Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

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Padre Giovanni

La filosofia di Martin Heidegger e il Nazismo

— Theologica —

LA FILOSOFIA DI MARTIN HEIDEGGER E IL NAZISMO

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Nel 1933, l’anno stesso dell’ascesa al potere di Hitler, Martin Heidegger divenne rettore dell’Università di Friburgo ed assunse il ruolo di filosofo ufficiale e più autorevole del Partito Nazional Socialista, la cui tessera egli conservò senz’alcun pentimento fino al 1945, anche se già nel 1934 egli dette le dimissioni, non però per un recesso dalla dottrina nazista, ma perché a suo dire, il Nazismo, nei fatti era venuto meno alla sua essenza e per aver rinunciato al suo radicalismo «spirituale». 

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Autore
Giovanni Cavalcoli, O.P.

Accingendomi a trattare questo delicato argomento filosofico-teologico per la nostra pagina di Theologica, hanno risuonato spesso nella mia mente le parole del compianto Cardinale Giacomo Biffi, che per anni fu mio Vescovo quando vivevo a Bologna e svolgevo il mio ministero presso lo Studio Teologico Domenicano:

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«Noi ci imbattiamo spesso in profeti del nulla, che non hanno niente da dire all’uomo come uomo,  ma lo dicono con grande impegno e dovizia di mezzi, annunciatori aggressivi del vuoto esistenziale,  che essi cercano di mimetizzare con lo scintillio di una razionalità puramente formale,  portatori di una cultura di morte, che tentano di imporsi come maestri di vita» [Esplorando il disegno, LDC 1994, p. 308].

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Delle parole accompagnate dal monito contenuto nel Libro della Sapienza:

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Gli empi invocano su di sé la morte con gesti e con parole; ritenendola amica,  si consumano per essa e con essa concludono alleanza, perché son degni di appartenerle [1,16].

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Nell’ampio dibattito internazionale su Martin Heidegger [1889–1976] in corso da settant’anni a questa parte non si è indagato e riflettuto finora abbastanza sul legame di questo filosofo col nazismo. Legame al quale Heidegger, da rettore dell’Università di Friburgo, dette molta importanza sul piano teoretico, parlando di un «nazionalsocialismo spirituale» ed elogiando Adolf Hitler come «guida del pensiero».

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Questo accostamento ci aiuta a capire da una parte quali sono state le radici intellettuali e gli impulsi fondamentali del nazismo, dall’altra, ci fa comprendere meglio le conseguenze pratiche della metafisica di Heidegger. In particolare, considerando quali sono le conseguenze pratiche della metafisica di Heidegger, comprenderemo perché Heidegger ha avuto ammirazione per la dottrina nazista.

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Bisognerà allora brevemente ricordare i princìpi dell’ontologia esistenziale heideggeriana, mettendoli a confronto con la dottrina e il programma nazisti, che Hitler riassume nella sua famosa opera Mein Kampf, la quale peraltro, al di là del programma storico-politico-nazionale di orientamento socialista-statalista, ha alle spalle un retroterra morale e spirituale profondi, radicati nella tradizionale fiera autocoscienza che la «nobiltà cristiana di nazione tedesca» aveva maturato ormai da secoli,  soprattutto a partire dalla formidabile spinta datale da Lutero, il quale ebbe la geniale ma diabolica idea, foriera di enorme successo tra i Tedeschi, che dura tuttora, di concepire un modo tedesco di essere cristiano ― fin qui nulla di male ―, ma da questo si sviluppò il veleno del conflitto con la Sede Apostolica Romana, nella convinzione ostinatissima di aver ritrovato o trovato l’autentico Vangelo ― in pratica una riedizione dell’eresia di Marcione ― proponendosi ed imponendosi come profeta, dottore e riformatore cristiano del popolo tedesco, che egli seppe però conquistare solo in parte, perché sempre, fino ad oggi, è rimasta una parte cattolica della popolazione che ha mantenuto, spesso tra sofferenze ed umiliazioni, la fedeltà a Roma ed alla precedente tradizione cattolica, spesso accusata ingiustamente dai protestanti di scarso spirito patriottico, mentre in realtà sono proprio i cattolici tedeschi a mantenere alto nei secoli l’onore cristiano di questa grande e nobile Nazione.

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Un’umiliazione del genere la subirono i cattolici tedeschi in occasione dell’ascesa di Hitler al potere. Infatti, mentre i cattolici, per la loro fedeltà a Roma, vennero accusati di anti-patriottismo, i protestanti educati da Hegel, sulla scorta di Lutero, spinti a considerare lo Stato come suprema manifestazione della volontà di Dio, non ebbero difficoltà a prestare al Führer un’obbedienza assoluta, la quale, come sappiamo, giunse, per molti di loro, a seguirlo in una spaventosa guerra di aggressione all’Europa, accompagnata dallo sterminio dei tedeschi di religione israelitica. Per questo si può dire con certezza che la dottrina hegeliana dello Stato è una delle basi teoriche del nazismo.

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IL NICHILISMO COME ANIMA DEL NAZISMO

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La tendenza nichilista è di antica origine manicheo-zoroastriana, ed è legata alla concezione ciclica dell’esistenza, presente nel mondo pagano, sia occidentale che orientale, per esempio in India, con l’antichissimo simbolo della svastica. Il ritorno al punto di partenza annulla tutto il moto intermedio, anche se è vero che nell’antichità, per esempio in Platone e nello Pseudo-Dionigi, il cerchio è il simbolo della perfezione dello spirito, che riflette su se stesso.

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Non si può escludere peraltro che la coincidenza del punto di arrivo col punto di partenza possa essere intesa come la corrispondenza della causa efficiente con la causa finale, il che sarebbe segno di saggezza. Ma purtroppo di fatto la svastica è stata assunta dai nazisti per significare l’eterna opposizione vita-morte, che è un principio anche della massoneria esoterica [kein Leben ohne Tod, kein Tod ohne Leben].

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Anche le antiche concezioni dualiste e gnostiche della realtà hanno un aspetto nichilistico, in quanto considerano la materia come non-essere e come male. Da questo punto di vista, Pitagora e Platone non sono esenti da una sfumatura nichilistica.

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Il nichilismo come negazione di Dio, entra nel cristianesimo con Marcione, col suo disprezzo per il Dio dell’Antico Testamento e nel corso della storia del cristianesimo ogni tanto ricompare, come per esempio con i catari del XIII secolo. Il pessimismo luterano nei confronti della ragione e del libero arbitrio ha certamente un carattere nichilistico.

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L’idealismo tedesco, che riduce l’essere al pensare e l’oggetto al soggetto, ha certamente un aspetto nichilistico, in quanto nega la realtà esterna o la dissolve nell’idea, per concludere alla fine con l’ateismo, dimenticando il fatto che è partendo dalle cose che noi sappiamo che Dio esiste. Ma se l’essere si riduce alle idee del soggetto, è chiaro che il soggetto non arriva a Dio, ma semmai si chiude nel proprio mondo, fa Dio di se stesso e resta con un pugno di mosche in mano. È la misera storia di Nietzsche.

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La cosa interessante è che la storia del nichilismo va di pari passo con l’odio per gli Ebrei, a causa della valorizzazione biblica dell’essere creato ed increato. Infatti si nota che ogni nichilista è sempre un antisemita, ed è logico, perché nessun popolo, come quello degli antichi israeliti, ha il senso della realtà, sia essa quella materiale creata, sia essa quella spirituale divina.

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Per definire il nichilismo nietzschiano-nazista collochiamolo nel quadro più ampio e opportuno del nichilismo in generale. Il nichilismo, infatti, ha molte forme. Esso, in generale, è la tendenza a negare l’essere, sia esso materiale o spirituale, mondano o divino, il proprio o l’altrui essere.

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Il nichilismo, come ogni moto pratico dello spirito, è l’applicazione pratica di una teoria. Vediamone allora innanzitutto la base teorica o gnoseologica. Essa punta su Dio e sull’azione umana. Il nichilismo teorico è la convinzione che l’essere non esiste; l’essere è nulla, non vale niente. Tutto è nulla. Esso è bene espresso dal lamento amaro e sconsolato del Qohelet: «tutto è vanità». Questo è anche il nichilismo buddista. Tuttavia, nel Qohelet, la vanità della quale parla è la vanità di questo mondo. Resta sempre affermata l’esistenza di Dio, Che dà senso al mondo da Lui creato.

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Il nichilismo nazista appare come potenza di essere, essere in espansione, essere aggressivo, e tuttavia suppone il suddetto quadro gnoseologico. Tuttavia per esso l’esistenza non ha senso. Esiste originariamente solo il nulla. Il nulla è il fondo di tutte cose. Tutto è apparenza. Tutto è soggettivo, non c’è niente di oggettivo. La metafisica è illusione. Nulla è intellegibile. Di tutto si può dubitare. Affermare e negare sono la stessa cosa. Si trova anche nei sofisti greci e negli scettici.

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Diversa forma di nichilismo è quella hegeliana, per la quale l’essere è contraddetto o annullato dal nulla. L’essere coincide col non-essere. L’essere non può stare senza il non-essere. L’essere è, ed al tempo stesso non è. Tutto diviene, tutto passa e tutto ritorna.

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Altra forma è il nichilismo leopardiano: l’essere sorge da sé dal nulla, tutte le cose vengono dal nulla e tornano al nulla. Il più viene dal meno e il più torna al meno. Tutto è assurdo, a caso, senza senso e senza ragione. Non c’è nulla per cui valga la pena di vivere. Questo è un nichilismo pessimista; invece quello nazista è ottimista. È un inno alla vita, che però finisce con la morte tragica, è un «essere-per-la-morte».

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Nichilismo teologico. Per il nazista Dio è l’espandersi dell’uomo come volontà di potenza. Dio è nel nazista non come un Tu che è presente all’io, ma come forza originaria, intima, profonda e fondamentale dell’io. Il nazista non nega semplicemente l’esistenza del Dio creatore cristiano, ma lo sopprime attivamente, lo uccide, lo annulla, come insegna Nietzsche.

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Notare la differenza dal nichilismo hegeliano. Per esso, Dio è identità di essere e non-essere. Egli è quindi nulla ed essere ad un tempo. Il mondo non è qualcosa, ma è nulla. Dio è tutto e nulla. Quindi Dio non crea, cioè non trae il mondo dal nulla. Ma il mondo appartiene all’essenza di Dio, che è essere e non essere ad un tempo, vero e falso, buono e cattivo. Dio nega se stesso così come il non-essere nega l’essere. Dio non può esistere senza il mondo. Come l’essere si identifica col non-essere, così Dio si identifica col mondo.

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Il nichilismo pratico è una forma di disprezzo o di odio nei confronti del reale, che appare odioso e cattivo. Da qui il desiderio o il tentativo di annullarlo come nemico, per sostituirlo con la propria volontà, con le proprie idee o con un mondo fittizio inventato da noi.

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L’«istinto di morte», del quale parla Freud, l’«essere-per-la-morte» [sein zum Tode] di Heidegger, l’affermarsi a scapito degli altri, lo spirito polemico o litigioso, lo spirito di contraddizione [1], la violenza, lo spirito di sopraffazione ― come la «volontà di potenza» [Wille zu Macht] di Nietzsche ― la volontà di dominio, la volontà omicida, lo spirito prometeico, la volontà di annullare Dio, sono forme di nichilismo. Il nichilismo nietzschiano e nazista ha così il carattere di un nichilismo aggressivo, per il quale l’essere è male e va distrutto. È l’odio o il disprezzo per la realtà, per l’essere e quindi per il vero e il buono. È volontà distruttiva, volontà di morte, di annullare, di annientare, di uccidere. Questa è la forma più grave, che sconfina con la pazzia, come è successo a Nietzsche, secondo le sue ben note formule: «la verità è menzogna»; «occorre trasvalutare tutti i valori».

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È chiaro che nessun nichilista crede seriamente che l’essere non esista o sia un sogno o sia contraddittorio, perché si tratta di una tale assurdità, che non è neanche pensabile. Esiste bensì la riduzione eracliteo-hegeliana dell’essere al divenire. Ed è in fondo l’idea heideggeriana dell’essere, se non fosse che essa tende al nichilismo col suo credere che l’essere «appare» dal nulla.

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Ma anche l’idea di un divenire assoluto si può esprimere a parole, ma non si può realmente pensare. L’idea giusta del divenire è solo quella di Aristotele, come passaggio dalla potenza all’atto. Ma qui siamo sempre sul piano dell’essere e non c’è alcuna contraddizione.

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LA NASCITA E LA FINE DELLA TRAGEDIA

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L’impresa nazista fu concepita e realizzata sotto il segno di una concezione tragica della vita e in particolare dell’eroe, che combatte per una causa disperata, sapendo in partenza che sarà sconfitto e ciononostante si lancia nella guerra. Essa si ispira alla concezione nietzschiana della vita e del superuomo, i cui princìpi sono già presenti nell’opera giovanile La nascita della tragedia, dotta opera di filologo e conoscitore della letteratura greca, dove già da allora appare la teoria nicciana della scaturigine della serenità apollinea, che rappresenta la razionalità, da un fondo originario tenebroso, caotico e sfrenato, il dionisiaco, che rappresenta l’autocomprensione dell’io.

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Nell’ulteriore produzione nietzschiana, con Ecce homo, appare il mito del Fato, il Destino [Geschick], che avrà molta importanza in Heidegger e nel nazismo. Nel contempo Nietzsche elabora la famosa teoria del superuomo e della volontà di potenza, da cui la prospettiva dell’uomo che da una parte è destinato alla morte, mentre dall’altra vuole sconfinatamente la propria potenza e le propria autoaffermazione, per cui, se da una parte ama il Fato [amor Fati], dall’altra sente se stesso come Fato al posto di Dio, che egli sopprime [morte di Dio] per affermare se stesso. Zarathustra in Così parlò Zarathustra è il modello del superuomo, che sale alle altezze della verità e da là scende compassionevolmente tra gli uomini ad insegnar loro a salire là da dove egli è disceso, onde prendano coscienza della loro infinita potenza, che nel contempo è corsa verso la morte, in un eterno ciclo di vita-morte e morte-vita.

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La mia tesi è che la grande tragedia dell’età moderna comincia con Lutero e finisce con Hitler. Ma oggi il virus capace di gettarci ancora in questa tragedia — la “gettatezza” [Geworfenheit o “deiezione”, come la chiama Heidegger] — è ancora vivo, ed è la teologia di Rahner, il quale, per sua esplicita dichiarazione, negli ultimi anni della sua vita, affermò che Heidegger era stato il ”suo unico maestro”.

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Nel 1933, l’anno stesso dell’ascesa al potere di Hitler, Heidegger divenne rettore dell’Università di Friburgo ed assunse il ruolo di filosofo ufficiale e più autorevole del Partito Nazional Socialista, la cui tessera egli conservò senz’alcun pentimento fino al 1945, anche se già nel 1934 egli dette le dimissioni, non però per un recesso dalla dottrina nazista, ma perché a suo dire, il Nazismo, nei fatti era venuto meno alla sua essenza e per aver rinunciato al suo radicalismo «spirituale».

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Il concetto che Heidegger si era fatto dell’ideale nazista era desunto da Nietzsche, il quale, benché facesse derivare lo spirito dal corpo, tuttavia presagiva ed auspicava una progenie di signori e di padroni emergente sulla massa dei deboli e dei pecoroni non su base biologica, come sarà poi nel nazismo razzista, ma per la forza della volontà, per la quale, come già diceva Hegel, «la volontà vuole se stessa».

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Altro ingrediente dell’ideale nazista era l’idea della missione umanizzante, liberante e salvifica del popolo tedesco, come popolo eletto da Dio tra tutti i popoli a insegnare al mondo il vero concetto di Dio e la libertà divina.

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Da qui discendeva la convinzione che alla Germania spettava, per diritto divino, il dominio su tutti i popoli: Deutschland über Alles, mediante la guerra di conquista, sul modello biblico di come Israele, per volontà divina, conquistò la terra promessa scacciando da essa o facendo prigionieri gli abitanti che vi trovava.

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Da qui nasce l’antisemitismo nazista: considerandosi quello germanico il popolo divinamente eletto, non poteva tollerare accanto a sé un altro popolo eletto, quale quello degli israeliti. L’idea razzista fu una materializzazione dell’idea della missione liberatrice-dominatrice, di carattere spirituale. In tal senso Heidegger si rifiutò di accettare tale volgarizzazione, per la quale ai suoi occhi il nazismo perdeva così la sua elevatezza spirituale.

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LUTERO E LA MISSIONE DEL POPOLO TEDESCO

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In fondo era l’idea già lanciata a suo tempo da Lutero col suo pamphlet An den christlichen Adel des deutscher Nation von des christlichen Standes Besserung [Alla nobiltà cristiana di nazione tedesca sull’emendamento della società cristiana]. Grazie a Lutero il popolo tedesco si scopriva, contro la Roma falsificatrice farisaica del Vangelo e contro gli Ebrei del Dio terribile dell’Antico Testamento, il vero annunciatore del Vangelo della misericordia divina per tutti, senza opere e senza meriti, che le soldataglie tedesche luterane imporranno agli abitanti di Roma col Sacco del 1527.

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Con questa esaltazione bellicosa ed irrazionale del popolo tedesco Lutero si prendeva la rivincita, prima, contro quella Roma pagana imperiale, che nell’Antichità aveva cercato di domarlo; poi, contro quella Roma dei Papi, che lo aveva sfruttato e umiliato.

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Lutero, col suo Dio interiore, irrazionale e fatale, si poneva così, con una violenta polemica contro la Roma papale, nel solco di una precedente tradizione spirituale apparsa nel XIV secolo con Meister Eckhart, il quale, senza cadere negli eccessi antiromani di Lutero, ma tuttavia incrinando la piena comunione dottrinale con Roma [2], inaugurava un modo specificamente tedesco di far teologia, fondata sulla categoria del Gemüth, ossia come “sentimento” pre-razionale e mistico [3]. Il termine Gemüth è assai difficilmente traducibile, perché rappresenta un complesso di fattori psichici di per sé distinti tra di loro, ma che vengono espressi tutti assieme nel Gemüth. Esso potrebbe essere assimilato al termine biblico “cuore”. Comporta finezza di sguardo interiore, di  gusto e discernimento, profondità di intuito, sapienza morale, purezza di coscienza, robustezza di convinzione. Ma Lutero, rompendo con Roma, ha traviato il popolo tedesco dalla sua vera missione all’interno della civiltà e della Chiesa, missione che si era già fatta luce nei secoli precedenti coi suoi santi, come per esempio San Bonifacio, San Brunone, Santa Ildegarda, Santa Gertrude, Sant’Alberto Magno e i mistici renani. Invece Lutero ha esaltato il suo popolo in una maniera sbagliata, ha iniettato in lui il virus della superbia, il quale, nel corso dei secoli successivi, a causa di un progressivo allontanamento dalla verità e dalla fede cristiana, lo ha condotto alla follia del nazismo ed alla catastrofe della seconda guerra mondiale.

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Permane così nei secoli la convinzione dei Tedeschi di essere popolo eletto da Dio, che va di pari passo con la convinzione di possedere una propria potente e rivoluzionaria teologia, espressione del genio intuitivo e guerriero tedesco, contraria e superiore a quella razionale e moderata latina o greca, considerata debole o decadente. E questa convinzione di essere il popolo sano, forte ed eletto va di pari passo nei secoli, fino al nazismo e allo stesso Karl Rahner, con la convinzione del primato della filosofia e della teologia tedesca su tutte le altre filosofie e teologie dell’umanità.

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Così nel XV secolo appare la Teologia tedesca, auto-incensazione della Germania e della sua teologia, di ignoto autore, teologia del fondo oscuro dell’anima e dello slancio mistico ineffabile, opera della quale Lutero curò la pubblicazione. Essa, con la sua tendenza immanentistica, concorre certamente alla costituzione ed alla fama della teologia di Lutero.

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Anche la famosa tesi cusaniana della coincidentia oppositorum in Dio è stata sfruttata dagli idealisti, probabilmente male interpretando il pensiero del buon Cusano, per avallare il loro Dio assurdo della contraddizione, del sì e del no.

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I luterani tedeschi si accorsero di quanto potevano utilizzare a loro favore il cogito cartesiano sin dal suo primo sorgere, benché fosse stato inventato da un cattolico: vedi per esempio Leibniz. Infatti l’io cartesiano, al di là della sua apparente razionalità, si sposa benissimo con l’io luterano. Basta porre come oggetto interiore immediato dell’autocoscienza cartesiana la Parola di Dio, come fece Lutero, al posto dell’idea innata cartesiana, e il gioco è fatto. È vero che Lutero era sostanzialmente realista del realismo biblico. Ma il suo era un realismo interiorista, di tipo agostiniano, diffidente dell’esperienza del senso, per cui il passaggio all’idealismo non era difficile.

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Fece questo passo la gnoseologia kantiana e da allora, fino a Nietzsche ed Heidegger, il soggetto o l’io è diventato padrone dell’essere, in barba a Lutero, che pur seppe conservare il realismo biblico cattolico, presente nello stesso San Tommaso d’Aquino ed in Guglielmo di Ockham, che era stato maestro di Lutero. Infatti per l’Aquinate ed Ockham, come insegna la Bibbia, l’essere non è prodotto o espansione dell’io, ma è creato da Dio.

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Nel XVII secolo appare poi Jakob Böhme, contorto e paradossale filosofo dell’ Abgrund, dell’abisso insondabile e del Dio crudelmente misericordioso, origine del paradiso e dell’inferno, del bene del male. Böhme, visionario geniale e temerario, dalla fantasia sbrigliata, ignorantissimo di filosofia scolastica, ma tanto meglio, sarà considerato per eccellenza dai Tedeschi il philosophus teutonicus, e preparerà il sorgere dell’idealismo del XIX secolo, soprattutto con Fichte, Hegel, Hölderlin e Schleiermacher, dove il Gemüth diventa il Gehfühl, sentimento dell’Assoluto. Il Gemüth è presente anche in Kant, che parla altresì dell’abisso o “baratro della ragione” [die Abgrund des Vernunft] [4].

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Anche l’ebreo Spinoza, benché ebreo, viene cooptato dagli idealisti, soprattutto da Hegel, come «colui dal quale occorre cominciare per far filosofia». Il fatto che Spinoza fosse stato giustamente cacciato come empio dalla sinagoga dopo essere stato colpito da cherem [dall’ebraico חרם, scomunica] era per gli idealisti un titolo in più di gloria, che li confermava nel loro antisemitismo.

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Hegel e Schelling vedono in Giordano Bruno, principe dell’occultismo magico rinascimentale, un ispiratore e precursore del panteismo idealista, con particolare riferimento all’opposizione dell’essere col non-essere, che, secondo il Nolano, sarebbe una sorgente di potenza magica. Hegel trae da qui spunto per la sua dialettica e per il ”potere del negativo”. Bruno, benché non tedesco, viene adottato dagli idealisti come nuovo tassello alla “filosofia tedesca”.

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Il Gemüth riappare come sfondo della coscienza in Husserl, maestro ad un tempo di Heidegger e di Edith Stein. Paradigmatica è per la cultura tedesca e per la storia della civiltà europea e della Chiesa, la vicenda dei rapporti fra queste tre grandi figure della filosofia tedesca. Edmund Husserl e la Edith Stein, ebrei, Martin Heidegger, antisemita.

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Husserl, agli inizi della sua ricerca filosofica, fu suscitatore di grandi speranze in molti spiriti anelanti al vero sapere, delusi o insoddisfatti dallo storicismo relativista, dal meschino positivismo e dal piatto psicologismo dell’epoca. Si sentiva anche il bisogno di tornare al realismo gnoseologico, guastato dall’idealismo hegeliano. Fu così che Husserl lanciò il famoso programma: «torniamo alle cose stesse!».

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E per attuare tale programma, per il quale sarebbe bastato tornare a San Tommaso d’Aquino, come pochi anni prima Leone XIII aveva invitato a fare, Husserl concepì un piano estremamente ambizioso, ossia quello di fondare addirittura una nuova scienza, la «fenomenologia», la quale finalmente, dopo la crisi delle scienze europee, avrebbe assicurato definitivamente all’umanità il metodo, i princìpi e contenuti della «filosofia come scienza».

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All’inizio Husserl parlava di una wesenschau, un’intuizione o esperienza dell’essere come essenza oggettiva, che appare come «fenomeno», dato di fatto, manifestazione o rivelazione immediata e certa della verità universale, spirituale e logica alla coscienza.

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Fin qui Heidegger e la Stein seguirono Husserl. Ma in seguito, sia il primo che la seconda cominciarono a prendere le distanze. Heidegger, sensibile da una parte alla tematica del soggetto esistente concreto e dall’altra alla tematica dell’essere cha appare nei presocratici, avviò la sua ontologia esistenziale, mentre la Stein, dopo che Husserl, mancando alle promesse, volle rivalorizzare Cartesio e quindi abbracciò l’idealismo, scoprì il realismo tomista e lo accolse, tanto da scrivere un’opera di metafisica «Essere finito ed essere eterno» [Endliche sein und ewigen sein] con la quale metteva in luce il fatto che l’uomo, partendo dalla conoscenza delle cose, nella sua finitezza si trova davanti all’Essere eterno, ossia Dio, per cui veniva a confutare il soggettivismo autoreferenziale sia di Husserl che di Heidegger, chiusi entrambi alla realtà oggettiva dell’essere, e quindi all’incontro dell’io con Dio: Husserl, per il fatto che per lui l’essere, privo della sua indipendenza dalla coscienza, si era ridotto ad essere un semplice ”correlato” o “fenomeno” della coscienza; Heidegger, perché aveva ridotto l’essere alla finitezza e temporalità del fragile uomo peccatore e mortale.

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É interessante il confronto fra l’esito del cammino esistenziale di Heidgger e quello della Stein. Questa sarebbe morta martire ad Auschwitz nel 1942. Heidegger, invece da perfetto istrione quale era sempre stato, lo fu fino alla fine e, perché nonostante la pessima figura che aveva fatto col nazismo, si continuasse a parlare di lui, seppe ancora una volta, con incredibile abilità mistificatoria,  raccogliere attorno a sé l’attenzione sia degli atei che dei credenti sprovveduti.

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Così, dopo l’ignominiosa fine del suo venerato Führer, ebbe la vergognosa faccia tosta di presentarsi nel 1946, con la sua famosa Lettera sull’umanesimolui, il teoreta dell’ «essere-per-la-morte», come l’avvocato della dignità dell’uomo, «pastore dell’essere», rifiutando con affettato sdegno di casta vergine l’ammiccante e volgare proposta del suo degno compare Sartre, esistenzialista ateo, di associarsi al suo «esistenzialismo», perché lui, disse Heidegger, era il «filosofo dell’essere», concludendo nella famosa frase: «ora solo un dio ci può salvare», ma che in realtà non è affatto il Dio cristiano, ma il ”sacro” di Hölderlin e quindi, daccapo, il dio dei nazisti.

 

ULTERIORI  VICENDE DEL GEMÜTH

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Il Gemüth si ritrova  in Heidegger e col nazismo. Esso è certamente vicino al Gefühl di Scleiermacher ed è sotteso al Geist hegeliano. Kant, nella stessa Critica della Ragion pura,  usa questo termine; ma il traduttore italiano,  non sapendo come renderlo, ricorre al termine “spirito”.

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Il Gemüth è altresì strettamente connesso all’Erfahrung, come esperienza spirituale o interiore, in Hegel, Heidegger e Rahner: quella con una connotazione emotiva dell’atto morale; mentre questa è un atto meramente gnoseologico. Il motivo ricorrente del Gemüth è la convinzione che la ragione concettuale non sia la funzione gnoseologica primaria e profonda dell’uomo, ma che questa funzione primaria giaccia a-prioricamente, più in profondità, previamente e pre-categorialmente nello spirito o nella coscienza. Per questa somiglianza dell’io oscuro inintellegibile ed a-priorico con l’auto-coscienza cartesiana, Cartesio, sebbene cattolico, ma in realtà auto-centrico, troverà molto successo nel sorgere dell’egocentrismo idealista tedesco, fino ad arrivare all’Io assoluto di Fichte e all’io di Nietzsche, che si afferma sulle ceneri del Dio che ha ucciso.

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La teologia tedesca, nella sua tormentata storia, oscilla continuamente tra due tendenze contrarie, tra le quali non trova mai pace: quella gnostica del Dio gnostòsconoscibile, razionale, comprensibile, e concettualizzabile, che trova la sua massima espressione nel Dio-Concetto di Hegel, dove il mistero è svelato; e quella agnostica del Dio àgnoston, della misteriosofia pagana, inconoscibile, irrazionale, inintellegibile, non-concettualizzabile, mistero assoluto ed impenetrabile.

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Questo Dio si trova in Heidegger [il “sacro”] e in Rahner. Non è tanto il vero Dio, quanto piuttosto ”un” dio o “il” dio, il che lascia intendere un retroterra politeistico. È questo il dio di Hölderlin, di Heidegger e del nazismo, non privo di rimandi all’antica mitologia germanica.

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I teologi tedeschi hanno sempre fatto un’enorme fatica a comprendere e ad accogliere la nozione analogico-partecipativa dell’essere, che è la garanzia per accedere ad una nozione autentica di Dio, quale è quella biblica, che evita sia lo gnosticismo politeista che l’agnosticismo della falsa mistica. Si tratta della nozione paolina di Dio, per la quale Dio è conoscibile, ma incomprensibile; se ne può parlare con verità e per analogia, ma, al vertice dell’esperienza mistica, è meglio tacere.

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Il Tedesco sente il bisogno dell’esperienza mistica, di sentire Dio con sé, ed è un ottimo desiderio;  sa che Dio è nel profondo della coscienza, intimior intimo meo, ma manca di criterio, di umiltà e di sobrietà nell’immergersi in queste profondità abissali ed imperscrutabili, per cui si perde incautamente nell’oscurità, ma nonostante ciò pretende di profetare o vaticinare, mentre in realtà pronuncia con aria oracolare parole senza senso, che gli ingenui ascoltano avidamente e fanno oggetto di infinite discussioni ed interpretazioni, senza mai cavare un ragno dal buco.

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E’ stupefacente, ma anche disgustoso, al riguardo, l’astuzia con la quale Heidegger, dopo la disfatta di quel nazismo nel quale aveva giocato un ruolo di primo piano, senza dare alcun segno di pentimento, riuscì a rifarsi l’immagine, da molti anni svanita dietro l’esaltazione di Nietzsche, del profondo indagatore dell’essere [5], tanto da non disdegnare di parlare di Dio «salvatore dell’uomo» e dell’uomo «pastore dell’essere» e «casa dell’essere», salvo a mantenere un cordiale disprezzo per la teologia cristiana, da lui chiamata con sussiego «ontoteologia», cosa volgare e grossolana, mentre invece sì, il suo Dio era il «Dio divino». E questo sarebbe colui che Rahner ha chiamato il «suo unico e vero maestro».

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HEIDEGGER E NIETZSCHE

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Nietzsche non risparmia critiche al popolo tedesco, ma sempre sul presupposto scontato che si tratta di una «razza di signori», nella quale egli funge da guida sovrumana della nuova umanità senza Dio, il suo vate e führer filosofico, così come Hitler ne sarà il führer politico. Le ambizioni di Heidegger non saranno diverse. Heidegger si vantava di aver scoperto una volta per tutte, dopo i primi bagliori di Anassimandro, Eraclito e Parmenide, il senso o la verità dell’essere, dopo quella che da allora, prima di lui, è stata la ”storia dell’errore”, cristianesimo compreso. E in una nota scritta nel 1933, si rifà ad Hitler, che, a suo dire, «ha risvegliato una nuova realtà che mette il nostro pensiero sulla strada giusta e gli conferisce forza d’urto» [6].

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Il primo contatto con la metafisica Heidegger lo ha nel suo saggio giovanile del 1916 Die Kategorien und Bedeutungslehre des Duns Scotus, dove egli incontra l’univocità scotista dell’essere, nonché l’intuizionismo e il volontarismo del grande teologo francescano. Questi orientamenti di fondo resteranno sempre in Heidegger, anche quando egli, a contatto con la metafisica di Parmenide ed Eraclito, perderà la luce della fede cattolica, nella quale era stato educato, tanto da aver avuto il pensiero, presto abbandonato, di farsi gesuita. Subentra infatti nel suo animo la presunzione, che d’ora in avanti non lo abbandonerà più, tipica dello gnosticismo idealista, di aver raggiunto un grado di intelligenza speculativa superiore a quello assicurato dal realismo gnoseologico biblico e dalla teologia cattolica.

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L’interesse metafisico permane, ma sembrano nel contempo intervenire influssi luterani, come quello dell’ ”angoscia” [Angst], della deiezione [Geworfenheit], della preoccupazione [Sorge], della colpa [Schuld], della concentrazione sull’io come concretezza esistenziale [Dasein].

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La perdita della fede invece causa in Heidegger un’assolutizzazione della metafisica a scapito della teologia. La metafisica non conduce più a Dio, ma si ripiega su stessa e sull’uomo, sul Dasein. Resta la consapevolezza che l’essere trascende l’ente [la «differenza ontologica»]; ma questo «essere» [seyn] non è l’ ipsum Esse, non è Colui Che È [Es 3,14].

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Per Heidegger l’essere non è atto dell’ente, ma negazione dell’ente. Incontrando il pensiero di Nietzsche, egli, nella sua monumentale opera di 900 pagine su Nietzsche, elaborata nel corso di dieci anni [1930-1940] nel pieno dell’ascesa del nazismo, giunge a concepire l’essere, sulla sua scorta,  come impulso irrefrenabile, come volontà assoluta di azione bellica irrazionale.

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La verità, sulla scorta di Nietzsche, non è adeguazione all’ente già dato, ma  rivelazione o apparizione dell’ente voluto dal soggetto. La verità non è principio ma effetto della volontà. Non è vero ciò che esiste, ma ciò che io voglio che esista. La verità coincide con la libertà. Lo stesso concetto riappare in Heidegger e lo si ritrova in Rahner.

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L’essere, come già in Duns Scoto, non è analogico o diversificato, ma univoco. E’ autocomprensione. Non è gerarchico, ma orizzontale. La trascendenza non è un salire,  ma un estendersi, un uscire da sé, un’”estasi”. L’ente non si concettualizza, ma appare; si precomprende [Vorverständnis] e si sperimenta. Come già in Duns Scoto, l’essere non è connesso all’intelletto, ma al volere. Non all’astratto, ma al concreto. Non all’universale, ma all’individuo. Il vero è il bene. Da qui verrà fuori l’idea heideggeriana della verità come libertà, che riapparirà il Rahner.

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L’essere, il senso o la verità dell’essere per Heidegger, è possibilità, poter fare, tendenza, volere, agire, divenire, finitezza, presenza, tempo, evento, vita, libertà, storia. L’essere non è prima del nulla, ma emerge dal nulla. L’essere è il pensato, il vissuto, il nascosto. Anche il non-essere, il male e il falso entrano nell’essere. Il divenire è meglio dell’essere. Io sono nella totalità dell’essere [Dasein]. L’essere è l’uomo agente nel mondo.

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Cambiare, divenire, mutare è meglio che conservare. L’uomo è un essere «storico». L’essere è «evento» [Ereignis]. La volontà è sempre in movimento, senza meta fissa; stabilisce la legge e decide del bene e del male. Non la legge nella situazione; ma la situazione crea la legge. In ciò sta la libertà. «Io voglio» al posto del “tu devi”. Distruggere e creare. «libertà per il nulla nella necessità liberamente voluta di un eterno ritorno» [7]. Il pensiero è rammemorante [andenken] perché pensare è ritrovare l’originario, ciò che si è perduto. Il futuro è ritorno del passato. Non esiste un progresso, ma una circolarità.

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Quando tutto diviene, nulla diviene. Nell’etica heideggeriana, come in quella di Nietzsche, non c’è passaggio o progresso dalla morte alla vita, dal meno al più, ma un’eterna, disperante ed esperante conflittualità fra morte e vita. Come nel mito di Prometeo, il fegato del dio ricresce sempre e viene divorato dal corvo, o nella fatica di Sisifo, egli deve sempre ricominciare dopo esser giunto alla vetta.

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Amor Fati, secondo la prospettiva nicciana. E Platone: «Tutto ciò che è grande sta nella tempesta» [8]. Emergere sugli altri è meglio che servire gli altri. La violenza è il segno della forza. Il forte non solleva il debole, ma lo domina. L’odio è l’arma della vittoria. Il vincitore ha sempre ragione. Lo sconfitto ha sempre torto. Il dato di fatto coincide col giusto e col buono.

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La Germania nazista si fece la convinzione che il popolo tedesco aveva da Dio [Gott mit uns] la sacra missione di instaurare in Europa, sotto la guida del Führer, mediante l’uso della forza e una guerra-lampo di conquista [blitz Krieg], un nuovo ordine rivoluzionario politico-spirituale «millenario» [III Reich] «socialista» [«nazionalsocialista»], comportante l’eliminazione del popolo ebraico, in quanto esso era considerato massimo rappresentante della religione del Dio trascendente schiavista, dal quale aveva tratto origine il cristianesimo.

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L’antisemitismo, prima di essere odio per il popolo ebraico, è odio per il loro testo sacro, ossia l’Antico Testamento, e quindi per il Dio creatore trascendente e legislatore, che castiga il peccato ed esige riparazione mediante un sacrificio. Come avviene nell’eresia di Marcione, i Tedeschi con Lutero respinsero questo Dio per sostituirlo col Dio di Cristo. Sennonché quella concezione ostile al Dio veterotestamentario si ritorse contro il Dio cristiano falsandolo. Infatti avvenne con Lutero che, sempre nella linea di Marcione, pretendeva di esaltare la misericordia del Dio cristiano, le opere riparatrici non sono più necessarie, sicché la legge morale viene relativizzata e resa facoltativa, la libertà cristiana diventò pretesto alla licenza e la vita di grazia cominciò ad essere intesa in senso panteistico, mentre  la dignità umana esaltata da Cristo cominciò ad essere talmente gonfiata, che alla fine si finì nell’ateismo. Il primo esito fu quello di Hegel; il secondo fu quello di Nietzsche.

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L’IMPRESA DEL NAZIONALSOCIALISMO

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I nazisti credevano di aver condotto a termine la riforma luterana di liberazione della coscienza, che attraverso Hegel giunge a Nietzsche [9]. Heidegger fu il maggior interprete di questa evoluzione spirituale, per cui fu il filosofo che dette alla cultura nazionalsocialista le sue basi teoriche. La base teologica del nazismo è la convinzione del  nazista di avere Dio con sé. Tale convinzione si sviluppa nell’idealismo panteista hegeliano con la dottrina della divinità dello Stato. Per quanto riguarda l’etica, il nazismo assume la concezione nicciana della volontà di potenza. Sulla base di Nietzsche Heidegger invece fornisce al nazismo la concezione dell’uomo e del suo destino come auto-comprensione atematica in situazione emotiva e pre-comprensione storica di sé come esserci, progetto e decisione della propria esistenza creatrice e dominatrice nel mondo come essere-per-la-morte. Da qui il grande progetto nazista dell’invasione armata dell’Europa al fine di occupare quello che Hitler chiamava “spazio vitale” del popolo tedesco, cui spettava a suo dire di diritto, per cui gli era consentito occuparlo con la forza. Era questo anche il programma di Mein Kampf.

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Per ottenere questo fine Hitler applicò la lezione di Nietzsche di aumentare gradatamente l’aggressività senza un termine preciso, ma in maniera indefinita e insaziabile, fino al limite delle proprie forze, ossia fino al crollo finale. E così effettivamente avvenne. Un cammino tragico verso la morte mediante l’esercizio della volontà di potenza. Non si trattò di conquistare un dominio in Europa, che fosse atteso e favorito o gradito dalla stessa Europa. Eppure il principio nietzschiano era proprio quello che la «razza dei signori», esponente del superuomo, aveva dal destino la missione di sottomettere i popoli decadenti, ancora irretiti negli ideali borghesi della democrazia e  dell’uguaglianza, insomma dell’”esistenza inautentica”, come dirà Heidegger, quando non proprio nella trappola della religione, della morale e della spiritualità. Dunque alla base dell’impresa hitleriana ci fu la dottrina della nicciana volontà di potenza, che Heidegger interpretò nel suo Nietzsche come essenza dell’uomo tedesco — la ”belva bionda”, come lo chiamava Nietzsche —, destinato al dominio sul mondo e congiuntamente come totalità dell’essere [seyn] autoprogettantesi [Entwurf] e “gettato” [Geworfenheit], nella «cura» [Sorge] e nella colpa [Schuld], emergente dal nulla [Nicht] e proteso verso la morte.

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Per quanto la Germania durante il nazismo fosse assurta al livello di una grande potenza mondiale con la sua cultura, la sua industria, la sua tecnica, la sua economia, la sua organizzazione sociale e le sue forze armate, nonché con le sue colonie e l’alleanza dell’Italia e del Giappone, che aveva saputo attirare a sé, e non mancassero simpatie per Hitler in vari ambienti europei, tuttavia l’impresa bellica della conquista dell’Europa dalla Francia, all’Inghilterra, alla Scandinavia, alla Russia, ai Balcani, fino al Nord Africa, associata peraltro all’eliminazione degli Ebrei, non poteva non apparire ad ogni mente sana una follia. Per questo, bisogna dire che, se Heidegger appoggiò questa impresa, ciò si spiega — e non potrebbe essere diversamente — che coi princìpi stessi, fondamentalmente nichilistici ed atei della sua metafisica, soprattutto di quella fase centrale, che dette l’appoggio al superomismo ateo e nichilista nicciano. Io credo che gli stessi nazisti, Hitler ed Heidegger compresi, sapevano già all’inizio che sarebbe finita male.

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Perché allora intraprenderla? Qui entriamo nel vivo dell’ateismo nichilista o diciamo sic et simpliciter del nichilismo, perché, come abbiamo visto, ogni ateismo è un nichilismo. Tuttavia, dobbiamo tener presente che il nichilista nega l’essere e quindi il bene non in modo assoluto, giacché, come abbiamo visto, questo è impossibile. Al di là delle espressioni reboanti, che fanno colpo sugli sciocchi [«tutto è nulla», «l’essere è il non essere», «tutto è vanità», ecc..], il cosiddetto nichilista è in realtà nient’altro che un volgare e misero omuncolo disperatamente aggrappato a se stesso, non è altro che il figlio di Adamo peccatore, bene attaccato ai beni di questa terra. Certo è mosso da uno spirito mortifero e distruttivo, che è l’essenza stessa del peccato. Infatti il clima ideologico dell’heideggerismo, del nietzschianismo e del nazismo sono in fondo quelli della tragedia, descritta dallo stesso Nietzsche, del quale sono rimaste famose le parole «incipit tragoedia», a significare che si stava per entrare in una tragedia. Sarebbe stata la tragedia della prima e poi della seconda guerra mondiale. Ma il virus della tragedia non è del tutto debellato. Esso resta assopito tra le pieghe della storia anche di oggi. E non ci vorrebbe molto a risvegliarlo..

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LA TRAGEDIA PUÒ RICOMINCIARE

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Il pensiero di Heidegger infatti fu assunto poi da Rahner, come ispirazione di fondo, negli anni della sua formazione teologica negli anni Venti del Novecento, nel corso di quali egli seguì entusiasticamente le lezioni di Heidegger. Così Rahner, alla fine della sua vita, dopo aver tentato di fare di Tommaso, negli anni 1939–1941, un idealista, dichiarò apertamente appunto che Heidegger era stato l’ «unico suo maestro».

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E difatti, benché Rahner non lo citi mai espressamente, non è difficile notare l’influsso heideggeriano nella teologia, nella metafisica, nella gnoseologia, nell’antropologia e nell’etica di Rahner.  In teologia, l’inintelligibilità ed ineffabilità del mistero divino della teologia rahneriana, ricorda da vicino il ”nulla” heideggeriano, dal quale appare l’essere, un nulla che non è semplice non-essere, ma appartiene all’orizzonte impenetrabile ed ineffabile dell’essere nascosto.

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In metafisica, l’essere come autocoscienza di Rahner, colto a priori come orizzonte trascendentale della comprensione categoriale, è certamente l’essere heideggeriano dell’auto-comprensione dell’uomo nel mondo, condizione a-priori di possibilità della conoscenza e dell’esperienza del mondo. In gnoseologia la precomprensione [Vorgriff] atematica rahneriana dell’essere corrisponde alla Vorverständnis di Heidegger. La tematizzazione o concettualizzazione è il momento successivo e derivato, di carattere empirico, dell’autocoscienza originaria o esperienza trascendentale dell’identità dell’essenza con l’essere, nella quale l’essere coincide col pensare. In questo modo Dio non si distingue più dall’io e da Dio, in quanto l’uno e l’altro costituiscono univocamente l’orizzonte dell’essere, nel quale l’essere, seppur finito come essere umano, coincide col divenire e col volere come essere divino.

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Rahner parla bensì di Dio, come del resto anche Heidegger. Ma potremmo chiederci che Dio è e se è il vero Dio, Essere sussistente, immutabile ed impassibile, conoscibile  “per analogia” [Sap 13,5] e «per ea quae facta sunt» [Rm 1,20], creatore del cielo e della terra, distinto dal mondo, ossia il Dio di Gesù Cristo? Non sembrerebbe proprio, perché gli attributi,  la via e il modo con cui Dio è conosciuto sono in stridente contrasto col vero Dio. Il Dio di Rahner, vertice dell’uomo, a-tematicamente, immediatamente ed originariamente sperimentato, mistero inintelligibile e innominabile, assomiglia di più al superuomo di Nietzsche che al vero Dio della ragione e della fede.

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L’istanza etica, in Rahner si configura come «spirito nel mondo». L’uomo appare come esserci [Dasein] dell’essere, quindi come storicità e come auto trascendenza nell’orizzonte dell’essere. Come spirito, l’uomo è libertà che non agisce sulla base di una legge morale dettata da una natura umana fissa e definita;  ma il soggetto agente determina liberamente il proprio essere destinato alla morte. L’agire umano, per Rahner, non è regolato da leggi morali oggettive, universali ed immutabili. Siccome l’agire è nel concreto e nella mutabilità e varietà delle circostanze, sta ad ogni singola persona, soggetto concreto, decidere secondo coscienza il da farsi. La singola persona, quindi, secondo Rahner, ha il dovere, la facoltà e la responsabilità di aggiungere, a suo arbitrio, modificandola, all’astrattezza di per sé inoperante della legge morale, quell’elemento di concretezza, che la rende operativa, ma per ciò stesso mutevole.

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Può così accadere, secondo Rahner, che un comando divino, per esempio, come quello della misericordia, non avendo nella sua astrattezza un carattere di assolutezza, possa essere sostituito, in certi casi, in nome della ”libertà”, dalla pratica della violenza. In tal modo Rahner, con uno stile perfettamente nietzschiano, con queste sconcertanti parole, viene addirittura a giustificare la violenza: «La realizzazione della libertà … è già restrizione dell’ambito della libertà di un altro e della sua essenza e ciò inevitabilmente. Nessuno può agire liberamente, senza con ciò usare ‘violenza’ ed esercitare una forza fisica sull’altro» [10].

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Anzi Rahner arriva addirittura a parlare di una «necessità trascendentale della violenza», la quale, «condizione di possibilità della libertà creaturale, deve essere riconosciuta teologicamente anche come naturale, voluta da Dio ed intrinsecamente non peccaminosa» [11].

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Per quanto riguarda  il significato cristiano della morte, Rahner, che non crede all’immortalità dell’anima, ma ritiene che con la morte muore tutto l’uomo, non concepisce neppure una sopravvivenza dopo la morte, ma secondo lui la vita eterna consiste nella morte stessa, come «compimento personale di sé» e come momento in cui l’uomo raggiunge il suo «compimento» e la «libertà raggiunge la propria definitività» [12]. È la stessa idea di Heidegger dell’essere umano come «essere-per-la-morte». È la stessa idea nietzschiana e nazista della morte come atto eroico di libera volontà nel volere ciò stesso che vuole il Destino [Geschick] ovvero il comando del Führer.

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I virus della tragedia dunque non sono morti, ma solo dormono. Di fatto, come ha notato Papa Francesco, è già in atto la terza guerra mondiale, la quale peraltro non distrugge i corpi, come le altre due, distrugge le anime col peccato mortale. Non trionfa la morte fisica, ma quella interiore, sotto le apparenze della vita. Imperversa la tragedia interiore sotto l’apparenza della tranquillità e della normalità.

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Ciò su cui dovremmo meditare profondamente è  come sia stato possibile che un grande popolo come il popolo tedesco, così ricco di qualità umane e spirituali, di così antiche tradizioni cristiane e civili, abbia potuto lasciarsi sedurre e trascinare da un pazzo indemoniato come Hitler in un’impresa criminale assolutamente folle di voler assoggettare il mondo alla Germania, insieme col progetto sacrilego di sopprimere il Popolo Messianico e Sacerdotale, dal quale è nato il Salvatore dell’umanità.

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Che cos’è, quali idee, quali interessi, quali impulsi, quali scopi, quali errori, quali illusioni, quali pretesti, quali cattivi esempi, quali cattivi maestri, quale volontà lo hanno spinto a tanto? Occorre rispondere a queste domande, e vedremo che i virus che ci hanno avvelenati non sono morti.

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Oggi che corre voce che l’Inferno non esiste e Dio non castiga, in realtà l’Inferno e l’imperversare di Satana li stiamo sperimentando all’interno della Chiesa. Oggi che si proclama il «primato della coscienza», siamo più che mai tormentati dalla coscienza. Oggi, in piena retorica dialogistica, siamo ferocemente chiusi a chi non la pensa come noi. Oggi ci immaginiamo di essere accarezzati da un Dio «misericordioso» da noi inventato, perché vogliamo avere il permesso di peccare senza essere puniti. Mai come oggi le anime, che secondo Rahner sarebbero tutte in grazia, sono state in realtà così prive della grazia. Da cosa si capisce? Dall’ignoranza colpevole. Mai infatti come oggi abbiamo avuto a disposizione tanti mezzi e così efficaci per istruirci nella fede. Eppure mai come oggi si è giunti tanto a negare o ad ignorare le fondamenta stesse dell’esistenza, della conoscenza e della vita, ed hanno pullulato tante eresie tra gli stessi teologi, vescovi e cardinali.

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I Tedeschi, che non sono riusciti a conquistare l’Europa e il mondo con le armi, non hanno abbandonato l’intento di conquistare il mondo. Ma tentano adesso di conquistarlo sottomettendolo a Lutero e ai suoi epigoni, fino ad Hegel, Marx, Nietzsche ed Heidegger. Rahner è il cavallo di Troia per mezzo del quale Lutero dovrebbe sottomettere la Chiesa e il mondo alla Germania. L’ostacolo a questa operazione è certamente il papato. Contro di lui si concentrano oggi tutte le potenze diaboliche. Si nota che oggi il Romano Pontefice avverte i colpi, a volte vacilla, sembra crollare, sente le seduzioni, è attorniato da figli del Diavolo. Occorre stringersi attorno a lui, sollecitarlo alla vigilanza ed aiutarlo nella lotta tremenda contro Satana.

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Varazze, 6 maggio 2018

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NOTE

[1] Cit.da K.Löwith, op.ct., p.294.

[2] Cf A.Colombo, op.cit., p.65. Una frase probabilmente strumentalizzata.

[3] Cf K.Löwith, Da Hegel a Nietzsche. La frattura rivoluzionaria del sec. XIX,  Edizioni Einaudi, 1993.

[4] Saggi di spiritualità, Edizioni Paoline 1969, p.308.

[5] Ibid., p.309.

[6] I passi di Rahner sono reperibili nel mio Karl Rahner. Il Concilio tradito, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2009, pp.134-144.

[7] cf. l’eracliteo polemos pater panton.

[8] Vedi le sue proposizioni condannate da Papa Giovanni XXII nel 1329 (Denz.950-980).

[9] Cf G.Faggin, Meister Eckhart e la mistica tedesca pre-protestante, Fratelli Bocca Editori, Milano 1946, pp 192-194; 208; 296; 298ss.

[10] Critica della ragion pura, Laterza, Bari 1965, p.491.

[11] Vedi la sua famosa Lettera sull’umanesimo del 1946.

[12] Cit. da A.Colombo, I maledetti. Dalla parte sbagliata della storia, Edizioni Lindau, Torino 2017, p.65.

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L’episcopato tedesco e l’intercomunione eucaristica con i protestanti. Pietro si lava le mani come Pilato: «trovate una soluzione unanime tra di voi»

 — Theologica —

L’EPISCOPATO TEDESCO E L’INTERCOMUNIONE EUCARISTICA CON I PROTESTANTI. PIETRO SI LAVA LE MANI COME PILATO: «TROVATE UNA SOLUZIONE UNANIME TRA DI VOI»

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Qualora i Vescovi della Germania, in modo unanime dovessero mettersi d’accordo nel dare la Santa Comunione ai protestanti, che cosa accadrà domani, se un’altra conferenza episcopale, in modo unanime, deciderà di unire in matrimonio le coppie omosessuali? Cosa accadrà se un’altra, all’unanimità, deciderà che è lecito abortire il feto di un bimbo riscontrato affetto da malformazione, non reputando giusto mettere al mondo una creatura affetta da imperfezioni? Cosa accadrà se un’altra, all’unanimità, deciderà che è un atto di carità porre fine alla vita di un ammalato terminale che soffre e che non ha alcuna speranza di vita? Da quando, l’unanimità, è garanzia di sana dottrina e di profondo ossequio alla verità rivelata?

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PDF  articolo formato stampa

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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

Contrariamente a quelli che da anni fanno man bassa sulle disamine contenute negli articoli dei Padri de L’Isola di Patmos guardandosi dal citare gli Autori, facendo poi passare certe analisi come proprie, noi abbiamo la comprovata onestà cristiana e intellettuale di citare sempre quando ci richiamiamo a qualsiasi Autore del passato o del presente, pure fosse un minimo sospiro. Questo il motivo per il quale i nostri scritti pubblicati sulla pagina Attualità abbondano di numerose citazioni tra parentesi, quelli sulla pagina Theologica di note a fondo di pagina o tra le righe del testo.

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Questo preambolo introduttivo giusto per cantare due antifone: la prima, ai vignaioli che dopo la vendemmia si guardano dal dire dove hanno raccolto i grappoli d’uva. La seconda, per scusarmi se cito appresso l’espressione di un Autore di cui al momento non riesco proprio a ricordare il nome, cosa questa che m’impedisce di dare la legittima paternità ad una frase non mia, che è la seguente: «I Sommi pontefici hanno deposta la tiara, i laici ed i teologi l’hanno indossata».

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Quando si avverte disagio, o un umano fastidio soggettivo, bisogna tenerselo, al limite parlarne in privato con chi può eventualmente aiutarci. Ciò non solo perché l’emotività non va pubblicizzata, ma perché non è opportuno né prudente farlo, meno ancora lo è di scaricare i propri eventuali disagi sugli altri, in modo del tutto particolare quando ― come per esempio chi scrive queste righe ―, si è chiamati per sacramento di grazia e per missione a essere guide e maestri, non seminatori di confusione. Quando invece il fastidio è oggettivo, poiché basato su pubblici dati di fatto, spesso dolorosi o anche pericolosi, in quel caso, manifestare fastidio, può essere un imperativo di coscienza seguito dall’obbligo di spiegare che cos’è giusto e che cos’è sbagliato, semmai anche ammaestrando quella fetta di Popolo di Dio resa accidiosa dai cattivi pastori a provare fastidio e disagio dinanzi a certi gravi problemi che investono la società civile ed ecclesiale. Il tutto con buona pace di quanti tentano di eliminare certi problemi alla radice dicendo: «Nessuno ha la verità in tasca». Frase che detta e poi letta in un certo modo porta di conseguenza a dire che in fondo, la verità, è opinabile, ma soprattutto relativa. Semmai è vero che nessuno possiede la verità, della quale siamo chiamati ad essere fedeli servitori e annunciatori, o come dice San Tommaso d’Aquino: «Non sei tu che possiedi la verità, ma è la verità che possiede te» [cf. De veritate]. Per questo motivo, svicolare da certe discussioni o risposte con la frase ambigua «Nessuno ha la verità in tasca», è affermazione di per sé falsa e pericolosa, posto che la Chiesa, che è una, santa, cattolica e apostolica, della verità è depositaria e custode, sicché, lungi dall’averla in tasca, ce l’ha comunque in custodia per volontà e per mandato divino. E noi, che certo non siamo i suoi padroni, siamo però suoi fedeli servitori, custodi e annunciatori. Quindi, chi questa verità la annuncia e la difende dall’errore, non è che agisca in tal modo perché con stile pelagiano o legalistico crede di averla in tasca, ma perché deve appunto servirla, difenderla e annunciarla. Nessuno che sia vero custode e annunciatore della verità può omettere di indicare e di condannare l’errore, perché nel mondo, assieme alla verità, sussiste anche quella anti-verità che sulla verità vuole imporsi, spesso anche in modo violento e distruttivo, ma soprattutto falso.

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QUEI LAICI INCOSCIENTI E LITIGIOSI CHE TUTTO RIDUCONO A UNO SCONTRO TRA PARTITO DEI CONSERVATORI E PARTITO DEI PROGRESSISTI

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La polemica in corso scatenata in questi giorni dall’Episcopato tedesco sulla concessione della Santa Comunione ai protestanti, è di una delicatezza fuori da ogni ordinario, perché ancora una volta, questi indomabili e irriducibili barbari, vanno a toccare al di là di Roma e al di sopra di Roma il cuore motore che anima l’intero Corpo Mistico che è la Chiesa: la Santissima Eucaristia. E dinanzi a questo problema, tutto quanto teologico ed ecclesiologico, oltre che canonico e disciplinare, i laiconi che si dimenano tra una rivista telematica e tra un blog e l’altro, stanno riducendo com’è nel loro stile tutta la questione ad un conflitto politico.

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Consapevole di parlare in tal senso ai sordi, ribadisco che certi grandi temi sono di natura teologica e dottrinale, affrontarli quindi con lo spirito tipico delle bagarre politiche, riducendo alla fine tutto ad una lotta tra il cosiddetto partito dei conservatori e quello dei progressisti, può solo favorire la de-sacralizzazione dei segni sacramentali e ridurre la Chiesa di Cristo ad un campo di battaglia sul quale si scontrano umori soggettivi animati alla base da pura ideologia, non rare volte anche dai disagi personali di certe persone che avrebbero bisogno di un bravo direttore spirituale, di un bravo confessore, ma talune volte anche di un bravo psichiatra.

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Questo porta inevitabilmente certi laici che si sono messi in testa la tiara deposta dai Sommi Pontefici, a recare danni ulteriori alla Chiesa e al Popolo di Dio, mai come oggi smarrito e confuso.

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QUEL GRANDE INGANNO TUTTO GIOCATO DAL PARA-CONCILIO E DAL POST-CONCILIO SU UN LINGUAGGIO NON PROPRIO FELICE ADOTTATO DAL CONCILIO VATICANO II

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Riassumiamo in breve la vexata quaestio tedesca per poi procedere con l’analisi del fatto stesso: la Conferenza episcopale tedesca ha discusso sulla possibilità di dare la Santa Comunione ai protestanti coniugati con cattolici, adottando in tal senso la tecnica del cosiddetto “salame a fette”. Infatti, ogni volta che nella Chiesa si sono concessi limitati indulti speciali ed altrettanti limitati permessi ad experimentum, queste concessioni sono poi divenute prassi, quasi sempre anche estese oltre tutti i limiti di quanto era stato concesso. Un esempio concreto tra i tanti che funga da paradigma? Presto detto: la riforma liturgica impressa nella Sacrosanctum Concilium [cf. testo QUI]. Si legga con cura questo testo e poi si faccia una valutazione: dove sono scritte, indicate e concesse tutte le aberrazioni liturgiche, molte delle quali rasenti il sacrilegio della Santissima Eucaristia, che da quattro decenni vediamo realizzate in molte delle nostre chiese per la nefasta opera di un esercito di esotici preti creativi? In quel testo non c’è traccia, men che meno legittimazione dei peggiori abusi liturgici ormai istituzionalizzati nel silenzio pavido dei vescovi che non vigilano, non proibiscono e non sanzionano i fautori di certe aberrazioni; semmai prendono in forte antipatia e rendono la vita amara a quei pochi preti che osano lamentare quanto ciò non vada bene e quanto sia dovere dei vescovi vigilare e stroncare certe pratiche diffuse nel clero. Se pertanto il testo di quella riforma non permette né concede ciò che oggi è sotto gli occhi di tutti dentro molte delle nostre chiese, da dove nasce il problema, o meglio l’inghippo? Nasce dal fatto che i documenti del Concilio Vaticano II ― come più volte ho spiegato [cf. per es. QUI] ― usano un linguaggio nuovo, il quale risente, per il forte influsso esercitato dai teologi teutonici, dello stile tipico del romanticismo tedesco decadente. A questo si aggiunga poi l’ottimismo del Sommo Pontefice Giovanni XXIII, convinto che non si deve sempre giudicare e condannare, ma piuttosto dialogare. Attraverso questo insieme di cose possiamo infine giungere a dei documenti che esprimono concetti profondi, validi ed utili, assieme a riforme urgenti e necessarie come ad esempio la Sacrosanctum Concilium, ma omettendo però di chiarire attraverso dei canoni precisi che cosa è giusto e che cosa è sbagliato, cosa è permesso e cosa è proibito, aggiungendo semmai anche sanzioni e pene per i trasgressori, il cosiddetto «Anathema sit», spesso usato nei documenti dei precedenti concilî, che non sono stati affatto meno concilî del meta-concilio Vaticano II, anche se a parere del tutto sconsiderato di molti teologi, con quest’ultima assise conciliare pare nascere finalmente d’improvviso, dopo duemila anni di storia, la Chiesa Cattolica.

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La certezza e la chiarezza della dottrina e delle leggi canoniche, non è solo tutela del deposito della fede, della verità e quindi della dottrina stessa, ma anche preziosa tutela per i ministri in sacris ed i Christi fideles, al fine di scongiurare quei generi di ingiustizie e di abusi che prendono quasi sempre vita dalla scarsa mancanza di chiarezza. Quando infatti risuona il “rivoluzionario” grido «basta con questo legalismo, con questa durezza dottrinale, con questo “culto” delle leggi canoniche!», finisce sempre col venir meno sia la certezza della legge eretta anche a tutela dei membri del Corpo della Chiesa, sia la chiara definizione dottrinale di che cosa è lecito e illecito, giusto e sbagliato, di che cosa è la verità e per contro che cosa invece è falso ed erroneo. A quel punto, quando la mancanza di chiarezza lascia spazio all’ambiguità, ecco che i ministri in sacris per un verso ed i Christi fideles per altro verso, finiranno col divenire sofferenti vittime del libero arbitrio di chi riesce a fare la voce più grossa e imporsi in modo dispotico.

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SIN DOVE POSSONO GIUNGERE GLI ASSASSINI DELLA FIDES CATHOLICA? SINO A BEATIFICARE E CANONIZZARE I PONTEFICI DI CUI LORO STESSI HANNO DISTRUTTO IL MAGISTERO

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I capocomici di questo terribile teatro hanno avuto tra l’altro bisogno di beatificare e poi canonizzare tutti i Sommi Pontefici del post-concilio. Ma si presti bene attenzione: non perché ad essi interessi nulla la elevazione di questi Pontefici alle glorie degli altari, ma perché attraverso di essi hanno voluto dogmatizzare e infine canonizzare il para-concilio e poi il post-concilio. E tutto questo lo hanno fatto con uno spirito delinquenziale diabolico, perché gli stessi che hanno voluto a tutti i costi Beati e Santi questi Sommi Pontefici, sono poi gli stessi che stanno mettendo in discussione la Humanae Vitae dell’imminente Santo Paolo VI; sono gli stessi che hanno distrutto nel corso degli ultimi cinque anni il magistero di San Giovanni Paolo II, non esitando a definire la Familiaris Consortio come un documento datato, superato, ma soprattutto frutto della sessuofobia insita nel rigore morale di questo Sommo Pontefice. Eppure, proprio quanti di ciò sono convinti, insegnando e agendo di conseguenza, ma soprattutto minando e distruggendo il magistero di questi Beati e Santi Pontefici, hanno voluto a tutti i costi canonizzare in tempi record Giovanni Paolo II, anziché attendere per lui come per gli altri suoi Predecessori, come la prudenza della Chiesa imponeva una volta, trent’anni dalla morte, prima di aprire un lungo processo, giungendo infine, non prima di mezzo secolo dopo la loro morte, alla prima tappa della loro beatificazione.

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È con ciò chiarito a qual genere di pericolosi e distruttivi delinquenti siamo finiti in mano? È quindi chiaro in che modo, questi pericolosi e distruttivi delinquenti, stiano seminando danni gravissimi nella Chiesa, favorendone la peggiore decadenza ed auto-distruzione interna, dopo avere sostituito il linguaggio chiaro e certo con la “speranza poetica”, sostituendo infine la tanto disprezzata “dura e rigorosa legge”, con il loro personale e libero arbitrio tirannico?

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È nel complesso contesto ormai vecchio di cinquant’anni di questo linguaggio debole, incerto, all’apparenza permissivo e aperto a tutte le più disparate ipotesi, che bisogna leggere il recente caso dei Vescovi della Germania, altro che inscenare scontri politici tra il partito dei conservatori ed il partito dei progressisti, come fanno i laici cosiddetti impegnati che si sono messi in testa la tiara deposta dei Sommi Pontefici.

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Da tutto questo nasce la cosiddetta “tecnica del salame”, di cui è concessa una fetta, ma che successivamente, una fetta dietro l’altra, è affettato e preso tutto. Lo stesso vale per la reiterata proposta peregrina sulla quale preme uno dei massimi distruttori della Chiesa del Brasile e come tale tra i principali responsabili della incontenibile emorragia dei suoi fedeli, il Cardinale Clàudio Hummes, che preme per avere ― ovviamente ad experimentum ― i viri probati sposati ordinati sacerdoti per la regione del Rio delle Amazzoni dove c’è grandissima penuria di clero. Dico allora per ipotesi: concediamo pure l’experimentum, per vedere poi in breve come le Amazzoni diventeranno anche il Belgio, l’Olanda, la Germania, la Francia e via dicendo a seguire.

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I VESCOVI DELLA GERMANIA HANNO DISCUSSO SU CIÒ SUL QUALE NON C’È PROPRIO MOTIVO DI DISCUTERE, MENTRE IL CARDINALE REINHARD MARX GIOCA ALLA VERGINE VESTALE

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Dei ventisette membri che compongono la Conferenza Episcopale della Germania, più l’Ordinario dell’Esarcato di Germania e Scandinavia e l’Ordinariato Militare, per un totale di ventinove vescovi diocesani, ai quali si uniscono un totale di quarantuno vescovi ausiliari assegnati ai titolari delle cattedre episcopali di queste ventisette diocesi, sette vescovi diocesani in totale hanno inviato una lettera al Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, S.E. Mons. Luis Francisco Ladaria Ferrer, ed al Presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, Sua Em.za il Cardinale Kurt Koch. I firmatari del quesito inviato a Roma sono Sua Em.za il Cardinale Rainer Maria Woelki, Arcivescovo metropolita di Colonia [cf. QUI], seguito dalle Loro Eccellenze Rev.me Ludwig Schick, Arcivescovo metropolita di Bamberga [cf. QUI]; Konrad Zdarsa, Vescovo di Augsburgo [cf. QUI]; Gregor Maria Hanke, Vescovo di Eichstätt [cf. QUI]; Stefan Oster, Vescovo di Passau [cf. QUI]; Rudolf Voderholzer, Vescovo di Ratisbona [cf. QUI]; Wolfgang Ipolt, Vescovo di Görlitz [cf. QUI].

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La richiesta di chiarimenti indirizzata a Roma dai sette vescovi verte su un quesito ineccepibile: «Una decisione simile, può essere discussa da una singola conferenza episcopale?». La risposta, che non è né giornalistica né confinabile tra le laiche dispute di partito, è più semplice di quanto s’immagini. Infatti, i sette vescovi che il quesito l’hanno posto, la risposta al quesito stesso la conoscono molto bene: una singola conferenza episcopale, un argomento del genere non può neppure osare affrontarlo. Cosa questa sfuggita a tutti i giornalisti ed a tutti i laici con la tiara in testa che si sono tuffati a pesce a commentare questa vicenda da loro ridotta a succulenta “lotta di partito”.

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A quel punto, Sua Em.za il Cardinale Reinhard Marx, Arcivescovo metropolita di Monaco di Baviera e Presidente della Conferenza Episcopale della Germania, calandosi nel ruolo della vergine vestale ― ruolo che peraltro ben poco si addice alla sua figura fisica, che richiama più un birraio obeso della Baviera anziché un Principe della Chiesa ―, osa persino ribattere il 4 aprile in questi termini: «Sono sorpreso dall’iniziativa [Nrd. dei sette vescovi tedeschi], perché il sussidio pastorale discusso a febbraio dall’assemblea dei Vescovi della Germania era soltanto una bozza e non un testo definitivo».

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La risposta, per i molti che purtroppo non l’hanno intesa né capita, altri presa invece forse persino per buona, va letta in tre delicate ottiche legate ai fondamenti della ecclesiologia, ai fondamenti della dogmatica sacramentaria, ai fondamenti del diritto canonico. E sulla base di questi tre fondamenti, la incauta Vergine Vestale Bavarese dovrebbe sapere che loro non dovevano neppure osare, di discutere una cosa simile, tanto più se intendevano poi mutarla in una eventuale proposta indecente rivolta alla Santa Sede, se non peggio, in una vera e propria ratifica dell’Episcopato della Germania, al quale prima a causa di Martin Lutero, poi secoli dopo a causa del para-concilio e del post-concilio, non sempre è chiaro che loro sono cattolici solo nella misura in cui sono con Roma e soprattutto sotto Roma. E di questi tempi, a parlare a certe vergini vestali teutoniche del concetto «con Roma» e soprattutto «sotto Roma», si corre il rischio di far saltare via la polvere dalla loro superficie per far emergere immediatamente il luterano romanofobo che si nasconde sotto.

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La Vergine Vestale Bavarese, dovrebbe anzitutto sapere che per dei Vescovi riuniti in assemblea non è lecito discutere ― per fare un esempio concreto ― sulla legittimità del sacerdozio femminile, perché un simile tema non può essere oggetto di discussione, trattandosi di un argomento che è stato chiuso una volta e per sempre attraverso un preciso documento [cf. Ordinatio Sacerdotalis, testo QUI] che si esprime in modo definitivo, cosa questa che implica il ricorso al secondo grado della infallibilità del Romano Pontefice, la quale si esprime mediante tre diversi gradi, in modo sia definitorio sia definitivo [cf. Ad tuendam fidem, § 2, testo QUI]. Così come non si può discutere sulla eventuale legittimità dell’aborto in certi particolari e ristretti casi, altrettanto vale per l’eutanasia, per la liceità dell’adulterio e via dicendo a seguire. Sempre per fare degli esempi concreti: i vescovi di nessuna conferenza nazionale possono riunirsi per discutere se è il caso o no di unire in matrimonio coppie dello stesso sesso, perché la discussione non ha proprio motivo di esistere, perché nulla c’è da discutere. Come non è lecito discutere se sarebbe il caso di riformulare meglio il dogma della immacolata concezione della Beata Vergine Maria o della sua assunzione al cielo in anima e corpo, perché chi ha formulato quei dogmi, li ha formulati bene; e dogmatizzando questi due misteri della fede, ha chiuso ogni possibile discussione futura, persino per l’irrequieto episcopato tedesco e per i grandi periti tedeschi insidiatisi come un cancro nel Concilio Vaticano II, all’interno del quale, non avendo potuto giocare sulla sostanza delle dottrine, hanno giocato sullo stile del linguaggio. E sul momento nessuno se ne accorse, nessuno capì che il linguaggio ambivalente e non deciso, dove da una parte si esorta e dall’altra non si minaccia di pena chi trasgredisce, sarebbe stata la gran porta di accesso per la grande de-costruzione futura generata da un caos senza precedenti, basato sulla distruzione della legittima autorità apostolica e sull’imposizione al suo posto dell’autoritarismo dei teologi di bandiera e dei laici con la tiara in testa.

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E sia detto per inciso che certi laici ai quali non è proprio chiaro il loro ruolo all’interno della Chiesa, sono nati da quei movimenti che proprio sotto gli occhi del Beato Paolo VI e di San Giovanni Paolo II hanno finito col dar vita a delle vere e proprie chiese dentro la Chiesa, con tanto di proprie liturgie e di propri catechismi, diffondendo un’idea errata e sovente ereticale basata sulla non lieve confusione che costoro fanno sul sacerdozio comune dei fedeli acquisito col Battesimo, ed il sacerdozio ministeriale acquisito con l’Ordine Sacro; e qui mi riferisco ai neocatecumenali. Per non parlare poi della pneumatologia di certi laici auto-elettisi delegati personali dello Spirito Santo, ai quali non è facile chiarire che i carismi elargiti dalla grazia divina, sono tali solo se riconosciuti e soprattutto regolamentati dalla Chiesa, quindi esercitati nella Chiesa, per la Chiesa e sotto il vigile controllo della Chiesa; e qui mi riferisco a certe frange dei carismatici e del Rinnovamento nello Spirito Santo. Tutto questo ha prodotto nella Chiesa ciò che molto bene spiegò a suo tempo il Venerabile Pontefice Benedetto XVI lamentando la «clericalizzazione dei laici e la laicizzazione del clero». Ebbene, erano forse questi i frutti sperati e auspicati dal Concilio Vaticano II che ha affrontato il discorso sulla missione dei laici nella Chiesa? Se infatti leggiamo il decreto sull’apostolato dei laici nella Chiesa, tra le sue righe non vi troveremo nulla che possa legittimare solo lontanamente certe follie messe in piedi da Kiko Arguello e Carmen Hernandez o da certe frange carismatiche [cf. Apostolicam actuositatem, testo QUI]. Da dove nascono, dunque, certi “mostri”? Presto detto: dal para-concilio e dal post-concilio dei grandi “interpreti” e “attuatori”. Inutile dire che se agli inizi del suo pontificato, San Giovanni Paolo II, verso questi fenomeni in stato degenerativo già da un decennio, avesse usata la stessa chiarezza e severità usata verso chi favoriva la distribuzione dei contraccettivi nei Paesi del continente africano, non saremmo mai giunti cinquant’anni dopo alla attuale situazione odierna al di fuori di ogni controllo, con numeri sempre più elevati di parroci che chiedono ai vescovi di essere rimossi da parrocchie nelle quali gruppi di laici hanno completamente occupata da alcuni decenni la scena, imponendo ai sacerdoti le direttive liturgiche, catechistiche e pastorali, salvo rendergli la vita un inferno se osano sollevare obiezioni; e le più agguerrite e terribili sono le donne, dette anche le pretesse. Il tutto con un’aggravante non certo lieve: sotto il pontificato di San Giovanni Paolo II, a questi movimenti è stato persino permesso di aprire seminari e di formare futuri sacerdoti, che in genere non sono poi i sacerdoti del vescovo, ma i sacerdoti del movimento, formati secondo i criteri del movimento, non di rado formati persino da dei laici, ed obbedienti di fatto non al vescovo, ma al movimento. 

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Eh, ci si fosse occupati un po’ meno dei preservativi e un po’ di più di quanto veniva innescato a livello degenerativo all’interno della Chiesa!

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GIOCARE SULLE SFUMATURE SEMANTICHE È UNA VECCHIA TECNICA DEI TEDESCHI CHE HA RECATO GRANDI E GRAVI DANNI ALLA CHIESA UNIVERSALE

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Se non fosse stato per alcuni attenti teologi, tra i quali il Cardinale Alfredo Ottaviani, sarebbe stata fatta passare con delicate sfumature semantiche la cosiddetta “collegialità selvaggia” nella costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium, in aperta rottura con tutto il precedente magistero e con la tradizione stessa della Chiesa, mutando così Pietro, detentore per divino mandato di un primato assoluto, in un primus inter pares [il primo tra i propri stessi pari]. Scoperto l’inghippo per tempo, nel testo di Lumen Gentium furono così inseriti i numeri 22-24. In seguito, nel Catechismo della Chiesa Cattolica, al n. 883 fu impresso: «Il Collegio o Corpo dei Vescovi non ha autorità, se non lo si concepisce insieme con il Romano Pontefice […] quale suo capo» Come tale, questo Collegio «è pure soggetto di suprema e piena potestà su tutta la Chiesa: potestà che non può essere esercitata se non con il consenso del Romano Pontefice».

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Tutto ciò che fu architettato durante il para-concilio, seppure mai assimilato e ratificato dal Concilio Vaticano II, è stato però realizzato nel post-concilio dei grandi “interpreti” e “attuatori”, compresa la pretesa di esercitare una “collegialità selvaggia” in aperto sprezzo a tutto il precedente magistero, alla tradizione della Chiesa, ed al magistero dello stesso Concilio Vaticano II.

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Il Cardinale Reinhard Marx, ha quindi chiaro in sé il mistero eucaristico e l’Eucaristia come «Nucleo del mistero della Chiesa»? [cf. Ecclesia de Eucharistia, testo QUI]. Gli atti del magistero sono infatti chiari nell’affermare: «l’Eucaristia stabilisce obiettivamente un forte legame di unità tra la Chiesa Cattolica e le Chiese ortodosse, che hanno conservato la genuina e integra natura del mistero dell’Eucaristia. Al tempo stesso, il rilievo dato al carattere ecclesiale dell’Eucaristia può diventare elemento privilegiato nel dialogo anche con le Comunità nate dalla Riforma» [cf. Sacramentum caritatis, testo QUI]. Ebbene, leggendo queste parole, che cosa intende il Cardinale Reinhard Marx? Riesce a cogliere che mentre quelle Ortodosse sono indicate come «Chiese» separate, le aggregazioni nate dallo scisma luterano sono invece indicate come «Comunità»? È chiara al Cardinale Reinhard Marx la differenza abissale che corre per noi cattolici tra ortodossi e protestanti? Gli ortodossi, separatisi da Roma per la “sfumatura” del filioque inserita nel Simbolo di fede Niceno-Costantinopolitano, hanno la successione apostolica e professano nella sostanza la nostra stessa fede, al di là di riti diversi nella loro forma accidentale esterna ed al di là di varie “sfumature”. I protestanti, che conservano al proprio interno un indubbio patrimonio cristiano, non sono separati da noi per delle accidentalità esterne o per delle “sfumature”, ma lo sono nella profonda sostanza dei Sacramenti e del modo stesso di concepire la Chiesa, di leggere e di annunciare il Santo Vangelo. Inoltre, i protestanti, non riconoscono il primato di Pietro sulla Chiesa universale e la sua potestà piena e assoluta, non riconoscono il Sacerdozio ministeriale, non riconoscono la transustanziazione e la presenza reale di Cristo nella Santissima Eucaristia. O pensa forse, il Cardinale Reinhard Marx, che tutte queste siano solo sfumature semantiche? Se però il Presidente dei Vescovi della Germania ha qualche lacuna, in tal caso, invece di perdere tempo e forse anche la fede cattolica in certe facoltà teologiche della Germania, potrebbe sempre rivolgersi ad una delle nostre brave suore missionarie che con poche, brevi e semplici parole preparano i fanciulli alla Prima Comunione nei più sperduti villaggi del continente africano; e che trasmettono la purezza della fede ai Christi fideles sicuramente molto meglio di certi tronfi dottoroni delle disastrate facoltà teologiche tedesche.

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Nella Santissima Eucaristia si è chiamati a essere perfetti nell’unità [cf. Gv 17, 20-26], non nella frammentaria diversità delle molteplici pseudo-chiese, perché il Verbo di Dio ha fondato una sola e vera Chiesa affidata a Pietro coadiuvato dal Collegio degli Apostoli [cf. Mt 13, 16-20]. Peraltro mi risulta che anche in Germania si reciti nella Professione di Fede: « … die eine, heilige, katholische und apostolische Kirche». E in lingua tedesca, se non erro «die eine» seguita a significare “una”, “la sola”, “la unica”. Questo per ricordare che un Martin Lutero distruttore dell’unità e della comunione, non era in programma ieri e non può divenire emblema del “buon riformatore” neppure oggi. Pertanto, se alcuni suoi seguaci sposati con un coniuge cattolico anelano ricevere la Santissima Eucaristia, prima devono avere chiaro che cosa è sostanzialmente e realmente l’Eucaristia, poi devono intraprendere un ciclo di adeguata catechesi, infine abbandonare gli errori dell’eresiarca Lutero e dei suoi seguaci ed entrare con un sincero atto di fede nella comunione cattolica. Solo allora, potranno ricevere la Santissima Eucaristia, che ricordiamo è un dono gratuito come tutte le azioni di grazia, non è un “diritto politico”.

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Occorreva forse un prete e teologo italiano per ricordare ai membri dell’episcopato tedesco ricolmi di dottorati, ed al contempo clinicamente affetti a livello antropologico dal complesso del genio e dal complesso della razza culturalmente superiore, quelli che sono i basilari rudimenti del Catechismo della Chiesa Cattolica che di fatto essi hanno mostrato di non conoscere con la concretezza del loro discutere e agire?

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COME TESTIMONE OCULARE IO VI DICO: I VESCOVI TEDESCHI HANNO TENTATO DI UFFICIALIZZARE CIÒ CHE DA MOLTO TEMPO FANNO IN TOTALE SPREZZO AL MAGISTERO DELLA CHIESA ED ALLE LEGGI CANONICHE

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In passato ho soggiornato per molti mesi in Germania e per diverso tempo nella Arcidiocesi di Monaco di Baviera, già retta all’epoca dall’Arcivescovo Reinhard Marx, creato poi Cardinale alcuni anni dopo dal Sommo Pontefice Benedetto XVI. Sono quindi testimone oculare di tutti i loro aberranti abusi, ai quali ho assistito ed ai quali più volte mi rifiutai di partecipare. Vi offrirò allora alcuni esempi, peraltro già riportati in un mio libro del 2011 in fase di ristampa. Partiamo proprio dall’Eucaristia: in totale sprezzo a quanto dispone in modo chiaro la Istruzione Redmptionis Sacramentum [cf. testo QUI], presso l’Abbazia di Sankt Bonifaz dove ero ospite, nel cuore della Capitale bavarese, rimasi sconcertato nel vedere le persone che prendevano l’Eucaristia con le proprie stesse mani e la intingevano nel calice del Prezioso Sangue di Cristo, noncuranti del fatto che nel qui citato documento, al n. 104 si impone: «Non si permetta al comunicando di intingere da sé l’ostia nel calice». Sempre nella chiesa di questa abbazia, ho visto una donna, dopo la Santa Comunione dei fedeli, purificare all’altare i vasi sacri ed un laico deporre il Santissimo Sacramento nel tabernacolo, mentre i sacerdoti concelebranti stavano seduti sul presbiterio. E ancora: ho visto, nelle chiese dell’Arcidiocesi del Cardinale Reinhard Marx, donne che di fatto svolgevano le funzioni del diacono, ho visto laici proclamare il Santo Vangelo durante le Sante Messe, ed una volta, durante una concelebrazione, dopo che un laico aveva proclamato il Vangelo, ho visto salire sul presbiterio una donna vestita con una strana toga nera che comincia a fare l’omelia. Quando al confratello seduto accanto a me, mormorai: «Ma questa chi è … che cosa fa?». Lui mi rispose: «È una vescovessa luterana, ogni tanto noi facciamo questi scambi ecumenici». A quel punto mi alzai in piedi, mi tolsi la stola dal collo, la deposi sulla sedia e me ne andai via dinanzi a tutta l’assemblea». Quando poi, dopo la Santa Messa, agli altri sacerdoti fu chiesto perché quel prete straniero se ne fosse andato via, loro risposero: «Ah, non fateci caso, è un prete romano, gente chiusa!».

Non potendo sottostare a certi abusi, visto che dov’ero ospite non mi permettevano di celebrare la Santa Messa in privato dentro qualche cappella, poiché dovevo stare all’obbligo delle concelebrazioni coatte e sorbirmi tutti i loro peggiori abusi, grazie ai buoni uffici di due anziani gesuiti di Roma mi recai presso la facoltà di filosofia dei Gesuiti di Monaco di Baviera dove mi misero a disposizione una delle loro diverse cappelle per poter celebrare la Santa Messa.

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Uno dei miei problemi principali era anche e soprattutto legato alla Santissima Eucaristia, perché era uso diffuso nelle parrocchie bavaresi che i protestanti, coniugi o compagni divorziati uniti in seconde nozze a dei cattolici, andassero tranquillamente a ricevere la Comunione. Tutto questo per chiarire, a quella Roma specializzata nel far finta di non sapere e di non conoscere, che il Cardinale Reinhard Marx e l’assemblea dei Vescovi della Germania, ad eccezione di sette che hanno sollevato un quesito alla Santa Sede, hanno semplicemente tentato di “ratificare” e quindi di “legalizzare” e “ufficializzare” quello che di fatto già fanno da molti anni. Tutto questo mentre Roma prosegue a far finta di non sapere e di non conoscere, impegnata com’è oggi a parlare solo di due fondamentali misteri della fede: i profughi ed i migranti.

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PIETRO SI LAVA LE MANI COME PONZIO PILATO DICENDO: «CERCATE DI METTERVI D’ACCORDO TRA DI VOI»

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E così, i primi di maggio, una delegazione di Vescovi della Germania si è incontrata con S.E. Mons. Luis Francisco Ladaria Ferrer, Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. La delegazione era composta dalle Loro Eminenze il Cardinale Reinhard Marx, Arcivescovo metropolita di Monaco di Baviera e presidente della Conferenza Episcopale Tedesca, il Cardinale Rainer Maria Woelki, Arcivescovo metropolita di Colonia, Le Loro Eccellenze Rev.me Felix Genn, Vescovo di Münster, Karl-Heinz Wiesemann, Vescovo di Speyer, Rudolf Voderholzer, Vescovo di Regensburg, Gerhard Feige, Vescovo di Magdeburg, Padre Hans Langendoerfer S.J. nella sua qualità di Segretario della Conferenza Episcopale della Germania.

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Questo incontro si è concluso in un nulla di fatto olezzante indecenza, attraverso il quale si capisce in che misura sotto questo pontificato Roma non sia più cuore della Chiesa mater et magistra, ma solo un’annoiata e impotente spettatrice. Infatti, il Sommo Pontefice Francesco I, lungi dal dare o far dare una risposta su una questione che tocca il cuore della Chiesa e il centro della sua unità, ha fatto rispondere di apprezzare «l’impegno ecumenico dei vescovi tedeschi e chiede loro di trovare, in spirito di comunione ecclesiale, un risultato possibilmente unanime» [cf. QUI, QUI]. Insomma, li ha rispediti a casa dopo avergli detto nella chiara sostanza: «Cercate di mettervi d’accordo tra di voi in modo unanime» (!?).

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Inutile porsi una domanda, anche se purtroppo debbo porla: se i Vescovi della Germania si fossero trovati in disaccordo sulle questioni chiave che ossessionano questo pontificato, vale a dire profughi e migranti, il Sommo Pontefice, avrebbe tardato a dare una chiara e precisa risposta, semmai pure condita con una delle sue acidule battute contro quanti sono a suo dire variamente “duri di cuore”?

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Credo che a distanza di due millenni, noi non possiamo permetterci “il lusso” di rispondere a Gesù Cristo con lo stesso quesito di Ponzio Pilato:

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«[…]”sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chi appartiene alla verità ascolta la mia voce”. Ma Pilato risponde a Gesù: “E che cos’è la verita?”» [Gv 18, 37-38]. 

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Mentre la casa brucia e tutto quanto crolla, mentre i laici che hanno indossata sulle loro teste la tiara deposta dai Sommi Pontefici e mentre diversi giornalisti improvvisatisi ecclesiologi, teologi e canonisti, riducono tutto a uno scontro tra il partito dei conservatori ed il partito dei progressisti, noi prendiamo atto che il Successore di Pietro, proprio come Ponzio Pilato, dopo essersi chiesto «ma che cos’è la verità?», ha risposto ai Vescovi della Germania dicendo loro: «E adesso, cercate di mettervi d’accordo tra di voi in modo unanime» (!?).

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Qualora i Vescovi della Germania, in modo unanime dovessero mettersi d’accordo nel dare la Santa Comunione ai protestanti, che cosa accadrà domani, se un’altra conferenza episcopale, in modo altrettanto unanime, deciderà di unire in matrimonio le coppie omosessuali? Cosa accadrà se un’altra, all’unanimità, deciderà che è lecito abortire il feto di un bimbo riscontrato affetto da malformazione, non reputando giusto mettere al mondo una creatura affetta da imperfezioni? Cosa accadrà se un’altra, all’unanimità, deciderà che è un autentico atto di carità porre fine alla vita di un ammalato terminale che soffre e che non ha alcuna speranza di vita? Da quando, l’unanimità, è garanzia di sana dottrina e di profondo ossequio alla verità rivelata? Questi sono i quesiti ai quali, S.E. Mons. Luis Francisco Ladaria Ferrer, che ha parlato a nome del Sommo Pontefice alla delegazione di Vescovi tedeschi, dovrebbe rispondere a tutti noi; e dovrebbe farlo proprio nella sua qualità di Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, ben sapendo che nel IV secolo, la maggioranza dei vescovi, avevano accolta l’eresia ariana. Come mai, in quel caso, la maggioranza assoluta non costituì affatto garanzia di verità in ossequio al mistero della Rivelazione? Ecco, questo ce lo deve spiegare il Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede.

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Questi sono i fatti, non si tratta di opinioni umorali dettate da chissà quali istinti di simpatia, antipatia o peggio di chiusura al ragionamento. E dinanzi al dato di fatto oggettivo, costituito da Pietro che si lava le mani come Pilato, ritengo di non avere proprio più altro da aggiungere, perché mi guardo bene dal dire di meno, ma soprattutto, ed in specie quando si tratta di Pietro, evito soprattutto di dire di più del dovuto.

Dall’Isola di Patmos, 5 maggio 2018

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