però che quanti non conoscono la storia sono condannati a ripeterla in forma peggiorativa, val la pena ricordare, seppure sommariamente e velocemente, che quel diaconato detto oggi permanente, cadde in disuso come ordine e divenne solo una tappa di passaggio per l’ordinazione presbiteràle, dopo che proprio a Roma, tra i secoli VIII e X, i diaconi avevano acquisito un ruolo preminente. I diaconi erano ormai a capo delle principali chiese e non volevano essere neppure ordinati presbìteri, perché poi, da queste prestigiose chiese, accedevano direttamente all’episcopato. Il diaconato permanente sarà così ripristinato solo dopo mille anni, dal Concilio Vaticano II. E si noti che non in tutte le diocesi del mondo i vescovi hanno ordinato dei diaconi permanenti, che sono assenti, per esempio, in gran parte dei Paesi africani, per non ingenerare nelle popolazioni cattoliche confusione; ed in specie laddove, per motivi antropologici e culturali, le regole legate alla castità del celibato da parte dei presbiteri non sempre sono applicate. Nel cuore stesso dell’Europa, in Polonia, i primi due diaconi permanenti sono stati ordinati solo quattro decenni dopo il Concilio Vaticano II, nel 2009.

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Nel clero cattolico di rito orientale sono sempre esistiti i preti sposati, ma il loro ministero potevano esercitarlo solo nelle diocesi appartenenti al loro rito; un rito regolamentato, tra l’altro, anche dall’apposito Codice di Diritto Canonico delle Chiese Orientali. Siccome però sono in corso le grandi prove generali, ecco che diversi di questi preti e loro famiglie sono stati accolti in diverse nostre diocesi italiane, a partire dall’Arcidiocesi di Perugia, di cui è Arcivescovo Metropolita non un vescovo tra i tanti, ma il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana. Soprassiedo su due diversi fatti di ordine giuridico e mi limito a domandare: in caso di eventuali controversie che coinvolgano un prete sposato, quale diritto sarà applicato, quello latino o quello delle Chiese Orientali? Ovviamente lo so bene, che il Diritto Canonico è stato da tempo sostituito dal più selvaggio libero arbitrio che poi si muta in quella vera e propria prepotenza che prende vita dalla mancanza di qualsiasi regola, però la domanda retorica suona bene, ed anche se inutile la rivolgo ugualmente. Per quanto poi riguarda la eventuale incardinazione nelle diocesi di rito latino, come può avvenire l’incardinazione di preti sposati di rito orientale appositamente latinizzati per le prove generali in corso, scopo delle quali è quello di compiacere il Capo del Soviet Pontificio e la cerchia dei suoi più fidati Consiglieri? Ecco, questo potrebbe spiegarcelo il Cardinale Gualtiero Bassetti in persona, che è Arcivescovo Metropolita di Perugia e Presidente dei Vescovi Italiani e che ospita nella sua diocesi due preti sposati, per anticipare così le decisioni del Sinodo dell’Amazzonia, che ricordiamo: sono già state prese prima della sua apertura [intervista, QUI].

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Detto questo sorge una domanda: in Amazzonia, si chiedono ad experimentum i preti sposati, perché la carenza di clero è molto elevata. A Roma, invece, per affidare una parrocchia ad un diacono permanente, quale drammatica carenza di clero c’è? Perché dando uno sguardo all’annuario diocesano scopriamo che le parrocchie metropolitane sono 332. Il presbitèrio romano conta 1.256 presbìteri, ai quali si aggiungono 2.929 presbìteri di altre diocesi residenti a Roma. A questi presbìteri secolari si aggiungono poi 5.317 membri del clero regolare, che sono i presbìteri religiosi, ed altri 87 presbìteri appartenenti a varie prelature personali [vedere annuario, QUI].  A Roma risiedono quindi un totale di circa 9.580 presbìteri tra presbìteri romani, presbìteri residenti in diocesi e presbìteri delle varie famiglie religiose. La Diocesi di Roma conta circa 2.350.000 battezzati, che divisi tra il numero di presbiteri che vivono nel territorio canonico diocesano, danno come statistica quella di un sacerdote ogni 250 fedeli circa, il tutto in una Roma con le chiese sempre più vuote.  È bene poi precisare che il territorio della Diocesi di Roma, è limitato solo alla Capitale d’Italia, perché fuori città, nel Comune di Roma, sorgono le varie diocesi suburbicarie. Domanda: era quindi necessario, ad esotico experimentum, affidare una parrocchia a un diacono permanente nella Chiesa Madre e Madre di tutte le Chiese della Orbe Catholica? Prendiamo quindi atto che mentre si celebra il Sinodo dei giovani, sono già in corso le prove generali per quello amazzonico che ci donerà i preti sposati, è già stato stabilito. Ribadisco, il tutto solo ad experimentum e previa convocazione del Pontificio Parlamento della Corea del Nord, dove i dissidenti finiscono presumibilmente legati sulle testate dei missili sparati durante le esercitazioni, ma non illudetevi, perché nella Roma della misericordia, ai misericordiati, accade anche parecchio di peggio.

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Se il Cardinale Gerhard Müller, in una lunga intervista rilasciata a Raymond Arroyo — che merita essere ascoltata da tutti coloro che comprendono l’inglese —, è tornato su vari argomenti. Sull’argomento dai cattivi amici che circondano il Romano Pontefice, il quale se li è cercati con la lanterna di Diogene; sull’argomento che S.E. Mons. Carlo Maria Viganò ha detto null’altro che la verità [cf. QUI, QUI], ciò è avvenuto perché l’ex Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede è un autentico uomo di Dio. A questo si aggiunga che il Cardinale Gerhard Ludwig Müller, a livello antropologico, racchiude in sé la forza del barbaro teutonico, nel senso bellico più nobile del termine. Ricordiamo infatti che quando i barbari discesero dal Nord dell’Europa mentre l’Impero Romano era agonizzante, trovarono i detentori del potere ubriachi e truccati da donne impegnati a giocare nelle alcove con i giovanotti [cf. mio precedente articolo, QUI]. O, detta in altri termini: i romani erano presi a vivere lo stile di vita LBGT che aveva ormai da tempo assorbito lo stile di vita S.P.Q.R, acronimo che anticamente riassumeva il concetto e fondamento di Senatus Populus Quirites Romani, ed in seguito Senatus PopulusQue Romanus. La differenza, come varie volte ho ricordato, fu che i barbari, colpiti dalla virile tempra dei grandi Padri della Chiesa, in quel clima di totale decadenza si convertirono in massa al Cristianesimo. Nella Roma di oggi, da chi dovrebbero essere conquistati i nuovi barbari, forse da quattro finocchi impazziti avvinghiati come polipi al trono, al quale tutto sommato sono di grandissima utilità, essendo costoro i più devoti ruffiani, i servitori più interessati, i delatori e le spie più efficienti, nonché facilmente gestibili e manipolabili dal sovrano, che conosce a uno a uno tutti i cadaveri in putrefazione che essi tengono chiusi dentro i loro sepolcri, neppure bene imbiancati, come invece lo erano i sepolcri richiamati nei Santi Vangeli? [cf. Mt 23, 27-32].

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Temo che nessuno abbia poi analizzato il rapporto storico che lega la psicologia del Cardinale Gerhard Ludwig Müller alla storia del suo Paese natio, che è la Germania. Se ci pensiamo bene, oggi la situazione della Chiesa visibile è paragonabile alla disfatta della Germania nel 1945, con Adolf Hitler rinchiuso nel bunker di Berlino con la ristretta corte dei suoi fedelissimi, mentre dinanzi alla sconfitta si seguitava a combattere, sino ad arruolare adolescenti di sedici anni. Al tempo stesso si seguitava ad illudere il Popolo che a breve sarebbe stata completata e usata la Grande Arma Segreta. Esattamente come oggi tentano di fare dinanzi alla disfatta i giornalisti mainstream della Pravda Pontificia, non tanto difendendo l’indifendibile, che può essere anche comprensibile e persino giustificabile sul piano umano e psicologico, ma negando, pur sapendolo bene e pur conoscendone persino tutti i dettagli, quante vite di buoni e santi sacerdoti sono state rovinate per non essersi costoro piegati alla complicità con il male. E questo rende certi giornalisti mainstream della Pravda Pontificia degli autentici criminali senza scrupoli umani, oltre che privi dei basilari sentimenti cristiani. Sappiano comunque, costoro, che il ponte sul fiume trabocca ormai di pazienti spettatori che attendono il passaggio dei loro corpi trascinati dalla corrente, quando con una disinvoltura che scandalizzerebbe persino le mignotte di più basso livello, dopo il prossimo conclave tenteranno immediatamente di riciclarsi e di cambiare colore come i camaleonti, ma soprattutto come se nulla fosse stato. Se ne facciano però una ragione sin da adesso: non dovranno cambiare colore di pelle, ma dovranno proprio cambiare mestiere, perché ad ogni loro minimo sospiro, gli saranno sbattuti pubblicamente sulla faccia tutti gli scritti con i quali hanno sostenuto l’insostenibile e difeso l’indifendibile. Non hanno neppure esitato a falsare fatti e notizie, con una terribile aggravante sulla quale nessuna coscienza cattolica potrà mai soprassedere: il tutto, lo hanno fatto e portato avanti a danno delle vittime e dei sofferenti, verso i quali hanno mostrato una indifferenza che non è semplicemente disumana, perché è proprio satanica. Ma quel che è peggio è che hanno leccato il culo dei carnefici, mostrando totale indifferenza verso le vittime colpite e perseguitate all’interno della Chiesa, di cui conoscevano molto bene, ed anche in tutti i minimi particolari, sia le storie sia le grandi sofferenze. E al Demonio non si permette mai di rientrare dalla finestra sotto mentite spoglie, dopo averlo cacciato fuori dalla porta; e se per caso egli chiede perdono fingendo di essere pentito, non bisogna assolutamente credergli, perché è il Supremo Prìncipe della menzogna e dell’inganno.

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Dopo la morte di Adolf Hitler, la Germania fu percorsa da un’ondata di suicidi; famiglie intere, si suicidarono. La frase più ricorrente che correva tra i buoni tedeschi — che ricordiamo erano molti — suonava più o meno così: «Mi vergogno di essere tedesco». Frase che ho già udito più volte in privato da vescovi e presbìteri: «Dinanzi a questa situazione c’è da vergognarsi ad appartenere a questa Chiesa», sottintendendo con questa espressione che la vergogna è tutta legata alla struttura ecclesiale ed ecclesiastica di questa povera Chiesa visibile, non certo al mistero della Chiesa Corpo Mistico di Cristo.

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Come sappiamo, dal bunker di Berlino si è poi passati al Processo di Norimberga, dove sul cadavere carbonizzato di colui che fu il führer, ma soprattutto sulle rovine della Germania, furono giudicati e condannati i principali capi nazisti, molti dei quali condannati poi a morte, non vigendo all’epoca la Nuova Chiesa della Misericordia che settantatré anni dopo toglierà dal Catechismo anche l’ipotesi più remota ed eccezionale della pena di morte. Pertanto, se domani dovesse ripetersi qualche cosa di simile, misericordieremo i responsabili-simbolo della morte di milioni e milioni di persone e li affideremo ai servizi sociali [cf. nostri precedenti articoli QUI, QUI, QUI].

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Nella Chiesa sta per ripetersi il Processo di Norimberga. Domani, presto o tardi, sulle disastrose macerie della distruzione, mentre vescovi e preti diranno dinanzi al mondo «mi vergogno di appartenere a questa Chiesa», vedremo sfilare dinanzi ai giudici un esercito di cardinali e di vescovi che tenteranno di giustificarsi dicendo: «Ho solo ubbidito a degli ordini superiori!». Con i giornalisti della ex Pravda Pontificia che, non potendosi più riciclare, affermeranno da parte loro: «Noi abbiamo solo scritto quel che ci è stato ordinato di scrivere!». Alla domanda dei giudici: «Eccellenza … Eminenza … Monsignore … ma lei si rende conto che ubbidendo ad “ordini superiori” ha coperto i colpevoli di gravi crimini ed ha duramente colpito degli innocenti, che erano sottoposti ad ogni genere di sofferenza ed angheria sotto i vostri occhi impotenti?». E quando nel giorno del loro giudizio, Dio domanderà «Perché non hai difeso la Chiesa e il Popolo di Dio che io ti ho affidato», essi risponderanno: «Ma io ero vincolato dal segreto pontificio!».

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La morte di Cristo Signore si rinnova e nel tempo si ripropone in modi diversi, ma rinnovando nella sostanza il suo sacrificio; non a caso, il suo Corpo Glorioso, dopo la risurrezione vive portando tutt’oggi impressi i segni della passione. Pertanto oggi, Cristo Signore, è morto in croce perché vescovi e cardinali hanno «ubbidito a ordini superiori» e nel farlo erano per di più «vincolati al segreto pontificio».

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È solo questione di poco tempo, lasciamo che questo mostro dia gli ultimi pericolosi e mortiferi colpi di coda, perché a breve saremo nella grande aula di Norimberga, per sentir ripetere dai diretti responsabili della Shoah della Chiesa Cattolica: «Ho solo ubbidito a degli ordini superiori!». E noi, con buona pace del misericordismo, proprio per profonda e autentica misericordia, concederemo loro la grazia espiatoria del patibolo. Perché loro sono la morte, noi che oggi siamo sofferenti, angariati e perseguitati in casa nostra, siamo invece la salvezza ed il futuro della Chiesa di Cristo pellegrina sulla terra. E nessuno, ci impedirà mai di compiere la nostra missione Per Cristo, con Cristo e in Cristo. Perché la Chiesa è di Cristo, non è proprietà privata di Pietro, che di Cristo è il Vicario, non il Successore, meno che mai il correttore della sua parola. E il potere dato a Pietro non è affatto totale e assoluto come alcuni vorrebbero far credere, anzi: è un potere molto vincolato. Il potere di Pietro è strettamente vincolato al deposito della fede cattolica, della Tradizione e della dottrina. Pietro non è il padrone assoluto della Chiesa, al contrario: è il suo primo e fedele servitore, chiamato a custodire la verità ed a confermare i suoi fratelli nella fede [cf. Lc 22, 31-34]. La missione di Pietro, non è quella di convocare il Parlamento “democratico” della Corea del Nord. La missione di Pietro non è di confondere il Popolo di Dio, usando parole ambigue e poco chiare, perché Cristo ci insegna: « Sia invece il vostro parlare “sì, sì; no, no”; il di più viene dal maligno» [cf. Mt 5, 37].

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Insomma: nei Santi Vangeli, tutto è molto chiaro e nessun “furbo”, in duemila anni di storia, ha mai inserito piccole note ambigue a piè di pagina. Detto questo, è infine necessario chiarire: è vero, nessun presbìtero, vescovo o cardinale è obbligato a essere un eroe. Ma per un presbìtero, un vescovo o un cardinale, non è certo un grande onore umano e cristiano essere un coniglio che di fronte al giudizio della storia, risponde: « Ma io ho solo obbedito agli ordini superiori ! ».

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dall’Isola di Patmos, 7 ottobre 2018

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