Alla Sala Stampa Vaticana «Aridatece Joaquin Navarro Valls!»

ALLA SALA STAMPA VATICANA «ARIDATECE JOAQUIN NAVARRO VALLS!»

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Quando la mancanza di rispetto verso i fedeli servitori della Chiesa di Cristo supera ogni limite della cristiana decenza, ed al tempo stesso si accolgono nel nostro seno le più venefiche eresie ed i più perniciosi eretici, chiamando le prime «preziose diversità» ed i secondi «doni dello Spirito Santo», bisogna prendere atto che siamo nella sfera del demoniaco, quindi invocare la protezione di San Michele Arcangelo nella lotta contro Satana.

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Autore
Redazione dell’Isola di Patmos

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Il Santo Pontefice Giovanni Paolo II [1920-2005] ed il portavoce della Sala Stampa Vaticana Joaquin Navarro Vals [1936-2017]

In questi giorni è stata diffusa una lettera del Cardinale Joseph Zen Ze-Kiun indirizzata ai «Cari Amici dei Media», che anche noi abbiamo riportato su L’Isola di Patmos [vedere QUI].

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Al Vescovo emerito di Hong Kong, che è uno dei più grandi conoscitori al mondo della delicata situazione cinese e che ha trascorso la sua esistenza a servire la Chiesa di Cristo, nel comunicato qui riprodotto non si riconosce neppure la dignità al nome, posto che questa dignità è riconosciuta alle proprie creature da Dio Padre, che ci chiama tutti per nome e che ci ama prima ancora dell’inizio dei tempi. Dobbiamo dedurne che forse, presso la Santa Sede, c’è qualcuno più in alto di Dio Padre?

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In questi ultimi cinque anni di storia della Chiesa, il diritto al nome è stato riconosciuto a tutti, anche all’ultimo dei taglia-gole musulmani sbarcati a Lampedusa. Perché come provano le indagini dei vari corpi internazionali di polizia — ma soprattutto come provano le identificazioni di vari soggetti che sbarcati in Europa sono poi approdati in Siria per scannare i cristiani —, di taglia-gole a Lampedusa ne sono sbarcati diversi. E per seguire: diritto al nome è stato riconosciuto ad abortiste impenitenti e orgogliose come la Signora Emma Bonino e come il luciferino Marco Pannella; diritto al nome e persino dignità di titolo ecclesiastico è stata tributata finanche a delle carnevalesche “Arcivescovesse” luterane lesbiche dichiarate, conviventi con le proprie compagne e sostenitrici dell’aborto, dell’eutanasia, dell’omosessualismo, del matrimonio tra persone dello stesso sesso e della adozione di bambini riconosciuta a questi soggetti come diritto intangibile. Seguono poi appresso — come suol dirsi — tutte quante le Litanie dei Santi. E, per inciso, forse tra non molto sentiremo inneggiare nelle Litanie dei Santi anche a San Martin Lutero, al quale sono stati riconosciuti, oltre al nome, anche titoli quali «riformatore», «animato da buone intenzioni», «dono dello Spirito Santo» … Chi infatti afferma questo, ed altro ancòra di peggio, non alimenta affatto alcuna «confusione e polemiche», come invece puntualizza il gelido comunicato della Sala Stampa della Santa Sede, che non osa neppure menzionare un anziano uomo di Dio, nonché Vescovo e Cardinale integerrimo: Joseph Zen Ze-Kiun, al quale il diritto al nome è in ogni caso riconosciuto da Dio Padre Onnipotente Creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili. 

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Non abbiamo altro da aggiungere, se non un rammaricato … «Aridatece Joaquin Navarro Valls!». E non solo lui, non solo lui …

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Sancte Michael Archangele,
defende nos in proelio;
contra nequitiam et insidias diaboli esto praesidium.
Imperet illi Deus, supplices deprecamur:
tuque, Princeps militiae caelestis,
Satanam aliosque spiritus malignos,
qui ad perditionem animarum
pervagantur in mundo,
divina virtute, in infernum detrude.
Amen.
 

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dall’Isola di Patmos, 30 gennaio 2018

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«Voce di uno che grida nel deserto». La lettera del Cardinale Joseph Zen Ze-Kiun sulla delicata questione cinese e le maldestre trattative della Santa Sede.

siamo al tramonto della diplomazia vaticana ? —

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«VOCE DI UNO CHE GRIDA NEL DESERTO». LA LETTERA DEL CARDINALE  JOSPEPH ZEN ZE-KIUN SULLA DELICATA QUESTIONE CINESE E LE MALDESTRE TRATTATIVE DELLA SANTA SEDE

 

«Forse io penso che il Vaticano stia svendendo la Chiesa Cattolica in Cina? Sì, decisamente, se essi vanno nella direzione che è ovvia in tutto quello che hanno fatto in questi mesi e anni recenti».

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Autore
Joseph Zen Ze-Kiun

 

 

 

abbiamo ricevuto la lettera indirizzata da Sua Eminenza il Cardinale Joseph Zen Ze-Kiun Agli Amici dei Media che di seguito riproduciamo. In questa lettera, tanto pacata quanto addolorata, il Vescovo emerito di Hon Kong, la cui voce dovrebbe essere ascoltata dalla Santa Sede in spirito di devota venerazione — e ciò sia per la sua età sia per la sua conoscenza della società civile e politica della Repubblica Popolare Cinese —, l’anziano, lucido e vitale Cardinale ha deciso di rendere pubblico il suo colloquio avvenuto col Sommo Pontefice Francesco I, il giorno avanti la sua partenza per l’ultimo viaggio apostolico in Cile e Perù. Al Sommo Pontefice il Cardinale ha espressa la sua grande preoccupazione per il modo pericoloso e non poco maldestro con cui diversi alti dignitari della Santa Sede hanno trattato e proseguono imperterriti a trattare il delicato problema della Chiesa Cattolica cinese. Da sempre, il principale contendere tra Governo Comunista e Santa Sede verte sulla nomina dei Vescovi. L’autorità comunista rivendica infatti il diritto inderogabile ad approvare la nomina dei Vescovi, che detta in termini più chiari equivale a dire: vuole che i Vescovi siano in tutto e per tutto di nomina governativa, controllando così per loro tramite sia il clero sia i fedeli. Questi problemi non nascono oggi, perché già anni fa, durante una sua visita presso una Casa sacerdotale all’Aventino, presenti diversi sacerdoti e religiosi, ricordo che il Cardinale, riguardo il delicato problema cinese, ebbe a definire l’allora Segretario di Stato, Cardinale Tarcisio Bertone «un dannoso incompetente». All’epoca eravamo nel marzo del 2010, ma le cose non sembra che siano cambiate, a quanto pare sono parecchio peggiorate.

Ariel S. Levi di Gualdo

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Cari Amici dei Media,

Sua Eminenza il Cardinale Joseph Zen Ze-Kiun, Vescovo emerito di Hon Kong

da quando Asia News ha rivelato alcuni fatti recenti della Chiesa in Cina, di vescovi legittimi a cui la “Santa Sede” avrebbe chiesto di dare le dimissione per far posto a “vescovi” illegittimi e perfino scomunicati in modo esplicito, diverse versioni e interpretazione dei fatti stanno creando confusione fra la gente [NdR. cf QUI]. Molti, sapendo del mio recente viaggio a Roma, mi hanno chiesto alcuni chiarimenti.

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Nell’ottobre scorso, quando Mons. Pietro Zhuang ha ricevuto la sua prima comunicazione dalla Santa Sede e ha chiesto il mio aiuto [Ndr. cf. QUI], ho inviato qualcuno a portare la sua lettera al Prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, con inclusa una copia per il Santo Padre. Non so se quella copia inclusa ha mai raggiunto la scrivania del Santo Padre. Per fortuna, Mons. Savio Hon Taifai era ancora a Roma e ha potuto incontrare il Papa per una visita di congedo. In quell’occasione, egli ha portato a conoscenza del Santo Padre i due casi di Shantou e Mindong. Il Santo Padre era sorpreso e promise che avrebbe studiato il caso.

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A causa delle parole che il Santo Padre aveva dette a Mons. Savio Hon, i nuovi fatti in dicembre sono stati ancora più scioccanti e sorprendenti per me. Quando l’anziano e afflitto Mons. Zhuang mi ha chiesto di portare al Santo Padre la sua risposta al messaggio da lui ricevuto dalla “delegazione vaticana” a Pechino, non ho potuto dirgli di no. Ma cosa potevo fare per essere sicuro che la sua lettera raggiungesse il Santo Padre, quando non sono sicuro nemmeno se le mie lettere giungono a lui? Per assicurarmi che la nostra voce arrivi al Santo Padre, ho preso subito la decisione di andare a Roma. Ho lasciato Hong Kong la notte del 9 gennaio, arrivando a Roma al mattino presto del 10 gennaio, giusto in tempo — beh, veramente leggermente in ritardo — per partecipare all’udienza generale del mercoledì. Alla fine dell’udienza, noi cardinali e i vescovi sono ammessi per il baciamano e io ho avuto la possibilità di mettere nelle mani del Santo Padre la busta, dicendo che ero venuto a Roma al solo scopo di portare a lui la lettera di Mons. Zhuang, sperando che egli trovasse il tempo di leggerla [nella busta vi era la lettera originale del vescovo in cinese, una mia traduzione in italiano e una mia lettera].

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Per ovvie ragioni, ho sperato che la mia presenza all’udienza non fosse notata, ma il mio arrivo in ritardo nell’aula era stato notato. Ad ogni modo, ora tutti possono vedere l’intera sequenza dalla Televisione Vaticana [a proposito, l’udienza si è tenuta nell’aula Paolo VI, non in piazza san Pietro e io ero in ritardo per entrare nell’udienza, ma non ho “aspettato in coda, al freddo”, come qualche articolo ha riportato in modo erroneo].

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A Roma, ho incontrato Padre Bernardo Cervellera di Asia News. Ci siamo scambiati informazioni, ma io ho detto a lui di non scrivere nulla. Ed egli è stato d’accordo. Ora che qualcun altro ha diffuso la notizia, io posso dire di essere d’accordo e la confermo. Sì, per quanto mi è dato sapere, le cose sono avvenute proprio come sono raccontate in Asia News [l’articolo di Asia News “crede” che il vescovo che guidava la delegazione vaticana in Cina fosse Mons. Claudio Maria Celli. Io non so con quale ruolo ufficiale egli fosse là, ma è quasi sicuro che fosse proprio lui a Pechino].

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In questo momento cruciale e a causa della confusione che regna nei media, conoscendo in modo diretto la situazione di Shantou e in modo indiretto quella di Mindong [NdR. cf. QUI], mi sento in dovere di condividere la mia conoscenza dei fatti, affinché le persone sinceramente preoccupate per il bene della Chiesa possano conoscere la verità a cui hanno diritto. Sono perfettamente cosciente che facendo ciò, sto parlando di cose che tecnicamente sono qualificate come “confidenziali”. Ma la mia coscienza mi dice che in questo caso, il “diritto alla verità” dovrebbe superare ogni “dovere di confidenzialità”.

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Con questa convinzione, mi appresto a condividere con voi quanto segue.

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Nel pomeriggio di quel giorno, il 10 gennaio, ho ricevuto una chiamata da Santa Marta, in cui mi si diceva che il Santo Padre mi avrebbe ricevuto in udienza privata la sera di venerdì 12 gennaio [sebbene il bollettino vaticano ne dà notizia il 14 gennaio]. Quello era il mio ultimo giorno dei miei 85 anni di vita, un grande dono del Cielo! [Notate anche che era la vigilia della partenza del Santo Padre per il Cile e il Perù, e quindi il Santo Padre doveva essere molto impegnato].

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Quella sera, la conversazione è durata circa mezz’ora. Ero piuttosto disordinato nel mio parlare, ma penso di aver raggiunto lo scopo di rendere note al Santo Padre le preoccupazioni dei suoi figli fedeli in Cina. La domanda più importante che ho posto al Santo Padre [che era citata anche nella lettera] era se egli aveva avuto tempo di “studiare il caso” [come aveva promesso a Mons. Savio Hon]. Nonostante il pericolo di essere accusato di rompere la confidenzialità, ho deciso di dirvi quanto sua Santità ha detto: «Sì, ho detto loro [i suoi collaboratori nella Santa Sede] di non creare un altro caso Mindszenty!». Ero là alla presenza del Santo Padre, in rappresentanza dei miei fratelli cinesi nella sofferenza. Le sue parole dovrebbero essere ben comprese come una consolazione e un incoraggiamento più per loro che per me.

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Questo riferimento storico al Card. Josef Mindszenty, uno degli eroi della nostra fede, è molto significativo e appropriato da parte del Santo Padre. Il Card. Josef Mindszenty era arcivescovo di Budapest, cardinale primate di Ungheria sotto la persecuzione comunista. Egli ha molto sofferto per diversi anni in prigione. Durante la breve vita della rivoluzione del 1956 egli è stato liberato dagli insorti e, prima che l’Armata rossa distruggesse la rivoluzione, si rifugiò nell’ambasciata americana. Sotto la pressione del governo, la Santa Sede gli ordinò di lasciare il Paese e nominò un suo successore a piacere del governo comunista.

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Con questa rivelazione, spero di aver soddisfatto il legittimo “diritto a sapere” dei media e dei miei fratelli in Cina. La cosa importante per noi è di pregare per il Santo Padre, cantando il molto opportuno inno tradizionale Oremus: «Oremus pro Pontifice nostro Francisco, Dominus conservet eum et vivificet eum et beatum faciat eum in terra et non tradat eum in animam inimicorum eius».

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Forse è necessaria qualche ulteriore spiegazione.

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1. Prego notare che il problema non sono le dimissioni dei vescovi legittimi, ma la richiesta di fare spazio a quelli illegittimi e scomunicati. Sebbene la legge sul ritiro per raggiunti limiti di età non sia mai stata applicata in Cina, molti anziani vescovi sotterranei hanno chiesto con insistenza un successore, ma non hanno mai ricevuto alcuna risposta dalla Santa Sede. Altri, che hanno già un successore nominato, e forse perfino la bolla firmata dal Santo Padre, hanno ricevuto l’ordine di non procedere con l’ordinazione per paura di offendere il governo [NdR. cf. QUI].

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2. Ho parlato soprattutto dei due casi di Shantou e Mindong. Non ho altre informazioni, oltre alla copia di una lettera scritta da una donna cattolica eccezionale, un’accademica in pensione, molto addentro negli affari della Chiesa in Cina, in cui ella mette in guardia mons. Celli dallo spingere per legittimare il “vescovo” Lei Shiying in Sichuan.

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3. Riconosco di essere un pessimista riguardo alla presente situazione della Chiesa in Cina, ma il mio pessimismo è basato sulla mia lunga e diretta esperienza della Chiesa in Cina. Dal 1989 al 1996 ho speso sempre sei mesi all’anno insegnando in vari seminari della comunità cattolica ufficiale. E ho diretta esperienza della schiavitù e dell’umiliazione a cui i nostri fratelli vescovi sono soggetti. In base alle recenti informazioni, non vi è ragione per cambiare questa visione pessimista. Il governo comunista sta producendo nuovi e più aspri regolamenti limitando la libertà religiosa. Essi ora stanno mettendo in atto i regolamenti che fino ad ora erano solo sulla carta:  dal 1 febbraio 2018, il raduno alla messa di una comunità sotterranea non sarà più tollerato.

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4. Alcuni dicono che tutti gli sforzi per giungere ad un accordo [fra Cina e Santa Sede] sono per evitare uno scisma ecclesiale. Ciò è ridicolo! Lo scisma è già lì, nella Chiesa indipendente. I papi hanno evitato di usare la parola “scisma” perché sapevano che molti nella comunità ufficiale cattolica erano lì non di spontanea volontà, ma sotto pesanti pressioni. La proposta “unificazione” forzerà chiunque [ad entrare] in quella comunità. Il Vaticano darebbe quindi la benedizione a una nuova e più forte Chiesa scismatica, lavando la cattiva coscienza di coloro che già ora sono volonterosi rinnegati e degli altri che sono pronti ad aggiungersi a loro.

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5. Non è un bene cercare di trovare un terreno comune per colmare la pluridecennale divisione fra il Vaticano e la Cina? Ma ci può essere qualcosa di “comune” con un regime totalitario? O ti arrendi o accetti la persecuzione, ma rimanendo fedele a te stesso. Si può immaginare un accordo fra San Giuseppe e il Re Erode?

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6. Così forse io penso che il Vaticano stia svendendo la Chiesa cattolica in Cina? Sì, decisamente, se essi vanno nella direzione che è ovvia in tutto quello che hanno fatto in questi mesi e anni recenti.

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7. Qualche esperto della Chiesa cattolica in Cina dice che non è logico supporre una più aspra politica religiosa da parte di Xi Jinping. In ogni caso, qui non si sta parlando di logica, ma dell’ovvia e cruda realtà.

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8. Sono forse io il maggior ostacolo al processo di accordo fra il Vaticano e la Cina? Se questo accordo è cattivo, sono più che felice di essere un ostacolo.

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Hong Kong, 29 gennaio 2018

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+ Joseph Card. Zen Ze-Kiun

Vescovo emerito di Hon Kong

 

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Titoli al testo a cura della Redazione

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Rimandata di due anni la nomina del Padre Ariel S. Levi di Gualdo alla sede arcivescovile di Napoli

— rinunce e nuove nomine —

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RIMANDATA DI DUE ANNI LA NOMINA DEL PADRE ARIEL S. LEVI di GUALDO ALLA SEDE ARCIVESCOVILE DI NAPOLI

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Il Sommo Pontefice, facendo uso di una sapienza tanto profonda quanto antica, ha deciso di placare gli animi dei numerosi pretendenti in lizza tra loro, dando al Cardinale Crescenzio Sepe, al compimento del suo 75° anno di età, altri due anni di governo della Diocesi, affidandogli al tempo stesso un incarico ben preciso: mantenere il posto per il Padre Ariel, già prescelto da tempo come suo successore. 

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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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PDF  testo formato stampa 

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Sua Eminenza il Cardinale Crescenzio Sepe, Arcivescovo Metropolita di Napoli, 75 anni compiuti, mostra l’ampolla col sangue di San Gennaro

Prima che il Cardinale Crescenzio Sepe, Arcivescovo Metropolita di Napoli, compisse 75 anni, come di prassi s’erano scatenati i conti a babbo morto [cf. Accademia della Crusca, QUI]. Così, il Pontefice Regnante, si è ritrovato dinanzi ad una fitta fila di pretendenti in lizza tra loro nel presentare le proprie propensioni per i poveri, i profughi, le periferie esistenziali; per non parlare di quelli pronti a inserire la legge sullo Jus soli tra gli articoli della fede cattolica. Perché da quando il Santo Padre ha imposto che i nuovi vescovi fossero degli autentici pastori con l’odore delle pecore, è accaduto che presso i magazzini vaticani hanno cessato di vendere le sigarette — indubbia fonte di danni per la salute e di inquinamento per l’ambiente —, però hanno cominciato a vendere presso il negozio di profumeria del Vaticano, per preti e vescovi in scalpitante carriera, un profumo che da alcuni anni va a ruba: Eau de mouton parfum pour homme [Acqua di pecora profumo per uomo], firmato e prodotto dalla Christian Dior. Personalmente, tra i profumi distribuiti dalla Dior io seguito ad essere affezionato ad Eau de sauvage parfum pour homme [Acqua del selvaggio profumo per uomo].

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Alcuni mesi fa venne quindi ufficializzata la mia nomina come successore del Cardinale Crescenzio Sepe, dopo che durante un incontro privato feci commuovere il Pontefice Regnante col racconto della mia vita, illustrando che ero nato in una famiglia poverissima da due genitori poveri, con una esistenza fatta di disagi sociali ed economici. Tutte quante preziose esperienze esistenziali che mi avevano poi portato a diffondere uno studio teologico sui poveri e la povertà: «I poveri e la povertà sono il volto del Corpo Mistico di Cristo».

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il Padre Ariel S. Levi di Gualdo, 54 anni compiuti, prossimo successore alla Sede di Napoli, si allena a mostrare l’ampolla con il sangue di San Gennaro

Scrivo queste righe di ritorno dalle Filippine, dove ho tenuto giorni fa una lectio magistralis col patrocinio della Scuola di Bologna alla presenza del Cardinale Luis Antonio Tagle, Arcivescovo Metropolita di Manila, uno dei diversi sostenitori della mia candidatura, sostenuta pure da altri Cardinali, tra i quali il Cardinale Edoardo Menichelli che, assieme al Cardinale Renato Corti, possono essere considerati due tra i più grandi teologi del Novecento, ma soprattutto due modelli episcopali di pastori in cura d’anime, come prova lo stato in cui entrambi hanno lasciato le loro rispettive Diocesi di Ancona e di Novara, ma soprattutto il loro clero.

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Tra i candidati poveri per i poveri, io ero e sono il più quotato, ma il Pontefice Regnante non poteva lasciare con l’amaro in bocca, non tanto i pretendenti, ma gli attuali grandi piazzatori di vescovi, da Andrea Riccardi ad Alberto Melloni. Così, facendo uso di una sapienza profonda e antica, ha deciso di far placare gli animi, dando al Cardinale Crescenzio Sepe altri due anni di governo della Diocesi [cf. QUI], affidandogli al tempo stesso un incarico ben preciso: conservare il posto per me, già prescelto da tempo come suo successore.

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In occasione di questo evento, riproponiamo alla lettura dei nostri Lettori il precedente articolo con allegato lo studio che mi ha giovata la nomina alla Sede di Napoli, al momento solo posticipata di due anni. 

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dall’Isola di Patmos, 28 gennaio 2018 – San Tommaso d’Aquino

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PADRE ARIEL S. LEVI di GUALDO NOMINATO ALLA SEDE ARCIVESCOVILE DI NAPOLI. IL SOMMO PONTEFICE FRANCESCO È RIMASTO COMMOSSO DALLA SUA MEDITAZIONE: «I POVERI E LA POVERTÀ SONO IL VOLTO DEL CORPO MISTICO DI CRISTO»

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Cari Lettori de L’Isola di Patmos, è con trepidazione e gioia che vi do questo lieto annuncio: sono stato scelto come Arcivescovo Metropolita di Napoli, ed allo scoccare del 75° anno di età di Sua Eminenza il Cardinale Crescenzio Sepe, prenderò io il suo posto sulla cattedra episcopale di San Gennaro. Dato questo annuncio, intendo adesso rendere pubblico il mio scritto attraverso il quale, il Romano Pontefice, per gli amici “Padre Francesco”, ha visto in me il candidato ideale ed ha deciso: «Tu sarai il Vescovo delle periferie esistenziali di Napoli».

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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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PDF  testo formato stampa 

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lo stemma episcopale del Padre Ariel S. Levi di Gualdo, spiegato più avanti nella seconda parte di questo saggio breve nel quale è riportata la sua meditazione teologico-pastorale sui poveri e sulla povertà che gli è valsa la nomina episcopale

Questo mio saggio breve si apre e si chiude con una esortazione fatta dal Beato Apostolo Paolo in una epistola indirizzata al suo discepolo Timoteo:

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«Se uno aspira all’episcopato, desidera un nobile lavoro. Ma bisogna che il vescovo sia irreprensibile, non sposato che una sola volta, sobrio, prudente, dignitoso, ospitale, capace di insegnare, non dedito al vino, non violento ma benevolo, non litigioso, non attaccato al denaro […]» [I Tm 1, 2-3].

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In un altro passo, il Beato Apostolo esorta:

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« Aspirate ai carismi più grandi! E io vi mostrerò una via migliore di tutte […]» [I Cor 12, 31].

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Ma soprattutto, il Verbo di Dio fatto Uomo è molto chiaro quando in una apposita parabola parla dei talenti che a ciascuno di noi sono stati dati [cf. Mt 25, 14-30]. Anzitutto, ciascuno di noi, deve essere consapevole dei talenti ricevuti, perché se non lo fosse non potrebbe mai farli fruttare. Va da sé che i più talentati in modo particolare, non devono cadere mai nelle diaboliche insidie della superbia, temibile regina e locomotrice di tutti gli altri peccati capitali, perché la consapevolezza delle proprie oggettive capacità deve essere sempre unita a un’altra consapevolezza: i talenti non sono merito nostro, ma dono misterioso della grazia di Dio; non ci sono dati per il nostro onore, ma per la gloria di Dio, per servire attraverso di essi Cristo Dio e la sua Chiesa. Per quanto mi riguarda non dubito che mi farò un po’ di meritato Purgatorio per la purificazione della mia anima, ma è altrettanto vero che se dovessi presentarmi tra poco dinanzi al giudizio immediato di Dio, su una cosa andrei sicuro al cospetto del Creatore: la certezza oggettiva di avere amata, venerata e ubbidita la Chiesa, ed avere servito in ogni modo il Popolo di Dio, trascorrendo la mia vita sacerdotale a supplire le mille pigrizie di non pochi miei confratelli, a partire da quelli che trincerandosi dietro non meglio precisati “impegni pastorali”, non hanno mai tempo per confessare, per visitare gli ammalati, per portar loro la Santa Comunione, per amministrare la sacra unzione agli infermi ed ai morenti, per stare vicini alle persone in difficoltà e via dicendo a seguire, perché per questo siamo diventati preti, non per mandare le “pie donne”, o come qualsivoglia le invadenti “pretesse”, a visitare gli ammalati ed a portare loro la Santissima Comunione.

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A me piace fare il teologo e attraverso la teologia credo di rendere un prezioso servizio alla Santa Chiesa di Dio, specie in questi tempi di selvaggia eterodossia diffusa, ma non esiterei ad abbandonare qualsiasi speculazione teologica se ciò comportasse il trascurare la dimensione pastorale ed apostolica, perché sono diventato prete per celebrare il Sacrificio Eucaristico, per assolvere dai peccati, per amministrare i Sacramenti secondo le potestà del mio grado sacramentale, per assistere i Christi fideles. Questa è la priorità, ed a questa priorità si sacrifica tutto, anche la speculazione teologica. O per dirla con un esempio: se dei fedeli, come più volte è capitato, vengono a chiamarmi a casa perché non trovano un prete in tutte le parrocchie della Città che vada a dare l’unzione ad un infermo ― essendo i giovani parroci impegnati in estenuanti e imprecisate “attività pastorali” ―, ed io sto uscendo in quel momento per andare a tenere una lectio magistralis sul mistero dell’Incarnazione del Verbo di Dio, ebbene: prima vado ad amministrare la sacra unzione all’infermo, poi vado a tenere la lectio magistralis, perché, se non facessi così, dimostrerei di non aver capito come mai, il Verbo di Dio si è fatto Uomo. Cosa che tra i preti, a non averlo capito, sono purtroppo davvero in molti, ahimè sempre di più.

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Volete poi sapere dov’è che si trovano, sempre e di rigore, il genere di preti pigri e assenteisti poc’anzi menzionati? Presto detto: piazzati dai loro Vescovi nelle più grandi e ricche parrocchie delle diocesi, protetti e resi intoccabili da autentiche cosche mafiose formate perlopiù da sacerdoti pigri e mediocri tanto e quanto loro, che vivono col terrore che chicchessia possa in qualsiasi modo alterare lo stato di morte cerebrale da essi generato nelle Chiese particolari, offrendo esempi di vita sacerdotale del tutto diversi dai loro. E, se tutto va bene, spesso questi preti li troviamo a fare i figli non cresciuti a casa di mammà e papà, ripeto: se tutto va bene. Oppure li troviamo circondati dai loro amati nipoti, pieni di mille bisogni e di altrettanti vizi, i quali attendono che lo zio prete tiri prima o poi le cuoia, per avere in legittima eredità tutto ciò che in una vita di pigrizia e di avarizia hanno rubato dalle casse della Chiesa, dalla quale tutto hanno avuto, ed alla quale tutto dovrebbero dare ‒ o perlomeno restituire ‒ alla loro morte.

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Malgrado i miei peccati sono sereno riguardo il giudizio di Dio, perché esso non si basa sulla “emotività divina”, perché Dio non è emotivo, è giusto. E la sua giustizia si sorregge sulla pura aequitas, che all’occorrenza è aequitas compensativa. Quanti erano i santi e le sante che avevano veramente un brutto carattere, o che quando aprivano bocca erano capaci ― come suol dirsi ― a lasciare all’occorrenza vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose letteralmente “in pasto ai maiali”? Eppure tutti loro sono stati giudicati sulla carità, per questo si sono santificati; così come ciascuno di noi, sarà giudicato sulla carità. E la carità, dinanzi agli occhi ed al giudizio di Dio, produce un grande effetto compensativo. O come spesso mi capita di dire in confessionale ai penitenti: «La carità è come un battesimo che ci rinnova alla grazia e che cancella la colpa, a volte, chissà, agli occhi di Dio può cancellare persino la pena da scontare per il peccato perdonato, ma questo Lui solo può saperlo, perché solo Lui, malgrado i nostri difetti e peccati commessi, può decidere di ammetterci, per meriti di carità compensativa, direttamente nel Paradiso tra le anime beate».

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SE PER DONO DELLA GRAZIA DI DIO CREDO DI ESSERE UN PRETE DI TALENTO, NON È PERCHÉ ME LO DICONO GLI AMICI, MA PERCHÉ LO AFFERMANO I MIEI PEGGIORI NEMICI

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Se credo d’essere un uomo dotato di talenti, non è che lo creda perché me lo dicono gli amici, od i cosiddetti ammiratori, perché quelli non fanno proprio testo. Lo credo perché da sempre lo affermano i miei peggiori nemici. Infatti, nessuno tra quegli ecclesiastici che se potessero mi avrebbero tolto non solo il Sacramento dell’Ordine, ma persino il Sacramento del Battesimo e poi bruciato vivo, ha mai affermato che sono un mediocre teologo, od un prete immorale, perché proprio i miei peggiori nemici, ben guardandosi da qualsiasi genere di confronto con me in materie di dottrina e di fede, sono soliti affermare da sempre: «È dotato di brillante intelligenza e profonda preparazione teologica». Aggiungendo appresso: «E ciò lo rende molto pericoloso». Per seguire con affermazioni del tipo: «Ha una cultura enciclopedica», «ha una intelligenza diabolica», «Non è un emotivo sentimentale che può essere fatto cadere in trappola nei suoi sentimentalismi, perché quando rivolge dure critiche costruisce sempre le sue tesi sul dato oggettivo e con criteri basati sulla pura logica, ed in tal caso è bene non smentirlo, perché si corre il rischio di essere fatti più neri ancora dalla sua maledetta lingua e dalla sua penna ancor più maledetta della sua lingua stessa». Ma soprattutto, loro malgrado, sono costretti ad ammettere: «Conduce una vita sacerdotale moralmente impeccabile». Se infatti non ammettessero questo, si farebbero ridere dietro dalla gente, visto che la mia vita si svolge alla pubblica luce del sole, sotto gli occhi delle persone che sanno sempre dove sono, con chi sono e che cosa faccio, ma soprattutto sanno bene cosa non faccio e con chi non sono. E, questi cari nemici, perlopiù caratterizzati da una mediocrità desolante, da sempre mi hanno tenuto lontano da tutti gli àmbiti accademici, senza che nessuna autorità ecclesiastica abbia mai avuti gli urologici attributi virili per dire: «Insomma, se Dio manda alla sua Chiesa uomini di capacità e di talento, possiamo forse emarginarli per non irritare l’esercito di soggetti altamente scadenti che stanno facendo affondare giorno dietro giorno la Chiesa universale nel ridicolo, proferendo eresie a raffica dalle cattedre delle nostre istituzioni accademiche e dai pulpiti delle più grandi chiese storiche?».

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Detto questo possiamo poi aggiungere che nessuno dei Vescovi alla cui autorità apostolica sono stato sottoposto nel corso degli anni, ha mai sollevato mezzo sospiro sulla mia condotta di vita, perché, sempre alla prova dei fatti non passibili di facile smentita, io sono un sacerdote che non ha mai dato alcun problema di natura morale, dottrinale e patrimoniale. Pur malgrado, proprio i Vescovi che si trovano con un clero improponibile sotto i più gravi aspetti morali, dottrinali e patrimoniali, a me non hanno mai dato alcun incarico pastorale ufficiale, perché se lo avessero fatto vi sarebbe stato un violento sollevamento contro di loro da parte di preti le cui condotte morali, dottrinali e patrimoniali, costituiscono pubblici scandali alla luce del sole, rigorosamente tollerati, a volte persino nascosti e protetti, da quegli stessi vescovi pronti poi a trincerarsi dietro discorsi patetici quali ad esempio: «Ah, la situazione è delicata, io devo gestire fragili equilibri». Per giungere poi alla vergognosa frase conclusiva: «Che cosa ci posso fare?». E dinanzi a questo quesito, qualcuno si è sentito rispondere da me in questi termini: «Quando le fu prospettata la nomina episcopale, ed assieme ad essa le fu illustrato in modo chiaro e realistico l’effettivo grave stato in cui versava la diocesi che intendevano affidarle, per quale motivo ella ha accettato? Forse per poi dire … “Che cosa ci posso fare?”».

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Purtroppo si tratta del mistero umano ― non certo del mistero della fede ―, dei poveri omuncoli che scalpitano per avere certi onori, ma che per nessun verso e per alcuna ragione vogliono però assumersi i ben più gravosi oneri derivanti dal loro alto ufficio.

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I VESCOVI ELETTI NEGLI ULTIMI ANNI SOMIGLIANO AGLI ADOLESCENTI SPOCCHIOSI CHE SI DANNO ARIE DA AUTENTICI SCIUPA FEMMINE

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Non pochi, tra i vescovi eletti negli ultimi anni, somigliano a certi piccoli e spocchiosi adolescenti che, allo spuntar del primo fragile pelo sul pube, se ne vanno in giro a narrare, come degli autentici sciupa femmine, d’aver fatto mirabolanti scorribande con delle donne trentenni ultra navigate, oltre che impossibili pressoché da raggiungere in virtù della loro bellezza e posizione sociale. Questo genere di adolescenti, da sempre, nella società civile fanno tenerezza, perché, con i loro racconti assurdo-fantasiosi, inducono al morir dal ridere chiunque li ascolti. Purtroppo, nel corpo ecclesiastico di oggi, questo genere di adolescenti vengono invece eletti sciupa femmine ufficiali dalla Santa Sede, quindi dichiarati sposi di qualche grande ed antica Chiesa particolare che, per loro, dovrebbe essere in tutto equiparabile ad una donna impossibile pressoché da raggiungere per la sua bellezza e la sua posizione sociale. E, una volta divenuti vescovi, non fanno tenerezza né fanno morir dal ridere, ma fanno piangere, perché col loro agire incompetente produrranno tanti e tali danni che solo per essere riparati parzialmente richiederanno decenni di lavoro da parte di vescovi santi, ammesso che domani se ne trovino sempre, di vescovi santi, dopo la immane devastazione della Gerusalemme terrena operata da questa nuova generazione di Vescovi che al primo fragile pelo spuntato sul loro pube presbiterale affetto da patologia da micropene congenito, si sono però creduti più dotati di uno stallone di razza e più belli di Rodolfo Valentino.

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Essendo ormai un uomo di 54 anni, ecco che nella maturità, o per meglio dire ormai in cammino verso la vecchiaia, mi sono messo ad aspirare ai «carismi più grandi». E, come ben capite, dinanzi ad una fetta sempre più ampia di episcopato che mostra d’aver seri problemi sulla conoscenza del Catechismo della Chiesa Cattolica, seguendo il monito del Beato Apostolo Paolo «se uno aspira all’episcopato, desidera un nobile lavoro», mi sono messo ad aspirare all’episcopato. E vi ho aspirato animato dalla serena e cosciente consapevolezza che di questi tempi sarei anche un ottimo vescovo, rispetto a certi adolescenti che allo spuntar del primo pelo sul pube sono stati dichiarati dalla Santa Sede stalloni di razza e quindi sposi di qualche grande ed antica Chiesa particolare.

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CHIESA ED ECONOMIA BANCARIA. COME FARMI STRADA VERSO L’EPISCOPATO, NON POTENDO IO ESSERE BENEFICIATO CON UNO DI QUEGLI ASSEGNI IN BIANCO FATTI FIRMARE AL ROMANO PONTEFICE DA UNA “CORTE DEI MIRACOLI” FORMATA DA DEGLI AUTENTICI BANCAROTTIERI POST SESSANTOTTINI AL POTERE ?

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Come tutti gli uomini di fede dotati al tempo stesso di talenti a me elargiti per mistero di grazia da Dio, ho dovuto anzitutto fare i conti con quelli che al tempo stesso sono i miei grandi limiti; perché un uomo non capace a confrontarsi con i propri limiti umani, non può essere né un uomo dotato di autentica intelligenza, né un uomo di fede. E il mio primo insormontabile limite era costituito dal fatto di non avere da parte mia contatti con la “corte dei miracoli” che da tempo circuisce il Romano Pontefice, portando a Sua Santità i pizzini con i nomi dei vescovi selezionati secondo tutti i migliori crismi del modernismo, ma incensati col fumo del gran turibolo dei poveri e della povertà. Insomma, tanto per essere chiari: tutti sappiamo che il Pontefice regnante ha dato chiare disposizioni sulla scelta dei nuovi Vescovi, precisando che li vuole «pastori con l’odore delle pecore» e con una «particolare predilezione per i poveri». Or bene, capisco che la storia sarebbe davvero lunga, ma forse, il Pontefice regnante, non è sufficientemente illuminato su che cosa è stato, in un Paese come l’Italia, il Sessantotto. Allora, casomai la Santità di Nostro Signore Gesù Cristo mi leggesse, provo a narrarglielo in breve io, che cosa è stato il nostro patetico Sessantotto …

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… il Sessantotto italiano è stato un movimento di contestazione formato e portato avanti dai più ricchi figli di papà che parlavano di proletariato, di classe operaia e di lotta di classe, per poi rientrare nelle loro case dove erano serviti dalle governanti e dai domestici in livrea. I contestatori con l’odor di proletariato addosso, erano i rampolli delle famiglie di industriali e d’imprenditori presi a lottare contro la classe politica borghese e le vecchie baronìe accademiche. Erano anche e soprattutto dei grandi ignoranti, perché mentre i vecchi e meritoriamente contestati vecchi baroni accademici, alle spalle avevano una grande tradizione, ma soprattutto una grande cultura, i contestatori finto-proletari, alle spalle avevano invece una ignoranza abissale, ed uno appresso all’altro si sono laureati nei collettivi politici discutendo sulla immaginazione al potere, sul vietato vietare, o dissertando sui sigari cubani fumati da Ernesto Guevara detto El Che. E così, nel post Sessantotto, ci siamo ritrovati nelle scuole e nelle strutture accademiche un esercito di ignoranti patentati, altrettanto è accaduto nella classe politica. Degli ignoranti caratterizzati da una impostazione ben precisa: erano aggressivi e coercitivi come pochi ‒ o sotto certi aspetti come mai s’era visto prima ‒, con coloro che non la pensavano come loro. E, a partire dagli anni Settanta, questi post sessantottini in cattedra hanno devastate generazioni intere di studenti, prendendo di mira con raro spirito distruttivo tutti coloro che non erano disposti ad omologarsi al loro indiscutibile pensiero. E di questo, chi scrive, ne è stato sia vittima sia testimone.

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Ecco, non sapendo e non immaginando con quali falsi opportunisti e trasformisti avrebbe finito col giocare, il Pontefice regnante, al grido di «Odor di pecore», «poveri e povertà», ad un cinquantennio di distanza dal Sessantotto ha creato nell’episcopato la stessa identica situazione rovinosa. Una situazione che, con tutto il più devoto e sacro rispetto, poteva essere creata solo da un argentino ingenuo che non ascolta nessuno e che non vive nel mondo, ma nella sua idea di mondo. E, detto questo, per quanto riguarda queste mie parole, concludo dicendo che sarà il tempo, a darmi torto o ragione nel giorno di domani, mentre l’episcopato post sessantottino affonda sempre di più, tra l’ignoranza delle pecore e la più desolante povertà della dottrina e dello spirito. 

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I membri di questa “corte dei miracoli” stile Sessantotto clericale, formata come più volte ho scritto e ripetuto da degli autentici delinquenti, che con la proposta di certe nomine episcopali inducono il Romano Pontefice a firmare degli assegni in bianco senza che sopra di essi sia neppure indicata la cifra per la messa all’incasso, un soggetto come me lo giudicano come fumo agli occhi, anzi peggio: mi considerano più pericoloso delle radiazioni del reattore nucleare di Cernobyl.

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Per quanto riguarda il giro di assegni in bianco, sia anzitutto chiaro che certi rapporti sono unilaterali e non bilaterali. Infatti, quando al Vescovo che in piena e perfetta comunione col Vescovo di Roma mi ha consacrato sacerdote, io ho promesso obbedienza e filiale rispetto a lui ed a tutti i suoi successori, in un certo senso ho firmato un assegno in bianco con il carnet di assegni tratto dalla Banca della Fede, presso la quale non esistono limiti di spesa, perché alla Banca della Fede la copertura è illimitata. Attenzione però, perché il Vescovo in piena e perfetta comunione col Vescovo di Roma, dal canto suo non ha firmato, né mai ha messo nelle mie mani un assegno in bianco senza cifra e data per l’incasso, perché sono io che ho promesso solennemente a lui, non lui ad aver promesso solennemente a me. Purtroppo oggi, quel che sta accadendo, è una pericolosa alterazione e inversione di tutti i criteri economico-commerciali: basta infatti che al Sommo Pontefice si presentino i delinquenti della “corte dei miracoli” che lo lusingano e lo circuiscono, dicendogli che quel tal prete ha scritto un libello sui poveri e sulla povertà secondo i migliori crismi socio-politici della Scuola di Bologna, o che quell’altro s’è occupato dei poveri migrantes e che considera lo jus soli più importante di quanto invece non lo siano le cupe dottrine sui grandi dogmi cristologici, che questi si mette a firmare a raffica i pericolosi assegni in bianco delle nomine episcopali, senza indicare in essi né la cifra né la data. Inutile dire che, siccome presso la Banca della Fede, per questo genere di assegni non c’è né liquidità né copertura, non avendo lasciato il Fondatore della Chiesa alcun genere di fondo a garanzia per simili spese scellerate, presto accadrà che uno dietro l’altro, questi assegni, finiranno protestati. Perché a questo i delinquenti della “corte dei miracoli” ci stanno conducendo: alla bancarotta. Infine, all’improvvido firmatario, il Divino Direttore della banca ritirerà il blocchetto degli assegni, ed a poco varrà che costui si metta a scalpitare dicendo di essere l’unico, valido, lecito e legittimo titolare del conto corrente, perché a quel punto, il Divino Direttore, gli ricorderà che la ricchezza a lui affidata avrebbe dovuto gestirla e farla fruttare secondo i migliori criteri dell’economia cristologica che sono tutti riassunti nella celebre Parabola dell’amministratore fedele e saggio [cf. Lc 12, 39-48]. Coloro che poi avranno sofferti e subìti danni a causa di questo gran smercio di  assegni a vuoto, al Divino Giudice del Supremo Tribunale ‒ il quale è misericordioso perché anzitutto è giusto ‒, chiederanno che sia aperta la procedura di fallimento dell’Azienda Chiesa Cattolica e che si proceda immediatamente con i sequestri per cercare di recuperare anche e solo in parte i crediti. E forse, il primo bene immobile che sarà posto sotto sequestro, sia per la tutela del credito sia per evitare ulteriori danni futuri, sarà proprio la Cappella Sistina …

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… in questo clima di amministrazione controllata che fa da preludio alla procedura di fallimento, per raggiungere il mio scopo ho preso alla lettera il monito di Cristo Dio che ci esorta: «Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe» [Mt 10, 16], memore del fatto che «I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce» [Lc 16, 8].

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HO PROVATO A IMPARARE DAI SERVI FALSI E IPOCRITI, CHE IN QUANTO TALI SONO RUFFIANI E INFEDELI VERSO IL PADRONE, ED AGENDO COME LORO HO AVUTO ANCH’IO IL MIO ASSEGNO IN BIANCO SENZA COPERTURA …

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Adesso vi rivelo pubblicamente quel che ho fatto per raggiungere il mio scopo: anzitutto mi sono tolto la talare romana di dosso, ho bruciato il saturno di castorino che ogni tanto indosso durante l’inverno quanto tira vento, sono andato in un negozio di abbigliamento ecclesiastico ed ho acquistato una di quelle orrende camicie sintetiche col francobollino bianco estraibile sotto il collo, che naturalmente ho lasciato mezzo slacciato; mi sono messo un paio di jeans sotto la camicia, badando bene di arrotolarmi su le maniche fino al gomito, ho indossato un paio di scarpe da ginnastica e mi sono lasciato la barba per tre giorni. Ho poi corretto la mia camminata cercando di incurvare la schiena, casomai apparisse troppo diritta; ho prudentemente evitato di procedere con una andatura elegante ed ho preso a camminare in modo ciondolante. Infine mi sono presentato in Vaticano alla Domus Sanctae Marthae dicendo in portineria che stavo prodigandomi per la tutela di uno zingaro di etnia sinti, il quale era sottoposto a gravi discriminazioni solo perché si era difeso in modo legittimo dalle domande di un giornalista fastidioso e insistente spaccandogli il setto nasale e massacrando di botte il suo cameraman [cf. filmati  QUI, QUI, QUI]. E così hanno riferito al Sommo Pontefice che nella hall dell’albergo c’era un prete molto pecoreccio che reclamava di parlare col Sommo Pontefice per una questione legata a dei poveri zingari discriminati. Ebbene, forse non ci crederete, ma è venuto lui di persona nella hall a ricevermi.

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Quando ho visto spuntare a distanza e poi venir verso di me il Romano Pontefice, con l’ausilio della grazia di Dio ho corretto il mio istinto incorreggibile impresso nel mio DNA di prete, seguendo il quale avrei piegata la testa, mi sarei messo in ginocchio per il bacio della mano e, rialzandomi, non avrei aperta bocca se non per rispondere, perché dinanzi al Romano Pontefice non si inizia alcun discorso, si attende a testa bassa che lui dia inizio ad un discorso; non si chiede, si risponde solo se lui ti interroga, sebbene oggi sia uso che il Romano Pontefice si faccia intervistare anche da giornalisti che hanno trascorse le loro esistenze a sprezzare i fondamenti più basilari del deposito della fede cattolica. Ripeto, con l’ausilio della grazia di Dio non sono caduto in questa serie di errori che sarebbero stati letali, ed appena l’ho visto a distanza mi sono messo a sbracciare come un perfetto zoticone dicendo ad alta voce: «Padre Francesco!». E mi sono precipitato verso di lui, senza piegare il ginocchio destro dinanzi alla sua Augusta Persona e men che mai baciandogli la mano, ma abbracciandolo stretto. Poi, battendogli una mano sulla spalla, gli ho detto: «Padre, ti ringrazio per avermi ricevuto, perché solo tu, in questa società sempre più discriminatoria, puoi aiutarmi a render giustizia a un gruppo di zingari discriminati appartenenti alla famiglia Spada. Si tratta infatti di un clan familiare veramente molto per bene, grazie al quale è salvaguardata e tutelata la grande cultura di questi zingari, che sono tutte persone che vivono di onesto lavoro [cf. QUI]. E io, caro Francesco, ti posso testimoniare la bontà, l’onestà e il grande spirito di lavoro di questa gente, perché quando in Via Merulana mi cadde di tasca il portafogli, due zingare, una delle quali gravemente infortunata, invalida permanente e con gravi problemi di deambulazione ‒ entrambe per inciso appartenenti al giro degli accattoni organizzato nel centro di Roma dal Clan dei Casamonica [cf. vedere filmato QUI] ‒, si alzò in piedi da terra dall’angolo nel quale chiedeva l’elemosina, rincorrendomi con la stampella assieme all’altra, anch’essa invalida perché con un braccio mutilato, gridandomi entrambe alle spalle: «Signore, il portafogli, il portafogli! Signore, le è caduto di tasca il portafogli!». E, narrato il tutto, preciso al Romano Pontefice: «Sai, Padre Francesco, mi chiamarono in modo gentile “Signore” perché non sapevano che ero un prete. Perché io, essendo un prete per il popolo, con il popolo e in il Popolo ― perché questo significa veramente a livello mistagogico per Cristo, con Cristo e in Cristo ―, viaggio sempre in abiti civili. O vogliamo forse tornare a spaventare la gente con le nostre lunghe vesti nere da corvi tristi e semmai pure mettendoci in testa quel ridicolo saturno che alcuni irriducibili considerano elegante?».

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Gli occhi del Sommo Pontefice sono diventati luminosi e, ve lo confesso, in quel momento si è realizzata la scrittura: «Allora Gesù, fissatolo, lo amò» [Mc 10. 21].

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LA MIA POVERA MAMMA CHE PULIVA LE SCALE DEI PALAZZI ALLE LUCI DELL’ALBA E MIO PADRE CHE RACCOGLIEVA I PEZZI BUONI GETTATI PER ERRORE TRA GLI SCARTI DELLA FRUTTA E VERDURA

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Se il cuore del Pontefice regnante è una cassaforte colma di grandi tesori spirituali, per aprirla io ho usata la combinazione giusta: “poveri & povertà”. Quindi non sono andato da lui a mani vuote, ma come fanno da quattro anni tutti i peggiori scassinatori mi sono portato dietro la “combinazione di apertura”, o per meglio dire un mio studio intitolato «I poveri e la povertà sono il volto del Corpo Mistico di Cristo». E quando il Sommo Pontefice mi ha chiesto quale rapporto avessi avuto con i poveri e la povertà a livello familiare e sociale, anzitutto ho risposto narrandogli che la mia famiglia era così povera, ma così povera, che quando i topi entravano nella dispensa della nostra cucina, non trovandovi niente dentro ne uscivano fuori con le lacrime agli occhi. Né mi sono sentito umiliato a narrargli che la nostra casa era così povera che non avevamo neppure il bagno, come gabinetto usavamo la lettiera del gatto. Poi gli ho parlato degli immani sacrifici di mia madre, all’epoca già vedova in giovane età, avendo perduto il marito ad appena 48 anni. E sebbene straziata dal dolore, alle cinque del mattino già lavorava ricurva a pulire le scale dei palazzi prima ancòra del sorger del sole, per pagare al figlio dei corsi di studio negli Stati Uniti d’America, costo dei quali erano all’epoca 18.000 U.S. $. Quindi spiegai in dettaglio che questa donna povera, tra le mie spese di viaggio, il costo degli studi ed il soggiorno, dovette pulire le scale dei palazzi per la bellezza di circa 25.000 U.S. $, il tutto in anni nei quali un dollaro equivaleva nel nostro vecchio conio a 1.500/1.600 Lire italiane, all’incirca trentotto milioni delle vecchie Lire. Tanto che mia madre incominciò ad anticipare i lavori di pulizia delle scale, ed anziché cominciare alle cinque del mattino, cominciava alle quattro. Il Sommo Pontefice si è molto commosso dicendomi: «Ah, che cosa sono capaci a fare, le madri povere, per i loro figli. Tu sei veramente figlio di una santa!».

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Poi gli ho narrato le incomprensioni patite dai miei genitori poveri da parte della vecchia Chiesa, quella gestita dai vescovi-principi senza amore e misericordia; una vecchia Chiesa nella quale un prete-fariseo minacciò i miei nonni che non avrebbe battezzato loro figlio, ossia mio padre, solo perché volevano chiamarlo Palmiro, in onore del capo dei comunisti italiani Palmiro Togliatti. Durissima sin dalla prima infanzia fu la vita del mio genitore, che a causa di denutrizione si ammalò da bimbo di tubercolosi, perché i suoi genitori non potevano curarlo e nutrirlo, motivo per il quale crebbe rachitico, ed essendo brutto ebbe in seguito grossi problemi a sposarsi. Lo sposò comunque mia madre, in parte per carità, in parte perché, essendo anch’ella brutta a causa dei postumi di una poliomelite infantile e poi per una varicella avuta in età adulta che le lasciò la pelle tutta quanta butterata, finì per formare con mio padre una coppia affine e solidale.

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Per tutta la vita mio padre lavorò a raccogliere la verdura scartata dai fruttivendoli al mercato generale della frutta e verdura, per poi rivendere a pochi soldi i pezzi buoni che riusciva a ricuperare tra gli scarti. Malgrado però tutto questo dolore e queste umiliazioni sofferte dalla mia famiglia povera, esistono persino delle malelingue farisaiche e dei cristiani tristi che osano smentire queste verità rendendomi oggetto di infami calunnie, pur di tagliarmi le gambe per la nomina episcopale, per esempio narrando in giro che io provengo da una famiglia benestante e che mio padre era bello come un attore di Hollywood. Ma si tratta di menzogne, di pure e vergognose calunnie messe in giro falsamente su di me per impedirmi di poter essere promosso all’episcopato. Basti dire che mio fratello, che è paraplegico e che riesce ad articolare solo la parte destra del corpo, mentre nella bassa Maremma, tra la Toscana ed il Lazio, si guadagna da vivere come guardiano di un branco di cinghiali d’allevamento, nel tempo libero, con l’uso di una mano sola, mi sta intagliando un pastorale fatto con del legno di ulivo, che vuole essere simbolo di pace, amore e povertà.

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Terminato quest’ultimo racconto ho dovuto allungare al Romano Pontefice una salvietta per detergersi le lacrime dagli occhi, perché ormai era profondamente commosso. Ripresosi poi dalla commozione dopo quegli struggenti racconti, egli ha sospirato, mi ha battuto una mano sulla spalla e mi ha detto: «Non te la prendere, perché a dire certe falsità sul tuo conto possono esser solo coloro che io chiamo i “cristiani pipistrelli”, quelli che cercano il male ovunque».

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Quando in seguito il Romano Pontefice mi ha detto che vedeva in me un prete dal profilo episcopale, in virtù della mia sensibilità verso i poveri, io mi sono affrettato a rispondere: «Padre Francesco, io posso anche accettare la nomina episcopale, purché mi venga però affidata una diocesi piena di periferie esistenziali e mi sia concesso di mettere, sullo scudo del mio stemma episcopale, l’immagine della piccola fiammiferaia» [Vecchia fiaba di H.C. Andersen, testo leggibile QUI]. Il Romano Pontefice mi ha chiesto quale, tra le tante, tra le troppe diocesi italiane potesse essere quella a me più adatta per portare il mio lieto annuncio ai poveri, ed io, senza esitare, ho risposto: «Padre Francesco, io credo di essere nato per fare il Vescovo di Napoli». E ho precisato: «Nota bene, Padre Francesco, ho detto solo: Vescovo. Mica ho detto Arcivescovo Metropolita di Napoli, antica e grande sede arcivescovile, con dodici diocesi suffraganee, tradizionalmente sede cardinalizia, con un clero di oltre mille sacerdoti e via dicendo a seguire. No, nulla di tutto questo, perché io desidero essere solo il vescovo dei poveri; e se la cosa ai ricchi non dovesse andar bene, che vadano pure a cercarsi un vescovo-prìncipe modello vetero-feudale o borbonico. E ti dirò di più, Padre Francesco: prendendo possesso della cattedra, non dirò cose banali e scontate, tipo che mi propongo di portare di nuovo il Vangelo e la sana dottrina cattolica in una terra ormai più pagana che cristiana, tal è tutta l’Italia, ma in particolar modo il nostro Meridione ridotto ormai a una fede pagano-folcloristica. Nulla di tutto questo, io annuncerò in modo chiaro che lo scopo del mio episcopato sarà quello di sconfiggere la Camorra ed i camorristi e, come bussola di orientamento del mio episcopato, prenderò a modello i documenti della Commissione Nazionale dell’Antimafia. Perché là dove non sono riusciti i governi sia monarchici che repubblicani degli ultimi centocinquant’anni, vi riuscirò io con la potenza di una scomunica episcopale. E tutte le migliaia e migliaia di poveri ai quali la Camorra paga le case, gli stipendi, le pensioni e le assicurazioni, mantenendo intere famiglie di condannati al carcere per reati di mafia ― perché la Camorra è un vero e proprio Stato nello Stato, con una propria “legge” e soprattutto con una propria ricca economia ―, saranno tutti quanti e di rigore dalla parte mia, pronti a sollevarsi in massa contro il potere camorristico, perché io sarà il loro vescovo sociale, il loro vescovo rivoluzionario».

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Cari Lettori de L’Isola di Patmos, è con trepidazione e gioia che vi do quindi il lieto annuncio: sono stato scelto come Arcivescovo Metropolita di Napoli, ed allo scoccare del 75° anno di età di Sua Eminenza Rev.ma il Cardinale Crescenzio Sepe, prenderò io il suo posto sulla cattedra episcopale di San Gennaro. Dato questo annuncio, intendo adesso rendere pubblica la mia meditazione attraverso la quale, il Romano Pontefice, per gli amici “Padre Francesco”, ha visto in me il candidato ideale ed ha deciso: «Tu sarai il Vescovo delle periferie esistenziali di Napoli». Si tratta di una meditazione che sarà la bussola di orientamento pastorale e dottrinale del mio episcopato.

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ECCO IL TESTO DELLA MEDITAZIONE TEOLOGICO PASTORALE PREMIATA CON L’EPISCOPATO

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IN VIRTÙ DI QUESTA MEDITAZIONE PASTORALE-TEOLOGICA: «I POVERI E LA POVERTÀ SONO IL VOLTO DEL CORPO MISTICO DI CRISTO» PADRE ARIEL S. LEVI DI GUALDO È STATO NOMINATO ARCIVESCOVO METROPOLITA DI NAPOLI, NEL SUO STEMMA ARCIVESCOVILE L’IMMAGINE DELLA PICCOLA FIAMMIFERAIA CON IL MOTTO «ECCO LA FIAMMA DEI POVERI»

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Quando il Romano Pontefice ha riconosciuto in me un sacerdote dal profilo episcopale e mi ha chiesto in quale eventuale diocesi avrei gradito svolgere il sacro ministero apostolico, ho risposto che in mia qualità di membro di questa nostra grande multinazionale di esperienze religiose umanizzanti, nota da secoli come Chiesa Cattolica Apostolica Romana, mi reputavo adatto a coordinare le attività sociali della vecchia e gloriosa città di Napoli e che ritenevo di poter essere un degno rappresentante e diffusore della verità di fede della «Chiesa povera per i poveri». Specie poi se rivestito di rosso, ma sia chiaro: non il rosso inteso secondo gli stereotipi della vecchia Chiesa che in esso ravvisava la fedeltà sino al martirio di sangue, bensì un rosso inteso come sangue che dovrà essere versato per ottenere finalmente la rivoluzione proletaria della misericordia.

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Era infatti necessaria ― come ho spiegato in privato al Sommo Pontefice ― una persona carismatica, che al tempo stesso fosse come me anche un uomo di spettacolo, per organizzare e poi gestire i due eventi di massa che a mio parere possono servire a una maggiore unione della popolazione partenopea: la tradizionale devozione al sangue di San Gennaro e le partite di calcio del Napoli. Per questo uno dei miei primi doveri pastorali, dopo avere adempiuto al principale, ossia la mia solenne dichiarazione di scomunica contro la Camorra ed i camorristi, sarà quella di dare vita al gemellaggio inter-calcistico tra le squadre di calcio e le rispettive tifoserie del Napoli con le squadre argentine di San Lorenzo e Boca Juniors. Non possiamo infatti dimenticare che proprio a Napoli dimorò oltre un trentennio fa quell’uomo di Dio di Diego Armando Maradona, che da buon argentino, nonché appartenente alla specie dei piojos resusitados [1], ha lasciato un ricordo indelebile soprattutto tra i poveri ed i bisognosi dell’antica Partenope, che tutt’oggi narrano ancora di lui quando, a bordo della sua Ferrari, accompagnato da un esercito di soubrettes, si recava a servire i pasti caldi ai senzatetto.

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La mia missione pastorale, nella mia veste di maestro e custode della fede, sarà incentrata sulla riformulazione del concetto paolino di Corpo Mistico [cf. Col 1,18], il cui vero significato è la testimonianza di Dio tra di noi attraverso il povero che è il suo viso e il profugo che è il suo corpo secondo gli scritti degli Atti degli apostoli e delle lettere Paoline, sino all’ apocalisse del Beato Apostolo Giovanni, dove si narra di come i compagni di Gesù portarono nelle zone più abbandonate dal potere romano di dominazione, come l’Africa e l’Asia, sino alla penisola iberica, il manifesto di questa nuova classe unificata e unitaria sotto il concetto di “regno”, dove non è né la nascita, né la razza, né la pelle e tanto meno il capitale a determinare il soggetto, bensì questa dignità paritaria, superiore ed in conflitto con lo spirito oppressivo e schiavista dell’aristocrazia regale e imperiale di Roma. Le stesse testimonianze scritte dal Beato Apostolo Pietro a Roma [cf. Pt Iᵃ e IIᵃ] ci parlano di come questo compagno di avanguardia rivoluzionaria egualitaria, Gesù il Nazareno, povero tra i poveri, condusse la propria missione solo tra le classi più umili e tra gli emarginati, tali erano gli schiavi, le prostitute ed i profughi. Mai, Gesù frequentò le case dei ricchi, mai prese con loro i pasti, mai fu da essi unto con preziosi olî, tanto meno si lasciò rivestire con pregiate vesti. La moderna archeologia ha inoltre dimostrato che Egli, alla sua morte, non fu sepolto in un sepolcro di pregio fornito dal ricco Giuseppe di Arimatea [cf. Mc 15, 42-46; Mt 27, 57-60; Lc 23, 50-53; Gv 19, 38-42], perché il suo corpo finì assieme a quello di tutti i poveri in una fossa comune dalla quale, come narrerò avanti, prenderà poi vita la grande metafora spirituale della risurrezione. Tutta questa serie di racconti, finiti perlopiù nei Vangeli sinottici, sono solo delle errate trascrizioni che i redattori dei Vangeli canonici hanno prese dai testi non attendibili dei Vangeli apocrifi, intrisi di molti racconti romantici e surreali. Notizie dunque false e sovrapposte all’immagine del Gesù povero che molto presto saranno epurate, grazie alla migliore esegesi scientifica che da quattro anni è ormai all’opera attraverso una apposita commissione di studio finanziata da un gruppo di teologi tedeschi, in grado di pagare questi studi lunghi e costosi, dato che la Chiesa della Germania, grande sostenitrice del concetto del Gesù povero per i poveri, può beneficiare da parte della Repubblica Federale Tedesca di un contributo annuo di circa dieci miliardi di euro derivanti dal gettito fiscale. E siccome, tra non molto, i Vescovi tedeschi avranno più Euro stipati nelle casse delle loro diocesi che non invece fedeli seduti tra le panche ormai deserte delle loro chiese, possono ben impiegare il cospicuo capitale a loro disposizione per finire di distruggere ciò che di vetusto resta della vecchia Chiesa pre-misericordiosa, o per finanziare l’ultima grande trovata ideologica in corso: i preti sposati nella regione delle Amazzoni del Brasile.

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Attraverso la loro vita i compagni dell’uomo Gesù di Nazareth furono i primi grandi propagandisti di questo epocale cambio rivoluzionario. Infatti, gran parte di loro, dopo la distruzione di Gerusalemme furono dei profughi [Mt 24:4-28], soffrendo come tali la non accoglienza e, come si legge nei vari racconti racchiusi negli Atti degli Apostoli: le prime comunità cristiane erano al servizio di tutti, ed all’interno di esse vigeva il primitivo santo comunismo, giacché non esisteva in esse quell’immane furto tale era la proprietà privata, perché i beni erano in comune ed il possesso personale era bandito.

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STORIA DELLA PRIMA RIVOLUZIONE EVANGELICO-PROLETARIA: LA VECCHIA CHIESA SI LIMITAVA SOLO AD ACCOGLIERE IL PECCATORE, SENZA CAPIRE CHE LA VERA MISERICORDIA DI DIO, CI SPINGE AD ACCOGLIERE, ASSIEME AL PECCATORE, ANCHE LA RICCHEZZA DEL PECCATO

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Dopo la prima rivoluzione operata dall’uomo Gesù di Nazareth, per il quale era necessario vivere al di fuori della schiavitù delle ideologie umane diffuse dalle religioni rette su caste sacerdotali ― ricordiamo infatti che Gesù non era un appartenente alla casta dei Sacerdoti e dei Leviti, ma alla tribù di Beniamino e di Davide, che fu un guerriero che portò alla liberazione del popolo dal potere dei dominatori esterni ―, per ovvia conseguenza, secoli e secoli dopo, doveva giungere inevitabilmente la Rivoluzione Francese, seguita dal liberalismo e appresso ancora dal comunismo, che assieme alla grande riforma di Martin Lutero costituiscono i più grandi doni di grazia elargiti dallo Spirito Santo all’umanità.

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L’uomo Gesù di Nazareth non aveva dei precisi progetti politici, egli ha lanciato quei semi che nei secoli avvenire sarebbero poi germogliati grazie alla sua idea iniziale che mirava a trasformare l’etica individuale e sociale sorretta sulla  esaltazione dei più alti valori dell’umanità, in elementi strutturali mirati a sorreggere le società sui princìpi della generosità, della compassione e della accoglienza. E si badi bene: non solo e non tanto sull’accoglienza del peccatore, come a lungo tempo, sbagliando gravemente, si è creduto e insegnato, ma sull’accoglienza del peccato stesso, che costituisce una grande ricchezza umana singola e collettiva. In questo consiste la vera grande rivoluzione della nuova Chiesa, contrariamente a quanto ha invece fatto la cupa vecchia Chiesa, che per secoli si è ostinata ad accogliere il peccatore, semmai facendolo sentire persino in colpa per il suo peccato e spingendolo quindi al pentimento, ma mostrandosi al tempo stesso incapace ad accogliere col peccatore anche il peccato, perché è in questo che consiste quella grande rivoluzione ecclesiale ed ecclesiastica dei giorni nostri sorretta sul concetto di misericordia di Dio: accogliere, assieme al peccatore, anche la grande ed inestimabile ricchezza del peccato.

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Nel corso degli ultimi anni, all’interno della Chiesa ha cominciato a soffiare forte più che mai un nuovo vento, soprattutto negli ambiti della teologia e della esegesi. Questo vento ha portato alla riscoperta del vero messaggio di Gesù di Nazareth che per tanti secoli è stato oscurato dalla classe dominante di quella ideologia cristiana che, a partire dai meccanismi fallimentari che furono propri dei dominatori dell’Impero Romano, avevano trasformata la libera Chiesa post gesuana in una struttura piramidale di caste, basata sulla burocrazia ed il legalismo giuridico, lontana dal popolo e per ciò aliena dall’insegnamento dell’amore universale. Questa forma piramidale di caste ecclesiastiche che per secoli si è sorretta sulla burocrazia e sul legalismo, giunse persino a esprimere, sul modello dell’antico Diritto Romano, quella autentica aberrazione anti-evangelica e anti-libertaria tale è il Codice di Diritto Canonico, limitando così in modo terribile la creatività umana e spirituale, perché una sola è la vera legge per il cristiano: è legge vera e autentica ciò che io penso, ciò che io sento, quindi ciò che io voglio.

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La più chiara dichiarazione dell’uomo Gesù di Nazareth contro il potere totalitario è racchiusa nella sua espressione «Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che e di Dio» [Mt 22,21; Mc 12,17; Lc 20,12]. Espressione che contiene un messaggio ben preciso, anche se per tanti secoli mai correttamente interpretato, vale a dire: il potere non può accumulare tutta l’autorità, sia essa effettiva o anche e solo simbolica, su un solo essere umano, perché chi esercita il potere deve essere limitato e sottomesso alla stessa voce e volontà del popolo sovrano, perché la sovranità appartiene al popolo che la esercita tramite il democratico meccanismo sinodale dei Vescovi, che a breve torneranno a essere eletti anch’essi dal popolo.

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GESÙ DI NAZARETH, IL GRANDE RIVOLUZIONARIO DE EL PUEBLO UNIDO IN UNA CHIESA DI “CRISTIANI ANONIMI”

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Gesù di Nazareth era, anzitutto, un grande rivoluzionario, molto sensibile a quella lotta di classe di cui egli getta i primi fondamentali pilastri. Per capire veramente la portata rivoluzionaria del suo messaggio, basti comprendere il vero senso delle sue parole quando afferma di non essere venuto a portare la pace ma la guerra e che, anche tra fratelli o all’interno della stessa famiglia si sarebbero messi uno contro l’altro, se una delle parti non avesse accettato questo cambiamento necessario [Mt 10, 34-36], perché chi non è con Lui è contro di Lui [Mt 12,30].

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La storia dell’umanità è piena di “cristiani anonimi”, come ci insegna il più grande teologo di tutti i tempi, il gesuita tedesco Karl Rahner, che spero sia presto proclamato dottore della Chiesa e voce profetica. Tra i tanti “cristiani anonimi” della storia, basti pensare ad esempio al cinese Mao Zedong, che proprio ispirandosi a questo passo del Vangelo ― pur senza saperlo, essendo egli un “cristiano anonimo” ―, durante la sua gloriosa rivoluzione improntata sul già sperimentato modello sovietico, invitava anche i bambini, adeguatamente formati, a denunciare i loro stessi genitori; oppure i fratelli a denunciare all’occorrenza i loro fratelli e sorelle che mostrassero anche un vago segno di dissenso verso questo grande sorgere del Sol dell’Avvenire. E nel fare questo, nel mettersi all’occorrenza uno contro l’altro, erano giustamente convinti che alla fine la rivoluzione proletaria sarebbe stata portata a termine, perché come sta scritto: non tutti, ma solo alcuni di quelli che avranno fatto parte della rivoluzione, non conosceranno la morte prima di aver visto il suo regno, perché questo è il vero significato di questo celebre passo del Vangelo [cf. Mt 16,28]. Ormai, il cambiamento radicale operato dagli ultimi passi compiuti da questa rivoluzione che ha dato vita alla nuova e vera Chiesa della pace, dell’amore e della misericordia, in grado finalmente di accogliere assieme al peccatore anche il peccato, è giunto al suo apice, perché questo è il vero significato dell’avvertimento dato dall’uomo Gesù di Nazareth quando afferma: «Non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga». [Mt 24,34].

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La predicazione del Nazareno era centrata sull’uguaglianza, come quando egli afferma che non esistono i padroni, palesandosi così contro il capitalismo borghese rappresentato in quel tempo dai mercanti del tempio, oppure dagli antichi speculatori di Wall Street, che erano invece i cambiavalute [cf. Mc 11, 7-19; Mt 21, 8-19; Lc 19, 35-48; Gv 2, 12-25]

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L’unica volta che l’uomo Gesù di Nazareth guardò in faccia ― «e guardandolo lo amo», come è scritto nel Vangelo ― fu quando indicò al giovane ricco l’unica cosa che a lui mancava di fare: «Va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri» [cf. Mc 10,21]. Egli è infatti molto chiaro nel dire che la perfezione si può raggiungere solo quando si vendono tutti i nostri averi per darne il ricavato ai poveri [Mt 19, 21]. Gesù di Nazareth, più volte se la prende con i ricchi, in particolare quando afferma: guai a voi ricchi perché avete già ricevuto la vostra consolazione [Lc 6,24]. Purtroppo, per molti secoli, i teologi della vecchia Chiesa hanno spiegato ― ovviamente sbagliando gravemente ― che il termine “ricchezza” è usato dall’uomo Gesù di Nazareth come sinonimo di egoismo, di mancanza di altruismo, di attaccamento alla dimensione puramente materiale della vita e dell’essere. Comprensibile il motivo per il quale la vecchia Chiesa abbia sostenuto questo, perché purtroppo ella ― e di ciò non dobbiamo mai finire di chiedere perdono al mondo del proletariato ―, era in combutta con i ricchi, con gli sfruttatori del popolo. Mentre in verità la ricchezza, per l’uomo Gesù di Nazareth, era solo un mezzo disonesto per guadagnarsi dei protettori nei momenti difficili [cf. Lc 16, 9]. Egli infatti afferma: «Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano». Ed era tanto il suo astio verso la ricchezza, che più avanti seguitò a lanciare invettive contro i farisei che, essendo attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si facevano beffa di lui. Finché Gesù disse loro: «Voi siete quelli che si ritengono giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che fra gli uomini viene esaltato, davanti a Dio è cosa abominevole» [LC 16, 14.15].

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L’ALLEGORIA DEL PECCATO ORIGINALE: IL VERO PECCATO ORIGINALE NASCE PER LA MANCANZA DI CURA DEI POVERI

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Per secoli noi abbiamo creduto e insegnato che l’allegoria del peccato originale ― perché ormai è assodato che il peccato originale non è un fatto, ma solo una allegoria dalla quale nasce il tradizionale battesimo altrettanto allegorico-simbolico ―, fosse dovuto ad un atto di ribellione a Dio Creatore attraverso la superbia dell’uomo. Ebbene, a parte il fatto che un altro grande “cristiano anonimo”, Sigmund Freud, ci spiega che il brano biblico di Genesi non è altro che l’allegoria del figlio che in età evolutiva si ribella legittimamente al dominio del padre, se veramente vogliamo parlare di peccato originale, questi non è da ravvisare nella sana e legittima ribellione verso il dominio del padre, che fa appunto parte della dimensione evolutiva umana, ma va ravvisato nella mancata cura dei poveri e nell’attaccamento al danaro. Questo il motivo per il quale, dal metaforico Paradiso Terrestre, l’uomo è caduto nel metaforico peccato originale.

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La missione dell’uomo Gesù di Nazareth non fu quella di fondare una religione o una casta, o un potere parallelo per dominare con ritualismi, cerimonie e lavaggio del cervello i poveri e gli oppressi, ma di portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e a rimettere in libertà gli oppressi [cf. Lc 4, 18], dando come vincolo unico quello dell’amicizia, perché la prospettiva della salvezza e santità che Egli ci offre, è di diventare suoi «amici» [Gv 15,15]. Inoltre, Egli non solo è un grande rivoluzionario, ma è un vero e proprio rivoluzionario radicale, lo chiarisce gli stesso: «Chi non è con me, è contro  di me» [cf. Mt 12,30]. E nella lunga schiera dei numerosi “cristiani anonimi”, molti hanno seguito questo suo insegnamento di radicalismo, senza neppure sapere quanto fossero veramente e radicalmente cristiani nell’agire in un dato modo. Per esempio, tra i diversi contemporanei, limitandosi al solo Novecento, basti rammentare quel grande uomo di “fede anonima” tale fu Stalin, che questo radicalismo evangelico lo portò al massimo compimento, tanto che grazie alla sua opera, circa venti milioni di russi poterono raggiungere il Paradiso nel giro di pochi anni.  

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L’uomo Gesù di Nazareth chiamò quindi presso di sé quelli che volle, ed essi si avvicinarono a lui. Quindi ne costituì dodici perché stessero con lui e potesse mandarli a predicare, ed avessero il potere di guarire le infermità e di scacciare i Demoni [cf. Mc 3, 13-15]. Inutile precisare che i Demoni, sono l’allegoria delle tentazioni borghesi capital-imperialiste che cercano di corrompere il popolo. Pertanto, il cacciare i Demoni, è da intendere come un cacciare le corruzioni dell’ideologia capitalista che tende a possedere il popolo. Purtroppo, la vecchia Chiesa intrisa di atteggiamenti regali a lei derivanti da quel grande alteratore del Cristianesimo tale fu l’imperatore romano Costantino, non ha mai capito che quei Dodici costituivano un collettivo basato sui concetti della democrazia proletaria, perché l’uomo Gesù di Nazareth chiamò a sé dei Compagni dai campi e dalle officine [cf. QUI] per rivoluzionare il mondo; una rivoluzione che passa attraverso la trasformazione dell’individuo.

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Quando l’uomo Gesù di Nazareth, a Ponzio Pilato, che rappresenta la massima carica rappresentativa del regime romano, dice: «Il mio regno non è di questo mondo», si riferisce a se stesso posto come uomo in prima fila come vittima oppressa, chiamato a essere il simbolo della dissociazione da quel regno di schiavitù e di dominazione, di oppressione e di autoritarismo, di povertà e di guerra, di vedove e di orfani, di profughi e di poveri per le alte tasse e le continue appropriazioni di terre e di capitali. Egli si fece così proclama e propaganda vivente dell’imminente cambio sociale cominciato con la sua condanna ed esecuzione in quanto caudillo rivoluzionario che, non riuscendo a sconfiggere le idee contrarie con la discussione, ha lasciato che esse si esprimessero, perché sapeva che non si possono sconfiggere le idee sbagliate con la forza, perché ciò arresterebbe il libero sviluppo dell’intelligenza, infatti, le idee sbagliate, devono essere lasciate sempre libere di svilupparsi al massimo.

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Quando l’uomo Gesù di Nazareth disse ai suoi compagni di non salutare i familiari e non seppellire i morti, quel che intende trasmettere è l’invito a non tornare mai indietro neanche per prendere la rincorsa, costasse anche cadere nel precipizio che si trova tra una sponda e l’altra.

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Quando nel Vangelo si fa riferimento a Simone detto lo zelota [cf. Lc 6 14-16], che vuol dire guerrigliero o partigiano, ciò che s’intende dire è che la caratteristica positiva della guerriglia consiste nel fatto che ogni individuo è disposto a morire non per difendere astrattamente un ideale, ma per farlo diventare realtà, affinché l’immaginazione possa andare al potere, perché è dalla immaginazione che nasce il reale, anche se questo non è mai stato compreso dalla vecchia Chiesa che per secoli si è ostinata a sorreggere il proprio pensiero teologico sui criteri superati e improponibili della logica di Aristotele, portata avanti in modo anacronistico da San Tommaso d’Aquino, sul quale grava la grande responsabilità di avere limitato le grandi speculazioni teologiche fino a quando ‒ vivaddio! ‒, agli inizi del XX° secolo prese vita quel Modernismo che oggi è il punto di riferimento e di azione dottrinale e pastorale di gran parte dell’episcopato contemporaneo.

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In Matteo leggiamo che l’uomo Gesù di Nazareth disse ai suoi compagni: «In verità vi dico, difficilmente un ricco entrerà nel regno» [cf. Mt 19, 23-30]. Basta questo per capire che egli ha voluto diventare povero e proporsi come pietra angolare di quella grande rivoluzione epocale contro il capitalismo borghese, unica e vera grande rovina dell’umanità. Purtroppo sono occorsi molti secoli per giungere a capire che Dio non può essere cattolico, ma è di tutti, perché conosce tutti e perché è per tutti, soprattutto di coloro che lo negano e lo rifiutano. Questo il motivo per il quale il Nazareno, in arte Figlio di Dio, ha predicato nel corso della propria esistenza terrena la netta distinzione tra oppressi e oppressori, gettando così il grande ponte sul fiume di quella che poi sarà la Chiesa povera per i poveri.

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LE ALLEGORIE DEI MIRACOLI, IL VERO SENSO DELL’EUCARISTIA, LA MORTE DI GESÙ IL LIBERATORE E LA SUA RISURREZIONE

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I più grandi miracoli dell’uomo Gesù di Nazareth non sono stati quelli del risveglio di Lazzaro da un evidente stato di morte apparente, non diagnosticata in quel tempo per la mancanza di conoscenze scientifiche; ne tanto meno i segni da lui operati sui malati. Il vero grande miracolo è stato quello di sfamare delle masse proletarie in diversi occasioni [cf. Mt 14, 13-21. 15, 32-39; Mc 6, 30-44. 8,1-10; Lc 9,10-17]. E qui si percepisce quanto profonda fosse la preoccupazione di Gesù di Nazareth per il problema della fame delle grandi masse del sottoproletariato, tanto che nell’ultima cena, prima di essere condannato a morte dal potere imperial-capitalista di quel tempo, Gesù dette l’incarico ai suoi compagni di sfamare il popolo proletario con il pane della liberazione [Mt 26, 20-30; Mc 14, 17-26; Lc 22,14-39; Gv 13, 1-20], ed a tale scopo usò una grande metafora allegorica: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui» [Gv 6, 56].

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L’uomo Gesù di Nazareth si incamminò infine verso Gerusalemme con i suoi compagni perché sapeva che il tempo era pronto per la rivoluzione, giacché la rivoluzione non è una mela che cade quando è matura, ma va’ fatta cadere. Da questo momento in poi segue il cosiddetto Vangelo della Passione, incentrato per secoli, nelle interpretazioni date dalla vecchia Chiesa, nella dimensione cruenta del sacrificio, attraverso il quale l’uomo Gesù di Nazareth, equiparato all’Agnello di Dio, laverebbe il peccato. Si tratta però, anche in questo caso, di una lettura errata, molto tridentina e pre-conciliare, di due frasi evangeliche: «Ecco l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo!» [Gv 1,29], ed ancora «fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: “Ecco l’agnello di Dio!”». Il grande equivoco da cui nasce la mala interpretazione, è legato al concetto stesso di peccato, con il quale per lungo tempo la vecchia Chiesa ha terrorizzato i suoi fedeli. I Vangeli sono infatti degli scritti meramente allegorici, da interpretare con le categorie della moderna teologia. E il termine “peccato” è una metafora che va interpretata non in senso cruento e sacrificale, ma in senso sociale: l’uomo Gesù di Nazareth, con tutta la mitezza di quella non violenza che secoli dopo ritroveremo in una figura come Ghandi ― da qui la metafora dell’agnello ―, lava dal mondo il grande peccato della ingiustizia sociale e della oppressione dei poveri. A questo, come dicevo poc’anzi, si ricollega quell’altra grande metafora che è l’Eucaristia, il cui vero e autentico significato non è certo quello sacrificale, bensì l’essere pane della giustizia sociale, la festa dei compagni che si riuniscono attorno alla mensa per il banchetto della gioia, della pace, dell’amore e della misericordia, danzando attorno all’altare al ritmo dei bonghi.

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La nostra fede si regge sul grande evento allegorico della risurrezione del Nazareno, per secoli considerata dalla vecchia Chiesa come un fatto storico, oltre che un fatto fisico, mentre sappiamo che si tratta di un evento spirituale, di una allegoria da interpretare come conclusione dell’esperienza terrena dell’uomo Gesù di Nazareth, in arte Figlio di Dio. Quando infatti nelle Lettere Apostoliche si afferma: «Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede» [cf. I Cor 15.14], s’intende dire che nel simbolo allegorico della risurrezione c’è il riscatto dei poveri e del popolo oppresso, lo prova il fatto che in un altro passo si afferma che siamo già risuscitati con Cristo [cf. Col 3,1]. E chi è, che è risuscitato con l’uomo Gesù di Nazareth, forse i ricchi, forse i borghesi, o forse peggio i capitalisti? Certo che no, con l’uomo Gesù di Nazareth, alla grande allegoria della sua risurrezione sono partecipi i poveri, gli emarginati, i profughi; per risorgere davvero con questo grande rivoluzionario, bisogna affrettarsi affinché sia approvata la legge sullo jus soli. L’allegoria dell’uomo Gesù di Nazareth che risorge dalla fossa comune nella quale il suo corpo fu gettato assieme a quello dei sottoproletari condannati dal potere imperial-capitalista, è l’immagine del Sol dell’Avvenire che sorge. Non a caso, diversi celebri “cristiani anonimi” della storia, come i già richiamati Stalin e Mao Zedong, seppure inconsapevoli di manifestare in tal modo la loro fede nella risurrezione dell’uomo Gesù di Nazareth, fecero uso proprio della iconografia allegorica del Sol dell’Avvenire, mostrandosi in tal modo degli straordinari “cristiani anonimi”.

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Gli altri due eventi della nostra fede sono le allegorie della ascensione al cielo dell’uomo Gesù di Nazareth e la Pentecoste dello Spirito Santo. Il fatto che dopo la risurrezione, Egli abbia continuato ad apparire ed a rendersi presente tra il collettivo democratico-proletario dei discepoli, come narra uno dei più celebre racconti allegorici ‒ quello dei due compagni in cammino lungo la Via di Emmaus [cf. Lc 20, 30-31] ‒, sta ad indicare il fatto che nessun vero padre della rivoluzione ha mai lasciato il popolo, prima che il popolo fosse maturo. Ecco perché a questa allegoria si unisce la seconda allegoria, la Pentecoste dello Spirito Santo. Con questo secondo evento, i compagni di lotta dell’uomo Gesù di Nazareth divengono dei veri cristiani adulti; dunque la Pentecoste racchiude quella sublime metafora che il grande “cristiano anonimo” Sigmund Freud definisce come la emancipazione del figlio dalla dipendenza del padre. Con la Pentecoste, abbiamo quindi il superamento definitivo del complesso edipico.

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AFFINCHÉ IL DIALOGO POSSA PORTARE ALLA SINCRETISTICA UNIONE È NECESSARIO METTERE DA PARTE LA FIGURA INGOMBRANTE DELLA BEATA VERGINE MARIA

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Tra queste righe, ho volutamente evitato di parlare della figura materna, che è quella di Maria madre dell’uomo Gesù di Nazareth. Si tratta infatti di una figura che può costituire ostacolo al dialogo con i fratelli delle diverse Chiese cristiane, anche se tutt’oggi, nella Professione di Fede scritta a Nicea e poi perfezionata a Costantinopoli, si risente purtroppo dello spirito esclusivo ed escludente che i Padri di questi due concilî acquisirono all’epoca dall’imperatore romano Costantino. In questo testo si recita infatti: «Credo la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica». Questa santità e apostolicità, non può essere però patrimonio esclusivo della Chiesa Cattolica, perché appartiene a tutte le diverse Chiese cristiane. Anche se nel corso dei secoli, il concetto di unità, che ha rasentato una vera e propria ossessione limitante, ci ha impedito di accogliere la grande ricchezza della diversità, per non dire di peggio: la vecchia Chiesa è giunta persino a chiamare eresia la rottura dell’unità, incapace di vedere e di cogliere quale enorme ricchezza potesse nascere da quella diversità che implica spesso la rottura di questo gran feticcio dell’unità, affinché possa darsi spazio alla grande preziosità della diversità. Tra i tanti esempi in tal senso, si pensi alla straordinaria figura di Martin Lutero.

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Ebbene, la figura di Maria è di ostacolo all’accoglienza delle varie diversità e delle grandi ricchezze dei fratelli delle altre Chiese cristiane, anch’esse apostoliche e sante, che più volte hanno accusato i cattolici di vere e proprie forme di mariolatria, facendo capire che questa donna, a suo modo troppo ingombrante, era di serio ostacolo al dialogo. Pertanto, per amore del dialogo e per realizzare la comune vicinanza, se è necessario deve essere sacrificata la figura di questa madre ingombrante. Sia pertanto benedetta l’opera di quei santi uomini di Dio dei pastori pentecostali che negli ultimi tempi, nel Messico, in Ecuador, in Perù e via dicendo, si sono cimentati in uno sport tanto istruttivo: frantumare e poi spazzare via da terra, in pubblico, le statue della Beata Vergine di Guadalupe [vedere QUI, QUI, etc …]. Anche perché, se i pentecostali che da sempre godono della particolare simpatia del Pontefice regnante, fanno questo, lo fanno perché indubbiamente ispirati dallo Spirito Santo.

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È in questo che consiste la vera ricchezza di Maria: la capacità di farsi da parte, di lasciarsi mettere da parte e di far si che i pentecostali alla conquista dell’America Latina facciano in pezzi la sua effigie. Di tutto questo, Maria è felice, pur di non ostacolare il cammino di dialogo e di vicinanza con i fratelli delle altre numerose ed autentiche Chiese cristiane. È questo che rende Maria veramente santa, ed è in questa nuova ottica che andrebbe studiata la mariologia, evitando d’esser giustamente rimproverati dai fratelli delle altre vere ed autentiche Chiese cristiane di mariolatria.

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Come però capite, questo è un discorso a parte che potremo affrontare in seguito. Anche perché, quanto sin qui ho scritto ed espresso, mi è stato sufficiente per la mia promozione all’episcopato, esattamente come a Nunzio Galantino, che di recente ha definito Martin Lutero e la sua grande riforma come un dono dello Spirito Santo [cf. QUI], questa sua felice dichiarazione è stata sufficiente per mantenerlo nella carica di Segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana. In caso contrario, rapportandosi invece alla fede con gli schemi della vecchia Chiesa, tutta strutturata su cupe dottrine e dogmi oppressivi, attraverso i quali taluni vorrebbero ostacolare il trionfo della misericordia e dell’amore, non solo, non si diventa vescovi, ma si rischia di essere spinti e relegati a suon di bastonate negli estremi più dimenticati e desertici delle periferie esistenziali. Ma sono tutte quante bastonate ‒ sia ben chiaro ‒, frutto della più grande misericordia, di quella misericordia che nasce dall’amore più profondo di un santo pastore che porta impresso su di sé l’odore delle pecore.

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C O N C L U S I O N E

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quel breve e indimenticabile colloquio del 2013 col Cardinale Francis George, Arcivescovo Metropolita di Chicago [1937-2015]

Questo scritto, costruito sull’ironico e apparente gioco dei paradossi, ma privo di qualsiasi forma di irriverenza verso chicchessia, parla da sé. E parla perché è uno scritto drammaticamente serio, oserei dire, in modo umile e sommesso, che è uno scritto a suo modo profetico. D’altronde, la linea che ho scelto di prendere da un po’ di tempo a questa parte, fu spiegata in un apposito articolo nel quale ho chiarito per dove vanno presi certi soggetti e situazioni … [vedere articolo QUI].

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Pochi giorni dopo il conclave del 2013, prima che facesse rientro negli Stati Uniti d’America, ebbi modo di conoscere presso il Collegio Nord Americano di Roma quell’uomo di Dio del Cardinale Francis George, Arcivescovo Metropolita di Chicago [1937-2015], col quale parlai in privato per poco più di mezz’ora, un tempo sufficiente per cogliere ciò che dovevo cogliere. Anzitutto mi dichiarai colpito da una sua affermazione risalente a circa un anno prima, quando egli dichiarò la propria comprensibile contrarierà di vescovo alla legge sulle unioni civili, per poi seguitare ad affermare che la potente e sempre più aggressiva lobby gay, si stava trasformando attraverso il Gay Pride in un «Ku Klux Klan che manifesta nelle strade contro il Cattolicesimo». La dichiarazione che mi colpì, non fu però quella rivolta al sempre più evidente spirito aggressivo dei sodomiti orgogliosi verso tutto ciò che ricorda anche vagamente la Chiesa Cattolica, perché a colpirmi da parte di quest’uomo già gravemente ammalato di cancro, fu la frase: «Io morirò nel mio letto, il mio successore morirà in prigione, il suo successore morirà martire». Meditando su questa frase, ebbi la sensazione che forse, un giorno, vescovo lo sarei divenuto per davvero. E potrei veramente diventarlo nella mia vecchiaia, assieme a pochi altri sacerdoti cattolici sopravvissuti a ciò che di peggio deve ancòra venire, perché in un futuro non affatto lontano, la Chiesa Cattolica sarà ridotta ad un ammasso di rovine informi.

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Da tre anni a questa parte, l’accademico pontificio domenicano Giovanni Cavalcoli ed io, ormai noti al pubblico come i Padri de L’Isola di Patmos, ribattiamo senza mai stancarci che la Chiesa di Cristo non è un corpo statico da mummificare nell’acqua ferma ristagnante, ma è un corpo in evoluzione, perché di per sé, un corpo, è sempre in crescita, persino nella fase della vecchiaia. Se infatti la vecchiaia segna da una parte il decadimento fisico, dall’altra segna spesso l’apice della maturità spirituale e intellettuale. Se così non fosse stato, tutto quanto si sarebbe risolto nell’anno 325 con il primo grande concilio celebrato a Nicea. Ma se la Chiesa, di concilî, in due millenni di vita ne ha celebrati in totale ventuno, ci sarà pure un motivo, o no? Da qui il concetto di Ecclesia semper reformanda, purché questa necessità della Chiesa di essere sempre riformata, non finisca con l’essere confuso col fatto che la Chiesa debba finire invece trasformata in altro, anziché riformata, ossia purificata. E questo, purtroppo, è quello che sta accadendo oggi: un gruppo potente e agguerrito di delinquenti, cercano di portare a compimento proprio questo nefasto e diabolico progetto: trasformare la Chiesa in altro. E la trasformazione in altro, non ha nulla da spartire con le grandi riforme di alcuni grandi concilî, da Trento al Vaticano II.

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Ecco perché da altrettanti anni vado scrivendo ed affermando che tutto questo porterà la Chiesa ad essere totalmente svuotata di Cristo, per essere poi riempita di altro. In siffatta situazione non lontana dal realizzarsi, essere vescovi vorrà dire correre il rischio di vivere una vita da martiri. Per questo il Beato Apostolo Paolo, richiamato non a caso all’inizio di questo mio scritto, affermava che «se uno aspira all’episcopato, desidera un nobile lavoro» [I Cor 12, 31]. Affermava ciò perché all’epoca, divenire vescovi, comportava quasi sempre morire martiri, come ci dimostra il martirologio romano ed il sinassario bizantino dei primi secoli di vita del Cristianesimo.

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Naturalmente, quando si parla di martirio, tutti abbiamo presente il cosiddetto martirio di sangue. Ma non sarà questo, il lento e doloroso martirio che ci attende domani, perché il nostro futuro non sarà segnato da un martirio di sangue, ma da un lungo martirio bianco che si protrarrà per generazioni e generazioni.

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Quel poco che rimarrà del Cattolicesimo e dei cattolici, finirà con l’essere totalmente incompatibile con le società civili, ma soprattutto con le leggi che le regoleranno; perché saranno delle leggi radicalmente anti-cristiane. Nessuno, metterà in carcere gli appartenenti allo sparuto gruppo di cattolici sopravvissuti sparsi in giro a piccoli gruppi, né alcuno li condannerà a morte. O, come dissi in quel colloquio al Cardinale Francis George: «Lo credo anch’io che il successore del successore di Vostra Eminenza morirà martire, ma attraverso una nuova forma di martirio che oggi, noi, non possiamo forse neppure immaginare, perché questa nuova forma di martirio sarà la totale indifferenza. Pertanto, il potere che regolerà la vita degli Stati e delle società civili, userà verso di noi la stessa identica indifferenza che oggi, gli uomini di potere della nostra Chiesa decadente, stanno usando verso tutte le voci profetiche che continuano a vivere ed a parlare al suo interno». E detto questo precisai: «Il Demonio, essendo intelligenza allo stato puro, non è uno sprovveduto. Nel corso degli ultimi venti secoli di storia ha imparata molto bene la lezione, quindi sa benissimo che il sangue dei martiri ha sempre purificata, rivitalizzata e di conseguenza santificata la Chiesa. E lui non può certo permettere che la Chiesa di Cristo sia purificata, rivitalizzata e soprattutto santificata. Sicché cos’ha fatto, questa autentica essenza di intelligenza tal è il Demonio? Prima, ha seminato e favorito lo sviluppo della massima indifferenza tra le nostre sempre più miserevoli autorità ecclesiastiche, dopodiché le ha ridotte a vivere e ad agire in uno spirito di totale accidia omissiva, affinché questa indifferenza distruttiva potesse colpirci prima dall’interno, poi dall’esterno».

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Forse, per meglio illustrare il tutto, può essere utile il ricorso ad altri esempi chiarificatori: andando a leggere certi miei scritti, capita di trovare in diversi di essi delle vere e proprie denunce costruite su accuse circostanziate, basate su gravi fatti non passibili di smentita. Parole dure e severe che ho vergato nero su bianco non certo ispirandomi agli umori di me stesso, ma allo stile degli antichi profeti ed allo stile del precursore San Giovanni Battista. Numerosi gli scritti nei quali più volte ho ad esempio indicato che persone altamente problematiche, poiché gravate di problemi morali e dottrinali molto seri ed imbarazzanti per la società ecclesiale ed ecclesiastica, sono stati pur malgrado posti ‒ grazie alla protezione di soggetti in autorità a loro volta gravati da problemi di natura morale e dottrinale ‒ in ruoli di pericoloso rilievo, con tutto ciò che può derivarne a livelli di mala gestione delle strutture ecclesiastiche e pastorali, ed a livello di scandali pubblici. Ebbene, dinanzi a scritti così severi, il minimo che avrebbe dovuto capitare sarebbe stata una mia pronta convocazione da parte della competente Autorità Ecclesiastica. Io non sono infatti né un giornalista né un opinion-maker, sono un presbitero ed un teologo soggetto in tutto e per tutto all’Autorità Ecclesiastica. E a questa Autorità non sono soggetto per “contratto di lavoro a tempo indeterminato”, ma per Sacramento di grazia, oltre che per obbedienza. E un presbìtero che in un suo pubblico scritto spiega che l’attuale Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede è stato promotore e protettore di quel giovane monsignore che giunto ai vertici di quel delicato dicastero si è poi dichiarato gay ed oggi vive gioiosamente sposato in Spagna col suo amato compagno, come minimo lo si chiama e, in tono semmai anche severo, gli si chiede: «Come ti sei permesso di lanciare una simile accusa al Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede?» [vedere articolo QUI]. E, una volta fatto questo, semmai lo si chiama di nuovo chiedendogli: «Come ti sei permesso, di scrivere in un altro tuo articolo di fuoco, che l’attuale Vicario Generale di Sua Santità per la Diocesi di Roma, ha piazzato in una delle parrocchie storiche del centro un prete che in una antica e prestigiosa basilica romana era già noto a tutte le Autorità Ecclesiastiche perché foraggiava a botte di soldi un giro di giovani marchettari romeni? [vedere articolo QUI]. Insomma, se le Autorità ecclesiastiche, pur di fronte ad un fatto noto e acclarato, hanno deciso di far finta di niente, vuoi sollevare questioni propri tu, che non sei niente e nessuno?». E se in quelle mie affermazioni, indubbiamente gravi, anzi gravissime, vi fosse stata anche una sola e minima alterazione della realtà dei fatti, ecco che in quel caso, l’Autorità Ecclesiastica, avrebbe dovuto farmi veramente pentire di tutti i miei peccati attraverso le più severe sanzioni canoniche.

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Qualche ecclesiastico cosiddetto esperto, a questi miei quesiti retorici ha risposto dicendomi più volte: «Scordati, che facciano mai nulla di simile, perché sarebbe dare importanza a ciò che scrivi, cosa che non faranno mai, perché per loro, tanto più griderai “al disastro” e tanto più li accuserai di distruggere la Chiesa, tanto più ti ignoreranno, perché per loro non meriti alcuna attenzione».

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Ebbene, premesso che nella Chiesa della misericordia ossessivo-compulsiva non voglio alcuna attenzione e neppure desidero che chicchessia mi conceda considerazione, forse a questo punto è bene chiarire anzitutto che io non sono affatto un prete incattivito che scrive su un blog letto dal sacrestano, dalle due o tre signore che la sera recitano il Santo Rosario in Chiesa e dal barista del bar che si trova nella piazza di fronte alla casa canonica. Perché i soloni della Santa Sede che si occupano di comunicazioni sociali, possono appurare in qualsiasi momento che la rivista telematica L’Isola di Patmos è molto più seguita, ed ha un numero di visite di gran lunga molto superiore di quante invece non ne abbia l’edizione italiana de L’Osservatore Romano, il quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana Avvenire, il settimanale Famiglia Cristiana e via dicendo a seguire. Pertanto, il principio clerical-accidioso del «Non diamogli importanza», non regge proprio. E non parliamo di quante e quante volte, non solo in Italia ma anche e soprattutto il giro per il mondo, insigni teologi e prelati hanno fatte proprie ed elaborate certe analisi fatte dai Padri de L’Isola di Patmos, che lungi dall’aver costituito un blog casalingo ‒ posto che la nostra è una rivista ‒, godono nei concreti fatti di tutta quella autorevolezza di cui invece non godono, agli occhi dei Christi fideles, certi cardinaloni e vescovoni all’avanguardia; il tutto, ovviamente, sempre stando ai dati di fatto, rigorosamente provabili e documentabili. Pertanto, la realtà e la verità, è tutt’altra: poniamo che qualcuno mi rimproveri dicendo per esempio che la mia forma di esprimermi, per la sua durezza ed il suo spirito di denuncia, non è accettabile. A quel punto, l’Autorità Ecclesiastica, si sentirebbe rispondere da me: «Premesso che chiedo perdono seduta stante per la forma, per lo spirito duro, per lo spirito di denuncia; e premesso altresì che nei modi e nelle forme che voi mi indicherete, provvederò a estendere questa richiesta di perdono in pubblico, affinché sia letta da decine di migliaia di lettori in un solo giorno, una volta chiarita però la forma, per quanto invece riguarda la sostanza, che cosa mi dite? O per meglio intendersi: è vero che l’attuale Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede ha portato avanti nella carriera ed ha protetto un soggetto che ha finito col dare nella Chiesa uno dei più clamorosi scandali dell’ultimo secolo? Perché questo fatto, io non lo ipotizzo, ve lo documento. E, detto questo, proseguirei dicendo: a parte la forma, per la quale posso chiedere scusa non una ma mille volte, ma del Vicario Generale di Sua Santità, che piazza in una delle più prestigiose parrocchie del centro di Roma un prete psicologicamente instabile che fotografava a pagamento i ragazzi nudi sotto la doccia presso la domus presbyterorum di una antica basilica romana, collezionando poi questi servizi fotografici “artistici” … ebbene, a parte la forma, per quanto invece riguarda la concreta sostanza, che cosa mi dite? Perché a parte la mia recriminata forma, resta il fatto che l’attuale Vicario Generale di Sua Santità, delle bravate di questo prete, era perfettamente al corrente, come lo erano e come lo sono tutti i monsignorini omertosi che tutt’oggi lavorano al Vicariato di Roma e che con la loro pura e semplice vigliaccheria, consentono il perpetrarsi di certi abominî, perché nessun topolino entrato dentro la forma del formaggio, gradisce esser sbattuto fuori da essa».

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La verità, non è che mi ignorano, ma che hanno semplicemente paura, perché un qualsiasi eventuale richiamo, comporterebbe prima il confronto privato, poi, qualora fossi assoggettato a qualsiasi genere di arbitraria ingiustizia ‒ all’interno di questa Chiesa all’apice della misericordia staliniana nella quale per logica conseguenza il diritto non esiste più ‒, il confronto privato dal quale fosse eventualmente nata una arbitraria ingiustizia verrebbe reso rigorosamente pubblico, sempre premesso che a leggermi non sono il sacrestano, le tre vecchiette che recitano il Santo Rosario in chiesa ed il barista del bar di fronte alla casa canonica.

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Mentre scrivevo questo lungo testo, ho ripercorso la storia di uno dei dittatori tra i più sanguinari dell’epoca moderna, che non è Adolf Hitler, come tutti pensano, ma Stalin. I morti, si misurano infatti in numeri, posto che i numeri dei morti assassinati sono sempre tanti, sono sempre troppi. Quindi non esistono numeri che pesano di più, come per esempio gli ebrei trucidati dal regime nazista, i quali ammontano a circa oltre cinque milioni, rispetto agli oltre venti milioni di russi trucidati da Stalin, che sulla bilancia degli storici orrori non possono certo pesare di meno per il semplice fatto che non erano ebrei. I morti trucidati pesano infatti tutti allo stesso modo, ed il loro sangue sparso grida ugualmente “vendetta al cospetto di Dio”, per usare questa antica espressione biblica, che siano essi israeliti o che siano ex sudditi del Grande Zar di Russia finiti sotto le fauci del Grande Macellaio Stalin.

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Scrivendo questo articolo ho ripensato a Stalin perché mai e poi mai, un ventennio fa, avrei immaginato che le sorti della Chiesa sarebbero finite col risultar simili a quelle del vecchio regime sovietico. Se infatti analizziamo bene i dati di fatto storici, scopriremo che l’inesorabile decadimento dell’Unione Sovietica comincia a prendere vita attorno al 1954/1955, uno due anni dopo la morte del grande e sanguinario dittatore. È sbagliato dire che il Comunismo Sovietico è caduto improvvisamente nel 1989, perché la sua caduta era in verità cominciata un trentennio prima. Proprio come la Chiesa Cattolica, che non sta cadendo oggi, all’improvviso, perché la gestazione di questa cronaca di una morte annunciata, è cominciata quarant’anni fa, nella stagione del post-concilio, seguendo tutti gli schemi tipici di quelle rivoluzioni passionali e romantiche dalle quali sono sempre nate le dittature peggiori, a partire dalla Rivoluzione Francese col suo periodo del terrore dal quale nasce poi la stagione inaugurata da quel grande guerrafondaio di Napoleone Bonaparte. E così come i giovani contestatori del Sessantotto gridavano «Pace e Amore» con le spranghe di ferro in mano, lanciando sassi alla polizia e bombe molotov tra un grido d’amore e l’altro, oggi nella Chiesa, i dittatori nati nella stagione del post-concilio, menano sprangate sulle ginocchia e spezzano le gambe a chiunque dissenta dinanzi alla grande Rivoluzione della Misericordia.

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Il fatto poi che il termine «rivoluzione» e «rivoluzionario» sia del tutto incompatibile con l’essenza stessa del Cristianesimo, o che definire il Verbo di Dio, Cristo Signore, come «rivoluzionario», rasenti invero la blasfemia, questo lo spiegherò in dettaglio in un alto scritto successivo, perché non posso aprire adesso un tema nel tema, tanto più in una conclusione finale.

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In questo mio scritto ho fatto riferimento anche ai delinquenti, ovviamente in senso puramente figurato, non in senso criminale e penalistico, riferendomi più volte ai grandi delinquenti che stanno massacrando il poco che ormai resta della Chiesa Cattolica. Non posso per ciò concludere senza aver fatto perlomeno il nome di uno tra i più illustri delinquenti figurati, sempre ribadendo che il lemma “delinquente” e “delinquenza” va inteso solo ed esclusivamente come sinonimo di disonestà intellettuale. Il delinquente intellettuale in questione è il sempre più onnipotente Alberto Melloni, grande leader della Scuola di Bologna e grande piazzatore diretto o indiretto di vescovi disastrosi. Per capire la delinquenzialità intellettuale di siffatto soggetto, a parte i suoi simposi presso le Logge Massoniche e amenità di vario genere [cf. QUI, pag. 6-9], basti solo leggere, dalle colonne del Corriere della Sera, in quale modo sprezzante e aggressivo egli commenta la profezia, oserei dire quasi ovvia, fatta dal Cardinale Francis George nel 2012 [articolo leggibile QUI], sino ad accusarlo di omofobia. E la omofobia, diversamente dalla mia recriminata delinquenza intellettuale, che è una pura figura retorica, è invece considerata un vero e proprio reato dalle leggi penali di diversi Paesi del mondo.

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Ecco, Alberto Melloni, tra i delinquenti intellettuali che si librano attorno al Romano Pontefice come degli avvoltoi sulla carcassa della Chiesa, è uno tra i più quotati. E con questo, ho detto e concluso tutto, sia riguardo agli avvoltoi, sia riguardo a chi, imperterrito, se li tiene attorno, in questa Chiesa auto-distruttiva della misericordia ossessivo-compulsiva, ridotta ormai ad una pantomima del paradiso del proletariato di Stalin.

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Forse un giorno, quando sarò vicino agli ottant’anni, vestito in modesti abiti civili, perché tutto ciò che ricorda vecchi simboli religiosi, anche nel vestiario stesso, non sarà consentito nelle strade di una società ormai completamente multi etnica, multi razziale, ma soprattutto liberata dall’immagine e dal ricordo di Dio, accompagnato da un paio di eroici candidati agli ordini sacri, che seguirò personalmente, perché non esisteranno più certe strutture ecclesiastiche, inclusi i seminari, passeggiando per Roma indicherò loro grandi e prestigiose strutture alberghiere, sedi di grandi società, musei, centri di esposizione d’arte, sale da concerto, teatri e via dicendo a seguire, che una volta erano le nostre grandi strutture religiose. E narrerò a loro che, nella mia età giovanile, io ho anche conosciuto e frequentato molti di quegli ambienti. E passando davanti agli stabili di quelle che furono le grandi università pontificie, nelle quali si troveranno le sedi di strutture accademiche dove si studierà l’ermeneutica delle vecchie religioni, patrocinate dal grande centro della cultura religiosa mondiale finanziato e dipendente da un apposito dipartimento delle Nazioni Unite, narrerò loro che in quegli stabili, una volta, insegnavano i nostri più “grandi” teologi, quelli ai quali si deve questa grande «caduta dell’impero» [vedere precedente articolo, QUI]. E se i due eroici candidati si rivolgeranno a me, loro vecchio vescovo, dicendomi: «Paternità, devono essere stati, quelli, dei tempi veramente belli». Io risponderò loro: «No, figlioli cari, erano tempi non solo brutti, ma terribili, nei quali una gerarchia ecclesiastica decadente si era ridotta a vivere di potere per il potere, avulsa dal reale, paralizzata nel tutto e subito, incapace di ogni prospettiva escatologica futura». E dirò loro: «Questi che stiamo vivendo adesso, sono i tempi veramente belli, perché sono i tempi di una lenta, dolorosa e lunga rinascita».

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È in questa situazione, che si potrà realizzare ciò al quale ci esorta il Beato Apostolo Paolo: «[…] se uno aspira all’episcopato, desidera un nobile lavoro» [I Tm 1, 2-3]. E sarà un «nobile lavoro» quando l’episcopato, svuotato di ogni potere e prestigio mondano, potrà essere vissuto solo ed esclusivamente a lode e gloria di Dio. E sarà in questa futura piccola, emarginata e dispersa Chiesa che forse, nella mia vecchiaia, diventerò vescovo per davvero, affinché al drammatico interrogativo «Ma quando il Figlio dell’uomo tornerà troverà ancora fede sulla terra?» [Lc 18, 1-8], un piccolo gruppo di cristiani possa rispondere: sì, nostro Signore e nostro Dio, abbiamo mantenuta accesa la lampada della fede sino al Tuo ritorno, senza mai avere perduto la consapevole speranza che a Te è sufficiente anche una piccola fiammella. E sulla base di questa consapevolezza, sono rimaste sempre accese in noi la fede e la carità.

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Dall’Isola di Patmos, 15 novembre 2017

Sant’Alberto Magno, vescovo e dottore della Chiesa

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Rocco Buttiglione: un pensatore al crocevia tra Amoris Laetitia e tomismo

— Gli Autori ospiti de L’Isola di Patmos

 

 ROCCO BUTTIGLIONE: UN PENSATORE AL CROCEVIA TRA AMORIS LAETITIA E TOMISMO

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Rocco Buttiglione, ricordando l’aspetto oggettivo e soggettivo del peccato, afferma che l’adulterio dei divorziati risposati a volte non è peccato mortale. San Tommaso, però, non la pensa così.

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Autore:
Ivo Kerže *

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il libro del Prof. Rocco Buttiglione

Mi pare che l’apologia di Rocco Buttiglione alle tesi più problematiche di Amoris laetitia dovrebbe suscitare una certa simpatia in tutti noi, ai quali le sue Risposte amichevoli sono rivolte. Infatti, un contributo significativo del suo libro consiste nella volontà di presentare l’argomentazione dei difensori di Amoris laetitia in maniera chiara e completa, il che senz’altro faciliterà la discussione. Di grande valore in questo senso è soprattutto l’aggancio dei ragionamenti di Buttiglione ai testi del Dottore Angelico, che rendono la sua posizione ancor più verificabile. Questo aggancio è allo stesso tempo il punto centrale della sua difesa di Amoris Laetitia [cf. pag. 91] ma anche, come vedremo subito, uno dei suoi punti più deboli.

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Riassumendo brevemente la trattazione vediamo che Buttiglione risponde ai critici di Amoris Laetitia — soprattutto al Prof. Josef Seifert [cf. QUI, QUI] — ribadendo che l’esortazione apostolica non vuole mettere in discussione la dottrina di Veritatis splendor [cf. testo QUI] sugli atti intrinsecamente malvagi. Infatti, secondo Buttiglione, la detta dottrina tratta solo della malvagità oggettiva degli intrinsece mala e non di quella soggettiva, che invece concerne la tesi di Amoris Laetitia ― adesso ufficialmente confermata negli Acta apostolicae sedis ― circa l’ammissione dei divorziati e risposati alla Comunione. Infatti, solo la colpa soggettiva può fare di un peccato grave ― come l’adulterio ― un peccato mortale, precludendo l’accesso alla Comunione. Per il peccato mortale ci sono così, ricorda Buttiglione, tre condizioni: dalla parte oggettiva, l’azione oggettivamente gravemente peccaminosa e, dalla parte soggettiva, il deliberato consenso e la piena avvertenza [pag. 43].

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il Prof. Rocco Buttiglione

A differenza d’altri apologeti di Amoris Laetitia, Buttiglione si concentra sulla condizione soggettiva riguardante la piena avvertenza, agganciando il discorso [cf. pag. 79] alla Somma teologica, dove San Tommaso d’Aquino tratta della presenza indelebile della legge naturale nei cuori degli uomini. Qui l’Aquinate espone una distinzione che diventerà l’asse portante del ragionamento di Buttiglione:

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«Per quanto riguarda i princìpi generali la legge naturale non può, in astratto, essere in alcun modo cancellata dal cuore dell’uomo. Può essere invece cancellata nei casi concreti, nella misura in cui la ragione incontra un ostacolo nell’applicare il principio generale a un’azione particolare, a causa della concupiscenza o di qualche altra passione» [I-II, q. 94, a. 6, c].

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Nello stesso senso possono essere cancellate in noi le conseguenze — anche quelle prossime — dei princìpi generali. In altre parole: la nostra ragion pratica dispone della legge naturale che è scritta in maniera indelebile in noi quanto ai principi generali, le conseguenze — prossime e lontane — di questi princìpi e le applicazioni corrette possono invece esserci ottenebrate per effetto delle passioni, come anche per effetto di «consuetudini perverse o abitudini corrotte» [ibid.], nelle quali Buttiglione vede in nuce la possibilità di una interpretazione tomistica delle strutture di «peccato sociale» [cf. pag. 88]. Quindi, conclude, è possibile che a causa di una passione  ― viene invocato più volte il timore come nel caso di una divorziata risposata con figli da crescere, che non vuol vivere in maniera casta col nuovo marito civile, per paura di venir abbandonata ― o di un clima sociale ― come il nostro ― che non vede nell’adulterio un peccato, coloro che oggettivamente vivono in relazioni adulterine non vivono in stato di peccato mortale in quanto, per le dette cause, o non applicano il divieto di adulterio al proprio caso individuale, o non vedono che questo divieto è una conseguenza prossima dei princìpi generali della legge naturale. In entrambi i casi mancherebbe loro la piena avvertenza e quindi potrebbero essere ammessi ai Sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia, come dice Amoris Laetitia nella nota 351.

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il Prof. Rocco Buttiglione

Il problema del ragionamento di Buttiglione consiste nel semplice fatto che San Tommaso non intendeva affatto che la sua dottrina circa l’ottenebramento della legge naturale nelle sue conseguenze e nelle sue applicazioni potesse fungere da scusante circa la colpa soggettiva in caso di peccato grave abituale, com’è quello dei divorziati riposati. Lo dice in maniera abbastanza chiara alla fine della quaestio 77 alla quale si rifà il brano citato da Buttiglione, dove San Tommaso così risponde alla domanda se un peccato di passione possa essere mortale:

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«si è già spiegato che il peccato mortale consiste nel volgere le spalle all’ultimo fine, che è Dio: e questo gesto spetta alla deliberazione della ragione, che ha il compito di ordinare al fine. Perciò può capitare che il volgersi dell’anima verso quanto è contrario al fine ultimo non sia peccato mortale solo nel caso in cui la ragione non possa intervenire a deliberare: e ciò avviene nei moti improvvisi. Ma quando per la passione uno passa all’atto peccaminoso, o al consenso deliberato, il fatto non è improvviso. Quindi la ragione può intervenire a deliberare: infatti può reprimere od ostacolare la passione, come si è visto. Per cui, se non interviene, è peccato mortale: e infatti vediamo che per passione si commettono molti omicidi e adulteri» [I-II, q. 77, a. 8, c].

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Vediamo in questo testo che San Tommaso, a differenza di Buttiglione, non esige l’attuale [o addirittura abituale, pag. 80] cognizione della legge naturale nelle conseguenze prossime e dell’applicazione di essa al proprio caso, ma soltanto la possibilità di questa cognizione, il che viene escluso — nell’individuo sano — soltanto nei moti d’animo improvvisi, ma questo è chiaro che non può verificarsi nella situazione dei divorziati risposati in quanto si tratta di uno stato di vita abituale, per niente improvviso.

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il Prof. Rocco Buttiglione

In maniera simile tratta San Tommaso della questione se l’ignoranza possa provocare l’involontarietà, dove il tipo di ignoranza della legge messo in rilievo da Buttiglione viene definito da Doctor Angelicus come ignoranza volontaria e quindi colpevole, in quanto «riguarda cose che uno può ed è tenuto a fare» [I-II, q. 6, a. 8, c] il che senz’altro si deve dire della legge naturale essendo essa, come ammette lo stesso Buttiglione, «presente in potenza» [pag. 79] nella nostra ragion pratica. È vero che questa presenza abituale è garantita in maniera assoluta, come abbiamo visto, soltanto per i princìpi pratici generali, ma, ciò nonostante, questa presenza ci rende capaci di venire a conoscenza anche dei princìpi più specifici: anzi, il venirne a conoscenza è un ovvio imperativo generale della ragion pratica. Infatti, la presenza in potenza della legge naturale nella ragion pratica non ha il carattere di una potenza passiva, statica, con la quale possiamo occuparci soltanto se ne abbiamo voglia. La ragion pratica è infatti anche una potenza attiva [cf. I, q. 79, a. 7, c], una capacità dinamica, che — come ogni potenza attiva — fa nascere in noi l’impulso, l’appetito naturale di essere pienamente realizzata [cf. I, q. 19, a. 1, c] e quindi, nel caso della ragion pratica, di pervenire ad una corretta cognizione ed applicazione della legge naturale. Quindi è chiaro che è presente in noi l’imperativo di conoscere ed applicare correttamente la legge naturale in toto.

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Abbiamo visto però che San Tommaso, oltre all’imperativo di conoscere qualcosa, elenca come condizione dell’ignoranza volontaria pure la possibilità di conoscere qualcosa. L’argomento di Buttiglione, infatti, non mette in discussione il dovere di conoscere la legge naturale in situazioni particolari di divorziati e risposati, ma la possibilità di conoscerla nelle conseguenze prossime e nelle applicazioni corrette. Riguardo alle conseguenze prossime dei princìpi generali della ragion pratica, San Tommaso tratta, parlando dei precetti del decalogo — che sono appunto tali conseguenze prossime —, e dice che «ci sono alcune cose che la ragione naturale di qualsiasi uomo giudica subito e direttamente come da farsi o da non farsi: tali, per esempio, sono i precetti: Onora il padre e la madre; Non ucciderai; Non ruberai» [I-II, q. 100, a. 1]. Quindi, le conseguenze prossime dei primi princìpi, pur non essendoci necessariamente abitualmente note come i princìpi primi, ci sono note per un ragionamento immediato ― conoscibili «cum modica consideratione», dice più sopra il Doctor Angelicus ― del nostro intelletto, che è, come abbiamo letto, alla portata di chiunque.

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il Prof. Rocco Buttiglione

Per quanto riguarda la questione dell’applicazione dei princìpi, invece, basta avere presente che San Tommaso ammette la possibilità di errore per quanto riguarda i precetti positivi — nel brano I-II, q. 94, a. 4, al quale si rifà il brano citato da Buttiglione, l’Angelico tratta del precetto di restituzione delle cose depositate —, ma non quanto ai precetti negativi del decalogo, come il divieto di adulterio, che obbligano «semper et ad semper», in ogni circostanza [cf. Commento alla Lettera ai Romani, c. 13, l. 2]. Quindi non è compatibile con la dottrina tomista quel che dice Buttiglione quando afferma contro Seifert, «che è possibile errare senza colpa nell’applicare i primi principi a una situazione particolare» [81]. San Tommaso, come abbiamo visto non la pensa così riguardo al divieto di adulterio.

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Effettivamente, questo è il punto dove l’impianto apologetico di Buttiglione si trova in serie difficoltà. Lo si vede anche da certe distinzioni dalle sembianze paradossali nel testo. Basti un esempio. Quando Buttiglione, trattando dell’errore di coscienza, dice: «L’errore di coscienza, tuttavia, non è mai invincibile; (può essere invincibile provvisoriamente ma non per sempre)» [80]. Se l’errore di coscienza non è mai invincibile  ― in quanto la ragion pratica capisce per natura i primi princìpi e può sempre capire le conseguenze prossime della legge naturale ―, come può esserlo provvisoriamente?

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Se ora ci volgiamo brevemente, per ragione di completezza, anche all’altra condizione soggettiva, quella del deliberato consenso, invocata qua e là da Buttiglione [pag. 37, 52, 60],  ci troviamo di fronte ad una situazione fino ad un certo punto analoga. San Tommaso la tratta in I-II, q. 6, a. 6, dove risponde alla domanda se il timore renda un azione involontaria. I difensori di Amoris Laetitia, infatti, quando parlano di mancanza di deliberato consenso, ricorrono di solito a situazioni nelle quali, secondo loro, è il timore ad eliminare la volontarietà dell’azione, come nel caso della divorziata risposata con figli che non vuol vivere in maniera casta per paura di venir abbandonata. San Tommaso risponde che il timore non rende l’azione involontaria simpliciter. Si tratta dello stesso termine usato da San Tommaso nel brano riportato sopra [I-II, q. 6, a. 8] dove dice, per le ragioni addotte, che l’ignoranza volontaria non rende l’azione involontaria simpliciter. L’«involuntarium simpliciter» è un termine usato da San Tommaso per definire le condizioni soggettive di peccato mortale: il peccato grave è mortale, se è volontario simpliciter, in caso contrario non è mortale [cf. De malo, q. 7, a. 11, arg. 3]. Spiegando la risposta sullo schema presentato sopra potremmo dire: la divorziata riposata che commette adulterio per paura di essere lasciata commette peccato mortale in quanto in lei sta operando la potenza attiva della ragion pratica, esigendo e rendendole immediatamente possibile la conoscenza del divieto di adulterio ed  ― essendo un precetto negativo ― dell’applicazione di esso al suo caso individuale.

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il Prof. Rocco Buttiglione

Ricapitolando: l’apologia di Amoris Laetitia attuata da Buttiglione nel suo ultimo libro sembra essere fondata su un’interpretazione forzata del pensiero dell’Aquinate circa il nesso tra ignoranza e colpa soggettiva, nella quale mi pare che l’autore, da una parte, riduca la presenza indelebile dei prinicipi generali della legge naturale ad un mero dato teoretico, statico, passivo, mentre si tratta, in verità, dell’abito naturale di una potenza attiva che esige da tutti noi ― anche dai divorziati risposati ― la conoscenza dettagliata della legge naturale e la sua applicazione corretta. Dall’altra parte, invece, Buttiglione non capisce che questa conoscenza ed applicazione ― almeno per quanto riguarda i precetti negativi del decalogo ― è sempre possibile in maniera semplicissima per chiunque e che quindi, l’ottenebramento di tutto ciò, può verificarsi soltanto in maniera volontaria e quindi colpevole.

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Slovenska Bistrica, 22 gennaio 2018

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L’Isola di Patmos coglie l’occasione per ricordare storie passate ma sempre vive :

A INDIMENTICABILE ONORE DEL CATTOLICO ROCCO BUTTIGLIONE

quando agli inizi del duemila la odierna e potente gaystapo stava prendendo velocemente e prepotentemente piede, l’Onorevole Rocco Buttiglione fu sottoposto ad una vera e proprio inquisizione pubblica a Bruxelles, nel corso della quale gli fu prima chiesto se era cattolico e se, come tale, considerava peccato l’omosessualità. L’allora europarlamentare Buttiglione, preferì giocarsi la nomina a commissario europeo, pur di non scendere a patti con la sua coscienza cristiana [per aprire il video cliccare sopra l’immagine].

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Nato a Trieste nel 1976. Essendo di nazionalità slovena intraprese gli studi alla Facoltà di Filosofia dell’Università di Lubiana dove ha conseguito la laurea nel 2000, il magistero nel 2001 ed il dottorato nel 2007 in filosofia concentrandosi sopratutto sulla filosofia tomista. Per lunghi anni è stato collaboratore di Tretji dan che è una delle principali riviste dedicate al pensiero cattolico in Slovenia. Nel 2008 fu pubblicata presso la collana Claritas la sua prima opera monografica dal titolo Začetek slovenske filozofije (L’inizio della filosofia slovena). Attualmente insegna filosofia al liceo diocesano di Maribor. In Italia collabora dal 2014 con la rivista Sensus Communis diretta da Antonio Livi.

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

Escatologia dell’Inferno: anche i dannati danno un contributo alla bellezza e all’armonia del mondo

—  i nostri video

ESCATOLOGIA DELL’INFERNO: ANCHE I DANNATI DANNO UN CONTRIBUTO ALLA BELLEZZA  E ALL’ARMONIA DEL MONDO

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Come oggi avviene per la raccolta differenziata, noi possiamo persino immaginare un utile reimpiego degli abitanti dell’Inferno, anche se la cosa può far sorridere; perché anche i dannati danno un contributo alla bellezza e all’armonia del mondo, per quanto ciò possa apparire paradossale o forse ingiusto. Non bisogna infatti confondere la giustizia con la crudele vendetta perché Dio è amore sempre e comunque, perché Dio resta Padre anche per i dannati.

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Autore
Giovanni Cavalcoli, O.P.

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Figliuol mio», disse ‘l maestro cortese, «quelli che muoion ne l’ira di Dio tutti convegnon qui d’ogne paese [Dante, Inferno: III, 123]

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I Padri de L’Isola di Patmos durante le video-riprese nel Convento dei Padri Domenicani di Varazze

Esiste una pena severa che è eterna, ma giusta; e la giustizia è sempre bellezza pura, ordine e bontà. Oggi c’è purtroppo l’idea diffusa che castigare vuol dire essere crudeli, essere violenti. Ciò è però falso, anzi falsissimo. Perché c’è un castigo giusto ed un castigo ingiusto.

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La crudeltà e la violenza, non sono un castigare come tale, ed il castigo che da esse deriva è ingiusto. Invece, il castigo giusto, è atto di virtù, legato come tale alla bontà e all’amore.

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E queste sono cose molto importanti da dire, più che mai oggi che si è perduta la verità, compresa la verità sull’Inferno e sulla dannazione eterna delle anime [segue il video …

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dall’Isola di Patmos, 20 gennaio 2018 

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PER APRIRE IL VIDEO CLICCARE SULL’IMMAGINE 

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Canale You Tube de L’Isola di Patmos

Canale cattolico Gloria Tv 

Audio in formato MP3

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CARI LETTORI, VI PREGHIAMO CON SOLLECITUDINE DI PRENDERE VISIONE DI QUESTO NOSTRO SCRITTO, QUI

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Vi narro una triste storia: se l’Arcivescovo Luigi Negri è un difensore battagliero della Chiesa allo sbando, io sono un difensore battagliero più di quanto lo fu il Santo Pontefice Pio V durante la battaglia di Lepanto contro gli ottomani musulmani

VI NARRO UNA TRISTE STORIA: SE L’ARCIVESCOVO LUIGI NEGRI È UN DIFENSORE BATTAGLIERO DELLA CHIESA ALLO SBANDO, IO SONO UN DIFENSORE BATTAGLIERO PIÙ DI QUANTO LO FU IL SANTO PONTEFICE PIO V DURANTE LA BATTAGLIA DI LEPANTO CONTRO GLI OTTOMANI MUSULMANI

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Un figlio deve onorare, ed all’occorrenza difendere il proprio padre; e lo deve fare a prescindere, fosse anche un pessimo padre. Se però il padre maltratta la madre, danneggia la famiglia e reca danno anche ad altri, il figlio è tenuto a dire che il suo è un padre degenere, pur seguitando a onorarlo come il padre che gli ha data la vita. L’Arcivescovo Luigi Negri è un paradigma del padre degenere, seppur oggi elevato a vessillo della pura e vera traditio da circoli di cattolici che in verità sono solo dei politicanti attaccabrighe allo sbando.

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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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PDF  articolo formato stampa

 

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Cosa c’è di più doloroso per un figlio, del narrare la storia del proprio padre degenere? Premesso che io non ho nulla da “sfogare”, molto invece da ridere amaramente, per un imperativo di coscienza mirato al mio dovere pastorale di tutela del corpo dei Christi fideles oggi sempre più smarriti, ho deciso di narrare la storia di questo padre degenere, l’Arcivescovo Luigi Negri, affinché nessuno lo muti in un idolo di cartone.

Ariel S. Levi di Gualdo

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nella foto: Ariel S. Levi di Gualdo che accoglie a Roma S.E. Mons. Luigi Negri davanti alla Chiesa di Santa Prisca all’Aventino il giorno della sua consacrazione sacerdotale

Mosso da imperativo di coscienza basato sulla conoscenza della persona, dei fatti e delle situazioni ― non certo per regolare conti che non ho da regolare, o per una vendetta a freddo che costituirebbe una profanazione del mio sacerdozio ―, mi sento tenuto a ribattere in modo deciso a quanti eroizzano certe figure d’impronta più politica che pastorale. Figure di cui ho potuto sperimentare direttamente tutte le carenze pastorali, la mancanza di coerenza ed il trasformismo politico, offrendo di ciò testimonianza — forse del tutto inutile — a coloro che queste figure le strumentalizzano, usando a pretesto questioni dottrinali per inscenare battaglie prettamente politiche sulla controversa Amoris Laetitia e la infuocata discussione che ne è poi seguita sui divorziati risposati e la loro ammissione ai Sacramenti.

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Una delle principali figure eretta oggi a eroica difesa del «poco che resta» — a dir di taluni — della «sana e autentica dottrina cattolica» è S.E. Mons. Luigi Negri, Arcivescovo emerito di Ferrara [2013-2017] e già in precedenza Vescovo della Diocesi di San Marino-Montefeltro [2005-2012].

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Cominciamo allora dal cosiddetto Nome del Padre, per chiarire anzitutto l’idea morale alquanto confusa di questo Arcivescovo, che non molti anni fa, dinanzi ai tristi festini a luci rosse organizzati dal pluri-divorziato Silvio Berlusconi nella sua villa di Arcore ― noti anche come bunga-bunga ―, dinanzi ai quali siffatto baluardo della difesa della dottrina cattolica affermò che «un Primo Ministro si giudica dalle sue azioni di governo mirate alla tutela del bene comune e non dalla sua vita privata» [cf. QUI]. Posto che l’assertore di ciò è stato per lunghi anni docente di filosofia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove per un periodo di tempo tenne anche i corsi di filosofia del diritto, viene da domandarsi se abbia mai sfogliato l’etica nicomachea di Aristotele, per seguire con le dissertazioni sull’etica e la morale di San Tommaso d’Aquino. Perché simile asserzione e altre che adesso seguiranno, non si possono neppure ricavare dall’opera Il Principe di Niccolò Machiavelli.

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… fin quando la Santa Sede si trovò costretta a rimuoverlo nel 2012 dalla piccola Diocesi di San Marino-Montefeltro, dopo che la Sua Eccellenza Reverendissima e soprattutto Prudentissima aveva creato l’ennesimo incidente diplomatico con la Repubblica di San Marino, legata storicamente da ottime relazioni con la Santa Sede, malgrado l’impronta laica e in parte massonica del piccolo e antico Stato. Ma vediamo che cosa accadde: il Presule non trovò di meglio da fare che paragonare i due Capi di Stato a due «pupazzi agghindati a festa», il tutto durante una colazione ufficiale. Malauguratamente, a pochi metri dalla Sua Eccellenza Reverendissima e Prudentissima si trovava la Ministro degli affari esteri, S.E. Antonella Mularoni, che il giorno dopo rispedì tutte le onorificenze pontificie alla Santa Sede con una vibrante nota di protesta contro il Vescovo di San Marino-Montefeltro che aveva pubblicamente insolentito i Capi di Stato, vale a dire la onorabilità della più piccola, ma anche la più antica Repubblica del mondo. A spegnere l’incendio acceso dalla Sua Eccellenza Reverendissima e Prudentissima furono quell’uomo di fede e di esperienza diplomatica di S.E. Mons. Adriano Bernardini, uno dei migliori Nunzi Apostolici in Italia e nella Repubblica di San Marino dal 1929 a oggi, seguito da un altro gran diplomatico, il Cardinale Jean-Louis Tauran, che appresso si intrattenne a colazione con la Ministro degli esteri e che tempo dopo, in modo molto delicato, ebbe a parlare di questo fatto col sottoscritto durante un nostro incontro privato presso il Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani. A quel punto la Santa Sede, sbagliando gravemente adottò il fallimentare principio del promoveatur ut amoveatur, nominandolo a 71 anni compiuti Arcivescovo di Ferrara; una sede vescovile che ha sì titolo di arcidiocesi, ma che non è una metropolìa, bensì una diocesi suffraganea della sede metropolitana di Bologna. Inutilmente, da parte mia, appena ufficializzata la promozione di S.E. Mons. Luigi Negri alla sede di Ferrara ― una città che conoscevo bene, avendoci vissuto svariati anni al tempo dei miei studi universitari svolti tra Ferrara e Bologna ―, in modo deciso e amabile lo informai: «Anzitutto lei manifesti ai ferraresi amore per la loro città e attenzione per loro, ma soprattutto, come Vescovo, si tenga sempre lontano dalle faccende strettamente politico-amministrative che non tocchino in alcun modo e ad alcun titolo la coscienza dei cattolici, perché così facendo lei sarà amato dai cattolici e profondamente rispettato dai non credenti». Volete sapere quale fu la testuale risposta della Sua Eccellenza Reverendissima e Prudentissima, con tanto di aggancio finale del telefono? Esattamente questa: «Ascolta, testa di cazzo, non ho certo da imparare a fare il vescovo da te!». E giunto a Ferrara accompagnato da un segretarietto inetto, dopo essersi circondato come suo uso di persone deboli e limitate capaci solo a dirgli di si, ed a compiacerlo e pomparlo ancor più di fronte alle sue scelte del tutto sbagliate, non lasciò trascorrere neppure cento giorni per creare un vero e proprio problema di ordine pubblico. Ma vediamo che cosa accadde: incurante del grande amore che i ferraresi nutrono per la loro bella Città e di quanto di essa vadano fieri, l’Arcivescovo non trovò di meglio da fare che paragonare il centro cittadino ad un postribolo [cf QUI, QUI, ecc..], reso a suo dire tale dalla movida notturna di universitari e giovani che rumoreggiavano nei pub e nei bar del centro. Sia chiaro, in questione non sono le eventuali ragioni del Presule, ma il modo poco pastorale e provocatorio da lui adottato, insomma: roba da imperioso podestà fascista della Città. Il tutto senza tener conto che Ferrara è stata fino al 1860 territorio dello Stato Pontificio, che a livello storico-sociale equivale a dire “sino ad appena ieri”. E in questa Città, a volte, l’anticlericalismo si presenta anche in forme radicate e decise. E così, alla Sua Eccellenza Reverendissima e Prudentissima fu anzitutto ricordato che la gran parte dei fondi commerciali che ospitavano i recriminati pub e bar del centro fungenti da fabbrichette di sbronze, erano di proprietà della curia arcivescovile, alla quale i gestori pagavano lauti affitti mensili. E poco dopo, gruppi di giovani, a supremo sfottò dell’Arcivescovo, organizzavano dinanzi alla cattedrale il Postribolo Night [cf. QUI]. E così, tra i corridoi della Santa Sede, non si tardò ad affermare: «Abbiamo mandato in una città sensibile e pastoralmente delicata come Ferrara un Vescovo che in breve si è rivelato un autentico pericolo pubblico». Insomma, quasi come se non lo sapessero, o come se non avessero già fatta ampia esperienza di che cosa costui è capace quando decide di ficcare il naso in faccende che non riguardano ad alcun titolo un Vescovo: le faccende strettamente politico-amministrative.

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Sua Eccellenza Reverendissima e Prudentissima, essendo milanese ad hoc e come tale proveniente da una cultura di grandi comici ― perché come risaputo tutti i più celebri comici d’Italia sono milanesi, per esempio Roberto Benigni, Giorgio Panariello, Enrico Brignano, Maurizio Crozza e via dicendo a seguire ―, non mancò neppure di dar prova della sua innata vena comica. E così, trovandosi dinanzi al grave caso di un giovane ferrarese di trentatré anni, nato da una madre che era stata seviziata appena adolescente da un prete, il quale chiedeva conto e giustizia di quel doloroso fatto, ma soprattutto domandando perché questo sacerdote non fosse mai stato punito e sospeso dall’esercizio del sacro ministero, rispondendo con un comunicato ufficiale della curia estense ― non si tratta quindi di una frase estrapolata e manipolata dai soliti e recriminati giornalisti di tendenze comuniste o massoniche ―, il poveretto si sentì rispondere dall’Arcivescovo nei tipici toni della cultura satirica ambrosiana con queste esatte parole:

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«[…] Visto che comunque pare che sia una questione di cronologia e di tempi, e che è accusato di essere responsabile di cose accadute oltre trent’anni fa, l’Arcivescovo ci tiene a precisare, al fine di evitare spiacevoli equivoci in futuro, che non ha avuto nessuna parte nella dichiarazione della prima guerra mondiale e neppure della seconda e certamente non si è inteso con il presidente americano per lo sgancio della bomba atomica sul Giappone. Su queste cose è meglio riferirsi ad altri» [cf. QUI].

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Dinanzi a questo testo indecente, si voglia notare che a ironizzare sulla sofferenza e sul dolore umano ― nel caso particolare su quello di un figlio ferito, che è un dolore sempre molto delicato e difficile da accogliere, trattare e curare ―,  fu un Vescovo che ha girata l’Italia in lungo e largo a parlare della Dottrina sociale della Chiesa e dei valori politici non negoziabili della famiglia, pronto a spaccare il capello in quattro se c’era da discutere su un preservativo politico, ma pronto a rispondere però con la beffarda ironia a un giovane che lamentava d’esser nato da una ragazza appena adolescente ingravidata da un prete. Potrebbe essere però che il prete ingravidatore, in ottemperanza alla morale cattolica, s’era ben guardato dal macchiarsi di turpe peccato usando un preservativo, rendendo così tutto quanto a posto sul piano morale e su quello canonico, o no?

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Detto questo l’affermazione sorge spontanea: credo che un Vescovo di tal fatta possa essere portato come modello di eroico coraggio e vessillo di difesa della sana dottrina cattolica solo dai democristiani redivivi de La Nuova Bussola Quotidiana [cf. QUI]. E se la difesa delle gesta del vecchio donnaiolo pluri-divorziato Silvio Berlusconi non era in sé sufficiente, a ciò si aggiunga che il Presule mosse pure rimproveri a chi si dichiarava scandalizzato dalle condotte del Primo Ministro, replicando che «l’indignazione non è un sentimento cristiano» [cf. QUI, QUI]. E infatti, Giovanni il Battista che rimproverò pubblicamente in toni indignati Erode per le sue condotte morali di vita, non era sicuramente cristiano, né poteva come tale nutrire sentimenti cristiani. Pertanto fecero bene a tagliargli la testa per la sua indignazione del tutto fuori luogo, perché il buon Erode doveva essere giudicato sulla base della sua difesa dei valori comuni, non certo per il fatto che in privato andasse a letto con la moglie di suo fratello, o che avesse un’attrazione malsana per la nipote Salomè ― una sorta di Ruby o di olgettina dell’epoca [cf. QUI] ―, come si evince oltre le righe dalle storiche narrazioni evangeliche.

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Se dovessimo prendere come modello la morale cattolica di questi generi di figure, allora dovremmo affermare che certe violazioni legate al VI° comandamento, da parte di quelli che oggi taluni indicano con toni di fuoco come concubini e adulteri, sono commesse dagli stessi dentro le loro camere da letto o in zone riservate affini. In sostanza: costoro commettono peccato in privato, non in pubblico. Insomma: non vanno mica a consumare amplessi ― questi “sporchi adulteri” ― sul pubblico sagrato della Chiesa! Anzi può essere che in pubblico questi cosiddetti concubini e adulteri siano pure dei difensori dei cosiddetti valori non negoziabili. Proprio come all’epoca, per carpire il voto dei cattolici, li difendeva il pluri-divorziato Silvio Berlusconi, gioioso organizzatore di festini privati a luci rosse con ragazze delle quali avrebbe potuto essere nonno, ma che meritava in ogni caso di essere giudicato non per la sua vita privata ma per le sue azioni di governo e per la difesa dei valori comuni, parola di Sua Eccellenza Reverendissima e Prudentissima Luigi Negri.

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Non sarebbe forse giusto che i poveri adulteri verso i quali insorgono veementi i veri cattolici difensori della vera e autentica dottrina, fossero anch’essi giudicati per la loro vita pubblica e per la loro difesa dei valori comuni, proprio come Silvio Berlusconi, non invece per la loro vita e la loro condotta morale privata? Anche perché in caso contrario potremmo giungere persino a presumere che la Sua Eccellenza Reverendissima e Prudentissima, alla comprovata scarsa formazione filosofica, unisca altrettanta scarsa preparazione in teologia fondamentale e in morale cattolica. E per inciso sia chiaro: io che scrivo queste righe non mi sono nutrito e formato, per quanto riguarda l’ambito della morale cattolica, alla scuola dei peggiori lassisti nati nella stagione del post-concilio, ma alla scuola del compianto Cardinale Carlo Caffarra, col quale ho avuto lunghi e proficui rapporti che oggi tanto mi mancano. E se c’è una cosa che di questo santo vescovo ricordo, è anzitutto la paternità, la pastoralità e la profonda dedizione da lui sempre riversata sui suoi sacerdoti e sui sacerdoti in generale, da lui mai lasciati in stato di sbando e di abbandono per dedicarsi a beghe e brighe tutte politiche e per nulla pastorali.

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Per quanto riguarda l’eroismo della Sua Eccellenza Reverendissima e Prudentissima, ciò che sfugge in buona o mala fede ai suoi laudatori e strumentalizzatori politici è un fatto non passibile di alcuna smentita: il suo spirito di paternità è equiparabile a quello di un carciofo sott’olio. E qui è opportuno far notare, sempre a chi lo presenta come uno dei pochi eroici e coraggiosi paladini della Chiesa oggi allo sbando, che quando costui era ordinario diocesano della piccola Diocesi di San Marino-Montefeltro, mentre girava come una trottola per l’Italia tra un giornalista e l’altro, mentre aveva tempo di andare e venire da Roma per recarsi a parlare nel Palazzo di Montecitorio con Gianni Letta o con Angelino Alfano e via dicendo a seguire, nel giro di un solo anno e mezzo, in una piccola Chiesa particolare che contava all’epoca 51 sacerdoti secolari, perse tre giovani presbìteri, uno dei quali fece persino atto d’apostasia dalla fede cattolica passando ad una sètta protestante. A un altro dei tre, responsabile diocesano ― udite, udite! ― della pastorale giovanile, il quale esigeva invece che fosse riconosciuta la nullità della sua sacra ordinazione, perché a suo dire, all’epoca che fu ordinato non si sentiva affatto pronto, quindi, sempre a suo dire, sosteneva di avere subìto pressioni psicologiche mentre si trovava gravato da riserve interiori, per tutta risposta la Sua Eccellenza Reverendissima e Prudentissima disse di continuare a rimanere in parrocchia per un altro mese e mezzo ― quindi ad amministrare tranquillamente i Sacramenti (!?) ―, dando così al Vescovo il tempo necessario per poter sistemare la cosa. Ora, io domando: un Vescovo che conosca anche e solo i rudimenti basilari del diritto canonico, a un suo prete che punta i piedi affermando in modo sicuro e deciso di non essere stato validamente ordinato sacerdote e che quindi dichiara non valida la sua ordinazione, risponde forse a questo modo, anziché intimargli immediatamente: a partire da questo istante tu non celebri più la Santa Messa e non amministri più i Sacramenti finché la cosa non è stata chiarita? E con questo è presto detto che il difensore del no politico alla Santa Comunione ai divorziati risposati, oltre a mostrarsi a volte carente di preparazione filosofica e teologica, alla prova dei fatti pare essere lacunoso anche sulla conoscenza della dogmatica sacramentaria e nella relativa applicazione delle Leggi Canoniche sulla disciplina dei Sacramenti.

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Se poi questo non bastasse, l’amabile vescovo difensore dei valori politici non negoziabili, persi tre giovani preti in un sol botto, non trovò di meglio da fare, andando poco dopo in udienza dall’allora Pontefice regnante Benedetto XVI, di uscire fuori dall’incontro annunciando in toni trionfali a tutti i suoi numerosi accompagnatori: «È stato un colloquio franco ed aperto tra vescovo e vescovo, ed ho potuto anche cogliere l’occasione per dire al Santo Padre in che situazione disastrosa si trova la Diocesi di Milano che versa ormai allo sbando totale [N.d.A. governata all’epoca da Dionigi Tettamanzi]». In pratica aveva osato auto-candidarsi alla sede di Milano direttamente col Romano Pontefice, incurante di non essere riuscito a governare una piccola Diocesi, sino a perdere tre preti in breve tempo mentre egli era impegnato a vagare tra un Marcello Pera, un Gianni Letta ed un Angelino Alfano, oltre a dettare ai giornalisti interviste nelle quali egli si faceva le domande e si dava le risposte, come quando mise in bocca questo titolo a effetto al suo amico Camillo Langone affinché diffondesse la sua ennesima auto-promozione a ben più grande e prestigiosa sede vescovile:

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«Il più cattolico dei pochi vescovi italiani cattolici si trova all’estero, a San Marino. «Lei vive in una cartolina!» esclamò Benedetto XVI l’estate scorsa, durante la visita nella diocesi. «Sì, ma è una cartolina che non viene spedita mai» rispose monsignor Luigi Negri» [cf. QUI].

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Ovviamente, per «il più cattolico dei pochi Vescovi italiani cattolici», si doveva pensare quanto prima a una sede arcivescovile metropolitana che fosse anche e di rigore sede cardinalizia. O si può forse essere a tal punto incoscienti da lasciare un vescovo come sposo a una sposa così modesta come la piccola Diocesi di San Marino-Montefeltro? Giammai, bisogna dargli come seconda moglie una gran dama, perché in certi casi, il desiderare la donna d’altri, l’abbandonare i propri figli e la propria famiglia, non solo è cosa auspicabile, ma è cosa del tutto dovuta, sino al punto che l’abbandono del tetto coniugale e il divorzio divengono talora del tutto legittimi e sacrosanti, salvo poi andare in giro a criticare il pericoloso casuismo dei Gesuiti. 

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E non parliamo dei giochi fatti coi giornalisti dalla Sua Eccellenza Reverendissima e Prudentissima, che ricalcano in tutto e per tutto lo stile del «sono stato frainteso» al quale ebbe ad abituarci l’allora Primo Ministro Silvio Berlusconi, per inciso sempre quello da giudicare per le sue azioni di governo e per la difesa dei valori comuni, non certo per le sue orge private. Purtroppo, l’ultimo a farne spesa è stato pochi giorni fa il celebre vaticanista Andrea Tornielli, al quale Sua Eccellenza Reverendissima e Prudentissima ha rilasciata un’intervista per Vatican Insider [cf. QUI], salvo poi dichiarare un paio di giorni dopo a La Nuova Bussola Quotidiana di non avere espresso quei concetti. Facile l’interpretazione cronologica del fatto: dopo avere espresso quei concetti — che Andrea Tornielli ha riportato in modo onesto, leale e veritiero —, il circolino del tamburini laudatori ha forse mostrato in qualche modo sconcerto, sicché, la Sua Eccellenza Reverendissima e Prudentissima, avrà risposto loro di starsene tranquilli, perché «Sui divorziati risposati non ho cambiato opinione» [cf. QUI]. Per quanto mi riguarda, a chiunque dovesse chiedermi se credo più ad Andrea Tornielli o a Luigi Negri, senza esitare risponderei: ad Andrea Tornielli. Ciò non solo perché Andrea Tornielli lo conosco bene, ma perché lo stesso Luigi Negri, questo giornalista serio e onesto, oggi ultra cinquantenne, di cui molti possono anche non condividere alcune o più posizioni, lo conosce da quando aveva appena quindici anni, sapendo come me e forse ancor più di me quanto sia onesto. Ma purtroppo, la tecnica politico-berlusconiana della Sua Eccellenza Reverendissima e Prudentissima è questa, provata e consolidata nel tempo: quando l’audience cala, spara qualche botto, lascia passare qualche giorno affinché la notizia circoli e la polemica si monti, poi smentisce dicendo di essere stato frainteso, semmai paventando pure minacce di querele e giocosità varie. A proposito: la paventata mega-querela a carico del giornale che riportò notizia del colloquio di Sua Eccellenza Reverendissima e Prudentissima sull’Eurostar, quando pare abbia augurato al Pontefice regnante di volare presto al Creatore [cf. QUI], che fine ha fatto? Quanti milioni di euro in risarcimento danni gli sono stati accordati nella sentenza di condanna del giornale da parte del tribunale giudicante per la grave lesione recata alla sua immagine pubblica attraverso questa diffamazione a mezzo stampa? Ci piacerebbe saperlo, semmai attraverso un articolo di informazione firmato da Riccardo Cascioli, direttore de La Nuova Bussola Quotidiana.

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Se pertanto oggi ci troviamo nella situazione drammatica in cui ci troviamo, non è colpa del Pontefice regnante, alle cui scelte pastorali e di governo io non ho mai risparmiato dure critiche a viso aperto, pur precisando però, come già ho scritto, che Francesco I è entrato per ultimo in un ristorante dove prima ancora che si sedesse è stato aggredito dai gestori che gli hanno presentato il conto da pagare per tutti quelli che avevano lautamente pranzato e cenato prima di lui [cf. QUI], dopo avere donato alla Chiesa per lunghi anni dei vescovi più impegnati nelle campagne elettorali anziché nelle visite pastorali alle parrocchie e nella cura del loro clero. La colpa dello stato attuale della Chiesa è infatti di quei cattivi vescovi politiconi che oggi sono presentati, da altrettanti laici politicanti, come difensori della vera fede cattolica. Sono loro, i responsabili della meritata elezione di un uomo come Jorge Mario Bergoglio, dopo che nel 2013 eravamo giunti a una situazione di insostenibilità legata a monte alla debolezza di governo del Beato Pontefice Paolo VI, che va comunque studiata alla luce dei più terribili anni del post-concilio, seguita dalla mancanza del senso d’autorità che s’era completamente sgretolata sotto il pontificato del Santo Pontefice Giovanni Paolo II, che pure era un uomo di grande autorevolezza, ed infine alla pressoché totale mancanza di governo del Venerabile Pontefice Benedetto XVI. Insomma: se la storia è costituita da dati di fatto e non da umori soggettivi, andiamoci cauti nel trattare gli effettivi e oggettivi difetti dell’uomo Jorge Mario Bergoglio, molti dei quali frutto e conseguenza di grossolani errori compiuti a monte da Beati e da Santi Pontefici. E, detto questo, come già più volte ho precisato, ribadisco che ai Beati ed ai Santi non è richiesta la perfezione, ma la eroicità delle virtù, che non sono pregiudicate né dalla mancanza di difetti umani né da errori commessi, compresi anche a volte errori grossolani o gravi di valutazione commessi in totale buonafede, od a volte commessi poiché traditi e ingannati.

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Sarebbe quindi opportuno che i cattolici smarriti e confusi dalla odierna situazione ecclesiale ed ecclesiastica, puntassero a dei modelli più solidi sia di esempio sia di cristiana virtù, perché la morale, tanto decantata e tanto pretesa da certuni sempre e di rigore sulla pelle altrui, non alberga in quei circoli politico-ideologici che dietro pretesti di fede s’inebriano di latinorum e di ferreo rigore morale. Semmai, dinanzi a certe figure tutt’altro che eroiche, i fedeli dovrebbero rammentare quel santo monito che ci avverte:

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«[…] non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito» [Mt 23, 3-4].

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Che tradotto in altri termini vuol dire questo: gli antichi farisei affermavano a loro modo che «l’indignazione non è un sentimento cristiano» e che Berlusconi non si giudica dai circolini a luci rosse della sua vita privata, ma dalle sue pubbliche azioni di governo e «dalla difesa dei valori comuni».

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Elevare a modelli di umana virtù certi personaggi è aberrante, perché sono coloro che tutt’oggi taglierebbero ancòra la testa a Giovanni il Battista, ma quel che è peggio è che lo farebbero sentendosi con la coscienza perfettamente a posto. A questo si aggiunga un altro fatto: se il Pontefice regnante prospettasse a questo Arcivescovo emerito una berretta cardinalizia, questi, a partire dal giorno seguente, lungi dall’augurargli di andarsene presto al Creatore ― come si narra che la Sua Eccellenza Revendissima e Prudentissima ebbe a fare parlando scherzosamente su un Eurostar [cf. QUI, QUI] ―, direbbe che un grande Pontefice come Francesco I non si era più avuto dai tempi del Santo Pontefice Gregorio Magno, definirebbe la Amoris Laetitia il più chiaro e straordinario documento del Magistero pontificio dell’intera storia della Chiesa, ma soprattutto proporrebbe alla Santa Sede di richiedere in uso al Comune di Roma lo stabile di Castel Sant’Angelo per rinchiudervi dentro tutti gli ecclesiastici e i teologi che mostrassero anche e solo vaga perplessità verso certe ambiguità di questo documento.

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un goliardico comunicato stampa di S.E. mons. Luigi Negri, Arcivescovo di Ferrara-Comacchio, firmato col Vicario Generale sempiterno della Diocesi di San Marino-Montefeltro [per aprire il testo cliccare sopra questa immagine]

Non volevo citare un penoso fatto che mi ha visto passato protagonista e che per me non è motivo di sofferenza ma di divertimento, per quanto amaro, perché in fondo è questo che alla fine producono le figure ridicole: il divertimento. Sicché lo faccio solo alla fine, a titolo di puro esempio, casomai non fosse ancòra chiaro il soggetto di cui stiamo a narrare la triste storia. Prima di proseguire è però necessario chiarire il mio status canonico, premettendo che ho ricevuto a Roma il sacro ordine del diaconato, poi la consacrazione sacerdotale nella Chiesa di Santa Prisca all’Aventino per la Diocesi di San Marino-Montefeltro dalle mani di S.E. Mons. Luigi Negri. La mia formazione al sacerdozio s’è svolta interamente a Roma, dove poi ho sempre vissuto e dove tutt’oggi opero. Sono quindi un presbìtero regolarmente “residente fuori diocesi” col nulla osta del Vescovo, ho il mio ufficio di postulatore per le cause dei Santi a Roma, vivo a Roma, quando posso mi reco in Sicilia, spostandomi poi per motivi pastorali legati perlopiù al mio ministero di predicatore e confessore in varie parti d’Italia …

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… accadde dunque che nell’ormai lontano 25 maggio 2013 scrissi un articolo molto severo in cui criticavo duramente l’allora Presidente della Conferenza Episcopale Italiana Cardinale Angelo Bagnasco, Arcivescovo Metropolita di Genova, che volle celebrare personalmente il funerale porcino del prete eretico Andrea Gallo, pur avendolo potuto evitare con tutte le migliori giustificazioni, trovandosi in quei giorni a Roma per l’assemblea plenaria dei Vescovi d’Italia, quindi delegando qualche altro per quelle esequie che si sarebbero comunque risolte in bagarre. Durante quel funerale il Cardinale Angelo Bagnasco si trovò ad amministrare la Santa Comunione a Vladimiro Guadagno, in arte Luxuria, che prima si presentò vestito da donna alla mensa eucaristica, poi fece persino un sacrilego elogio funebre sul presbiterio durante l’azione liturgica, parlando dall’ambone dal quale si amministra ai Christi fideles la Parola di Dio. Dinanzi a quella mia dura critica, la Sua Eccellenza Reverendissima e Prudentissima, oggi impegnata a dimenarsi politicamente circa la Santa Comunione ai divorziati risposati, pur non avendo più su di me alcuna giurisdizione canonica, in quanto ormai eletto Arcivescovo di Ferrara, attraverso un grossolano abuso canonico e facendo uso di toni di fuoco, paventò a mio carico «decisioni disciplinari, e addirittura canoniche» [vedere testo QUI], firmando come Arcivescovo di Ferrara-Comacchio un documento insensato contro un presbìtero non appartenente alla Diocesi di Ferrara, ma incardinato in quella di San Marino-Montefeltro e come tale dipendente unicamente dalla giurisdizione canonica del suo Ordinario Diocesano, che grazie a Dio oggi è quell’uomo amabile e mite di S.E. Mons. Andrea Turazzi.

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Faccio poi notare agli odierni sostenitori di questo eroico Vescovo elevato a vessillo di difesa della vera traditio catholica, che in questo comunicato, per smentire le mie accuse rivolte ad Andrea Gallo, il firmatario afferma: «è nostra ferma convinzione che nella Chiesa possono convivere opinioni anche molto diverse». Leggete il testo, perché ha scritto e firmato proprio questo, che equivale a dire: Andrea Gallo, che alla fine della Santa Messa sventolava la bandiera rossa comunista cantando Bella Ciao [cf. QUI] e che aveva più volte accompagnato delle donne al consultorio per abortire [cf. QUI], non era affatto una vergogna del sacerdozio cattolico come io avevo osato definirlo, giammai! Perché quando il buon Luigi Negri decide di tremare come un coniglietto dinanzi ai potenti dai quali anela a un qualche contentino, è persino capace ad affermare e firmare che un soggetto come Andrea Gallo è solo una semplice «opinione diversa», dichiarandosi mosso in simile affermazione anche da «ferma convinzione». E si noti: su quel testo ufficiale da lui firmato e diramato agli organi di stampa è scritto proprio così, o forse sono io che non sono in grado di leggere e di capire? No, io leggo e capisco bene, a non voler capire sono i tamburini laudatori de La Nuova Bussola Quotidiana, per seguire con tutta la giungla di blog e di siti che al Regnante Pontefice non rivolgono critiche rispettose per le sue ambiguità o per le sue scelte pastorali infelici, come faccio io, ma lo odiano in modo a volte davvero feroce, invitando anche gli altri all’odio. E così, i tamburini laudatori, pur dinanzi all’evidenza dei fatti, per loro ideologico tornaconto personale, per il gusto della ricerca della rissa politica e per aggredire il Pontefice regnante, preferiscono proprio non capire, tanto hanno bisogno di crearsi e poi di presentare degli idoli di cartone. 

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Ma soprattutto io domando: se non è lecita la Comunione ai divorziati risposati, non pochi dei quali animati spesso da autentici e profondi sentimenti cristiani, a qual titolo il difensore della vera fede e dei valori non negoziabili, oggi eletto paladino laudato da tutta la ultra destra cattolica, ha pubblicamente minacciato ― e ripeto: senza averne alcun titolo canonico ―, un presbìtero che invece si è dichiarato sconvolto per la Comunione sacrilega data al trans Vladimiro Guadagno, non in quanto trans, ma in quanto promotore dell’omosessualismo, dell’aborto, dell’eutanasia e d’ogni altra perversa aberrazione?

Il libro dell’eretico Andrea Gallo esposto e venduto nel 2013 presso la libreria della Pontificia Università Lateranense e presentato con prefazione dell’eretico Vito Mancuso

Per inciso, in quel comunicato mi si accusa falsamente affermando: «S.E. Mons. Negri tiene a chiarire di essere intervenuto più di una volta negli ultimi mesi, in “camera caritatis” su don Ariel, perché modificasse il linguaggio dei suoi interventi. Anzi, negli ultimi tempi ha ricevuto risposte dettate da atteggiamenti di arroganza». Purtroppo le cose stanno in tutt’altro modo. Premesso infatti che dal 2011, sfumato anche il Patriarcato di Venezia, il buon Luigi Negri si guardava attorno facendo il conto delle varie diocesi italiane di spicco in procinto di essere liberate, ogni volta che io, in qualche mio articolo, trattavo argomenti tutt’altro che insultanti, ma destinati a infastidire certe clericali “code di paglia”, queste andavano a toccare il Vescovo nel suo punto più sensibile, facendogli dire o capire che erano in corso le provviste [le selezioni dei candidati], per quella o quell’altra arcidiocesi e che, questo prete molesto, rischiava di creargli qualche “danno d’immagine”. Sicché, la prima volta ch’egli mi chiamò intimandomi che non dovevo più pubblicare articoli ― il tutto mentre i libri dell’eretico Andrea Gallo e dell’eretico Vito Mancuso erano esposti e venduti nella libreria della Pontificia Università Lateranense, nella incuranza totale di quel bertoniano minus habens di S.E. Mons. Enrico Dal Covolo, suo Magnifico Rettore ―, in tono tutt’altro che arrogante risposi: «Per cortesia, Vostra Eccellenza mi indichi dove ho mentito non dicendo la verità e dove ho difettato a livello dottrinale e teologico». Testuale fu la risposta: «Non importa dire la verità, ma saper valutare quando è opportuno non dirla e tacere. Sono in corso le provviste per le nuove Diocesi e io non posso sentirmi chiedere di te in modo sibillino proprio mentre si parla di assegnarmi ad altra diocesi». Replicai: «Vostra Eccellenza concorda che se il Verbo di Dio fatto uomo avesse taciuto, non sarebbe mai morto in croce?». Replica lui: «Tu devi buttarla sempre sul teologico». Rispondo: «Eccellenza, ma su che cosa devo buttarla, forse sul gastronomico? Io sono un prete e un teologo, mica un cuoco!» E questa, a parere di qualcuno, sarebbe arroganza? In ogni caso rimango confortato anche da un altro fatto: nessuno di quanti all’interno del mondo ecclesiastico mi conoscono — incluse le massime autorità della Santa Sede —, sarebbe pronto mai a credere che io ho mancato di rispetto, non solo al Vescovo, ma addirittura al Vescovo ordinante, per di più in modo arrogante. Non lo crederebbe proprio nessuno, sapendo che per il Vescovo io nutro sacro rispetto e che da sempre sono operoso a infondere questo filiale sentimento anche in tutti i sacerdoti che si avvalgono di me come confessore e come direttore spirituale. Invece purtroppo, la Sua Eccellenza Reverendissima e Prudentissima, non ha tributato il sacro rispetto dovuto al proprio episcopato, per non parlare della sua Chiesa particolare e dei suoi figli. Proprio come se il Verbo di Dio non ci avesse mai messi in guardia ammonendo: «A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più» [Lc 12, 48].

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Nella Diocesi di San Marino-Montefeltro, sia l’allora Vescovo Luigi Negri che il Vicario Generale sempiterno co-firmatario di quel testo delirante ― e dicasi sempiterno perché Vicario Generale da ben tre vescovi! ―, si sono nel tempo ben guardati dal paventare «quelle decisioni disciplinari, e addirittura canoniche» nei confronti di un prete che è divenuto papà di una deliziosa bambina e che non fu mai sanzionato, tutt’altro, prima venne mandato in giro per il mondo a spese della Diocesi, infine imboscato dalla Sua Eccellenza Reverendissima e Prudentissima in un’altra Diocesi. Allo stesso modo non sono stati mai paventati provvedimenti analoghi verso quel prete che fu sbugiardato sulla pubblica piazza dalla sua amante dopo che la poverina aveva scoperto ch’egli faceva il galletto pure con altre donne, sentendosi così tradita da questo compagno infedele [cf. QUI, QUI, QUI]. Non sono mai stati presi neppure provvedimenti verso gli svariati preti transfughi, raccattati da varie parti del mondo dall’allora Vescovo di San Marino-Montefeltro S.E. Mons. Paolo Rabbitti, spesso assenti dalle parrocchie e dal territorio della Diocesi per settimane o addirittura per mesi, diversi dei quali hanno nel tempo depredato le casse parrocchiali a suon di viaggi e di regalìe fatte alle loro famiglie di origine e via dicendo a seguire … E con queste e altre ragioni ancor peggiori che per decenza e carità cristiana taccio, mi presentai con quel comunicato in mano alla Nunziatura Apostolica in Italia, al Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica e alla Congregazione per i Vescovi.

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Alla Segnatura Apostolica si misero a ridere e mi risposero: «Nella tua Diocesi, c’è qualcuno che conosca il diritto canonico?». E detto questo proseguirono dicendo: «In questo comunicato non sono anzitutto indicati i canoni che tu avresti violato, cosa che rende questo testo giuridicamente nullo e anche assurdo, perché firmato non dal tuo legittimo ordinario diocesano, ma firmato in grave abuso al canone dal vescovo di un’altra diocesi e da un presbìtero non avente diritto e titolo per minacciare sanzioni e quant’altro a tuo carico». Risposi io: «Ah, ma di questo non c’è da stupirsi, se consideriamo che questo presbìtero co-firmatario è il Vicario Generale sempiterno, lo spessore teologico e canonico del quale è equiparabile a quello di una sogliola!».

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Alla Congregazione per i Vescovi risero invece di più e ancòr più a lungo, ed a ridere fu un Alto Prelato che, ricevendomi in assenza del Cardinale Prefetto che in quei giorni era fuori dall’Italia, mi disse: «Ma di chi si tratta? Ah, ti pareva: Luigi Negri. Ma in questo dicastero è famoso! Pensa, quando era Prefetto il Cardinale Giovanni Battista Re, il buon Negri andava e veniva a scalpitare da questo palazzo affermando che erano due anni che si trovava in quella piccola Diocesi e che ormai aveva fatto tutto quello che c’era da fare. Un’altra volta disse al Cardinale Prefetto: “Mi è stata data una Diocesi che è grande quanto una singola parrocchia di Milano”». Insomma, erano trascorsi solo due anni che già la sua povera sposa gli stava troppo stretta. E così, il Nunzio Apostolico e i più alti vertici del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica e della Congregazione per i Vescovi, mi invitarono a lasciar perdere, pur avendo io tutte le ragioni del caso per citare in giudizio dinanzi al Tribunale Ecclesiastico i due ragazzacci firmatari di quel comunicato goliardico. Infatti, le tre diverse autorità ecclesiastiche interpellate mi risposero: «Questo comunicato sconclusionato non intacca in alcun modo te ma qualifica e quindi squalifica nel peggiore dei modi chi lo ha firmato e poi diffuso». E tutt’oggi, a onor mio e a sommo disonore di chi invece l’ha firmato e poi diffuso, chiunque visiti il sito ufficiale della Diocesi di San Marino-Montefeltro, entrando nella pagina del Vicario Generale sempiterno, non vi troverà affatto indicate le sanzioni canoniche erogate al prete divenuto papà, o al prete denunciato dalla sua amante per infedeltà, oppure quelle erogate ai preti che lasciano per settimane o per mesi le parrocchie per andarsene in giro per il mondo; nulla di tutto questo troverà. Però chiunque potrà trovare il testo del comunicato scritto da quei due ragazzacci in vena di goliardie, tutt’oggi sopravvissuto anche in qualche organo di stampa [cf. QUI].

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Sinceramente non so, se il Vicario Generale sempiterno, con questo comunicato goliardico tutt’oggi mantenuto in gloria nel sito della Diocesi sulla sua pagina personale, pensava di fare dispetto a me, oppure di screditare la mia sempre più solida reputazione di pastore in cura d’anime e di teologo, perché nei concreti fatti egli ha agito come quel povero tale che per far dispetto alla moglie prese un paio di cesoie e poi si castrò. Con me, infatti, non si combatte sulla base dei clericali e ottusi umori montagnoli fondati sul “mi sta antipatico ergo gli faccio guerra”; con me si combatte sul piano della morale, sul piano pastorale e sul piano teologico. E che io sia un prete immorale, un cattivo pastore in cura d’anime e un pessimo teologo, questo è tutto quanto da dimostrare, con buona pace dei ragazzacci in vena di goliardie.

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Per quanto riguarda il Cardinale Angelo Bagnasco, sul quale anni dopo ho avuto modo di scrivere parole di profondo affetto [cf. QUI], chiunque lo desideri può domandare a Sua Eminenza se in cuor suo stima di più ― e soprattutto se considera più affidabile ―, un soggetto all’occorrenza molto severo che opera sempre a viso aperto come me, oppure la Sua Eccellenza Reverendissima e Prudentissima. Domandate, perché forse avrete anche una esauriente risposta. Anche perché io, al contrario della sua Eccellenza Reverendissima e Prudentissima, se in passato ho reputato opportuno criticare severamente il Cardinale Angelo Bagnasco per l’episodio testé riportato, l’ho fatto con virile dignità leonina, mettendoci la mia faccia e la mia firma. Diversamente invece, la Sua Eccellenza Reverendissima e Prudentissima, non è che per caso ricorda le non poche battute insolenti condite con frasari da scaricatore di porto, da lui fatte nel corso degli anni in giro per i salotti sul Cardinale Angelo Bagnasco? Perché le non poche persone ― vescovi “amici” inclusi ― che da lui hanno udite certe irriverenze nei salotti privati, o anche per i corridoi dell’Aula Paolo VI durante le assemblee della Conferenza Episcopale Italiana, quelle sue battutacce su Angelo Bagnasco se le ricordano sempre tutte, dalla prima all’ultima, ed anche molto bene.   

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Questo è nella realtà S.E. Mons. Luigi Negri, una banderuola al vento che ha passato il suo episcopato a ruggire coi conigli e a fare il coniglio coi leoni, a lamentare una società sempre più mediocre e banale [cf. QUI], ed il tutto mentre lui, i più pericolosi e banali mediocri, dopo averli cercati a uno a uno con la lanterna di Diogene e poi proditoriamente selezionati, se li è sempre messi attorno come collaboratori, posto che nessun tacchino in ruolo di potere vuole solitamente attorno a sé un’aquila reale che lo aiuti e che lo assista, ed all’occorrenza che lo consigli e che lo freni in certe scelte sbagliate. E quante volte io ho sofferto nel vedere in che modo si faceva ridere dietro dai membri della Conferenza Episcopale Italiana, per il modo palese, ingenuo e sfacciato col quale, anziché prendersi cura dei propri presbìteri e della porzione di Popolo di Dio a lui affidata, trascorreva e bruciava il proprio prezioso episcopato a scalpitare per essere assegnato a qualche grande sede vescovile, ed essere creato naturalmente cardinale. Mai infatti, nella sua fanciullesca ingenuità, egli è riuscito a superare un suo profondo e personale trauma: il fatto che il suo coetaneo e compagno tra le fila di Gioventù Cattolica, poi in seguito divenuta Comunione e Liberazione, anch’esso come lui allievo di Luigi Giussani, fosse divenuto Patriarca di Venezia e Cardinale, ma soprattutto, in seguito, Arcivescovo di Milano. Egli era infatti certo, dopo la nomina di Angelo Scola a Milano, che sarebbe stato dato anche a lui il “meritato” contentino e fosse promosso in sua sostituzione alla Sede Patriarcale di Venezia. Gli anziani presbiteri in particolare, nell’allora sua Diocesi di San Marino-Montefeltro, ricordano sempre che gli mancava solo di organizzare i festeggiamenti e di preparare il discorso di saluto alla Diocesi e quello di insediamento a Venezia, tanto ne era stato convinto da quegli ecclesiastici che giocando perfidamente su certe sue debolezze, per anni e anni si sono divertiti a prenderlo in giro in tal senso, dandogli speranze e pompandolo di aspettative. Non a caso ai preti, dando in quei momenti per scontata la sua imminente dipartita, ripeteva di non poter fare per il momento programmi per il futuro.

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Sono anche al corrente che S.E. Mons. Luigi Negri è ammalato di una malattia oggi parecchio diffusa tra gli ecclesiasti, che si chiama querelite, ma dubito che quereli me per aver detto la pura e semplice verità, anche perché nessun membro della Conferenza Episcopale Italiana, specie quelli che l’hanno ben conosciuto, si metterebbe mai contro un uomo fedele, onesto e disinteressato come il sottoscritto, per difendere l’indifendibile, vale a dire un soggetto come lui, che per mistero di grazia è stato comunque, nella pienezza del suo sacerdozio apostolico, un veicolo, a volte persino molto privilegiato, dello Spirito Santo. Ne sono testimone io, che sono stato consacrato sacerdote da questo padre degenere, al quale un giorno, mentre correva l’anno 2010, dissi:

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«Vostra Eccellenza Reverendissima mi ha insegnato più con i propri difetti che con le proprie virtù. Grazie a lei ho infatti acquisita una santa lezione che rimarrà impressa in me per tutta la mia vita sacerdotale: ho capito che se il Demonio riesce a prenderci nell’ambizione e nella brama di potere e di carriera, potrà fare di noi tutto ciò che vuole».

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un documento del 2010 

Egli non colse, o forse non volle cogliere quelle mie parole. Però poco dopo firmò e mi consegnò per gli usi canonici consentiti la lettera in cui attestava d’avermi conferito il ministero di esorcista  [per aprire il documento cliccare QUI]

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Io ho amato profondamente Luigi Negri, verso il quale nutro tutt’oggi amore profondo. Ricevendo da lui a Roma prima l’ordinazione diaconale e poi la consacrazione sacerdotale, scambiando col Vescovo il liturgico segno di pace gli sussurrai all’orecchio in entrambe le volte: «Non te ne pentirai mai!». E alla prova dei fatti credo di essere il miglior sacerdote da lui consacrato, di certo il più coerente, fedele e coraggioso. Credo di essere colui che mettendo a frutto i doni di grazia dello Spirito Santo ha sviluppato ciò che nel padre era mancante, o che in esso era carente, a partire anzitutto dal mio profondo senso di paternità. Ma il tutto, comunque sia, è stato possibile solo grazie al padre e alla grazia di stato di questo padre degenere.

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Ecco perché credo che Luigi Negri, pur non ammettendolo mai con chicchessia, in cuor suo sarà sempre profondamente fiero di me, perché io sono ciò che lui non è, sia nel coraggio sia nella fuga da ogni condizionante e schiavizzante ambizione di carriera, sia nella coerenza sia nella cura pastorale delle anime sia nella cultura teologica effettiva e non fumosa. Se però io sono davvero questo, lo sono grazie a lui e per merito della sua fede e della sua azione di grazia sacramentale su di me. Per questo se tornasse indietro non esiterebbe a consacrarmi sacerdote un’altra volta senza indugio, perché Luigi Negri è un autentico credente. E in questo momento non si limiterebbe neppure a consacrarmi sacerdote, perché se potesse mi consacrerebbe vescovo, specie dopo quello che ho scritto su di lui in queste righe. Perché così come egli ha conosciuto il dolore dei figli indegni che lo hanno malignamente tradito e che malgrado le ripetute e inascoltate mie esortazione si volle mettere comunque accanto come collaboratori sempre compiacenti, a maggior ragione egli sa anche riconoscere il figlio fedele, all’occorrenza pronto a bastonarlo in pubblico, ma che però non lo tradirebbe mai.

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Non importa ch’egli dica che sono il suo figlio migliore, lo sa lui e lo so io, non occorre che ciò sia dichiarato in un comunicato ufficiale, perché quelli ― i comunicati stampa ufficiali ―, la Sua Eccellenza Reverendissima e Prudentissima li usava talvolta per annunciare autentiche amenità all’universo cosmico assieme a quel lupo di montagna del suo Vicario Generale sempiterno, le cose belle, invece, quelle le serba come Maria meditandole nel suo cuore [cf. Lc 2, 19].

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dall’Isola di Patmos, 17 gennaio 2018

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Caro Padre Alessandro Minutella: difenditi. Però fallo onorando il Romano Pontefice e senza cadere nella vecchia insidia di Martin Lutero

CARO PADRE ALESSANDRO MINUTELLA: DIFENDITI. PERÒ FALLO ONORANDO IL ROMANO PONTEFICE E SENZA CADERE NELLA VECCHIA INSIDIA DI MARTIN LUTERO

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Al Pontefice nessuno t’impedisce di segnalare in modo rispettoso e filiale, sulla base di prove accertate, i suoi difetti morali e pastorali, dopo avere prima chinato il capo davanti al suo infallibile magistero di verità. Sta’ attento pertanto a non cadere nel tranello in cui caddero Martin Lutero con tutti gli eretici, ossia prendere a pretesto i difetti morali e pastorali, reali ed oggettivi del Sommo Pontefice, per poi accusarlo di eresia e respingere il suo magistero dottrinale.

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Autori
Giovanni Cavalcoli, O.P – Ariel S. Levi di Gualdo

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  PDF  articolo formato stampa

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Liberami dalla mano dei miei nemici, dalla stretta dei miei persecutori [Sal 31,16]

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Venerabile Fratello in Cristo,

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il presbìtero palermitano Alessandro Minutella [per aprire il video cliccare sopra l’immagine]

abbiamo ascoltato il video della tua difesa dalle accuse del Cardinale Beniamino Stella, Prefetto della Congregazione per il Clero [cf. QUI]. Questo video ci è stato inviato da vari Lettori che chiedevano un nostro parere sui suoi contenuti. A quanti ci hanno chiesto parere ed a te, rispondiamo pubblicamente: a noi pare che ti sei difeso bene.

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Ti preghiamo di tener conto che a indirizzarti questo commento sono due sacerdoti rispettivamente: uno romagnolo, l’altro tosco-romano. Questo per aiutarti a capire, senza pena di fraintendimenti, alcuni nostri esempi per così dire ironici, paradossali o se vuoi anche grotteschi. Ci tranquillizza il fatto che tu sei siciliano, figlio di un nobile popolo antico che in elegante ironia è maestro.

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In questa tua vicenda, più che coi vertici più alti della Sede Apostolica ci sembra un po’ di avere a che fare con un arciprete di paese degli anni Trenta del Novecento, che per rifare il tetto alla chiesa, restaurare la canonica e costruire le sale parrocchiali, ha dovuto fare affidamento sulle generose donazioni di un ricco proprietario terriero della zona. Questo proprietario terriero ha però una figlia che si dà alla pazza gioia e che, come suol dirsi, salta allegramente di giovanotto in giovanotto. Tutti lo sanno, ma tutti tacciono, perché i paesani dipendono dal ricco possidente, che alla gran parte di loro dà lavoro, quindi sostentamento. L’allegra sgualdrina si reca dal Signor Arciprete per la confessione di precetto prima della Santa Pasqua, trovandosi dietro la grata del confessionale un uomo amabile, paterno, comprensivo, oggi si direbbe: misericordioso. Così, il buon sacerdote, quasi la conforta dicendole: «Eh, figlia mia, quando si è giovani, può anche capitare di commettere qualche piccolo errore, però s’intende: piccolo». La sgualdrina esce così assolta e persino confortata, lasciando il posto dinanzi alla grata del confessionale alla figlia di una serva del ricco e potente padre della precedente penitente, serva che lavora come lavandaia nella casa padronale, il marito lavora invece come contadino nei vasti terreni di questo proprietario. La giovane è fidanzata col figlio di altri contadini, un gran bravo ragazzo, il quale l’ha abbracciata e baciata. Ecco allora che il pio confessore si muta in quello che nel Codice Penale dell’epoca era il giudice istruttore, ed in tono severo, seguendo gli schemi del Manuale dei Confessori scritto nella seconda metà dell’Ottocento da Jean Baptiste Bouvier, Vescovo di Le Mans, comincia a chiedere quanto stretta sia stata abbracciata, ma soprattutto come siano stati scambiati i baci, perché se dati a bocca chiusa, erano peccati veniali, ma se la bocca fosse stata anche e solo leggermente socchiusa, in tal caso il peccato sarebbe stato mortale; e tra una amena descrizione e l’altra, il confessore intervalla il tutto rammentando alla penitente il fuoco dell’Inferno.

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Noi non affermiamo che il tuo comportamento sia stato totalmente corretto ed esente da errori, come vedrai di seguito; ma dobbiamo in coscienza affermare che alla prova dei fatti, il Cardinale Beniamino Stella, con una vita passata nel servizio diplomatico della Santa Sede — cosa questa che lo rende un grande pastore in cura d’anime ed un grande esperto conoscitore della vita pastorale e dell’apostolato del clero —, sorvolando sull’esercito di sgualdrine che oggi popolano la Chiesa, se l’è presa con gli abbracci ed i baci appassionati scambiati da una vergine col fidanzato.

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Preso dall’impeto del sacro fuoco della passione, alcune cose sbagliate nel tempo le hai dette, seguite da giudizi severi che non tenevano conto sino in fondo della estrema e del tutto nuova complessità della crisi senza storici precedenti che la nostra povera Chiesa sta vivendo oggi. Ciò non toglie che nell’agire, prima del tuo Vescovo, poi della Congregazione per il clero, oggettivamente manca un elemento che sta a fondamento di quel diritto chiamato di per sé ad amministrare la giustizia, a ripristinare la giustizia violata, quindi a fare giustizia, vale a dire: il senso delle proporzioni. Lo abbiamo detto poco prima con l’esempio della sgualdrina d’alto bordo che si dà a tutte le pazze gioie del caso, rapportata alla figlia della lavandaia e del contadino inquisita per un abbraccio ed un bacio appassionato scambiato col fidanzato.

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È triste dover constatare di essere trattati in modo sproporzionato proprio da coloro che dovrebbero sostenerci e guidarci nella lotta. È triste doversi opporre a fratelli che dovrebbero essere fratelli d’armi nella santa lotta e invece stanno dalla parte del nemico. È triste che oggi la Chiesa sia perseguitata dai suoi stessi pastori, mentre «i nostri nemici ridono di noi» [Sal 80,7]. È triste che vi siano pastori i quali preferiscono scendere a patti col mondo piuttosto che seguire Cristo.

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Eppure, caro Confratello, tu che conosci la storia della Chiesa e le miserie di tanti suoi figli e le tue stesse miserie, non ti meravigli, ma cogli l’occasione per perdonare i tuoi nemici e vivere più intensamente il tuo sacro ministero sacerdotale, in unione con la Vittima divina sull’Altare del Santo Sacrificio.

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Oggi Satana sta mettendo alla prova il Sommo Pastore della Chiesa. Lo sta vagliando come il grano [Lc 22, 31], pertanto Dio permette ch’egli vacilli sotto i colpi, sia sensibile alle lusinghe, alle blandizie ed alle attrattive del mondo; permette che il Diavolo approfitti perfidamente dei suoi lati deboli, che sia circondato come Cristo in croce non da amici, ma da «un branco di cani» [Sal 22,17], non da fidati e competenti collaboratori, ma da dei Giuda. Pertanto occorre molto, come spesso egli ci invita a fare, pregare per lui. Occorre certamente svelare le malefiche trame che, nella Chiesa, stanno ordendo i figli del Diavolo contro il Romano Pontefice e contro la Sposa di Cristo. Se è questo che stai facendo va bene, infatti, come forse avrai notato, da anni lo facciamo anche noi Padri de L’Isola di Patmos. Però è indispensabile che tu faccia una più chiara professione di fedeltà al Romano Pontefice, perché i tuoi nemici, molti dei quali sono anche i pericolosi nemici della Chiesa — proprio loro che sono falsi amici e falsi rappresentanti del Romano Pontefice —, vorrebbero farti passare come un suo nemico.

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Opponiti con tutta la tua forza a questa diabolica manovra, tuona con voce potente la tua salda certezza di riconoscere nel Sommo Pontefice Francesco I il Vicario di Cristo e il Maestro della fede, perché solo così potrai tagliare la loro lingua serpentina.

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Nel giorno della nostra sacra ordinazione sacerdotale, consacrati sacerdoti in eterno attraverso questo Sacramento di grazia, al Vescovo ordinante in comunione col Vescovo di Roma ― quindi di fatto, come sai, al Vescovo di Roma ― nessuno di noi ha promesso che avrebbe stimato il Vescovo ordinante ed il Romano Pontefice, o che avrebbe professato profonda e incondizionata simpatia per lui. Tutti noi abbiamo promesso devozione filiale e obbedienza, nessuno ha promesso che avrebbe stimato incondizionatamente il Romano Pontefice; e non ci risulta che nel corso degli ultimi quattro anni sia stato cambiato il rito del Sacramento dell’Ordine Sacro. Tu puoi anche non nutrire stima, nei riguardi del Pontefice regnante. E se la triste cosa può confortarti sappi che a non stimarlo, non sei l’unico. Ma se al Romano Pontefice la stima non è dovuta, perché se la vuole in tal caso se la deve meritare, l’obbedienza e la fedeltà, quella gli è invece dovuta, perché gliel’abbiamo solennemente promessa. Pertanto, anche se l’uomo Jorge Mario Bergoglio fosse pure uno dei peggiori Pontefici in assoluto della storia della Chiesa, a maggior ragione noi dobbiamo restare saldi nella fede, consapevoli che, se andiamo a scardinare la roccia di Pietro [cf. Mt 13, 16-20], tutta l’intera costruzione crollerebbe. 

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Al Romano Pontefice, nessuno t’impedisce di segnalare in modo rispettoso e filiale, sulla base di prove accertate, i suoi difetti morali e pastorali, dopo avere prima chinato il capo davanti al suo infallibile magistero di verità. Sta’ attento pertanto a non cadere nel tranello in cui caddero Martin Lutero con tutti gli eretici, ossia prendere a pretesto i difetti morali e pastorali, reali ed oggettivi del Sommo Pontefice, per poi accusarlo di eresia e respingere il suo magistero dottrinale.

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Viceversa, gli attuali adulatori e fans del Romano Pontefice, che non credono affatto all’infallibilità pontificia e neppure nell’immutabilità della verità ― tra i quali numerosi teologi, vescovi e cardinali ― hanno la sfacciata impudenza di presentarsi come suoi interpreti, rappresentanti e difensori, ed approfittando della sua negligenza nel reprimere l’eresia, o delle sue oggettive e ormai comprovate carenze di preparazione filosofica, storica dottrinale e teologica, presentano con successo alle folle mondane, tra lo sconcerto dei veri cattolici, il Pontefice regnante come un modernista. Tu rifuggi, giustamente, da questa diabolica ipocrisia, però guardati bene anche dalla prima insidia: rivolgere al Romano Pontefice le stesse accuse che a suo tempo gli rivolse Lutero.

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Il problema centrale della Chiesa di oggi ― e tu lo hai colto ―, è quello di come giudicare il Pontefice regnante e capire quale atteggiamento assumere nei suoi confronti. Al riguardo, la prima cosa da tenere a mente è, come già abbiamo detto, che il Sommo Pontefice Francesco, come ogni suo Predecessore, è maestro infallibile della fede. La sua indegnità umana ― che purtroppo è un doloroso fatto ―, riguarda però solo la sua condotta morale e il governo della Chiesa. Mentre invece tu lo accusi senza mezzi termini di diffondere l’eresia. Ti suggeriamo pertanto di cambiare opinione ed atteggiamento ed entrare in un diverso ordine di idee: il Pontefice regnante è negligente nel reprimere l’eresia. E tu sai bene che questo non è un gioco semantico: un conto, infatti, è diffondere l’eresia, un conto, invece, è non reprimere e non condannare l’eresia. Taluni, dinanzi a queste nostre affermazioni, hanno replicato che l’eresia, diffonderla o non reprimerla, è la stessa cosa. Ci dispiace, ma non lo è, cosa presto spiegabile con un semplice esempio: dal Santo Vangelo e dalle Lettere Apostoliche, possiamo ricavare anche l’invito a cercare di essere degli eroi, ma in nessun passo di queste sacre scritture è sancito l’obbligo ad essere eroi. Tutt’altro, il Beato Apostolo Paolo è chiarissimo nell’affermare:

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«Accogliete tra voi chi è debole nella fede, senza discuterne le esitazioni. Uno crede di poter mangiare di tutto, l’altro invece, che è debole, mangia solo legumi. Colui che mangia non disprezzi chi non mangia; chi non mangia, non giudichi male chi mangia, perché Dio lo ha accolto» [Rm 14, 1-3].

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Ti ricordiamo anche che dal Vangelo e dal dogma risulta chiaramente che un Romano Pontefice non può essere, formaliter, intenzionalmente e volontariamente eretico, perché ciò supporrebbe che Cristo ha mentito quando ha promesso a Pietro la sua assistenza. Invece può capitare ― e di fatto è capitato ― che un Romano Pontefice, materialiter, temporaneamente ed incidentalmente cada nell’eresia, perché, o ingannato, come nel caso di Onorio I nel VII secolo, o perché minacciato, come nel caso di Liberio nel IV secolo, o per imprudenza, come Giovanni XXII nel XIV secolo, oppure per debolezza psichica o forse anche per qualche disturbo mentale; cosa quest’ultima non ancora accaduta nella storia del papato, ma potrebbe anche accadere.

Per quanto riguarda il Pontefice regnante, le accuse che purtroppo si possono a lui rivolgere riteniamo da tempo che siano le seguenti:

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  1. ambiguità di linguaggio;
  1. grave negligenza nella difesa della sana dottrina;
  1. giudizi di lode nei confronti degli eretici;
  1. uso di collaboratori inadeguati e molto pericolosi;
  1. tollerare di essere lodato dai modernisti come modernista senza in alcun modo smentire siffatti e pericoloso laudatori. 

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Se i modernisti imperversano e se fanno da padroni, se i non modernisti sono perseguitati e se il Romano Pontefice è attorniato da collaboratori e da amici eretici, in parte ciò è dovuto al loro potere ed alla loro astuzia, ma soprattutto è dovuto alla sua disonestà ed al suo attaccamento al successo e al potere mondano. Sono questi, secondo noi, i punti sui quali devi battere.

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A noi è purtroppo chiaro in qual modo il Pontefice regnante si sia è cacciato in un terribile guaio, dal quale oggi non riesce a venir fuori, trovandosi infine nella condizione di non poter rispondere dicendo in modo chiaro né si né no. Allora è nostro dovere suggerirgli, come recita il titolo di un romanzo di Ignazio Silone, una Uscita di sicurezza, altrimenti potrebbe rischiare di andare all’Inferno trascinandone molti dietro con sé. E questa uscita di sicurezza è la Beata Vergine Maria Madre della Chiesa, della quale egli si dice devoto.

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Vorremmo quindi suggerirti alcuni spunti per la tua linea di difesa e qualche consiglio per la tua azione.

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Primo punto. Come tu stesso hai riferito al Cardinale Beniamino Stella che ti accusa di aver provocato confusione e smarrimento nella Chiesa, di creare sconcerto, di rompere la comunione ecclesiale e di parlare contro il Pontefice regnante; tutte queste accuse, per essere valide, andrebbero spiegate e motivate. Infatti, se manca la spiegazione delle accuse, esse sono nulle, in quanto mancanti di significato. Siccome si tratta di figure in autorità che pare vogliano imporsi con la forza ― e non solo nel tuo caso ―, tu devi confutarle con la logica o col diritto canonico. Se poi non ascoltano, dovranno renderne conto a Dio ed al suo Popolo Santo. Pertanto devi chiarire in particolare:

  1. Quali sono i due termini della confusione? Si confonde A con B. Che cosa è che confondi? Qual è A e quale è B? Quindi, in che cosa consiste la confusione?
  2. Smarrimento? Che cosa o chi hai fatto smarrire, come e a chi? Che prove hanno?
  3. Hai creato sconcerto? Hai scandalizzato, turbato o sconvolto i buoni princìpi e la pace dei fedeli? Quali? Come?
  4. Hai rotto la comunione ecclesiale? Sei stato ribelle alla Chiesa? Sei scismatico? In che senso?
  5. Hai parlato contro il Pontefice regnante? Lo hai insultato? Con quali insulti? Lo hai diffamato? Hai respinto o falsificato il suo magistero? Quale? Hai disprezzato la sua autorità? In che cosa?

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Perché le accuse siano sensate e valide, devono essere precise, motivate e dimostrate sulla base del diritto canonico o della dottrina della fede o circa atti comprovati da te compiuti nell’esercizio del tuo ministero o circa proposizioni da te sostenute, altrimenti sono calunnie e diffamazioni, o più semplicemente atti di arrogante libero arbitrio in sprezzo a tutti i criteri basilari del diritto ecclesiastico.

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L’accusa generica non colpisce il bersaglio e l’accusato resta illeso. L’accusa infondata è accusa falsa e ingiusta: il fatto non sussiste. E di nuovo l’accusato resta innocente. In tal caso l’accusa è nulla: fa torto all’accusato e si ritorce sull’accusatore, che è tenuto a riparare e a restituire la buona fama sottratta all’accusato.

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Secondo punto. A nostro parere, più che di «neochiesa» o di «falsa Chiesa», faresti bene parlare di ”modernisti”, perché di ciò esattamente si tratta. È roba vecchia, non sono novità ― altrimenti porti davvero acqua al loro mulino ―,  anche se loro si ritengono i profeti dello Spirito Santo, la punta avanzata della Chiesa, per esempio i seguaci di Karl Rahner, Walter Kasper, Gianfranco Ravasi, Frei Betto, Enzo Bianchi, Jacques Dupuis, Vito Mancuso, Pierre Teilhard de Chardin, Leonard Boff o Edward Schillebeeckx. Infatti, benché essi abbiano un concetto falso di Chiesa ― e proprio per questo, non costituiscono affatto una Chiesa, ma un gruppo di potere o sètta ereticale all’interno della Chiesa che sta rovinando la Chiesa ―, essi sì, che sono meritevoli di essere scomunicati. Chiamandoli “modernisti”[1], li qualificheresti con maggior precisione ed esattezza storica, in modo tale da renderli più riconoscibili; in tal modo, la tua critica, sarebbe maggiormente mirata ed efficace. In altri passaggi tu li chiami col nome giusto, perché essi sono effettivamente gli «schiavi del mondo moderno», che non illuminano o correggono, come dovrebbero, alla luce del Vangelo, ma «il mondo moderno è loro dio, al quale sacrificano il Vangelo».

Terzo punto. È necessario che tu distingua nel Pontefice regnante la sua autorità dottrinale o magisteriale dalla sua attività pastorale e dal suo governo della Chiesa. Nel primo campo, egli non può sbagliare. Semmai occorre fare di certe sue affermazioni un’interpretazione benevola, perché capita effettivamente che esse siano ambigue: possono andar soggette o a un senso ortodosso o a un senso eterodosso. Per esempio certe affermazioni del capitolo VIII° dell’Amoris laetitia sembrano influenzate o dallo storicismo o dall’etica della situazione, ma ad uno sguardo più attento ci si può accorgere che esse sono dottrinalmente corrette, benché ambigue. Semmai l’appunto che si può fare al Pontefice regnante è quello della mancanza di chiarezza circa la questione se i divorziati risposati possono o non possono, in certi casi, essere ammessi ai Sacramenti.

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Errore del Pontefice regnante è sicuramente quello di sottrarsi alle sue responsabilità, ossia alle interpellanze, se non altro per respingerle, specie considerando ch’esse salgono sempre più numerose ― alcune molto autorevoli ― dal Popolo di Dio, lasciando ad altri le risposte più o meno autorevoli o discutibili, o permettere che alle domande rivolte a lui rispondano i modernisti diffondendo interpretazioni false, cosa questa di estrema gravità. Così facendo egli dà l’impressione di essere sfuggente o di non essere padrone della materia da lui trattata, o detta brutalmente in altri termini: di essere un ignorante. Tuttavia, tieni presente – come abbiamo dimostrato ampiamente in questi ultimi due anni su L’Isola di Patmos – che di per sé il Sommo Pontefice, in forza del potere delle chiavi, ha la facoltà di mutare la disciplina vigente circa la questione dell’eventuale concessione dei Sacramenti ai divorziati risposati in casi speciali. Quello che giustamente fai notare tu, è che egli non ha ancora chiarito se concede o non concede il permesso. Quindi per adesso vale la legislazione attuale, che è quella contenuta al n. 84 della Familiaris consortio del Santo Pontefice Giovanni Paolo II.

Quarto punto. È invece lecito far notare al Pontefice regnante alcuni suoi gravi errori morali e pastorali, per esempio egli:

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  1. Parla di Cristo, ma non ricorda e trascura il suo ufficio di Vicario di Cristo;
  2. parla della confidenza in Dio, ma non parla del timor di Dio;
  3. parla della fede, ma non chiarisce che la fede è conoscenza intellettuale della verità e che solo nella Chiesa cattolica c’è la pienezza della verità;
  4. parla della verità di fede, ma non parla dell’immutabilità del dogma;
  5. parla del peccato, ma non parla mai del peccato di eresia;
  6. parla della fede e non parla della ragione;
  7. parla della carità, ma non chiarisce che la carità dipende dalla verità;
  8. parla della carità verso il prossimo, ma non parla della superiore carità verso Dio;
  9. parla del dovere della carità fraterna, ma non parla mai del merito delle buone opere;
  10. parla del dovere di fare la volontà di Dio, ma non dice mai che la legge morale naturale è immutabile;
  11. scomunica i mafiosi, ma non scomunica i modernisti;
  12. condanna l’aborto, ma è tenero con gli abortisti;
  13. esalta il matrimonio, ma non rimprovera le coppie adulterine;
  14. parla delle coppie adulterine, ma non dice che devono interrompere il loro rapporto;
  15. parla delle famiglie ferite, ma non parla delle famiglie feritrici e scandalose;
  16. parla del rispetto dovuto agli omosessuali, ma non condanna il peccato di sodomia;
  17. dice che tutti sono chiamati ad essere figli di Dio, ma non dice che solo chi crede in Cristo ed è in grazia è figlio di Dio;
  18. parla della salvezza, ma non parla della visione beatifica;
  19. parla del peccato, ma non dice che fa perdere la grazia;
  20. parla del peccato, ma non dice che merita il castigo;
  21. parla della natura come fosse solo destinata ad essere utilizzata dall’uomo e trascura di parlare dell’ostilità della natura punitrice del peccato;
  22. parla della dignità umana, ma non chiarisce come e perchè essa è corrotta dal peccato originale, da cui la necessità della legge, dell’ordine giuridico e giudiziario, dell’ascetica, della disciplina e della giusta coercizione;
  23. parla del Battesimo, ma non dice che la colpa originale è stato un fatto storico e che la colpa originale si trasmette per generazione;
  24. parla dell’Eucaristia, ma non parla della transustanziazione;
  25. parla del Sacerdozio, ma non dice che comporta l’offerta del sacrificio;
  26. raccomanda che il Confessionale non sia una ”sala di tortura”, ma non ricorda che esistono condizioni nelle quali certi fedeli non possono essere assolti;
  27. parla della collegialità episcopale, ma non denuncia i vescovi che disobbediscono al Papa o al magistero della Chiesa;
  28. parla dei santi del Paradiso e trascura di parlare dei dannati dell’Inferno;
  29. parla della Chiesa accogliente, ma non parla della Chiesa militante;
  30. dice che la Chiesa è aperta a tutti, ma non dice che deve scomunicare i ribelli, senza confonderli con i profeti;
  31. parla delle persecuzioni nel mondo, ma non parla delle persecuzioni intra-ecclesiali;
  32. deplora i terroristi, ma non dice che molti di loro sono ispirati dal Corano;
  33. dice che la Chiesa è al servizio del mondo, ma non dice che la Chiesa non è serva del mondo e che trascende il mondo;
  34. parla del dialogo col mondo, ma non parla dello scontro e della vittoria sul mondo;
  35. parla della diversità delle religioni, ma trascura di parlare del primato del Cristianesimo sulle altre religioni;
  36. parla della conversione, ma non dice che i non-credenti e gli eretici si devono convertire;
  37. dice che occorre rispettare l’altro, ma non dice che occorre guardarsi dagli eretici;
  38. dice che dobbiamo ascoltare l’altro, ma non dice che dobbiamo correggere e convertire gli increduli e i non-credenti;
  39. parla del dovere di soccorrere i sofferenti, ma trascura di parlare del valore espiativo e soddisfattorio della sofferenza;
  40. dice che Dio è misericordioso con i pentiti, ma trascura di parlare del castigo dei malvagi;
  41. parla delle opere della misericordia materiale, ma non della maggiore importanza di quelle della misericordia spirituale;
  42. condanna la violenza, ma non parla del giusto uso della forza;
  43. condanna la guerra ingiusta, lasciando sottintendere che per lui ogni guerra è ingiusta, perché ogni guerra è motivata solo da interessi economici o di potere, e non può essere fatta in nome di Dio o per volere divino;
  44. predica la misericordia per gli oppressi, ma non dice che gli oppressori andranno all’Inferno.

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Caro Confratello, ti siamo vicini nella tua prova, ma ti preghiamo proprio per questo di interrogarti se per caso non hai dato svariate occasioni alla tempesta che si è scatenata contro di te e su di te.

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Per quanto sia facile a dirsi e più difficile invece a farsi, ti esortiamo a sopportare nella pace, unito a Gesù Cristo e alla Vergine  Maria, come siamo certi che starai facendo, ed offrendo per il bene tuo e delle anime le tue sofferenze. Piacendo alla Chiesa tu potrai continuare a svolgere la tua missione sacerdotale, nell’attesa che si faccia giustizia. Così potrai mettere a nuovo e più ricco frutto i doni di mente e di cuore che Dio ti ha dato.

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Ricordiamoci a vicenda nella preghiera.

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dall’Isola di Patmos, 16 gennaio 2018

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NOTE

[1] I modernisti di oggi, per chi conosce la storia delle eresie, sono tutt’altro che moderni, perché sono la riesumazione, con un nuovo maquillage ed un opportuno deodorante, del modernismo condannato dal Santo Pontefice Pio X. Essi amano coprirsi con l’onesto aggettivo di “progressista”, ma in realtà essi sono dei falsari dell’autentico  progresso  ecclesiale.

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CARI LETTORI, VI PREGHIAMO CON SOLLECITUDINE DI PRENDERE VISIONE DI QUESTO NOSTRO SCRITTO, QUI

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La pornostar Ilona Staller, in arte Cicciolina, sarà insignita del Pontificio Ordine Supremo del Cristo

LA PORNOSTAR  ILONA STALLER, IN ARTE CICCIOLINA, SARÀ  INSIGNITA DEL PONTIFICIO ORDINE SUPREMO DEL CRISTO

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Cicciolina è una grande donna i cui plurimi meriti, radicati nel suo fondo più profondo, in questa Chiesa ormai allo sbando e ondeggiante tra il teatrino del tragico e la commedia comica d’avanspettacolo, spinge tutti quanti Più su sempre più su.

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Autore
Ipazia gatta romana

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«Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi», ma purtroppo, anche la verità ha dei costi di gestione e di diffusione con i quali tutti hanno dovuto fare i conti, dai pastori in cura d’anime ai missionari evangelizzatori

«CONOSCERE LA VERITÀ E LA VERITÀ VI FARÀ LIBERI», MA PURTROPPO, ANCHE LA VERITÀ HA DEI COSTI DI GESTIONE E DI DIFFUSIONE CON I QUALI TUTTI HANNO DOVUTO FARE I CONTI, DAI PASTORI IN CURA D’ANIME AI MISSIONARI EVANGELIZZATORI 

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I Vangeli narrano che gli Apostoli lasciarono i loro lavori, le loro case e le loro famiglie per seguire il Verbo di Dio fatto uomo, Cristo Signore. Ma i Vangeli e le Lettere Apostoliche narrano anche che gli Apostoli, per il loro vitale sostentamento necessario alla loro opera di evangelizzazione, erano sostenuti da generosi benefattori e benefattrici.

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Autori
Giovanni Cavalcoli, O.P – Ariel S. Levi di Gualdo

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«I presbìteri che tengono bene la presidenza siano reputati degni di doppio onore, specialmente quelli che si affaticano nella predicazione e nell’insegnamento; infatti la Scrittura dice: “Non mettere la museruola al bue che trebbia”; e ancora: “L’operaio è degno del suo salario”» [I Tm 5, 17-18] 

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Cari Lettori,

la disponibilità oggi sul conto de L’Isola di Patmos

anche quest’anno vi rivolgiamo un appello con piacere, timore e preoccupazione, spiegandovi i motivi di questo nostro sentire.

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Il piacere, da intendersi come comprensibile soddisfazione, è dato dal fatto che L’Isola di Patmos è tra le prime dieci riviste telematiche cattoliche più visitate in Europa. Abbiamo iniziato quest’anno 2018 lasciandoci alle spalle un anno che si è concluso il 31 dicembre 2017 con un numero pari a 8.230.271 visite. Il numero totale, dal 20 ottobre 2014, data di apertura de L’Isola di Patmos, è pari oggi ad un totale di 17.077.789 visite.

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La nostra webmaster e curatrice del sito ci ha spiegato che il numero effettivo è molto superiore ai diciassette milioni di visite totalizzate in tre anni, con la punta massima in crescendo raggiunta nell’anno 2017. Il contatore interno rileva infatti solo la rete di collegamento, ma ad una singola rete possono talvolta essere collegati decine di computer diversi, come dalla rete di un’abitazione domestica possono essere collegati più computer. Per questo ella ci ha fatto presente che le visite effettive sono pari perlomeno al triplo.

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Il timore, è dato dal fatto che L’Isola di Patmos, come più volte vi abbiamo precisato, si sostiene unicamente con le offerte dei propri Lettori. E ciò che noi proviamo ogni volta che siamo costretti a chiedere il vostro aiuto, è un senso di timore misto ad un senso di umano pudore tipico di coloro che, come noi, sono abituati a dare, non però a chiedere.

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La preoccupazione, è invece dovuta al comprensibile sentimento umano che ci porta a temere di non riuscire a farcela, perché di pari passo col soddisfacente aumento delle visite ― che nei nostri ormai oltre tre anni di vita non hanno mai conosciuto flessione ma solo continua crescita ― crescono purtroppo di pari passo anche le spese di gestione che dobbiamo sostenere.

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Se sino allo scorso anno abbiamo affrontato spese di gestione per 5.200 euro, a partire da quest’anno le spese sono lievitate a 8.000 euro. La voce maggiore di spesa per il 2018 sarà il server, il costo del quale si aggira attorno ai 4.000 euro. La mole crescente di visite ci obbliga infatti a passare dall’attuale servizio ad “accessi illimitati”, il cui costo totale è di 1.200 euro all’anno, ad un server autonomo, il cui costo è di quasi il quadruplo. Purtroppo, gli “accessi illimitati”, hanno a loro modo un limite, come infatti avrete notato più volte è accaduto che anziché aprirsi la pagina de L’Isola di Patmos è comparso l’avviso «errore 503», con la sottostante scritta in inglese che indicava il sito momentaneamente bloccato, cosa dovuta all’alto numero di visite.

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Nel corso del mese di gennaio speriamo di riuscire a raccogliere l’importo necessario per le spese di gestione dell’anno 2018, altrimenti … cominceremo ad avere qualche serio problema.

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Come molti lettori avranno notato, il Padre Ariel ha inserito nella pagina de L’Isola di Patmos il Libro delle Sante Messe [vedere QUI]. Se aprite il Calendario-Agenda delle Sante Messe [vedere QUI], troverete riportato alla fine dell’anno 2017 il conto delle offerte pervenute, interamente destinate dal Padre Ariel alle spese di gestione de L’Isola di Patmos, benché l’offerta per la Santa Messa, detta anche stipendium, è personale del sacerdote e destinata di per sé al suo sostentamento.

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Nel corso dell’anno 2017 abbiamo ricevuto offerte da parte dei Lettori, che ringraziamo con profonda riconoscenza. Alcuni hanno sottoscritto a nostro sostegno un versamento mensile tramite Paypal, anche a tutti loro siamo profondamente grati.

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Assieme alla nostra gratitudine, dobbiamo però informarvi che siamo giunti agli inizi di questo nuovo anno con un fondo deposito sul nostro conto di 728,17 Euro, a fronte di una spesa da affrontare di circa 8.000 Euro.

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Come ogni anno ci appelliamo alla vostra generosità, invitando i Lettori più affezionati e volenterosi a voler sottoscrivere anche una piccola donazione mensile per l’anno 2018.

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Se la nostra opera apostolica è opera di Dio, gradita a Dio per il servizio della sua Santa Chiesa che naviga oggi nella tempesta; se la nostra opera è improntata veramente sul giovanneo principio ispiratore «Conoscete la verità e la verità vi farà liberi» [Gv 8,32] anche quest’anno riusciremo a risolvere il problema ed a far fronte alle spese. Se invece non dovessimo riuscirci, in tal caso vuol dire che abbiamo sbagliato in qualche cosa, o forse anche in più cose. Sarà quindi per noi una santa lezione di fede la provvidenza, come altrettanto sarà una santa lezione di fede la eventuale mancanza di provvidenza, perché evidentemente non meritata.

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Vi ringraziamo rinnovandovi l’augurio di un felice inizio di anno 2018 nella grazia di Dio Padre e sotto l’intercessione della Beata Vergine Maria Madre della Chiesa.

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da L’isola di Patmos, 12 gennaio 2018

 

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

Da tutte le valli risuonano appelli al Santo Padre Francesco: «Come la Chiesa finì», il nuovo libro di Aldo Maria Valli

DA TUTTE LE VALLI RISUONANO APPELLI AL SANTO PADRE FRANCESCO: «COME LA CHIESA FINÌ», IL NUOVO LIBRO DI ALDO MARIA VALLI

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Pare che in un recente drammatico colloquio a quattrocchi, un Cardinale abbia detto a chiare lettere al Santo Padre: «tu stai sfasciando la Chiesa!». Se questo fosse realmente accaduto come si narra, il Santo Padre, dopo un momento di sdegno, si spera abbia avuto modo di riflettere, per invocare dallo Spirito Santo quella saggezza e quella forza che lo renderà capace di far avanzare la Chiesa verso il Regno.

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Autore
Giovanni Cavalcoli, O.P.

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PDF  articolo formato stampa

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Mi percuota il giusto e il fedele mi rimproveri; ma l’olio dell’empio non unga il mio capo [Sal 141,5]                

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il vaticanista del TG1 Aldo Maria Valli, autore del libro Come la Chiesa finì – vedere QUI

Aldo Maria Valli, celebre giornalista del TG1 e amico dei Padri de L’Isola di Patmos, è molto noto ai cattolici italiani amanti della Chiesa e del Papa per la sua schietta e coraggiosa professione di fede, cosa rara nei pubblicisti di oggi; ma sebbene pochi, alcuni si salvano. Valendosi della libertà di opinione e di quella parresia, che lo stesso Pontefice regnante sollecita, anche tra i laici, il suo amore per il Papa non gli impedisce di esprimergli le sue difficoltà e le sue sofferenze, nonché di fargli delle rispettose critiche e di suggerirgli sommessamente rimedi o correzioni in quel campo della sua azione, che non tocca il magistero dottrinale, ma la sua condotta morale e il suo modo di governare la Chiesa.

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È così che egli ha pubblicato per le Edizioni Liberilibri di Macerata un agile libretto, dove ancora una volta egli mostra le sue doti di scrittore per il grande pubblico, capace di trattare con competenza, semplicità e chiarezza delicati temi e problemi di morale e della vita della Chiesa.

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Mi pare che il suo stile, i suoi interessi e il suo argomentare rendano Valli in qualche modo simile agli illuministi settecenteschi, ma con la grossa differenza che, mentre le critiche di questi alla Chiesa e al Papa erano distruttive e velenose, quelle di Valli, basate come sono sulla sua fede cattolica, per quanto severe, sono costruttive e benefiche. Per questo mi verrebbe voglia di definirlo come un ”illuminista cattolico”.

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Gli illuministi del Settecento erano dei sofisti saccenti e presuntuosi, con un linguaggio sarcastico, volgare, pettegolo ed oltraggioso. Valli si esprime invece con una fine ironia inoffensiva, tanto che ad ogni periodo del suo scritto  è impossibile trattenere una risata. Ma sia chiaro: Valli non prende in giro nessuno e non è un burlone: il suo è un nobile intento riformatore ed educativo in capite et in membris. È il classico castigat ridendo mores sulle orme di Giovenale, prezioso genere letterario che sorse nella classicità latina, ma che è raro nella letteratura cattolica. Valli lo recupera con tutta la signorilità che gli è caratterialmente propria. Il suo pamphlet sembra il racconto di un buon ragazzo, cristianamente educato, il quale, trovandosi in una chiassosa riunione di adulti che si stanno accapigliando tra di loro, mentre il presidente agitato non riesce a mantenere l’ordine, ingenuamente manifesta con semplicità e col suo buon senso, in base a quanto ha imparato dai suoi maestri dell’oratorio, cosa dovrebbero fare per creare l’accordo fra di loro, fiducioso di essere ascoltato.

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Valli conia egli stesso un termine apposito ― non l’ho trovato neppure nel vocabolario ―, chiamando questo suo racconto simbolico-parenetico “distopico”, ossia, se ben capisco non banalmente e offensivamente “fuori luogo”, come potrebbe apparire ad alcuni sedicenti “amici” del Papa, ma “al di fuori del luogo (topos) centrale”, un po’ come si parla della sede “dislocata” o di un distaccamento o una succursale di un’azienda industriale: non è la sede principale, anche se ha rapporto con essa e rimanda ad essa.

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Perché Valli è ricorso a questo curioso espediente? Per una forma, credo di poter dire, di modestia, per non sembrare un saccente od un ficcanaso irriguardoso, benchè in ciò che dice vi sia la franchezza e il coraggio di chi sa quello che dice e lo dice per amore e non per altro. Valli guarda da un altro luogo, ma da quello sa vedere bene. Non s’intromette, ma partecipa.

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Un’altra chiave di lettura del ”racconto” è data, secondo me, dal fatto che in realtà, sotto il velo letterario del racconto che sa di favola o di apologo, non c’è un vero racconto, ma c’è l’accorata apertura d’animo di un fedele figlio della Chiesa al proprio Padre in Cristo e Fratello nella fede, il Papa, per esortarlo a compiere bene il suo dovere, dovere che il Papa conosce meglio di lui, per cui da tutto lo stile pacato e bonario dello scritto, traspare la ferma convinzione dell’Autore, basata sulla fede nel carisma del Destinatario, che egli lo ascolterà, considerando le terribili catastrofiche conseguenze, ossia nientemeno che la fine della Chiesa ― e qui l’Autore si compiace evidentemente del paradosso ―, alle quali porterebbe il suo comportamento di eccessiva preoccupazione di non dispiacere al mondo e di ottenerne il plauso, a scapito di una fedele sequela di Cristo.

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Si potrà anche non essere d’accordo, ma l’accusa velata di fondo che l’Autore fa al Papa Francesco, ed attorno alla quale gira tutto il racconto, è svolta con chiarezza e coerenza e, a mio modo di vedere, con fondatezza e plausibilità, ed è la tendenza eccessiva del Papa ad avvicinare mondo e Chiesa tra di loro, quindi  l’attaccamento al mondo e a se stesso, il che appare come la chiave ermeneutica per spiegare una serie di difetti di Papa Francesco, dei quali peraltro egli non può non essere consapevole e che egli stesso, probabilmente, potrebbe desiderare di correggere, benché frenato e lusingato da indegni ed incapaci collaboratori, che con i loro maneggi finiscono per danneggiarlo anziché aiutarlo.

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Papa Francesco, per le sue peculiari qualità umane e per la sua eccezionale e simpatica comunicativa ― fa capire Valli ― è indubbiamente molto gradito al mondo. Ma dovrebbe chiedersi che cosa vale in fin dei conti tale successo; dovrebbe chiedersi se il successo dipende dal fatto che sa attirare le folle a Cristo o solo a se stesso? Cristo gli interessa più delle folle? Cerca le folle per condurle a Cristo o Cristo è il mezzo per comunicare con le folle? Cristo gli basta o ha bisogno anche del successo nel mondo? Se Cristo gli basta, perché si preoccupa tanto di non ricevere critiche dal mondo, come capitava ai Pontefici precedenti? Come mai il mondo gli è così favorevole? Si sta forse convertendo, il mondo, a Cristo? Stando ai fatti non parrebbe proprio, anzi sembra che il mondo sia sempre lo stesso, se non peggio. E allora? Come mai i tradizionali nemici della Chiesa oggi lodano il Papa? Non pare che essi abbiano rinunciato ai loro errori, anzi tutt’altro. Nel contempo egli suscita perplessità e scandalo nella Chiesa. Certo ha il consenso dei modernisti; ma costoro sono falsi cattolici e falsi amici. Il Santo Padre Francesco sa parlare di Cristo alle folle? Quali sono gli effetti dei suoi incontri con le folle? C’è chi si avvicina a Cristo? Voler rendersi graditi al mondo in sé non è male, purché ciò non sia al prezzo di rendersi sgraditi a Cristo. Si aggiunga alla situazione personale di Papa Francesco il nefando e diabolico progetto massonico, oggi fatto proprio dagli ambienti dell’ONU, di una religione unica ed universale meta-cristiana, sincretistica e razionale, senza soprannaturale e senza dogmi rivelati, obbligatoria per tutti, che raccolga al livello paritario tutte le religioni nei loro elementi comuni, senza gerarchizzazioni, con il rifiuto a priori di una religione eccellente sulle altre.

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Tutto ciò non è un incubo notturno, o una fantasia morbosa e pre-conciliare di Valli, ma è un preciso disegno già a suo tempo elaborato da Emanuele Kant [1] e fatto proprio da teologi cattolici come Edward Schillebeeckx, Karl Rahner, Jacques Dupuis e Timothy Radcliffe.

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La de-costruzione della Chiesa

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Valli immagina di porsi in un futuro nel quale la Chiesa, per una cattiva interpretazione del rinnovamento e dell’ammodernamento promossi dal Concilio Vaticano II, avrà condotto, sotto la pressione della massoneria, alle estreme conseguenze l’attuale processo modernistico di «auto-demolizione», come lo chiamava il Beato Paolo VI, quindi di soppressione dell’identità propria della Chiesa, in direzione di una piena  sua omologazione al mondo, sotto il pretesto del «dialogo col mondo» e dell’ «immersione nel mondo». La Chiesa annega nel mondo.

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Come paradigma di questa operazione dissolvente, Valli avrebbe avuto a disposizione diversi progetti ereticali, come per esempio quello di Rahner o quello di Schillebeeckx o lo storicismo relativista di Kasper o il progetto della teologia della liberazione o il teilhardismo o la “religione globale” inventata dalla massoneria. Invece sceglie un autore, del quale oggi nessuno parla, noto solo agli eresiologi: il progetto di Marcione, eretico del II secolo. Ma Valli, con fine intùito, ha colto l’enorme attualità di questo abile seduttore, ed immagina che nella futura Chiesa mondana e modernista avverrà la riabilitazione di Marcione [cf. pagg. 99-102]. Naturalmente ciò avverrà ― vuol dire Valli ― non a livello ufficiale, perché la Chiesa non potrà mai approvare un eretico, tuttavia il Papa lascerà che questa eresia si diffonda, trascurando di confutarla e di proteggere i fedeli. Sta qui la gravissima negligenza pastorale di questo Sommo Pontefice, in contrasto in ciò coi suoi Predecessori. Questo è ciò che Valli vuol dirci: pur essendo il Sommo Pontefice esente da eresia, né diversamente potrebbe essere, tuttavia lascia che il lupo faccia strage del gregge e non si cura di guarire i mali dell’intelligenza cristiana, dell’intellectus fidei.

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Ma in che cosa consiste il marcionismo, oggi rivivo nella teologia di Rahner? Lo espone Valli in 13 tesi, simili ai canoni di un concilio maledetto [cf. pagg. 101-102]. In sintesi: il Dio buono e misericordioso, il vero Dio, è il Dio del Vangelo, in contrasto col Dio punitore e crudele dell’Antico Testamento. Il Dio cristiano, al contrario del Dio truce ebraico ― continua Marcione ― è il Dio che ci accoglie e che ci approva in tutto quello che facciamo e che ci permette di godere à gogo di questo mondo, perché il mondo è buono, nella certezza di essere sempre e comunque perdonati, senza condizioni, anche se non siamo pentiti, giacché in fondo in fondo, molto in fondo ― «nell’esperienza atematica, ineffabile e trascendentale» ―, tutti siamo buoni. Il peccato non è quella tragedia cosmica colpevolizzante inventata dall’Antico Testamento col mito del cosiddetto ”peccato originale”, mito crudele, pessimista ed offensivo della dignità e della libertà umane. Il peccato, ammesso che esista, come dice saggiamente Teilhard de Chardin, non è che un inevitabile e normale incidente di percorso nell’inarrestabile ascendente evoluzione cosmica verso il Cristo cosmico, il quale non attua alcuna ”riparazione” o ”soddisfazione” a Dio per il peccato, ma Cristo è semplicemente il modello supremo dell’evoluzione dell’umanità fino al punto Omega.

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La Chiesa è la Lumen gentium.   

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Ora però, ci lascia comprendere Valli, le cose non stanno affatto così. Cristo non è semplicemente un santone tra gli altri. Il marcionismo-rahnerismo è un droga che addormenta la coscienza e, come diceva il Catechismo di San Pio X, ci illude di poterci salvare senza merito. La vera Chiesa, quella che non finirà, è tutt’altra cosa ed è mostrata dalla dottrina del Concilio Vaticano II. Così il libro di Valli potrebbe altrettanto bene intitolarsi “Come la Chiesa deve ricominciare”, tanto con chiarezza si intravvede, tra le righe della sua finissima ironia, il suo grande amore per la Chiesa, logicamente accompagnato dal dolore e dallo sconcerto, così come quando si ama una persona, non si può non essere addolorati per i suoi mali. Ma nel caso della Chiesa, sappiamo che essa ha la forza di vincere il potere delle tenebre. Infatti, uno dei grandi documenti del Concilio Vaticano II, è la sua Costituzione Dogmatica ― il che vuol dire dottrina infallibile ― sulla Chiesa Lumen Gentium, voluta dal Beato Paolo VI, per cui a quel punto gli insegnamenti del Concilio, fino ad allora solo pastorali per volontà di San Giovanni XXIII, acquistarono anche un aspetto dogmatico. Questo è il punto di riferimento di Valli. Chi non ha capito questo, allora del suo libro non ha capito nulla.

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«Il Concilio», dice l’esordio della Lumen Gentium [cf. n. 1] «ardentemente desidera che la luce di Cristo, splendente sul volto della Chiesa, illumini tutti gli uomini, annunziando il Vangelo ad ogni creatura». Ed è la certezza che Valli ha di questo indefettibile compito della Chiesa, che ne fonda l’esistenza per l’eternità, che gli consente paradossalmente di parlare di una Chiesa che “finisce”, quasi a sfidare e a prendersi gioco di quel potere satanico, oggi incarnato dalla massoneria, che egli è certo che sarà sconfitto. Ma questo potere, nel quale Satana è maestro, non è altro che quello del mondo, o meglio di «questo mondo», di cui Satana è il «principe» [cf. Gv 12,31; 14,30; 16,11]. Infatti, secondo la Scrittura, non è il mondo come tale che è cattivo, tutt’altro; esso è immensamente buono, in quanto creato da Dio; e se non fosse tale, quindi amabile, Gesù non avrebbe detto: «Dio ha tanto amato il mondo, da dare il suo Figlio Unigenito» [Gv 3,16]. Invece è cattivo, questo mondo, in quanto schiavo del peccato, della morte e di Satana. In tal senso Giovanni ci comanda di «non amare il mondo» [I Gv 2,16]. È questo il mondo, del quale il cristiano non può essere amico [cf. Gc 4,4], mondo dal quale è odiato [cf. I Gv 3,13], perché egli non gli appartiene, mentre sarebbe da esso amato, se gli appartenesse [cf. Gv 15,19] e da esso si lasciasse ingannare, se cedesse alle sue attrattive, alle sue lusinghe e alle sue seduzioni o si spaventasse per le sue minacce. Questo mondo dev’essere fuggito [cf. II Pt 2,20], combattuto [cf. I Tm 6,12] e vinto [cf. Gv 16,33]. E proprio in vista di essere luce e salvatori del mondo. La “fine del mondo”, quindi, non è altro che la fine di questo mondo. Ma il mondo vero e sano è destinato a risorgere e a vivere per l’eternità.

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Chiesa e mondo

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Per questo il n. 40 della Gaudium et spes [2], che parla di una «Mutua relazione fra Chiesa e mondo» ― dobbiamo dirlo con franchezza e cognizione di causa ― è un discorso monco e ingannevole, perché sembra che Chiesa e mondo siano come le due parti dell’umanità, allo stesso livello, con reciproche qualità, chiamate solamente a dialogare e a collaborare tranquillamente tra di loro per il bene della stessa umanità. Questa visione, spinta alle estreme conseguenze, porta alla identificazione della Chiesa col mondo, che è la concezione sciagurata del modernismo [3]. Purtroppo il Concilio trascura nel suddetto capitolo ― e solo qui in tutto il Concilio, sia chiaro ― di parlare della corruzione del mondo, della trascendenza della Chiesa nei confronti del mondo, della superiorità del suo fine rispetto a quello del mondo, del potere e del dovere che la Chiesa ha di essere luce e salvezza del mondo, nonché della sua capacità di donare al mondo una pace che il mondo non può dare. Dimentica, insomma, la Lumen Gentium. Questa è stata la fessura dalla quale è penetrato il ”fumo di Satana”, ossia sono sorti quel deleterio secolarismo e quella progressiva perdita del senso del sacro e del Trascendente, che sono all’origine del fascinoso, disastroso e devastante modernismo che, sotto pretesto del progresso e della riforma, sta scuotendo la Chiesa dalle fondamenta. In tal modo la Chiesa non è più al servizio di Dio, ma servizio del mondo, perché un al di là di questo mondo non esiste. Il potere che interessa non è quello spirituale, della carità, ma quello mondano, l’affermazione di sé nel mondo.

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Così, all’Eterno, si è sostituita la Storia, alla contemplazione si è sostituita l’azione; alla liturgia la festa della comunità; la religione si è trasformata in politica, la spiritualità in psicologia, la morale in sociologia. È scomparsa la carità verso Dio ed è rimasto uno scipito, arbitrario e non meglio precisato “amore del prossimo”, il quale, essendo privo del riferimento a Dio, pecca o per eccesso o per difetto, mentre il mondo ultraterreno del divino è scomparso e l’unico mondo è questo mondo. Non più il timore di Dio, ma il timore degli uomini. Quel che interessa non è più la gloria che viene da Dio, ma quella che viene dal mondo. Non più il successo presso i buoni, ma il successo mondano. Il sacro è stato profanato e il profano è stato sacralizzato. Il dialogo ― spesso ipocrita e inconcludente ― è stato assolutizzato e messo al posto dell’affermazione della verità, mentre la legge morale perde la sua assolutezza e viene relativizzata.

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Come già osservava Jacques Maritain nel 1966 in Le paysan de la Garonne: «ci si è messi in ginocchio davanti al mondo». Si vive sotto il terrore di essere “superati”. Ed è sorto l’idolo del “mondo moderno”, un nuovo dio, al quale Satana vuole che ci prostriamo. Il nuovo diventa buono per il semplice fatto di essere nuovo; il tradizionale, il perenne, il voler conservare il buono ed esser fedeli ad esso è fondamentalismo maledetto. Per i modernisti conservare il Vangelo è conservatorismo, mentre essi tengono più che mai a conservare il proprio lauto conto in banca. Oggi, il modernismo, in gran forze e più spavaldo che mai, dopo un’indefessa scalata durata mezzo secolo, è ormai giunto alle soglie stesse della Sede di Pietro. Gli manca solo un passo ― così esso crede ― per instaurare un papato modernista e far finire così la Chiesa. Ma Valli giustamente ha i suoi dubbi che ciò possa mai avvenire.

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Che la Chiesa oggi sia tranquilla ― si se esclude un gruppuscolo di disturbatori ― ed anzi non sia mai andata così bene come oggi, come opinava il Cardinale Carlo Maria Martini, è l’illusione dei modernisti, che hanno in mano larghe fette del potere. Infatti è appunto illusione tipica di chi detiene il potere, credere che le cose vanno bene, perché vanno  come vuole lui, almeno finché dura. A questo punto si pone la necessità di una vera riforma della Curia Romana. Il Papa, agli occhi dei modernisti, passa per essere un grande Papa riformatore, ma la sua idea di riforma non sembra chiara: è ancora quella del 1968, quando si gridava «evviva il  cambiamento»,  «abbasso la conservazione!». Ma oggi, dopo cinquantanni di cambiamenti spesso scriteriati, le persone sagge sentono il bisogno di recuperare tanti valori non negoziabili stoltamente abbandonati. Quindi la riforma oggi ― la vera riforma conciliare ― si impone come recupero di questi valori. E invece, purtroppo, il Papa insiste in questa mentalità sessantottina.

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Ai modernisti, naturalmente, non pare il vero; e allora si sono gettati a pesce su questo Papa per convincerlo a creare un papato modernista-luterano-massone, che nulla ha a che vedere con la riforma conciliare, se non per il possibile aggancio all’infelice n. 40 di Gaudium et spes poco prima richiamato tra queste righe. Il Papa, infatti, avrebbe dovuto correggere il trend utopistico e troppo ottimista di quel capitolo, mentre invece, purtroppo, ne esagera la portata, e ciò spiega la sua tendenza mondana, che giustamente Valli gli rimprovera nel  suo libro.

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Nel suo recente discorso alla Curia Romana, il Papa ha deprecato la formazione di complotti. Ebbene, è questo di cui sopra il complotto, del quale pare che il Papa non sappia. È il tentativo diabolico di secolarizzare, decurtare, rimpicciolire, profanare, svuotare e dissacrare la Chiesa al fine di ridurla alle misere misure del mondo, sul tipo di Amnesty International o Green Peace o dei Boy Scouts. È questo il complotto dal quale il Papa dovrebbe guardarsi per proteggere se stesso e la Chiesa da queste trame di Satana. Il pericolo vero, per la Curia Romana, per il Papa e per la Chiesa; il vero ”cancro”, i veri ”traditori” e gli ”infedeli”, diciamo pure gli eretici e gli apostati, non sono tanto i rumorosi e irrequieti lefebvriani e tanto meno i conservatori, che devono collaborare con i progressisti; il pericolo sono i modernisti, che sono la longa manus della massoneria, dei comunisti e dei luterani all’interno della Chiesa e della Curia Romana.

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Pasce oves meas

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Il dovere di accogliere i valori del mondo non dev’essere pretesto per mondanizzare la Chiesa; Il dovere di essere moderni non dev’essere un pretesto per favorire il modernismo; il dovere di favorire il progresso non dev’essere pretesto per offendere i conservatori; il dovere di evitare il conservatorismo, la rigidità e la stagnazione non dev’essere pretesto per denigrare chi vuol essere fedele alla verità immutabile e all’assolutezza della legge morale; il dovere dell’accoglienza non può scompagnarsi dal distinguere chi la merita da chi non la merita: un conto è accogliere in casa un bisognoso e un conto è accogliere un ladro. Il dovere di apprezzare il diverso non dev’essere pretesto per non correggere l’eretico. Il rispetto per le altre religioni, non esime dal dovere di correggere i loro errori. Il dovere di soccorrere la miseria materiale, non deve far dimenticare il più importante dovere di curare le malattie dello spirito. Con i miseri, gli umili e i pentiti si dev’essere misericordiosi, ma con i furbi, gli ostinati e gli arroganti si dev’essere severi. Il dovere di praticare l’ecumenismo non dev’essere un pretesto per favorire il sincretismo, il relativismo e l’indifferentismo. Il dovere di apprezzare il pluralismo non dev’essere pretesto per trascurare l’unità e l’universalità ― katholikòs ― della fede. Il dovere di procurarsi collaboratori fedeli deve accompagnarsi al discernimento tra quelli sinceri e gli impostori e adulatori.

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Eppure il Papa conosce il suo dovere. È solo attratto dalla vertigine del successo e del potere. Bisogna allora che glielo ricordiamo e gli diciamo: sic transit gloria mundi! “Passa la scena di questo mondo!” [I Cor 7,31]. Ravvèditi e metti in opera i talenti che Dio ti ha dato, in special modo il tuo ufficio petrino, che Cristo ti ha dato non per rappresentare te stesso, ma per rappresentare Lui, non per creare la tua Chiesa, ma per servire, proteggere e custodire la Sua Chiesa.

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Nei suoi prossimi scritti suggerirei a Valli di proporre i termini di una vera riforma, che consiste nel ri-orientare la Chiesa dallo sguardo rivolto verso la terra ad uno sguardo rivolto verso il cielo. Dallo sguardo delle galline allo sguardo dell’aquila. In questa ottica dobbiamo fare un richiamo alla coscienza del Santo Padre ed aver fiducia che egli ci ascolti. Un Papa dovrebbe infatti imitare i Santi Pontefici che lo hanno preceduto e non i teologi alla moda od i profeti che «annunziano la pace se hanno qualcosa tra i denti da mordere» [Mi 3,5]. E non è a dire che Papa Francesco non abbia modelli attuali davanti a sé. Si potrebbe dire, scherzando, che non ha che l’imbarazzo della scelta, potendo egli scendere, per non andare ancor più indietro, fino ai Pontefici dell’Ottocento.

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Il rapporto del Papa con Cristo

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Papa Francesco sembra aver allentato il suo rapporto con Cristo, rispetto ai Papi precedenti. Da qui la trascuratezza nel compiere il suo dovere di Vicario di Cristo. Sembra invece molto preoccupato di mantenere ed incrementare un rapporto con la gente e col mondo, non importa quale, purché questo rapporto ci sia. Ma il mandato di Cristo non è questo. Egli ci manda sì, in tutto il mondo, ma non per proclamare un messaggio che piaccia al mondo, anche se altamente sociale, ecologico o umanistico, ma per insegnare chiaramente e senza equivoci, tutte le cose precise che Egli ci ha comandato di insegnare, non una di più e non una di meno, senza tirar fuori la scusa che allora non c’erano i registratori, o che oggi i tempi sono cambiati.

     

Il Papa è dunque incaricato da Cristo, con l’assistenza dello Spirito Santo, di insegnare il Vangelo a tutte le genti, di interpretare infallibilmente la Parola di Dio, di custodire, spiegare e difendere il deposito della fede, di convertire e chiamare i popoli a Cristo, di insegnare agli uomini di buona volontà i doveri inderogabili della legge morale naturale e i diritti umani. Egli ha inoltre ricevuto da Cristo il potere di «legare e di sciogliere» (potestas clavium), ossia di comandare e legiferare, vale a dire permettere o proibire nel campo dei sacramenti, del diritto canonico e della condotta dei fedeli in nome della Legge di Cristo. Ha il potere di sommo sacerdote, ossia di santificare e purificare il popolo santo di Dio, di governare e guidare a nome di Cristo la Chiesa verso il Regno di Dio, e l’ufficio sacro di «instaurare omnia in Christo», secondo il motto del Santo Pontefice Pio X. Ha il dovere di essere pieno di carità per tutti, giusto e misericordioso, di essere «servo dei servi di Dio», secondo il motto del Santo Pontefice Gregorio Magno, di ascoltare umilmente i profeti o i veggenti, ispirati dallo Spirito Santo, che umilmente lo richiamano ai suoi doveri, ci fosse pure tra di loro una povera giovane indotta e popolana come una Caterina da Siena, ed il dovere infine di offrirsi con Cristo in sacrificio di soave odore al Padre nella Santa Messa e nelle croci quotidiane per la salvezza dell’umanità.

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Questo Papa, che agli occhi del mondo e dei modernisti appare un «grande riformatore» (Walter Kasper), un Papa «rivoluzionario» (Eugenio Scalfari), un Papa ”profetico” (Marco Tarquinio), il Papa che «risolve i conflitti vecchi di secoli e millenni» (Alberto Melloni), il «padre dei popoli» (Nicolàs Maduro), il «Papa della modernità» (Raniero La Valle), «l’apologeta della coscienza» (Arturo Sosa); il «Papa della libertà» (Bianchi), il Papa della «Chiesa spontanea e rilassata» (Timothy Radcliffe), il «protettore degli omosessuali» (Andrea Grillo); il «patrono della famiglia» (Vincenzo Paglia), il «difensore dei profughi» (Nunzio Galantino), il «leader della sinistra internazionale» (Oscar Madariaga), «il nemico di Trump e dei capitalisti» (Antonio Spadaro); il «Papa della misericordia» (Raniero Cantalamessa), il «fratello dei massoni» (Gianfranco Ravasi), «l’amico dell’Islam» (Al-Fayyed) … Ma in realtà, a prescindere da tutti i suoi meriti, è il Papa che, trovandosi a dover governare una Chiesa agitatissima e soggetta ad una crisi di fede di una gravità mai successa nella storia, sembra che non riesca a controllare la situazione, tanto che, un degnissimo Cardinale che ha occupato posti altissimi alla Santa Sede, pare che in un recente drammatico colloquio a quattrocchi gli abbia detto a chiare lettere: «tu stai sfasciando la Chiesa!». Al che ― se questo fosse realmente accaduto come si narra ― il Santo Padre, dopo un momento di sdegno, si spera abbia avuto modo di riflettere, per invocare dallo Spirito Santo quella saggezza e quella forza che lo renderà capace di far avanzare la Chiesa verso il Regno.

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Varazze, 1° gennaio 2018 – Beata Vergine Maria Madre di Dio

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NOTE                                                                                    

[1] La religione entro i limiti della pura ragione, Laterza, Bari 1985.

[2] Da notare che la Gaudium et spes, a differenza della Lumen Gentium, è una semplice costituzione pastorale, quindi non esente da errore, non dottrinale, ma pastorale.

[3] Questa visione tendenzialmente massonica, forse di ispirazione rahneriana, dev’essere corretta con la dottrina dogmatica della Lumen Gentium.

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