Il Sommo Pontefice che non è un provinciale ma un quartierale, quando «conferma i fratelli nella fede» è sempre ignorato dai giornali laicisti e dai teologastri eretici

IL SOMMO PONTEFICE CHE NON È UN PROVINCIALE MA UN QUARTIERALE, QUANDO «CONFERMA I FRATELLI NELLA FEDE» È SEMPRE IGNORATO DAI GIORNALI LAICISTI E DAI TEOLOGASTRI ERETICI.

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Il Sommo Pontefice Francesco I non è un provinciale, è un quartierale. Quest’ultimo termine non esiste nel corretto lessico, me lo sono inventato io, a maggior ragione fornisco le debite spiegazioni: il quartieralismo è peggiore del provincialismo, perché il quartierale è una persona legata a livello psico-sociale al quartiere di un preciso contesto cittadino o metropolitano. I problemi sono quindi enormi ed i danni incalcolabili, quando si esige di sottomettere la dimensione della universalità cattolica al quartieralismo.

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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Caro Amico,

ma per caso, il Santo Padre, legge forse i nostri articoli e poi fa certe sue omelie? Sai com’è, talvolta le coincidenze sono un po’ troppe …

Ah, se quest’uomo non fosse circondato da serpenti, che cosa potrebbe fare! A volte, egli mi pare come quel poveretto che giunge per ultimo al ristorante, animato da tutte le migliori e più oneste intenzioni, ma non prende neppure un piccolo antipasto, perché appena entra dentro è assalito dai gestori che gli presentano da pagare il conto di ciò che hanno divorato tutti gli altri entrati a pranzo ed a cena prima di lui. E noi sappiamo bene quanto questo, umanamente, non sia giusto.

Ariel S. Levi di Gualdo, messaggio privato a un amico, 21.11.2017

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il Cardinale Jorge Mario Bergoglio, immortalato in quella sua dimensione quartierale dalla quale non si è mai smosso e che oggi esige applicare all’intera Chiesa, nelle quale il particolare non dovrebbe mai essere applicato all’universale

Il Sommo Pontefice Francesco I è una personalità complessa, un uomo che non manca di essere contorto e ambiguo. Ma come più volte abbiamo scritto il tutto va analizzato nell’àmbito di una precisa psicologia. Per farlo bisogna però partire da un dato fondamentale: ciascuno di noi, compresi i Sommi Pontefici, possiede grandezze e limiti. Tutti siamo gravati di meriti e de-meriti, vizi privati e pubbliche virtù. Ciò vale per tutti, inclusi i santi che sono modelli di eroiche virtù, ma che non erano perfetti. Il tutto vale anche per il Romano Pontefice, Successore di quel Beato Apostolo Pietro che ‒ come più volte ho spiegato e ripetuto in varie miei scritti ‒, in quanto a limiti e inadeguatezze, non si fece mancare niente. Eppure, proprio come il suo primo Sommo Predecessore, la pietra sulla quale il Cristo roccia eterna, edificò la sua Chiesa, il Pontefice regnante potrebbe morire come un santo ed essere domani anch’esso un modello di eroiche virtù, pur con tutte le sue imperfezioni umane.

In uno dei miei articoli passati ho definito il Pontefice regnante un «argentinocentrico» [cf. articolo del 2015, QUI], senza mancare a lui di rispetto, meno che mai insolentirlo. Con questa espressione volli dare una precisa definizione psicologica, alla quale oggi potrei aggiungerne un’altra: il Pontefice regnante, non è un provinciale, ma è un quartierale. Quest’ultimo termine non esiste nel corretto lessico, me lo sono inventato io, a maggior ragione fornisco le debite spiegazioni: il quartieralismo è peggio del provincialismo, perché il quartierale è una persona legata a livello psico-sociale al quartiere di un preciso contesto cittadino o metropolitano.

Come molti di voi hanno letto, per scongiurare la probabile e infelice nomina di S.E. Mons. Nunzio Galantino alla sede arcivescovile di Napoli, di recente mi sono auto-nominato Arcivescovo Metropolita dell’antica Partenope [cf. QUI], dove come ho spiegato nella mia auto-candidatura, farebbero meglio a mandare me, anziché un soggetto dottrinalmente e pastoralmente problematico come il Segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana, o persino altri di peggior fatta.

In una grande e complessa metropoli come Napoli, che tutt’oggi, a livello sia storico sia sociologico, rimane una delle grandi capitali d’Europa ‒ ricordiamo infatti che Napoli è stata la capitale di un regno ‒, il quartieralismo fa parte della struttura psico-sociale, proprio come a Buenos Aires, o come in altre grandi capitali o megalopoli, si pensi ad esempio a Città del Messico, la cui area metropolitana conta oltre venticinque milioni di abitanti.

Se un napoletano incontra fuori dalla sua città un altro napoletano, nel fare la conoscenza del suo concittadino che gli si presenta dicendogli di essere napoletano, per prima cosa gli domanderà: «di Napoli, dove, sei?». Infatti, la grande e complessa Napoli, che è una città unitaria, al proprio interno è composta da tante città dentro la città. A Napoli vi sono dei quartieri che sono delle autentiche città a sé, i quali si differenziano da altri quartieri persino nella particolarità del dialetto, degli usi, dei costumi e delle tradizioni.

L’uomo Jorge Mario Bergoglio è profondamente attaccato e radicato a una precisa e particolare realtà quartierale di Buenos Aires, cosa questa che lo rende più chiuso di un provinciale. Inutile dire quali problemi e danni può produrre il quartieralismo in quella che dovrebbe essere una dimensione di universalità cattolica. Infatti, sottomettere l’universale al particolare, nella migliore delle ipotesi finisce col creare un grande squilibrio.

L’uomo Jorge Mario Bergoglio non ha esitato a mostrare verso Roma ‒ che è il cuore della universalità della Chiesa e che porta racchiuso storicamente in sé il meglio del meglio acquisito nei secoli da tutte le antiche civiltà ‒, le peggiori prevenzioni diffuse nel Latino America, ma si presti attenzione: non diffuse dai latinoamericani, ma dai barbari tedeschi che hanno usato questo Continente come luogo di sperimentazione e incubazione dei peggiori storicismi, sociologismi e teologismi, potendo beneficiare questi barbari, per siffatte malefatte, di risorse economiche che alla Chiesa cattolica tedesca derivano dalla propria ricchezza opulenta. Detto questo non si capisce come mai, proprio quel pontefice che da sùbito ha inneggiato alla Chiesa povera per i poveri, non abbia mai sollevato neppure un timido sospiro sulla opulenta ricchezza dei suoi – e diciamolo! – “elettori teutonici”, i quali non esitano persino a negare i Sacramenti ai fedeli che non sono in regola con il pagamento della tassa di culto alla Chiesa cattolica tedesca, salvo però giocare poi alle sacrileghe concelebrazioni “ecumeniche” ed alle inter-comunioni eucaristiche con i luterani. E qui va ricordato che la celebrazione eucaristica con ministri di culto non cattolici che non hanno la successione apostolica e non riconoscono il sacerdozio come sacramento rientrano nella fattispecie dei delictis gravioribus, cosa questa che non interesse tedeschi e nordeuropei vari che da decenni la praticano nella incuranza di Roma che sa ma che tace. A tal fine ricordiamo che costituisce graviora delictas la «concelebrazione proibita del Sacrificio eucaristico insieme a ministri di Comunità ecclesiali i quali non hanno la successione apostolica, né riconoscono la dignità sacramentale dell’ordinazione sacerdotale» (Cfr. Codice di Diritto Canonico, can. 908).

L’uomo Jorge Mario Bergoglio, ama bacchettare l’episcopato italiano parlando più o meno in privato coi suoi vari interlocutori, dei «vescovi prìncipi con i quali non si ragiona», od a quei «vescovi principi dinanzi ai quali ho le mani legate». E, nell’affermare questo, mostra di essere inconsapevole che i suoi tanto recriminati «vescovi prìncipi», se proprio vuole trovarli in tutto il loro più tracotante e soprattutto spocchioso “splendore”, deve cercarli tra i suoi grandi elettori della Germania, dove dietro a falsi pretesti di progressismo, apertura, ecumenismo e svecchiamenti dottrinali vari, non solo troverà sempre i vescovi-princìpi, ma troverà dei vescovi-colonizzatori che in modo barbaresco conquistano e poi impongono le proprie regole del gioco, a partire dal devastato Brasile del Cardinale Clàudio Hummes, il quale sta tentando, facendo uso anch’esso del proprio spirito ideologico-quartierale – vale a dire la mancanza di clero nella regione delle Amazzoni del Brasile –, di imporre alla Chiesa universale i preti sposati, ovviamente … ad experimentum. E noi che non siamo propriamente dei poveri fessi sappiamo molto bene in che cosa poi si trasformano le cose ad experimentum, perché ne abbiamo ormai mezzo secolo di devastata esperienza alle spalle, delle cose ad experimentum divenute poi molto più intoccabili dei grandi dogmi della fede cattolica.

Tutto questo rende l’uomo Jorge Mario Bergoglio squilibrato e incapace a formulare giudizi lucidi, che non è in grado di formulare non per chiusa malafede, ma per carenze di storica conoscenza. E tutto questo fa di lui ‒ che dovrebbe essere il supremo maestro della imparzialità ‒, un soggetto parziale e umorale.

Per raggirare, o come suol dirsi fregare un soggetto di questo genere, il gioco è molto semplice: fingere di credere che la sua dimensione quartierale sia giusto e sommo bene per la Chiesa. Di conseguenza egli eleggerà questi soggetti molto pericolosi a proprie figure di fiducia. Una volta entrati nelle sue grazie costoro — che personalmente ho più volte definito «autentici delinquenti» — lo rinchiuderanno dentro una gabbia, senza che lui neppure se ne accorga, visto che un’altra delle caratteristiche dell’uomo Jorge Mario Bergoglio è la sua oggettiva limitatezza, resa particolarmente grave dal suo quartieralismo che lo porta a trattare la Chiesa universale come se fosse un particolare quartiere di Buenos Aires.

Il quartieralismo induce l’uomo Jorge Mario Bergoglio a una pericolosa mancanza di analisi storica e socio-religiosa, con relative problematiche ecclesiali e pastorali di non poco conto, specie quand’egli tratta alcuni temi che gli stanno a cuore, ma che potrebbero purtroppo rientrare – come anche in questo caso più volte ho affermato – nella sfera delle vere e proprie ossessioni compulsive. Vale a dire: poveri, emigranti e profughi.

Il Pontefice regnante ha infatti data ampia prova nelle sue esternazioni o discorsi cosiddetti a braccio, di non comprendere che non è possibile parlare di migranti con categorie legate a realtà, storie e ricordi di un contesto tutto quanto argentino. Peraltro ‒ cosa ancora più grave ‒, di ricordi legati ad un contesto anche parecchio vecchio, perché ancorato a flussi migratori degli anni Venti e Trenta del Novecento.

Facendo poi una pericolosa confusione tra migranti e profughi, il Pontefice regnante sembra non tenere conto che nel suo Paese d’origine, gli immigrati, erano per la quasi totalità tutti provenienti da una cultura cristiana-cattolica. E, tra le poche cose messe alla partenza dentro le loro povere valigie, c’erano le immaginette o le statuine dei venerati santi patroni del Veneto Antonio da Padova e Giustina, quelle dei venerati patroni del Piemonte Giovanni Bosco e Maria Ausiliatrice, delle venerate martiri di Sicilia Agata e Lucia, della patrona di Palermo Rosalia, del venerato patrono di Calabria Francesco da Paola …

… come può, il Pontefice regnante, confondere tutto questo con delle orde islamiche che da anni e anni, nascoste dietro ai flussi migratori di persone che a gran maggioranza non fuggono affatto da guerre, persecuzioni e carestie, giungono nell’Europa sempre più scristianizzata al programmato scopo di conquistarla e colonizzarla? Perché forse è bene che qualcuno, al Pontefice regnante, spieghi con dovizia storica, sociologica e, non ultimo, anche pastorale, che mentre in Argentina e in vari altri Paesi del Latino America, gli immigrati, una volta divenuti lavoratori retribuiti davano offerte alle locali diocesi per la costruzione di chiese dedicate ai loro venerati santi e sante, in Europa, i colonizzatori musulmani nascosti dietro all’apparente pretesto dei profughi e dei migranti, con i soldi dell’Arabia Saudita e del Qatar stanno costruendo le moschee accanto alle nostre chiese parrocchiali sempre più vuote, mentre quegli scellerati di quel giornalaccio di Avvenire inneggiano allo jus soli, jus soli !

Per non toccare poi l’altro dolente e complesso discorso, quello legato ai poveri e alla povertà. Perché sia la realtà della povertà, sia il concetto stesso di povertà, nei nostri contesti sociali europei non è equiparabile a quello presente in certi Paesi del Latino America. O che forse il Pontefice regnante ha mai visto in Italia o in altri Paesi d’Europa, come accade ad esempio in Brasile e non solo, dei bambini abbandonati al di sotto dei dieci anni che vivono a branchi dentro le fognature metropolitane, dandosi ai furti e persino agli omicidi?

La categoria di povertà e di poveri, nei nostri Paesi è del tutto diversa. O che forse qualcuno è in grado di indicare, ad esempio in un Paese come la nostra Italia, dei poveri che muoiono di fame, dei bambini abbandonati che camminano scalzi per strada, degli anziani che muoiono ammalati riparati dietro a un cavalcavia senza alcun genere di assistenza sanitaria? Perché è bene che qualcuno documenti al Pontefice regnante che fuori dalle case dei nostri “poveri” italiani ci sono le antenne paraboliche e al loro interno troviamo quasi sempre gli strumenti tecnologici più inutili e costosi. E quando poi si presentano alla Caritas a chiedere che gli si paghi la bolletta della luce, dopo avere speso tutti i loro soldi per giocare ai gratta&vinci ed al super-enalotto, dalle tasche tirano fuori i telefonini di ultima generazione più costosi. E vogliamo forse parlare dei “poveri” che alla Caritas giungono direttamente con le loro automobili per mettere i generi di prima necessità dentro il bagagliaio? E che dire poi dei giovani accattoni professionisti, dotati nel loro pieno vigore di perfetta salute fisica, che anziché cercarsi un lavoro preferiscono importunare tutti i parroci della città per chiedere soldi?

Io appartengo a una cultura cattolica di ceppo europeo, non sono un calvinista o un mormone degli Stati Uniti d’America che considera la povertà una punizione di Dio, ma il mio povero cervello funziona a sufficienza per capire e prendere atto di un fatto sul quale non si dovrebbe tacere: molti poveri veri o presunti non sono tali per colpa della «società ingrata», dei «governi infami», dello «Stato assente», sino ad arrivare persino alla «sfortuna» e alla «cattiva sorte» … molti sono “poveri” perché totalmente incapaci di amministrare il danaro, altri perché non hanno proprio voglia di lavorare, pur riparandosi dietro al «dramma della disoccupazione». Quanti di questi “poveri” sono ad esempio ex commercianti andati a gambe all’aria perché, appena incassavano soldi, invece di tener conto che le prime cose di rigore da pagare sono i dipendenti, i rifornitori e le tasse, lasciavano i dipendenti senza stipendio, non pagavano i rifornitori e non versavano le tasse, ma andavano però a comprarsi un modello di auto extra lusso alla concessionaria della Mercedes, mentre moglie e figli andavano a fare shopping di abiti ultra griffati nelle più costose boutiques? E sapete, poi, cosa vengono a raccontare questi ex commercianti inesorabilmente falliti e finiti in mezzo a una strada? Questo: che «in Italia non si può vivere e lavorare», perché «le tasse» ‒ che per inciso loro non hanno mai pagato ma sempre evaso ‒ «ti mangiano tutto», a causa di uno Stato che «è un rapinatore». E non è raro poi scoprire, dietro a questo genere di poveri piagnucolosi che si dichiarano vittime dell’intero universo cosmico, dei soggetti che nella loro vita hanno bruciate splendide opportunità sia di lavoro sia di sistemazione sociale che molti altri non hanno mai avuto, sebbene questi secondi conducano vite profondamente dignitose pur nelle loro grandi ristrettezze economiche, senza fare il giro dei parroci a elemosinare il pagamento di una bolletta della luce, salvo poi andare a spendere quanto hanno raccolto in biglietti della lotteria.

Anche in questo caso merita fare riferimento all’ingegno e al vero e proprio genio partenopeo, anche perché, da quando mi sono eletto Arcivescovo di Napoli, amo portare ad esempio questa città nella quale, non poche persone, per riuscire a far fronte alle proprie necessità sono capaci a inventarsi persino lavori che non esistono. Alcuni esempi: fare i parcheggiatori di parcheggi inesistenti, fare le guide turistiche a pagamento senza i permessi, vendere sulle bancarelle senza licenza e senza il pagamento delle tasse sul suolo pubblico, semmai tenendo nel sottobanco anche qualche stecca di sigarette di contrabbando. E non solo tutte queste sono cose illecite, ma sono anche precise figure di reato. E terminata la giornata, queste persone portano il cosiddetto pane a casa. Si tratta, come ripeto, di commerci non propriamente leciti e di lavori non regolari. Ma di fronte a queste persone mi tolgo di testa il mio saturno invernale di castorino ‒ quello che piace tanto al Pontefice regnante ‒, provando invece al tempo stesso un senso di disgusto e forse pure di sprezzo nei confronti di tutti coloro che preferiscono andare piagnucolosi a elemosinare da una chiesa all’altra, dichiarandosi vittime di una «società ingrata», dei «governi infami», dello «Stato assente», sino ad arrivare alla «sfortuna» ed alla «cattiva sorte». A questo genere di persone non darò mai un centesimo, mentre al parcheggiatore e all’ambulante abusivo che si cerca degli espedienti non propriamente legali per guadagnarsi la giornata, sono capace anche a comprare una stecca di sigarette di contrabbando per poi regalarla in omaggio a un artigiano che lavora in nero senza licenza; tutte persone molto più dignitose degli accattoni professionisti che in giro per le nostre chiese trovano sempre gli immancabili parroci beoti abbonati a quel giornalaccio di Avvenire pronti a pagargli i biglietti della lotteria, presentati come bolletta della luce che non riescono a pagare.

Nell’omelia di martedì 21 novembre 2017 il Santo Padre ha trattato degli argomenti molto delicati legati alle «colonizzazioni ideologiche» [cf. testo, QUI]. E lo ha fatto in un modo così profondo e alto a livello dottrinale e pastorale da indurre a chiedersi: siamo dinanzi ad una psicologia borderline?

Come uomo di fede, come sacerdote e teologo, credo di essere abbastanza in grado di distinguere un soggetto che agisce condizionato da patologia borderline, da una persona che invece agisce su impulso dello Spirito Santo. Infatti, i problemi nascono quanto certe orde di neocatecumenali, carismatici e invasati del Rinnovamento nello Spirito Santo, confondono il loro spirito borderline con le cosiddette mozioni divine, facendo passare le loro psicopatologie o le loro nevrosi ossessive più o meno gravi, come rivelazioni o imperativi della Terza Persona della Santissima Trinità.

L’omelia in questione rientra nella azioni e nei doni di grazia dello Spirito Santo che ha parlato attraverso il Successore del Beato Apostolo Pietro, che con una precisione straordinaria ci ha illustrato tra le righe:

  1. la condanna del modernismo;
  2. la condanna del sincretismo religioso;
  3. la condanna del trasformismo;
  4. la condanna delle false novità;
  5. la condanna dell’uniformismo conformista.

Lodando al tempo stesso:

  1. la difesa della Tradizione;
  2. la fedeltà alla legge;
  3. il richiamo all’assolutezza della legge morale;
  4. il dovere di conservare il deposito della fede.

Tutto questo potrebbe spiazzare la lobby modernista che forse correrà ai ripari facendo semmai annunciare a La Repubblica ciò che il Sommo Pontefice non ha detto, o facendo passare per alto e infallibile magistero qualche sua inopportuna battuta a braccio fatta in privato a poche persone all’uscita dalla mensa della Domus Sanctae Marthae.

In questa splendida omelia rimangono comunque due precisi punti che il Sommo Pontefice dovrebbe chiarire, se egli non avesse come teologi di riferimento il Cardinale Walter Kasper e l’Arcivescovo Manuel Fernández.

Primo Punto: non si deve parlare della “mia fede” e della “tua fede”, perché la vera fede è una sola ed uguale per tutti: è mia ed è tua. Se io sono nella verità e tu sbagli, non devo dirti: «tu hai un’altra fede e la rispetto» ‒ come nello stile venefico del falso ecumenismo di Walter Kasper e affini ‒, ma è mio dovere e imperativo di coscienza correggerti dall’errore, perché è proprio per questo motivo che Noi siamo Romano Pontefice e che tutti noi siamo Cardinali, Vescovi e Sacerdoti. Altrimenti la fede cattolica non è più Verità assoluta e Parola di Dio, indirizzata a tutti e doverosa per tutti, per la salvezza di tutti, ma è solo una fallibile, soggettiva e relativa opinione umana. Altrimenti si corre il rischio di cadere nel relativismo e nell’indifferentismo.

Secondo punto: il fatto che la verità di fede è una sola e che tale deve essere uguale per tutti, non è monotono e piatto uniformismo, ma è necessità logica, in quanto la fede è una verità oggettiva ed universale, ed è richiesta dalla stessa fede [«una sola fede», Ef 4,5]. Ciò peraltro non impedisce affatto le differenze, ma le fonda e le legittima, altrimenti non ci sarebbe il pluralismo, ma il caos, proprio come sta succedendo oggi all’interno della Chiesa, dove coloro che fino a ieri hanno gridato «più dialogo» e «più collegialità», sotto questo pontificato hanno creata una vera e propria dittatura da regime sovietico, anzi peggio, degna del piccolo dittatore coreano.

Meditando su questa omelia, sono giunto a una conclusione: lo Spirito Santo sta compiendo sicuramente una grande fatica ad operare sull’uomo Jorge Mario Bergoglio e attraverso l’uomo Jorge Mario Bergoglio; ma siccome l’uomo Jorge Mario Bergoglio è il Successore del Beato Apostolo Pietro, che gode come tale di una assistenza del tutto speciale da parte dello Spirito Santo, ecco che, seppure con fatica, ogni tanto lo Spirito Santo ci riesce, semmai prendendolo quand’è stanco o quando si trova soprappensiero, ed in specie nelle cose particolarmente importanti. Proprio come ci riuscì con quella clamorosa e limitata testa di legno, tale fu alla prova dei fatti e secondo i più precisi racconti storici dei Santi Vangeli e degli Atti degli Apostoli il Beato Apostolo Pietro, che non fu eletto da un conclave, ma che con tutte le sue più evidenti limitatezze fu proprio scelto da Cristo Dio in persona [cf. Mt 16, 13-20], non dimentichiamolo mai, quando in modo rispettoso e legittimo accenniamo alle limitatezze oggettive di un Romano Pontefice che noi veneriamo e al quale vogliamo davvero bene. E ciò all’esatto contrario dei ruffiani in carriera che oggi, per diventare vescovi e cardinali, alla stregua delle puttane di basso livello che si concedono ai marinai ubriachi, gridano in modo falso, ipocrita e calcolato: «poveri, povertà e jus soli !». Meno che mai il Pontefice regnante è venerato e benvoluto da quell’esercito di vescovi pavidi che oggi tacciono “prudenti”, perché considerando con cinico clericalismo che ormai egli ha già superato gli ottant’anni, aspettano che se ne vada al Creatore per poi uscire di nuovo allo scoperto e saltare sul carro del nuovo vincitore, perché a nessuno di loro interessa il bene della Chiesa, ma solo il bene della loro carriera. E temo che questi secondi, oggi postisi da parte con spirito di calcolato silenzio, caricandosi però sempre più di veleno giorno dietro giorno, domani saranno purtroppo i nostri nuovi registi, affinché di male si possa andare ancóra in peggio, quando inevitabilmente cambierà vento.

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dall’Isola di Patmos, 23 novembre 2017

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

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Padre Giovanni

Alcune addolorate obiezioni a Padre Timothy Radcliffe, che dovrebbe esprimersi come l’ex Maestro Generale dell’Ordine Domenicano, non come il maestro di una loggia massonica

ALCUNE ADDOLORATE OBIEZIONI A PADRE TIMOTHY RADCLIFFE, CHE DOVREBBE ESPRIMERSI  COME L’EX MAESTRO GENERALE DELL’ORDINE DOMENICANO, NON COME IL MAESTRO DI UNA LOGGIA MASSONICA

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Mi meraviglia in un Domenicano questa imprecisione di linguaggio, che fa pensare ad una visione relativistica ed indifferentista della religione. Egli sembra confondere la fede con l’opinione. Le opinioni possono essere molte, anche in contrasto di loro, e questo è normale. Ma la fede in Dio è una sola, così come la verità è una sola, perché è verità oggettiva, certa, assoluta ed universale.

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Autore
Giovanni Cavalcoli, O.P.

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l’ex Maestro Generale dell’Ordine dei Frati Predicatori Padre Timothy Radcliff, O.P.

Essendo rimasto perplesso per varie risposte, un Lettore mi ha inviato il testo di una intervista fatta da Alain Elkann al Padre Timothy Radcliffe, ex Maestro Generale dell’Ordine dei Frati Predicatori, al quale io appartengo, chiedendomi un parere in tal senso  [cf. intervista su La Stampa, QUI].

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Mi sono piaciute alcune cose che egli ha detto, come l’importanza dell’amore per la verità e per il silenzio, la bellezza della  fede nel suo rapporto con la ragione, la vita fraterna domenicana, che ogni uomo è fatto per raggiungere Dio e quindi chiamato alla salvezza e la convivenza pacifica dei fedeli delle varie religioni. Non mi sento invece di condividere alcune sue affermazioni, che riporto qui con le mie relative osservazioni. Do un numero alle parole del Padre Timothy Radcliffe, e di seguito metto le mie osservazioni.

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  1. Alla domanda dell’intervistatore: «Lei pensa che tutte le religioni siano mezzi per raggiungere lo stesso luogo?» Padre Timothy Radcliffe risponde: «Sarei lieto di dirlo, ma è oltre la nostra capacità di comprensione».

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Io avrei risposto precisando che tutte le religioni sono mezzi umani più o meno imperfetti per raggiungere Dio. Ma solo la religione cristiana cattolica tra tutte è la più elevata, perché fondata dallo stesso Figlio di Dio, Gesù Cristo, Mediatore Unico e perfetto, Che ci fa sapere che Dio è Padre, Figlio e Spirito Santo.

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  1. «Le guerre fanno parte della storia dell’umanità e in guerra si usa ogni mezzo per vincere, tanto il nazionalismo quanto la religione. Non è corretto dire che c’è la religione all’origine della guerra. Direi piuttosto che gli esseri umani hanno coltivato la violenza usando la religione per imporla o per giustificarla».

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Faccio osservare che Padre Timothy Radcliffe fa una falsa generalizzazione. La guerra può avere un fine giusto: per esempio, la difesa della patria, la liberazione di un popolo oppresso, l’abbattimento di un regime tirannico, la riconquista di un territorio occupato dal nemico, la liberazione dei cristiani dall’oppressione degli islamici o dei comunisti.

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Non bisogna confondere la violenza col giusto uso della forza. La violenza è ingiustizia e viene punita dal codice civile e militare; il giusto uso della forza è atto di fortezza che può giungere all’eroismo ed è il principio del valor militare, degno del massimo onore. Il disprezzo o la condanna indiscriminata della guerra come tale, senza distinguere quella giusta da quella ingiusta, è segno di animo meschino, pavido e falsamente pacifico, che finisce per tollerare che i prepotenti opprimano i deboli e li lascino indifesi. La difesa della religione può giustificare una guerra, come avvenne per esempio nella battaglia di Lepanto o nelle guerre di Israele narrate dall’Antico Testamento, anche se è vero che la religione può essere un pretesto che nasconde avidità di potere o volontà di dominio, come fu la guerra dei prìncipi luterani contro la Chiesa per impossessarsi dei beni della Chiesa.

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Non è vero, pertanto, come pensava Karl Marx, che le guerre avvengono sempre per interessi materiali, e che quelli ideali servono solo a coprire i primi. Anche questa idea è segno di animo gretto e barbaro, che non capisce che l’uomo non è una bestia, ma tiene all’onore, alla giustizia e al diritto.

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Si nota nelle idee pacifiste di Padre Timothy Radcliffe l’utopismo razionalista ed ingenuo e alla fine, al di là delle intenzioni, pericoloso e guerrafondaio, tipico di Rousseau e dell’illuminismo massonico, che considera una “natura umana” elaborata a tavolino, astrattamente presa ed originariamente “buona”, a prescindere dalla sua drammatica condizione storica, conseguente al peccato originale, natura che invece ha bisogno di essere disciplinata e frenata, all’occorrenza, anche con severità. Infatti, come insegna l’esperienza, l’umanità con le sole forze della ragione e della volontà non è in grado di correggere le deviazioni e di realizzare perfettamente, attraverso opportune trattative ed azioni politiche, la giustizia e la pace, peraltro in una prospettiva meramente terrena, ma necessita dell’aiuto della grazia, come dimostra la storia della civiltà cristiana e della Chiesa.

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  1. «Sono un grande fan di Papa Francesco, sta compiendo meraviglie facendo progredire la Chiesa in modo più rilassato e meno centralizzato. Certo, incontra resistenza, ma ci sta guidando verso la libertà e la spontaneità, riuscendo a entrare in contatto con ogni comunità».

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Dal modo col quale Padre Timothy Radcliffe qualifica se stesso nei confronti del Romano Pontefice, ‒ «fan di Papa Francesco» ‒ come se si trattasse un divo del cinema o di un campione dello sport, si comprende all’evidenza che la visuale sotto la quale egli si pone per considerare e valutare l’operato del Papa, è del tutto insufficiente e fuorviante, è di una grossolana superficialità e meraviglia moltissimo in un Domenicano che è stato capo dell’Ordine per quasi dieci anni.

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Per questo il giudizio di Padre Timothy Radcliffe sul Papa è completamente falsato e denota chiaramente la sua provenienza da quel deleterio ambiente modernista-liberal-massonico, che con somma astuzia e ingentissimi mezzi economici e mediatici, da tempo ormai esercita, nei confronti del Successore di Pietro, una raffinata quanto sporca e smaccata opera di adulazione e finta devozione, che purtroppo non manca di produrre un certo effetto sulle grandi masse di fedeli sprovveduti e secolarizzati, nonché sul Papa stesso, la cui guida della Chiesa gli è estremamente difficile sia per l’oggettiva drammatica esistenza di aspri conflitti intra-ecclesiali e sia per la difficoltà che egli ha a metter pace e concordia, sia per una sua certa mancanza di imparzialità e sia ancor più a causa di collaboratori inefficienti e finti amici, che lo circuiscono e lo condizionano.

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Padre Timothy Radcliffe, con le sue dichiarazioni, dà mostra di errare nell’interpretare l’azione del Papa e di non comprenderne affatto ‒ cosa grave in un Domenicano ‒ né la vera personalità e missione apostolica e neppure di comprendere la vera, drammatica situazione attuale della Chiesa, più volte denunciata da Benedetto XVI, ma anche la Chiesa nelle sue vere prospettive e speranze.

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Padre Timothy Radcliffe, da come si esprime, sembra vivere in un’atmosfera ovattata e sognante, fatta di ingenui entusiasmi giovanili, senza percepire assolutamente ‒ oggi che si parla tanto di ”discernimento” ‒  né la profondità della crisi, né quella dei valori che stanno emergendo, che sono quelli di un’autentica attuazione del Concilio Vaticano II, non nell’interpretazione modernista schillebexiana e rahneriana, ma secondo gli insegnamenti autentici dei Papi del post-concilio, dal Beato Paolo VI al presente, non senza essere in continuità con la Tradizione nell’ascolto supremo della Parola di Dio e di quello che lo «Spirito dice alle Chiese» [Ap 2,7]. E quando dico “tradizione” non intendo riferirmi al Vetus Ordo Missae, ma alla Sacra Tradizione, ossia alla custodia, conservazione e trasmissione apostolica orale infallibile del dato rivelato: in sostanza, alla predicazione del Vangelo.

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Oggi il Papa non ha bisogno di «fans » – questi lasciamoli alle partite di calcio, la fede è una cosa seria –, neppure di acri accusatori farisei, non ha bisogno di essere lisciato e coccolato, non ha bisogno di essere “corretto” nella retta fede, anzi chiede a noi di ascoltarlo come maestro della fede e interprete infallibile della Tradizione e della Scrittura, nonché ha bisogno di essere aiutato e consigliato da collaboratori leali, saggi ed efficienti, che non diano scandalo al popolo di Dio. Ha bisogno di essere illuminato, confortato, consolato, incoraggiato e liberato dai Giuda, dagli intrallazzatori e dagli arrivisti, che l’attorniano come api attorno al miele. Sull’esempio di una Santa Caterina da Siena il Papa ha bisogno di essere insistentemente esortato con franchezza, carità e rispetto a compiere il suo dovere per l’onore di Cristo e il bene della Chiesa.

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Padre Timothy Radcliffe si immagina un Papa promotore di una Chiesa “rilassata” come il tale che, comodamente rilassato in poltrona, si gode uno spettacolo televisivo. La sua Chiesa ”decentralizzata” è un eufemismo pietoso ma non troppo, per celare o ignorare  lo stato confusionale nel quale oggi la Chiesa si trova in un bellum omnium contra omnes tra cardinali, vescovi, teologi, preti e religiosi in temi di fede e di morale.

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Secondo Padre Timothy Radcliffe Papa Francesco ci sta guidando verso una Chiesa «libera e spontanea». Ma per raggiungere tal fine,  non c’è bisogno del Successore di Pietro: basta un buon trattato di psicologia. Il Papa guida la Chiesa ben più in alto:  all’ascolto della Parola di Dio, all’imitazione di Cristo, alla liberazione dal peccato, alla vita di grazia, alla vittoria sul mondo e su Satana, alla comunione dei santi, all’esercizio della carità, alla perfezione evangelica, alla disponibilità alle sollecitazioni dello Spirito Santo, alla conquista del Regno di Dio, all’eterna beatitudine.

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«Il Papa riesce ad entrare in contatto con ogni comunità»? Certo, egli è il Padre comune di tutti figli di Dio, è mandato da Cristo ad annunciare il Vangelo a tutto il mondo, deve comprendere i bisogni più profondi di tutti, deve saper apprezzare i valori di tutte le religioni, deve inviare a Cristo coloro che sono «affaticati ed oppressi» [Mt 11,28].

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Il Papa dimostra certo una straordinaria energia ed attitudine nel contatto con le folle. Ma esse, fuorviate da una interpretazione secolaristica dell’azione del Papa ad opera dei grandi mass-media, interpretazione che il Papa stesso non pare sufficientemente smentire, che cosa poi vedono nel Papa? Il simpatico propagandista di una morale ”rilassata” o l’uomo di Dio che ci sollecita a guardare in alto? Se il Papa «incontra resistenze», dovrebbe chiedersi che cosa esse significano. Certo ci sono i soliti lefebvriani e farisei; ma c’è anche chi gli vuole bene ed è sincero amico e desidera vederlo tendere alla santità.

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  1. Dobbiamo pregare per la fratellanza fra le fedi, non fomentare le divisioni.

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Mi meraviglia in un Domenicano questa imprecisione di linguaggio, che fa pensare ad una visione relativistica ed indifferentista della religione. Egli sembra confondere la fede con l’opinione. Le opinioni possono essere molte, anche in contrasto di loro, e questo è normale. Ma la fede in Dio è una sola, così come la verità è una sola, perché è verità oggettiva, certa, assoluta ed universale.

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Bisogna dunque favorire la fratellanza tra i fedeli delle diverse religioni. Non ha senso invece parlare di «fratellanza fra le fedi», come non ha senso la fratellanza tra il vero e il falso. Non si deve dividere ciò che dev’essere unito, ma si deve dividere ciò che va separato. Lo spirito di pace non è fare il doppio gioco o servire due padroni. In tal senso Cristo dice di essere venuto a portare una «spada» [Mt 10,34].

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«Chi non è con me» – dice il Signore [Mt 12,30] – «è contro di me». Se il Corano nega ciò che insegna Cristo, non possono contemporaneamente aver ragione Cristo e il Corano. Per conseguenza, le religioni non sono come i partiti in un parlamento o la pluralità degli istituti religiosi all’interno della Chiesa Cattolica. In questi casi le varie formazioni si integrano e si completano a vicenda per rappresentare la totalità: o l’intera cittadinanza di una nazione o l’intero corpo ecclesiale.

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Invece la questione del rapporto fra le religioni non è di ordine semplicemente sociale; non è semplicemente di competenza dello Stato, in applicazione del diritto di libertà religiosa, per cui lo Stato deve curare la pacifica convivenza dei gruppi in esso esistenti; non si tratta solo di rispettare le diversità tra le religioni, ma più profondamente la questione tocca il problema della verità delle dottrine delle religioni. E su questo punto il Domenicano dovrebbe essere particolarmente sensibile. Al riguardo, dobbiamo dire che la Chiesa Cattolica riconosce la presenza di valori salvifici anche nelle altre religioni, misti tuttavia ad errori. Infatti, la pienezza della verità salvifica è patrimonio esclusivo della dottrina cattolica, come afferma ancora il Concilio Vaticano II nel decreto Unitatis redintegratio II.

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Per questo la Chiesa ha anche il compito di respingere o correggere gli errori contenuti nelle altre religioni, perché tutti gli uomini sono chiamati a convertirsi a Cristo per il tramite della Chiesa, come ha precisato il Concilio di Firenze nel 1442, anche se è possibile, come ha insegnato il Concilio Vaticano II, appartenere alla Chiesa in modo inconscio.

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Il Padre Timothy Radcliffe sembra dunque condividere la teoria di Edward Schillebeeckx, secondo il quale la vera religione risulta dalla somma di tutte le religioni, per cui ognuna di esse darebbe il suo contributo alla edificazione del tutto, un po’ come un’enciclopedia risulta dai contributi dei collaboratori. Infatti, secondo Schillebeeckx, “nessuna religione particolare esaurisce il problema della verità”[1]. “Di conseguenza, possiamo e dobbiamo dire che c’è più verità religiosa in tutte le religioni messe assieme che in ogni singola religione”[2]. Questo che vuol dire? Che il Corano aggiunge verità salvifiche che non sono contenute nel Vangelo? Che il Vangelo non può permettersi di correggere il Corano? Schillebeeckx non si rende conto che le verità salvifiche sono state rivelate da Dio per il tramite di Cristo e della Chiesa in un certo numero e raccolte nel Simbolo Apostolico. Le altre religioni non aggiungono nuove verità, che non siano già contenute nel Credo cristiano, ma semmai ne mancano di qualcuna. Per questo, la posizione di Padre Timothy Radcliffe, in quanto riflesso delle idee di Schillebeeckx, non è per nulla conforme alla dottrina della fede, purtroppo!

 

Varazze, 24 novembre 2017

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[1] Umanità, la storia di Dio, Queriniana 1992, p.215.

[2] Ibid., p.220.

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Abbasso il mafioso Toto’ Riina evviva la pornostar Cicciolina: miserie e derive di una Chiesa governata dalla umoralità

— fatti di attualità ecclesiale —

ABBASSO IL MAFIOSO TOTO’ RIINA EVVIVA LA PORNOSTAR CICCIOLINA: MISERIE E DERIVE DI UNA CHIESA GOVERNATA DALLA UMORALITÀ

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In una nostra Chiesa romana, la pornostar Ilona Staller in arte Cicciolina, durante la celebrazione del Sacrificio Eucaristico salì sul presbitèrio e dall’ambòne dal quale si amministra ai Christi fideles il nutrimento della Parola di Dio, annunciò: «Abbiamo fatto tanta poesia, si può dire, perché anche se era erotismo e pornografia, per noi era poesia. Giocherellando, abbiamo fatto quello che, magari, tantissime persone hanno paura di fare». Le mancò solo di concludere dicendo: «Sia lodato Satana!».

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

 

 

 

 

 

 

 

 

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«Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» [Mt 9, 12-13]

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Roma, dicembre 2012, Basilica dei Santi Pietro e Paolo, il francescano Francesco Bartolucci  amministra la Santa Comunione alla pornostar Ilona Staller, in arte Cicciolina, ai funerali del più grande regista e produttore di film porno Riccardo Schicchi

Nella Chiesa misericordiosa, col Sommo Pontefice che telefona ad un figlio di Lucifero come Marco Pannella per invitarlo a «tenere duro» o che accoglie in Vaticano l’abortista fiera e impenitente Emma Bonino, che in modo coerente seguita imperterrita a definire l’aborto «una conquista sociale» ed un «grande diritto civile», anche in questo caso ci saremmo aspettati una condotta più equilibrata nel negare i funerali al boss di Cosa Nostra Salvatore Riina, detto Toto’. Ma purtroppo, sembra che nella Chiesa sia esploso el tango de la pasion.

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Roma, dicembre 2012, Basilica dei Santi Pietro e Paolo, il francescano Francesco Bartolucci  amministra la Santa Comunione alla pornostar Eva Henger, ai funerali del più grande regista e produttore di film porno Riccardo Schicchi

Noi che ci siamo formati sul grande magistero del Santo Pontefice Giovanni Paolo II e che continuiamo a rimanere saldi sui principi metafisici e teologici della Fides et ratio, ci troviamo a disagio in questa Chiesa in caduta libera che vive oggi all’insegna della Fides et passio, ma sia chiaro: avvolta da una passio che nulla ha da spartire con la passio Christi, tutto invece da spartire con la venefica passio che nasce dalla più irrazionale umoralità.  

 

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Roma, dicembre 2012, Basilica dei Santi Pietro e Paolo, il porno-attore Rocco Siffredi tiene dall’ambone sul presbiterio un sacrilego elogio funebre al più grande regista e produttore di film porno Riccardo Schicchi

Chi sia stato il boss di Cosa Nostra Salvatore Riina detto Toto’, lo sappiamo tutti, ed altresì sappiamo di quanti crimini si sia macchiato. Ma una cosa è certa: costui non è il primo peccatore della storia, perlomeno non lo è per noi che consideriamo il peccato originale un fatto oggettivo e non una metafora [cf. Gen 3, 1-19], così come crediamo che il fratricidio di Caino che ha ucciso il fratello Abele sia anch’esso un fatto e non una allegoria [cf Gen 4, 1-16]. Pertanto, che dinanzi ad un Riina gridino “al peccato!” proprio i laicisti che al peccato non ci hanno mai creduto — a partire da quello originale — e che seguitano tutt’oggi a non crederci, pur invocando però in questa occasione persino la potenza di una scomunica … ebbene, come capite, se il tutto non fosse grottesco e ridicolo, sarebbe davvero tragico.

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Su ordine di Riina, sono state uccise dai killers molte persone innocenti, alcuni parlano di circa duecento omicidi da lui ordinati. I suoi sicari sono riusciti ad assassinare persone rigorosamente adulte che, pur non riuscendoci, avrebbero potuto comunque in qualche modo tentare di difendersi, o perlomeno di fuggire. E sempre su suo ordine sono state assassinate anche persone dotate dallo Stato, in quanto soggetti ad alto rischio attentati, di complessi sistemi di sicurezza, di meticolose protezioni e scorte armate.

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Nessun meccanismo di sicurezza, meno che mai alcuna meticolosa protezione e scorta armata, protegge invece le creature innocenti e totalmente indifese che ogni giorno sono soppresse nella totale indifferenza attraverso l’aborto, mentre il Sommo Pontefice telefona a Marco Pannella per invitarlo a «Tenere duro» e mentre annovera, su suggerimento di certi gesuiti a lui vicini, la Signora Emma Bonino nella candida rosa dei grandi italiani.

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Roma, dicembre 2012, Basilica dei Santi Pietro e Paolo, il celebre “disturbatore” Gabriele Paolini [vedere QUI], dichiaratosi pubblicamente e ripetutamente ateo, anticlericale, a favore della cultura omosessualista, dell’aborto e dell’eutanasia, riceve la Santa Comunione dal pio francescano  ai funerali del più grande regista e produttore di film porno Riccardo Schicchi

A questo punto merita ricordare un altro grande funerale svoltosi proprio nella Diocesi di Sua Santità, nel dicembre del 2012, allora regnante il Venerabile Pontefice Benedetto XVI. Vicario Generale di Sua Santità per la Diocesi di Roma era il bertoniano di ferro Cardinale Agostino Vallini, mostratosi più volte indifferente alla lesione del sacro onore di Santa Madre Chiesa come un chirurgo è indifferente al sangue umano. Anche se, come di recente ho scritto, tra poco sarà rimpianto, tanto quella Diocesi è passata di male in peggio …

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In quel triste dicembre del 2012, presso la Basilica dei Santi Pietro e Paolo, nel quartiere romano dell’EUR, si svolse il funerale porcino del più grande regista e produttore italiano di film pornografici, celebrato da Francesco Bartolucci, dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali. Durante le esequie funebri, non solo l’improvvido francescano amministrò la Santa Comunione alla Signora Ilona Staller, in arte Cicciolina, ed alle altre famose pornostar presenti, ma affinché il sacrilegio fosse completo egli permise, sia alla Signora Staller, sia al celebre porno-attore italiano Rocco Siffredi, di salire sul presbitèrio, all’ambone dal quale si amministra ai Christi fideles il cibo spirituale della Parola di Dio, per tenere un elogio funebre decisamente satanico.

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La Signora Ilona Staller, in arte Cicciolina, con le spalle voltate al tabernacolo annuncia infatti a tutti i presenti:

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«Abbiamo fatto tanta poesia, si può dire, perché anche se era erotismo e pornografia, per noi era poesia … Giocherellando, abbiamo fatto quello che, magari, tantissime persone hanno paura di fare».

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questo soltanto, però, è il “male assoluto” che scandalizza la moderna Chiesa sociale: Salvatore Riina, detto Toto’, boss di Cosa Nostra [Corleone 1930 – Parma 2017]

Sale poi sul presbitèrio Rocco Siffredi, che pronuncia parole d’alta mistica che paiono tratte dai pensieri spirituali più profondi di Santa Teresina del Bambino Gesù:

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«Mi dicono che ho fatto sdoganare il porno, ma io non ho fatto sdoganare proprio nulla. Riccardo ha iniziato ed è grazie a lui se sono qui e se sono quello che sono» [cf Andrea Tornielli, QUI].

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Non ho altro da aggiungere, se non un fatto: la Chiesa misericordiosa, quella che ha chiesto perdono a tutti: agli ebrei, ai musulmani, agli indigeni latinoamericani e via dicendo a seguire, ai suoi fedeli ed ai suoi devoti servitori, perché non ha mai chiesto scusa per queste grandi sconcezze, che come ripeto hanno in tutto e per tutto del satanico? Non lo ha mai fatto neppure nell’èra di quella grande misericordia nella quale l’Augusto Pastore accarezza i lupi e bastona le proprie pecore fedeli. Quel che infatti importa è che il quotidiano La Repubblica, con tutti i giornali fricchettoni della sinistra radical chic appresso, col proprio coro di atei e non credenti dichiarati, tutti a favore dei “sacri diritti” dell’aborto, dell’eutanasia, del gender, delle sperimentazioni genetiche e via dicendo a seguire, proseguano a inneggiare alla gloria di Francesco «il grande rivoluzionario», mentre il Padre Antonio Spadaro, anziché recitare il breviario ed il Santo Rosario, ci mette sopra il carico da novanta sulle quinte e, soprattutto, dietro le quinte …

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… non è morto per una carica di tritolo fatta piazzare dai sicari di Toto’ Riina né per una sventagliata di mitra dei suoi killers, si tratta solo di un “grumo di cellule”. E dinanzi a questi insignificanti “grumi di cellule”, vi risulta forse che i giornali laicisti chiedano alla Chiesa scomuniche e funerali negati?

O qualcuno pensa che siamo così sprovveduti da non aver capito chi, al Sommo Pontefice, lo ha indotto a degli scivoloni umilianti per la Chiesa, dalla telefonata del «tieni duro» a Marco Pannella al titolo di «grande italiana» dato ad Emma Bonino? 

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L’episcopato tace, come più volte ho scritto, ma tra i preti il malumore sale sempre più giorno dietro giorno. E a noi, che La Repubblica gridi «Glory glory, alleluia a Francesco il rivoluzionario», non interessa niente. E un giorno, al buon Francesco, finiremo col rammentare che nel Canone della Santa Messa, a ricordarlo nella preghiera siamo noi preti, non Eugenio Scafari, non Emma Bonino, non il Pastore pentecostale Giovanni Traettino … 

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dall’Isola di Patmos, 20 novembre 2017

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ADESSO VI INVITIAMO A VEDERE IN QUESTO FILMATO, CHE HA INVERO DEL SATANICO, CHE COSA PERMETTONO, GLI STESSI ECCLESIASTICI, CHE NEGANO POI LE ESEQUIE FUNEBRI ANCHE IN FORMA PRIVATA AD UN BOSS MAFIOSO

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IL PRESBITERO BOLOGNESE FRANCESCO PIERI SI DOMANDA: «HA PIÙ MORTI SULLA COSCIENZA TOTO’ RIINA O EMMA BONINO?»..

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Caro Confratello Francesco Pieri,

qualora ti fosse “imposto”, dal politicamente corretto che ci sta uccidendo, tu non chiedere scusa a nessuno per avere detto semplicemente l’ovvio. non sei infatti tu, che devi chiarire l’ovvio, a dover chiarire è la Signora Bonino che afferma: «Don Pieri non insulta me, ma milioni di donne italiane che hanno subito in un modo o nell’altro il trauma dell’aborto». Ella deve adesso spiegare da chi, questi «milioni di donne», sarebbero state «traumatizzate», visto che ciascuna di esse si è recata liberamente ad abortire e che la gran parte, quando si è tentato di convincerle a non sopprimere una vita umana innocente, hanno negata qualsiasi forma di ascolto. Dunque, chi le ha traumatizzate? E che dire dell’esercito di teenagers che praticato l’aborto il giovedì mattina, il sabato sera erano già a darsi ai bagordi in discoteca, chi le avrebbe traumatizzate, ma soprattutto: chi le avrebbe offese? Perché applicando lo stesso principio boniniano, si potrebbe sostenere con altrettanta “impeccabile logica” che il boss Riina è rimasto traumatizzato per il numero di persone da lui fatte uccidere e che i duri di cuore — come per esempio noi che invece lo consideriamo un criminale e che consideriamo i morti per causa sua delle vittime innocenti —, non possono capire il suo trauma ed il suo conseguente dolore.

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È DISPONIBILE IL LIBRO DELLE SANTE MESSE DE L’ISOLA DI PATMOS, APRIRE QUI

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Matilde Giuseppina Nicoletti
Dell'Ordine delle Domenicane della Beata Imelda
Pedagogista

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Suor Matilde

Si è svolto un concilio nel convento domenicano di Varazze che ha proceduto a condannare gli errori di Karl Rahner sotto gli auspici di Santa Caterina da Siena amata patrona di questa Città ligure

SI È SVOLTO UN CONCILIO NEL CONVENTO DOMENICANO DI VARAZZE CHE HA PROCEDUTO A CONDANNARE GLI ERRORI DI KARL RAHNER SOTTO GLI AUSPICI DI SANTA CATERINA DA SIENA AMATA PATRONA DI QUESTA CITTÀ LIGURE

In questi ultimi tempi ne L’Isola di Patmos c’è grande movimento: il Padre Ariel S. Levi di Gualdo è stato nominato Arcivescovo Metropolita di Napoli, mentre più in alto a salire, lungo la costa del Mar Ligure, nella Città di Varazze Padre Giovanni Cavalcoli presiedeva un Sacro Concilio di cui vi forniamo il summarium dei canoni.

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Autori
Matilde Nicoletti, S.D.B.I.
Jorge Facio Lince

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il concerto di campane del Convento domenicano di Varazze che annunciano l’apertura del Concilio [cliccare sull’immagine per aprire il video]

I concili della Chiesa non sono nuovi alla condanna di quegli errori dottrinari che sino a pochi decenni fa seguitavano ad essere chiamati eresie, oggi invece si chiamano “preziose diversità”, che come tali vanno accolte, interrogandoci semmai dove noi abbiamo sbagliato nel condannare in passato certi errori, talora anche con decisa durezza. Quelli che ieri venivano infatti chiamati «gravi errori dottrinari», oggi pare meritino di essere accolti come preziose diversità, sino a giungere a Martin Lutero che diventa un «dono dello Spirito Santo», come annunciò alla Pontificia Università Lateranse S.E. Mons. Nunzio Galantino, Segretario generale della C.E.I, dando in tal modo per scontato ‒ bene o male in modo implicito ‒ che i cupi Padri del Concilio di Trento lo condannarono ingiustamente, presumibilmente per la durezza dei loro cuori [cf. Mt 19, 8] chiusi all’amore e alla misericordia [cf. QUI].

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la Patrona della Città ligure Caterina da Siena, Santa e dottore della Chiesa, sotto i cui auspici si è svolto il Concilio di Varazze [cliccare sull’immagine per aprire il video]

Nella storia della Chiesa non mancano gli esempi di diversi concili che hanno sancito severe condanne a quegli errori che non dovremmo aver paura di chiamare tutt’oggi eresie. Forniamo solo alcuni esempi: nell’anno 325 il Concilio di Nicea condanna l’eresia di Ario che subordinava il Figlio al Padre, ossia che il Figlio, in precedenza non esistente, fu a un dato punto creato dal Padre. Mentre nella Professio fidei, nota come Simbolo niceno-costantinopolitano, professiamo «γεννηθέντα οὐ ποιηθέντα,ὁμοούσιον τῷ πατρί» [generato non creato, della stessa sostanza del Padre], in quanto «γεννηθέντα ἐκ τοῦ Πατρὸς μονογενῆ» [nato dal Padre prima di tutti i secoli]. Per seguire secoli dopo con un altro concilio, il IV Lateranense, che condanna invece l’eresia dell’Abate Gioacchino da Fiore, nota come eresia triteista, la quale consiste nel distinguere in Dio tre Persone o tre diverse nature o essenze, che di fatto equivale a dire: tre divinità. Va’ comunque precisato che di Gioacchino fu condannata la dottrina erronea, ma gli stessi Padri del Concilio che lo condannarono, non misero mai in discussione la sua indubbia santità di vita. Segue poi successivamente, nel XVI secolo, il Concilio di Trento che condanna gli errori di quel gran «dono dello Spirito Santo» di Martin Lutero [cf. QUI].

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il convento domenicano di Varazze, XVI sec.

Seguendo lo stile dei Concili, nel Convento domenicano di Varazze si sono riuniti sotto gli auspici di Caterina da Siena, Santa e Dottore della Chiesa, un gruppo di studiosi, i quali hanno indicato in quaranta brevi canoni alcuni degli errori di fondo che percorrono la speculazione teologica del teologo gesuita tedesco Karl Rahner, divenuto ormai da decenni, con i suoi clamorosi errori, un punto di riferimento per la speculazione teologica e per l’insegnamento accademico.    

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DECISIONI DEL SACRO CONCILIO DI VARAZZE

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Noi Prof. Walther Binni, biblista cattolico veterotestamentario della Shepherd University International, Padre Dionysios Papavasileiou, Monaco del Monte Athos, archimandrita ortodosso greco residente in Bologna e Padre Giovanni Cavalcoli, dell’Ordine dei Frati Predicatori, accademico pontificio, radunati nel nome di Nostro Signore Gesù Cristo e della Santissima Madre di Dio, la Θεοτόκος, nel Convento domenicano di Varazze nei giorni 13-15 novembre 2017, per trattare dei

PROBLEMI SUSCITATI DALL’INFLUSSO HEGELIANO NELLA CRISTOLOGIA DI KARL RAHNER

intendiamo, seguendo i primi sette sacri Concili ecumenici della Chiesa Una, Santa, Cattolica e Apostolica, di far conoscere sommessamente, fiduciosamente ai nostri rispettivi Prelati, rappresentanti di Nostro Signore Gesù Cristo e Custodi della santissima dottrina ortodossa insegnataci dal nostro Divino Maestro, ossia

 .

ALLA SANTITÀ DI NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO IL ROMANO PONTEFICE FRANCESCO I, VESCOVO DI ROMA, ED A SUA BEATITUDINE BARTOLOMEO II, PATRIARCA DI COSTANTINOPOLI, A LORO FILIALMENTE DEDICANDOLE, LE CONCLUSIONI ALLE QUALI SIAMO GIUNTI

  1. La verità non è identità dell’idea con la realtà, ma adeguazione dell’idea alla realtà, perché la realtà è superiore all’idea e regola della verità dell’idea.

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  1. La realtà, indipendentemente dalle nostre idee, non è posta dalle nostre idee, ma è creata da Dio.

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  1. I santissimi dogmi della fede cristiana ed ortodossa, insegnatici dalla Chiesa, non sono pure parole, umane e caduche categorie, puri pensieri umani e passeggeri, contingenti e profani, segni convenzionali, miti, simboli, immagini  o figure della verità divina, imposizioni arbitrarie che bloccano la libertà del pensiero, non sono relativi ai tempi e ai luoghi, ma sono infallibili interpretazioni della Parola di Dio, e della Sacra Tradizione dei Santi Padri. Essi, formulati con l’assistenza dello Spirito Santo, sono verità assolute e certissime, le quali raggiungono e concepiscono luminosamente, veracemente, precisamente, immutabilmente ed infallibilmente la realtà infinita dei divini Misteri, pur lasciandoli insondabili ed imperscrutabili al nostro limitato intelletto, mentre essi ci stimolano al pio e mistico silenzio ed all’adorazione.

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  1. Dio ha creato il mondo non alienandosi da sé e divenendo mondo, ma suscitandolo dal nulla.

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  1. Respingiamo fermamente come eresia gnostica la cosiddetta “esperienza preconcettuale trascendentale di Dio”, perché, come insegna il Beato Apostolo Paolo, conosciamo Dio in questa vita per mezzo delle creature (tois poièmasin, Rm 1,19-20), mentre le divine Scritture asseriscono infallibilmente che Egli è da noi conosciuto “per analogia” ( kat’analoghìan Sap 13,5).

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  1. Il mondo non completa l’essenza divina, quasi che Dio non possa esistere senza il mondo.

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  1. È eresia modalista sostenere che le Tre Persone Divine sono tre modalità di sussistenza dell’unica sussistente natura divina. Al contrario, esse sono tre soggetti sussistenti o tre ipostasi.

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  1. La Santissima Trinità non è economica per essenza, ma solo di fatto, per libera volontà. L’economia della salvezza non entra nell’essenza di Dio, ma è effetto di una sua liberissima decisione.

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  1. Il peccato originale è stato un peccato realmente commesso dalla coppia primitiva per istigazione del Tentatore e la cui colpa e le cui miserevoli conseguenze sono state trasmesse per generazione all’intera umanità.

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  1. Dio, per essere Dio, non ha avuto bisogno di incarnarsi.

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  1. È eresia marcionita affermare che, mentre il Dio dell’Antico Testamento è un Dio terribile, vendicatore, irascibile e punitore, il Dio del Nuovo Testamento è un Dio pietoso, compassionevole, misericordioso e amoroso. Al contrario, si tratta sempre dell’unico medesimo Dio, giusto e misericordioso, con la differenza che nel Nuovo è un Dio Incarnato.

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  1. Sa di eresia e di hegelismo parlare di ”storia di Dio”, anche dopo l’Incarnazione, come se l’essenza di Dio fosse immersa nel tempo e limitata dal tempo e non piuttosto eterna ed immutabile, al di sopra dello spazio e del tempo. Dio non è un ente temporale, ma è purissimo Spirito immortale, Egli che è il creatore del tempo. Con l’Incarnazione, Dio ha assunto ed innalzato a Sé, in unità di persona, in Cristo, il tempo e la storia, senza essere tempo e storia.

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  1. È eresia marcionita affermare che il vero Dio lo conosciamo solo nel Nuovo Testamento.

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  1. È eresia patripassiana e teopaschita affermare che la natura divina è passibile e mortale.

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  1. È l’eresia di Eutiche affermare che Dio, con l’Incarnazione, ha mutato la sua natura nella natura umana. Al contrario, nell’Incarnazione, resta immutato (atreptos), perché è immutabile.

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  1. È falso affermare che i concetti usati nel dogma calcedonese non sono più attuali o hanno mutato significato o vanno reinterpretati.

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  1. È un’assurdità hegeliana la tesi di Rahner, secondo la quale Dio, nell’Incarnazione, muta pur restando immutabile.

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  1. È da respingere come empietà gnostica la cosiddetta “cristologia trascendentale”, inficiata dalla ”esperienza trascendentale”, di cui al n. 5.

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  1. La “cristologia dall’alto”, ossia del Logos incarnato nel tempo, preesistente alla creazione del mondo (Gv 17,5) e la ”cristologia dal basso”, ossia “Gesù venuto nella carne” (I Gv 4,2; II Gv 7) non si escludono a vicenda, ma anzi sono reciprocamente complementari, perché questa rappresenta la via storica per iniziarsi ed elevarsi anagogicamente a quella.

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  1. In Cristo non c’è unità, ma unione delle due nature, non passano da due ad una, perché esse, benchè unite e non separate (adiairètos, e achoristos), restano distinte e non confuse (asynchitos).

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  1. Cristo sulla croce ha riconciliato noi col Padre, ottenendoci la remissione dei peccati e con la resurrezione ci consente di risorgere anche noi. Quindi, la Croce è sacrificio  pasquale ed espiativo.

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  1. È eresia nestoriana asserire che Cristo, morendo, perde la sua esistenza umana e diventa lo Spirito, come se in Cristo ci fossero due persone: una persona umana, che dilegua, e una Persona divina, che resta.

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  1. Rahner cade nel nestorianesimo anche sotto un altro aspetto. Egli assume il concetto hegeliano di persona come autocoscienza. Ora, siccome in Cristo ci sono due autocoscienze, quella umana e quella divina, ne viene che ci sono due persone. Il fatto è che le due autocoscienze dipendono dalle due nature, non dall’essere personale di Cristo, che è uno solo.

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  1. È eresia docetista e monofisita affermare che il corpo di Cristo risorto non è stato sensibilmente visto, toccato e palpato, come fosse stato una pura apparenza, svanita con la morte.

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  1. È eretico affermare che Cristo non è risorto dopo la morte, ma nella morte, quasi identificando hegelianamente la vita con la morte.

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  1. La Parusia non è un mito che rappresenta un futuro già presente, ma è predizione di un evento realmente futuro.

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  1. Noi non nasciamo in grazia, ma con la colpa originale, che viene tolta dal Battesimo.

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  1. Noi siamo creati per tendere a Dio, ma possediamo il libero arbitrio, per cui, di fatto, in base alla scelta che ciascuno fa, c’è chi vi tende e chi non vi tende.

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  1. Nel peccato si perde la grazia, ma con la metanoia la si può riacquistare.

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  1. La grazia non completa la natura umana, la quale è già di per sè dotata da Dio di una sua perfezione, benché ferita dal peccato, ma la guarisce e la libera dal peccato e la sopraeleva alla condizione della figliolanza divina ad immagine del Figlio.

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  1. Cristo non è solo modello dell’uomo, ma anche guida dell’uomo alla figliolanza divina.

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  1. Con la grazia avviene la divinizzazione dell’uomo (theosis), non però nel senso che l’uomo diventi Dio, ma nel senso che partecipa analogicamente della vita (mèthexis, koinonia) divina.

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  1. Nella grazia Dio non ci comunica la sua essenza, perché questo lo fa solo col Figlio (Deum verum de Deo vero), ma ci comunica solo una partecipazione alla sua vita.

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  1. La grazia non è Dio, perché, se fosse Dio, non la potremmo distruggere col peccato, cosa che purtroppo avviene. Infatti Dio non lo si può distruggere.

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  1. Non è vero che gli uomini sono sempre in grazia: c’è chi la possiede e c’è chi non la possiede. Ed anche un medesimo uomo, ora può possederla ed ora può perderla.

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  1. Non è vero che tutti si salvano, ma solo coloro che accettano la grazia e vivono di conseguenza.

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  1. Il fine della vita cristiana non è semplicemente naturale, ma è soprattutto diventare figli di Dio.

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  1. Il fine dell’agire cristiano non è solo la riconciliazione con Dio ed essere perdonati dai peccati, ma è soprattutto arrivare alla comunione col Padre per mezzo di Cristo nello Spirito Santo.

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  1. Compito e facoltà del cristiano non sono quelli di plasmare la propria essenza a proprio piacimento, ma quelli di obbedire alle leggi di Dio in base ad una conoscenza della natura umana e dei suoi fini naturali e soprannaturali.

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  1. Tra la natura umana nella sua finitezza e quella divina infinita c’è un dislivello infinito. Eppure la grazia ci rende figli di Dio.

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Sia lode e gloria nei secoli eterni alla Santissima Trinità.

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Varazze, 13-15 novembre 2017

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Post Scriptum

Il neoeletto Arcivescovo Metropolita di Napoli, S.E. Mons. Ariel S. Levi di Gualdo [cf. QUI], non ha potuto prendere parte al Concilio di Varazze perché si trova alle terme per un periodo di esercizi spirituali prima di ricevere la consacrazione episcopale. Ha infatti scelto come luogo di ritiro le terme, perché, facendo i fanghi, si sta preparando ad entrare nel suo ruolo di vescovo povero per i poveri. 

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ma portare, diffondere e difendere la verità non solo ha dei
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Padre Ariel S. Levi di Gualdo nominato alla sede arcivescovile di Napoli. Il sommo Pontefice Francesco è rimasto commosso dalla sua meditazione: «I poveri e la povertà sono il volto del Corpo mistico di Cristo»

PADRE ARIEL S. LEVI di GUALDO NOMINATO ALLA SEDE ARCIVESCOVILE DI NAPOLI. IL SOMMO PONTEFICE FRANCESCO È RIMASTO COMMOSSO DALLA SUA MEDITAZIONE: «I POVERI E LA POVERTÀ SONO IL VOLTO DEL CORPO MISTICO DI CRISTO»

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Cari Lettori de L’Isola di Patmos, è con trepidazione e gioia che vi do questo lieto annuncio: sono stato scelto come Arcivescovo Metropolita di Napoli, ed allo scoccare del 75° anno di età di Sua Eminenza il Cardinale Crescenzio Sepe, prenderò io il suo posto sulla cattedra episcopale di San Gennaro. Dato questo annuncio, intendo adesso rendere pubblico il mio scritto attraverso il quale, il Romano Pontefice, per gli amici “Padre Francesco”, ha visto in me il candidato ideale ed ha deciso: «Tu sarai il Vescovo delle periferie esistenziali di Napoli».

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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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PDF  testo formato stampa 

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Dio è la salvezza nel povero suo vero volto e nel profugo che è il suo corpo, essendo Egli solo il figlio di un operaio, detto in arte Figlio di Dio.

Yĕhošūah ben Joseph

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lo stemma episcopale del Padre Ariel S. Levi di Gualdo, spiegato più avanti nella seconda parte di questo saggio breve nel quale è riportata la sua meditazione teologico-pastorale sui poveri e sulla povertà che gli è valsa la nomina episcopale

Questo mio saggio breve si apre e si chiude con una esortazione fatta dal Beato Apostolo Paolo in una epistola indirizzata al suo discepolo Timoteo:

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«Se uno aspira all’episcopato, desidera un nobile lavoro. Ma bisogna che il vescovo sia irreprensibile, non sposato che una sola volta, sobrio, prudente, dignitoso, ospitale, capace di insegnare, non dedito al vino, non violento ma benevolo, non litigioso, non attaccato al denaro […]» [I Tm 1, 2-3].

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In un altro passo, il Beato Apostolo esorta:

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« Aspirate ai carismi più grandi! E io vi mostrerò una via migliore di tutte […]» [I Cor 12, 31].

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Ma soprattutto, il Verbo di Dio fatto Uomo è molto chiaro quando in una apposita parabola parla dei talenti che a ciascuno di noi sono stati dati [cf. Mt 25, 14-30]. Anzitutto, ciascuno di noi, deve essere consapevole dei talenti ricevuti, perché se non lo fosse non potrebbe mai farli fruttare. Va da sé che i più talentati in modo particolare, non devono cadere mai nelle diaboliche insidie della superbia, temibile regina e locomotrice di tutti gli altri peccati capitali, perché la consapevolezza delle proprie oggettive capacità deve essere sempre unita a un’altra consapevolezza: i talenti non sono merito nostro, ma dono misterioso della grazia di Dio; non ci sono dati per il nostro onore, ma per la gloria di Dio, per servire attraverso di essi Cristo Dio e la sua Chiesa. Per quanto mi riguarda non dubito che mi farò un po’ di meritato Purgatorio per la purificazione della mia anima, ma è altrettanto vero che se dovessi presentarmi tra poco dinanzi al giudizio immediato di Dio, su una cosa andrei sicuro al cospetto del Creatore: la certezza oggettiva di avere amata, venerata e ubbidita la Chiesa, ed avere servito in ogni modo il Popolo di Dio, trascorrendo la mia vita sacerdotale a supplire le mille pigrizie di non pochi miei confratelli, a partire da quelli che trincerandosi dietro non meglio precisati “impegni pastorali”, non hanno mai tempo per confessare, per visitare gli ammalati, per portar loro la Santa Comunione, per amministrare la sacra unzione agli infermi ed ai morenti, per stare vicini alle persone in difficoltà e via dicendo a seguire, perché per questo siamo diventati preti, non per mandare le “pie donne”, o come qualsivoglia le invadenti “pretesse”, a visitare gli ammalati ed a portare loro la Santissima Comunione.

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A me piace fare il teologo e attraverso la teologia credo di rendere un prezioso servizio alla Santa Chiesa di Dio, specie in questi tempi di selvaggia eterodossia diffusa, ma non esiterei ad abbandonare qualsiasi speculazione teologica se ciò comportasse il trascurare la dimensione pastorale ed apostolica, perché sono diventato prete per celebrare il Sacrificio Eucaristico, per assolvere dai peccati, per amministrare i Sacramenti secondo le potestà del mio grado sacramentale, per assistere i Christi fideles. Questa è la priorità, ed a questa priorità si sacrifica tutto, anche la speculazione teologica. O per dirla con un esempio: se dei fedeli, come più volte è capitato, vengono a chiamarmi a casa perché non trovano un prete in tutte le parrocchie della Città che vada a dare l’unzione ad un infermo ― essendo i giovani parroci impegnati in estenuanti e imprecisate “attività pastorali” ―, ed io sto uscendo in quel momento per andare a tenere una lectio magistralis sul mistero dell’Incarnazione del Verbo di Dio, ebbene: prima vado ad amministrare la sacra unzione all’infermo, poi vado a tenere la lectio magistralis, perché, se non facessi così, dimostrerei di non aver capito come mai, il Verbo di Dio si è fatto Uomo. Cosa che tra i preti, a non averlo capito, sono purtroppo davvero in molti, ahimè sempre di più.

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Volete poi sapere dov’è che si trovano, sempre e di rigore, il genere di preti pigri e assenteisti poc’anzi menzionati? Presto detto: piazzati dai loro Vescovi nelle più grandi e ricche parrocchie delle diocesi, protetti e resi intoccabili da autentiche cosche mafiose formate perlopiù da sacerdoti pigri e mediocri tanto e quanto loro, che vivono col terrore che chicchessia possa in qualsiasi modo alterare lo stato di morte cerebrale da essi generato nelle Chiese particolari, offrendo esempi di vita sacerdotale del tutto diversi dai loro. E, se tutto va bene, spesso questi preti li troviamo a fare i figli non cresciuti a casa di mammà e papà, ripeto: se tutto va bene. Oppure li troviamo circondati dai loro amati nipoti, pieni di mille bisogni e di altrettanti vizi, i quali attendono che lo zio prete tiri prima o poi le cuoia, per avere in legittima eredità tutto ciò che in una vita di pigrizia e di avarizia hanno rubato dalle casse della Chiesa, dalla quale tutto hanno avuto, ed alla quale tutto dovrebbero dare ‒ o perlomeno restituire ‒ alla loro morte.

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Malgrado i miei peccati sono sereno riguardo il giudizio di Dio, perché esso non si basa sulla “emotività divina”, perché Dio non è emotivo, è giusto. E la sua giustizia si sorregge sulla pura aequitas, che all’occorrenza è aequitas compensativa. Quanti erano i santi e le sante che avevano veramente un brutto carattere, o che quando aprivano bocca erano capaci ― come suol dirsi ― a lasciare all’occorrenza vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose letteralmente “in pasto ai maiali”? Eppure tutti loro sono stati giudicati sulla carità, per questo si sono santificati; così come ciascuno di noi, sarà giudicato sulla carità. E la carità, dinanzi agli occhi ed al giudizio di Dio, produce un grande effetto compensativo. O come spesso mi capita di dire in confessionale ai penitenti: «La carità è come un battesimo che ci rinnova alla grazia e che cancella la colpa, a volte, chissà, agli occhi di Dio può cancellare persino la pena da scontare per il peccato perdonato, ma questo Lui solo può saperlo, perché solo Lui, malgrado i nostri difetti e peccati commessi, può decidere di ammetterci, per meriti di carità compensativa, direttamente nel Paradiso tra le anime beate».

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SE PER DONO DELLA GRAZIA DI DIO CREDO DI ESSERE UN PRETE DI TALENTO, NON È PERCHÉ ME LO DICONO GLI AMICI, MA PERCHÉ LO AFFERMANO I MIEI PEGGIORI NEMICI

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Se credo d’essere un uomo dotato di talenti, non è che lo creda perché me lo dicono gli amici, od i cosiddetti ammiratori, perché quelli non fanno proprio testo. Lo credo perché da sempre lo affermano i miei peggiori nemici. Infatti, nessuno tra quegli ecclesiastici che se potessero mi avrebbero tolto non solo il Sacramento dell’Ordine, ma persino il Sacramento del Battesimo e poi bruciato vivo, ha mai affermato che sono un mediocre teologo, od un prete immorale, perché proprio i miei peggiori nemici, ben guardandosi da qualsiasi genere di confronto con me in materie di dottrina e di fede, sono soliti affermare da sempre: «È dotato di brillante intelligenza e profonda preparazione teologica». Aggiungendo appresso: «E ciò lo rende molto pericoloso». Per seguire con affermazioni del tipo: «Ha una cultura enciclopedica», «ha una intelligenza diabolica», «Non è un emotivo sentimentale che può essere fatto cadere in trappola nei suoi sentimentalismi, perché quando rivolge dure critiche costruisce sempre le sue tesi sul dato oggettivo e con criteri basati sulla pura logica, ed in tal caso è bene non smentirlo, perché si corre il rischio di essere fatti più neri ancora dalla sua maledetta lingua e dalla sua penna ancor più maledetta della sua lingua stessa». Ma soprattutto, loro malgrado, sono costretti ad ammettere: «Conduce una vita sacerdotale moralmente impeccabile». Se infatti non ammettessero questo, si farebbero ridere dietro dalla gente, visto che la mia vita si svolge alla pubblica luce del sole, sotto gli occhi delle persone che sanno sempre dove sono, con chi sono e che cosa faccio, ma soprattutto sanno bene cosa non faccio e con chi non sono. E, questi cari nemici, perlopiù caratterizzati da una mediocrità desolante, da sempre mi hanno tenuto lontano da tutti gli àmbiti accademici, senza che nessuna autorità ecclesiastica abbia mai avuti gli urologici attributi virili per dire: «Insomma, se Dio manda alla sua Chiesa uomini di capacità e di talento, possiamo forse emarginarli per non irritare l’esercito di soggetti altamente scadenti che stanno facendo affondare giorno dietro giorno la Chiesa universale nel ridicolo, proferendo eresie a raffica dalle cattedre delle nostre istituzioni accademiche e dai pulpiti delle più grandi chiese storiche?».

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Detto questo possiamo poi aggiungere che nessuno dei Vescovi alla cui autorità apostolica sono stato sottoposto nel corso degli anni, ha mai sollevato mezzo sospiro sulla mia condotta di vita, perché, sempre alla prova dei fatti non passibili di facile smentita, io sono un sacerdote che non ha mai dato alcun problema di natura morale, dottrinale e patrimoniale. Pur malgrado, proprio i Vescovi che si trovano con un clero improponibile sotto i più gravi aspetti morali, dottrinali e patrimoniali, a me non hanno mai dato alcun incarico pastorale ufficiale, perché se lo avessero fatto vi sarebbe stato un violento sollevamento contro di loro da parte di preti le cui condotte morali, dottrinali e patrimoniali, costituiscono pubblici scandali alla luce del sole, rigorosamente tollerati, a volte persino nascosti e protetti, da quegli stessi vescovi pronti poi a trincerarsi dietro discorsi patetici quali ad esempio: «Ah, la situazione è delicata, io devo gestire fragili equilibri». Per giungere poi alla vergognosa frase conclusiva: «Che cosa ci posso fare?». E dinanzi a questo quesito, qualcuno si è sentito rispondere da me in questi termini: «Quando le fu prospettata la nomina episcopale, ed assieme ad essa le fu illustrato in modo chiaro e realistico l’effettivo grave stato in cui versava la diocesi che intendevano affidarle, per quale motivo ella ha accettato? Forse per poi dire … “Che cosa ci posso fare?”».

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Purtroppo si tratta del mistero umano ― non certo del mistero della fede ―, dei poveri omuncoli che scalpitano per avere certi onori, ma che per nessun verso e per alcuna ragione vogliono però assumersi i ben più gravosi oneri derivanti dal loro alto ufficio.

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I VESCOVI ELETTI NEGLI ULTIMI ANNI SOMIGLIANO AGLI ADOLESCENTI SPOCCHIOSI CHE SI DANNO ARIE DA AUTENTICI SCIUPA FEMMINE

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Non pochi, tra i vescovi eletti negli ultimi anni, somigliano a certi piccoli e spocchiosi adolescenti che, allo spuntar del primo fragile pelo sul pube, se ne vanno in giro a narrare, come degli autentici sciupa femmine, d’aver fatto mirabolanti scorribande con delle donne trentenni ultra navigate, oltre che impossibili pressoché da raggiungere in virtù della loro bellezza e posizione sociale. Questo genere di adolescenti, da sempre, nella società civile fanno tenerezza, perché, con i loro racconti assurdo-fantasiosi, inducono al morir dal ridere chiunque li ascolti. Purtroppo, nel corpo ecclesiastico di oggi, questo genere di adolescenti vengono invece eletti sciupa femmine ufficiali dalla Santa Sede, quindi dichiarati sposi di qualche grande ed antica Chiesa particolare che, per loro, dovrebbe essere in tutto equiparabile ad una donna impossibile pressoché da raggiungere per la sua bellezza e la sua posizione sociale. E, una volta divenuti vescovi, non fanno tenerezza né fanno morir dal ridere, ma fanno piangere, perché col loro agire incompetente produrranno tanti e tali danni che solo per essere riparati parzialmente richiederanno decenni di lavoro da parte di vescovi santi, ammesso che domani se ne trovino sempre, di vescovi santi, dopo la immane devastazione della Gerusalemme terrena operata da questa nuova generazione di Vescovi che al primo fragile pelo spuntato sul loro pube presbiterale affetto da patologia da micropene congenito, si sono però creduti più dotati di uno stallone di razza e più belli di Rodolfo Valentino.

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Essendo ormai un uomo di 54 anni, ecco che nella maturità, o per meglio dire ormai in cammino verso la vecchiaia, mi sono messo ad aspirare ai «carismi più grandi». E, come ben capite, dinanzi ad una fetta sempre più ampia di episcopato che mostra d’aver seri problemi sulla conoscenza del Catechismo della Chiesa Cattolica, seguendo il monito del Beato Apostolo Paolo «se uno aspira all’episcopato, desidera un nobile lavoro», mi sono messo ad aspirare all’episcopato. E vi ho aspirato animato dalla serena e cosciente consapevolezza che di questi tempi sarei anche un ottimo vescovo, rispetto a certi adolescenti che allo spuntar del primo pelo sul pube sono stati dichiarati dalla Santa Sede stalloni di razza e quindi sposi di qualche grande ed antica Chiesa particolare.

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CHIESA ED ECONOMIA BANCARIA. COME FARMI STRADA VERSO L’EPISCOPATO, NON POTENDO IO ESSERE BENEFICIATO CON UNO DI QUEGLI ASSEGNI IN BIANCO FATTI FIRMARE AL ROMANO PONTEFICE DA UNA “CORTE DEI MIRACOLI” FORMATA DA DEGLI AUTENTICI BANCAROTTIERI POST SESSANTOTTINI AL POTERE ?

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Come tutti gli uomini di fede dotati al tempo stesso di talenti a me elargiti per mistero di grazia da Dio, ho dovuto anzitutto fare i conti con quelli che al tempo stesso sono i miei grandi limiti; perché un uomo non capace a confrontarsi con i propri limiti umani, non può essere né un uomo dotato di autentica intelligenza, né un uomo di fede. E il mio primo insormontabile limite era costituito dal fatto di non avere da parte mia contatti con la “corte dei miracoli” che da tempo circuisce il Romano Pontefice, portando a Sua Santità i pizzini con i nomi dei vescovi selezionati secondo tutti i migliori crismi del modernismo, ma incensati col fumo del gran turibolo dei poveri e della povertà. Insomma, tanto per essere chiari: tutti sappiamo che il Pontefice regnante ha dato chiare disposizioni sulla scelta dei nuovi Vescovi, precisando che li vuole «pastori con l’odore delle pecore» e con una «particolare predilezione per i poveri». Or bene, capisco che la storia sarebbe davvero lunga, ma forse, il Pontefice regnante, non è sufficientemente illuminato su che cosa è stato, in un Paese come l’Italia, il Sessantotto. Allora, casomai la Santità di Nostro Signore Gesù Cristo mi leggesse, provo a narrarglielo in breve io, che cosa è stato il nostro patetico Sessantotto …

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… il Sessantotto italiano è stato un movimento di contestazione formato e portato avanti dai più ricchi figli di papà che parlavano di proletariato, di classe operaia e di lotta di classe, per poi rientrare nelle loro case dove erano serviti dalle governanti e dai domestici in livrea. I contestatori con l’odor di proletariato addosso, erano i rampolli delle famiglie di industriali e d’imprenditori presi a lottare contro la classe politica borghese e le vecchie baronìe accademiche. Erano anche e soprattutto dei grandi ignoranti, perché mentre i vecchi e meritoriamente contestati vecchi baroni accademici, alle spalle avevano una grande tradizione, ma soprattutto una grande cultura, i contestatori finto-proletari, alle spalle avevano invece una ignoranza abissale, ed uno appresso all’altro si sono laureati nei collettivi politici discutendo sulla immaginazione al potere, sul vietato vietare, o dissertando sui sigari cubani fumati da Ernesto Guevara detto El Che. E così, nel post Sessantotto, ci siamo ritrovati nelle scuole e nelle strutture accademiche un esercito di ignoranti patentati, altrettanto è accaduto nella classe politica. Degli ignoranti caratterizzati da una impostazione ben precisa: erano aggressivi e coercitivi come pochi ‒ o sotto certi aspetti come mai s’era visto prima ‒, con coloro che non la pensavano come loro. E, a partire dagli anni Settanta, questi post sessantottini in cattedra hanno devastate generazioni intere di studenti, prendendo di mira con raro spirito distruttivo tutti coloro che non erano disposti ad omologarsi al loro indiscutibile pensiero. E di questo, chi scrive, ne è stato sia vittima sia testimone.

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Ecco, non sapendo e non immaginando con quali falsi opportunisti e trasformisti avrebbe finito col giocare, il Pontefice regnante, al grido di «Odor di pecore», «poveri e povertà», ad un cinquantennio di distanza dal Sessantotto ha creato nell’episcopato la stessa identica situazione rovinosa. Una situazione che, con tutto il più devoto e sacro rispetto, poteva essere creata solo da un argentino ingenuo che non ascolta nessuno e che non vive nel mondo, ma nella sua idea di mondo. E, detto questo, per quanto riguarda queste mie parole, concludo dicendo che sarà il tempo, a darmi torto o ragione nel giorno di domani, mentre l’episcopato post sessantottino affonda sempre di più, tra l’ignoranza delle pecore e la più desolante povertà della dottrina e dello spirito. 

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I membri di questa “corte dei miracoli” stile Sessantotto clericale, formata come più volte ho scritto e ripetuto da degli autentici delinquenti, che con la proposta di certe nomine episcopali inducono il Romano Pontefice a firmare degli assegni in bianco senza che sopra di essi sia neppure indicata la cifra per la messa all’incasso, un soggetto come me lo giudicano come fumo agli occhi, anzi peggio: mi considerano più pericoloso delle radiazioni del reattore nucleare di Cernobyl.

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Per quanto riguarda il giro di assegni in bianco, sia anzitutto chiaro che certi rapporti sono unilaterali e non bilaterali. Infatti, quando al Vescovo che in piena e perfetta comunione col Vescovo di Roma mi ha consacrato sacerdote, io ho promesso obbedienza e filiale rispetto a lui ed a tutti i suoi successori, in un certo senso ho firmato un assegno in bianco con il carnet di assegni tratto dalla Banca della Fede, presso la quale non esistono limiti di spesa, perché alla Banca della Fede la copertura è illimitata. Attenzione però, perché il Vescovo in piena e perfetta comunione col Vescovo di Roma, dal canto suo non ha firmato, né mai ha messo nelle mie mani un assegno in bianco senza cifra e data per l’incasso, perché sono io che ho promesso solennemente a lui, non lui ad aver promesso solennemente a me. Purtroppo oggi, quel che sta accadendo, è una pericolosa alterazione e inversione di tutti i criteri economico-commerciali: basta infatti che al Sommo Pontefice si presentino i delinquenti della “corte dei miracoli” che lo lusingano e lo circuiscono, dicendogli che quel tal prete ha scritto un libello sui poveri e sulla povertà secondo i migliori crismi socio-politici della Scuola di Bologna, o che quell’altro s’è occupato dei poveri migrantes e che considera lo jus soli più importante di quanto invece non lo siano le cupe dottrine sui grandi dogmi cristologici, che questi si mette a firmare a raffica i pericolosi assegni in bianco delle nomine episcopali, senza indicare in essi né la cifra né la data. Inutile dire che, siccome presso la Banca della Fede, per questo genere di assegni non c’è né liquidità né copertura, non avendo lasciato il Fondatore della Chiesa alcun genere di fondo a garanzia per simili spese scellerate, presto accadrà che uno dietro l’altro, questi assegni, finiranno protestati. Perché a questo i delinquenti della “corte dei miracoli” ci stanno conducendo: alla bancarotta. Infine, all’improvvido firmatario, il Divino Direttore della banca ritirerà il blocchetto degli assegni, ed a poco varrà che costui si metta a scalpitare dicendo di essere l’unico, valido, lecito e legittimo titolare del conto corrente, perché a quel punto, il Divino Direttore, gli ricorderà che la ricchezza a lui affidata avrebbe dovuto gestirla e farla fruttare secondo i migliori criteri dell’economia cristologica che sono tutti riassunti nella celebre Parabola dell’amministratore fedele e saggio [cf. Lc 12, 39-48]. Coloro che poi avranno sofferti e subìti danni a causa di questo gran smercio di  assegni a vuoto, al Divino Giudice del Supremo Tribunale ‒ il quale è misericordioso perché anzitutto è giusto ‒, chiederanno che sia aperta la procedura di fallimento dell’Azienda Chiesa Cattolica e che si proceda immediatamente con i sequestri per cercare di recuperare anche e solo in parte i crediti. E forse, il primo bene immobile che sarà posto sotto sequestro, sia per la tutela del credito sia per evitare ulteriori danni futuri, sarà proprio la Cappella Sistina …

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… in questo clima di amministrazione controllata che fa da preludio alla procedura di fallimento, per raggiungere il mio scopo ho preso alla lettera il monito di Cristo Dio che ci esorta: «Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe» [Mt 10, 16], memore del fatto che «I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce» [Lc 16, 8].

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HO PROVATO A IMPARARE DAI SERVI FALSI E IPOCRITI, CHE IN QUANTO TALI SONO RUFFIANI E INFEDELI VERSO IL PADRONE, ED AGENDO COME LORO HO AVUTO ANCH’IO IL MIO ASSEGNO IN BIANCO SENZA COPERTURA …

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Adesso vi rivelo pubblicamente quel che ho fatto per raggiungere il mio scopo: anzitutto mi sono tolto la talare romana di dosso, ho bruciato il saturno di castorino che ogni tanto indosso durante l’inverno quanto tira vento, sono andato in un negozio di abbigliamento ecclesiastico ed ho acquistato una di quelle orrende camicie sintetiche col francobollino bianco estraibile sotto il collo, che naturalmente ho lasciato mezzo slacciato; mi sono messo un paio di jeans sotto la camicia, badando bene di arrotolarmi su le maniche fino al gomito, ho indossato un paio di scarpe da ginnastica e mi sono lasciato la barba per tre giorni. Ho poi corretto la mia camminata cercando di incurvare la schiena, casomai apparisse troppo diritta; ho prudentemente evitato di procedere con una andatura elegante ed ho preso a camminare in modo ciondolante. Infine mi sono presentato in Vaticano alla Domus Sanctae Marthae dicendo in portineria che stavo prodigandomi per la tutela di uno zingaro di etnia sinti, il quale era sottoposto a gravi discriminazioni solo perché si era difeso in modo legittimo dalle domande di un giornalista fastidioso e insistente spaccandogli il setto nasale e massacrando di botte il suo cameraman [cf. filmati  QUI, QUI, QUI]. E così hanno riferito al Sommo Pontefice che nella hall dell’albergo c’era un prete molto pecoreccio che reclamava di parlare col Sommo Pontefice per una questione legata a dei poveri zingari discriminati. Ebbene, forse non ci crederete, ma è venuto lui di persona nella hall a ricevermi.

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Quando ho visto spuntare a distanza e poi venir verso di me il Romano Pontefice, con l’ausilio della grazia di Dio ho corretto il mio istinto incorreggibile impresso nel mio DNA di prete, seguendo il quale avrei piegata la testa, mi sarei messo in ginocchio per il bacio della mano e, rialzandomi, non avrei aperta bocca se non per rispondere, perché dinanzi al Romano Pontefice non si inizia alcun discorso, si attende a testa bassa che lui dia inizio ad un discorso; non si chiede, si risponde solo se lui ti interroga, sebbene oggi sia uso che il Romano Pontefice si faccia intervistare anche da giornalisti che hanno trascorse le loro esistenze a sprezzare i fondamenti più basilari del deposito della fede cattolica. Ripeto, con l’ausilio della grazia di Dio non sono caduto in questa serie di errori che sarebbero stati letali, ed appena l’ho visto a distanza mi sono messo a sbracciare come un perfetto zoticone dicendo ad alta voce: «Padre Francesco!». E mi sono precipitato verso di lui, senza piegare il ginocchio destro dinanzi alla sua Augusta Persona e men che mai baciandogli la mano, ma abbracciandolo stretto. Poi, battendogli una mano sulla spalla, gli ho detto: «Padre, ti ringrazio per avermi ricevuto, perché solo tu, in questa società sempre più discriminatoria, puoi aiutarmi a render giustizia a un gruppo di zingari discriminati appartenenti alla famiglia Spada. Si tratta infatti di un clan familiare veramente molto per bene, grazie al quale è salvaguardata e tutelata la grande cultura di questi zingari, che sono tutte persone che vivono di onesto lavoro [cf. QUI]. E io, caro Francesco, ti posso testimoniare la bontà, l’onestà e il grande spirito di lavoro di questa gente, perché quando in Via Merulana mi cadde di tasca il portafogli, due zingare, una delle quali gravemente infortunata, invalida permanente e con gravi problemi di deambulazione ‒ entrambe per inciso appartenenti al giro degli accattoni organizzato nel centro di Roma dal Clan dei Casamonica [cf. vedere filmato QUI] ‒, si alzò in piedi da terra dall’angolo nel quale chiedeva l’elemosina, rincorrendomi con la stampella assieme all’altra, anch’essa invalida perché con un braccio mutilato, gridandomi entrambe alle spalle: «Signore, il portafogli, il portafogli! Signore, le è caduto di tasca il portafogli!». E, narrato il tutto, preciso al Romano Pontefice: «Sai, Padre Francesco, mi chiamarono in modo gentile “Signore” perché non sapevano che ero un prete. Perché io, essendo un prete per il popolo, con il popolo e in il Popolo ― perché questo significa veramente a livello mistagogico per Cristo, con Cristo e in Cristo ―, viaggio sempre in abiti civili. O vogliamo forse tornare a spaventare la gente con le nostre lunghe vesti nere da corvi tristi e semmai pure mettendoci in testa quel ridicolo saturno che alcuni irriducibili considerano elegante?».

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Gli occhi del Sommo Pontefice sono diventati luminosi e, ve lo confesso, in quel momento si è realizzata la scrittura: «Allora Gesù, fissatolo, lo amò» [Mc 10. 21].

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LA MIA POVERA MAMMA CHE PULIVA LE SCALE DEI PALAZZI ALLE LUCI DELL’ALBA E MIO PADRE CHE RACCOGLIEVA I PEZZI BUONI GETTATI PER ERRORE TRA GLI SCARTI DELLA FRUTTA E VERDURA

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Se il cuore del Pontefice regnante è una cassaforte colma di grandi tesori spirituali, per aprirla io ho usata la combinazione giusta: “poveri & povertà”. Quindi non sono andato da lui a mani vuote, ma come fanno da quattro anni tutti i peggiori scassinatori mi sono portato dietro la “combinazione di apertura”, o per meglio dire un mio studio intitolato «I poveri e la povertà sono il volto del Corpo Mistico di Cristo». E quando il Sommo Pontefice mi ha chiesto quale rapporto avessi avuto con i poveri e la povertà a livello familiare e sociale, anzitutto ho risposto narrandogli che la mia famiglia era così povera, ma così povera, che quando i topi entravano nella dispensa della nostra cucina, non trovandovi niente dentro ne uscivano fuori con le lacrime agli occhi. Né mi sono sentito umiliato a narrargli che la nostra casa era così povera che non avevamo neppure il bagno, come gabinetto usavamo la lettiera del gatto. Poi gli ho parlato degli immani sacrifici di mia madre, all’epoca già vedova in giovane età, avendo perduto il marito ad appena 48 anni. E sebbene straziata dal dolore, alle cinque del mattino già lavorava ricurva a pulire le scale dei palazzi prima ancòra del sorger del sole, per pagare al figlio dei corsi di studio negli Stati Uniti d’America, costo dei quali erano all’epoca 18.000 U.S. $. Quindi spiegai in dettaglio che questa donna povera, tra le mie spese di viaggio, il costo degli studi ed il soggiorno, dovette pulire le scale dei palazzi per la bellezza di circa 25.000 U.S. $, il tutto in anni nei quali un dollaro equivaleva nel nostro vecchio conio a 1.500/1.600 Lire italiane, all’incirca trentotto milioni delle vecchie Lire. Tanto che mia madre incominciò ad anticipare i lavori di pulizia delle scale, ed anziché cominciare alle cinque del mattino, cominciava alle quattro. Il Sommo Pontefice si è molto commosso dicendomi: «Ah, che cosa sono capaci a fare, le madri povere, per i loro figli. Tu sei veramente figlio di una santa!».

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Poi gli ho narrato le incomprensioni patite dai miei genitori poveri da parte della vecchia Chiesa, quella gestita dai vescovi-principi senza amore e misericordia; una vecchia Chiesa nella quale un prete-fariseo minacciò i miei nonni che non avrebbe battezzato loro figlio, ossia mio padre, solo perché volevano chiamarlo Palmiro, in onore del capo dei comunisti italiani Palmiro Togliatti. Durissima sin dalla prima infanzia fu la vita del mio genitore, che a causa di denutrizione si ammalò da bimbo di tubercolosi, perché i suoi genitori non potevano curarlo e nutrirlo, motivo per il quale crebbe rachitico, ed essendo brutto ebbe in seguito grossi problemi a sposarsi. Lo sposò comunque mia madre, in parte per carità, in parte perché, essendo anch’ella brutta a causa dei postumi di una poliomelite infantile e poi per una varicella avuta in età adulta che le lasciò la pelle tutta quanta butterata, finì per formare con mio padre una coppia affine e solidale.

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Per tutta la vita mio padre lavorò a raccogliere la verdura scartata dai fruttivendoli al mercato generale della frutta e verdura, per poi rivendere a pochi soldi i pezzi buoni che riusciva a ricuperare tra gli scarti. Malgrado però tutto questo dolore e queste umiliazioni sofferte dalla mia famiglia povera, esistono persino delle malelingue farisaiche e dei cristiani tristi che osano smentire queste verità rendendomi oggetto di infami calunnie, pur di tagliarmi le gambe per la nomina episcopale, per esempio narrando in giro che io provengo da una famiglia benestante e che mio padre era bello come un attore di Hollywood. Ma si tratta di menzogne, di pure e vergognose calunnie messe in giro falsamente su di me per impedirmi di poter essere promosso all’episcopato. Basti dire che mio fratello, che è paraplegico e che riesce ad articolare solo la parte destra del corpo, mentre nella bassa Maremma, tra la Toscana ed il Lazio, si guadagna da vivere come guardiano di un branco di cinghiali d’allevamento, nel tempo libero, con l’uso di una mano sola, mi sta intagliando un pastorale fatto con del legno di ulivo, che vuole essere simbolo di pace, amore e povertà.

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Terminato quest’ultimo racconto ho dovuto allungare al Romano Pontefice una salvietta per detergersi le lacrime dagli occhi, perché ormai era profondamente commosso. Ripresosi poi dalla commozione dopo quegli struggenti racconti, egli ha sospirato, mi ha battuto una mano sulla spalla e mi ha detto: «Non te la prendere, perché a dire certe falsità sul tuo conto possono esser solo coloro che io chiamo i “cristiani pipistrelli”, quelli che cercano il male ovunque».

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Quando in seguito il Romano Pontefice mi ha detto che vedeva in me un prete dal profilo episcopale, in virtù della mia sensibilità verso i poveri, io mi sono affrettato a rispondere: «Padre Francesco, io posso anche accettare la nomina episcopale, purché mi venga però affidata una diocesi piena di periferie esistenziali e mi sia concesso di mettere, sullo scudo del mio stemma episcopale, l’immagine della piccola fiammiferaia» [Vecchia fiaba di H.C. Andersen, testo leggibile QUI]. Il Romano Pontefice mi ha chiesto quale, tra le tante, tra le troppe diocesi italiane potesse essere quella a me più adatta per portare il mio lieto annuncio ai poveri, ed io, senza esitare, ho risposto: «Padre Francesco, io credo di essere nato per fare il Vescovo di Napoli». E ho precisato: «Nota bene, Padre Francesco, ho detto solo: Vescovo. Mica ho detto Arcivescovo Metropolita di Napoli, antica e grande sede arcivescovile, con dodici diocesi suffraganee, tradizionalmente sede cardinalizia, con un clero di oltre mille sacerdoti e via dicendo a seguire. No, nulla di tutto questo, perché io desidero essere solo il vescovo dei poveri; e se la cosa ai ricchi non dovesse andar bene, che vadano pure a cercarsi un vescovo-prìncipe modello vetero-feudale o borbonico. E ti dirò di più, Padre Francesco: prendendo possesso della cattedra, non dirò cose banali e scontate, tipo che mi propongo di portare di nuovo il Vangelo e la sana dottrina cattolica in una terra ormai più pagana che cristiana, tal è tutta l’Italia, ma in particolar modo il nostro Meridione ridotto ormai a una fede pagano-folcloristica. Nulla di tutto questo, io annuncerò in modo chiaro che lo scopo del mio episcopato sarà quello di sconfiggere la Camorra ed i camorristi e, come bussola di orientamento del mio episcopato, prenderò a modello i documenti della Commissione Nazionale dell’Antimafia. Perché là dove non sono riusciti i governi sia monarchici che repubblicani degli ultimi centocinquant’anni, vi riuscirò io con la potenza di una scomunica episcopale. E tutte le migliaia e migliaia di poveri ai quali la Camorra paga le case, gli stipendi, le pensioni e le assicurazioni, mantenendo intere famiglie di condannati al carcere per reati di mafia ― perché la Camorra è un vero e proprio Stato nello Stato, con una propria “legge” e soprattutto con una propria ricca economia ―, saranno tutti quanti e di rigore dalla parte mia, pronti a sollevarsi in massa contro il potere camorristico, perché io sarà il loro vescovo sociale, il loro vescovo rivoluzionario».

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Cari Lettori de L’Isola di Patmos, è con trepidazione e gioia che vi do quindi il lieto annuncio: sono stato scelto come Arcivescovo Metropolita di Napoli, ed allo scoccare del 75° anno di età di Sua Eminenza Rev.ma il Cardinale Crescenzio Sepe, prenderò io il suo posto sulla cattedra episcopale di San Gennaro. Dato questo annuncio, intendo adesso rendere pubblica la mia meditazione attraverso la quale, il Romano Pontefice, per gli amici “Padre Francesco”, ha visto in me il candidato ideale ed ha deciso: «Tu sarai il Vescovo delle periferie esistenziali di Napoli». Si tratta di una meditazione che sarà la bussola di orientamento pastorale e dottrinale del mio episcopato.

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ECCO IL TESTO DELLA MEDITAZIONE TEOLOGICO PASTORALE PREMIATA CON L’EPISCOPATO

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IN VIRTÙ DI QUESTA MEDITAZIONE PASTORALE-TEOLOGICA: «I POVERI E LA POVERTÀ SONO IL VOLTO DEL CORPO MISTICO DI CRISTO» PADRE ARIEL S. LEVI DI GUALDO È STATO NOMINATO ARCIVESCOVO METROPOLITA DI NAPOLI, NEL SUO STEMMA ARCIVESCOVILE L’IMMAGINE DELLA PICCOLA FIAMMIFERAIA CON IL MOTTO «ECCO LA FIAMMA DEI POVERI»

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Quando il Romano Pontefice ha riconosciuto in me un sacerdote dal profilo episcopale e mi ha chiesto in quale eventuale diocesi avrei gradito svolgere il sacro ministero apostolico, ho risposto che in mia qualità di membro di questa nostra grande multinazionale di esperienze religiose umanizzanti, nota da secoli come Chiesa Cattolica Apostolica Romana, mi reputavo adatto a coordinare le attività sociali della vecchia e gloriosa città di Napoli e che ritenevo di poter essere un degno rappresentante e diffusore della verità di fede della «Chiesa povera per i poveri». Specie poi se rivestito di rosso, ma sia chiaro: non il rosso inteso secondo gli stereotipi della vecchia Chiesa che in esso ravvisava la fedeltà sino al martirio di sangue, bensì un rosso inteso come sangue che dovrà essere versato per ottenere finalmente la rivoluzione proletaria della misericordia.

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Era infatti necessaria ― come ho spiegato in privato al Sommo Pontefice ― una persona carismatica, che al tempo stesso fosse come me anche un uomo di spettacolo, per organizzare e poi gestire i due eventi di massa che a mio parere possono servire a una maggiore unione della popolazione partenopea: la tradizionale devozione al sangue di San Gennaro e le partite di calcio del Napoli. Per questo uno dei miei primi doveri pastorali, dopo avere adempiuto al principale, ossia la mia solenne dichiarazione di scomunica contro la Camorra ed i camorristi, sarà quella di dare vita al gemellaggio inter-calcistico tra le squadre di calcio e le rispettive tifoserie del Napoli con le squadre argentine di San Lorenzo e Boca Juniors. Non possiamo infatti dimenticare che proprio a Napoli dimorò oltre un trentennio fa quell’uomo di Dio di Diego Armando Maradona, che da buon argentino, nonché appartenente alla specie dei piojos resusitados [1], ha lasciato un ricordo indelebile soprattutto tra i poveri ed i bisognosi dell’antica Partenope, che tutt’oggi narrano ancora di lui quando, a bordo della sua Ferrari, accompagnato da un esercito di soubrettes, si recava a servire i pasti caldi ai senzatetto.

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La mia missione pastorale, nella mia veste di maestro e custode della fede, sarà incentrata sulla riformulazione del concetto paolino di Corpo Mistico [cf. Col 1,18], il cui vero significato è la testimonianza di Dio tra di noi attraverso il povero che è il suo viso e il profugo che è il suo corpo secondo gli scritti degli Atti degli apostoli e delle lettere Paoline, sino all’ apocalisse del Beato Apostolo Giovanni, dove si narra di come i compagni di Gesù portarono nelle zone più abbandonate dal potere romano di dominazione, come l’Africa e l’Asia, sino alla penisola iberica, il manifesto di questa nuova classe unificata e unitaria sotto il concetto di “regno”, dove non è né la nascita, né la razza, né la pelle e tanto meno il capitale a determinare il soggetto, bensì questa dignità paritaria, superiore ed in conflitto con lo spirito oppressivo e schiavista dell’aristocrazia regale e imperiale di Roma. Le stesse testimonianze scritte dal Beato Apostolo Pietro a Roma [cf. Pt Iᵃ e IIᵃ] ci parlano di come questo compagno di avanguardia rivoluzionaria egualitaria, Gesù il Nazareno, povero tra i poveri, condusse la propria missione solo tra le classi più umili e tra gli emarginati, tali erano gli schiavi, le prostitute ed i profughi. Mai, Gesù frequentò le case dei ricchi, mai prese con loro i pasti, mai fu da essi unto con preziosi olî, tanto meno si lasciò rivestire con pregiate vesti. La moderna archeologia ha inoltre dimostrato che Egli, alla sua morte, non fu sepolto in un sepolcro di pregio fornito dal ricco Giuseppe di Arimatea [cf. Mc 15, 42-46; Mt 27, 57-60; Lc 23, 50-53; Gv 19, 38-42], perché il suo corpo finì assieme a quello di tutti i poveri in una fossa comune dalla quale, come narrerò avanti, prenderà poi vita la grande metafora spirituale della risurrezione. Tutta questa serie di racconti, finiti perlopiù nei Vangeli sinottici, sono solo delle errate trascrizioni che i redattori dei Vangeli canonici hanno prese dai testi non attendibili dei Vangeli apocrifi, intrisi di molti racconti romantici e surreali. Notizie dunque false e sovrapposte all’immagine del Gesù povero che molto presto saranno epurate, grazie alla migliore esegesi scientifica che da quattro anni è ormai all’opera attraverso una apposita commissione di studio finanziata da un gruppo di teologi tedeschi, in grado di pagare questi studi lunghi e costosi, dato che la Chiesa della Germania, grande sostenitrice del concetto del Gesù povero per i poveri, può beneficiare da parte della Repubblica Federale Tedesca di un contributo annuo di circa dieci miliardi di euro derivanti dal gettito fiscale. E siccome, tra non molto, i Vescovi tedeschi avranno più Euro stipati nelle casse delle loro diocesi che non invece fedeli seduti tra le panche ormai deserte delle loro chiese, possono ben impiegare il cospicuo capitale a loro disposizione per finire di distruggere ciò che di vetusto resta della vecchia Chiesa pre-misericordiosa, o per finanziare l’ultima grande trovata ideologica in corso: i preti sposati nella regione delle Amazzoni del Brasile.

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Attraverso la loro vita i compagni dell’uomo Gesù di Nazareth furono i primi grandi propagandisti di questo epocale cambio rivoluzionario. Infatti, gran parte di loro, dopo la distruzione di Gerusalemme furono dei profughi [Mt 24:4-28], soffrendo come tali la non accoglienza e, come si legge nei vari racconti racchiusi negli Atti degli Apostoli: le prime comunità cristiane erano al servizio di tutti, ed all’interno di esse vigeva il primitivo santo comunismo, giacché non esisteva in esse quell’immane furto tale era la proprietà privata, perché i beni erano in comune ed il possesso personale era bandito.

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STORIA DELLA PRIMA RIVOLUZIONE EVANGELICO-PROLETARIA: LA VECCHIA CHIESA SI LIMITAVA SOLO AD ACCOGLIERE IL PECCATORE, SENZA CAPIRE CHE LA VERA MISERICORDIA DI DIO, CI SPINGE AD ACCOGLIERE, ASSIEME AL PECCATORE, ANCHE LA RICCHEZZA DEL PECCATO

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Dopo la prima rivoluzione operata dall’uomo Gesù di Nazareth, per il quale era necessario vivere al di fuori della schiavitù delle ideologie umane diffuse dalle religioni rette su caste sacerdotali ― ricordiamo infatti che Gesù non era un appartenente alla casta dei Sacerdoti e dei Leviti, ma alla tribù di Beniamino e di Davide, che fu un guerriero che portò alla liberazione del popolo dal potere dei dominatori esterni ―, per ovvia conseguenza, secoli e secoli dopo, doveva giungere inevitabilmente la Rivoluzione Francese, seguita dal liberalismo e appresso ancora dal comunismo, che assieme alla grande riforma di Martin Lutero costituiscono i più grandi doni di grazia elargiti dallo Spirito Santo all’umanità.

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L’uomo Gesù di Nazareth non aveva dei precisi progetti politici, egli ha lanciato quei semi che nei secoli avvenire sarebbero poi germogliati grazie alla sua idea iniziale che mirava a trasformare l’etica individuale e sociale sorretta sulla  esaltazione dei più alti valori dell’umanità, in elementi strutturali mirati a sorreggere le società sui princìpi della generosità, della compassione e della accoglienza. E si badi bene: non solo e non tanto sull’accoglienza del peccatore, come a lungo tempo, sbagliando gravemente, si è creduto e insegnato, ma sull’accoglienza del peccato stesso, che costituisce una grande ricchezza umana singola e collettiva. In questo consiste la vera grande rivoluzione della nuova Chiesa, contrariamente a quanto ha invece fatto la cupa vecchia Chiesa, che per secoli si è ostinata ad accogliere il peccatore, semmai facendolo sentire persino in colpa per il suo peccato e spingendolo quindi al pentimento, ma mostrandosi al tempo stesso incapace ad accogliere col peccatore anche il peccato, perché è in questo che consiste quella grande rivoluzione ecclesiale ed ecclesiastica dei giorni nostri sorretta sul concetto di misericordia di Dio: accogliere, assieme al peccatore, anche la grande ed inestimabile ricchezza del peccato.

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Nel corso degli ultimi anni, all’interno della Chiesa ha cominciato a soffiare forte più che mai un nuovo vento, soprattutto negli ambiti della teologia e della esegesi. Questo vento ha portato alla riscoperta del vero messaggio di Gesù di Nazareth che per tanti secoli è stato oscurato dalla classe dominante di quella ideologia cristiana che, a partire dai meccanismi fallimentari che furono propri dei dominatori dell’Impero Romano, avevano trasformata la libera Chiesa post gesuana in una struttura piramidale di caste, basata sulla burocrazia ed il legalismo giuridico, lontana dal popolo e per ciò aliena dall’insegnamento dell’amore universale. Questa forma piramidale di caste ecclesiastiche che per secoli si è sorretta sulla burocrazia e sul legalismo, giunse persino a esprimere, sul modello dell’antico Diritto Romano, quella autentica aberrazione anti-evangelica e anti-libertaria tale è il Codice di Diritto Canonico, limitando così in modo terribile la creatività umana e spirituale, perché una sola è la vera legge per il cristiano: è legge vera e autentica ciò che io penso, ciò che io sento, quindi ciò che io voglio.

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La più chiara dichiarazione dell’uomo Gesù di Nazareth contro il potere totalitario è racchiusa nella sua espressione «Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che e di Dio» [Mt 22,21; Mc 12,17; Lc 20,12]. Espressione che contiene un messaggio ben preciso, anche se per tanti secoli mai correttamente interpretato, vale a dire: il potere non può accumulare tutta l’autorità, sia essa effettiva o anche e solo simbolica, su un solo essere umano, perché chi esercita il potere deve essere limitato e sottomesso alla stessa voce e volontà del popolo sovrano, perché la sovranità appartiene al popolo che la esercita tramite il democratico meccanismo sinodale dei Vescovi, che a breve torneranno a essere eletti anch’essi dal popolo.

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GESÙ DI NAZARETH, IL GRANDE RIVOLUZIONARIO DE EL PUEBLO UNIDO IN UNA CHIESA DI “CRISTIANI ANONIMI”

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Gesù di Nazareth era, anzitutto, un grande rivoluzionario, molto sensibile a quella lotta di classe di cui egli getta i primi fondamentali pilastri. Per capire veramente la portata rivoluzionaria del suo messaggio, basti comprendere il vero senso delle sue parole quando afferma di non essere venuto a portare la pace ma la guerra e che, anche tra fratelli o all’interno della stessa famiglia si sarebbero messi uno contro l’altro, se una delle parti non avesse accettato questo cambiamento necessario [Mt 10, 34-36], perché chi non è con Lui è contro di Lui [Mt 12,30].

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La storia dell’umanità è piena di “cristiani anonimi”, come ci insegna il più grande teologo di tutti i tempi, il gesuita tedesco Karl Rahner, che spero sia presto proclamato dottore della Chiesa e voce profetica. Tra i tanti “cristiani anonimi” della storia, basti pensare ad esempio al cinese Mao Zedong, che proprio ispirandosi a questo passo del Vangelo ― pur senza saperlo, essendo egli un “cristiano anonimo” ―, durante la sua gloriosa rivoluzione improntata sul già sperimentato modello sovietico, invitava anche i bambini, adeguatamente formati, a denunciare i loro stessi genitori; oppure i fratelli a denunciare all’occorrenza i loro fratelli e sorelle che mostrassero anche un vago segno di dissenso verso questo grande sorgere del Sol dell’Avvenire. E nel fare questo, nel mettersi all’occorrenza uno contro l’altro, erano giustamente convinti che alla fine la rivoluzione proletaria sarebbe stata portata a termine, perché come sta scritto: non tutti, ma solo alcuni di quelli che avranno fatto parte della rivoluzione, non conosceranno la morte prima di aver visto il suo regno, perché questo è il vero significato di questo celebre passo del Vangelo [cf. Mt 16,28]. Ormai, il cambiamento radicale operato dagli ultimi passi compiuti da questa rivoluzione che ha dato vita alla nuova e vera Chiesa della pace, dell’amore e della misericordia, in grado finalmente di accogliere assieme al peccatore anche il peccato, è giunto al suo apice, perché questo è il vero significato dell’avvertimento dato dall’uomo Gesù di Nazareth quando afferma: «Non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga». [Mt 24,34].

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La predicazione del Nazareno era centrata sull’uguaglianza, come quando egli afferma che non esistono i padroni, palesandosi così contro il capitalismo borghese rappresentato in quel tempo dai mercanti del tempio, oppure dagli antichi speculatori di Wall Street, che erano invece i cambiavalute [cf. Mc 11, 7-19; Mt 21, 8-19; Lc 19, 35-48; Gv 2, 12-25]

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L’unica volta che l’uomo Gesù di Nazareth guardò in faccia ― «e guardandolo lo amo», come è scritto nel Vangelo ― fu quando indicò al giovane ricco l’unica cosa che a lui mancava di fare: «Va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri» [cf. Mc 10,21]. Egli è infatti molto chiaro nel dire che la perfezione si può raggiungere solo quando si vendono tutti i nostri averi per darne il ricavato ai poveri [Mt 19, 21]. Gesù di Nazareth, più volte se la prende con i ricchi, in particolare quando afferma: guai a voi ricchi perché avete già ricevuto la vostra consolazione [Lc 6,24]. Purtroppo, per molti secoli, i teologi della vecchia Chiesa hanno spiegato ― ovviamente sbagliando gravemente ― che il termine “ricchezza” è usato dall’uomo Gesù di Nazareth come sinonimo di egoismo, di mancanza di altruismo, di attaccamento alla dimensione puramente materiale della vita e dell’essere. Comprensibile il motivo per il quale la vecchia Chiesa abbia sostenuto questo, perché purtroppo ella ― e di ciò non dobbiamo mai finire di chiedere perdono al mondo del proletariato ―, era in combutta con i ricchi, con gli sfruttatori del popolo. Mentre in verità la ricchezza, per l’uomo Gesù di Nazareth, era solo un mezzo disonesto per guadagnarsi dei protettori nei momenti difficili [cf. Lc 16, 9]. Egli infatti afferma: «Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano». Ed era tanto il suo astio verso la ricchezza, che più avanti seguitò a lanciare invettive contro i farisei che, essendo attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si facevano beffa di lui. Finché Gesù disse loro: «Voi siete quelli che si ritengono giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che fra gli uomini viene esaltato, davanti a Dio è cosa abominevole» [LC 16, 14.15].

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L’ALLEGORIA DEL PECCATO ORIGINALE: IL VERO PECCATO ORIGINALE NASCE PER LA MANCANZA DI CURA DEI POVERI

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Per secoli noi abbiamo creduto e insegnato che l’allegoria del peccato originale ― perché ormai è assodato che il peccato originale non è un fatto, ma solo una allegoria dalla quale nasce il tradizionale battesimo altrettanto allegorico-simbolico ―, fosse dovuto ad un atto di ribellione a Dio Creatore attraverso la superbia dell’uomo. Ebbene, a parte il fatto che un altro grande “cristiano anonimo”, Sigmund Freud, ci spiega che il brano biblico di Genesi non è altro che l’allegoria del figlio che in età evolutiva si ribella legittimamente al dominio del padre, se veramente vogliamo parlare di peccato originale, questi non è da ravvisare nella sana e legittima ribellione verso il dominio del padre, che fa appunto parte della dimensione evolutiva umana, ma va ravvisato nella mancata cura dei poveri e nell’attaccamento al danaro. Questo il motivo per il quale, dal metaforico Paradiso Terrestre, l’uomo è caduto nel metaforico peccato originale.

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La missione dell’uomo Gesù di Nazareth non fu quella di fondare una religione o una casta, o un potere parallelo per dominare con ritualismi, cerimonie e lavaggio del cervello i poveri e gli oppressi, ma di portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e a rimettere in libertà gli oppressi [cf. Lc 4, 18], dando come vincolo unico quello dell’amicizia, perché la prospettiva della salvezza e santità che Egli ci offre, è di diventare suoi «amici» [Gv 15,15]. Inoltre, Egli non solo è un grande rivoluzionario, ma è un vero e proprio rivoluzionario radicale, lo chiarisce gli stesso: «Chi non è con me, è contro  di me» [cf. Mt 12,30]. E nella lunga schiera dei numerosi “cristiani anonimi”, molti hanno seguito questo suo insegnamento di radicalismo, senza neppure sapere quanto fossero veramente e radicalmente cristiani nell’agire in un dato modo. Per esempio, tra i diversi contemporanei, limitandosi al solo Novecento, basti rammentare quel grande uomo di “fede anonima” tale fu Stalin, che questo radicalismo evangelico lo portò al massimo compimento, tanto che grazie alla sua opera, circa venti milioni di russi poterono raggiungere il Paradiso nel giro di pochi anni.  

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L’uomo Gesù di Nazareth chiamò quindi presso di sé quelli che volle, ed essi si avvicinarono a lui. Quindi ne costituì dodici perché stessero con lui e potesse mandarli a predicare, ed avessero il potere di guarire le infermità e di scacciare i Demoni [cf. Mc 3, 13-15]. Inutile precisare che i Demoni, sono l’allegoria delle tentazioni borghesi capital-imperialiste che cercano di corrompere il popolo. Pertanto, il cacciare i Demoni, è da intendere come un cacciare le corruzioni dell’ideologia capitalista che tende a possedere il popolo. Purtroppo, la vecchia Chiesa intrisa di atteggiamenti regali a lei derivanti da quel grande alteratore del Cristianesimo tale fu l’imperatore romano Costantino, non ha mai capito che quei Dodici costituivano un collettivo basato sui concetti della democrazia proletaria, perché l’uomo Gesù di Nazareth chiamò a sé dei Compagni dai campi e dalle officine [cf. QUI] per rivoluzionare il mondo; una rivoluzione che passa attraverso la trasformazione dell’individuo.

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Quando l’uomo Gesù di Nazareth, a Ponzio Pilato, che rappresenta la massima carica rappresentativa del regime romano, dice: «Il mio regno non è di questo mondo», si riferisce a se stesso posto come uomo in prima fila come vittima oppressa, chiamato a essere il simbolo della dissociazione da quel regno di schiavitù e di dominazione, di oppressione e di autoritarismo, di povertà e di guerra, di vedove e di orfani, di profughi e di poveri per le alte tasse e le continue appropriazioni di terre e di capitali. Egli si fece così proclama e propaganda vivente dell’imminente cambio sociale cominciato con la sua condanna ed esecuzione in quanto caudillo rivoluzionario che, non riuscendo a sconfiggere le idee contrarie con la discussione, ha lasciato che esse si esprimessero, perché sapeva che non si possono sconfiggere le idee sbagliate con la forza, perché ciò arresterebbe il libero sviluppo dell’intelligenza, infatti, le idee sbagliate, devono essere lasciate sempre libere di svilupparsi al massimo.

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Quando l’uomo Gesù di Nazareth disse ai suoi compagni di non salutare i familiari e non seppellire i morti, quel che intende trasmettere è l’invito a non tornare mai indietro neanche per prendere la rincorsa, costasse anche cadere nel precipizio che si trova tra una sponda e l’altra.

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Quando nel Vangelo si fa riferimento a Simone detto lo zelota [cf. Lc 6 14-16], che vuol dire guerrigliero o partigiano, ciò che s’intende dire è che la caratteristica positiva della guerriglia consiste nel fatto che ogni individuo è disposto a morire non per difendere astrattamente un ideale, ma per farlo diventare realtà, affinché l’immaginazione possa andare al potere, perché è dalla immaginazione che nasce il reale, anche se questo non è mai stato compreso dalla vecchia Chiesa che per secoli si è ostinata a sorreggere il proprio pensiero teologico sui criteri superati e improponibili della logica di Aristotele, portata avanti in modo anacronistico da San Tommaso d’Aquino, sul quale grava la grande responsabilità di avere limitato le grandi speculazioni teologiche fino a quando ‒ vivaddio! ‒, agli inizi del XX° secolo prese vita quel Modernismo che oggi è il punto di riferimento e di azione dottrinale e pastorale di gran parte dell’episcopato contemporaneo.

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In Matteo leggiamo che l’uomo Gesù di Nazareth disse ai suoi compagni: «In verità vi dico, difficilmente un ricco entrerà nel regno» [cf. Mt 19, 23-30]. Basta questo per capire che egli ha voluto diventare povero e proporsi come pietra angolare di quella grande rivoluzione epocale contro il capitalismo borghese, unica e vera grande rovina dell’umanità. Purtroppo sono occorsi molti secoli per giungere a capire che Dio non può essere cattolico, ma è di tutti, perché conosce tutti e perché è per tutti, soprattutto di coloro che lo negano e lo rifiutano. Questo il motivo per il quale il Nazareno, in arte Figlio di Dio, ha predicato nel corso della propria esistenza terrena la netta distinzione tra oppressi e oppressori, gettando così il grande ponte sul fiume di quella che poi sarà la Chiesa povera per i poveri.

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LE ALLEGORIE DEI MIRACOLI, IL VERO SENSO DELL’EUCARISTIA, LA MORTE DI GESÙ IL LIBERATORE E LA SUA RISURREZIONE

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I più grandi miracoli dell’uomo Gesù di Nazareth non sono stati quelli del risveglio di Lazzaro da un evidente stato di morte apparente, non diagnosticata in quel tempo per la mancanza di conoscenze scientifiche; ne tanto meno i segni da lui operati sui malati. Il vero grande miracolo è stato quello di sfamare delle masse proletarie in diversi occasioni [cf. Mt 14, 13-21. 15, 32-39; Mc 6, 30-44. 8,1-10; Lc 9,10-17]. E qui si percepisce quanto profonda fosse la preoccupazione di Gesù di Nazareth per il problema della fame delle grandi masse del sottoproletariato, tanto che nell’ultima cena, prima di essere condannato a morte dal potere imperial-capitalista di quel tempo, Gesù dette l’incarico ai suoi compagni di sfamare il popolo proletario con il pane della liberazione [Mt 26, 20-30; Mc 14, 17-26; Lc 22,14-39; Gv 13, 1-20], ed a tale scopo usò una grande metafora allegorica: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui» [Gv 6, 56].

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L’uomo Gesù di Nazareth si incamminò infine verso Gerusalemme con i suoi compagni perché sapeva che il tempo era pronto per la rivoluzione, giacché la rivoluzione non è una mela che cade quando è matura, ma va’ fatta cadere. Da questo momento in poi segue il cosiddetto Vangelo della Passione, incentrato per secoli, nelle interpretazioni date dalla vecchia Chiesa, nella dimensione cruenta del sacrificio, attraverso il quale l’uomo Gesù di Nazareth, equiparato all’Agnello di Dio, laverebbe il peccato. Si tratta però, anche in questo caso, di una lettura errata, molto tridentina e pre-conciliare, di due frasi evangeliche: «Ecco l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo!» [Gv 1,29], ed ancora «fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: “Ecco l’agnello di Dio!”». Il grande equivoco da cui nasce la mala interpretazione, è legato al concetto stesso di peccato, con il quale per lungo tempo la vecchia Chiesa ha terrorizzato i suoi fedeli. I Vangeli sono infatti degli scritti meramente allegorici, da interpretare con le categorie della moderna teologia. E il termine “peccato” è una metafora che va interpretata non in senso cruento e sacrificale, ma in senso sociale: l’uomo Gesù di Nazareth, con tutta la mitezza di quella non violenza che secoli dopo ritroveremo in una figura come Ghandi ― da qui la metafora dell’agnello ―, lava dal mondo il grande peccato della ingiustizia sociale e della oppressione dei poveri. A questo, come dicevo poc’anzi, si ricollega quell’altra grande metafora che è l’Eucaristia, il cui vero e autentico significato non è certo quello sacrificale, bensì l’essere pane della giustizia sociale, la festa dei compagni che si riuniscono attorno alla mensa per il banchetto della gioia, della pace, dell’amore e della misericordia, danzando attorno all’altare al ritmo dei bonghi.

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La nostra fede si regge sul grande evento allegorico della risurrezione del Nazareno, per secoli considerata dalla vecchia Chiesa come un fatto storico, oltre che un fatto fisico, mentre sappiamo che si tratta di un evento spirituale, di una allegoria da interpretare come conclusione dell’esperienza terrena dell’uomo Gesù di Nazareth, in arte Figlio di Dio. Quando infatti nelle Lettere Apostoliche si afferma: «Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede» [cf. I Cor 15.14], s’intende dire che nel simbolo allegorico della risurrezione c’è il riscatto dei poveri e del popolo oppresso, lo prova il fatto che in un altro passo si afferma che siamo già risuscitati con Cristo [cf. Col 3,1]. E chi è, che è risuscitato con l’uomo Gesù di Nazareth, forse i ricchi, forse i borghesi, o forse peggio i capitalisti? Certo che no, con l’uomo Gesù di Nazareth, alla grande allegoria della sua risurrezione sono partecipi i poveri, gli emarginati, i profughi; per risorgere davvero con questo grande rivoluzionario, bisogna affrettarsi affinché sia approvata la legge sullo jus soli. L’allegoria dell’uomo Gesù di Nazareth che risorge dalla fossa comune nella quale il suo corpo fu gettato assieme a quello dei sottoproletari condannati dal potere imperial-capitalista, è l’immagine del Sol dell’Avvenire che sorge. Non a caso, diversi celebri “cristiani anonimi” della storia, come i già richiamati Stalin e Mao Zedong, seppure inconsapevoli di manifestare in tal modo la loro fede nella risurrezione dell’uomo Gesù di Nazareth, fecero uso proprio della iconografia allegorica del Sol dell’Avvenire, mostrandosi in tal modo degli straordinari “cristiani anonimi”.

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Gli altri due eventi della nostra fede sono le allegorie della ascensione al cielo dell’uomo Gesù di Nazareth e la Pentecoste dello Spirito Santo. Il fatto che dopo la risurrezione, Egli abbia continuato ad apparire ed a rendersi presente tra il collettivo democratico-proletario dei discepoli, come narra uno dei più celebre racconti allegorici ‒ quello dei due compagni in cammino lungo la Via di Emmaus [cf. Lc 20, 30-31] ‒, sta ad indicare il fatto che nessun vero padre della rivoluzione ha mai lasciato il popolo, prima che il popolo fosse maturo. Ecco perché a questa allegoria si unisce la seconda allegoria, la Pentecoste dello Spirito Santo. Con questo secondo evento, i compagni di lotta dell’uomo Gesù di Nazareth divengono dei veri cristiani adulti; dunque la Pentecoste racchiude quella sublime metafora che il grande “cristiano anonimo” Sigmund Freud definisce come la emancipazione del figlio dalla dipendenza del padre. Con la Pentecoste, abbiamo quindi il superamento definitivo del complesso edipico.

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AFFINCHÉ IL DIALOGO POSSA PORTARE ALLA SINCRETISTICA UNIONE È NECESSARIO METTERE DA PARTE LA FIGURA INGOMBRANTE DELLA BEATA VERGINE MARIA

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Tra queste righe, ho volutamente evitato di parlare della figura materna, che è quella di Maria madre dell’uomo Gesù di Nazareth. Si tratta infatti di una figura che può costituire ostacolo al dialogo con i fratelli delle diverse Chiese cristiane, anche se tutt’oggi, nella Professione di Fede scritta a Nicea e poi perfezionata a Costantinopoli, si risente purtroppo dello spirito esclusivo ed escludente che i Padri di questi due concilî acquisirono all’epoca dall’imperatore romano Costantino. In questo testo si recita infatti: «Credo la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica». Questa santità e apostolicità, non può essere però patrimonio esclusivo della Chiesa Cattolica, perché appartiene a tutte le diverse Chiese cristiane. Anche se nel corso dei secoli, il concetto di unità, che ha rasentato una vera e propria ossessione limitante, ci ha impedito di accogliere la grande ricchezza della diversità, per non dire di peggio: la vecchia Chiesa è giunta persino a chiamare eresia la rottura dell’unità, incapace di vedere e di cogliere quale enorme ricchezza potesse nascere da quella diversità che implica spesso la rottura di questo gran feticcio dell’unità, affinché possa darsi spazio alla grande preziosità della diversità. Tra i tanti esempi in tal senso, si pensi alla straordinaria figura di Martin Lutero.

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Ebbene, la figura di Maria è di ostacolo all’accoglienza delle varie diversità e delle grandi ricchezze dei fratelli delle altre Chiese cristiane, anch’esse apostoliche e sante, che più volte hanno accusato i cattolici di vere e proprie forme di mariolatria, facendo capire che questa donna, a suo modo troppo ingombrante, era di serio ostacolo al dialogo. Pertanto, per amore del dialogo e per realizzare la comune vicinanza, se è necessario deve essere sacrificata la figura di questa madre ingombrante. Sia pertanto benedetta l’opera di quei santi uomini di Dio dei pastori pentecostali che negli ultimi tempi, nel Messico, in Ecuador, in Perù e via dicendo, si sono cimentati in uno sport tanto istruttivo: frantumare e poi spazzare via da terra, in pubblico, le statue della Beata Vergine di Guadalupe [vedere QUI, QUI, etc …]. Anche perché, se i pentecostali che da sempre godono della particolare simpatia del Pontefice regnante, fanno questo, lo fanno perché indubbiamente ispirati dallo Spirito Santo.

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È in questo che consiste la vera ricchezza di Maria: la capacità di farsi da parte, di lasciarsi mettere da parte e di far si che i pentecostali alla conquista dell’America Latina facciano in pezzi la sua effigie. Di tutto questo, Maria è felice, pur di non ostacolare il cammino di dialogo e di vicinanza con i fratelli delle altre numerose ed autentiche Chiese cristiane. È questo che rende Maria veramente santa, ed è in questa nuova ottica che andrebbe studiata la mariologia, evitando d’esser giustamente rimproverati dai fratelli delle altre vere ed autentiche Chiese cristiane di mariolatria.

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Come però capite, questo è un discorso a parte che potremo affrontare in seguito. Anche perché, quanto sin qui ho scritto ed espresso, mi è stato sufficiente per la mia promozione all’episcopato, esattamente come a Nunzio Galantino, che di recente ha definito Martin Lutero e la sua grande riforma come un dono dello Spirito Santo [cf. QUI], questa sua felice dichiarazione è stata sufficiente per mantenerlo nella carica di Segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana. In caso contrario, rapportandosi invece alla fede con gli schemi della vecchia Chiesa, tutta strutturata su cupe dottrine e dogmi oppressivi, attraverso i quali taluni vorrebbero ostacolare il trionfo della misericordia e dell’amore, non solo, non si diventa vescovi, ma si rischia di essere spinti e relegati a suon di bastonate negli estremi più dimenticati e desertici delle periferie esistenziali. Ma sono tutte quante bastonate ‒ sia ben chiaro ‒, frutto della più grande misericordia, di quella misericordia che nasce dall’amore più profondo di un santo pastore che porta impresso su di sé l’odore delle pecore.

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C O N C L U S I O N E

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quel breve e indimenticabile colloquio del 2013 col Cardinale Francis George, Arcivescovo Metropolita di Chicago [1937-2015]

Questo scritto, costruito sull’ironico e apparente gioco dei paradossi, ma privo di qualsiasi forma di irriverenza verso chicchessia, parla da sé. E parla perché è uno scritto drammaticamente serio, oserei dire, in modo umile e sommesso, che è uno scritto a suo modo profetico. D’altronde, la linea che ho scelto di prendere da un po’ di tempo a questa parte, fu spiegata in un apposito articolo nel quale ho chiarito per dove vanno presi certi soggetti e situazioni … [vedere articolo QUI].

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Pochi giorni dopo il conclave del 2013, prima che facesse rientro negli Stati Uniti d’America, ebbi modo di conoscere presso il Collegio Nord Americano di Roma quell’uomo di Dio del Cardinale Francis George, Arcivescovo Metropolita di Chicago [1937-2015], col quale parlai in privato per poco più di mezz’ora, un tempo sufficiente per cogliere ciò che dovevo cogliere. Anzitutto mi dichiarai colpito da una sua affermazione risalente a circa un anno prima, quando egli dichiarò la propria comprensibile contrarierà di vescovo alla legge sulle unioni civili, per poi seguitare ad affermare che la potente e sempre più aggressiva lobby gay, si stava trasformando attraverso il Gay Pride in un «Ku Klux Klan che manifesta nelle strade contro il Cattolicesimo». La dichiarazione che mi colpì, non fu però quella rivolta al sempre più evidente spirito aggressivo dei sodomiti orgogliosi verso tutto ciò che ricorda anche vagamente la Chiesa Cattolica, perché a colpirmi da parte di quest’uomo già gravemente ammalato di cancro, fu la frase: «Io morirò nel mio letto, il mio successore morirà in prigione, il suo successore morirà martire». Meditando su questa frase, ebbi la sensazione che forse, un giorno, vescovo lo sarei divenuto per davvero. E potrei veramente diventarlo nella mia vecchiaia, assieme a pochi altri sacerdoti cattolici sopravvissuti a ciò che di peggio deve ancòra venire, perché in un futuro non affatto lontano, la Chiesa Cattolica sarà ridotta ad un ammasso di rovine informi.

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Da tre anni a questa parte, l’accademico pontificio domenicano Giovanni Cavalcoli ed io, ormai noti al pubblico come i Padri de L’Isola di Patmos, ribattiamo senza mai stancarci che la Chiesa di Cristo non è un corpo statico da mummificare nell’acqua ferma ristagnante, ma è un corpo in evoluzione, perché di per sé, un corpo, è sempre in crescita, persino nella fase della vecchiaia. Se infatti la vecchiaia segna da una parte il decadimento fisico, dall’altra segna spesso l’apice della maturità spirituale e intellettuale. Se così non fosse stato, tutto quanto si sarebbe risolto nell’anno 325 con il primo grande concilio celebrato a Nicea. Ma se la Chiesa, di concilî, in due millenni di vita ne ha celebrati in totale ventuno, ci sarà pure un motivo, o no? Da qui il concetto di Ecclesia semper reformanda, purché questa necessità della Chiesa di essere sempre riformata, non finisca con l’essere confuso col fatto che la Chiesa debba finire invece trasformata in altro, anziché riformata, ossia purificata. E questo, purtroppo, è quello che sta accadendo oggi: un gruppo potente e agguerrito di delinquenti, cercano di portare a compimento proprio questo nefasto e diabolico progetto: trasformare la Chiesa in altro. E la trasformazione in altro, non ha nulla da spartire con le grandi riforme di alcuni grandi concilî, da Trento al Vaticano II.

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Ecco perché da altrettanti anni vado scrivendo ed affermando che tutto questo porterà la Chiesa ad essere totalmente svuotata di Cristo, per essere poi riempita di altro. In siffatta situazione non lontana dal realizzarsi, essere vescovi vorrà dire correre il rischio di vivere una vita da martiri. Per questo il Beato Apostolo Paolo, richiamato non a caso all’inizio di questo mio scritto, affermava che «se uno aspira all’episcopato, desidera un nobile lavoro» [I Cor 12, 31]. Affermava ciò perché all’epoca, divenire vescovi, comportava quasi sempre morire martiri, come ci dimostra il martirologio romano ed il sinassario bizantino dei primi secoli di vita del Cristianesimo.

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Naturalmente, quando si parla di martirio, tutti abbiamo presente il cosiddetto martirio di sangue. Ma non sarà questo, il lento e doloroso martirio che ci attende domani, perché il nostro futuro non sarà segnato da un martirio di sangue, ma da un lungo martirio bianco che si protrarrà per generazioni e generazioni.

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Quel poco che rimarrà del Cattolicesimo e dei cattolici, finirà con l’essere totalmente incompatibile con le società civili, ma soprattutto con le leggi che le regoleranno; perché saranno delle leggi radicalmente anti-cristiane. Nessuno, metterà in carcere gli appartenenti allo sparuto gruppo di cattolici sopravvissuti sparsi in giro a piccoli gruppi, né alcuno li condannerà a morte. O, come dissi in quel colloquio al Cardinale Francis George: «Lo credo anch’io che il successore del successore di Vostra Eminenza morirà martire, ma attraverso una nuova forma di martirio che oggi, noi, non possiamo forse neppure immaginare, perché questa nuova forma di martirio sarà la totale indifferenza. Pertanto, il potere che regolerà la vita degli Stati e delle società civili, userà verso di noi la stessa identica indifferenza che oggi, gli uomini di potere della nostra Chiesa decadente, stanno usando verso tutte le voci profetiche che continuano a vivere ed a parlare al suo interno». E detto questo precisai: «Il Demonio, essendo intelligenza allo stato puro, non è uno sprovveduto. Nel corso degli ultimi venti secoli di storia ha imparata molto bene la lezione, quindi sa benissimo che il sangue dei martiri ha sempre purificata, rivitalizzata e di conseguenza santificata la Chiesa. E lui non può certo permettere che la Chiesa di Cristo sia purificata, rivitalizzata e soprattutto santificata. Sicché cos’ha fatto, questa autentica essenza di intelligenza tal è il Demonio? Prima, ha seminato e favorito lo sviluppo della massima indifferenza tra le nostre sempre più miserevoli autorità ecclesiastiche, dopodiché le ha ridotte a vivere e ad agire in uno spirito di totale accidia omissiva, affinché questa indifferenza distruttiva potesse colpirci prima dall’interno, poi dall’esterno».

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Forse, per meglio illustrare il tutto, può essere utile il ricorso ad altri esempi chiarificatori: andando a leggere certi miei scritti, capita di trovare in diversi di essi delle vere e proprie denunce costruite su accuse circostanziate, basate su gravi fatti non passibili di smentita. Parole dure e severe che ho vergato nero su bianco non certo ispirandomi agli umori di me stesso, ma allo stile degli antichi profeti ed allo stile del precursore San Giovanni Battista. Numerosi gli scritti nei quali più volte ho ad esempio indicato che persone altamente problematiche, poiché gravate di problemi morali e dottrinali molto seri ed imbarazzanti per la società ecclesiale ed ecclesiastica, sono stati pur malgrado posti ‒ grazie alla protezione di soggetti in autorità a loro volta gravati da problemi di natura morale e dottrinale ‒ in ruoli di pericoloso rilievo, con tutto ciò che può derivarne a livelli di mala gestione delle strutture ecclesiastiche e pastorali, ed a livello di scandali pubblici. Ebbene, dinanzi a scritti così severi, il minimo che avrebbe dovuto capitare sarebbe stata una mia pronta convocazione da parte della competente Autorità Ecclesiastica. Io non sono infatti né un giornalista né un opinion-maker, sono un presbitero ed un teologo soggetto in tutto e per tutto all’Autorità Ecclesiastica. E a questa Autorità non sono soggetto per “contratto di lavoro a tempo indeterminato”, ma per Sacramento di grazia, oltre che per obbedienza. E un presbìtero che in un suo pubblico scritto spiega che l’attuale Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede è stato promotore e protettore di quel giovane monsignore che giunto ai vertici di quel delicato dicastero si è poi dichiarato gay ed oggi vive gioiosamente sposato in Spagna col suo amato compagno, come minimo lo si chiama e, in tono semmai anche severo, gli si chiede: «Come ti sei permesso di lanciare una simile accusa al Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede?» [vedere articolo QUI]. E, una volta fatto questo, semmai lo si chiama di nuovo chiedendogli: «Come ti sei permesso, di scrivere in un altro tuo articolo di fuoco, che l’attuale Vicario Generale di Sua Santità per la Diocesi di Roma, ha piazzato in una delle parrocchie storiche del centro un prete che in una antica e prestigiosa basilica romana era già noto a tutte le Autorità Ecclesiastiche perché foraggiava a botte di soldi un giro di giovani marchettari romeni? [vedere articolo QUI]. Insomma, se le Autorità ecclesiastiche, pur di fronte ad un fatto noto e acclarato, hanno deciso di far finta di niente, vuoi sollevare questioni propri tu, che non sei niente e nessuno?». E se in quelle mie affermazioni, indubbiamente gravi, anzi gravissime, vi fosse stata anche una sola e minima alterazione della realtà dei fatti, ecco che in quel caso, l’Autorità Ecclesiastica, avrebbe dovuto farmi veramente pentire di tutti i miei peccati attraverso le più severe sanzioni canoniche.

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Qualche ecclesiastico cosiddetto esperto, a questi miei quesiti retorici ha risposto dicendomi più volte: «Scordati, che facciano mai nulla di simile, perché sarebbe dare importanza a ciò che scrivi, cosa che non faranno mai, perché per loro, tanto più griderai “al disastro” e tanto più li accuserai di distruggere la Chiesa, tanto più ti ignoreranno, perché per loro non meriti alcuna attenzione».

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Ebbene, premesso che nella Chiesa della misericordia ossessivo-compulsiva non voglio alcuna attenzione e neppure desidero che chicchessia mi conceda considerazione, forse a questo punto è bene chiarire anzitutto che io non sono affatto un prete incattivito che scrive su un blog letto dal sacrestano, dalle due o tre signore che la sera recitano il Santo Rosario in Chiesa e dal barista del bar che si trova nella piazza di fronte alla casa canonica. Perché i soloni della Santa Sede che si occupano di comunicazioni sociali, possono appurare in qualsiasi momento che la rivista telematica L’Isola di Patmos è molto più seguita, ed ha un numero di visite di gran lunga molto superiore di quante invece non ne abbia l’edizione italiana de L’Osservatore Romano, il quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana Avvenire, il settimanale Famiglia Cristiana e via dicendo a seguire. Pertanto, il principio clerical-accidioso del «Non diamogli importanza», non regge proprio. E non parliamo di quante e quante volte, non solo in Italia ma anche e soprattutto il giro per il mondo, insigni teologi e prelati hanno fatte proprie ed elaborate certe analisi fatte dai Padri de L’Isola di Patmos, che lungi dall’aver costituito un blog casalingo ‒ posto che la nostra è una rivista ‒, godono nei concreti fatti di tutta quella autorevolezza di cui invece non godono, agli occhi dei Christi fideles, certi cardinaloni e vescovoni all’avanguardia; il tutto, ovviamente, sempre stando ai dati di fatto, rigorosamente provabili e documentabili. Pertanto, la realtà e la verità, è tutt’altra: poniamo che qualcuno mi rimproveri dicendo per esempio che la mia forma di esprimermi, per la sua durezza ed il suo spirito di denuncia, non è accettabile. A quel punto, l’Autorità Ecclesiastica, si sentirebbe rispondere da me: «Premesso che chiedo perdono seduta stante per la forma, per lo spirito duro, per lo spirito di denuncia; e premesso altresì che nei modi e nelle forme che voi mi indicherete, provvederò a estendere questa richiesta di perdono in pubblico, affinché sia letta da decine di migliaia di lettori in un solo giorno, una volta chiarita però la forma, per quanto invece riguarda la sostanza, che cosa mi dite? O per meglio intendersi: è vero che l’attuale Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede ha portato avanti nella carriera ed ha protetto un soggetto che ha finito col dare nella Chiesa uno dei più clamorosi scandali dell’ultimo secolo? Perché questo fatto, io non lo ipotizzo, ve lo documento. E, detto questo, proseguirei dicendo: a parte la forma, per la quale posso chiedere scusa non una ma mille volte, ma del Vicario Generale di Sua Santità, che piazza in una delle più prestigiose parrocchie del centro di Roma un prete psicologicamente instabile che fotografava a pagamento i ragazzi nudi sotto la doccia presso la domus presbyterorum di una antica basilica romana, collezionando poi questi servizi fotografici “artistici” … ebbene, a parte la forma, per quanto invece riguarda la concreta sostanza, che cosa mi dite? Perché a parte la mia recriminata forma, resta il fatto che l’attuale Vicario Generale di Sua Santità, delle bravate di questo prete, era perfettamente al corrente, come lo erano e come lo sono tutti i monsignorini omertosi che tutt’oggi lavorano al Vicariato di Roma e che con la loro pura e semplice vigliaccheria, consentono il perpetrarsi di certi abominî, perché nessun topolino entrato dentro la forma del formaggio, gradisce esser sbattuto fuori da essa».

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La verità, non è che mi ignorano, ma che hanno semplicemente paura, perché un qualsiasi eventuale richiamo, comporterebbe prima il confronto privato, poi, qualora fossi assoggettato a qualsiasi genere di arbitraria ingiustizia ‒ all’interno di questa Chiesa all’apice della misericordia staliniana nella quale per logica conseguenza il diritto non esiste più ‒, il confronto privato dal quale fosse eventualmente nata una arbitraria ingiustizia verrebbe reso rigorosamente pubblico, sempre premesso che a leggermi non sono il sacrestano, le tre vecchiette che recitano il Santo Rosario in chiesa ed il barista del bar di fronte alla casa canonica.

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Mentre scrivevo questo lungo testo, ho ripercorso la storia di uno dei dittatori tra i più sanguinari dell’epoca moderna, che non è Adolf Hitler, come tutti pensano, ma Stalin. I morti, si misurano infatti in numeri, posto che i numeri dei morti assassinati sono sempre tanti, sono sempre troppi. Quindi non esistono numeri che pesano di più, come per esempio gli ebrei trucidati dal regime nazista, i quali ammontano a circa oltre cinque milioni, rispetto agli oltre venti milioni di russi trucidati da Stalin, che sulla bilancia degli storici orrori non possono certo pesare di meno per il semplice fatto che non erano ebrei. I morti trucidati pesano infatti tutti allo stesso modo, ed il loro sangue sparso grida ugualmente “vendetta al cospetto di Dio”, per usare questa antica espressione biblica, che siano essi israeliti o che siano ex sudditi del Grande Zar di Russia finiti sotto le fauci del Grande Macellaio Stalin.

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Scrivendo questo articolo ho ripensato a Stalin perché mai e poi mai, un ventennio fa, avrei immaginato che le sorti della Chiesa sarebbero finite col risultar simili a quelle del vecchio regime sovietico. Se infatti analizziamo bene i dati di fatto storici, scopriremo che l’inesorabile decadimento dell’Unione Sovietica comincia a prendere vita attorno al 1954/1955, uno due anni dopo la morte del grande e sanguinario dittatore. È sbagliato dire che il Comunismo Sovietico è caduto improvvisamente nel 1989, perché la sua caduta era in verità cominciata un trentennio prima. Proprio come la Chiesa Cattolica, che non sta cadendo oggi, all’improvviso, perché la gestazione di questa cronaca di una morte annunciata, è cominciata quarant’anni fa, nella stagione del post-concilio, seguendo tutti gli schemi tipici di quelle rivoluzioni passionali e romantiche dalle quali sono sempre nate le dittature peggiori, a partire dalla Rivoluzione Francese col suo periodo del terrore dal quale nasce poi la stagione inaugurata da quel grande guerrafondaio di Napoleone Bonaparte. E così come i giovani contestatori del Sessantotto gridavano «Pace e Amore» con le spranghe di ferro in mano, lanciando sassi alla polizia e bombe molotov tra un grido d’amore e l’altro, oggi nella Chiesa, i dittatori nati nella stagione del post-concilio, menano sprangate sulle ginocchia e spezzano le gambe a chiunque dissenta dinanzi alla grande Rivoluzione della Misericordia.

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Il fatto poi che il termine «rivoluzione» e «rivoluzionario» sia del tutto incompatibile con l’essenza stessa del Cristianesimo, o che definire il Verbo di Dio, Cristo Signore, come «rivoluzionario», rasenti invero la blasfemia, questo lo spiegherò in dettaglio in un alto scritto successivo, perché non posso aprire adesso un tema nel tema, tanto più in una conclusione finale.

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In questo mio scritto ho fatto riferimento anche ai delinquenti, ovviamente in senso puramente figurato, non in senso criminale e penalistico, riferendomi più volte ai grandi delinquenti che stanno massacrando il poco che ormai resta della Chiesa Cattolica. Non posso per ciò concludere senza aver fatto perlomeno il nome di uno tra i più illustri delinquenti figurati, sempre ribadendo che il lemma “delinquente” e “delinquenza” va inteso solo ed esclusivamente come sinonimo di disonestà intellettuale. Il delinquente intellettuale in questione è il sempre più onnipotente Alberto Melloni, grande leader della Scuola di Bologna e grande piazzatore diretto o indiretto di vescovi disastrosi. Per capire la delinquenzialità intellettuale di siffatto soggetto, a parte i suoi simposi presso le Logge Massoniche e amenità di vario genere [cf. QUI, pag. 6-9], basti solo leggere, dalle colonne del Corriere della Sera, in quale modo sprezzante e aggressivo egli commenta la profezia, oserei dire quasi ovvia, fatta dal Cardinale Francis George nel 2012 [articolo leggibile QUI], sino ad accusarlo di omofobia. E la omofobia, diversamente dalla mia recriminata delinquenza intellettuale, che è una pura figura retorica, è invece considerata un vero e proprio reato dalle leggi penali di diversi Paesi del mondo.

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Ecco, Alberto Melloni, tra i delinquenti intellettuali che si librano attorno al Romano Pontefice come degli avvoltoi sulla carcassa della Chiesa, è uno tra i più quotati. E con questo, ho detto e concluso tutto, sia riguardo agli avvoltoi, sia riguardo a chi, imperterrito, se li tiene attorno, in questa Chiesa auto-distruttiva della misericordia ossessivo-compulsiva, ridotta ormai ad una pantomima del paradiso del proletariato di Stalin.

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Forse un giorno, quando sarò vicino agli ottant’anni, vestito in modesti abiti civili, perché tutto ciò che ricorda vecchi simboli religiosi, anche nel vestiario stesso, non sarà consentito nelle strade di una società ormai completamente multi etnica, multi razziale, ma soprattutto liberata dall’immagine e dal ricordo di Dio, accompagnato da un paio di eroici candidati agli ordini sacri, che seguirò personalmente, perché non esisteranno più certe strutture ecclesiastiche, inclusi i seminari, passeggiando per Roma indicherò loro grandi e prestigiose strutture alberghiere, sedi di grandi società, musei, centri di esposizione d’arte, sale da concerto, teatri e via dicendo a seguire, che una volta erano le nostre grandi strutture religiose. E narrerò a loro che, nella mia età giovanile, io ho anche conosciuto e frequentato molti di quegli ambienti. E passando davanti agli stabili di quelle che furono le grandi università pontificie, nelle quali si troveranno le sedi di strutture accademiche dove si studierà l’ermeneutica delle vecchie religioni, patrocinate dal grande centro della cultura religiosa mondiale finanziato e dipendente da un apposito dipartimento delle Nazioni Unite, narrerò loro che in quegli stabili, una volta, insegnavano i nostri più “grandi” teologi, quelli ai quali si deve questa grande «caduta dell’impero» [vedere precedente articolo, QUI]. E se i due eroici candidati si rivolgeranno a me, loro vecchio vescovo, dicendomi: «Paternità, devono essere stati, quelli, dei tempi veramente belli». Io risponderò loro: «No, figlioli cari, erano tempi non solo brutti, ma terribili, nei quali una gerarchia ecclesiastica decadente si era ridotta a vivere di potere per il potere, avulsa dal reale, paralizzata nel tutto e subito, incapace di ogni prospettiva escatologica futura». E dirò loro: «Questi che stiamo vivendo adesso, sono i tempi veramente belli, perché sono i tempi di una lenta, dolorosa e lunga rinascita».

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È in questa situazione, che si potrà realizzare ciò al quale ci esorta il Beato Apostolo Paolo: «[…] se uno aspira all’episcopato, desidera un nobile lavoro» [I Tm 1, 2-3]. E sarà un «nobile lavoro» quando l’episcopato, svuotato di ogni potere e prestigio mondano, potrà essere vissuto solo ed esclusivamente a lode e gloria di Dio. E sarà in questa futura piccola, emarginata e dispersa Chiesa che forse, nella mia vecchiaia, diventerò vescovo per davvero, affinché al drammatico interrogativo «Ma quando il Figlio dell’uomo tornerà troverà ancora fede sulla terra?» [Lc 18, 1-8], un piccolo gruppo di cristiani possa rispondere: sì, nostro Signore e nostro Dio, abbiamo mantenuta accesa la lampada della fede sino al Tuo ritorno, senza mai avere perduto la consapevole speranza che a Te è sufficiente anche una piccola fiammella. E sulla base di questa consapevolezza, sono rimaste sempre accese in noi la fede e la carità.

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Dall’Isola di Patmos, 15 novembre 2017

Sant’Alberto Magno, vescovo e dottore della Chiesa

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[1] NdR. “Pidocchio risalito”, in inglese new riches o new money, persona di origini sociali povere che riesce a elevarsi con i suoi sforzi o facendo uso di un particolare talento, ma che finisce col diventare l’incarnazione della superbia e della volgarità più arrogante.

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Dalla Sicilia con furore un calabrese esplosivo: una straordinaria lectio magistralis di Antonio Staglianò Vescovo di Noto, promossa dalla Loggia Massonica del Grande Oriente d’Italia a Siracusa

— i video de L’Isola di Patmos —

DALLA SICILIA CON FURORE UN CALABRESE ESPLOSIVO: UNA STRAORDINARIA LECTIO MAGISTRALIS DI ANTONIO STAGLIANÒ VESCOVO DI NOTO, AL CONVEGNO PROMOSSO DALLA LOGGIA MASSONICA DEL GRANDE ORIENTE D’ITALIA A SIRACUSA

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In questi momenti di desolante mediocrità episcopale e di altrettanta desolante inadeguatezza, il Vescovo di Noto, S.E. Mons. Antonio Staglianò, ha reso onore alla Chiesa italiana ed al Collegio Episcopale con una lectio magistralis di elevato spessore storico, teologico ed ecclesiologico, presso il convegno promosso dal Grande Oriente d’Italia «Chiesa e Massoneria, così vicini e così lontani?»

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Autori
Giovanni Cavalcoli, O.P. – Ariel S. Levi di Gualdo

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S.E. Mons. Antonio Staglianò Vescovo di Noto

Per fare da contro-altare ad una fake news, pubblicammo giorni fa un articolo per precisare che l’Arcivescovo Metropolita di Siracusa S.E. Mons. Salvatore Pappalardo, non amoreggiava affatto assieme alla propria Chiesa particolare con le logge massoniche, come in modo infelice ebbero a scrivere diversi opinionisti cattolici basandosi unicamente su una locandina, quindi emanando, sulla sola base di essa, delle sentenze tanto affrettate quanto infelici [vedere nostro precedente articolo, QUI].

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Relatore di spicco a questo convegno per esprimere il pensiero ed il sentire cattolico sulla Massoneria, è stato S.E. Mons. Antonio Stagliano, Vescovo della Diocesi di Noto, conosciuto dal grande pubblico per la sua passione per la pop music e le sue diverse rappresentazioni in veste di cantante. Noi che però viviamo all’interno della Chiesa e che da sempre viviamo a stretto contatto col mondo della teologia, non conosciamo solo l’Antonio Staglianò cantante, ma soprattutto l’Antonio Staglianò teologo. Un teologo che sin dall’epoca della sua brillante docenza a Roma, si è sempre palesato nelle sue lezioni accademiche, nei suoi libri e nelle sue conferenze, come un teologo di profonda e sana dottrina cattolica, per usare il termine «sana dottrina» nel più squisito stile espressivo paolino [cf. II Tm 4,1-8].

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il manifesto sulla base del quale, riviste telematiche e blog cattolici, senza approfondire in alcun modo l’argomento, si sono lanciati in sentenze a dir poco infelici …

La lectio magistralis di S.E. Mons. Antonio Staglianò, di cui vi offriamo l’audio integrale, merita di essere ascoltata e meditata, perché nell’odierno mondo episcopale della piacioneria selvaggia e della superficiale approssimazione, capita sempre più di rado di udire, come autentica musica soave per le orecchie, un Vescovo che nelle sue parole ha incarnato il divino monito: «Sia il vostro parlare si quando è si e no quando è no, perché il di più, proviene dal Maligno» [Mt 5, 33-37].

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I Padri de L’Isola di Patmos, se da una parte si rallegrano e sono lieti di diffondere i preziosi contenuti della lectio del Vescovo netino, dall’altra rimangono amareggiati per il modo in cui, pur di fronte al dato di fatto, tutt’oggi vi siano dei cattolici resi polemici dalla loro tristezza interiore, che seguitano a stracciarsi le vesti pure dinanzi a un dato di fatto non passibile di smentita, ossia il seguente: con amabilità e profondo spirito cristiano, un vescovo e teologo ha spiegato ai Massoni che se un cattolico è iscritto alla Loggia ed appartiene alla Massoneria, deve ritenersi scomunicato latae sententiae, una scomunica che non è un retaggio della “vecchia Chiesa” del Beato Pio IX, ma rimane tutt’oggi valida anche nella Chiesa del periodo posteriore al Concilio Vaticano II. 

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Poteva forse dire più di questo, un vescovo ed un teologo, con buona pace di certi irriducibili cattolici tristi e, per questo, sempiterni scontenti? In questo, sbaglia forse il Sommo Pontefice Francesco I, quando a questo genere di cattolici, li chiama “cristiani cupi” o “cristiani pipistrelli”?

dall’Isola di Patmos, 13 novembre 2017

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CANALE YOU TUBE DE L’ISOLA DI PATMOS

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CANALE EUROPEO GLORIA.TV

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Su L’Isola di Patmos è disponibile il Libro delle Sante Messe, QUI

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

Cresce il numero di sacerdoti e teologi che mettono in guardia il Sommo Pontefice dai suoi falsi amici, anche correndo tutti i rischi del caso, come Padre Thomas G. Weinandy

CRESCE IL NUMERO DI SACERDOTI E TEOLOGI CHE METTONO IN GUARDIA IL SOMMO PONTEFICE DAI SUOI FALSI AMICI, ANCHE CORRENDO TUTTI I RISCHI DEL CASO, COME PADRE THOMAS G. WEINANDY

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«Santità […] Lo Spirito Santo è dato alla Chiesa, e in particolare a lei, per sconfiggere l’errore, non per favorirlo. Inoltre, solo dove c’è verità può esserci amore autentico, perché la verità è la luce che rende liberi uomini e donne dalla cecità del peccato, un’oscurità che uccide la vita dell’anima»

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Autore
Giovanni Cavalcoli, O.P.

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PDF  articolo formato stampa 

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Mi percuota il giusto e mi rimproveri; ma l’olio del peccatore non profumi il mio capo.

Sal 140,6

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il teologo statunitense Padre Thomas G. Weinandy, dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini

Ci hanno inviato da Washington una lettera di Padre Thomas G. Weinandy, Sacerdote e Frate Cappuccino. Questo confratello sacerdote e collega teologo è membro della Commissione Teologica Internazionale dal 2014. Il testo della sua lettera è riportato nella traduzione italiana dal vaticanista Sandro Magister, al quale rimandiamo [vedere testo della lettera QUI].

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Non commenterò questa lettera pacata e moderata nelle critiche, degna come tale di un autentico uomo di Dio; perché la sua chiarezza parla da sé, senza bisogno di note interpretative. Prendo invece atto che oltre oceano, un sacerdote e teologo, esprime argomentazioni che Padre Ariel S. Levi di Gualdo scrive e porta avanti da anni, per esempio indicando [lo ha fatto anche di recente assieme a me, vedere QUI], che «oggi, il grande problema, è costituito dall’episcopato». Ecco perché queste parole dirette al Pontefice regnante da questo nostro confratello statunitense mi sono suonate subito familiari, scrive infatti Padre Thomas G. Weinandy:

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«[…] i fedeli cattolici possono essere solo sconcertati dalle sue nomine di certi vescovi, uomini che non solo appaiono aperti verso quanti hanno una visione contrapposta alla fede cristiana, ma addirittura li sostengono e difendono».

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Una espressione che si ritrova in molti scritti del Padre Ariel [cf. nostri articoli QUI, QUIQUI, QUI, ecc..].

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E che dire di questa frase di Padre Thomas G. Weinandy:

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«[…] il suo pontificato ha dato a coloro che sostengono punti di vista teologici e pastorali rovinosi la licenza e la sicurezza di uscire in piena luce e di esibire la loro oscurità precedentemente nascosta».

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Sembra di leggere l’articolo nel quale Padre Ariel spiega che il Pontefice regnante, come il «pifferaio magico di Hamelin», ha un grande merito: «Avere fatto venire allo scoperto tutti i topi sino a poco prima nascosti» [cf. QUI]. 

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Se qualcuno mi avesse riportate frasi di questo genere e chiesto di individuare l’autore, sicuramente avrei risposto che si trattava di frasi estrapolate dagli scritti del Padre Ariel.

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Nel testo del Padre Thomas G. Weinandy affiorano varie argomentazioni da me espresse in diversi miei articoli, per esempio laddove scrive:

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«Lo Spirito Santo è dato alla Chiesa, e in particolare a lei, per sconfiggere l’errore, non per favorirlo. Inoltre, solo dove c’è verità può esserci amore autentico, perché la verità è la luce che rende liberi uomini e donne dalla cecità del peccato, un’oscurità che uccide la vita dell’anima».

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E ancora prosegue scrivendo:

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«Ma lei ha notato che la maggioranza dei vescovi di ​​tutto il mondo stanno fin troppo in silenzio? Perché è così?».

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Le similitudini tra noi e questo confratello sacerdote d’oltre oceano, sono tante è tali che mi sento quasi in dovere, a nome mio e del Padre Ariel, di informare i nostri numerosi Lettori che ci seguono da varie parti del mondo — diversi dei quali si sono affrettati a indicarci se eravamo in contatto con questo teologo cappuccino —, che non abbiamo mai avuto contatti con l’Autore di questa lettera e che tutto questo è frutto di pura casualità dovuta ad un modo per certi versi simile di analizzare alcuni gravi problemi intra-ecclesiali [vedere nostri articoli QUI, QUI, QUI].

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Il testo del Padre Thomas G. Weinandy parla da sé. Ciò che posso fare è di offrire ai nostri Lettori una riflessione sui nemici del Sommo Pontefice, i peggiori dei quali non sono coloro che lo criticano, spesso in modo anche duro, con stili e argomenti a volte giusti od a volte del tutto sbagliati; i peggiori sono coloro che lo lodano e che tentano di usarlo per imporre la loro personale dittatura all’interno della Chiesa.

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Che cosa è l’inimicizia

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Per trattare questo argomento occorre premettere alcune considerazioni sulla inimicizia in generale. Nemico è uno che, in disaccordo con un altro, gli vuole del male. Esiste un’inimicizia giusta e un’inimicizia ingiusta. La prima è l’essere nemici di una persona malvagia. Tuttavia, il male che gli si vuole, non è odio, ma una giusta pena. La seconda, è l’esser nemici di una persona buona. In questo caso, il nemico, è un odiatore.

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Un’inimicizia è giusta o ingiusta in base al motivo che la causa. Per quanto riguarda dunque il motivo, un’inimicizia può essere motivata o immotivata. È motivata, se si basa su di una buona ragione, ossia la costatazione della reale malvagità dell’altro. Si ha allora un’inimicizia giusta o giustificata. È immotivata, se basata su di una falsa ragione, ossia una malvagità non vera, ma supposta o apparente, sicché il nemico non è mosso da giustizia, ma da odio. Da qui nasce un’inimicizia ingiusta.

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Occorre considerare che il motivo dell’inimicizia può mettere in gioco o solo motivi umani oppure motivi che riguardano la fede. Nel primo caso, si è nemici o per amore della ragione o in odio alla ragione. Nel secondo, o per amore della fede o in odio alla fede. È giusto l’esser nemico per amore o della ragione o della fede, in nome della giustizia o in nome della carità. È invece ingiusta e peccaminosa l’inimicizia in odio o della ragione o della giustizia o della fede o della carità.

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Il concetto dell’amicizia e dell’inimicizia gioca un ruolo fondamentale nell’etica biblica. Nell’Antico Testamento il giusto è l’ «amico di Dio». Il demonio è il «Satàn», che significa il nemico, l’avversario. La prospettiva della salvezza e santità che ci offre Cristo, è diventare suoi «amici» [Gv 15,15]. E San Tommaso d’Aquino, basandosi appunto su questo passo di Giovanni, interpreta l’essenza della carità tra Dio e l’uomo con la categoria dell’amicizia, che implica l’idea di comunione tra i due amanti [Summa Theologiae, II-II, q.23, a.1].

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Tutta la dinamica della vita cristiana si risolve dunque in un’alternativa tra l’essere amici o nemici di Cristo: «chi non è con me, è contro  di me» [Mt 12,30]. Da qui viene che, essendo il Papa Vicario di Cristo, l’essere col Papa o contro il Papa non è indifferente per la salvezza. Naturalmente qui non si tratta dell’essergli amico o nemico per motivi umani, ma in relazione a Cristo.

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Una terza considerazione: un’inimicizia può essere solo apparente, ma può nascondere una reale amicizia. È proprio perché vogliamo bene all’amico, che può capitare che lo rimproveriamo o lo avversiamo, al fine di correggerlo, dandogli forse l’impressione di essergli nemici. Se infatti l’amico, per orgoglio, è attaccato al difetto che gli rimproveriamo, la prenderà male e penserà che gli siamo nemici, ed a volte, purtroppo, tenderà anche a comportarsi di conseguenza, ossia a trattarci da nemici.

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Così similmente un’amicizia può essere falsa, ossia può nascondere una reale inimicizia. Il falso amico è un simulatore che blandisce i difetti dell’altro come fossero virtù, evidentemente non perché gli vuol  bene, ma per fini disonesti, come per esempio ottenere favori, per corromperlo o per strumentalizzarlo o per altri disonesti motivi. Può capitare peraltro che all’altro piaccia essere amato in questo modo falso per disonesti motivi simili, sicché nasce tra di loro un legame disonesto da ambo le parti.

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Come regolarsi quando si tratta di giudicare un Pontefice?

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Padre Thomas G. Weinandy ce ne ha dato equilibrato esempio concreto, su come regolarsi quando si tratta di giudicare un Pontefice. Infatti, Nel caso del Romano Pontefice, bisogna aggiungere alcune distinzioni. Che vuol dire essere amico o nemico del Romano Pontefice? Quello del Romano Pontefice è infatti un caso specialissimo. Certo, nulla gli impedisce di coltivare virtuosamente o meno virtuosamente amicizie in senso umano e nulla può impedire che egli sia amato o avversato per motivi semplicemente umani, magari non sempre onesti. Può avere amici, che in realtà sono nemici; e può avere amici che sembrano nemici. Egli stesso può faticare e sbagliare nel discernimento. Qui certamente non ha il carisma di Pietro.

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Il Romano Pontefice può essere avvertito, consigliato, messo in guardia da veri amici, che però, se egli non comprende il loro intento, possono dargli fastidio. Anche lui, su questo piano, può non esser corretto e prudente nelle amicizie ed essere vittima involontaria o consenziente di amicizie discutibili per non dire false e dannose. E quindi può meritar rimproveri e avvertimenti. Dobbiamo infatti tener presente che ogni Pontefice è simultaneamente ed inscindibilmente il Romano Pontefice, ed il legittimo Pontefice è questo Romano Pontefice. Bisogna cioè distinguere il Pontefice in quanto Pontefice, maestro infallibile della verità evangelica e il Pontefice in quanto uomo, peccatore o santo, fallibile, redento da Cristo, con pregi e difetti psicologici, intellettuali, morali e culturali.

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Ma la vera e santa amicizia nei confronti del Pontefice, amicizia salvifica, non può non essere quella soprannaturale, di carità, basata sulla fede, che gli viene dai cattolici. Ed egli stesso, come Successore del Prìncipe degli Apostoli, non può non sentire un’amicizia privilegiata con i fedeli cattolici, anche se ad essi non è proibito correggerlo nella condotta morale. Falsa invece è l’amicizia di coloro che vorrebbero correggerlo nella dottrina.

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Egli dunque è tenuto ad amare di più i cattolici che sono in piena comunione con lui, soprattutto se virtuosi, anziché chi non è in piena comunione con la Chiesa, come per esempio i protestanti, i modernisti, i lefebvriani, o che addirittura è fuori, come per esempio gli ebrei ed i musulmani, o che a lui è contro, come i massoni o i comunisti. Invece, purtroppo qui si notano nel Romano Pontefice delle parzialità. Fa eccessive lodi e mostra familiarità indiscreta con chi dovrebbe andare più cauto e tenere a distanza, facendogli sempre più spesso grandi smancerie, ed al tempo stesso non esita a lesinare freddezza, durezza o scortesia con certi cattolici, anche di alto rango, magari conservatori, ma tutto sommato ortodossi e amanti del Vicario di Cristo in terra, solo perché si permettono di fargli qualche osservazione o di sollevare qualche dubbio.

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Come pure è falsa l’amicizia per il Romano Pontefice di quei cattolici che si allontanano dalla sana dottrina, della quale il Romano Pontefice è il sommo custode. Egli, da parte sua, è purtroppo trascurato in questo suo supremo ufficio e sembra troppo benevolo o accondiscendente verso costoro, che sono abilissimi simulatori, tanto che presso i modernisti si sono fatti la fama di “amici del Papa”, mentre i ”nemici” sarebbero coloro che lo richiamano al suo dovere di custode della sana dottrina. E su ciò, purtroppo, egli non interviene a rettificare, sia restando insensibile alle suppliche, sia permettendo che questa calunnia abbia credito, e sia anzi trattando con durezza chi giustamente e rispettosamente lo redarguisce, quasi gli sia nemico, mentre in realtà è vero suddito e devoto, che non desidera altro che il Romano Pontefice faccia il Romano Pontefice.

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Falsi amici e apparenti nemici

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È vero però che ci sono falsi amici che assomigliano ai farisei, cattolici che riconoscono l’ufficio petrino, al contrario degli ”amici” modernisti, che fingono di accettarlo, ma in realtà lo negano, perché sono dei cripto-luterani. Questi ultimi, cosiddetti “amici” o sedicenti tali, dogmatizzano infatti certe parole e certi gesti incauti e discutibili del Pontefice regnante come fossero interventi divini e per converso negano tranquillamente i dogmi della fede cattolica come fossero miti antiquati o stravolgono in senso modernista le dottrine del Concilio Vaticano II. Mettono in discussione l’insegnamento dogmatico del Sommo Pontefice e prendono i suoi sbagli e le sue imprudenze come oro colato, come alte profezie e valori indiscutibili e non negoziabili, sicché, toccati nel vivo, giudicano con disprezzo ”nemici del Papa” coloro che scoprono i loro altarini e non fanno altro che esercitare nella Chiesa il legittimo dissenso.

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Ma bisogna pur riconoscere l’azione nefasta dei suddetti cattolici farisaici che, in nome di un falso concetto della Tradizione e considerando “moderniste” le dottrine del Concilio, sono purtroppo animati nei confronti del Sommo Pontefice da uno zelo occhiuto ed amaro, inquisitoriale e saccente, privi di comprensione e carità e sempre interpretando in male tutto quello che egli fa, sempre lanciati nella ricerca di ogni suo passo falso vero o presunto e mai attenti alla sue virtù e buone qualità. Essi colgono bensì alcuni suoi difetti morali, ma poi passano il limite accusandolo di eresia, cosa gravemente calunniosa ed inammissibile per un cattolico e che lasciamo piuttosto a Lutero, anche se è vero che il Pontefice regnante ogni tanto scrive o si lascia scappare qualche frase, che potrebbe essere interpretata in quel senso, ma che si chiarisce con un’opportuna esegesi. Difetto però del Pontefice regnante — cosa che bisogna riconoscerlo con dispiacere —, è quello dell’imprudenza e quasi della doppiezza nell’esprimersi, senza rettificare o confutare le cattive interpretazioni.

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Questi cattolici piantagrane e retrivi, onde avere una scappatoia per rifiutare come errato il Magistero ordinario del Sommo Pontefice, sostengono che l’infallibilità pontificia è limitata alle sole definizioni solenni di nuovi dogmi, cosa che avviene rarissimamente. Per cui, per rendere ossequio alle omelie che il Pontefice regnante fa presso la Domus Sanctae Marthae, e per ritenerle non falsificabili, si direbbe che essi vogliano porre come condizione che ogni volta che le pronuncia egli le dichiari ipso facto verità di fede definita.

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Come si ama il Successore di Pietro? Anzitutto dicendogli sempre la verità, specie quella scomoda

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Che vuol dire allora amare il Successore di Pietro? Come possiamo essergli amici? Rispondiamo che occorre amare il Romano Pontefice in quanto Romano Pontefice, quindi di un’amicizia soprannaturale, fondata sulla consapevolezza che egli è il Vicario di Cristo, senza escludere la possibilità di nutrire per lui anche una simpatia umana o al contrario senza escludere la liceità che non ci sia umanamente simpatico [cf rimando a un vecchio articolo del Padre Ariel QUI]. La prima amicizia è dovere di carità basato sulla fede nell’ufficio petrino; la seconda, se c’è, è un bene, né dipende da noi ottenerla, anche se non è male desiderarla; ma non è cosa essenziale per la salvezza, come invece lo è la prima. È chiaro peraltro che se siamo nemici del Romano Pontefice in quanto Romano Pontefice, come fece Lutero, rischiamo l’Inferno; ma lo rischiamo anche se gli siamo nemici personali, ossia come semplice uomo o fratello.

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Come e in che senso il Sommo Pontefice ci può essere amico? Che tipo di amicizia possiamo ricevere da lui o donargli? Certamente, l’amicizia è sempre una benevolenza disinteressata di predilezione o di preferenza nei confronti di coloro con i quali ci sentiamo spontaneamente e particolarmente vicini, simili o affini; è un legame più stretto, più profondo e più gratificante di quello che è dato dal comune ed universale amore per il prossimo, obbligatorio per tutti. Invece l’essere amico non è un dovere che abbiamo verso tutti, ma solo con quelli con i quali abbiamo una affinità elettiva, come diceva Goethe, in ordine ad una maggior perfezione di vita. Il prossimo mi è comunque accanto senza che l’abbia scelto; invece le amicizie me le scelgo. Posso essere obbligato ad incontrare quel dato prossimo, ma nessuno può obbligarmi ad avere quel dato amico. Come però ci sono obblighi verso il prossimo, così ci sono obblighi verso l’amico e talvolta più stringenti.

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In tal senso è normale che il Sommo Pontefice abbia i suoi amici, mentre per noi non è esclusa la possibilità di diventare amici del Sommo Pontefice. Discorso simile va fatto per i nemici: sarebbe patologico che uno fosse nemico di tutti o sentisse tutti come suoi nemici. Ogni persona normale ha i suoi amici, anche se pochi. E il Sommo Pontefice, ovviamente, è tra queste. Se dunque parliamo di amici del Sommo Pontefice, intendiamo anzitutto quella cerchia limitata di persone, le quali, da un punto di vista umano o spirituale, per fortuiti eventi, si trovano ad essere predilette da lui, o si sentono in particolare sintonia con lui. In ciò non c’è nulla di male.

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Che differenza c’è tra l’essere nemico del Sommo Pontefice e l’avversarlo giustamente e legittimamente? Non qualunque opposizione o critica o disobbedienza al Sommo Pontefice è con ciò stesso mancanza di rispetto alla sua augusta persona di uomo e di Vicario di Cristo, ma può essere doveroso richiamo ai difetti o ai vizi dell’uomo o alle inadempienze del Vicario di Cristo. L’errore di Lutero non fu tanto quello di rimproverare al Romano Pontefice il suo fasto, il suo attaccamento al potere e alle ricchezze, e lo sfruttamento economico del popolo tedesco sotto pretesto di religione, ma fu quello di pretendere di correggerlo sul piano della dottrina e della morale. Un Pontefice che non accettasse osservazioni o appelli o suppliche o non ammettesse nessuna protesta o lamentela o di essere criticato, laddove è criticabile da veri amici e saggi e fidati consiglieri, mancherebbe di umiltà e sarebbe un tiranno, cosa molto incresciosa, oltre che danno suo e della Chiesa, cosa che avvilirebbe gravemente la dignità e il prestigio morale del Servus servorum Dei.

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Le contestazioni legittime

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L’odio è un cattivo consigliere. Le critiche livorose, anche se colgono nel segno, sono inefficaci od ottengono un effetto controproducente e fanno passare l’autore dalla parte del torto. Le correzioni vanno sempre fatte con amore, che però non esclude la severità e la combattività, perché a volte esse possono raggiungere quello che la mitezza non riesce a raggiungere. Chi parla a voce bassa non è udito dai sordi: bisogna alzar la voce. Gesù ha preso la frusta per cacciare i venditori dal tempio, perché non c’era altro mezzo.

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Santa Caterina da Siena, nello scrivere al Sommo Pontefice, lo intimorisce col ricordo delle sue tremende responsabilità. San Francesco di Sales diceva che si prendono più mosche con un cucchiaino di miele che con un barile d’aceto. È vero. Ma dipende anzitutto dalla circostanza, ed anche da che cosa vogliamo ottenere, perché si gusta molto meglio l’insalata dopo averla cosparsa con delle gocce di pregiato aceto balsamico di Modena, che non dopo avervi versato sopra del miele siciliano di Sortino, che pure è un miele di altissima qualità. Ma le contestazioni legittime possono essere fatte proprio perché si vuole bene al Sommo Pontefice e si vuole che il suo altissimo ufficio venga svolto bene, mentre i suoi falsi amici, che in realtà sono pericolosi nemici, si stracceranno le vesti contro i ”nemici del Papa”, perché vedono in pericolo la sedia episcopale ottenuta con tanta fatica per mezzo di molte incensazioni ai rahneriani e i favoritismi a loro concessi da un Papa ingenuo e manovrabile.

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Qui allora non si tratta di una pretesa presuntuosa di insegnare al Vicario di Cristo a guidare la Chiesa, ma è semplicemente il ricordargli ciò che egli stesso ci insegna sul suo ufficio di guida della Chiesa, sempre con la riserva di volergli essere sempre fiduciosamente sottomessi, anche se le sue direttive ci paiono a volte ingiuste.

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Certo, occorre modestia in queste opposizioni, perché, se è vero che lui può sbagliare, ancor di più possiamo sbagliare noi; e questa modestia l’ha dimostrata tutta quanta il Padre Thomas G. Weinandy attraverso la sua lettera amabile ed equilibrata. Certo non si possono escludere circostanze eccezionali nelle quali, per fatti gravi ed evidenti, abbiamo ragione contro il Sommo Pontefice. Allora occorrono molta parresia e coraggio profetico, pronti a subire  persecuzioni. Tali circostanze, però — si badi bene —devono riferirsi non al suo magistero dottrinale, ma alla sua condotta morale o pastorale o al governo della Chiesa. Perché nel primo caso, il Sommo Pontefice è infallibile, mentre nel secondo, può cadere sia in errore che in grave peccato. Nel primo caso, il Sommo Pontefice non può essere corretto, perché è solo lui che può correggere noi. Nel secondo caso, possiamo correggerlo noi, ma ancor più è lui che corregge noi.

Varazze, 2 novembre 2017

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