Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

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Padre Giovanni

Massimalismo ed eroismo. L’opportunismo di Andrea Grillo che tenta di giocare tra “Amoris Laetitia” e “Veritatis Splendor”. Con appendice postuma sul caso dell’Arcivescovo Luigi Negri

— difendere il Santo Padre dai falsi amici —

MASSIMALISMO ED EROISMO. L’OPPORTUNISMO DI ANDREA GRILLO CHE TENTA DI GIOCARE TRA AMORIS LAETITIA E VERITATIS SPLENDOR. CON APPENDICE POSTUMA SUL CASO DELL’ARCIVESCOVO LUIGI NEGRI

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Le idee morali di Andrea Grillo producono dei Don Abbondio, pronti ad obbedire al primo briccone che capita, dei furbi che vogliono farla franca a poco prezzo e con l’aurea del profeta, dei giullari di corte o degli adulatori del padrone che li paga bene, dei machiavellici al servizio del dittatore, degli opportunisti spinti dal vento che tira, dei Talleyrand che stanno sempre a galla, abili nel salvare la pelle in ogni circostanza, dei pavidi pronti ad inginocchiarsi fino a terra ed a baciare i piedi del primo prepotente che fa la voce grossa. Pertanto, certe idee e modi di agire, non producono il volo dell’aquila, ma lo starnazzare della gallina nel pollaio.

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Autore
Giovanni Cavalcoli, O.P.

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Ti scongiuro di conservare senza macchia e irreprensibile il comandamento fino alla manifestazione del Signore Nostro Gesù Cristo [I Tm 6,14]

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Giovanni Cafarra

Giovanni Cavalcoli nel convento domenicano di Bologna con il Cardinale Carlo Caffarra in occasione dell’apertura della fase diocesana del processo di beatificazione del teologo domenicano Tomas Tyn

Andrea Grillo è intervenuto il 3 maggio scorso sul suo sito Rivista Europea di Cultura con un breve articolo intitolato «Amoris Laetitia: Oltre Veritatis Splendor, ovvero al di qua del massimalismo morale» [cf. testo leggibile QUI]», nel quale vede nell’Amoris Laetitia un contrasto, anzi un approccio alla questione del rapporto fra legge morale e circostanze dell’atto morale, «che non sarebbe esagerato definire “diametralmente opposto”» rispetto alla Veritatis Splendor di San Giovanni Paolo II, che secondo lui sarebbe inficiata di «massimalismo», «razionalismo» e disprezzo per la «tradizione», mentre l’Amoris Laetitia, «realizza con grande forza e con vera profezia un recupero della tradizione», per cui essa «elabora, nel cap. VIII, una comprensione delle “ferite della famiglia” in cui si propone una relazione tra “norme” e “discernimento” che recupera una antica sapienza ecclesiale, rispetto a cui una “morale fredda da scrivania” [cf. Amoris laetitia, 312] aveva preteso di prendere le distanze in modo drastico e massimalistico».

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Questa contrapposizione fatta da Grillo fra questi due grandi documenti pontifici è del tutto falsa e sofistica, calunniosa verso San Giovanni Paolo II e smaccatamente  adulatoria nei confronti di Papa Francesco, secondo un riprovevole costume che si è diffuso fra gli adulatori modernisti del Pontefice regnante, come per esempio anche Enzo Bianchi. Semmai si deve dire che i due documenti si completano e si illuminano a vicenda, poiché mentre l’Enciclica di Giovanni Paolo II si ferma di più su alcuni princìpi di fondo della teologia morale, l’Esortazione apostolica di Papa Francesco prende in maggiore considerazione le condizioni, le circostanze e le modalità, nelle quali il soggetto agente deve applicare, nel caso della vita matrimoniale, la legge morale.

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Come sciocca è l’accusa fatta da alcuni al Papa di relativizzare la legge morale, o di mettere in dubbio l’indissolubilità del matrimonio o addirittura la sacralità dell’Eucaristia, quasi a favorire il lassismo morale, altrettanto sciocca è l’accusa fatta da Grillo a un Santo Pontefice, espertissimo nella cura pastorale, di “massimalismo” morale, ossia di astrattezza, rigidezza, eccessive esigenze, troppa severità e scarsa comprensione delle debolezze umane, quasi chè mancasse di misericordia e di senso delle circostanze.

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Non c’è dubbio che non solo per il Santo Pontefice Giovanni Paolo II, ma anche per il Santo Padre Francesco l’adulterio è un intrinsece malum, giacché questo concetto, come risulta chiaramente dalla Veritatis Splendor, è necessariamente connesso con le parole di Cristo stesso sull’indissolubilità del matrimonio e la proibizione dell’adulterio.

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Diverso però è il caso dell’adulterio e dello scioglimento del matrimonio. L’adulterio è sempre proibito senza eccezioni. Nel secondo caso, invece ― a parte la legge mosaica in merito mutata da Cristo ―, San Paolo dà il permesso al coniuge credente, la cui fede è messa in pericolo dal coniuge non-credente, di lasciarlo, sicché il matrimonio viene sciolto. È il cosiddetto privilegio paolino. Così troviamo scritto nel Dizionario di Teologia Morale diretto dal Cardinale Francesco Roberti [1], alla  voce privilegio paolino: «Il cosiddetto privilegio paolino è contenuto in I Cor  7, 11-16. […] Per esso può sciogliersi solo il matrimonio legittimo, anche consumato, cioè quello contratto da due non battezzati, se uno di essi si converta alla religione cristiana. Non si applica al matrimonio tra un battezzato e un infedele, contratto previa dispensa dall’impedimento della disparità di culto».

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Qui abbiamo un valore sacro – il vincolo matrimoniale ―, al quale in due modi differenti si oppone un certo atto umano. Ma quale abissale differenza nell’uno nell’altro caso! L’adulterio è un atto privato col quale l’uomo compie un grave peccato contro l’indissolubilità e la sacralità del matrimonio, per cui il vincolo resta intatto. Lo scioglimento del vincolo è atto pubblico della legittima autorità ecclesiastica, autorizzata dalla dottrina di San Paolo.

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Qui vediamo che differenza c’è, riguardo alla disciplina del sacramento del matrimonio, fra l’istituzione divina (volontà di Cristo) e il potere dell’autorità giuridica della Chiesa (“potere delle chiavi”). Mentre Cristo non concede alla Chiesa e quindi alla morale da essa insegnata — con buona pace di Grillo — di fare eccezioni alla proibizione dell’adulterio e del divorzio, ha concesso alla Chiesa, per il tramite di San Paolo, la facoltà, in certi casi, di sciogliere il vincolo coniugale.

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Un gioco sleale

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Grillo gioca slealmente sull’inveterato equivoco idealista, che dà il primato del soggetto sull’oggetto, intendendo per  soggetto la coscienza come la intende Cartesio, ossia non come regolata dalla verità, ma come regola della verità, non come pensiero che mediante l’idea si adegua al reale, ma come reale o essere (sum) dedotto dal pensiero (cogito) o dall’idea, per cui la verità per Cartesio non è ciò che esiste realmente davanti a me (obiectum), indipendentemente da me (semmai dipendente da Dio), ma ciò che io (subiectum, “soggetto”) decido essere la verità e la realtà. Ora, bisogna dire che è vero che se io penso, vuol dire che esisto, ma è ancor più vero che per poter pensare, devo prima esistere. Da qui il primato dell’essere sul pensiero e quindi sulla coscienza. La dissoluzione dell’essere nel pensiero e nella coscienza soggettiva è la follia dell’idealismo, produttrice di solipsismo metafisico, soggettivismo teoretico, relativismo e corruzione morali, disturbi emotivi, patologie allucinatorie o autistiche, illusioni a non finire.

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Questo principio, portato alle sue estreme conseguenze ha prodotto l’identificazione hegeliana e gentiliana dell’essere col pensiero. È questo il soggetto moderno che piace a Grillo e che egli senza accorgersene ha messo al posto di Dio, giacché è solo Dio, è solo l’Autocoscienza divina, che è regola dell’essere, della verità e della nostra coscienza.

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È chiaro che se per soggetto, secondo il linguaggio idealista, si intende il mondo dello spirito o la coscienza, mentre l’oggetto sono le cose materiali esterne, si ha il primato del soggetto, ossia dello spirito, sull’oggetto, cioè sulla materia. Ma se per soggetto, secondo il linguaggio realista, si intende il pensiero e per  oggetto si intende il reale, qui è il pensiero che deve adeguarsi al reale. Ma occorre dire che la coscienza non va intesa come fonte assoluta della verità, ma come obbligo morale di accogliere la verità. Invece, quello che Grillo chiama «soggetto moderno», non è altro che il concetto modernista della coscienza, per il quale Padre Arturo Sosa parla di «primato della coscienza», dimenticando, come ho dimostrato in un mio precedente articolo a lui dedicato, che la coscienza non ha nessun primato né nell’ambito del sapere, dove il primato va all’intuizione della realtà, nè tanto meno nell’ambito dell’essere, dove  il primato va alla verità dell’essere, regola oggettiva della verità della coscienza.

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Confronto tra Veritatis Splendor e Amoris Laetitia.

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 Quindi, se da una parte ha ragione Papa Francesco nel sostenere che:

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  1. «È vero che le norme generali presentano un bene che non si deve mai disattendere né trascurare, ma nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari» [Amoris Laetitia 304]. Il che non nega affatto l’esistenza di valori irrinunciabili, ossia l’intrinsece bonum o bonum honestum, e neppure significa che il fatto che il legislatore ignori tutti i casi possibili ammetta la possibilità di casi nei quali si possa fare eccezione alla legge.

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  1. «La Chiesa possiede una solida riflessione circa i condizionamenti e le circostanze attenuanti. Per questo non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante» [Amoris Laetitia 301]. È possibile l’alternanza di periodi nei quali essi sono in grazia a periodi nei quali sono in peccato, privi della grazia.

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  1. «È possibile che entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa» [Amoris Laetitia 305].

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  1. «Bisogna accompagnare con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone che si vanno costruendo giorno per giorno, lasciando spazio alla misericordia del Signore che ci stimola a fare il bene possibile […] Gesù vuole una Chiesa attenta al bene che lo Spirito sparge in mezzo alla fragilità: una Madre che, nel momento stesso in cui esprime chiaramente un suo insegnamento obiettivo, non rinuncia al bene possibile, benché corra il rischio di sporcarsi con il fango della strada» [Amoris Laetitia, 308]. È chiaro che l’uso dell’accompagnamento, della misericordia, della comprensione, della tolleranza e della pazienza, in certe circostanze non esclude, in altre circostanze, lo stimolo, l’incitamento, l’ammonimento, il richiamo, il rimprovero e l’avvertimento.

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Dall’altra parte ha fatto bene San Giovanni Paolo II a ricordare che:

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  1. «Si danno degli oggetti dell’atto umano che si configurano come “non ordinabili a Dio”, perché contraddicono radicalmente il bene della persona, fatta a sua immagine» [Veritatis Splendor, 80].

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  1. Nella tradizione morale della Chiesa gli atti umani che si orientano a tali oggetti «sono denominati intrinsecamente cattivi (intrinsece malum): lo sono sempre e per sé, ossia per il loro stesso oggetto, indipendentemente dalle ulteriori intenzioni di chi agisce o dalle circostanze» [Veritatis Spendor, 80].

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  1. «Le circostanze e le intenzioni non potranno mai trasformare un atto intrinsecamente disonesto per il suo oggetto in un atto ‘soggettivamente’ onesto o difendibile come scelta» [Veritatis Splendor, 81].

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Qui non c’è nessun massimalismo, nessun rigorismo, nessuna rigidezza, nessun razionalismo, nessuna pretesa esagerata. Nessuna rigidezza o esigenza troppo rigorosa, ma duttilità sapiente e prudente nell’adattare l’appello alla perfezione, alle possibilità e ai bisogni propri di ciascuno. Il Papa sa quanto Dio può chiedere all’uomo, dove l’uomo  può essere responsabile e dove invece è degno di pietà.

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«La Chiesa ― dice San Giovanni Paolo II [Veritatis Splendor,95] ―, che non può mai rinunciare al “principio della verità” e della coerenza, per cui non accetta di chiamare bene il male e male il bene, dev’essere sempre attenta a non spezzare la canna incrinata e a non spegnere il lucignolo che fumiga ancora [cf Is 42,3]. Il Beato Paolo VI ha scritto: «Non sminuire in nulla la salutare dottrina di Cristo è eminente forma di carità verso le anime. Ma ciò deve sempre accompagnarsi con la pazienza e la bontà di cui il Signore stesso ha dato l’esempio nel trattare con gli uomini. Venuto non per giudicare ma per salvare [cf. Gv 3,17], Egli fu intransigente con il male, ma misericordioso verso le persone”».

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Si tratta di considerazioni perfettamente ragionevoli, basate sul concetto razionale del bene dell’uomo e del suo fine ultimo, che è Dio. La conoscenza di questo fine è dimostrabile, come è noto, dalla ragione naturale, trattandosi di un fine o bene assoluto, che obbliga assolutamente, mancando al quale l’uomo fallisce nella vita. Anche le norme da seguire per il conseguimento del fine ultimo, ossia la legge naturale, la ragione le ricava dalla considerazione dell’uomo come animale razionale.

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La morale cristiana crea dei santi, non delle mezze figure

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Se la guida alpina indica a valle al camminatore la vetta da conquistare, non pretende certo che egli la raggiunga di botto con un salto, né gli passa per la mente di redarguirlo se non lo fa subito, ma evidentemente è pronta ad aiutarlo e ad accompagnarlo, con premura e saggezza, nella lenta salita fino alla cima.

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Per facilitare il cammino della vita non dobbiamo abbassare l’ideale morale o far sconti di nostra iniziativa, ma metterci tutta la nostra buona volontà con l’aiuto della grazia, confidando nella misericordia di Dio, ma senza approfittare furbescamente della sua bontà per fare i nostri comodi. Dobbiamo saper presentare al prossimo, chiunque egli sia, l’ideale cristiano in tutta la sua elevatezza, assicurargli il nostro aiuto e soprattutto esortarlo a fare il massimo – ecco il buon “massimalismo”! – confidando nell’aiuto del Signore. 

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San Giovanni Paolo II non chiede a nessuno l’impossibile, ma  ricorda a tutti la dignità altissima della persona e della sua responsabilità, creata ad immagine di Dio, senza dimenticare affatto le sue miserie, conseguenti al peccato, soprattutto nel clima odierno di diffuso disorientamento intellettuale, e i sui limiti della natura umana fissati eternamente dal Creatore e superati in varia misura dalla vita della grazia e della santità, dono della misericordia del Salvatore.

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E Papa Francesco non è quel manovratore ambiguo o quell’astuto  lassista che alcuni vorrebbero farci credere. Occorre invece, con un’esegesi attenta e benevola, prender atto della sua saggezza pastorale e del fatto che Amoris Laetitia aggiunge a Veritatis Splendor indicazioni casuistiche, alle quali non dà spazio la Veritatis Splendor, di impostazione più teoretica.  È vero che alcuni passi di Amoris Laetitia, per poca chiarezza, possono far problema, ma molto si chiarisce facendo ricorso al Magistero precedente, a partire dalla Familiarsi Consortio.

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Diciamo invece a Grillo che non bisogna confondere la serietà e il rigore morale col rigorismo, lo sforzo morale col massimalismo, la fedeltà alle nostre promesse, alla nostra vocazione o all’ideale inviolabile e al fine sacro che ci siamo prefissi, col conservatorismo o la stagnazione o il fondamentalismo o la cocciutaggine o la «chiusura al nuovo».

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I princìpi morali di Grillo, viziati  di storicismo, sono troppo deboli e fragili per produrre non dico dei martiri e degli eroi, ma neppure persone di carattere, con la spina dorsale robusta. Se Maria Goretti avesse avuto le idee di Andrea Grillo sul sesso e sul matrimonio, avrebbe senz’altro acconsentito alle richieste di Alessandro Serenelli, che per lo meno distingueva l’uomo dalla donna e non faceva confusione tra i sessi.

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Le idee morali di Grillo producono dei Don Abbondio, pronti ad obbedire al primo briccone che capita, dei furbi che vogliono farla franca a poco prezzo e con l’aurea del profeta, dei giullari di corte o degli adulatori del padrone che li paga bene, dei machiavellici al servizio del dittatore, degli opportunisti spinti dal vento che tira, dei Taillerand che stanno sempre a galla, abili nel salvare la pelle in ogni circostanza, dei pavidi pronti ad inginocchiarsi fino a terra ed a baciare i piedi del primo prepotente che fa la voce grossa. Pertanto, certe idee e modi di agire, non producono il volo dell’aquila, ma lo starnazzare della gallina nel pollaio.

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Varazze, 23 maggio 2017

Traslazione del Santo Padre Domenico di Guzman

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[1] Editrice Studium, Roma 1961.

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APPENDICE POSTUMA SUL CASO DELL’ARCIVESCOVO LUIGI NEGRI

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Andrea Grillo ha colpito ancora. Questa volta ha attaccato alcune riflessioni di S.E. Mons. Luigi Negri, Arcivescovo emerito di Ferrara, sull’attentato di Manchester, episodio gravissimo al quale ha fatto seguito la recentissima strage un Egitto [vedere i testi integrali QUI].

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Dobbiamo rilevare con vero dolore la stoltezza e l’irresponsabilità dell’aggressione di Grillo all’Arcivescovo. Grillo, che, con diabolica astuzia, sfrutta un difetto di forma nei pensieri dell’illustre e coraggioso Pastore, non capendo il modulo letterario di cui Mons. Luigi Negri si è servito per esprimere, in un ideale accorato colloquio con i poveri fanciulli uccisi, da una parte la sua amarezza e il suo sdegno per l’ennesima aggressione islamica al cristianesimo, che continua una tradizione vecchia di XIV secoli e, dall’altra, denunciare con doveroso disgusto l’ipocrisia di una putrefatta e secolarizzata Europa ex-cristiana, ridotta al nichilismo, che nega con affettata ignoranza la matrice religiosa del terrorismo islamico e vorrebbe nascondersi dietro questo pretesto per tentare invano di tacitare la propria coscienza, che la accusa e la tormenta per aver tradito Cristo, per non difendere la causa della fede contro l’attacco islamico e per aver perso con ciò le ragioni ultime del vivere, del gioire, del soffrire e del morire.

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Grillo è un esponente pericoloso ed emblematico di un cristianesimo corrotto e ipocritamente papista, e gli brucia il fatto che Mons. Luigi Negri, da buon medico e pastore, abbia messo il dito sulla piaga per sanare, non per uccidere. 
Ma Grillo, questo, non lo ha capito o non lo vuol capire, e così, orgoglioso ed ostinato com’è, invece di riflettere sulle sagge considerazioni morali di questo Vescovo e convertirsi, accentua il suo livore e sciorina i suoi sofismi contro chi lo richiama paternamente ai suoi doveri di cristiano, appigliandosi invano ad una pretestuosa critica basata sull’incomprensione dell’infelice modulo letterario adottato da Mons. Luigi Negri. 

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I Padri de L’Isola di Patmos sono assieme in questi giorni a lavorare per voi. Riprenderemo le pubblicazioni agli inizi di giugno

I PADRI DE L’ISOLA DI PATMOS  IN QUESTI GIORNI SONO ASSIEME A LAVORARE PER VOI. RIPRENDEREMO LE PUBBLICAZIONI AGLI INIZI DI GIUGNO.

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Autore Jorge A. Facio Lince

Autore
Jorge A. Facio Lince

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Cari Lettori,

convento san domenico varazze

Convento San Domenico di Varazze (Savona)

il Padre Ariel S. Levi di Gualdo raggiungerà domani assieme a me il Padre Giovanni Cavalcoli nel suo convento di Varazze, una splendida località che si trova presso le Cinque Terre di Liguria.

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I Padri de L‘Isola di Patmos, oltre a parlare di vari progetti editoriali, lavoreranno assieme alcuni giorni per i nostri Lettori. Saranno infatti realizzate delle riprese video in HD di diverse lezioni teologiche di Padre Giovanni Cavalcoli, che poi pubblicheremo sul canale de L’Isola di Patmos.

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Il Padre Ariel ed io saremo quindi in viaggio per diverse parti d’Italia nel corso dei successivi dieci giorni, pertanto vi avvisiamo che riprenderemo le pubblicazioni agli inizi del mese di giugno.

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Una preghiera assicurata per tutti i nostri Lettori alla Beata Vergine Maria del Rosario.

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NOTA DEL 21 MAGGIO

Cari lettori,

come potete vedere, i Padri de L’Isola di Patmos, sono già a lavoro per voi …

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

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Padre Giovanni

Un Papa modernista? Le falsità di Raniero La Valle

— difendere il Santo Padre dai falsi amici —

UN PAPA MODERNISTA? LE FALSITÀ DI RANIERO LA VALLE

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È molto triste e scandaloso che un uomo di valore e di lunga esperienza di vita come La Valle sia precipitato così in basso calunniando il Papa mentre crede di lodarlo, senza essersi accorto di esser divenuto, con le sue bestemmie, miserevole strumento di un piano massonico di distruzione della Chiesa, destinato inesorabilmente al fallimento, come falliscono inesorabilmente tutti i nemici di Dio.

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Autore
Giovanni Cavalcoli, O.P.

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Raniero la Valle e il Santo Padre

Raniero La Valle e il Sommo Pontefice Francesco I

Raniero La Valle, come è costume consueto dei modernisti, specialmente rahneriani, pretende di presentare le sue tesi ereticali come interpretazione delle dottrine del Concilio, ma, da quando regna il presente Pontefice, i modernisti hanno aumentato la loro audacia e sfrontatezza, e sono giunti al punto di presentare le loro eresie anche come il pensiero del Santo Padre stesso, approfittando di certe sue espressioni occasionali, che, a differenza del linguaggio dei Pontefici precedenti, che era sempre chiaro, si presta, se non è contestualizzato e rettamente interpretato, ad essere inteso in un senso modernista o rahneriano [segue l’articolo …].

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Per leggere tutto l’articolo cliccare sotto:

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Giovanni Cavalcoli, OP  —  UN PAPA MODERNISTA? LE FALSITÀ DI RANIERO LA VALLE

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La gaystapo adesso si lancia all’attacco del sacerdozio. Ebbene ribadiamo: non sono legittime nè valide le ordinazioni sacerdotali di persone con tendenze omosessuali strutturalmente radicate

LA GAYSTAPO ADESSO SI LANCIA ALL’ATTACCO DEL SACERDOZIO. EBBENE RIBADIAMO: NON SONO LEGITTIME NÈ VALIDE LE ORDINAZIONI SACERDOTALI DI PERSONE CON TENDENZE OMOSESSUALI STRUTTURALMENTE RADICATE

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Non ci si può mettere in pace la coscienza limitandosi a pubblici e severi proclami, quando nei fatti i preti gay aumentano in proporzione alla presenza di vescovi che ragionano con una psicologia omosessuale latente. O per dirla cruda: alcuni seminaristi che tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta capeggiavano all’interno dei seminari la pia confraternita gay, oggi sono vescovi, ed appena divenuti tali, per prima cosa si sono circondati di soggetti affini, piazzati sempre e di rigore in tutti i posti chiave delle diocesi, seminari inclusi. E questi soggetti, che si proteggono e si riproducono tra di loro, hanno finito col creare una potente lobby di potere all’interno della Chiesa. Il quesito che oggi si pone riguarda quindi la validità delle sacre ordinazioni di soggetti nei quali appaiono sempre più assenti i requisiti minimi richiesti per la validità del Sacramento dell’Ordine, a partire dalla fede e dalla corretta percezione del sacerdozio cattolico.

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Autori
Giovanni Cavalcoli, O.P. – Ariel S. Levi di Gualdo

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Sono passate leggi aberranti sul matrimonio tra coppie omosessuali, sono passate leggi luciferine sulla adozione dei bimbi dati alle coppie gay e lesbo, alle quali in molti Paesi è data possibilità di fabbricarsi e comprarsi creature da uteri in affitto. Il tutto sotto la bandiera dei “diritti” e di un non meglio precisato “amore“. Adesso, in nome dei “diritti” e di siffatto “amore“, si punta al “diritto” al sacerdozio per le persone omosessuali. Di questo passo, a quando la messa fuori legge di quel pericoloso omofobo del Beato Apostolo Paolo e la cancellazione dai sacri testi delle sue parole contrastanti con i supremi dogmi della lobby LGBT, specie laddove egli ammonisce: «Non illudetevi: né immorali, né idolàtri, né adùlteri, né effeminati, né sodomiti […] erediteranno il regno di Dio»? [I Cor 6, 9-10].

I Padri de L’Isola di Patmos

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omosessuali cristiani

… il sacerdozio non è un diritto rivendicabile dai gruppi LGBT

I Padri dell’Isola di Patmos hanno pubblicato nel luglio 2016 due saggi brevi nella sezione Theologica, affrontando un tema complesso e delicato sul piano teologico e giuridico: circa la effettiva validità delle ordinazioni sacerdotali di soggetti privi della corretta percezione del sacerdozio cattolico e circa la effettiva validità delle ordinazioni sacerdotali di candidati ai sacri ordini con tendenze omosessuali strutturalmente radicate.

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E non parliamo della moltiplicazione, non solo presso le parrocchie, ma persino presso gli stessi seminari, di gruppi di studio e di incontro per omosessuali cattolici. E questi incontri – sempre per essere onesti e chiari —, spesso si riducono a duri attacchi al sommo magistero del Santo Pontefice Giovanni Paolo II e del Venerabile Pontefice Benedetto XVI, mentre il prete stolto e improvvido lasciato dal suo Vescovo a seminare i peggiori veleni, tranquillizza di motus suos la platea di gay e di lesbiche rincuorandoli: «Oggi, le cose sono cambiate», perché «la Chiesa è uscita dal buio e divenuta finalmente accogliente e includente verso tutto e tutti». Compreso forse anche il peccato mortale?

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gay cattolici 2

… il sacerdozio non è un diritto rivendicabile dai gruppi LGBT

L’ormai potente e onnipresente lobby gay, con un linguaggio paludato e intriso di inaccettabili misericordismi e amorismi, tenta ormai da tempo di sferrare un attacco al cuore stesso della Chiesa: la legittimazione delle tendenze omosessuali in rapporto al sacro ministero sacerdotale. E ciò sino al punto di anticipare “direttive” sotto forma di “amabili proposte” al prossimo Sinodo dei Vescovi che si terrà sul tema: «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale » [vedere articolo QUI].

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Come a volte capita riguardo certi temi scottanti, numerosi nostri Lettori ci hanno scritto per chiedere lumi. A tutti rispondiamo riproponendo due nostri scritti su questo tema pubblicati dieci mesi fa [cf. QUI, QUI], nei quali riteniamo di avere analizzato il problema in tutta la sua grave profondità …

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Per aprire gli articoli cliccare sotto

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07.07.2016  Ariel S. Levi di Gualdo   —   DUBBI CIRCA LA VALIDITÀ DELLE ORDINAZIONI SACERDOTALI DEGLI OMOSESSUALI

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07.07.2016  Giovanni Cavalcoli, OP  —  LA QUESTIONE DELLA VALIDITÀ DELLE ORDINAZIONI SACERDOTALI OGGI 

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

La vera via domenicana alla Amoris Laetitia: lettera aperta al Prof. Andrea Grillo

LA VERA VIA DOMENICANA ALLA AMORIS LÆTITIA: LETTERA APERTA AL PROF. ANDREA GRILLO

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Il Cardinale Carlo Caffarra non si oppone affatto alla libertà della coscienza, come Lei lo accusa di fare, ma si oppone, giustamente, alla concezione soggettivista, propria del modernismo, che fa della coscienza individuale, dell’ “io”,  il metro, il principio e il criterio ultimo della verità.

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Autore
Giovanni Cavalcoli, O.P.

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PDF  articolo formato stampa

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Domini canes - fumetto

Domenicani a fumetti …

Lo stato coniugale è detto “regolare”, in quanto si suppone un matrimonio valido, mentre il concubinato o lo stato dei divorziati risposati è detto “irregolare”, in quanto la loro unione è illegittima. La questione della regolarità o irregolarità tocca il foro esterno, non quello interno della coscienza davanti a Dio. Infatti uno può trovarsi in uno stato regolare (per esempio religioso) ed essere privo della grazia e, per converso uno può trovarsi in uno stato irregolare ed essere in grazia.

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Bisogna dunque distinguere lo stato giuridico-canonico dallo stato della volontà. Il primo è uno stato esteriore della persona o uno stato di vita, socialmente visibile, e può essere regolare, ossia secondo la regola; o irregolare, ossia contro la regola. Un religioso, votato alla vita regolare, può condurre una vita irregolare. Un laico, non tenuto a seguire una regola di vita religiosa, può essere più regolare di un cattivo religioso. Lo stato della volontà è uno stato interiore, per lo più noto solo a Dio e al soggetto. Può essere buono – buona volontà – ed è sostenuto dalla grazia; o cattivo – cattiva volontà – e allora è privo della grazia. Quest’ultimo è lo stato di peccato […] I divorziati risposati possono trovarsi in uno stato o situazione, che, per ragionevoli motivi o cause di forza maggiore, non può essere interrotto. Tuttavia, se peccano, essi hanno invece la possibilità di interrompere lo stato di peccato con la penitenza e recuperare la grazia perduta [segue tutto l’articolo …]

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Per leggere tutto l’articolo cliccare sotto:

Giovanni Cavalcoli, OP  —  LA VERA VIA DOMENICANA ALLA AMORIS LÆTITIA: LETTERA APERTA AL PROF. ANDREA GRILLO

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il Sommo Pontefice Clemente XV corregge la «Amoris Laetitia» con il suo motu proprio: «Cum magna tristitia», confermando la disciplina di San Giovanni Paolo II sulla materia dei divorziati risposati

IL SOMMO PONTEFICE CLEMENTE XV CORREGGE LA «AMORIS LÆTITIA» CON IL SUO MOTU PROPRIO «CUM MAGNA TRISTITIA», CONFERMANDO LA DISCIPLINA DI SAN GIOVANNI PAOLO II IN MATERIA DI DIVORZIATI RISPOSATI

.Clemente XV col isola

Lettera Apostolica in forma di motu proprio
CUM MAGNA TRISTITIA

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AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI,
PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI
E AGLI ALTRI ORDINARI LOCALI
CHE HANNO PACE E COMUNIONE
CON LA SEDE APOSTOLICA:
SUL PROBLEMA DELLA AMMISSIONE ALLA EUCARISTIA DEI DIVORZIATI RISPOSATI

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CLEMENTE PP. XV

Vescovo della Chiesa Cattolica

Servo dei Servi di Dio

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Clemente XV intestazione ok.

Con grande tristezza ma con viva premura apostolica, di Nostra Somma Autorità enunciamo che l’esortazione apostolica Amoris Laetitia va letta e collocata in un complesso contesto storico di decadenza caratterizzato da un profondo smarrimento dottrinale e pastorale, perché se isolata da questo humus, non sarà possibile capire né il suo stile lessicale né il lodevole sforzo compiuto nella sua redazione. Di questo documento rimangono e sono indiscusse le buone intenzioni che lo hanno animato, tutte tese ad affrontare e risolvere problemi legati alla famiglia e al matrimonio in rapporto alle molteplici e variegate società contemporanee del mondo, che a partire dagli anni Settanta del Novecento sono andate incontro ad una progressiva disgregazione, in una società che tende ormai a negare il divenire eterno, l’assoluto immutabile e l’indissolubile. Un grave problema, quest’ultimo, derivante dallo smarrimento del linguaggio metafisico all’interno della Santa Chiesa di Cristo, ed in specie nella speculazione teologica e nella trasmissione delle verità di fede. L’abbandono di questo linguaggio, ampiamente solidificato e connaturato alla missione ed alla natura stessa della Chiesa, è stato sovente sostituito con stili e forme espressive idiomatiche che, sul piano della trasmissione della Santa dottrina, hanno dato vita a conseguenze e problemi talora persino disastrosi.

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Il potere delle chiavi, la certezza e la chiarezza

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Amoris Laetitia è un testo lungo che tratta una gran varietà di argomenti perlopiù sociologici, finendo col risultare ambiguo in alcuni importanti passaggi e per questo rivelatosi debole, perché non sempre chiaro su certi elementi fondamentali nei quali non è sapiente né prudente lasciare spazio alla vaghezza ed alle libere interpretazioni dei singoli episcopati, dei singoli presbìteri o delle diverse correnti di pensiero teologico, che devono essere guidati e diretti con parole sempre chiare e precise. Infatti, Cristo Signore, conferendo al Beato Apostolo Pietro il potere delle chiavi [cf. Mt 16, 18-19], gli ha comandato di confermare i fratelli nella fede: «Simone, Simone, ecco Satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli» [Lc 22, 31-32]. Questo gravoso potere di servizio, dal Beato Apostolo Pietro è stato trasmesso a tutti i suoi Successori, fino a Noi, che ci professiamo devoto servo dei servi di Dio.

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Fondamentale presupposto del Nostro ministero petrino è quindi la certezza, la chiarezza e la fuga da ogni vaghezza, come ricordò il Beato Apostolo Paolo al Beato Apostolo Pietro durante il rimprovero ch’egli mosse ad Antiochia al Capo del Collegio degli Apostoli, con tutto il rispetto dovuto alla sua indiscussa autorità [Gal 2,1-2.7-14].

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Le interpretazioni che è possibile ricavare da diverse pagine della Amoris Laetitia possono essere opposte ed entrambe coerenti in base a ciò che da essa si può dedurre a livello speculativo e interpretativo, cosa che induce a ribadire che il linguaggio dottrinale deve essere chiaro, univoco e non passibile di opposte interpretazioni, posto che il nostro parlare deve essere «Si, si, no, no» [cf. Mt 5, 37]. Pertanto, di fronte a qualsiasi questione di dottrina morale, non è contemplato che si possa indurre a pensare che la risposta potrebbe essere “si” ma volendo anche “no”, semmai un po’ “si” e un po’ “no”.

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Come Supremo Custode del deposito della fede incombe su di Noi l’obbligo e il dovere di vigilare sull’ovile che il Divino Pastore ci ha affidato, impedendo che il seme piccolo ma pericoloso dell’ambiguità, germogli sino ad intaccare ed eludere la dottrina della Santa Chiesa di Cristo attraverso la prassi pastorale, perché permettere siffatta germinazione non equivarrebbe a venire incontro alle moderne esigenze della società odierna, ma disattendere una norma sancita dal Verbo di Dio riguardo il matrimonio sacramentale: «Per ciò l’uomo non separi ciò che Dio ha unito» [Mt 19,3-12].

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L’uomo si conformi a Cristo e non sia Cristo conformato all’uomo.

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Per questo ribadiamo che è il Santo Vangelo di Nostro Signore Gesù Cristo, il Verbo di Dio fatto uomo, morto, risorto e asceso al cielo, che deve trasformare l’uomo e le società umane; è l’uomo che deve conformarsi a Cristo, non può essere l’uomo a trasformare il Santo Vangelo né possono essere le società umane a conformare Cristo alle loro esigenze del momento. I comandi dati da Cristo Signore sono immutabili ed eterni e non possono essere né disattesi né elusi attraverso parole ambivalenti dalle quali trarre legittimazione per nuove prassi pastorali legate alla amministrazione della Santissima Eucaristia, che è centro e culmine della unità della Chiesa. Pertanto, la giusta medicina ed il giusto viatico per coloro che sono venuti meno agli impegni contratti attraverso il Sacramento del matrimonio e che vivono una nuova unione al di fuori della sfera sacramentale, non può essere l’Eucaristia, perché ben altre sono le opportune medicine da somministrare, a partire dalla accoglienza di questi Nostri figli, per seguire con la loro sollecita e attenta cura spirituale.

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Il no all’Eucaristia ai divorziati risposati è una disciplina ecclesiastica, non una verità dogmatica.

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La prudente scelta di non concedere la Santissima Eucaristia ai divorziati risposati non è un elemento dogmatico della fede cattolica ma una disciplina normativa adottata dal Magistero della Chiesa in ossequio alla morale insegnata e trasmessa dalla Santa tradizione cattolica. Dunque, per il potere a Noi conferito da Cristo Signore, di Nostra autorità potremmo modificare questa disciplina normativa, che però non intendiamo riformare né in modo diretto né lasciando autonomia creativa alle singole Chiese particolari e ad alcuni episcopati nazionali, perché da ciò prenderebbe vita una nuova prassi pastorale non omogenea diffusa a cosiddetta macchia di leopardo, mentre le discipline della Chiesa sono univoche e universali, come lo è la sua missione pastorale.

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La decisione di non concedere la Santissima Eucaristia ai divorziati risposati, ed in specie nel presente storico odierno in cui il matrimonio risulta fortemente indebolito, si basa anche sulla prudente convinzione che tale concessione finirebbe con l’indebolire ulteriormente l’istituto sacramentale del matrimonio ed il fondamento ineludibile e non riformabile della sua indissolubilità [cf. Mt 19,3-12].

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Questo è ciò che Noi temiamo e che con chiarezza esprimiamo ai Nostri Fratelli Vescovi: il fondato timore che attraverso la Santissima Eucaristia si possa finire col rendere più debole ancora di quanto purtroppo già lo sia il fondamento della indissolubilità del Sacramento del matrimonio al quale, purtroppo, ai giorni nostri non credono più neppure molti dei nostri fedeli cattolici. In tal caso la Santissima Eucaristia diverrebbe altro da ciò per cui è stata istituita, cessando di essere il cuore della comunione e dell’unità della Chiesa per mezzo della grazia sacramentale. E qui è doveroso ricordare che i Sacramenti non sono un diritto dovuto o acquisito, ma una azione gratuita della grazia divina, che ci tocca e che ci ricolma di beni «non per i nostri meriti ma per la ricchezza del Tuo perdono» [cf. S. Messa, Can. Rom.].

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Mai curarsi di piacere al mondo: la disciplina di “Familiaris consortio”.

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Pertanto, nella totale incuranza delle critiche interne e dei pubblici insuccessi che potrebbero ricadere su di Noi, memori che il Romano Pontefice deve anelare di piacere a Cristo Signore nel fare la Sua volontà, santificando se stesso e santificando col proprio munus docendi e le sue opere i Christi fideles; memore altresì che Noi non possiamo curarci di piacere al mondo, compiacendo il quale potremmo correre il rischio di condurre come guide cieche molte membra del gregge a Noi affidato verso la caduta nel fosso [cf. Mt 15,14], ribadiamo ai Nostri Fratelli Vescovi che per quanto concerne la pastorale dei cattolici divorziati risposati si deve applicare con scrupolo e zelo quanto indicato dal nostro Santo Predecessore Giovanni Paolo II nella esortazione apostolica Familiaris consortio, con particolare riferimento al n. 84, ribadendo la non liceità, quindi la impossibilità del loro accesso alla Santissima Eucaristia, per motivi sia legati a prudenza pastorale, sia legati alla sapiente tutela dell’istituto del matrimonio sacramentale, già sin troppo duramente colpito e svilito nel corso degli ultimi decenni di storia dell’umanità.

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I Vescovi si premurino di essere sempre amorevoli e accoglienti nei riguardi di questi Nostri fedeli divorziati risposati che per le loro situazioni irregolari necessitano ancor più di essere fatti sentire parte viva della Santa Chiesa, memori che Cristo non ha mancato di ricordarci: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» [cf. Mt 9,13]. In nessun passo del Santo Vangelo e in alcun momento della Sua predicazione, il Verbo di Dio incarnato ha mai affermato che per essere accoglienti e misericordiosi bisogna accogliere e legittimare il disordine morale, o che bisogna temere a chiamare e ad indicare il disordine morale come tale, muovendosi su pretesti di falsa misericordia e di falsa accoglienza. Nostro compito è accogliere e assolvere i peccatori dai propri peccati, curandoli in tal modo dalla malattia del peccato; ed il presupposto per la remissione dei peccati è l’autentico pentimento unito al sincero proposito ed all’impegno di non ricadere nel peccato.

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Non si prospetta l’infattibile ed il non realizzabile per ottenere uno scopo.

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Accogliere e curare, per i pastori in cura d’anime è però molto difficile da farsi e da praticare, mentre sarebbe parecchio più facile cercare una soluzione a certi problemi legati alle cosiddette coppie irregolari concedendo loro l’accesso alla Santissima Eucaristia, quindi dichiarando la non esistenza del grave problema costituito dalla rottura della comunione sacramentale.

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È stato anche prospettato un cammino di “accompagnamento” di queste coppie di divorziati risposati, sostituendo peraltro il concetto della direzione spirituale con un non meglio precisato “accompagnamento spirituale”. E qui sarebbe bene notare che “dirigere” e “accompagnare” non sono due semplici modi diversi per esprimere la stessa cosa, ma per dire ed esprimere due cose diverse. È stato poi di seguito precisato che questo “accompagnamento” fosse di necessità “personalizzato” e come tale da valutare caso per caso, secondo le esigenze della singola coppia di divorziati risposati. Una prospettiva, questa, dinanzi alla quale è anzitutto necessario un deciso richiamo al realismo: il numero delle coppie di divorziati risposati è in progressivo aumento e dalle locali Conferenze episcopali giungono dati statistici preoccupanti i quali riferiscono che in alcune regioni del mondo le unioni che si concludono col divorzio civile sono superiori in percentuale al 50% dei matrimoni religiosi celebrati. A questi numeri va poi rapportata di necessità la situazione odierna del clero cattolico. Non sono infatti pochi i Vescovi del mondo che durante le loro visite ad limina Apostolorum riferiscono al Romano Pontefice che il numero dei sacerdoti deceduti è parecchio superiore a quello dei nuovi sacerdoti ordinati e che l’età media del clero, in non poche diocesi, si è ormai attestata anche al di sopra dei settant’anni d’età. Nella stessa Italia, antica culla storica del cattolicesimo e sul cui territorio si trova da due millenni la Nostra Sede Apostolica, alla fine dell’Ottocento si contavano circa ottantamila sacerdoti per una popolazione di circa ventinove milioni di abitanti. A distanza di appena un secolo, alla fine del Novecento, i sacerdoti presenti all’alba del nuovo millennio erano circa trentamila per una popolazione di circa sessanta milioni di abitanti. Oggi, in molte diocesi di questo Paese, vi sono sacerdoti ottantenni che di domenica celebrano la Santa Messa in tre diverse parrocchie, tutte ormai senza parroco, mentre l’età dei sacerdoti è sempre più elevata ed i decessi molto più numerosi delle nuove ordinazioni sacerdotali. In molte regioni del mondo vi sono sacerdoti che previo indulto del loro Ordinario Diocesano celebrano nelle feste e nei giorni di precetto anche sette, otto Sante Messe al giorno. In molte altre regioni della orbe catholica è ormai impossibile garantire a molte comunità anche la Santa Messa della domenica, perché è disponibile un solo sacerdote itinerante incaricato di recarsi nelle varie zone pastorali ormai prive di una presenza sacerdotale fissa, presso le quali può recarsi una sola volta al mese, ed unicamente per la celebrazione della Santa Messa. In questi casi, spesso, è persino impossibile amministrare le confessioni sacramentali ai singoli fedeli riuniti in gran numero per la celebrazione mensile della Santa Messa, ed il sacerdote è così costretto ad impartire l’assoluzione collettiva con il proposito da parte dei fedeli di confessarsi appena sarà loro possibile.

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Illustrato il dato reale e premesso che non è Nostra intenzione istituire dei processi alle altrui intenzioni, dobbiamo seriamente domandarci: qual è il rapporto con la realtà ecclesiale, ecclesiastica e pastorale di coloro che in una situazione come quella testé illustrata, hanno pur malgrado avanzata ipotesi e proposta di tale “accompagnamento”, mediante il quale seguire con cura ogni singola coppia in un lungo cammino “personalizzato” di discernimento e di crescita? Perché la realtà sino a qui riassunta potrebbe anche indurre a sollevare un quesito serio e obiettivo: coloro che avanzano proposte di per sé non possibili da realizzare ed altrettanto non possibili da percorrere, lo fanno forse solo per ottenere lo scopo che si sono prefissati, interiormente consapevoli che nessun “accompagnamento”, mediante il quale seguire con cura ogni singola coppia in un lungo cammino “personalizzato” di discernimento e di crescita, potrà essere neppure in minima parte realizzato, nel mondo attuale in generale, ma in particolare in quelle numerose regioni della terra dove le medie statistiche indicano la presenza di un sacerdote ogni 18.000/ 22.000 battezzati? O forse avanzano proposte di per sé non possibili da realizzare, ed altrettanto non possibili da percorrere, perché del tutto avulsi dalla vera e concreta realtà ecclesiale e pastorale?

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Certezza della pena per i trasgressori.

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Concludiamo affermando che una disposizione data può produrre effetti relativi, se non accompagnata da adeguata pena per i trasgressori. Pertanto stabiliamo che i Vescovi diocesani, i quali non si atterranno a quanto da Noi dettato, siano destituiti dalle loro cattedre episcopali. I Presbìteri, i quali predicheranno e attueranno discipline diverse, che siano sospesi per un tempo non inferiore a un anno dall’esercizio del sacro ministero sacerdotale. I teologi, i quali nelle università ecclesiastiche, nei centri di formazione teologica e nelle case di formazione per sacerdoti, religiosi e laici, insegnassero una dottrina diversa rispetto a quella da Noi ribadita, che siano privati della licenza per l’insegnamento della teologia cattolica. Se in caso di necessità questo non sarà fatto, allora le competenti Autorità Ecclesiastiche dovranno rispondere dinanzi a Dio per avere omesso di applicare una norma data a tutela della dottrina cattolica e delle anime affidate da Dio Padre alle cure della Santa Chiesa di Cristo, perché «a chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più» [Lc 12, 48]. E ogni volta che tutti noi facciamo l’atto penitenziale, a Dio chiediamo perdono per avere peccato non solo in pensieri, in parole ed in opere, ma anche in omissioni.

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Clemente.bmp.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 13 maggio 2027, nel 110° anniversario delle apparizioni della Beata Vergine Maria di Fatima, primo del Nostro Pontificato.

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PDF  Lettera Apostolica formato stampa

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Ariel articoliL’Autore del testo dello pseudo Clemente XV è, ovviamente, Ariel S. Levi di Gualdo. D’altronde, chi altri poteva essere? Dopo essersi infatti auto-nominato in passato Vescovo titolare di Laodicea Combusta attraverso le linee telematiche, adesso si auto-candida con l’occasione al prossimo conclave, animato dalla certezza che, peggio di quanto è stato fatto in questi ultimi anni sul piano dottrinale e pastorale, sarà alquanto difficile a compiersi, anche se si è soliti dire che al peggio, purtroppo, non c’è mai fine.

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Dall’Isola di Patmos, 1° maggio 2017 – Festa di San Giuseppe Lavoratore

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