Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

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Padre Giovanni

È più simpatico il Colonnello Gheddafi o il Cardinale Kasper che offende l’Eucaristia e approva le eresie di Lutero?

 — Attualità ecclesiale —

È PIÙ SIMPATICO IL COLONNELLO GHEDDAFI  O IL CARDINALE KASPER CHE OFFENDE L’EUCARISTIA E APPROVA LE ERESIE DI LUTERO?

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La questione del permesso della Comunione ai protestanti è effettivamente di competenza del Diritto Canonico, ma la materia è vincolata dalla dogmatica sacramentaria e dall’ecclesiologia, mentre il Cardinale Walter Kasper purtroppo non tiene conto di questi vincoli di non poco conto, finendo con l’avallare le eresie luterane.

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Autore
Giovanni Cavalcoli, O.P.

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il Colonnello Mu’ammar Gheddafi [1942 – 2011] leader della Libia

L’Agenzia stampa Vatican Insider riporta un’intervista realizzata da Andrea Tornielli al Cardinale Walter Kasper sulla questione della liceità della Comunione Eucaristica ai Luterani [vedere intervista, QUI]. In questione non è l’intervistatore, ma l’intervistato. Pertanto, chi stimmatizza Andrea Tornielli, come sta accadendo, commette un grave errore. Sarebbe infatti come accusare Oriana Fallaci di avere intervistato il Colonnello Gheddafi nel 1979, in una intervista memorabile rimasta nella storia del giornalismo. La Fallaci, fece solo il proprio lavoro [Vedere testo, QUI]. O come mi diceva poc’anzi il Padre Ariel S. Levi di Gualdo: «Sarebbe come se io, chiamato prima della sua morte al capezzale di un serial killer, mi rifiutassi di confessarlo». Poi, chi tra i due, il Cardinale Kasper e il Colonnello Gheddafi, sia più simpatico e meno pericoloso, questa non è cosa che riguarda ad alcun titolo questo articolo. Lasciamo assegnare il premio della simpatia ai Lettori, visto che oggi, più che mai, l’immaginazione del grottesco pare davvero andata al potere.

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Abbiamo già motivato in altri nostri scritti l’insegnamento e le direttive della Chiesa su questo delicato tema del sacramento dell’Eucaristia e della sua amministrazione, che, come dice San Giovanni Paolo II nell’enciclica Ecclesia de Eucharistia del 1993: «racchiude in sintesi il nucleo del mistero della Chiesa» [n.1]; l’Eucaristia «edifica la Chiesa» [c. II] ed è «il culmine di tutti i sacramenti nel portare a perfezione la comunione con Dio Padre mediante la conformità col Figlio Unigenito per opera dello Spirito Santo» [n. 34].

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È il principio generatore e propulsore, il vertice e il culmine della vita della Chiesa, in se stessa e nei singoli credenti, la ragione d’essere della sua esistenza, che dà forma alla sua essenza. È il vincolo d’amore che unisce Cristo alla sua Sposa, è l’alimento del Corpo Mistico di Cristo.

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Essa genera l’unità nella varietà; l’obbedienza nella libertà, la carità nella verità. Unisce i fratelli tra di loro e con Dio; unisce i pastori col gregge; unisce il gregge a Pietro e Pietro a Cristo. Contiene tutti i misteri della fede, tutto il tesoro dei doni dello Spirito, tutta la sorgente e la forza delle virtù e i segreti della santità. Spinge continuamente al progresso e alla riforma; dona il fervore della carità; tiene saldi nella perseveranza e nella fedeltà. Fa pregustare la gloria futura ed è pegno della vita eterna. Va assunta con devozione, retta intenzione, fede sincera ed integra, piena comunione ecclesiale, col proprio Vescovo e col Sommo  Pontefice [Ecclesia de Eucharistia, n.39], con la coscienza preparata e purificata dal peccato.

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Il Cardinale Kasper sostiene che la concessione del permesso della Comunione ai luterani è contenuta sia nel Decreto Unitatis Redintegratio del Concilio Vaticano II, sia in due encicliche di San Giovanni Paolo II. Ora, se leggiamo questi documenti, noteremo che essi sono conformi al dettato del Diritto Canonico [Can. 844 § 3-4], che ho citato e commentato in un mio precedente articolo.

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Quanto al documento conciliare, esso recita così:

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«Questa communicatio è regolata soprattutto da due principi: esprimere l’unità della Chiesa; far partecipare ai mezzi della grazia».

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Osservo che si tratta di due princìpi in tensione fra di loro, che pertanto vanno prudentemente collegati: il primo si preoccupa della Comunione con la Chiesa; il secondo bada alla salvezza  del credente. Il primo è più attento al foro esterno; il secondo, al foro interno. Nel primo è accentuata la giustizia; nel secondo, la misericordia.

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In questa materia, come rileva il Diritto Canonico, funziona l’autorità pastorale della Conferenza Episcopale o del singolo Vescovo diocesano. Il Decreto infatti precisa:

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«Circa il modo concreto di agire, avuto riguardo a tutte le circostanze di tempo, di luogo, di persone, decida prudentemente l’autorità episcopale del luogo». 

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Il Diritto concede che la Chiesa vada incontro alle richieste dei fratelli separati solo in casi di grave urgenza. Non è affatto contemplato il caso che il richiedente sia il coniuge non-cattolico. Infatti, la situazione del luterano in pericolo di morte, coniuge o non coniuge, prevista dal Diritto, è imparagonabile con quella del coniuge luterano in buona salute. Il primo, come si suppone, è in procinto di dover render conto a Dio della sua vita, mentre si suppone che il secondo abbia tempo e modo per istruirsi e correggersi sul sacramento dell’Eucaristia e di ravvedersi della precedente condotta di luterano.

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il Cardinale Kasper cita i testi delle due encicliche di Giovanni  Paolo II e dice:

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«Ut unum sint [1995] e Ecclesia de Eucharistia [2003] hanno formulato una posizione più avanzata che può essere la norma interpretativa del canone in piena sintonia con il Concilio Vaticano II. Nella prima delle due encicliche di San Giovanni Paolo II, al numero 24 [1] leggiamo: «È motivo di gioia ricordare che i ministri cattolici possano, in determinati casi particolari, amministrare i sacramenti dell’Eucaristia, della Penitenza, dell’Unzione degli infermi ad altri cristiani che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica, ma che desiderano ardentemente riceverli, li domandano liberamente, e manifestano la fede che la Chiesa cattolica confessa in questi Sacramenti».

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Mentre nella seconda enciclica dello stesso Pontefice, al numero 45, leggiamo: «Se in nessun caso è legittima la concelebrazione in mancanza della piena comunione, non accade lo stesso rispetto all’amministrazione dell’Eucaristia, in circostanze speciali, a singole persone appartenenti a Chiese o Comunità ecclesiali non in piena comunione con la Chiesa cattolica. In questo caso, infatti, l’obiettivo è di provvedere a un grave bisogno spirituale per l’eterna salvezza di singoli fedeli». 

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E il Cardinale commenta:

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«Le due encicliche insistono molto sull’adesione della parte protestante alla dottrina cattolica sull’eucaristia, cioè sul manifestare “la fede che la Chiesa cattolica confessaˮ, per citare lo stesso Giovanni Paolo II. Questo mi sembra molto importante, perché i sacramenti sono sacramenti della fede. Per un vero luterano, che si basa sugli scritti confessionali, la presenza reale di Cristo nell’eucaristia è ovvia […] Certo non si può richiedere a un protestante quanto si richiede normalmente ad un cattolico. Basta credere: “Questo è (est) il corpo di Cristo, dato per te”. Su questo anche Lutero ha molto insistito. Le dottrine più sviluppate sulla transustanziazione o consustanziazione, anche un fedele cattolico “normale” non le conosce…». 

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Confutazione degli errori del Cardinale Kasper

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Il Cardinale cade in un pauroso vuoto d’aria, infatti, se «non si può richiedere da un protestante quanto si richiede normalmente da un cattolico», allora bisogna dire francamente a questo protestante che non può accedere alla Comunione. Poi, l’aereo, addirittura precipita:

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«Basta credere: “Questo è (est) il corpo di Cristo, dato per te”. Su questo anche Lutero ha molto insistito. Le dottrine più sviluppate sulla transustanziazione o consustanziazione, anche un fedele cattolico “normale” non le conosce». 

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Ma credere a che cosa? Un cattolico che non conosce e accetta il dogma della transustanziazione non è un cattolico «normale», ma è cattolico ignorante, che va urgentemente istruito, affinché non cada nell’eresia e non gli capiti, come avverte San Paolo, di mangiare indegnamente il corpo del Signore, ossia di non riconoscerlo e quindi di «mangiare la propria condanna» [I Cor 11,29]. In ogni caso, se come dice il Cardinale, il protestante crede veramente alle parole «questo è il corpo del Signore», pronunciate dal sacerdote nella Messa, allora vorrà dire che crede nella transustanziazione. E se ci crede, non può seguitare a mantenere la fede luterana, dovrebbe dire: «in questo pane c’è il Signore». Ma allora vorrà dire che si è convertito al cattolicesimo.

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 Aggiunge poi il Cardinale Kasper:

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«Se queste persone, in un contesto abbastanza secolarizzato, sono dei veri fedeli che credono e sono uniti nello stesso battesimo e pertanto fanno parte dell’unica Chiesa di Cristo (anche se non in piena comunione), e inoltre sono legati nello stesso sacramento del matrimonio e rappresentano il mistero dell’unione fra Cristo e la sua Chiesa e lo vivono, sono insieme con i loro figli una chiesa domestica. È normale che sentano l’intimo desiderio di condividere anche l’eucaristia. Se condividono anche la fede eucaristica cattolica, che cosa impedisce? [cf. Atti degli Apostoli 7, 37; 10,47]».

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I testi di San Paolo non servono affatto alla tesi del Cardinale, perché trattano di altre questioni. Sappiamo invece quanto sono esigenti l’ecclesiologia e la sacramentaria del Beato Apostolo Paolo, che non ignora i gradi inferiori o imperfetti di comunione ecclesiale che sono propri dei catecumeni, ma quando si tratta della Comunione eucaristica richiede la piena comunione ecclesiale, come si evince dallo stesso termine “Comunione”.

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Paolo è maestro di ecumenismo per la sua straordinaria apertura di mente, per il suo rispetto per le diversità e per i valori della cultura greco-romana, per il senso dell’universalità del messaggio evangelico, e per la sua comprensione per le forme inferiori e per le debolezze della spiritualità umana, per la sua capacità di dialogo con tutti e di cogliere ovunque il positivo da condurre a Cristo.

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L’ecumenismo di Paolo non è però un giocare sull’equivoco, un tacere sull’errore anziché correggerlo; non è un girare a vuoto inconcludente, uno stare sempre sulla soglia della Chiesa senza mai stimolare il fratello ad entrare all’interno del santuario, ma al contrario è un fattore di autentica riconciliazione reciproca in Cristo e nella Chiesa sotto la guida di Pietro, è sempre un franco invito alla conversione e ad accettare in pienezza la verità, è un poderoso e caldo invito a sperimentare a fondo il Mistero di Cristo e della sua Chiesa.

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Riguardo poi all’invito del Papa ai Vescovi a «trovare una soluzione comune», dice il Cardinale Kasper:

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«Penso che il Papa abbia dato una risposta molto saggia. Lui è rimasto in piena sintonia con l’idea della sinodalità della Chiesa. Però ha anche segnalato che sulle questioni fondamentali non basta una maggioranza dal punto di vista canonico legale, ci vuole l’unanimità».

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Il Papa, nell’esortare i Vescovi a giungere ad una «possibile unanimità», non può certamente né aver inteso che possono concedere la Comunione nel senso inteso dal Cardinale Kasper, che comporterebbe una profanazione dell’Eucaristia, né può aver inteso che debbono accordarsi mediante una semplice votazione a maggioranza, come vorrebbero interpretare altri, pronti ad accusare il Papa di irresponsabilità, di non saper valutare la serietà della questione e di mentalità politica, ma certamente sottintende che l’accordo dovrà essere basato sulla Scrittura, sulla Tradizione, sul Diritto Canonico.

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Non si può escludere che dalla discussione dei Vescovi su questo argomento emerga una proposta al Papa di modifica delle attuali disposizioni in merito del diritto canonico, ma sempre ovviamente in consonanza con le esigenze imprescrittibili del diritto divino, per il quale non può esser lecito trattare un fratello che non è in piena comunione con la Chiesa, né intende di esserlo, come se lo fosse, né a lui può esser lecito fingere di essere in una piena comunione con la Chiesa, che egli stesso in realtà rifiuta, salvo il caso che egli intenda o desideri farsi cattolico, come è sottinteso nel caso della Comunione al protestante in pericolo di morte.

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Prosegue il Cardinale Kasper:

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«Penso all’ammonizione dell’apostolo Paolo, esaminare sé stessi per verificare se si possa mangiare e bere dall’altare [1 Cor 11,26]: un’indicazione che non è solo per i protestanti ma anche per i cattolici. Le domande iniziali sono le stesse: credo veramente al mistero eucaristico e la mia condotta di vita è in sintonia con ciò che si celebra e che è presente nell’eucaristia?».

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Il Cardinale Kasper non si rende conto della differenza che esiste qui tra il cattolico e il protestante. Mentre infatti il cattolico può certo fare una Comunione sacrilega, se si accosta alla Eucaristia in stato di peccato mortale e senza le dovute disposizioni, il luterano è privo delle necessarie disposizioni in quanto luterano, per cui, salvo il caso della buona fede, se non rimedia in anticipo togliendo queste cattive disposizioni, ma le mantiene coscientemente e volontariamente, non può non essere reo del corpo e del sangue del Signore in modo e misura ben più gravi del cattolico, che accetta il dogma dell’Eucaristia con tutte le verità di fede ed i valori morali che sono connessi ed è in piena comunione con la Chiesa, anche se con quel sacrilegio il cattivo cattolico compromette questa comunione e quindi deve riparare. Tuttavia, a differenza del protestante, che resta in una comunione solo parziale, il cattolico almeno sa cosa deve fare per recuperare la comunione incrinata e si suppone che lo faccia.

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Ancora il Cardinale Kasper:

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«Se un protestante partecipa la celebrazione eucaristica, ascolta ciò che diciamo nella preghiera eucaristica. Bisogna domandarsi: può alla fine della dossologia veramente rispondere con tutta l’assemblea: “Amen, sì credo.” Sentirà anche che nominiamo il nome del Papa e del vescovo, il che vuole dire che celebriamo in comunione con lui. Bisogna che si domandi: “Voglio veramente questa comunione?ˮ».

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Se un protestante, veramente, sinceramente, non per finta, a una Messa fa e crede tutte quelle cose, deve piuttosto chiedersi se non ha abbandonato il luteranesimo per farsi cattolico. In questo caso egli è certamente pronto, disposto e ammesso a fare la Comunione, dopo essere entrato nella comunione della fede cattolica.

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Aggiunge il Cardinale Kasper:

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«Ho incontrato molti protestanti che hanno più stima e spesso anche più amore per i Papi attuali di quanta ne hanno alcuni cattolici critici e scettici».

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Purtroppo la stima che molti protestanti hanno per il Papa attuale non ha nulla a che vedere con l’accoglienza del primato del Sommo Pontefice, Maestro infallibile della dottrina della fede, possessore delle “somme chiavi”, supremo Liturgo, Custode e Dispensatore dei Misteri celesti e dei Sacramenti della salvezza e Moderatore della divina Liturgia, ma è motivata da interessi puramente umani, ossia dal semplice fatto che Papa Francesco non li corregge nei loro errori e non li esorta a convertirsi alla Chiesa Cattolica. Ma se questi protestanti leggessero ciò che di Lutero dissero Papa Leone X o San Pio V o il Beato Pio IX o Leone XIII o San Pio X, credo che cambierebbero opinione sul papato.

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D’altra parte, è vero che certi cattolici, troppo attaccati al passato e ribelli al Concilio Vaticano II, danno un cattivo esempio di condotta nei confronti del Papa. Ma ci sono anche quelli che rivolgono al Papa, col rispetto che gli è dovuto, legittime critiche, proprio al fine di aiutarlo nella guida della Chiesa, che è il Popolo di Dio, guidata dallo Spirito, collegialmente, gregge e pastori, sub Petro et cum Petro.

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Concludiamo queste considerazioni osservando che il desiderio del coniuge luterano di ricevere la Comunione deve essere preso in seria considerazione, ma deve essere vagliato con cura, per verificare che non sia dettato da emotività psicologica, da simpatie umane, da bisogno di condivisione empatica, da istinto di imitazione, dal bisogno di essere approvati, dal desiderio di non sentirsi esclusi o di rendersi interessanti, da finzione con secondi fini e cose del genere.

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Il soggetto dovrà essere iniziato gradualmente e metodicamente, con un’opportuna catechesi, all’esperienza di quel sublime Mistero, così che vengano tolti, come indica l’Unitatis Redintegratio [n. 3], tutti quegli «ostacoli» che Lutero frappose, con la sua falsa riforma, alla degna manducazione del pane eucaristico.

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Infatti, il voler fare la Comunione pur restando luterani non ha nessun senso ed è un atteggiamento incoerente per non dire schizofrenico e che nulla ha a che vedere con l’ecumenismo. La carenza dell’ecclesiologia luterana, infatti, consiste proprio nell’assenza dei fattori più nobili e soprannaturali della realtà ecclesiale, quali sono appunto i sacramenti, tra i quali il più sacro e il più divino di tutti è appunto l’Eucaristia, introdotta dal sacramento della Penitenza, per poi giungere alla celebrazione della Messa in comunione piena con la Chiesa e il Sommo Pontefice.

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Se dunque un luterano vuol accostarsi sinceramente alla Comunione, ciò dovrà essere il segno comprovato e chiaro che egli vuole recuperare tutti quegli elementi di Chiesa e tutti quegli elementi della fede che Lutero aveva distrutto e che fanno da presupposto alla recezione dell’Eucaristia; in altre parole, sarà segno che vuol farsi cattolico. E Dio sia benedetto per questa celeste ispirazione!

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L’errore di fondo della teologia del Cardinale Kasper

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Tutto l’argomentare del Cardinale Kasper poggia su di un grave vizio di carattere gnoseologico, che ho illustrato in un mio saggio di prossima pubblicazione e dedicato alla gnoseologia del Cardinale Kasper. La spia di tale vizio è data dalle seguenti parole:

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«Certo valgono sempre i principi teologici, ma la loro applicazione concreta non si fa in un modo solo deduttivo e meccanico. Se lo facessimo, sarebbe l’eresia della gnosi, che giustamente viene denunciata dal Papa attuale». 

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Si tratta del metodo della deduzione razionale sia speculativa e morale, che per il Cardinal Kasper non è fondato sull’oggettività del reale e della verità, ma sul «principio moderno della soggettività», cioè sul cogito cartesiano «per il quale l’uomo diventa cosciente della propria libertà come autonomia e se la rende punto di partenza, misura e mezzo per un’intera concezione del reale» [cf. Gesù il Cristo, Queriniana Editrice, 1981, pag. 253]. Per conseguenza, continua il Cardinale Kasper:

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«un Dio che ora viene pensato entro l’orizzonte della soggettività non può più essere compreso come l’Essere supremo, perfettissimo e immutabile», per cui occorre una «de-sostanzializzazione del concetto di Dio».

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Pertanto, per Kasper, come per Hegel, l’essere si identifica col divenire, Dio diviene, muta, e si identifica con la storia: l’Assoluto non è sopra la storia, ma nella storia, secondo il titolo di un suo studio su Schelling [2]. Da qui la mutabilità della natura umana e della legge morale, come già denunciò San Pio X nella sua enciclica Pascendi Dominici Gregis.

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Ora il cogito cartesiano contiene in sé, come è stato dimostrato dagli studi di Fabro e di Maritain, il principio dell’idealismo e del panteismo hegeliano, come risulta da un’attenta osservazione della storia della filosofia, e per l’esplicito rifarsi a Cartesio degli idealisti e dei panteisti. Il che vuol dire che il cogito contiene già in nuce il principio del Sapere assoluto di Hegel, che è precisamente la forma più elaborata dello gnosticismo moderno.

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Se c’è da accusare quindi oggi qualcuno di gnosticismo, questi è proprio il Cardinale Kasper e niente affatto il meccanismo della deduzione logica, che applica il principio morale nei casi particolari. La legge positiva ecclesiastica ammette eccezioni, ma non la legge morale naturale, salvo il caso della epikeia, dove propriamente non si tratta di fare eccezione, ma di sospendere l’applicazione di una legge inferiore in nome dell’applicazione di una legge superiore. Invece la legge divina non ammette mai neppure la epikeia.

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La questione del permesso della Comunione ai protestanti è effettivamente di competenza del Diritto Canonico, ma la materia è vincolata dalla dogmatica sacramentaria e dall’ecclesiologia, mentre il Cardinale Walter Kasper purtroppo non tiene conto di questi vincoli di non poco conto, finendo con l’avallare le eresie luterane.

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O sacrum convivium, in quo Christus sumitur,  recolitur memoria passionis eius, mens impletur gratia et futurae gloriae nobis pignus datur [Antifona di San Tommaso d’Aquino]

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Varazze (Italy), 14 maggio 2018

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NOTE

[1] In realtà, se si va al n.24 dell’ Ut unum sint si trova un testo diverso. Il 24 invece è citato da S.Giovanni Paolo II al n.46 dell’Ecclesia de Eucharistia.

[2] L’Assoluto nella storia nell’ultima filosofia di Schelling, Jaca Book, Milano 1986.

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

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Padre Giovanni

Who is more sympathetic: the Colonel Gaddafi, or the Cardinal Kasper who insult the Eucharist and approves Luther’s heresies?

WHO IS MORE SYMPATHETIC: THE COLONEL GADDAFI, OR THE CARDINAL KASPER WHO INSULT THE EUCHARIST AND APPROVES LUTHER’S HERESIES?

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The question of the authorization of Communion to the Protestants is in reality responsibility of canon law, but the question is however linked to dogmatics and ecclesiology, while Cardinal Kasper, unfortunately, does not take these constraints into account and thus ends up approving the Lutheran heresies.

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Author
Giovanni Cavalcoli, O.P.

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Colonel Gaddafi [1942-2011] leader of Libya

The Vatican Insider news agency reports an interview by dr. Andrea Tornielli to Cardinal Walter Kasper on the question of the legitimacy of Eucharistic communion for Lutherans [see interview, HERE]. In question it is not the interviewer, but the interviewee. Therefore, those who stigmatize Andrea Tornielli, as is happening, makes a serious mistake. It would be like accusing Oriana Fallaci of having interviewed Colonel Gaddafi in 1979, in a memorable interview contained today in the history of journalism. The mrs. Fallaci, he only did his job [see text, HERE]. Or as Father Ariel S. Levi di Gualdo told me: “It would be like I was called to the bedside of a dying serial killer, and I refuse to hear his confession!” In any case, establishing who among the two, Cardinal Kasper and Colonel Gaddafi, is more amiable and less dangerous, is not a problem linked to this article. We leave it to the jury’s readers to award the sympathy prize to Cardinal Kasper or Colonel Gheddafi, because today, more than ever, the imagination of the grotesque seems to have really taken power.

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We have already motivated in our other articles the teaching and directives of the Church on this delicate theme of the sacrament of the Eucharist and of its administration, which, as Saint John Paul II says in the encyclical Ecclesia de Eucharistia of 1993: «summarizes the core of the mystery of the Church» [n. 1]; the Eucharist «builds the Church» [c. II] and is «the culmination of all the sacraments in bringing to perfection communion with God the Father through conformity with the Only Begotten Son through the work of the Holy Spirit» [n. 34].

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The Cardinal Kasper claims that the granting of the permission of the Communion to the Lutherans is contained both in the Decree Unitatis Redintegratio of the Second Vatican Council, and in two encyclicals of St. John Paul II. Now, if we read these documents, we will notice that they conform to the dictate of Canon Law [Can. 844 § 3-4], which I quoted and commented on in a previous article of mine.

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As for the conciliar document, it reads as follows:

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«This communication is governed above all by two principles: to express the unity of the Church, to participate in the means of grace”. These are two principles in tension among themselves, which therefore must be prudently connected: the first concerns communion with the Church; the second is the salvation of the believer. The first is more attentive to the external forum; the second, at the internal forum. In the first case justice is stressed, in the second case the mercy».

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In this regard, as canon law underlines, the pastoral authority of the Episcopal Conference or of the individual diocesan bishop operates. In fact, the decree states:

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«Regarding the concrete way of acting, having regard to all the circumstances of time, place and people, prudently decide the episcopal authority of the place».

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The law guarantees the Church to meet the requests of separated brothers only in cases of serious urgency. The case that the applicant is the non-Catholic spouse is not at all contemplated. In fact, the situation of the Lutheran in danger of death, spouse or non-spouse, provided by law, is incomparable with that of the Lutheran spouse not in danger of death but in good physical health. The first, as it is supposed, is about to account to God for his life, while it is supposed that the latter has time and way to educate himself and correct himself on the sacrament of the Eucharist and to repent of his previous Lutheran conduct.

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He Cardinal Kasper quotes the texts of the two encyclicals of John Paul II and says:

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«Ut unum sint [1995] and Ecclesia de Eucharistia [2003] formulated a more advanced position which may be the interpretative norm of the canon in full harmony with the Second Vatican Council». 

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In the first of the two encyclicals of St. John Paul II, the number 24 we read:

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«It is a source of joy to remember that Catholic ministers can, in special cases, administer the sacraments of the Eucharist, of Penance, of the anointing of the sick to other Christians. that they are not in full communion with the Catholic Church, but who ardently desire to receive them, to ask them freely and to show the faith that the Catholic Church confesses in these sacraments».

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While in the second Encyclical of the same Pontiff, at n. 45, we read:

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«If concelebration is not legitimate in the absence of full communion, the same does not happen with regard to the administration of the Eucharist, in particular circumstances, to individual persons belonging to Churches or Ecclesial Communities not in full communion with the Catholic Church: in this in fact, the goal is to provide for a serious spiritual need for the eternal salvation of the individual faithful».

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And the Cardinal Kasper comments:

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«The two encyclicals insist a great deal on the adhesion of the Protestant side to the Catholic doctrine on the Eucharist, that is, on “manifesting” the faith that the Catholic Church confesses”, to quote John Paul II himself. This seems very important, because the sacraments are sacraments of faith. For a true Lutheran, who is based on the confessional writings, the real presence of Christ in the Eucharist is obvious […] Certainly it is not possible to ask a Protestant what is normally required of a Catholics. Just believe: “This is (east) the body of Christ, given for you”. Luther has also insisted on this too. The more developed doctrines on transubstantiation or consubstantiation, even a “normal” Catholic faithful do not know them … ».

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Confutation of the errors of Cardinal Kasper

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In fact, the Cardinal falls into a frightful void of air, if «we can not ask a Protestant of what is normally requested by a Catholic», then we must say frankly to this Protestant who can not access the communion. Then, Cardinal Kasper’s plane crashes when he says: “Just believe:” This is (east) the body of Christ, given for you. “Luther also insisted on this: the more developed doctrines on the transubstantiation or the consubstantiation, even a “normal” faithful of the Catholic Church does not know them …».

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But “believe” that dares? A Catholic who does not know and does not accept the dogma of transubstantiation is not a “normal” Catholic, but an ignorant Catholic, who must be urgently instructed, so that he does not fall into heresy and does not understand, as Saint Paul warns, that one must not eat the body unworthily. of the Lord, because he who does this «eat his own condemnation» [1 Cor 11:29] In any case, if, as the Cardinal says, the Protestant truly believes in the words «this is the body of the Lord», pronounced by the priest at Mass, it means that he believes in transubstantiation. And if he believes in it, he can not continue to keep the Lutheran faith, he should say: «in this bread is the Lord». Then it will mean that he converted to Catholicism.

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Then adds Kasper:

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«If these people, in a fairly secularized context, are true believers who believe and are united in the same baptism and therefore are part of the one Church of Christ (though not in full communion), and are also bound in the same sacrament of marriage, and they represent the mystery of the union between Christ and his Church and live it, and they are together with their children a domestic church, it is normal that they feel the intimate desire to also share the Eucharist and the Eucharistic Faith, what prevents it?» [See Acts of the Apostles 7, 37; 10.47]. 

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The texts of St. Paul are not at all consistent with the thesis of the cardinal because they deal with other questions. On the other hand, we know how demanding ecclesiology and the sacramental dogmatics of the Blessed Apostle Paul are, who do not ignore the inferior or imperfect degrees of ecclesial communion belonging to the catechumens, but when it comes to Eucharistic communion it requires full ecclesial communion, as can be seen with the same term “communion”.

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Saint Paul is famous for his respect for the differences and for the values of the Greco-Roman culture, for the sense of the universality of the Gospel message and for his understanding of the weaknesses of human nature, for his ability to dialogue with everyone and look for the positive to be brought to Christ everybody.

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Paul’s ecumenism, however, is not a game of misunderstanding, a silence about error rather than correcting it; it is not an inconclusive emptiness, like always standing on the threshold of the Church, never encouraging the brother to enter the sanctuary, but on the contrary it is a factor of authentic reciprocal reconciliation in Christ and in the Church under the guidance of Peter, always moved by a frank invitation to conversion and to accept the truth fully, is a powerful and warm invitation to deeply experience the mystery of Christ and his Church.

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Regarding the Pope’s invitation to the Bishops to “find a common solution”, says Cardinal Kasper:

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«I think the Pope gave a very wise response, remaining in full harmony with the idea of synodality of the Church, but he also stressed that on fundamental issues the majority is not sufficient from a canonical legal point of view, it requires unanimity» .

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The Pope, in exhorting the Bishops to arrive at a “possible unanimity”, can not certainly nor have understood that they can grant communion in the sense intended by Cardinal Kasper, which would imply a profanation of the Eucharist, nor can it be understood that they must be agree with a simple majority vote, as they would like to interpret others, ready to accuse the Pope of irresponsibility, not being able to assess the seriousness of the problem because it acts politically, but certainly implies that the agreement must be based on Scripture, the tradition of canon law.

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It can not be excluded that the discussion of the Bishops on this topic demonstrates a proposal to the Pope to change the current provisions on canon law, but always obviously in harmony with the requirements of the divine law, for which it can not be lawful to treat a brother which is not in full communion with the Church, and which does not intend to be so, as if it were in full communion with the Church which he himself refuses. Unlike the case of a Protestant who wishes to become a Catholic, as in the implicit case of a Protestant who asks for the sacraments in danger of death.

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Cardinal Kasper continues his speech:

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«I think of the admonition of the apostle Paul, examining oneself to see if we can eat and drink from the altar» [1 Cor 11:26]. This warning is not only addressed to Protestants but also to Catholics, who must ask themselves: do I really believe in the Eucharistic mystery? Is my conduct of life in harmony with what is celebrated and is present in the Eucharist?

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The Cardinal Kasper does not realize the difference between Catholics and Protestants. While in reality the Catholic can certainly make a sacrilegious communion, if he approaches the Eucharist in a state of mortal sin and without the necessary spirit, the Lutheran is deprived of the necessary provisions just as Lutheran, for which, save the case of good faith, if he does not remedy in advance removing these bad dispositions, but keeping them consciously and voluntarily, he can not fail to be guilty of the body and blood of the Lord in a way serious than the Catholic, who accepts the dogma of the Eucharist with all the truths of faith and the moral values that are connected and is in full communion with the Church, even if with that sacrilege, the Bad Catholic, compromises this communion and therefore must repair. However, unlike the Protestant, who remains only in a partial communion, the Catholic at least knows what he must do to recover the cracked communion, and of course he should do it.

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Again Cardinal Kasper:

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«If a Protestant participates in the Eucharistic celebration, listen to what we say in the Eucharistic prayer, we must ask ourselves: at the end of doxology we can truly respond with the whole assembly:” Amen, yes, I believe. “If you have heard that we mention the Pope and the bishop during the Holy Mass, which means that we celebrate in communion with him, then we must ask ourselves: “Do you really want this communion?».

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I believe that if a Protestant, sincerely, in a Holy Mass does and believes all the things that Cardinal Kasper talks about, then he must ask himself whether he has not abandoned Lutheranism to become a Catholic. In this case it is certainly ready, available and admitted, after entering into the communion of the Catholic faith.

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Continue by saying Cardinal Kasper:

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«I have met many Protestants who have more esteem and often more love for the current Popes than those who have critical and skeptical Catholics».

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Unfortunately, the estimate that many Protestants today have for the Pope has nothing to do with welcoming the supremacy of the Supreme Pontiff, infallible teacher of the doctrine of the faith, guardian of the «keys given to St. Peter the Apostle», supreme master of the faith , Custodian and Dispenser of the sacred Mysteries and Sacraments of salvation, Moderator of the Divine Liturgy. Their esteem is often motivated by purely human interests, by the simple fact that Pope Francis does not correct them in their errors and does not exhort them to convert to the Catholic Church. But if these Protestants read however what Pope Leo X or Saint Pius V, the Blessed Pius IX, Leo XIII or Saint Pius X said about Luther, I think they would change their opinion about the papacy.

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On the other hand, it is true that some Catholics, too attached to the past and rebels at the Second Vatican Council, give a bad example of conduct towards the pope. But there are also those who turn to the Pope, with due respect, a legitimate critique, only to help him lead the Church, which is the People of God, guided by the Spirit and by Peter assisted by the college of the apostles.

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We conclude these considerations by observing that the desire of the Lutheran spouse to receive communion must be taken seriously, but must be carefully examined, to verify that it is not dictated by psychological emotions, human sympathies and need for empathic sharing, by instinct of imitation, by the desire not to feel excluded or to become interesting, and other things like that.

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The Protestant must be brought gradually and methodically to the Eucharist with adequate catechesis, so that they are removed, as the Unitatis Redintegratio teaches [n. 3], all those “obstacles” that Luther has interposed, with his false reform.

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In fact, the desire to make the Communion while remaining Lutheran has no sense and is an inconsistent attitude not to say schizophrenic and that has nothing to do with ecumenism. The lack of Lutheran ecclesiology, in fact, consists precisely in the absence of the noblest and supernatural factors of the ecclesial reality, such as the sacraments, among which the most sacred and the most divine of all is precisely the Eucharist, introduced by sacrament of Penance.

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Therefore, if a Lutheran wants to approach the Communion sincerely, this must be the proven and clear sign that he wants to recover all those elements of the Church and all those elements of faith that Luther had destroyed and that are a precondition for the reception of the Eucharist; in other words, it will be a sign that he wants to be Catholic. And God be blessed for this heavenly inspiration!

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The basic error of Cardinal Kasper’s theology

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All of Cardinal Kasper’s argument is based on a serious vice of a gnoseological nature, which I illustrated in a paper of my forthcoming essay dedicated to the epistemology of Cardinal Kasper. The spy of this vice is given by the following words:

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«Certainly theological principles are always valid, but their concrete application is not done in a deductive and mechanical way. If we did, it would be the heresy of gnosis, which is rightly denounced by the present Pope».

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It is the method of rational deduction both, speculative and moral, that for Cardinal Kasper is not founded on the objectivity of reality and truth, but on the «modern principle of subjectivity», that is, on the Cartesian cogito «for which man he becomes aware of his freedom as autonomy and makes it a starting point, a measure and a means for an entire conception of reality»[cf. Jesus the Christ, Queriniana Ed., 1981, pag. 253]. Consequently, Cardinal Kasper continues: «a God who is now thought within the horizon of subjectivity can no longer be understood as the supreme Being, most perfect and immutable», for which we need a «de-substantialization of the concept of God».

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Therefore, for Kasper, as for Hegel, being identifies with becoming, God becomes mute, and identifies with history: the Absolute is not above history, but in history, according to the title of one of his studies on Schelling. Hence the mutability of human nature and the moral law, as already denounced Saint Pius X in his encyclical Pascendi Dominici Gregis.

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Now the Cartesian cogito contains in itself, as the studies of Cornelio Fabro and Jacques Maritain show, the principle of Hegelian idealism and pantheism, as evidenced by a careful observation of the history of philosophy, and by the explicit reference to idealists and pantheists of Descartes. This means that the cogito already contains the principle of absolute knowledge of Hegel, which is precisely the most elaborate form of modern gnosticism.

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If today there is therefore to be accused of someone of Gnosticism, this is precisely Cardinal Kasper and not the mechanism of logical deduction, which applies the moral principle in particular cases. The positive ecclesiastical law admits exceptions, but not the natural moral law, except in the case of the epikeia, where it is not properly an exception, but suspends the application of a lower law in the name of the application of a higher law. But the divine law never even admits epikeia.

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The issue of the authorization of Communion to the Protestants is in fact responsibility of canon law, but the question is linked to dogmatics and ecclesiology, while Kasper, unfortunately, does not take these constraints into account and ends up approving Lutheran heresies.

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Varazze, May 14th 2018

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La mostra dei paramenti sacri a New York: evoluzione o involuzione del messaggio cristiano cattolico alla comunità

LA MOSTRA DEI PARAMENTI SACRI A NEW YORK: EVOLUZIONE E INVOLUZIONE DEL MESSAGGIO CRISTIANO CATTOLICO ALLA COMUNITÀ

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Vero scopo della mostra a New York sembra pertanto essere il diavolo e l’acquasantaIl sacro e profano, mentre il bello ed il sacro finisce surclassato dalla volontà di far discutere, di entrare nella notizia e di far parte di un sistema gossip che ha il sapore della blasfemia, dove la sacralità finisce malamente sottomessa alla peggiore profanità mondana.

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Autore
Licia Oddo *.

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era proprio necessario?

Che l’abbigliamento, o il costume espressione di una moda, segua nel tempo il suo corso, quale branca dall’aspetto più fashion, estroso, della creatività artistica non v’è dubbio. Quando però ad essere coinvolta è la sfera religiosa e più specificatamente cattolica, sino a divenire protagonista o soggetto delle sfilate glamour, la cosa cambia, generando situazioni di fatto eclatanti e controverse. Soprattutto se promotore di una iniziativa così “singolare” è il Cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, che in anteprima mondiale ha presentato nella galleria romana di Palazzo Colonna [vedere QUI e QUI], accanto alla iconica Anna Wintur, direttrice della nota rivista Vogue, l’evento «Heavenly Bodies: Fashion and the Catholic Imagination» (Corpi celesti: la moda e l’immaginazione cattolica). Oggetto di questa mostra allestita dal 10 maggio all’8 ottobre a New York nel Metropolitan Museum of Art è il dialogo tra sacro e profano, moda e paramenti sacri [vedere QUI, QUI e QUI].

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Tra i 150 abiti creati ad hoc dagli stilisti più in auge dell’ haute couture, per diffondere attraverso le loro creazioni icone cristiane, spicca la croce ricca di pietre preziose stampata sul corpetto di un abito disegnato da Gianni Versace. Immagine destinata a creare un certo scalpore, perché la croce è rappresentata al di fuori di quello che è il suo naturale ambito di culto. Nell’esposizione Met Cloister, un’ala separata del museo che comprende cinque antichi chiostri disseminati nell’ Upper Manhattan, spiccano i paramenti sacri, quaranta per l’esattezza, mai usciti prima dalle sacristie della Cappella.

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Nella sua presentazione il Cardinale Gianfranco Ravasi sostiene:

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«La veste, infatti, non è meramente un indumento che ci protegge dal freddo o dal caldo o dalla nudità, funzione per altro valida, riconosciuta già dalla Bibbia agli esordi dell’umanità. Ma, come appare chiaramente dalla creatività della moda e dal nesso linguistico tra il latino vestis, “veste”, e “investitura” ― vocabolo presente in molte lingue europee per indicare la nomina a un incarico ufficiale ― l’abito, attraverso la sua dimensione simbolica, appartiene alla stessa cultura e la esprime” […] “La sfilata della quarantina di vesti e di arredi sacri vaticani presenti nella mostra Heavenly Bodie merita, allora, di essere giustamente classificata sotto la categoria della “catholic imagination» […] La selezione offerta dalla mostra è marcata da un’indubbia qualità sontuosa: essa è stata esaltata nell’epoca barocca ma è rimasta nell’ornamentazione liturgica dei secoli successivi. Si voleva, così, per questa via proclamare la trascendenza divina, il distacco sacrale del culto dalla ferialità quotidiana, lo splendore del mistero.[cf. QUI].

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Purtroppo, il Cardinale Gianfranco Ravasi, quasi subito si contraddice nello stesso scritto quando asserisce:

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«Naturalmente incombe sempre sulla ritualità e, quindi, sull’apparato liturgico cristiano il monito di Gesù che ironizzava sugli osservanti esteriori che «allargano i loro filatteri e allungano le frange», ossia i tefillin e il tallit, componenti del culto giudaico [Mt. 23,5]. Resta, infatti, anche nel rito sacro il rischio che segnalerà lo scrittore inglese William Hazlitt nel suo saggio Del carattere clericale (1818) “Coloro che fanno del vestito una parte principale di se stessi finiscono in generale per non valere più del loro abito”. Tuttavia la bellezza e l’arte sono state per secoli inseparabili sorelle della fede e della liturgia cristiana, soprattutto nel cattolicesimo e nell’ortodossia E – come ha fatto Henri Matisse con le sue mirabili casule da lui disegnate per la cappella di Vence e ora conservate nei Musei Vaticani – questo legame dovrà continuare a rivivere e a rinnovarsi attraverso il dialogo anche con l’arte contemporanea» [cf. QUI].

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Sembra che il Cardinale corregga subito la sua versione quasi rifacendosi al motto: “insomma non prendiamoci troppo sul serio, l’abito non fa il monaco”! Ma allora che cos’ha espresso prima, riguardo al significato etimologico della parola veste?

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Volendo c’è però di più, perché affermare che sacrale non sia il riflesso di colui che l’abito lo veste, è inesatto. È infatti opportuno evidenziare che il carattere festivo espresso anche dal decoro della veste del presbitero che presiede l’Eucaristia, diventa una costante della celebrazione, come pure il modello dello stesso abito [Cf. QUI]. Ed in effetti, quando nel VII secolo la moda secolare cambia, l’abito religioso del presbitero non muta, diventando anzi caratteristico alla celebrazione alla quale esso è riservato. Nessun simbolismo vi è dunque all’origine della veste liturgica, bensì la volontà di sottolineare il rispetto dovuto, sia per la celebrazione liturgica sia per ogni altro tipo di incontro sociale. L’abito assumerà così la funzione di una divisa opportunamente indossata, che non manifesta una semplice caratteristica, ma il carattere sacro stesso, perché libera l’individuo dalle sue particolarità e lo rende “riflesso” di Colui in persona del quale egli agisce. Anche l’abito perciò si ritualizza, astraendo dal singolare e offrendo attraverso “il ruolo” una immagine trascendentale.

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Nel XIII secolo si sviluppa una simbologia che Giuseppe Braun [1] chiama tipico-rappresentativa perché in essa la persona del sacerdote rappresenta quella del Salvatore che soffre, e le vesti del sacerdote ricordano gli avvenimenti particolari della passione morte e risurrezione di Cristo. La contemplazione di questa varia simbologia sosteneva l’attenzione e la devozione dei fedeli, pazienti nell’assistere alla Santa Messa, in un ambito ricco della devozione che fa scoprire nelle cose sacre la risposta anche dottrinale ai propri bisogni spirituali.

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A rigor di logica, i secoli trascorsi che sanciscono la nostra tradizione culturale, fondata non su semplici ideali ma su precetti che evidenziano l’aspetto canonico di quella che è la religione cattolica, non può essere modificata per lasciarsi trascinare nell’oceano delle “mode” che, per quanto fonti di creatività, non hanno nulla a che vedere con la stabilità e la fondatezza di un paramento sacro della traditio catholica, nato e poi consumato per quel ruolo. Ritenere che l’abbigliamento sacro cattolico sia fenomeno sociale è una degenerazione dei costume del popolo occidentale, che vanta la tradizione millenaria di un Credo cattolico sancito nel 325 al Concilio di Nicea. Da allora, i paramenti sacri, sono assurti ad un significato preciso ricco di simbologie mistagogiche che non hanno nulla da spartire con la  moda destinata a cambiare col mutare della società e dei suoi gusti. La Chiesa, pastoralmente, segue i tempi, ma non per questo muta le verità della fede rivelata; perché la Chiesa in cammino è proiettata al di là del tempo verso una dimensione escatologica di eternità.

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In questa sfilata le modelle non sfoggiano l’abito chic, il tailleurs fashion, od il cappellino da cocktail per i pomeriggi all’aria aperta o per le serate gala, ma sono rivestite con paramenti della traditio catholica, in un ambito del tutto estraneo ed antitetico alla fede sulla quale questa traditio si edifica, finisce col figurare come una totale mancanza di rispetto verso l’arte sacra. Alla luce di tutto questo, come storico dell’arte mi corre l’obbligo di precisare che in questa “sfilata del secolo” è stato stravolto, de-qualificato e persino rivoluzionato il significato stesso di alcuni concetti fondamentali dell’arte. Se infatti pensiamo che tra i paramenti liturgici in generale, camici casule e stole, vi sono le tiare, la mitria ed i pastorali, classificati come «attributi iconografici» perché simbolicamente emblemi di riconoscimento di una data figura che occupa un ruolo di santità, è presto detto che appena questi accessori liturgici sono consegnati ad una qualsiasi figura femminile che solca una passerella, nello spettatore finisce con l’ingenerarsi una vera e propria confusione nella percezione di ciò che viene presentato alla sua vista. Non più quindi il pastorale che nella Pala di Brera  identificava  Giovanni il Battista [vedere QUI], o la mitria che identifica il vescovo, bensì accessori liturgici svuotati del loro significato mistagogico e finiti addosso ad una modella. E dinanzi a tutto questo, ci dovremmo interrogare sul ruolo svolto oggi dalla Chiesa Cattolica nella divulgazione del suo messaggio alla comunità.

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Leggiamo ancora in un articolo su questa mostra:

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«La mostra porta i visitatori a esplorare i confini tra sacro e profano: la corona di spine, trasformata in fascinator da Alexander McQueen, gli iconici capolavori dell’arte bizantina riprodotti da Dolce & Gabbana nella collezione “Monreale” autunno-inverno 2013/14. “Raccontiamo piccole storie”, spiega Bolton, curatore della mostra,  come con l’angelo di Thierry Mugler dalle ali di piume dorate o la “Giovanna d’Arco” del 1994 di John Galliano, stesa come un monumento sepolcrale di una chiesa. Sacro e profano occupano spazi separati. I prestiti del Vaticano ― tra queste le scarpe rosse di Giovanni Paolo Secondo ― sono esposti nelle sale del Constume Institute, “mostra nella mostra” rispetto al resto della rassegna dove l’iconico “Pretino” delle Sorelle Fontana evoca la surreale sfilata di moda ecclesiastica di Roma di Federico Fellini con i prelati sui pattini» [cf. QUI].

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Che sia un laico a fare uso dello stravagante binomio sacro e profano, come nel caso dello stilista, senza dubbio è curioso, oltre che inconsulto, ma soprattutto pare avere come fine quello di sbalordire l’opinione pubblica per fare scalpore e notizia con frasi di questo tipo: Santa Moda ora pro nobis «Siano lodati gli abiti e benedette le scarpe. Il nostro non è un lavoro, ma una vocazione». Così, esordiva infatti Stefano Gabbana alla fine della sfilata autunno inverno 2018, intitolata Fashion Devotion [cf. QUI]. Uno show dove in passerella erano state presentate le T-shirt con gli slogan «Santa Moda, ora pro nobis», «Fashion sinner», «Fashion Eden» e «Fashion is beauty» insieme a pantaloni stile guêpière, gonne di pizzo nero e mini dress attillati.

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Che sia però un Cardinale preposto alla presidenza di un Pontificio Consiglio della Santa Sede, ad affibbiare al generico significato del termine sacro tutti gli «strumenti» e paramenti cattolici nell’ampia spira del sacro, è invece dissacrante, non fa altro che lasciare sgomenti ed increduli. I paramenti liturgici, così definiti nella traditio catholica per differenziarli da quelli sacri in generale, intrisi di storia, valori culturali, da secoli custoditi all’interno della Sacrestia della Cappella Sistina, solcano le passerelle e finiscono indossati da chicchessia. E tutto ciò perché? Qual è il senso del messaggio cattolico?

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Mentre un tempo ciò che nel mondo artistico emergeva era proprio la competizione alla ricerca del bello all’interno dello stesso mondo ecclesiale e ecclesiastico, il post contemporaneo, richiede forse alla Chiesa un ruolo diverso? La Chiesa, per secoli grande mecenate dell’arte, sembra non essere più alla ricerca di queste espressioni del bello estetico che rappresenti il sacro ed i sacri misteri in generale, ma di ciò che fa più clamore, o peggio di ciò che fa più discutere. In tutto questo il paradosso è che la Chiesa sembra conformarsi a questo genere di volontà mondana perdendo il ruolo di maestra, per accettare i compromessi di una società che vuole a tutti i costi apparire nel modo più bizzarro possibile.

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Alla luce di questa mostra tutt’oggi in corso a New York, cosa è emerso a livello artistico, attraverso il coinvolgimento della Chiesa cattolica? Quello che sembra di fatto emergere è la cosiddetta commistione di «Stili» o di abiti che ha generata una contaminazione tra moda e fede. Tutto questo per andare forse al passo con i tempi, grazie ad una Chiesa che si piega ai capricci della società o della moda?

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Assistere alla presentazione di una mostra del genere, voluta dalla direttrice di Vogue America Anna Wintour, personaggio descritto nel film cult ad ella ispirato Il diavolo veste Prada, di cui è protagonista una donna cinicamente votata a qualsiasi azione pur di giungere allo scopo perseguito e la cui morale “irrisolta” è andare incontro al successo dimenticando i veri valori, non si concilia per niente con la Chiesa Cattolica, veste e ruolo della quale è certamente l’opposto di quello di Anna Wintour. Due figure antitetiche a confronto, tesi e antitesi. Ma la cosa stupefacente è che in questo caso sono però complici, o per usare il titolo di un altro film: Amici, complici, amanti.

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Vero scopo della mostra a New York sembra pertanto essere  il diavolo e l’acquasantaIl sacro e profano, mentre il bello ed il sacro finisce surclassato dalla volontà di far discutere, di entrare nella notizia e di far parte di un sistema gossip che ha il sapore della blasfemia, dove la sacralità finisce malamente sottomessa alla peggiore profanità mondana.

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Siracusa, 14 maggio 2018

 

 

*Storica dell’arte

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NOTE.

[1]Cf, G. Braun, I paramenti sacri. Loro uso storia e simbolismo, Marietti, Turín 1914. 

 

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