Il Santo Padre Francesco «eretico» e «apostata». E se fosse un provvidenziale “pifferaio magico”?

Rispondono i Padri de L’Isola di Patmos

IL SANTO PADRE FRANCESCO «ERETICO» E «APOSTATA». E SE FOSSE UN PROVVIDENZIALE PIFFERAIO MAGICO ?

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Non si ha memoria storica di un Sommo Pontefice che come quello regnante sia stato bollato come “eretico” e “apostata” da un numero di cattolici affatto irrilevante e non riconducibili ai soli ambiti degli “integralisti”. Pertanto riteniamo che questo nuovo fenomeno meriti una chiara e onesta risposta sul piano teologico ed ecclesiologico, fornita qui di seguito dai Padri de L’Isola di Patmos in due loro diversi scritti dedicati al delicato tema.

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Capisco bene i Vostri limiti di manovra, dire tuttavia che “il Santo Padre si trova in una «gabbia» nella quale è stato messo da alcuni oscuri personaggi che lo circondano e dalla quale purtroppo non è facile uscire …», è francamente poco credibile, considerata la personalità del Santo Padre, che ha oramai al suo fianco chi egli ha voluto. Gli altri sono emarginati. O sbaglio?

Licio Zuliani

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I Reverendi Padri di questa isola che sostengono questa teoria [Ndr. «il Santo Padre si trova in una “gabbia” nella quale è stato messo da alcuni oscuri personaggi che lo circondano e dalla quale purtroppo non è facile uscire»], non sanno di aggravare ulteriormente la situazione. Rendono un cattivo servigio che va a discapito della salvezza delle anime. Il dottore privato sta demolendo tutto. Che scandalo la visita sulla tomba del don Milan, addirittura vorrebbe emularlo invitando i sacerdoti a fare lo stesso. Dal 2013 abbiamo una tale quantità di elementi oggettivi (scritti, omelie, discorsi, video) per definirlo un apostata […]. Cari Padri di quest’Isola, abbiate la carità di dire per intero la verità è in gioco la salvezza delle anime di cui voi risponderete dinanzi al tribunale di Dio. Nessuno può essere convinto che il sole sia un granello di sale.

Aquila

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Autore
Giovanni Cavalcoli, O.P.

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il compianto Lucio Battisti [Rieti 1943 – Milano 1998], uno dei “mostri sacri” della storia della musica pop italiana, autore del brano Confusione. Per ascoltare cliccare sopra l’immagine

Il problema del Santo Padre Francesco è un problema sostanzialmente morale, cioè è il problema della sua condotta morale e della sua pastorale, non della sua dottrina di Vicario di Cristo. Su questo punto dobbiamo ascoltarlo da buoni cattolici e non fare come i lefebvriani e i luterani, che lo accusano di eresia. È questo, in sostanza, quello che il Padre Ariel ricorda nella sua risposta secca e decisa.

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Il problema del Santo Padre, a comune avviso dei Padri de L’Isola di Patmos, che a questo tema dedicano due diverse risposte, è proprio quello di non avere una forte personalità, ma di essere una persona influenzabile, salvo ad assumere a volte atteggiamenti autoritari, che però colpiscono i deboli e lasciano prosperare i forti.

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Il Santo Padre si trova a doversi misurare con un ambiente modernista molto potente, che è quello che ha spinto il Sommo Pontefice Benedetto XVI a fare atto di rinuncia. Il Papa è accerchiato, circonvenuto e adulato da falsi amici e traditori. La Chiesa ha il nemico in casa, ormai giunto ai più alti posti: pensiamo al caso del Cardinale Gianfranco Ravasi, per il quale i massoni sono nostri «cari fratelli» [cf. QUI, QUI] o del Cardinale Walter Kasper, per il quale il dogma è mutevole, o del Preposito generale della Compagnia di Gesù Arturo Sosa [cf. QUI], per il quale non sappiamo che cosa abbia insegnato Cristo, dato che a quel tempo non esistevano i registratori [cf. QUI], o dell’Arcivescovo Vincenzo Paglia, devoto di Pannella o di Bianchi, per il quale l’omosessualità è un dono di Dio.

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Alberto Melloni è invece convinto che ormai il sacerdozio è finito e che il Papa è alla pari del Patriarca di Costantinopoli [cf. QUI]. I modernisti sono penetrati nelle Facoltà Pontificie, nella Curia Romana e nella stessa Segreteria di Stato. Il Demonio bussa all’ingresso dell’Ospizio Santa Marta travestito da immigrato musulmano. Il Papa è costretto a scegliere i collaboratori tra quelli che di fatto si trova ad avere attorno. Deve fare buon viso a cattivo gioco.

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I modernisti giocano perfidamente la carta della forte capacità che il Papa ha di contatto umano e di comprensione umana, ed avendo in mano i grandi mass-media, diffondono la falsa immagine di un Papa simpaticone, populista e rivoluzionario, “leader della sinistra internazionale” contro Donald Trump, dipinto come odiatore dei poveri immigrati e servo del capitalismo americano, celando alla gente la sua identità di Vicario di Cristo e presentandolo come un modernista o un nuovo Che Guevara. La storia sembra veramente retrocessa al 1968 ed oggi si ha l’impressione di vivere, all’interno della Chiesa, a inizi anni Settanta del Novecento.

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In questa difficilissima situazione di emergenza, sotto questo assalto di forze diaboliche mai successo nella storia della Chiesa, il Papa deve barcamenarsi, deve fare attenzione ad ogni passo che fa, deve in qualche modo adattarsi alla situazione proprio per proteggere il suo ruolo di Romano Pontefice.

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I modernisti infatti hanno capito e favoriscono nel Papa il suo eccessivo affetto per la gente, organizzando delle adunate popolari, circa le quali ci si può chiedere cosa vale questo successo, ossia se esso nasce da una retta interpretazione del ruolo del Papa o forse piuttosto dalla sua semplice carica di umanità. Queste folle, che cosa vedono nel Papa? Il messaggero del Vangelo o il grande conduttore di entusiasmanti spettacoli di folla? Questo dubbio successo, secondo noi, rende il Papa influenzabile e cedevole alla formidabile, danarosa ed astuta pressione modernista.

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Questa incresciosa situazione si trascina sin dai tempi di Paolo VI ed oggi è ancora peggio. Il fatto è pertanto che il Papa non ha i mezzi per difendersi e per difendere la Chiesa dai modernisti. Il Papa deve fare, come si suol dire, buon viso a cattivo gioco. Per questo non ci sentiamo assolutamente di accusare il Papa di favorire gli eretici. E se accusandoci di «non dire tutto», alcuni vorrebbero che noi dicessimo che il Papa è eretico, o peggio ancora apostata, ebbene cavatevelo pure dalla testa, perché ciò ci sarebbe impossibile sia come sacerdoti sia come teologi. Oltre al fatto che dire ciò ― ossia accusare il Pontefice regnante di “eresia” o “apostasia” ―, non sarebbe «dire tutto», come sollecita un nostro Lettore, ma dire invece il falso.

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Nessun problema invece ad affermare che a nostro parere il Santo Padre sia cedevole è troppo accondiscendente, o troppo buono, come si suol dire, mosso dal desiderio di non causare alla Chiesa ulteriori sofferenze e non farle patire nuovi scandali. Se infatti egli rivelasse apertamente le trame di modernisti, accadrebbe nella Chiesa uno scompiglio maggiore di quello che avvenne nel 1943 in Italia con la caduta del Fascismo.

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In tale evenienza drammatica, il Papa potrebbe essere processato e deposto e i modernisti potrebbero eleggere un antipapa, Giovanni XXIV, dietro illuminata proposta di Gianfranco Ravasi e Walter Kasper, offesissimi, nonché di Alberto Melloni e di Andrea Grillo. I lefebvriani, per reazione a questo affronto intollerabile, potrebbero a loro volta eleggere, dietro suggerimento di Antonio Socci, Don Alessandro Minutella e degli Ecc.mi Monsignori Bernard Fallay e Richard Williamson, un altro antipapa, Pio XIII, del loro partito. Così si avrebbero tre Papi, senza contare il quarto, Benedetto XVI, sempre che sia ancora vivo. Frattanto, il deposto Francesco I, beneficiando di un indulto speciale, potrebbe dedicarsi a tempo pieno all’assistenza agli immigrati sull’isola di Lampedusa. Certo, il tutto può sembrare fanta-ecclesiologia, ma non ci siamo poi tanto lontani.

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Pertanto, i fedeli, per non scandalizzarsi del Papa e mancargli del dovuto rispetto come a Vicario di Cristo, devono fare questa lettura di quello che sta succedendo: occorre combattere i modernisti e difendere il Papa, perché se in qualsiasi modo viene attaccato il Papa, come spiega Padre Ariel nel suo commento di risposta che segue: si scardina la pietra che regge l’intera costruzione, con conseguenze non poi così difficili da immaginare …

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da L’Isola di Patmos, 26 giugno 2017

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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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un vecchio 45 giri del complesso I Camaleonti: Non c’è niente di nuovo, una canzone che oggi sarebbe adatta da suonare e cantare in diverse chiese cattedrali, al posto dell’inno Ecce sacerdos magnus.  Per ascoltare cliccare sopra l’immagine

I Padri de L’Isola di Patmos sono coscienti della situazione ecclesiale ed ecclesiastica attuale e per questo si guardano dall’andare a scardinare la pietra sulla quale Cristo ha edificata la sua Chiesa [cf. Mt 13,16-20], perché sono uomini di fede. Non c’è infatti cosa peggiore che distruggere la casa sulla base del “perché io penso”, “perché io sento”

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I misteri della fede non si fondano sul “io penso”, “io sento”… due presupposti che danno vita ad una “fede” emotiva, immatura e infantile, priva peraltro di una prospettiva fondamentale legata all’azione di grazia dello Spirito Santo che alla fine trasformò, uno spocchioso debole e pauroso come Pietro, in un martire e testimone della fede.

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Se il Pontefice regnante è «apostata», come afferma un nostro Lettore, allo stesso Lettore va ricordato che Pietro, scelto e voluto da Cristo in persona, era molto peggiore di Francesco I. Anche perché Pietro, atto di apostasia dalla fede nel Verbo di Dio incarnato la fece sul serio. Invece, Francesco I, non ha mai rinnegato pubblicamente Cristo e dinanzi al pericolo non s’è dato alla fuga. Pietro invece non solo lo rinnegò pubblicamente, ma lo fece giurando il falso e imprecando: «Allora egli cominciò a imprecare e a giurare: “Non conosco quell’uomo!”» [Mt 26,69-75].

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Noi non abbiamo mai negati i difetti, le carenze teologiche e la pastorale ambigua e confusa del Santo Padre Francesco, come fanno invece certi pavidi ecclesiastici in carriera, improvvisatisi oggi tutti quanti poveri&profughi. Non abbiamo mai negato i suoi difetti nella stessa misura in cui crediamo nello Spirito Santo «che è Signore e da la vita e procede dal Padre e dal Figlio» [cf. Simbolo di fede], inviato da Cristo alla Chiesa nascente nel giorno di Pentecoste. Pertanto non escludiamo che una persona limitata e ambigua come mostra d’esserlo il Pontefice regnante possa, anche alla fine della sua vita, come accaduto con Pietro, mutarsi in un grande confessore e difensore della fede.

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Di questa prospettiva molti sono purtroppo privi, semplicemente perché non hanno fede nelle azioni di grazia, perché la loro fede si gioca tutta sui clik del “mi piace”, “non mi piace”, perché vivono la Chiesa come un fenomeno socio-politico utile come valvola di sfogo per litigare nel microcosmo del loro cortile, laddove esiste solo nero e bianco, buoni e cattivi, dove si sentenzia “è così e basta“, ma non perché lo stabiliscono i dati oggettivi o le somme verità della fede, ma perché lo stabilisce il “io penso”, “io sento”, che finisce con l’essere il solo vero e oggettivo, il nuovo tragico dogma dell’essere e dell’esistere di molti uomini immersi nel mondo dell’iocentrismo e della auto-referenzialità. La fede è però altra cosa: «La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono» [Eb 11, 1-7].

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Mai cesseremo di rendere grazie al Santo Padre Francesco per avere portato allo scoperto un esercito così fitto e numeroso di cristiani la cui “fede”, di fatto, si basava sul niente. Infatti, al primo colpo di vento sono caduti, urlando in modo concitato ed emotivo «eresia!», «apostasia!», ed ogni altro genere di rabbia verso la Cattedra di Pietro. Ma soprattutto lo ringraziamo per avere portato allo scoperto soggetti di gran lunga più pericolosi, vale a dire tutte quelle frange di cardinali, vescovi e sacerdoti, oltre ad un esercito di teologi eretici in cattedra da alcuni decenni, che sotto i pontificati di Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, hanno a lungo lavorato con “ammirevole” pazienza nel nascondimento, dietro le quinte, giocando finché hanno potuto al trasformismo dettato da palesi mire di carriera, il tutto secondo la tecnica tanto acuta quanto pericolosa dei modernisti, che non mancano né di progettualità né di pazienza.

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Nessun problema, da parte mia, a fornire a tal proposito esempi. Figurarsi se io, come esorta a fare lo stesso Sommo Pontefice [vedere QUI], ho paura a «denunciare con nomi e cognomi». Semmai il problema è che il Santo Padre, al di là delle sue parole pronunciate nei predicozzi mattutini, i denunciati con nome e cognome se li tieni tutti attorno come edera avvolta attorno alla Cattedra di Pietro, mentre i pochi che hanno osato denunciare il covo dei serpenti attorno al sacro soglio, sono finiti come sono finiti, a lode e gloria di Dio. Pertanto, il Sommo Pontefice, oltre a essere limitato è purtroppo anche incoerente, perché mostra che tra il suo predicare a colpi di slogan a effetto per la gioia della stampa laicista, ed il suo agire concreto, non c’è corrispondenza.

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All’esortazione racchiusa in questo ennesimo predicozzo mattutino, rispondo offrendo quindi alla Santità di Nostro Signore Gesù Cristo l’Augusto Pontefice felicemente regnante, un nome di alto lignaggio che può valere per molti altri: il Cardinale Gualtiero Bassetti, Arcivescovo di Perugia e oggi Presidente della Conferenza Episcopale Italiana …

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 il Cardinale Bassetti, è riuscito ad andare avanti con quella “furbizia contadina” che induce a dire al padrone ciò che esso desidera sentirsi dire, sino a convincersi che quel semplice colono agisce come un servo davvero fedele nel migliore interesse del padrone e della proprietà. Adesso vedremo in che modo egli ha portata avanti la propria scalata, visto che al Successore di Pietro pare piacciano tanto le «denunce» corredate di «nomi e cognomi» — oltre che di fatti, naturalmente —, alle quali egli ci esorta nei suoi predicozzi mattutini.

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Gualtiero Bassetti, entrato nelle grazie del Cardinale Silvano Piovanelli, Arcivescovo metropolita di Firenze, è favorito infine nella sua promozione episcopale. Egli non è mai stato un’aquila teologica né uomo di profonda cultura, cosa che non costituisce in sé e di per sé alcun problema, anzi tutt’altro, conosciamo infatti bene i danni immani recati sotto il pontificato dell’ultimo Giovanni Paolo II dalle infauste infornate di vescovi professori. Va quindi precisato che oggi, il Popolo di Dio e noi stessi ministri in sacris veneriamo dei santi che erano persone di una limitatezza teologica e culturale a volte desolante, ma ciò non ha pregiudicato l’eroicità delle loro virtù, sino a essere canonizzati e proclamati modelli di santità per gli stessi sacerdoti, a partire dal nostro patrono, che con buona pace del Sommo Pontefice e del Cardinale Bassetti, rimane il Santo Curato d’Ars Giovanni Maria Vianney. Pur malgrado, pochi giorni fa, si è assistita alla elevazione del Priore di Barbiana Don Lorenzo Milani a sublime modello di prete per opera della Santità di Nostro Signore Gesù Cristo l’Augusto Pontefice felicemente regnante, al quale l’Enzo Bianchi e l’Alberto Melloni di turno hanno detto in modo diretto o indiretto le due parole magiche dinanzi alle quali Francesco I giunge persino a perdere la ragione, ma soprattutto ogni spirito obbiettivo: «un vero prete dei poveri … un prete degli ultimi … un prete di frontiera sperduto nelle periferie esistenziali …», ed il gioco è stato fatto, a lode dell’eretico di Bose e del politicante non meno eretico della Scuola di Bologna.

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Il futuro vescovo cardinale e presidente della C.E.I Gualtiero Bassetti, con certi santi condivide sicuramente la mediocrità e la limitatezza, non però la eroicità delle virtù e la santità. Ed a parte una giovanile “nomina d’ufficio” a vice-parroco, di fatto ha trascorso tutta la sua vita sacerdotale precedente l’episcopato tra i meandri della curia fiorentina: assistente presso il seminario, poi rettore del seminario minore, poi rettore del seminario maggiore, poi pro-vicario generale … Nel 1994 è nominato vescovo di una piccola ma antica diocesi della Maremma toscana, Massa Marittima, eretta nel V secolo in un angolo di quella splendida terra etrusca e retta dal proto-vescovo Cerbone; una Chiesa particolare nella quale egli, ragionevolmente, avrebbe dovuto raggiungere i suoi 75 anni d’età.

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Sappiamo però bene, ma soprattutto abbiamo sperimentato più volte amaramente sulla nostra pelle sacerdotale, sia nella nostra veste di sottoposti sia nella nostra veste di vittime, che mentre gli uomini di Dio tremano se chiamati a certi incarichi, giacché più son dotati di sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà, timor di Dio, più si sentono inadeguati, al loro contrario i mediocri che tendono a essere ammantati di esteriore umiltà e sopra i quali i doni dello Spirito Santo rimbalzano all’indietro come palle di gomma su di un muro di cemento, dentro sé stessi non sono mai contenti di quanto di immeritato hanno ottenuto, per questo cercano di supplire a tutti i loro demeriti aspirando ad ottenere sempre di più. Ecco allora che con tutta la fedeltà tipica dello sposo amorevole e devoto, Gualtiero Bassetti lascia solo dopo quattro anni, nel 1998, la diocesi di Massa Marittima, per divenire vescovo della Diocesi di Arezzo, che per estensione territoriale e numero di presbiteri è la seconda diocesi più grande della Toscana. Ovviamente — ci mancherebbe altro! —, questi soggetti sono adusi rivolgersi dalla loro cattedra episcopale al clero ed ai fedeli con la lacrima da teatro d’arte drammatica all’occhio, pronunciando la fatidica frase che … «mio malgrado, diletti figli e figlie amatissime, il Santo Padre mi ha comandato, ed io ubbidisco» …

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… ma anche una sposa come la Chiesa di Arezzo non era all’altezza di cotanto marito, proprio come quei mariti vicini ai sessant’anni che una volta ben piazzatisi nella società come professionisti o imprenditori e fatto un certo gruzzolo di soldi, per prima cosa lasciano la moglie a dibattersi con i problemi della sua menopausa e si prendono come fidanzata una ragazza di 25 anni che potrebbe essere loro figlia, la quale si unisce a loro per amore, solo ed esclusivamente per profonda passione d’amore. In questo caso, lo sposo devoto Gualtiero Bassetti, lascia la sposa aretina per divenire Arcivescovo metropolita di Perugia. E, per la seconda volta, ripete la rappresentazione d’arte drammatica di rito, con l’annuncio dato dalla cattedra episcopale di Arezzo: «mio malgrado, il Santo Padre mi ha comandato, ed io ubbidisco».

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È veramente insolito che nel corso dell’ultimo ventennio, dinanzi a questi comandi dati dal Santo Padre, che semmai non conosceva neppure l’esistenza, il nome e l’ubicazione geografica di certe piccole e medie diocesi d’Italia, ma che pur malgrado comandava e manco a dirsi offriva per la terza volta allo sposo una sposa più “ricca” e “bella” … mai, dico mai, uno solo di questi “mariti fedifraghi” che abbia risposto: «Beatissimo Padre, ho già cambiato ben due spose, pertanto vi supplico: lasciatemi sposo della mia sposa. Non assegnatemi per la terza volta ad una nuova e più grande diocesi». Nessuno sposo fedele ha invece agito a questo modo, in un episcopato che pare favorevole al divorzio e alle seconde e terze nozze con spose più allettanti. Comprensibile il motivo: perché tutti sono di rigore degli indefessi obbedienti quando si tratta di passare da una piccola a una media diocesi, poi da una media diocesi a una grande sede storica che beneficia del pallio metropolitano. Insomma, se un ometto, in prime nozze, ha avuto il colpo di grazia di sposare la figlia di un barone di provincia, poi in seconde nozze la figlia di un conte di città, può essere forse così sciocco da non accettare di lasciare la seconda per prendersi come terza moglie la figlia di un principe che vive nella capitale? In fondo, nei cammini pastorali della fede — perché qui è di pura fede che si tratta, intendiamoci! —, bisogna da una parte puntare sempre più in alto, dall’altra puntare al duc in altum, ossia prendere il largo, ce lo insegna Cristo stesso nel Vangelo della pesca miracolosa, anzi lo comanda proprio Egli stesso a Pietro: «Prendi il largo» [Lc 5,1-11]. Resta però un dubbio: Cristo Signore, a Pietro, lo fece capo dei pescatori di uomini, o capo di un gruppo di pescatori di mogli sempre più altolocate?

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Per inciso sia chiaro, è legittimo, anzi a volte auspicabile che a certe grandi sedi metropolitane siano assegnati dei vescovi che hanno già maturata esperienza pastorale, cosa che in rari casi avveniva anche in passato, quando pure un vescovo, una volta eletto a una sede, era inamovibile sino alla morte. Ma si tratta, appunto, di casi molto rari. Per esempio, in Italia, dove abbiamo oltre duecento diocesi, le grandi sedi che potrebbero richiedere un vescovo con esperienza pastorale già maturata, saranno più o meno dieci: Palermo, Napoli, Firenze, Bologna, Genova, Milano, Torino … E qui faccio nuovamente notare che mentre la Diocesi di Arezzo, più grande ed estesa dell’Arcidiocesi umbra, ha 245 parrocchie e un presbiterio formato da 270 sacerdoti tra secolari e regolari, l’Arcidiocesi di Perugia ha 155 parrocchie e  un clero composto da 190 sacerdoti, tra secolari e regolari. Però, quello di Perugia, è un arcivescovo metropolita, mentre quella di Arezzo, sebbene diocesi di maggiori proporzioni come parrocchie, clero ed estensione territoriale, è una diocesi suffraganea della sede metropolitana di Firenze. E proprio in quel di Firenze, città che al futuro cardinale iper-bergogliano ha dato i natali, dinanzi a certe figure si è soliti motteggiare: «Eh, ti conosco, mascherina …». 

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Il Cardinale Gualtiero Bassetti è un paradigma per un motivo che adesso illustro sul finire: sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, tutti ricordano questo personaggio, a Massa Marittima prima e ad Arezzo in seguito, come un pubblico difensore della famiglia e dei valori non negoziabili. Sotto il pontificato di Benedetto XVI, tutti lo ricordano a Perugia come un pubblico difensore della ortodossia teologica e della buona liturgia. Sotto il pontificato di Francesco I, tutti lo stiamo vedendo, nel suo nuovo ruolo di Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, come un uomo tutto poveri, profughi e jus soli. Ecco, mi domandavo se per caso, i grandi padri del Diritto Romano, oltre al jus soli, non abbiamo anche coniato l’istituto giuridico del … jus sòla.

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Forse, quella lingua biforcuta di Pietro l’Aretino, dinanzi al quale Giovanni Boccaccio era pressoché una “timida educanda”, avrebbe esordito con qualche sonetto più o meno a questo modo … « perlomeno le baldracche cambian clienti, ma eziandio restan sempre se stesse, allo contrario d’altri, che mutan invece vezzi e forme secondo le diverse esigenze di lor novi clienti ».

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Come capite, stiamo parlando di persone non solo prive di coerenza, ma prive di comune senso del ridicolo, convinte che il Popolo di Dio sia formato di poveri beoti incapaci di cogliere, capire e analizzare. Non c’è problema, perché capiranno, volenti o nolenti, vuoi per obbligo vuoi in modo forzato, quando giungendo un giorno parati a festa nella piazza della loro chiesa cattedrale si sentiranno strillare da una turba inferocita: «buffoni, buffoni!». E da questa eventualità tutt’altro che fantascientifica e remota, oggi io vi dico — o se mi permettete “vi profeto” — che non siamo affatto lontani. E siccome, di questo, sono in cuor loro consapevoli anche diversi episcopetti e cardinaletti, potete ben capire come mai, dinanzi a questioni morali e sociali di inaudita gravità, hanno piegato il capo e calato il silenzio sul matrimonio tra coppie omosessuali, sugli ennesimi colpi dati al poco che resta della famiglia, sulle forme ideologiche violente di un laicismo sempre più aggressivo verso ogni sentimento cristiano, sulla dittatura del gender, sulle azioni da polizia repressiva della gaystapo e via dicendo, perché da una parte non hanno il virile coraggio, dall’altra vivono col terrore di perdere il loro potere sociale ed economico, che presto però perderanno, perché il conto alla rovescia è iniziato sin dagli inizi di questo nuovo millennio, ed oggi siamo ormai agli sgoccioli degli ultimi grani di sabbia della clessidra. Vogliamo capirla o no, che a breve, in Europa saremo messi fuorilegge, mentre il miope episcopato italiano si scalda in seno la pericolosa serpe islamica che domani metterà le nostre teste nei campanili al posto dei batacchi delle campane? È che le teste saranno le nostre, non quelle di Gualtiero Bassetti e di Nunzio Galantino, loro saranno frattanto emigrati in Svizzera, dove seguiteranno a parlare di accoglienza sulla nostra pelle e sul nostro sangue, seguitando a garantire che l’Islam è una religione di pace.

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O pensate che l’episcopato italiano si sia prostituito sino a lisciare il pelo a quel demonio incarnato di Marco Pannella per pura carità cristiana? Suvvia, mica siamo bambini! Se hanno chinato il capo dinanzi al padre delle leggi sull’aborto, sulle unioni civili, sul matrimonio gay, nonché ideologo indefesso della cultura omosessualista, del gender, dell’eutanasia, delle sperimentazioni genetiche, degli uteri in affitto … è stato solo per un semplice motivo: con un Pontefice che da una parte ha dato inizio al proprio pontificato invocando una Chiesa povera per i poveri [cf. QUI], una forte crisi economica in corso, ed al contempo una caduta libera in corso della credibilità del clero, vessato da scandali morali ed economici senza precedenti, in siffatta situazione all’indemoniato Marco Pannella sarebbe bastato solo mezzo fischio per segnare un trionfo elettorale senza precedenti chiamando alle urne gli italiani per un referendum popolare sulla abolizione del tributo dell’Otto per Mille alla Chiesa Cattolica; ed i primi a votare a favore sarebbero stati molti cattolici. Proprio così … l’episcopato italiano si è svenduto come Esaù svendette la primogenitura per un piatto di lenticchie [Gen 12,50] …

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… e per la prima volta, attorno alla Cattedra di Pietro, si sono visti volteggiare degli accoliti di Satana come Marco Pannella ed Emma Bonino, colei che tutt’oggi chiama l’aborto «grande conquista sociale degna di un Paese civile», mentre il Pontefice che sogna una Chiesa povera per i poveri, non esitava ad accoglierla ripetutamente — cosa invece più volte negata a quattro pii cardinali —, ed a definirla «una grande d’Italia», assieme al comunista ateo e anticlericale Giorgio Napolitano [cf. QUI]. E qui facciamo notare per inciso che il grande ateo e comunista italiano Giorgio Napolitano, rivolse nel suo discorso ufficiale queste parole al Romano Pontefice:

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«Ci ha colpito l’assenza di ogni dogmatismo, la presa di distanze da “posizioni non sfiorate da un margine di incertezza”, il richiamo a quel “lasciare spazio al dubbio” proprio delle “grandi guide del popolo di Dio”» [testo del discorso, QUI].

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Che tradotto vuol dire: finalmente, un Pontefice che non parla dei dogmi della fede, o del fatto che certi temi non sono negoziabili da parte della morale cattolica, come per esempio il valore e la tutela della vita umana sin dal momento del concepimento e via dicendo. Segue poi un discorso improntato sul relativismo, l’antropocentrismo e via dicendo, dietro al quale non è difficile individuare, per noi addetti ai lavori, la mano di certi teologi, o meglio di qualche nota scuola teologica italiana, i cui fondatori frequentarono fin troppo la politica ed il palazzi politici …

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Ah, la Chiesa povera per i poveri! Speriamo che domani la gente non ci prenda a colpi di spranga per la strada, quando tra non molto scapperanno fuori i raggiri di vari preti trafficoni che dalla sera alla mattina hanno messo in piedi centri di accoglienza per “profughi”, gestendo da una parte grosse somme di danaro e dall’altra donando qualche appartamento agli amati nipoti. Cosa accadrà, per la mancanza di vigilanza delle nostre «guide cieche» [cf. Mt 23,16], quando saranno denunciate svariate Onlus fondate da preti per i più disparati scopi benefici, sociali e assistenziali, ivi inclusa persino una benemerita associazione per la lotta contro la pedofilia, ed il tutto specie nel Meridione d’Italia, quando si scoprirà che queste “pie fondazioni” non hanno mai presentato un bilancio, che ricevono finanziamenti generosi da vari enti statali ed europei, pur avendo dei consigli d’associazione “segretissimi” formati tutti quanti da fratelli, sorelle, nipoti e cugini, nessuno dei quali ha semmai un lavoro, ma vivono come suol dirsi alla grande sul gran mercato della “carità”? E cosa accadrà quando si scoprirà che grazie ai “profughi”, diverse strutture della Caritas, soprattutto da Napoli in giù, lungi dal beneficiare al novanta per cento di volontari gratis et amor Dei, hanno risolto certi problemi di disoccupazione, o più facilmente di carente voglia di lavoro, garantendo uno stipendio a fratelli, sorelle, nipoti, cugini, amici e … persino “fidanzati” di certi preti? 

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Torniamo quindi ai vescovi ed ai cardinali del nostro discorso in questione, che forse è meglio …

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Anche il Cardinale Giuseppe Betori, attuale Arcivescovo metropolita di Firenze, è stato sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, a partire da quand’era Segretario generale della C.E.I. sotto la presidenza del Cardinale Camillo Ruini, un difensore della famiglia e dei valori non negoziabili; in seguito, come vescovo diocesano e come cardinale, sotto il pontificato di Benedetto XVI è stato un difensore della ortodossia teologica e della buona liturgia. La differenza che però corre tra il Cardinale Giuseppe Betori e il Cardinale Gualtiero Bassetti, è che il primo, memore di ciò che pensavano sia Giovanni Paolo II sia Benedetto XVI, ed ancor prima di loro Paolo VI e Giovanni XXIII, s’è ben guardato dal beatificare Don Lorenzo Milani, anzi ha dichiarato «per me non è santo» [cf. QUI, QUI], ed in tal modo è rimasto in coscienza se stesso dinanzi al mondo e alla storia. Tutt’altra pasta il Cardinale Gualtiero Bassetti, che cambiata non natura, ma cambiato semplicemente cliente, si è immediatamente adeguato dichiarando «per me è santo», mostrando in tal modo il proprio sé stesso nella miracolosa evoluzione dei tempi [cf. QUI, vedere video QUI], il cosiddetto … jus sòla.

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In conclusione ribadisco che al Santo Padre Francesco noi dobbiamo profonda gratitudine, perché come il pifferaio magico di Hamelin ha portato allo scoperto tutti questi topi; e qui permettetemi di dirvi che, questa analisi, non l’ho fatta adesso, ma quattro anni fa, dopo appena tre mesi di pontificato [vedere QUI]. E noi, dopo l’opera straordinaria del pifferaio magico, i topi li condurremo tutti a gettarsi nelle acque del fiume. Perché domani, queste persone paralizzate nel potere presente, certe che questo presente è una sorta di motore immobile che non passerà mai, prive come tali di una prospettiva escatologica futura perché paralizzate nel tutto e subito, nell’immediato, non potranno più in alcun modo riciclarsi sul carro del nuovo condottiero, cosa di cui dovremo rendere profonde grazie al Sommo Pontefice Francesco I, per sempre. In caso contrario, dinanzi a qualsiasi tentativo di gattopardesco riciclaggio clericale, per noi sarà un cosiddetto gioco da ragazzi, ricordare a tutti costoro come hanno vissuto e con quale piaggeria hanno agito sotto questo pontificato, pur di ottenere cariche ecclesiastiche e benefici d’ogni genere al merito dei poveri, dei profughi e delle periferie esistenziali. Infine sarà nostra cristiana missione “tagliar loro le teste”, a partire da quella del Cardinale Gualtiero Bassetti, uno dei diversi ai quali, casomai fosse stata eretta nell’Urbe, avrebbero dovuto dare come titolo cardinalizio quello della Chiesa di Santa Maria del Camaleonte. Perché costui, domani, come prova ampiamente la sua vita vissuta, al minimo cambio di vento non esiterebbe a presentarsi in pubblico con sette metri di cappa magna ed a dichiarare che i crociati salvarono intere popolazioni dagli attacchi dei musulmani e che pertanto vanno venerati come autentici difensori della fede. Ma soprattutto, al primo cambio di vento, non esiterebbe a dichiarare che andrebbero ripristinati i sani e santi metodi della vecchia inquisizione per procedere ad ardere al rogo Enzo Bianchi e Alberto Melloni.

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Che la Chiesa fosse santa e meretrice, questo lo afferma il Santo vescovo e dottore Ambrogio, ma dicendo ciò in un proprio sermone [casta meretrix, in Lucam III, 23], egli si rifaceva alla letteratura dell’Antico Testamento ed in particolare all’episodio della prostituta di Rahab che aiutò a Gerico gli israeliti come una «meretrice casta», che «molti amanti frequentano per le attrattive dell’amore ma senza la contaminazione della colpa». In modo contrario, personaggi come Gualtiero Bassetti e affini, hanno mutata invece la Chiesa in una baldracca che va dove tira il vento; e questo è tutt’altra cosa, rispetto al casto meretricio. O per dirla con il Reverendo Prof. Joseph Ratzinger, ciò vuol dire mutare la Santa Chiesa di Cristo «in una struttura di peccato» [cf. Introduzione al Cristianesimo, ed 1968], con buona pace del pretesto dei poveri, dei profughi, delle periferie esistenziali e dei tanti preti improvvisatisi oggi di strada, di frontiera e di periferia, per seguire con tutti gli stereotipi da Repubblica delle Banane sudamericana degli anni Settanta oggi in gran voga, sui quali molti stanno facendo folgoranti e dannose carriere ecclesiastiche, senza che l’Augusto Inquilino di Santa Marta si renda conto dei danni che sta favorendo, ma soprattutto di ciò di cui in futuro dovrà rispondere a Cristo, che gli ha affidata la propria Santa Sposa, non una ideale e idealizzata villas de las miseria

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Nonostante tutto questo, noi crediamo con fede profonda e certa che quello del Sommo Pontefice Francesco I, per opera di grazia dello Spirito Santo, finirà con l’essere e col risultare a posteriori un pontificato che come pochi altri avrà reso grande servizio e grande bene alla Chiesa di Cristo per il suo futuro.

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Nel maggio 2016, quando ancora nessuno poteva immaginare certi eventi presenti, per sincera onestà intellettuale reputai opportuno indirizzare queste parole al Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Cardinale Angelo Bagnasco, verso il quale fui durissimo nel 2013 in occasione del funerale porcino del presbìtero Andrea Gallo:

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«Eminentissimo Padre Cardinale, non passerà molto tempo che noi, con la morte nel cuore e le lacrime agli occhi risogneremo i tempi recenti nei quali avevamo come punto di riferimento e modelli di equilibrio pastorale uomini straordinari come lei. Domani noi vivremo nel vostro ricordo e sentiremo in modo drammatico la vostra mancanza. E quelli che, come il sottoscritto, in alcuni momenti vi hanno trattati con severità, si pentiranno − ma se è per questo io sono già pentito – d’esser stati severi con voi e renderanno la vostra vecchiaia meno sofferente venendovi a baciare la mano e dicendovi con profonda devozione che in verità voi eravate degli autentici Padri della Chiesa; e ve lo diremo sinceri e convinti dopo avere provato il peggio del peggio che sulla nostra pelle di presbìteri fedeli alla Santa Chiesa di Cristo e alla sua dottrina si sta ormai preparando» [l’intero articolo è leggibile QUI].

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Io non sono mai saltato sul carro del vincitore, basti dire che ho vissuto anni di formazione sacerdotale a Roma e poi altri anni a seguire di sacerdozio nella Diocesi del Sommo Pontefice, senza mai avere visto una sola volta da vicino né Giovanni Paolo II né Benedetto XVI né Francesco I. Anche perché non ho mai cercato di avvicinarli, persino quando più e più volte ho prestato servizio liturgico ai pontificali di Benedetto XVI. E perché mai avrei dovuto? Menziono tutti i giorni il Sommo Pontefice nel canone della Santa Messa, cosa questa che basta a loro e basta a me. Semmai, io mi avvicino a coloro che dal gran carro sono scesi, cessando alla loro discesa di essere delle stelle, ed oggi nessuno li cerca, forse nemmeno li ricorda, a partire dai giornalisti che li inseguivano come segugi. A quelli io sono da sempre vicino, nella loro solitudine e nel loro cammino; ed è lì che nascono le più belle relazioni, quando il rapporto tra colui che avvicina e colui che si lascia avvicinare, è caratterizzato dalla totale mancanza di qualsiasi genere di interesse, non certo dalla speranza di finire in una terna per una nomina episcopale.

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Ciò premesso concludo: su queste parole scritte oltre un anno fa al Cardinale Angelo Bagnasco, c’è forse qualcuno che oggi intende darmi torto, sia dinanzi al nuovo episcopato italiano, sia dinanzi alla nuova presidenza della C.E.I, che mi suona tanto come la nuova presidenza del jus sòla  sul carro del gran carnevale di Rio de Janeiro?

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da L’Isola di Patmos, 26 giugno 2017

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