Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

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Padre Giovanni

“La luce nelle tenebre”, un libro di Aldo Maria Valli su Benedetto XVI

«LA LUCE NELLE TENEBRE», UN LIBRO DI ALDO MARIA VALLI SU BENEDETTO XVI

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Valli sa bene che questo Papa è legittimo e come tale è maestro della verità di fede, ma sa anche che non ogni Papa è maestro, esempio e modello di costumi morali e in particolare nella guida della Chiesa. Nessun Papa ha insegnato alla Chiesa l’eresia. Ma un Papa, per la sua negligenza o per la sua imprudenza, può governare male la Chiesa.

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Autore
Giovanni Cavalcoli, O.P.

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il vaticanista del TG1 Aldo Maria Valli, autore del libro   Uno sguardo nella notte- Ripensando Benedetto XVI [cf. QUI]

Il noto vaticanista Aldo Maria Valli da tempo sta seguendo con la massima attenzione il comportamento del presente Pontefice, come rientra nel suo lavoro e soprattutto, in riferimento alle sue convinzioni di cattolico, conosce bene e stima altamente la guida che un Papa di per sé, salvo incidenti, esercita e deve esercitare nei confronti della Chiesa, secondo il comando di Cristo  «Pasci i miei agnelli» [Gv 21,16].

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Il suo interesse per questo importante argomento, che oggi appassiona e divide tra di loro tanti cattolici, non si racchiude nei limiti del suo lavoro professionale. Anche Papa Francesco, agli inizi attira l’ammirazione e le speranze di Valli, il quale gli dedicherà alcune pubblicazioni. Sennonché, egli a un certo punto del pontificato di Francesco comincia, con altri cattolici, a restare perplesso nelle sue convinzioni dottrinali e morali di cattolico, davanti a certi atteggiamenti, scelte e discorsi del Papa, che appaiono stridere con quelle convinzioni.

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Non c’è in gioco un certo tradizionalismo che resta attaccato al passato. Valli non ha nulla a che fare con quest’area del cattolicesimo, certo non privo di aspetti positivi, ma è un progressista, che in precedenza aveva espresso pubblicamente ammirazione per il Cardinale Carlo Maria Martini. Per cui le recriminazioni lefebvriane non fanno su di lui alcuna presa. D’altra parte, Valli non parteggia neppure per l’imperante modernismo, che si è auto-nominato ”progressista”, per celare il falso rinnovamento conciliare da lui sbandierato.

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Per Valli è solo questione di veritàE la verità di fede, la Parola di Dio, il dogma non passa. È qui che il progressismo di Valli, del tutto sano e legittimo, si distingue dal falso progressismo modernista, storicista e relativista. Il vero progresso, infatti, è l’esplicitazione e lo sviluppo di ciò che dev’essere conservato immutato e inalterato. Del resto, lo stesso Ratzinger fu notoriamente ai lavori del Concilio tra i teologi progressisti; e tale egli è sempre rimasto. Ma, a un certo punto, egli si accorse del falso progressismo rahneriano, che in realtà era modernismo.

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Per Valli, quindi, essere progressista non vuol dire andare a sorbirsi una sbronza rivoluzionaria sul modello della famosa “contestazione” del 1968 [cf. Massimo Introvigne, L’altro 1968. La nascita del dissenso organizzato nella Chiesa Cattolica, QUI]. Per lui il Papa è Pietro, la salda roccia, della quale ci si può fidare e sulla quale ci si può appoggiare con sicurezza per costruire un solido edificio resistente alle tempeste [cf. Mt 16:13-20]. Valli è un progressista che mantiene la ragione lucida e sa che il progresso è progresso di quei valori assoluti o “non negoziabili”, che vanno conservati, e che il mutamento costruttivo è il perfezionamento dell’immutabile. È un progressista, non un modernista.

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Valli quindi sa che la parola di qualunque Papa può sorprendere per la sua novità; può partecipare della paradossalità del Vangelo; ma non può essere irrazionale; non è un terreno scivoloso o una sabbia mobile, nella quale si sprofonda per essere sepolti dal fango. Pietro ha certo le sue debolezze, è un peccatore come tutti noi, ma è il maestro della verità, il custode del deposito rivelato, il maestro della Parola ”che non passa”.

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Valli sa bene che questo Papa è legittimo e come tale è maestro della verità di fede, ma sa anche che non ogni Papa è maestro, esempio e modello di costumi morali e in particolare nella guida della Chiesa. Nessun Papa ha insegnato alla Chiesa l’eresia. Ma un Papa, per la sua negligenza o per la sua imprudenza, può governare male la Chiesa.

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È successo così a Valli di dover cambiar parere nel passaggio da Papa Benedetto a Papa Francesco. Se fino a Benedetto Valli si sentiva in dovere di appoggiare in pieno la linea di un Papa autenticamente riformatore, mite pastore della Chiesa, nemico coraggioso degli errori modernistici, sapiente maestro di verità, cultore del sacro nella liturgia, oppositore delle forze mondiali che vogliono porre fine alla Chiesa, ossia l’islamismo, il comunismo e la massoneria, innovatore dell’apologetica e quindi dell’attività missionaria, col porre in luce il rapporto fra la ragione la fede, prudente e zelante fautore del dialogo ecumenico, aperto all’ingresso degli acattolici nella Chiesa Romana ― vedi la conversione degli anglicani ― [cf. QUI e QUI], alieno dall’immischiare il Papato nella politica, ma attento ai doveri dei laici cattolici in politica. Adesso che Papa Francesco ha bloccato quasi tutte le sagge iniziative che Benedetto stava portando avanti, Valli giustamente non se la sente di appoggiare in pieno un pastore che sembra dialogare con i lupi anziché con le pecore.

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Che cosa sta facendo Francesco?

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Da quello che Francesco sta facendo, si ha la netta impressione che egli voglia fare il rivoluzionario rispetto a quello che hanno fatto i Papi precedenti. Quanto invece sarebbe utile per Francesco e per la Chiesa, che egli prendesse esempio da loro e proseguisse sulla pista da loro tracciata! L’errore di Papa Francesco, quello che i suoi adulatori gli presentano come titolo di una gloria inaudita, è quello di credersi un Papa più avanzato di quelli che lo hanno preceduto.

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È questa convinzione che gli impedisce di vedere in essi la loro esemplare santità o quanto meno la loro virtù. Il recente documento che ha pubblicato sulla santità, potrà servirgli a vederci più chiaro. Ma poi, un Papa più avanzato verso dove? Considerando agli atti di Francesco, non è difficile rispondere: verso il mondo moderno. È la tentazione del modernismo.

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Francesco sa apprezzare i valori della modernità. Ma si guarda dal rendersi odioso al mondo rimproverandolo del suo peccato o correggendolo dai suoi errori. L’importante, per Francesco, sembra essere l’incontrarsi col mondo, accogliere il mondo e assimilarsi al mondo. Non pare che per Francesco il compito della Chiesa sia elevare il mondo al cielo, ma semplicemente piegarsi sul mondo per sollevarlo dalle sue miserie ed accontentarlo nei suoi bisogni.

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La rievocazione dell’opera di Benedetto fatta da Valli nel suo libro Uno sguardo nella notte. Ripensando Benedetto XVI [1], è allora un chiaro messaggio indirizzato a Papa Francesco ricordandogli un Papa che non ha ceduto davanti al mondo, a costo di essere “azzannato dai lupi” [p.9]. Se dunque nei due precedenti libri: 266. Jorge Mario Bergoglio Franciscus P.P. e Come la Chiesa finì, Valli si rivolge direttamente al Papa, anche in quest’ultimo Valli pensa al Papa attuale, per presentargli in Benedetto un esempio. Al riguardo Valli cita lo splendido ritratto di Benedetto fatto da Vittorio Messori nel 2010:

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«chi lo conosce bene, sa fino a che punto nel Ratzinger professore, poi cardinal prefetto, infine Pontefice, convivano severità e misericordia, rigore e comprensione, rispetto della norma e attenzione alla singola situazione umana. C’è, in lui, l’umanità dei vecchi uomini di Chiesa, che, dal pulpito, denunciavano a voce alta il peccato; ma poi, nel confessionale, a tu per tu col peccatore concreto, interpretavano con larghezza l’invito del Cristo a capire e perdonare […] in questo figlio della vecchia Baviera cattolica, c’è quanto ha contrassegnato, appunto, il cattolicesimo autentico: il rifiuto della disumana ferocia giacobina, il rigetto della condanna senza appello, senza la pietas per la condizione umana. I tentativi attuali di trascinarlo sul banco degli imputati nulla sanno, tra molti altri errori e manipolazioni, di questa sapienza che è quella stessa che marca l’esperienza  bimillenaria della Chiesa» [p. 44].

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Invece Papa Francesco è purtroppo circondato da un gruppo di collaboratori ed amici, che formano attorno a lui una barriera, chiamata dal Cardinale Gerhard Müller «cerchio magico» [cf. QUI].

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Tuttavia dobbiamo segnalare con piacere la pubblicazione recente di due importanti documenti: la Lettera Deo Placuit della Congregazione per la dottrina della fede sugli errori moderni e la Costituzione Apostolica Gaudete et exultate sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo [vedere QUI e QUI].

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Papa Francesco, nella Gaudete et exultate, presenta opportunamente tanti modelli di Santi. Quanto sarebbe stato però persuasivo se, pensando con umiltà al proprio cammino di santificazione, egli si fosse fermato sulla figura di San Giovanni Paolo II, anche per fugare certi timori non infondati che Francesco, specialmente con la pubblicazione dell’Amoris laetitia [vedere QUI] non abbia saputo comprendere ed apprezzare appieno l’alta sapienza morale del Santo Pontefice. Resta comunque il fatto che il Papa ha imboccato la strada giusta; speriamo che continui a percorrerla e che non sia di nuovo risucchiato dagli “amici”.

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Il Papa Benedetto di Valli

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Valli raccoglie tutta l’opera di Papa Benedetto sotto il segno della verità. All’inizio del libro lo chiama il «Papa della verità». E non c’è dubbio che è sotto questo segno, che fa pensare al motto domenicano veritas, che Papa Ratzinger ha vissuto il suo pontificato, in linea con i suoi precedenti di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e la sua carriera di teologo, il quale che cosa è, se non il servitore della verità divina? Un «consacrato nella verità» [cf. Gv 17,17].

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Valli mostra molto bene come un aspetto importante dell’azione e del programma di Benedetto sia stato quello di raccogliere e dar risposta all’appello di San Giovanni Paolo II a ritrovare le radici cristiane dell’Europa. Il centro del cattolicesimo è in Europa e per questo è ovvio l’interesse che Benedetto e Giovanni Paolo hanno avuto, proprio come Pontefici, per come il cristianesimo si è diffuso in Europa e di  lì nel mondo.

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Valli si ferma a mostrare la sapienza e lo zelo con i quali Papa Benedetto in più occasioni ha insistito sulla necessità di una rivalorizzazione e di un potenziamento della ragione umana [2] nella sua apertura al trascendente ed alla fede, nell’universalità dei suoi princìpi teoretici e morali, come via per riaffermare il dialogo fra tutti gli uomini di buona volontà, quali che sia la loro religione di appartenenza.

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Non si può negare in Papa Francesco una notevole capacità di contatto umano e di comunicazione. Il suo universalismo, però, sembra dipendere più da un fattore simpatetico-emozionale, che intellettuale.

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La figura e l’opera di Benedetto che escono dal libro di Valli sono quelle di un Papa, come del resto i precedenti, costantemente sotto il tiro del mondo e dei modernisti, si tratti dell’amministrazione della Curia Romana o del problema dei pedofili, o di quello degli islamisti o della massoneria o dell’ecumenismo o del comunismo o della politica o della liturgia o dei lefevriani.

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Nonostante la aperta professione di realismo da parte di Francesco nell’enciclica Evangelii gaudium, per il quale la realtà è superiore all’idea e la recente Lettera della Congregazione per la dottrina della fede Deo placuit, che condanna il soggettivismo e l’egocentrismo dello gnosticismo e del pelagianesimo, Valli, insieme con molti altri osservatori, mette in luce la differenza di impostazione gnoseologica e pratica tra Francesco e quella di Benedetto. Mentre infatti in questi è evidente l’intellettualismo realista biblico, che fa sorgere la verità dall’obbedienza al reale, ossia dalla adaequatio intellectus et rei, fondamento e ragione dell’azione pratica, in Francesco si nota la traccia di un certo volontarismo ignaziano od occamista, per il quale il vero non dipende semplicemente dall’intelletto e dalla ragione, ma da un decisione o tendenza della volontà o un moto dell’affetto.

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Viceversa, Joseph Ratzinger aveva impostato il programma del suo papato in evidente conformità alle diffuse esigenze dei Cardinali che lo elessero quasi subito, al quarto scrutinio, tanto diffusa nel collegio cardinalizio era la preoccupata consapevolezza che il primo problema urgente che bisognava risolvere era come rimediare all’invasione di modernismo, che era ben lungi dall’essere risolto, e che stava facendo brancolare la Chiesa nella notte. Ecco dunque il senso indovinatissimo del titolo del libro di Valli. Su di un fondo nero si vedono soltanto gli occhi intelligenti e dolci di Papa Benedetto emergere dalle tenebre, non la visione del Papa di schiena della copertina del libro-intervista di Peter Seewald, che evoca quella di uno sconfitto, che se ne va mostrandoci le spalle. Niente affatto. Gli occhi di Papa Benedetto vedono nella notte, vedono laddove noi non vediamo e, nella notte, fanno luce e ci mostrano il cammino.

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Mentre dunque è stato chiaro che Papa Benedetto ha inteso far avanzare la Chiesa nella verità e nella vittoria sulla menzogna, Papa Francesco sembra risolvere tutto il progresso nell’esecuzione di consegne pratiche: la misericordia, l’accoglienza, il dialogo, la Chiesa in uscita, il poliedro, l’integrazione, il discernimento, l’accompagnamento; tutti imperativi in se stessi buoni, di facile apprendimento, che hanno già formato il “vocabolario” di Papa Francesco, ma che ne lasciano fuori altri, altrettanto importanti.

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Alla fine del confronto di Valli tra i due Papi risulta che Papa Francesco, “il rivoluzionario”,  non ha fatto avanzare la Chiesa, ma l’ha fatta retrocedere rispetto a quella di Benedetto.

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Occorre allora che Papa Francesco ― questo è il chiaro messaggio e l’appello di Valli al Santo Padre ―, libero dalle sirene moderniste e dalle promesse della massoneria, riprenda l’opera interrotta di Papa Benedetto, perché questa è la vera strada della riforma conciliare e del vero progresso della Chiesa, senza assoggettarsi al mondo, senza confondersi col mondo, senza temere l’ostilità del mondo e senza piaggerie nei confronti del mondo, perché Cristo gli ha dato la forza per salvare il mondo e di vincerlo laddove si ribella a Cristo.

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Varazze, 23 aprile 2018

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NOTE 

[1] Uno sguardo nella notte. Ripensando Benedetto XVI, Chorabooks, Hong Kong 2018.

[2] Cf pp.40-43, 46, 61-63, 72

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Abbiamo riscritto la teologia: «Anche nel Comunismo c’è del buono». È pertanto necessario evidenziare tutti i lati positivi del Marxismo e puntare su ciò che unisce nel bene e non su quello che divide nel male

ABBIAMO RISCRITTO LA TEOLOGIA: «ANCHE NEL COMUNISMO C’È DEL BUONO». È PERTANTO NECESSARIO EVIDENZIARE TUTTI I LATI POSITIVI DEL MARXISMO E PUNTARE SU CIÒ CHE UNISCE NEL BENE E NON SU QUELLO CHE DIVIDE NEL MALE

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A più riprese la Chiesa ha condannato il Comunismo. Alcuni continuano a farlo, forse perché prevenuti e privi della necessaria lucidità. Sarebbe infatti meglio, anziché condannare, cercare e prendere ciò che di buono c’è anche nel Comunismo, perché molti sono i suoi lati positivi che andrebbero messi in luce e seguiti.

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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Thomas Hobbes, stampa d’epoca

Tra il XVI e il XVII secolo due pensatori britannici indicati come “grandi filosofi”, le speculazioni dei quali costituiscono tutt’oggi le colonne della moderna filosofia del diritto, espressero opinioni diverse sul concetto di natura. In estrema sintesi: Thomas Hobbes [1588-1679] affermava che «l’uomo è un lupo divoratore per ogni altro uomo» [Bellum ominus contra omnes; homo, homini, lupus]. Per Hobbes, quindi, lo «stato di natura» è una guerra di ogni uomo contro tutti, posto che l’uomo ― per riassumerla in breve ―, non è naturalmente buono. Di parere diverso John Locke [1632-1704] per il quale lo stato di natura, inteso come la condizione iniziale dell’uomo, non si manifesta come un «bellum omnium contra omnes», ma come una condizione che può invece portare a una pacifica e positiva convivenza sociale.

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Se per Hobbes l’uomo è malvagio per natura perché ha paura degli altri uomini, quindi attacca per non essere attaccato, per Locke, che ha una visione più ottimistica, l’uomo non nasce corrotto né tendente al male. Se a questi due pensatori vogliamo aggiungere ciò che pensava il calvinista svizzero Jean Jacques Rousseau [1712-1778], da esso emerge che l’uomo non nasce cattivo o malvagio, ma lo diventa a causa delle istituzioni e della società, insomma … per colpa degli altri.

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John Locke, stampa d’epoca

Questi tre pensatori indicati come filosofi, erano dei socio-politologi con non lievi lacune sulla conoscenza del pensiero filosofico, delle sue grandi speculazioni e dei suoi grandi speculatori. Come però i buoni Lettori capiranno, non è questa la sede per avviare un complesso discorso su tre figure altrettanto complesse che nei tempi successivi hanno favorito più lo sviluppo di equivoci e danni che di benefici.

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Il problema della natura dell’uomo io lo analizzo da un punto di vista teologico, per l’esattezza partendo dalla teologia del peccato originale. Affermare pertanto che l’uomo nasce buono o che l’uomo nasce cattivo, è cosa in parte errata e in parte riduttiva, posto che la cattiveria è una manifestazione che nasce come conseguenza di altro. Nella mia ottica cristiana e teologica, l’uomo nasce corrotto; e questo per me è un fatto, perché con buona pace di certi venefici teologi del passato e del presente, il peccato originale non è una metafora né una allegoria, ma un fatto. Sicché, dalla innaturale corruzione dell’uomo generata come conseguenza da quel fatto, nascono tutti i peggiori effetti collaterali, anch’essi innaturali, posto che la innaturalezza, se innescata come meccanismo, produce a sua volta innaturalezza.

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Il Creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili, la natura l’ha creata perfetta, non imperfetta, ed il cuore di questa perfezione era proprio l’uomo, al quale Dio affidò l’intero creato. Con la propria ribellione a Dio, l’uomo altera questo equilibrio rendendo imperfetto se stesso e l’intero creato. La conseguenza è stata l’entrata sulla scena della malattia, del dolore, del decadimento fisico e della morte. Per la natura, invece, la conseguenza è stata ch’essa è divenuta ostile all’uomo: siccità, carestie, maremoti, terremoti, eruzione di vulcani, malattie infettive, pestilenze …

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Abele e Caino, collezione Zeri

L’uomo, più che cattivo, nasce corrotto. La cattiveria, a suo modo insita nella natura umana, è la conseguenza di questa corruzione di cui è paradigma l’episodio di quei due fratelli che rappresentano lo stato in cui i nostri progenitori hanno fatta precipitare l’umanità: Abele e Caino. Se poi ci pensiamo bene, Caino non è stato soltanto il primo omicida, ma anche il primo traditore, il primo guerrafondaio. Infatti, dopo che Caino ebbe tratto in inganno suo fratello e lo uccise, Dio lo ammonì severamente dicendo: «E ora tu sei più maledetto della terra che ha aperto la sua bocca per ricevere il sangue di tuo fratello dalla tua mano. Quando coltiverai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti e tu sarai vagabondo e fuggiasco sulla terra» [Gen 4:11-12]. Allora Caino si lamentò: «Il mio castigo è troppo grande perché io lo possa sopportare. Ecco, tu mi scacci oggi dalla faccia di questo suolo e sarò nascosto dalla tua faccia; e sarò vagabondo e fuggiasco per la terra, e avverrà che chiunque mi troverà mi ucciderà» [Gen 4:13-14]. Dio rispose: «Perciò, chiunque ucciderà Caino, egli sarà punito sette volte». E l’Eterno mise un segno su Caino affinché nessuno trovandolo, lo uccidesse. Allora Caino si allontanò dalla presenza dell’Eterno e dimorò nel paese di Nod, ad est di Eden» [Gen 4:15-16]. 

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Propendo a pensare che il marchio col quale fu segnato Caino, è un marchio che Dio ha impresso sull’intera umanità dopo che la corruzione entrata sulla scena del mondo col peccato di Adamo ed Eva, aveva prodotto i propri frutti con questo fratricidio. Certo, viene da domandarsi come mai Dio non abbia punito con la morte Caino, ma dopo averlo marchiato ordina che nessuno lo tocchi. Dinanzi a questo quesito ho sempre trovato interessante la risposta data da Victor Hugo nella sua opera L’Ultimo giorno di un condannato :

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Adamo ed Eva, stampa d’epoca

«Vendicarsi è dell’individuo, punire è di Dio. La società è tra i due. Il castigo è al di sopra di essa, la vendetta è al di sotto. Niente di così grande o di così piccolo gli si attaglia. Essa non deve punire “per vendicarsi”; deve correggere per migliorare».

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Nella disastrata Chiesa visibile odierna, dove Dio è stato ormai mutato in altro, tra buonismo imperante e misericordismo rasente il diabolico, si è sviluppato un deciso rifiuto ad usare dei termini quali «punizione» e «castigo di Dio». Negare questi due elementi equivale a negare il concetto stesso di misericordia di Dio, posto che ― come spiegò alcuni anni fa Giovanni Cavalcoli, O.P ― «Dio castiga e usa misericordia» [cf. QUI e QUI]. È infatti nella punizione e nel castigo inflitto a Caino che è racchiusa ed a suo modo segnata l’intera umanità corrotta dal peccato, ma al tempo stesso è racchiusa anche la grande misericordia di Dio, sia per il primo fratricida che per tutti noi. Assieme alla misericordia, Dio ha manifestata anche profonda tutela, tutta quanta mirata al recupero dell’uomo, di Caino e di tutti noi, ciò proprio perché «Dio castiga e usa misericordia».

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Jean Jacques Rousseau, stampa d’epoca

Nel corso del Novecento, la malvagità crudele dell’uomo si è manifestata a tal punto che per reazione, molti maestri più o meno illuminati di correnti di pensiero altrettanto più o meno illuminate, hanno cominciato a cercare e dare risposte che negano ― o tentano di negare ―, non solo la natura malvagia e crudele manifestata dall’uomo, ma che l’uomo crudele e malvagio possa provare piacere nel recare del male agli altri. In soccorso a questi maestri più o meno illuminati di correnti di pensiero altrettanto più o meno illuminate, sono corse tante nuove pseudo scienze che spaziano dai sociologismi alle varie correnti della psicoanalisi e che giungono sempre a un triste risultato: spiegare e giustificare l’atto crudele ed intrinsecamente malvagio. La mente partoriente di queste varie correnti è Jean Jacques Rousseau, secondo il quale l’uomo non nasce cattivo o malvagio, ma lo diventa a causa delle istituzioni e della società. Ciò rende pertanto necessario spostare l’attenzione sia dal malvagio sia dai suoi atti di crudele malvagità, per cercare cause e colpe altrove. Ecco allora che oggi, a quasi mezzo secolo di distanza dallo sviluppo massimo di certi pensieri pericolosi, dinanzi ad un delinquente pluri-recidivo i pubblici ministeri ed i giudici chiamati a emettere la sentenza di condanna, se ne guardano bene dal parlare di naturale o innata attitudine a delinquere. Infatti, se ai nostri giorni un ladro è colto con due complici in piena notte dentro una casa dal proprietario che detiene regolarmente un’arma da fuoco, mentre sua moglie ed i suoi figlioletti dormono; se costui, temendo le pericolose conseguenze, si difende facendo fuoco, la pubblica opinione buonista capitanata dal giornalismo politicamente corretto sospirerà: «povero ladro!». E una volta innescata questa spirale, sarà parecchio difficile spiegare a quanti credono all’uomo “potenzialmente buono” ed “in fondo buono”, che diverse volte, durante questi furti, delle bande di criminali hanno tramortito di botte il marito, poi si sono dilettati ― in quanto “fondamentalmente buoni” ―, a violentare la madre davanti ai figlioletti. Naturalmente spetterà poi al meglio dei socio-politologi spiegare ai figlioletti che l’uomo malvagio, crudele e volutamente irrecuperabile ― poiché chiuso a qualsiasi forma di umano recupero ―, non esiste.

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Queste distorsioni della realtà che generano poi distorsioni del pensiero, nascono dal rifiuto di quel mistero chiamato peccato originale al quale oggi, all’interno della stessa Chiesa Cattolica, molti teologi tendono a conferire rango di allegoria, confondendo il racconto col fatto, posto che allegorico è il racconto di Genesi, non quanto in esso contenuto, ossia il peccato originale, che, torno a ripetere, è stato un fatto di siffatta e devastante portata da trasmettere a tutta la successiva umanità ― che ovviamente di questo peccato commesso non è colpevole ―, una natura corrotta. In verità, l’uomo naturalmente buono e privo di malizia, esisteva eccome, ma in origine, prima che i nostri progenitori compissero un atto di tale gravità da compromettere la purezza e la stessa natura di quell’uomo creato a immagine e somiglianza del Dio vivente.

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Maometto, stampa d’epoca

Dal concetto d’uomo fondamentalmente buono che in quanto tale non nasce cattivo o malvagio, ma che lo diventa a causa delle istituzioni e della società, vale a dire per colpa degli altri, il passo successivo è l’idea sbagliata e non poco distruttiva del … bisogna cercare di guardare al positivo che c’è in qualsiasi uomo, di scorgere il bene, di far emergere gli elementi positivi, di cercare quello che di valido c’è persino nell’errore e quindi metterlo in luce. Ebbene, sinceramente debbo dire che quando a fare discorsi di questo genere non è un figlio dei fiori fiero del proprio ateismo, pacifista surreale, vegetariano convinto ed ecologista radicale, bensì persone di grande preparazione e alta levatura culturale filosofica e teologica, io comincio a essere veramente spaventato, specie se andiamo poi ad analizzare a che cosa ci ha portato il concetto di “fondamentalmente buono” che c’è in ciascuno, seguito dallo scellerato desiderio di cercare di far emergere il bene anche da persone molto nocive, oppure da pensieri palesemente ereticali. Partiamo dunque dall’alto per poi discendere verso il basso: il “fondamentalmente buono”, ha portato di recente il Pontefice regnante a definire l’Islam una religione di pace [cf. Padre Samir Khalil Samir, S.J, QUI], ignaro che questa decantata religione di pace racchiude al proprio interno, a livello proprio strutturale, tutti quegli elementi di violenza e di odio manifestati non da oggi, ma da sempre, a partire da Maometto, che non è un profeta, tanto meno un grande profeta, ma un falso profeta. Dinanzi a queste affermazioni, che dovrebbero essere teologicamente ovvie, ecco partire in difesa i paladini del “fondamentalmente buono” che giustificano affermando: «Bisogna cercare ciò che ci unisce e non ciò che ci divide». Detto questo si dovrebbe però spiegare: a me, Sacerdote di Cristo Dio istitutore dell’unico, solo e vero Sacerdozio, il quale ci ha dato un solo e vero Vangelo di salvezza, che cosa mi dovrebbe unire a dei propagatori di menzogne nati da un falso profeta? Ma soprattutto vorrei sapere che cosa c’è di buono in una serie di menzogne come quelle enunciate da Maometto. Dinanzi a queste obiezioni i paladini del “fondamentalmente buono” non esitano a replicare: «Di buono c’è che i musulmani riconoscono la figura di Gesù Cristo». E dinanzi a questa affermazione ho più volte replicato: «I musulmani riconoscono Gesù Cristo come un profeta minore che ha preceduto l’ultimo grande profeta che sarebbe Maometto, che ha perfezionato quel che d’imperfetto e di sbagliato c’era nell’annuncio di Gesù Cristo. E questo, per me che credo in Gesù Cristo come Verbo di Dio incarnato, come Dio fatto uomo, come generato non creato della stessa sostanza del Padre, non è un punto di unione, ma una bestemmia. E da quando, le bestemmie, costituiscono punti di unione? Forse da quando si è deciso di porle come basi del dialogo interreligioso?».

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Martin Lutero, stampa d’epoca

Dal falso profeta Maometto, possiamo passare direttamente a Martin Lutero, sul quale, sempre il Pontefice regnante, ha affermato di tutto e di più, come se mai il Concilio di Trento avesse scritto certi canoni; e se proprio li ha scritti, qualcuno pare avere stabilito di motu proprio che non sono più validi, se non con un chiaro documento pontificio, con una confusa prassi pastorale. E in quei mesi nei quali la povera Chiesa visibile ha deciso di partecipare in modo attivo ai festeggiamenti della falsa riforma luterana ― e dico falsa perché l’eresiarca Lutero non ha fatto alcuna riforma ma originato un drammatico scisma ―, si sono sentite pronunciare, pure dalla stessa Cattedra di Pietro, delle frasi aberranti: Lutero «animato da buone intenzioni», Lutero indicato come «riformatore», per seguire col suo scisma indicato come «riforma» persino in un francobollo commemorativo ufficiale emesso dalle Poste Vaticane in occasione dei Cinquecento anni del suo scisma [cf. QUI]. Non parliamo poi del numero due della Conferenza Episcopale Italiana, S.E. Mons. Nunzio Galantino, che ad un convegno promosso presso la Pontificia Università Lateranense — che per inciso è l’università del Romano Pontefice — indicò con sconcertante impudicizia questo eresiarca teutonico come … «un dono dello Spirito Santo» (!?) [cf. mio precedente articolo, QUI].

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Santa Margherita da Cortona, protettrice delle prostitute pentite, collezione Zeri

Proviamo dunque a chiarire le cose a tutte quante le anime belle, a partire soprattutto da quelle più colte che credono veramente a queste teorie pericolose ed agiscono per altrettanta pericolosa conseguenza, per esempio invitando a cercare il buono ed a mettere in luce quello che c’è di buono, ignari che nel falso non c’è nulla di vero e, se  un barlume di vero c’è, è solo perché il Demonio ne fa uso per affermare e diffondere il falso dopo avere confuso con le sue armi di dissuasione di massa gli sciocchi sapienti. Nella bestemmia non c’è nulla di positivo, c’è solo e sempre l’oltraggio a Dio. Nell’eresia non c’è niente di buono, c’è solo l’oltraggio alla verità, anche se l’eresia oggi non è chiamata più tale ed anche se ormai da mezzo secolo ci si ostina a cercare in essa quello che secondo alcune menti illuminate dovrebbe esserci di buono. Nello scisma, che è la forma più grave di frattura della comunione ecclesiale, non c’è da andare a cercare quello che ci unisce, perché cercare unità nella divisione voluta, mantenuta e, come tale, considerata giusta, equivale ad andare a cercare la verginità nelle puttane, che singolarmente possono essere anche delle donne capaci a racchiudere in sé stesse molte più tenerezze e sensibilità di tante signore dell’alta società, ma che in ogni caso rimarranno sempre delle puttane, almeno fin quando, semmai per intercessione di Santa Margherita da Cortona protettrice delle prostitute pentite [cf. QUI], non si saranno convertite scegliendo di cambiare completamente vita. Purtroppo, nella Chiesa misericordista e buonista, non ci si limita ad affermare che una singola puttana può appartenere a quelle anime elette che come ci ammonisce Cristo «vi precedono nel Regno dei Cieli» [cf. Mt 21, 28-32]; nella Chiesa visibile odierna, dove brulicano personaggi più comprensivi e più misericordiosi di Cristo stesso, ormai si è giunti di fatto ad affermare, se non in modo diretto attraverso esotiche prassi pastorali, che nel puttanesimo, ossia nella prostituzione, ci sono elementi buoni e positivi da cogliere e da valorizzare, semmai pure aggiungendo appresso che le vergini consacrate che ammuffiscono nelle case religiose sono invece delle zitelle acide, tendenti al pelagianesimo, al legalismo e via dicendo a seguire …

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Il Sommo Pontefice Pio VII arrestato e deportato da Napoleone prima a Savona e poi a Fontainebleau, stampa d’epoca

Il “fondamentalmente buono”, il vedere il bene, il cercare l’unione a tutti i costi e costi quel che costi, assieme al dialogo con quanti sono fieri dei propri errori e diffusori indomiti degli stessi all’interno della Chiesa, è una tra le più grandi insidie che ci sta corrodendo al nostro interno. E se qualcuno osa indicare il male come male, l’eresia come eresia, lo scisma come scisma, il peccato come peccato, i gravi disordini morali come gravi disordini morali, rischia di sentirti dare del legalista, del fariseo, del pelagiano, del cristiano triste, del cristiano pipistrello … ma soprattutto di sentirsi dare della persona priva di quella non meglio precisata misericordia oggi in gran voga.

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Il criterio del “fondamentalmente buono”, del “cercare il buono” assieme a “quello che ci unisce e non quello che ci divide”, se è valido deve essere applicato a tutto ed a tutti. È quindi vero che Napoleone portò la guerra in tutta Europa, che osò levare le mani sul Sommo Pontefice Pio VII catturandolo e deportandolo a Fontainebleau, certo e sicuro che avrebbe spazzata via la Chiesa dalla faccia della terra, però, a parte queste cose, noi che ne sappiamo di quanto il Bonaparte fosse di fondo buono? Ma soprattutto, quanti lati buoni c’erano nel Bonaparte? Perché guardare solo al male ed al negativo, anziché cercare in lui tutti i risvolti positivi e metterli in luce?

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Adolf Hitler con il suo amato cane da pastore

E mancavano forse dei risvolti positivi in Adolf Hitler? Molti, sbagliando perché gravati di pregiudizi, pensano solamente ad Hitler come al responsabile dell’invasione della Polonia che dette avvio alla Seconda Guerra Mondiale. Appena si nomina Hitler la mente corre ai campi di concentramento ed allo sterminio degli ebrei, ignorando che il Führer non è stato solo questo, è stato anche un uomo tenerissimo, dotato di una sensibilità profonda. Egli era solito mostrare grande affetto ai figlioletti dei membri delle S.S., vi sono documenti filmici che lo mostrano affettuoso con gli occhi accesi di tenerezza. Perché, ridurre Hitler solo a colui che permise al Dottor Josef Mengele di selezionare circa 3.000 bambini nel lager di Auschwitz-Birkenau, costretti a vivere e morire nel blocco numero 10 di questo campo di concentramento, dal quale a fine guerra ne risultavano sopravvissuti appena duecento? Hitler non è solo questo, è anche colui che verso i propri cani aveva grandi premure; e tutto lo Stato Maggiore delle S.S. lo vide piangere quando morì il suo amato pastore tedesco.

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Stalin con la figlia Svetlana

Vogliamo poi parlare di Iosif Stalin? O qualcuno pensa che Stalin sia stato solo il responsabile della morte di milioni di russi e della deportazione di altrettanti nei gulag? Perché omettere tutto quello che di buono e di positivo c’era in Stalin, che era anzitutto un padre molto amorevole? C’è un’immagine d’archivio del 1935 nella quale egli tiene tra le braccia Svetlana, la sua amata figlia, con una tenerezza che tocca il cuore; e Dio solo sa quante figlie vorrebbero essere tenute tra le braccia da un padre così amorevole.

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A più riprese la Chiesa ha condannato il Comunismo. Alcuni continuano a farlo, forse perché prevenuti e privi della necessaria lucidità. Sarebbe infatti meglio, anziché condannare, cercare e prendere ciò che di buono c’è anche nel Comunismo, perché molti sono i suoi lati positivi che andrebbero messi in luce e seguiti.

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la caduta di Lucifero, stampa d’epoca

La verità è che purtroppo si inizia puntando su ciò che unisce nel bene e non su quello che divide nel male, si prosegue cercando in ogni modo quello che di buono c’è sempre nell’uomo, senza che nessuno ― se non pochi ― si accorga che il male protetto dal buonismo e dal misericordismo ci sta distruggendo. Il problema che oggi affligge la Chiesa e dal quale a volte pare non si riesca a sortire fuori, tant’è difficile scardinare certi meccanismi, è che il bene diventa male ed il male diventa bene, la virtù diventa vizio da scacciare e il vizio virtù da accogliere e da proteggere bene al nostro interno. E questa grande inversione è opera del grande invertitore: il Demonio, giunto persino a servirsi di una non meglio precisata misericordia, in nome della quale oggi, i pastori presi ad accogliere tutto ciò che non è cattolico, accarezzano i lupi e prendono a bastonate le pecore del loro ovile, chiamandole pecore tristi e pelagiane che idolatrano il rigore della dottrina, o che peggio invocano la applicazione delle leggi ecclesiastiche, oggi soppiantate in nome del “no al legalismo!”, affinché la certezza delle leggi canoniche e la loro corretta applicazione fosse sostituita da quel libero arbitrio umorale che da sempre è fonte di ogni peggiore ingiustizia.  

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dall’Isola di Patmos, 23 aprile 2018 

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