L’antica menzogna dei Giudei sulla risurrezione di Cristo. Una riflessione contro il falso dialogo interreligioso ebraico-cristiano di Andrea Riccardi e della Comunità di Sant’Egidio

—  i video de L’Isola di Patmos —

L’ANTICA MENZOGNA DEI GIUDEI SULLA RISURREZIONE DI CRISTO. UNA RIFLESSIONE CONTRO IL FALSO DIALOGO INTERRELIGIOSO EBRAICO-CRISTIANO DI ANDREA RICCARDI E DELLA COMUNITÀ DI SANT’EGIDIO

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Chi non crede alla risurrezione di Cristo, in modo coerente considera noi cristiani figli di una menzogna. Però l’importante è dialogare … dialogare … Sì, va bene: ma dialogare su che cosa? Perché se queste sono le premesse, sarebbe più coerente che certi dialoghi, anziché essere chiamati dialoghi interreligiosi, fossero chiamati dialoghi interpolitici, destinati solo a fare la gioia dei capocomici del sincretismo e del relativismo religioso.

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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Lunedì della Pasqua 2017, in foto: Ariel S. Levi di Gualdo sullo sfondo di Pollica nel Cilento dal belvedere di Villa “La Rocca” Paravia.

Narrato che i capi dei Sacerdoti hanno corrotto le guardie poste a custodia del sepolcro con «una buona somma di danaro» affinché riferissero il falso [cf. Mt 28, 12-14], l’Evangelista Matteo conclude il racconto con una frase su cui non si può sorvolare: «Così questo racconto si è divulgato fra i Giudei fino ad oggi» [Mt 28, 15].

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Riguardo la morte di Cristo va ribadito che i romani hanno eseguita una condanna voluta dall’autorità religiosa giudaica. Un fatto storico che nessuno può riscrivere per non irritare a posteriori la suscettibilità del moderno Sinedrio, o per non turbare certi insani dialoghi interreligiosi alla Sant’Egidio — che nulla hanno da spartire col sano dialogo interreligioso del documento Nostra Aetate —, ed ai quali taluni non esiterebbero a sacrificare gli stessi fondamenti della nostra fede e la storicità dei Santi Vangeli, pur di dialogare a tutti i costi e costi quel che costi.

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La domanda è quindi semplice: il Corpo di Cristo, è stato trafugato dai suoi seguaci, che hanno data poi vita ad una menzogna, oppure, Cristo è veramente risorto, ed altri hanno mentito ?

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tomba di cristo

possiamo fare tutti i dialoghi interreligiosi che vogliamo, ma una cosa resta certa: o hanno mentito i Discepoli di Cristo, o hanno mentito i Giudei, perché tesi e antitesi non possono avere entrambe ragione

Andrea Riccardi e la Comunità di Sant’Egidio possono dialogare quanto e con chi vogliono, ma, a duemila anni di distanza, resta in piedi il seguente quesito: tra le due diverse parti, una ha detto il vero, l’altra ha mentito e diffuso il falso. Solo una delle due parti ha narrato il vero, mentre l’altra ha adulterato i fatti, mentito e diffuso il falso. Chi infatti afferma un fatto e chi nega in modo deciso quel fatto stesso, non possono avere entrambi ragione, è un fondamento della logica e del senso comune. Pertanto, chi dei due ha mentito: i Discepoli di Cristo, o i Capi del Sinedrio?

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Hanno mentito coloro che hanno annunciata la risurrezione, o i giudei nell’affermare che durante la notte, il Corpo umano del Verbo di Dio fatto uomo, è stato trafugato dal sepolcro? Perché è su questo che si dialoga veramente. In caso contrario, prendere invece un caffè glatt kosher con i Capi del Sinedrio moderno al gran carnevale del sincretismo e del relativismo religioso di Assisi, organizzato da Andrea Riccardi e dalla Comunità di Sant’Egidio, non può servire né mai servirà a niente, tanto meno a quella verità che ci farà liberi [cf. Gv 8, 32]. Una verità che noi siamo chiamati a custodire e annunciare, non ad annacquare, non a mercanteggiare, specie con chi ci considera figli di una colossale menzogna  [segue il video …]

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

Una notizia storica: Alberto Melloni annuncia l’estinzione del Sacerdozio

difendere il Santo Padre dai falsi amici

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UNA NOTIZIA STORICA: ALBERTO MELLONI ANNUNCIA L’ESTINZIONE DEL SACERDOZIO

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Alle assurde e pericolose affermazioni del capo della Scuola di Bologna, è d’obbligo replicare che il prete non l’ha inventato il Concilio di Trento, come lui falsamente afferma, ma Nostro Signore Gesù Cristo, per quanto differente sia il sacerdozio dai tempi di Cristo, a quelli di Trento, al nostro.

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Autore
Giovanni Cavalcoli, O.P.

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PDF  articolo formato stampa

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Melloni e Francesco

il Sommo Pontefice Francesco I ed il capo della Scuola di Bologna Alberto Melloni [© L’Osservatore Romano]

Nella rubrica difendere il Santo Padre dai falsi amici, offriamo questa volta ai Lettori un commento all’articolo dello storico Alberto Melloni, che alcuni anni aveva in progetto di proporre al Papa di condividere paritariamente la guida della Chiesa col Patriarca Ortodosso di Costantinopoli, mentre di recente ha esaltato Papa Francesco per aver fatto la pace, dopo mille anni, con il Patriarcato Ortodosso di quella città, ponendo fine alla controversia dottrinale.

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Ci riferiamo all’articolo intitolato «La Messa è finita. Così dopo cinque secoli tramonta la figura del prete» [cf. QUI], apparso su La Repubblica di mercoledì 22 marzo scorso a firma di Alberto Melloni, il quale si prodiga in un breve quadro della figura del prete promossa dal Concilio di Trento, accennando a taluni aspetti psicologici, comportamentali, culturali e pastorali ― il cosiddetto “clericalismo” ―, che effettivamente hanno caratterizzato un certo stile sacerdotale diffuso fino al Concilio Vaticano II, e al quale il Concilio e il Magistero post-conciliare hanno rimediato. Sebbene egli trascuri completamente di ricordare i meriti dogmatici ed anti-eretici del Concilio tridentino, per esempio il sacerdote come guida delle anime, uomo del sacro e della fermezza dottrinale; ed al tempo stesso analizzando certi limiti pastorali della riforma del Vaticano II, per esempio la tendenza secolarizzante, buonista e pacifista, tutti elementi ulteriormente aggravati dal risorgere del modernismo, del quale Alberto Melloni, capofila della Scuola di Bologna, è uno dei più noti esponenti nel campo della storia della Chiesa.

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Il difetto più grave di questo fazioso trafiletto è il perfido equivoco col quale Alberto Melloni gioca slealmente tra il rifiuto del modello tridentino del prete ― cosa sulla quale si potrebbe anche essere d’accordo, non per nulla il Vaticano II ha proposto una riforma, anche se parzialmente discutibile ―, e il rifiuto del prete come tale, ovvero del Sacramento dell’Ordine, sulle orme di Lutero, come appare chiaramente dal titolo dell’articolo.

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Passiamo adesso in rassegna le perle di questa splendida collana melloniana. Ad ogni asserzione del Alberto Melloni farà adesso seguito la mia risposta.

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Scrive Alberto Melloni In sordina si è esaurito un grande ciclo: quello del prete. Quella formidabile invenzione cinquecentesca che ha plasmato la cultura e la politica, la psicologia e la vita interiore, l’arte e la teologia dell’Occidente e delle sue antiche colonie non si è estinta (sono circa 420.000 i preti nel mondo), ma da oltre un secolo è in crisi: in Italia siamo passati in novant’anni da 15mila a circa 2.700 seminaristi.

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Replico a tal proposito che l’Autore esordisce col rievocare la riforma tridentina. Il prete, secondo la sua interpretazione del Tridentino, non lo ha istituito Gesù Cristo, ma è un’invenzione del papato, che si tratti del IV secolo, come pensano Schillebeeckx e Rahner o del Medioevo, come crede Lutero, o col Concilio di Trento, come pensa Melloni, poco importa. Il fatto è che, secondo loro, qui Cristo non c’entra per nulla, ma solo la sete di potere del papato.

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La crescita delle vocazioni sacerdotali non è in crisi perché la Chiesa si rifà tuttora alla dogmatica del Tridentino circa il Sacramento dell’Ordine e alle direttive  del Concilio Vaticano II; la crisi delle vocazioni dipende dal fatto che i modernisti hanno messo in giro una falsa idea del sacerdozio, che è un rifiuto della dogmatica tridentina e una falsa interpretazione delle direttive del Vaticano II. Il maggiore responsabile di questa truffa colossale è Karl Rahner[1], mentre Alberto Melloni è uno dei caporali di questo esercito di modernisti.

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Scrive Alberto Melloni Conta in questa fase storica il riverbero sul clero della caduta della qualità intellettuale delle classi dirigenti alle quali appartiene sia chi sceglie il sacerdozio che chi glielo conferisce.

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Replico a tal proposito che questo è un falso storico. Qualunque seminarista che studia la storia della Chiesa ― non con Melloni, ma con uno storico normale ―, sa che la riforma tridentina degli studi e della formazione del clero, alla quale dobbiamo appunto la nascita dei Seminari, ravvivò potentemente la deperita teologia scolastica, guastata dal neo-paganesimo umanistico rinascimentale, nonché dall’occamismo che è alle origini della teologia di Lutero, e fece risorgere una nuova fecondissima stagione della teologia scolastica, e quindi della formazione sacerdotale, soprattutto ad opera dei Domenicani e dei Gesuiti, i quali, come è noto, alla fine del XVI secolo, sino agli albori del seguente, si sfidarono in una nobile disputa, che mise in campo i migliori campioni delle due parti.

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Famoso è rimasto il Domenicano Domingo Bañez contro il Gesuita Luigi Molina, iniziatore della controversia, nel tentativo di precisare il rapporto tra l’azione della grazia e quella del libero arbitrio, una gravissima, sottile e affascinante questione suscitata dalla problematica luterana.

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Il nobile torneo ebbe ben 164 sedute, nelle quali grandi teologi disputarono appassionatamente o turno alla presenza del Papa. I Domenicani sottolineavano la potenza della grazia, utilizzando la categoria metafisica della causalità, la cosiddetta “premozione fisica”; i Gesuiti, invece, sottolineavano il potere della volontà umana, utilizzando la categoria biblica della “Alleanza”. Non c’è dubbio che questa disputa, benché fra dotti, non mancò di vitalizzare potentemente la cultura intellettuale dei vescovi e dei sacerdoti, rendendoli più esperti del gioco misterioso della grazia e della libertà e quindi più capaci di guidare le anime sulla via della salvezza e della santità.

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Inoltre, tutti sanno come la Riforma Tridentina avviò una formazione del clero animato da un forte spirito missionario. La recente scoperta di nuovi continenti rese cosciente la cristianità europea di non esaurire, come credeva il medioevo, tutto il mondo abitato. Così la Chiesa cominciò ad espandersi rapidamente nelle nuove immense terre e proseguì l’evangelizzazione dell’Asia e dell’Africa.

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Scrive Alberto Melloni Ma la questione si incunea più profondamente nella storia. Questo “prete tridentino” sembra attraversare la svolta della modernità senza danni: anzi la nascita dei nuovi ordini e società di preti dell’Ottocento, e lo zelo nel fare seminari grandi come fabbriche, sembrano garantire che la sua funzione resti intatta dentro lo stesso guscio istituzionale e teologico. Ma non è vero: la chiesa che si arrocca a difesa del proprio recinto ne fa un funzionario il cui profilo interiore si usura nel controllo sociale.

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Replico a tal proposito che la nascita di numerosi istituti religiosi e clericali dell’Ottocento testimonia di una Chiesa attenta ai segni dei tempi e alle grandi necessità sociali: ai più poveri, ai sofferenti ed emarginati, all’educazione dei fanciulli e dei giovani, al loro avviamento al lavoro, al bene delle famiglie, alla dignità della donna, alla cultura cattolica, all’impegno politico del laicato, alle missioni.

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Scrive Alberto Melloni Lo scrutinio della coscienza di una umanità di cui non ha esperienza ne indebolisce la compassione.

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Replico a tal proposito che l’esperienza umana del sacerdote non necessita di applicarsi all’orizzonte proprio del laico ― economia, finanza, milizia, politica, famiglia, tecnologia, industria e commercio ―, perché essa verte sui valori umani che vanno alla radice e allo scopo dell’esistenza, più attinenti al senso della vita e della storia, al problema della  sofferenza, del peccato e della salvezza, al bisogno di verità, di giustizia, di pace, di libertà e di felicità, ai valori morali, religiosi e spirituali, al rapporto con Dio.

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Nel Sacramento della Penitenza, il confessore, che conosce bene la dignità e la fragilità della coscienza, conosce bene le risorse e le debolezze dell’uomo, e sa bene di essere anche lui un peccatore perdonato, entra sì con delicatezza e rispetto nella coscienza del penitente e giudica di essa, con competenza, prudenza e carità, come un chirurgo che opera sul cuore, ma solo perché lo stesso penitente, conoscendo nella fede l’insostituibile aiuto che può dargli il sacerdote nel campo della vita di grazia, ne ha bisogno, lo desidera e glielo chiede, e quindi gliela apre, per essere valutato, analizzato, compreso, guarito, perdonato, purificato, illuminato, guidato, liberato, confortato, consolato, incoraggiato, rappacificato.

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Il laico, uomo o donna, che cerca il sacerdote, non si attende di riscontrare o ritrovare in lui una analoga esperienza mondana, secolare o laicale, della quale può averne fin troppa, ma quello che cerca è l’uomo di Dio, l’uomo della verità e dell’amore, che ha la conoscenza analogica e sapienziale di Dio, sa parlargli di Lui, sa elevare il suo spirito ed educarlo alla santità (anagogia), sa introdurlo al suo Mistero (mistagogia), e farglielo sperimentare nella preghiera, nell’adorazione e nella liturgia, nella comunione ecclesiale e col Sommo Pontefice.

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Il fedele sa bene, come dice il profeta Malachia, che «le labbra del sacerdote devono custodire la scienza e dalla sua bocca si cerca l’istruzione, perché egli è il messaggero del Signore degli eserciti» (Ml 2,7). Il fedele sa che il sacerdote è «costituito per offrire doni e sacrifici» (Eb 8,3). Nella Santa Messa egli, in persona di Cristo, offre al Padre, nello Spirito Santo, il sacrificio redentivo ed espiatorio di Cristo per la remissione dei peccati. Egli è il “pontefice” che, in Cristo e grazie a Cristo, “getta un ponte fra Dio e l’uomo”.

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È l’uomo che, come Cristo, conosce profondamente l’uomo (Gv 2,25; Mt 9,4), i problemi, i valori e i sentimenti universalmente umani, del dubbio, della certezza, della passione, dell’amore, dell’odio, della gioia, del dolore, del piacere, dell’angoscia, del timore, della speranza, del pentimento, del perdono. È l’uomo che, nel rapporto col prossimo, mira anzitutto alla salvezza delle anime, secondo il detto di San Giovanni Bosco: «da mihi animas, caetera tolle» [dami le anime, e prendi tutto il resto], il che, evidentemente, non esclude affatto che il prete si adoperi, secondo le sue forze e competenze, anche per il bene fisico degli uomini, soprattutto poveri e sofferenti. Resta comunque che per il buon pastore vale sempre la legge di San Gregorio Magno: «salus animarum suprema lex esto» [la salute delle anime è la legge suprema].

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Il prete dev’essere un doctor humanitatis, senza che gli si chieda di essere un antropologo, un sociologo o uno psicologo. Egli, senza essere un politico o un assistente sociale, sa però stimolare in tutti la solidarietà umana, senza faziosità o partigianerie, obbediente alle autorità, soprattutto al Papa, ma senza adulazioni, carrierismi o piaggerie, e senza essere servo dei potenti. Il prete apre il cuore del fedele a tutti i valori umani e alle necessità della carità fraterna col cuore stesso di Cristo, gli comunica, nei sacramenti, il perdono divino e la vita della grazia. Sa mostrargli i tesori della dignità umana, per renderlo di essi partecipi e nel contempo le miserie dell’uomo, per guarirle nella misericordia e nella  giustizia. In base alla Rivelazione biblica, alla Tradizione e alla dottrina della Chiesa, lo introduce delle realtà future e lo rende edotto dell’origine e del fine della storia.

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Scrive Alberto Melloni La sua antica scienza comparata a trasmissioni del sapere sempre più sofisticate, ne fa un sotto-acculturato.

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Replico a tal proposito che il prete sa che la cultura, veramente preziosa, essenziale e più importante non è quella tecnologica o scientifica, ma quella morale, religiosa e spirituale. Per questo, se un San Giovanni Maria Vianney, un San Pio da Pietrelcina o un San Leopoldo Mandić fossero vissuti oggi, non si sarebbero curati delle “trasmissioni del sapere sempre più sofisticate”, consapevoli che stavano svolgendo un servizio ben più importante.

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Scrive Alberto Melloni Lo zelo ecclesiastico nel condannare tutto ciò a cui si può attaccare il suffisso “ismo”, ne impoverisce le letture e lo rende estraneo ai “suoi”, che diventano di colpo “lontani”.

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Replico a tal proposito che Melloni, uomo “carnale” com’è, che “non comprende le cose dello Spirito di Dio” (I Cor 2,14), non capisce niente del discernimento sacerdotale, col quale il ministro di Cristo,  grazie al dono di sapienza dello Spirito Santo, è quell’ “uomo spirituale, che giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno” (v.15), se non da Dio stesso (I Cor 4,4).

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Scrive Alberto Melloni La perdita di ruolo e l’ incuria affettiva lo espone al peggio: fino alla svenevole esaltazione del celibato, che intrappola le sessualità in cerca di sublimazione e attira nel presbiterato persone irrisolte o addirittura malate.

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Replico a tal proposito che con perfida e calunniosa insinuazione, il Melloni sembra estendere alla generalità del clero le idee e il comportamento vizioso di alcuni sacerdoti indegni, anche se bisogna effettivamente riconoscere che tra i moralisti serpeggiano idee ereticali, o lassiste o rigoriste, circa il valore dell’etica sessuale e, per conseguenza, del celibato sacerdotale, così come risulta dal Magistero della Chiesa, per cui effettivamente c’è da temere che la corruzione del clero su questo punto sia più estesa di quanto sembri.

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Scrive Alberto Melloni E nella storia europea recente il mestiere di prete viene appaltato, come le mansioni marginali, a chierici d’importazione, eletti a badanti di comunità abbandonate.

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Replico a tal proposito che questa ulteriore, perfida ed ottusa incomprensione, è adesso quella della carità, del mutuo soccorso, della solidarietà, della generosità e della disponibilità sacerdotali e fra sacerdoti, nel servire la Chiesa e il prossimo, carità esemplare, della quale oggi danno prova tanti preti e religiosi, pronti a lasciare la loro patria, magari assai lontana, per soccorrere diocesi bisognose o che offrono possibilità di ministero o altre comunità del proprio istituto in territori con carenza di vocazioni.

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Scrive Alberto Melloni Perfino la discussione sulla donna-prete — dimenticando che il “sacerdozio” che si riceve col battesimo le donne lo hanno già, e che non è poco —, si mescola pericolosamente alla logica tutta maschilista che concede all’altro genere i mestieri diventati obsoleti.

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Replico a tal proposito che la Chiesa non dimentica affatto che la donna cristiana è battezzata; piuttosto è Melloni che ― fatta propria un’eresia di Schillebeeckx ― dimentica che la Chiesa, per volontà di Cristo, non consente alla donna di accedere al sacerdozio ministeriale.

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Scrive Alberto Melloni Il Vaticano II si è limitato a tentare di togliere al prete quel tono semi-monastico che aveva. Non il papato che si limita a confezionare una poetica del prete. Non ne parlano i vescovi che impacchettano le comunità in quelle che in Italia si chiamano “unità pastorali”, e condannano i preti a diventare funzionari affannati, travolti da una poligamia comunitaria in cui nessuno vuol loro bene e loro non riescono a voler bene, col rischio di diventare santi o naufragare su scogli erotici non sempre candidi.

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Replico a tal proposito che è gravemente insultante nei confronti del magistero pontificio del passato e del presente affermare che esso «si limita a confezionare una poetica del prete». Così pure lo storico Melloni dimentica i sinodi mondiali e nazionali dei vescovi dedicati al sacerdozio. Il tono derisorio col quale accenna alle unità pastorali, è del tutto sconveniente e denota la presunzione di chi tratta argomenti delicati, nei quali non ha competenza.

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Temeraria ed offensiva del ceto sacerdotale, segno di faziosità e non di oggettività storica, è l’indebita generalizzazione, che estende a tutto il clero disfunzioni e anomalìe magari esistenti, ma isolate ed accidentali. Quanto al «rischio di diventare santo», Melloni stia tranquillo, chè, con queste calunnie, esagerazioni e falsità, egli non lo corre certamente.

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Scrive Alberto Melloni È cosa così grave che non ne parla neanche papa Francesco.

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Replico a tal proposito che anche questo non è vero, anche se ovviamente il Papa non può echeggiare le falsità di Melloni. Il Santo Padre è intervenuto più volte a condannare i vizi del clero e i difetti della stessa Curia Romana, e ad indicare ai sacerdoti la via della santità vivendo la loro fede (cf. Lumen Fidei) e il modo migliore per annunciare il Vangelo (cf. Evangelii Gaudium), pascere il gregge loro affidato in certe circostanze difficili (cf. Amoris Laetitia), oltre a tutte le volte nelle quali ha parlato delle vocazioni, delle opere della misericordia, del ministero della confessione, della preghiera, della liturgia, sforzandosi di essere egli stesso di esempio per i sacerdoti.

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Semmai vorremmo chiedere al Papa di promuovere meglio la sacralità della liturgia, ricordando il carattere sacrificale della Santa Messa. La preoccupazione ecumenica di convergere con i fratelli protestanti nella Memoria della Cena del Signore, è certo cosa buona e in linea col Concilio; ma dobbiamo attendere nella preghiera e dai dialoghi ecumenici, nella carità reciproca, quel momento benedetto, nascosto nei piani del Signore, ma anche legato alla buona volontà di tutti, nel quale i fratelli separati riconosceranno il Sacramento del sacerdozio ministeriale, il mistero della transustanziazione e la Messa come sacrificio, onde poter finalmente celebrare assieme l’Eucaristia. Non si tratta di cedere al lefebvrismo, ma semmai di riprendere quella riforma della riforma, che aveva avviato Papa Benedetto.

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Scrive Alberto Melloni Toccherebbe dunque ai vescovi e agli episcopati di sollevare un tema sul quale si gioca la vita delle loro chiese: ma l’indolenza prevale, incoraggiata dalla speranza che la riforma domani abbia lo stesso coraggio di quella che “inventò il prete”.

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Replico a tal proposito che il prete non l’ha inventato il Concilio di Trento, ma Nostro Signore Gesù Cristo, per quanto differente sia il sacerdozio dai tempi di Cristo, a quelli di Trento, al nostro. Il problema dell’episcopato non è quello dell’indolenza ― alcuni sono fin troppo attivi ―, ma il fatto della diffusione tra i vescovi del modernismo, per cui, chi è affetto da questo morbo, preferisce ascoltare Alberto Melloni e altri caporioni rahneriani e modernisti, piuttosto che il Papa, la Scrittura e la Tradizione.

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Varazze, 21 aprile 2017

tra l’Ottava di Pasqua

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Note:

[1] Cf. il mio studio Il concetto del sacerdozio in Rahner, in Il Sacerdozio ministeriale, “L’amore del Cuore di Gesù”, a cura di S.Lanzetta e S.Manelli, Casa Mariana Editrice, Frigento-Napoli 2010, pp.183-229.

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

Gesù discese agli inferi. Esistono davvero Inferno e Paradiso ?

—  Settimana Santa —

GESÙ DISCESE AGLI INFERI. ESISTONO DAVVERO INFERNO E PARADISO ?

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«Questa discesa dell’anima di Gesù non si deve immaginare come un viaggio geografico, locale, da un continente all’altro. È un viaggio dell’anima […] Questa parola della discesa del Signore agli Inferi vuol soprattutto dire che anche il passato è raggiunto da Gesù, che l’efficacia della Redenzione non comincia nell’anno zero o trenta, ma va anche al passato, abbraccia il passato, tutti gli uomini di tutti i tempi» [S.S. Benedetto XVI, Domande su Gesù, programma A Sua Immagine, 22 aprile 2011]

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Autore
Giovanni Cavalcoli, O.P.

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PDF  intervista formato stampa

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MAURIZIO GASPARI ― All’Inferno molti non credono, altri sostengono che non può essere eterno ed altri ancora che sia vuoto. Lo stesso dicasi dell’Angelo caduto e del peccato. Per molti si tratta di invenzioni della Chiesa Cattolica e comunque in tanti vivono come se Dio non esistesse, e Inferno e Paradiso sarebbero solo illusioni. Per cercare di spiegare come può un Dio buono come quello cristiano permettere la rivolta degli angeli, la diffusione del male, l’esistenza dell’Inferno e del Paradiso, padre Giovanni Cavalcoli, dell’Ordine Domenicano, ha scritto e pubblicato il libro: L’Inferno esiste. La verità negata [cf. QUI]. Padre Giovanni Cavalcoli è docente di Metafisica presso lo Studio Filosofico Domenicano di Bologna e di Teologia sistematica alla Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna. Officiale della Segreteria di Stato dal 1982 al 1990, è Accademico pontificio dal 1992. Autore di innumerevoli libri e saggi, svolge una intensa opera di formazione.

ZENIT, 29 marzo 2010

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Per il mondo secolarizzato ed anche per alcuni credenti l’Inferno non esiste. Si tratterebbe di una invenzione. Qual è il suo parere in proposito?

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Tintoretto discesa agli inferi

Tintoretto, Discesa del Cristo agli inferi

Il mondo secolarizzato ha perso la fede nell’Aldilà, si tratti del Paradiso o si tratti dell’Inferno. E una certa misura di secolarismo purtroppo si è insinuata anche tra alcuni credenti, i quali, anche se ammettono un Aldilà, questo è soltanto il Paradiso. È questa la mentalità cosiddetta buonista, per cui non c’è da stupirsi che, secondo queste tendenze, l’Inferno è un’invenzione. In realtà, come ho dimostrato nel mio libro, l’Inferno non è affatto un’invenzione, ma è una verità di fede insegnata da Nostro Signore Gesù Cristo, dal Nuovo Testamento, dalla Sacra Tradizione e da alcuni Concili. Quindi si tratta di un dato della divina Rivelazione, che la Chiesa ha il compito di custodire e di insegnare.

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Sulla base di quali argomenti sostiene che l’Inferno esista?

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La dottrina dell’Inferno è una dottrina teologica. Ora, gli argomenti della teologia non sono di tipo empirico, ma sono le Parole di Gesù Cristo, le quali possono essere accettate solo sulla base della fede in Gesù Cristo e nella Chiesa che ci media le Parole di Cristo.

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Esistono davvero Inferno e Paradiso?

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Da questo punto di vista, gli argomenti sono molti. Mi limiterò qui a citarne uno solo [cf. pag. 33 del mio libro sull’Inferno], che mi sembra particolarmente efficace, perché lo troviamo nel Concilio Vaticano II [Lumen Gentium, n. 48] e nel Catechismo della Chiesa Cattolica [n. 1034]. Si tratta del passo di Matteo [cf. 25, 31-46] dove Gesù Cristo non si limita ad annunciare la semplice possibilità della dannazione, ma semplicemente prevede il fatto dell’esistenza dei dannati.

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Dove e quando è nato l’Inferno?

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Per rispondere a questa domanda, dobbiamo tener presente che cosa è esattamente l’Inferno. Esso, per quanto riguarda gli uomini, consiste nel rifiuto irrevocabile della misericordia che ci è offerta dal Padre per mezzo di Gesù Cristo, Figlio di Dio. In questo senso, possiamo dire che la dannazione infernale ha cominciato ad esistere con la venuta di Cristo. Invece, se consideriamo il peccato degli angeli all’inizio della creazione, l’Inferno esiste per loro sin da quel momento [cf. Mt 25,41; 2 Pt 2,4].

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Dove è nato l’Inferno?

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Per quanto riguarda gli angeli peccatori, siccome si trovavano prima in cielo, si può dire che è nato in cielo, da cui furono precipitati [Ap 12,8]. Per quanto riguarda gli uomini, l’Inferno è nato in questo mondo nel momento in cui Gesù è stato rifiutato.

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Esiste nell’Aldilà o è presente anche sulla Terra?

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Secondo una certa tesi del cristianesimo secolaristico-buonista, se si può parlare di “Inferno”, questo esiste solo su questa terra, nel senso che il castigo per i malvagi c’è solo quaggiù e poi c’è il Paradiso per tutti. Esiste poi un’altra tesi, del tutto pagana, secondo la quale l’Inferno sarebbe quella condizione di sofferenza che colpisce anche gli innocenti oppressi dai prepotenti. Mentre in questo secondo caso la parola “Inferno” viene usata in un senso improprio, nel primo caso c’è una parte di verità, in quanto lo stato di peccato mortale è già in un certo senso l’Inferno. Ma questa tesi trascura il fatto che la pienezza irrevocabile della condizione infernale per l’uomo è solo dopo la morte. Tuttavia, ogni uomo, prima della morte si può pentire, può riacquistare lo stato di grazia di Cristo, per cui, se persevera in questo stato fino alla morte, può evitare l’Inferno.

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Cosa dicono le Sacre Scritture in merito?

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La voce più autorevole è quella di Nostro Signore Gesù Cristo. Di essa ne troviamo un’eco negli altri Libri del Nuovo Testamento, e in particolare nell’Apocalisse, nella quale abbiamo una grandiosa visione del trionfo finale di Cristo su tutte le potenze del male, le quali saranno messe in condizione di non più nuocere agli eletti.

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La descrizione mirabile dell’Inferno della Divina Commedia è credibile?

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Certamente nella sua sostanza è credibile, perché, come si sa, Dante non solo era cattolico, ma aveva acquistato una notevole cultura teologica di stampo tomistico frequentando il convento domenicano di Santa Maria Novella di Firenze. Nel contempo, Dante, da grande poeta qual era, si è permesso delle cosiddette licenze poetiche, per cui ha creato ambienti, eventi e personaggi che evidentemente esulano da quanto ci viene insegnato dalla Rivelazione cristiana, anche se nel contempo, nel complesso, non le sono contrari. Una cosa curiosa che potremmo notare al riguardo e che non è un dato della fede cristiana, è la condizione dei cosiddetti «ignavi», i quali vissero «sanza fama e sanza lodo» e pertanto vengono collocati da Dante non nell’Inferno, ma in un luogo a parte.

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Ammettere l’esistenza dell’Inferno presuppone temere il Diavolo. In che modo l’angelo caduto e l’Inferno si collocano nel disegno divino?

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Il cristiano deve avere un certo timore del Diavolo, così come noi possiamo avere un ragionevole timore di prenderci una malattia o di cadere in un qualche peccato. Da qui il dovere del cristiano di guardarsi dai pericoli morali che possono venire dalle tentazioni diaboliche, evitando atteggiamenti di eccessiva sicurezza. Detto questo, tuttavia, il cristiano fondamentalmente non ha paura del Diavolo, perché il cristiano che vive in Cristo gode della stessa forza di Cristo, il quale ha vinto Satana. Anzi, da questo punto di vista, si può dire che è il Demonio che ha paura del cristiano. Come dice infatti Santa Caterina da Siena, noi siamo vinti dal Demonio solo se lo vogliamo, commettendo o amando il peccato. Il Demonio e l’Inferno si collocano nel disegno divino in quanto costituiscono un deterrente che ci aiuta ad evitare il peccato. In secondo luogo, per quanto riguarda il demonio, anch’egli va visto come uno strumento della divina Provvidenza per due finalità: per rafforzarci nella virtù e per richiamarci paternamente quando commettiamo il male. Il diavolo di per sé vorrebbe solo il nostro male, solo che la Provvidenza divina lo utilizza secondo i suoi sapientissimi disegni per il nostro bene.

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Perchè Dio permette all’Angelo di ribellarsi?

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Perché ha un grande rispetto per il libero arbitrio della creatura. Ora, appunto, l’Angelo ribelle è una creatura dotata di libero arbitrio. Allora, a questo punto, si può dire che Dio, pur di rispettare questo libero arbitrio, accetta di essere respinto da quella creatura che in realtà potrebbe trovare solo in Lui la sua piena felicità. Questo discorso vale analogicamente anche per la vicenda umana. Inoltre si può dire che Dio ha permesso la disobbedienza dell’Angelo, perché dall’eternità aveva progettato l’Incarnazione del Verbo, grazie alla quale l’umanità, salvata da Cristo, avrebbe in Cristo vinto Satana e raggiunta una condizione di vita – quella di figli di Dio – superiore a quella che ci sarebbe stata se l’Angelo non avesse peccato.

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Che relazione c’è tra il male e l’Inferno?

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Possiamo dire che l’Inferno è una vittoria sul male morale, ovvero sul peccato, anche se resta il male di pena, cioè la sofferenza dei dannati. Qui però si tratta di una giusta pena, per cui, da questo punto di vista si può dire che è bene che ci sia questo male, per cui noi vediamo che, dal punto di vista escatologico, tutto si risolve nel bene. C’è inoltre da precisare con tutta chiarezza che sarebbe blasfemo incolpare Dio di questo male, del quale invece è responsabile soltanto la creatura angelica o umana, mentre d’altra parte l’esistenza del male di pena manifesta semplicemente la giustizia divina, la quale peraltro è sempre mitigata dalla misericordia.

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Cosa devono fare le persone per sfuggire l’Inferno e guadagnare il Paradiso?

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Praticamente si tratta di mettere in opera tutti i precetti della vita cristiana, a cominciare dall’odio per il peccato, dalla consapevolezza delle sue conseguenze, per passare al dovere di obbedire con tutte le nostre forze ai comandi del Signore, di vivere in grazia, nella pratica continua della conversione e della vita cristiana, in una illimitata fiducia nella misericordia divina, frequentando i sacramenti nella comunione con la Chiesa, nella devozione ai Santi e soprattutto alla Santa Vergine Maria, coltivando un forte desiderio del Paradiso e della santità e combattendo coraggiosamente giorno per giorno contro le insidie del tentatore, sotto la protezione di San Michele Arcangelo. In casi di eccezionale aggressività da parte del diavolo, esiste la pratica dell’esorcismo. Queste raccomandazioni naturalmente valgono per i cattolici, però siccome tutti gli uomini sono chiamati alla salvezza e quindi sono chiamati ad evitare l’Inferno e a guadagnare il Paradiso, il loro dovere è quello di seguire la loro retta coscienza, nella misura in cui conoscono le esigenze del bene e coltivando, con l’aiuto della grazia, una fede almeno implicita in Dio come rimuneratore di buoni e giudice dei malvagi.

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[ © Innovative Media, Inc. Servizi a cura dell’Agenzia ZENIT ]

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Antiche e nuove menzogne sulla risurrezione: l’impronta del Volto di Cristo nel velo della Veronica

— Settimana Santa —

ANTICHE E NUOVE MENZOGNE SULLA RISURREZIONE: L’IMPRONTA DEL VOLTO DI CRISTO NEL VELO DELLA VERONICA

 

Veronica non appare nelle cronache evangeliche e la sua figura fa parte da molti secoli della pietà e della tradizione popolare. Indicazioni su questa figura femminile le troviamo invece in alcuni dei numerosi Vangeli apocrifi, per l’esattezza al VII° capitolo degli Atti di Pilato. Ma quali problemi possono derivare da certi testi, come per esempio i Vangeli apocrifi, se messi in mano a taluni studiosi o presunti tali, più o meno intellettualmente onesti?

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Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Veronica

Veronica nel pio esercizio della Via Crucis

Asciugare il volto del Signore che si offre per la nostra redenzione vuol dire “fare nostro” quel suo sangue prezioso, dietro al quale e sul quale c’è il mistero della nostra salvezza di creature create a immagine e somiglianza di Dio, chiamate a contemplare in eterno e per sempre la gloria del suo volto [Sal 27-29].

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Anne Bancroft

la grande e indimenticabile Anna Maria Italiano, in arte Anne Bancroft [1931-2005], nel ruolo filmico di Maria Maddalena

Tra le varie figure femminili che hanno vissuto a contatto col Verbo di Dio fatto Uomo, emerge la figura della Veronica, che si offre nei secoli come profondo spunto di riflessione. Questa pia donna è nota come colei che lungo la via dolorosa, nel vedere Gesù trasportare la croce col volto sporco di sangue a causa della corona di spine, lo asciugò con un panno di lino sopra il quale sarebbe rimasta impressa l’impronta del volto del Signore, il cosiddetto velo della Veronica.

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Vangelo apocrifo 3

frammento di Vangelo apocrifo

Veronica non appare nelle cronache evangeliche e la sua figura fa parte da molti secoli della pietà e della tradizione popolare. Indicazioni su questa figura femminile le troviamo invece in alcuni dei numerosi Vangeli apocrifi, per l’esattezza al VII° capitolo degli Atti di Pilato.

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Vangelo apocrifo 1

testo di un Vangelo apocrifo

È bene precisare che i Vangeli apocrifi, che pure contengono interessanti notizie storiche e di costume dell’epoca, non sono riconosciuti dalla Chiesa e spesso non hanno neppure alcun legame col Mistero della Rivelazione; anche se alcuni biblisti vogliono dare ad essi un riconoscimento di carattere storico che però non può reggersi in piedi, con libera pace di ciò che insegnano certi docenti al Pontificio Istituto Biblico ed alla Pontificia Università Lateranense, mentre sulla Gregoriana non stendiamo neppure il classico “velo pietoso”, ma direttamente una trapunta di lana pesante. Separare infatti il vero dal verosimile e l’autentico dal falso nei testi dei Vangeli apocrifi, è come cercare un ago in un pagliaio; nobile impresa che non può né deve essere impedita, purché chi procede in certe ricerche sia di ciò pienamente consapevole, quindi agisca e soprattutto insegni con prudente conseguenza.

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Vangelo apocrifo 2

Vangelo apocrifo

Diverso ma simile discorso vale per certi studiosi laicisti come Umberto Eco, che è stato un vero studioso; o come Corrado Augias, che invece è uno studioso fasullo. Per non parlare di un romanziere da infima ma ricchissima cassetta come Dan Brown, che nei suoi best-seller tradotti in venti lingue e venduti per milioni di copie offre “rivelazioni sensazionali” su notizie “tenute nascoste dalla Chiesa”, per esempio le teorie peregrine sul Signore Gesù e la Maddalena, per le quali sono offerte come fonti di autentica prova scritti spuri non riconosciuti proprio perché non attendibili. Questo il motivo per il quale i Vangeli apocrifi non sono accettati, non perché dicano o contengano “verità scomode”, ma perché raccolgono notizie palesemente inesatte e spesso studiatamente false.

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corrado augias inchiesta su gesù

uno dei testi di Corrado Augias al quale segue il libro Inchiesta su Maria

Chi poi come Corrado Augias presume invece di conoscere ciò che di fatto non conosce, nel rivolgersi a milioni di telespettatori col potente mezzo televisivo per propinare la fandonia dei quattro Vangeli canonici «scelti al Concilio di Nicea per ordine dell’Imperatore Costantino che aveva bisogno di dare una religione unitaria all’Impero», dovrebbe essere per lo meno a conoscenza ― lui che si picca peraltro di essere pure un conoscitore di Ebraismo ― che esistono persino Vangeli apocrifi ideati da ambienti giudaici profondamente ostili al Cristianesimo. E proprio prendendo spunto da certe notizie false gli stessi Vangeli canonici affermano: «Così questa diceria si è divulgata fra i Giudei fino ad oggi» [Mt 28, 15]. Dicerie messe prima per scritto e poi diffuse, tanto che tra il IV e il VI secolo principieranno a circolare in ambito ebraico le תולדות ישו [Toledot Yeshu], una raccolta satirica e dissacrante sulla vita e la morte di Gesù di Nazareth, indicato tra l’altro come ממזר [alla lettera bastardo] figlio illegittimo nato dall’unione proibita di sua madre con un soldato romano; tutte notizie poi riportate nel Talmud babilonese tra il VII e l’VIII secolo qual “prova” della grande menzogna cristiana, ed oggetto tutt’oggi d’insegnamento nelle scuole rabbiniche degli ultra ortodossi e non solo, come spiegherò più avanti. Ma su tutto questo Corrado Augias sorvola, essendo in parte un epico ignorante nelle complesse materie storiche e teologiche che presumerebbe trattare ed in parte perché intellettualmente disonesto.

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Lubavitch

la sètta ebraica di matrice gnostico-esoterica dei Chassidim di Lubavitch, una tra le più potenti e affermate all’interno del mondo ebraico, in particolare negli Stati Uniti d’America

Non parliamo poi del dialogo interreligioso fatto non secondo verità ma secondo correttezza politica, al quale da parte nostra, vari eminenti e illustri studiosi del mondo cattolico, non esitano a sacrificare da mezzo secolo persino alcuni fondamenti della nostra fede. E costoro sorvolano “prudentemente” su un dato storico accertato e palese: diversi cosiddetti Vangeli apocrifi nascono nel mondo giudaico durante la prima epoca apostolica e sono dei clamorosi falsi studiati a tavolino — o meglio ai tavoli delle Sinagoghe —, quindi diffusi allo scopo di mettere in pessima luce il primo movimento giudaico-cristiano ed il Cristo stesso, sul quale sono offerte cronache e racconti a dir poco imbarazzanti. E più la figura del Cristo, in alcuni di questi testi, è presentata come quella di un soggetto iracondo, violento e persino immorale, più è evidente e scontata la matrice di certe scuole rabbiniche dell’epoca. Purtroppo però, nel dialogo alla “volemose bene“, questi argomenti di studio non sono affrontati. Anzi, ci si guarda dal far presente che questi testi falsi sono tutt’oggi presentati come verità incontrovertibili in molti ambienti dell’ortodossia ebraica, in particolare all’interno delle ישיבות [scuole rabbiniche] di varie sètte cosiddette ultra-ortodosse appartenenti al mondo dei vari movimenti cassidici. E dall’ambiente ebraico, queste falsità sono appresso passate al venefico mondo dell’esoterismo massonico, ed i massoni hanno data gran diffusione ad esse suonando le trombe a tutto fiato. Come però ho indicato poco sopra, nei Vangeli autentici che narrano il mistero della risurrezione del Cristo, a chiarimento del tutto sta scritto :

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« alcune guardie giunsero in città e annunciarono ai capi dei sacerdoti tutto quanto era accaduto. Questi allora si riunirono con gli anziani e, dopo essersi consultati, diedero una buona somma di denaro ai soldati, dicendo: “Dite così: I suoi discepoli sono venuti di notte e l’hanno rubato, mentre noi dormivamo. E se mai la cosa venisse all’orecchio del governatore, noi lo persuaderemo e vi libereremo da ogni preoccupazione”. Quelli presero il denaro e fecero secondo le istruzioni ricevute. Così questo racconto si è divulgato fra i Giudei fino ad oggi » [cf. Mt 28, 11-15].

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Ciò con buona pace del dialogo interreligioso, almeno fino a quando la Chiesa seguiterà a insegnare che i Santi Vangeli contengono sia verità di fede sia fatti e verità storiche, al di là delle ben poco edificanti acrobazie bultmaniane del Cardinale Gianfranco Ravasi che nel tempo ha ripetuto più volte il loro elemento non storico ma bensì allegorico da interpretare quindi con le categorie della teologia …

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flores arcais

Gesù. L’invenzione del Dio cristiano

La teoria che la Chiesa avrebbe paura delle “scomode verità” contenute in questi testi non attendibili e spesso falsi, o che certi insulti dissacranti vadano invece presi come “fonti storiche” inoppugnabili, la lasciamo affermare e scrivere a Paolo Flores d’Arcais che nel suo libro Gesù. L’invenzione del Dio cristiano [Add Editore, 2011] propina al pubblico tesi e teorie smentite già prima dell’anno Mille dagli studi dei più grandi Padri della Chiesa, per poi essere smentite appresso da antropologi e storici tutt’altro che cristiani o lungi comunque dall’essere cattolici praticanti. Queste tesi e teorie, frutto di dicerie spesso calunniose messe in piedi dopo essere state studiate a tavolino, caddero infine per molti secoli in oblio; un oblio dal quale furono riesumate nel Settecento dagli illuministi, appresso a inizi Ottocento dalle agguerrite correnti massoniche anti-cattoliche, infine rispolverate nel primo decennio del nuovo Millennio dal vetero comunista Paolo Flores d’Arcais, che non avendo ancora elaborato in appropriata sede psicanalitica il trauma del lutto derivante dalla caduta del muro di Berlino, attraverso una vera e propria traslazione sfoga il proprio insuperabile disagio derivante della dissoluzione del suo Credo Marxista pigliandosela coi Padri della Chiesa riuniti nel primo grande concilio ecumenico a Nicea nell’anno 325, dove a suo dire avrebbero inventato il dio cristiano e abbozzato il Simbolo di Fede, il Credo della Chiesa Cattolica Apostolica Romana, poi perfezionato in seguito nell’assise del Concilio di Costantinopoli.

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flores arcais retro copertina

risvolto di copertina: “Non si è mai proclamato messia. Era un profeta ebreo apocalittico itinerante che annunciava nei villaggi della Galilea la prossima fine del mondo

Paolo Flores d’Arcais è libero di scrivere ciò che vuole, come io lo sono di smentirlo. Avrei invece parecchio da discutere sul diritto alla libertà di certi nostri teologi ed esegeti — molto solidali con la sinistra radical chic — di citarlo in certi nostri ambiti accademici ecclesiastici, sino a suggerire persino nelle case dove si formano i futuri preti la lettura di certi “interessanti” testi pubblicati sulla rivista Micromega. E detto questo reputo necessario porgere i più vivi complimenti alla Congregazione per il Clero oggi responsabile della vigilanza sui seminari, alla Congregazione per l’Educazione Cattolica responsabile dei nostri centri di formazione accademica, ed infine all’episcopato italiano; tutti costoro meritano infatti i più sentiti ringraziamenti per il lodevole modo nel quale non esercitano il loro apostolico obbligo di controllo sulle nostre case di formazione e su quegli studi teologici nei quali pare a volte entrare di tutto, fuorché ciò ch’è cattolico.

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veronica paul de la roche

Veronica, in un dipinto del XIX sec. di Paul de la Roche

Il nome Veronica deriva dal greco Φερενικη [pherenike] ed è composto da φερω [phero, che porta] e νικη [nike, vittoria], che vuol dire: colei che porta vittoria. Questo nome, trasposto poi in latino – Veronica – assume il significato di passaggio con vera icon, che significa “vera icona”, “vera immagine”, prestandosi in tal modo come immagine iconografica nel quadro complessivo della passione, che a partire dal secondo medioevo cominciò a illustrare questa pia donna che asciuga il volto del Signore. Figura, quella di Veronica, prudentemente estrapolata dalle storie spesso confuse, spesso altrettanto non veritiere e non coerenti con la storia che emergono numerose dai Vangeli apocrifi, alcune delle quali cariche d’indubbio interesse, se prese con tutta la debita scienza e prudenza con la quale si deve cercare di trarre fuori uno spillo di vero da un pagliaio di falso.

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veronica icona bizantina

Veronica nella iconografia bizantina

Dal XV secolo Veronica è venerata come una delle pie donne che seguirono lungo la Via Dolorosa fino al Calvario la crocifissione di Gesù, ed è menzionata nella VI° stazione del pio esercizio della Via Crucis. Secondo alcune tradizioni Santa Veronica sarebbe la stessa donna che avrebbe asciugato il volto di Cristo, ma su questo non c’è alcun riscontro storico e documentale. Sempre secondo queste antiche tradizioni Veronica consacrò la propria vita nella diffusione del Vangelo, viaggiando per varie città d’Europa, lasciando a Roma il prezioso lino con il quale asciugò il volto del Signore e da lì proseguendo verso la Gallia, la attuale Francia, dove morì dedicandosi alla conversione dei galli al Cristianesimo.

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Cristo pantocratore cattedrale di cefalù

il Cristo Pantocratore nella cattedrale di Cefalù

Nel Mistero della Santa Passione del Signore Veronica ci invita a meditare sul volto di Cristo, un volto che va molto al di là del reale volto fisico in sé e di per sé, per giungere alla contemplazione del quale ci è di grande utilità uno dei Salmi di Davide: «Ascolta, Signore, la mia voce. Io grido: abbi pietà di me! Rispondimi. Di te ha detto il mio cuore: “Cercate il suo volto”; il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto, non respingere con ira il tuo servo. Sei tu il mio aiuto, non lasciarmi, non abbandonarmi, Dio della mia salvezza» [Sal 26].

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volto di cristo piacenza

Cristian Pastorelli. Volto di Cristo, 2007. Collezione Privata. Caritas di Piacenza

Il vero volto del Signore che noi cerchiamo e che dobbiamo cercare è il mistero della sua costante presenza nella storia dell’uomo e dell’intera umanità; quel Christus Totus, come ebbe a definirlo Sant’Agostino, che è l’inizio, il centro e il fine ultimo del nostro intero umanesimo. La storia del mondo è infatti storia della presenza di Dio, dal giardino di Eden nel quale il “volto di Dio” crea l’uomo a propria immagine e somiglianza, sino alla pietra rovesciata del sepolcro del Cristo Risorto, dove il “volto di Dio”, dopo essersi offerto come agnello immolato, risplende nella gloria e nella pienezza della sua divinità, portando sempre nel proprio corpo glorioso i segni indelebili della passione [Lc 24,40; Gv 20,20.27].

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veronica bresciano

Scuola veneta del XVIII secolo, La Veronica asciuga il volto di Gesù

Asciugare il volto del Signore che si offre per la nostra redenzione, vuol dire “fare nostro” quel suo sangue prezioso, dietro al quale e sopra al quale è impresso il mistero della nostra salvezza di creature create a immagine e somiglianza di Dio, chiamate a contemplare in eterno e per sempre la gloria del suo volto; il volto di quel Risorto che è mistero della nostra fede indicata dall’Autore della Lettera agli Ebrei come «fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono» [Eb 11,1]. Come infatti dice l’Apostolo Paolo: … se Cristo non fosse veramente risorto, vana sarebbe la nostra fede, vana la nostra speranza [I Cor 15, 14]. Una speranza che assieme al salmista deve stimolarci a cercare quel Volto che s’è impresso coi segni della sua passione nella nostra storia e nel mistero della salvezza dell’uomo che lo cerca con fede e con cuore sincero.

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Cattedrale dell’Urbe, esecuzione dell’inno Anima Christi al termine di un pontificale del Sommo Pontefice Francesco

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

Le ragioni di don Alessandro Minutella devono rimanere nella comunione della Chiesa ed a servizio della Chiesa in obbedienza alla Chiesa

LE RAGIONI DI DON ALESSANDRO MINUTELLA DEVONO RIMANERE NELLA COMUNIONE DELLA CHIESA ED A SERVIZIO DELLA CHIESA IN OBBEDIENZA ALLA CHIESA

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Oggi, certi pensatori, ed ahimè non pochi ecclesiastici, hanno superato lo stesso Lutero, che a loro confronto ― va da sé è un paradosso ―, finisce col risultare più ortodosso di loro. Da tutti questi esempi vediamo quindi che c’è più contrasto tra modernisti e cattolici, che non tra luterani e cattolici. I cattolici sono più uniti a Lutero che ai modernisti. Il principale problema dell’unità fra cristiani, oggi, non è tanto quello dell’unione con i luterani ― c’è anche questo, ovviamente ―, quanto piuttosto quello dell’unità fra cattolici.

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Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli, OP

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Caro Confratello Sacerdote

ALESSANDRO MINUTELLA

Presbìtero della Chiesa di Palermo

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minutella omelia

il Presbìtero Alessandro Minutella, omelia «L’imbarazzo della falsa Chiesa» [per aprire il video cliccare sopra l’immagine]

la notizia del decreto del tuo Vescovo mi ha sorpreso e addolorato, perché recentemente ho ascoltato alcune tue omelie nelle quali hai denunciato accoratamente la diffusione nella Chiesa di molte eresie di tipo modernistico, dichiarando nel contempo, in tono critico verso i lefebvriani, il tuo rispetto per i decreti del Concilio Vaticano II e lamentando la loro interpretazione in senso modernista.

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Queste tue parole coincidono con quanto vado sostenendo pubblicamente da molti anni, per cui ho patito ingiusti provvedimenti da parte delle autorità. Come sostieni tu, oggi nella Chiesa la corrente modernista si è talmente affermata, che si è diffusa anche tra i Vescovi, sicché essi favoriscono i modernisti e castigano gli anti-modernisti. E come puoi appurare, noi Padri de L’Isola di Patmos scriviamo da alcuni anni su questi gravi problemi, basta solo consultare il nostro archivio per trovare decine di scritti su questo specifico argomento.

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So che il tuo Vescovo ha motivato il decreto adducendo che tu, pur essendo esente da infezioni ereticali, rompi la comunione ecclesiale. Tu, invece, dal canto tuo, ti ritieni punito ingiustamente ed hai citato l’autorità di San Tommaso in merito. Premetto che non ho sufficienti elementi per formulare un giudizio, ma ti offro alcuni criteri desunti dal Doctor Angelicus.        

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minutella appello a Francesco

appello di Alessandro Minutella al Sommo Pontefice Francesco [per aprire il video cliccare sopra l’immagine]

Innanzitutto dev’essere per te motivo di grande soddisfazione il fatto di aver avuto assicurazione dal tuo Vescovo di non essere eretico, considerata, come dicevo poc’anzi, l’attuale larga diffusione dell’eresia anche tra la Gerarchia e i teologi. Al contempo rimango stupìto dell’incoerenza del tuo Vescovo che permette però a un eretico come Enzo Bianchi di fare una conferenza pubblica nella sua Chiesa cattedrale [cf. recente articolo di Ariel S. Levi di Gualdo, QUI]. Infatti, di Enzo Bianchi, esistono autorevoli confutazioni, come quella del nostro caro e stimato confratello Antonio Livi, mentre su questa rivista telematica i Padri de L’Isola di Patmos lo hanno confutato più volte e severamente; è anche in preparazione uno studio documentale al quale il Dott. Jorge Facio Lince sta lavorando da mesi [alcuni dei nostri diversi articoli sulle eresie di Enzo Bianchi sono comunque leggibili QUI, QUI, QUI, QUI, etc ..]

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Quanto all’insegnamento dell’Aquinate in fatto di decreti penali, egli distingue un decreto indebito [excommunicatio indebita] a causa del disprezzo del diritto da parte dell’autorità [sententia iuris ordine praetermisso]. «Per cui, se da parte della sentenza c’è un errore tale, da render nulla la sentenza, essa non ha effetto».  Per cui chi ne è colpito può non tenerne conto.

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«Se invece la sentenza è giusta, essa ha effetto e il punito deve obbedire umilmente, e sarà suo merito; oppure deve chiedere al Superiore l’annullamento del decreto; oppure deve ricorrere ad un’istanza superiore. Se invece mostrasse disprezzo per il decreto, per ciò stesso peccherebbe mortalmente» [Sum.Theol., Suppl., q.21, a.4]. Io non sono in grado di consigliarti su quale strada prendere. Sta a te, in coscienza, davanti a Dio, prendere la decisione. Io posso citarti il mio caso personale, che ha trovato la seguente soluzione. A seguito di una mia trasmissione a Radio Maria, il 30 ottobre scorso, nella quale avevo parlato dei castighi divini, il mio Superiore mi sospese parzialmente a divinis il 5 novembre successivo, facendo pubblicare contro di me un comunicato infetto dall’eresia, che nega il peccato originale [in questi articoli c’è la mia difesa: QUI, QUI, in questa successiva trilogia si dimostra invece come il mio caso fu montato da ambienti legati alla lobby gay, QUI, QUI, QUI].

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veglia lorefice 1

notizie di cronaca sul “caso Alessandro Minutella” [per aprire il video cliccare sopra l’immagine]

Sentenza evidentemente ingiusta quella a mio carico, alla quale io mi adeguai in spirito di obbedienza, senza mancare di spiegare nei dettagli le mie buone ragioni al Superiore. Non vi fu però nulla da fare. Egli non mi rispondeva neanche. Allora, a fine gennaio, feci ricorso a istanza superiore, ricevendo soddisfazione. Due giorni dopo il Superiore mi ha reintegrato nella pienezza delle mie funzioni sacerdotali. Ma la questione, gravissima, dei castighi divini, resta aperta nel campo della teologia contemporanea. Lo stesso Pontefice, nel suo discorso ai terremotati in occasione della sua visita a Carpi il 2 aprile scorso, ha accennato alle conseguenze del peccato originale con le seguenti parole: «La nostra anima, creata per la vita, soffre sentendo che la sua sete di eterno bene è oppressa da un male antico e oscuro» [cf. video, QUI, QUI].

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La Chiesa insegna al sacerdote che deve vedere nel Vescovo il suo Superiore immediato, il quale però gli rappresenta il Sommo Pontefice, al quale, in ultima istanza va l’obbedienza a livello supremo su questa terra. La comunione col Vescovo e con la Chiesa locale è subordinata alla comunione col Sommo Pontefice.

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Oggi siamo in una situazione ecclesiale nella quale esistono Vescovi modernisti o lefebvriani, che non sono in piena comunione col Vicario di Cristo o fingono di esserlo; anzi, mentre i primi, carrieristi e prepotenti, lo adulano e premono su di lui con uno stile che assomiglia a quello mafioso, i secondi, in base ad un errato richiamo alla Tradizione, respingono le dottrine del Concilio Vaticano II e la Messa novus ordo, e disobbediscono al Papa apertamente [cf. articolo del 2015 di Ariel S. Levi di Gualdo, QUI].

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veglia lorefice 2

circa tremila fedeli hanno gremita la cattedrale di Palermo per stringersi in preghiera attorno al loro Vescovo [per aprire il video cliccare sopra l’immagine]

L’unità della Chiesa locale va sempre curata ― sacerdoti e Vescovo insieme ― facendo capo all’unità della Chiesa Romana universale, da essa traendo ispirazione e ad essa sottomettendosi. Questa fedeltà ed obbedienza al Papa e al Magistero della Chiesa è il tesoro che solo noi cattolici possediamo tra tutti i fratelli cristiani non-cattolici. Questi sommi valori ho potuto approfondirli grazie all’esperienza che ho fatto dal 1982 al 1990 come officiale della Segreteria di Stato di San Giovanni Paolo II. Vicino al Papa e come collaboratori del Papa si può fare una bellissima e fruttuosissima esperienza della Chiesa universale, la quale non sminuisce affatto, anzi fa meglio comprendere la dignità e l’autonomia della Chiesa locale.

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Questo sguardo largo e universale, questo legame col Papa senza dimenticare il Superiore immediato, ma proprio per il suo tramite, è, per così dire, nel DNA della spiritualità di noi Domenicani, che facciamo la nostra professione di obbedienza al nostro Superiore Provinciale, certamente, ma al di là di lui e al di sopra di lui, la nostra totale obbedienza la professiamo al Sommo Pontefice.

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Oggi il papato ha più che mai bisogno di essere aiutato, avvertito e difeso nel suo ministero da tutto il popolo di Dio, soprattutto dai veri profeti e dalle anime-vittima, sia perché mai come oggi egli è tentato, insidiato ed assediato dalle forze sataniche che si fingono amiche, e invece vogliono abbatterlo, e sia perché purtroppo — cosa mai successa in tutta la storia della Chiesa ― una crisi di fede si è insinuata all’interno dello stesso episcopato e del collegio cardinalizio e, per conseguenza, sono sorte nella Chiesa divisioni e fazioni aspramente contrapposte [cf. Ariel S. Levi di Gualdo, QUI] — caso emblematico l’opposizione tra lefevriani e modernisti ― proprio sulla tematica delle verità di fede.

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S.E. Rev.ma Mons. Corrado Lorefice, Arcivescovo Metropolita di Palermo e Primate di Sicilia [per aprire il video cliccare sopra l’immagine]

C’è più contrasto fra Rahner e San Tommaso d’Aquino che non tra Lutero e San Tommaso d’Aquino. Per Lutero Dio è creatore, per Teilhard de Chardin Dio è organizzatore della materia. Per Lutero l’ateo è nell’errore, invece per Rahner l’ateo è un credente inconsapevole. Per Lutero Dio è onnipotente, per David Maria Turoldo è debole. Per Lutero Dio è un Tu davanti all’Io, per Marco Vannini l’Io è il «soggetto assoluto». Lutero ammetteva l’immutabilità del dogma, Walter Kasper la nega. Lutero condannava l’ateismo, il Cardinale Carlo Maria Martini diceva che nella coscienza del credente c’è sempre un ateo. Per Lutero la fede è conoscenza della verità — cioè della Parola di Dio —, per molti teologi cattolici è un «incontro atematico ed esistenziale» con Cristo …

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… per Lutero il cristianesimo è al vertice delle altre religioni, per Dupuis è una religione tra le altre, alla pari delle altre. Per Lutero la vera religione è il cristianesimo, invece per Schillebeeckx è la federazione mondiale di tutte religioni [cf. miei articoli QUI, QUI]. Per Lutero solo il cristiano possiede il dono dello Spirito, invece per Raimundo Panikkar la mistica indiana è uguale a quella cristiana. Per Lutero i musulmani sono nemici del Vangelo, invece per Rahner sono “cristiani anonimi” [cf. mio articolo QUI]. Lutero credeva nell’altro mondo; Gutiérrez dice che l’unico mondo è questo mondo. Lutero pensava che Adamo ed Eva fossero veramente esistiti; il Cardinale Gianfranco Ravasi dice che il racconto della creazione dell’uomo è un mito eziologico [cf. mio articolo QUI, Ariel S. Levi di Gualdo QUI]. Lutero ammette il racconto biblico della creazione dell’uomo, mentre Teilhard de Chardin sostiene che l’uomo proviene dalla scimmia.

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Lutero distingue il corpo dallo spirito; Teilhard de Chardin dice che nell’evoluzione la materia diventa spirito [cf. mio articolo QUI]. Lutero credeva nell’immortalità dell’anima, Vito Mancuso la nega. Lutero credeva alla resurrezione dei morti alla fine del mondo, per Rahner, invece, la resurrezione avviene subito dopo la morte. Lutero crede nei castighi divini,  Raniero Cantalamessa ed Hermes Ronchi non ci credono [cf. mio articolo QUI, Ariel S. Levi di Gualdo, QUI]. Lutero credeva nell’inferno, von Balthasar dice che «esiste» ma che «è vuoto». Lutero credeva nell’esistenza del diavolo, molti esegeti cattolici non ci credono.   

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preghiera di S.E. Rev.ma Mons. Corrado Lorefice, Arcivescovo Metropolita di Palermo e Primate di Sicilia [per aprire il video cliccare sopra l’immagine]

Per Lutero la Trinità sono tre Persone, per Rahner sono tre modi di essere Dio. Lutero riconosceva il Filioque, per Melloni, che invece è filo-ortodosso, se ne può fare a meno. Lutero era ben certo di ciò che ha detto Cristo, Padre Arturo Sosa S.J. dice che non ne siamo sicuri [cf. articolo di Ariel S. Levi di Gualdo, QUI]. Per Lutero Ario era un eretico, per Bianchi Ario aveva ragione, come sembra abbia affermato di recente nella vostra chiesa cattedrale [cf. testi delle lectiones di Enzo Bianchi, QUI, QUI]. Lutero riconosceva la divinità di Cristo, Schillebeeckx considera Cristo solo il «profeta escatologico». Per Lutero credere che Cristo è il Redentore, è una verità assoluta, invece per Marcello Bordoni, Cristo si può liberamente interpretare, a scelta, o come redentore o come «profeta martire», come uno preferisce. Per Lutero Cristo è l’unico Salvatore, per Giuseppe Dossetti gli Ebrei si salvano anche senza Cristo.

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Lutero accettava il dogma cristologico di Calcedonia, Bruno Forte interpreta l’Incarnazione in senso hegeliano [cf. mio articolo, QUI]. Per Lutero Cristo è il Dio Verità, mentre per de la Potterie Cristo semplicemente ci insegna il Vangelo. Mentre per Lutero il sacrificio espiatorio di Cristo è verità di fede, per il Cardinale Robert Zollitsch l’idea dell’espiazione è un’immagine medioevale superata. Per Lutero il sacrificio di Cristo è stato voluto dal Padre per la nostra salvezza, per Schillebeeckx la morte di Cristo non è stata un sacrificio espiatorio, ma solo un delitto causato dalla cattiveria umana.

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Lutero distingueva il pensiero dalla realtà: dovere del pensiero è adeguarsi al reale. Invece per Rahner, il reale si identifica col pensiero, per cui la mia idea è la realtà: l’io ha sempre ragione. Lutero riconosceva che dobbiamo obbedire ai dieci comandamenti, mentre per Rahner ognuno è libero di decidere da sé della propria identità. Per Lutero la coscienza è sottomessa alla Parola di Dio, mentre per il Cardinale Walter Kasper è la fonte della verità [il cogito di Cartesio] e per il Padre Arturo Sosa primeggia su tutto [cf. mio articolo, QUI, nostre risposte ai Lettori QUI, etc ..]. Lutero sa che il peccato è un male tremendo, che è tolto solo dalla Croce di Cristo, per Teilhard de Chardin, invece, il peccato è semplicemente un trascurabile incidente di percorso nel cammino inarrestabile dell’Evoluzione [su Kasper vedere i miei articoli QUI, QUI]

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preghiera di S.E. Rev.ma Mons. Corrado Lorefice, Arcivescovo Metropolita di Palermo e Primate di Sicilia [per aprire il video cliccare sopra l’immagine]

Lutero era contrario a Pelagio, per il quale la grazia era il premio alle opere, invece, per Rahner, la grazia è il vertice dell’autotrascendenza umana. Lutero diceva che è giustificato solo chi crede, chi non crede, è condannato, invece, per Rahner, tutti sono giustificati, perché tutti hanno la fede, almeno «implicita, preconscia ed atematica». Lutero credeva nel peccato originale, Nunzio Galantino non ci crede [cf. mio articolo QUI, Ariel S. Levi di Gualdo QUI]. Lutero condannava la sodomia, Bianchi l’approva. Vincenzo Paglia fa le lodi di Pannella, che approvava la confusione fra i sessi [cf. mio articolo QUI], Lutero riconosceva la distinzione fra uomo e donna ed avrebbe condannato Pannella come immorale. Lutero giudica la modernità in base al Vangelo, i modernisti giudicano il Vangelo in base alla modernità.

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Oggi, certi pensatori, ed ahimè non pochi ecclesiastici, hanno superato lo stesso Lutero, che a loro confronto ― va da sé è un paradosso ―, finisce col risultare più ortodosso di loro. Da tutti questi esempi vediamo quindi che c’è più contrasto tra modernisti e cattolici, che non tra luterani e cattolici. I cattolici sono più uniti a Lutero che ai modernisti. Il principale problema dell’unità fra cristiani, oggi, non è tanto quello dell’unione con i luterani ― c’è anche questo, ovviamente ―, quanto piuttosto quello dell’unità fra cattolici. I modernisti, che si vantano di dialogare con i luterani, finiscono per assorbire le eresie di Lutero, dando ad esse una verniciatura cattolica e disprezzando in realtà Lutero, da loro considerato come un fondamentalista superato dalla «esegesi storico-critica».

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Caro Don Alessandro, la tua battaglia contro il modernismo è più che mai legittima, necessaria ed opportuna. I modernisti sono giunti ad altissimi posti direzionali, fra i collaboratori del Papa o presentandosi come amici del Papa, mentre sono degli astuti adulatori e dei Giuda, che vorrebbero imporre, come mafiosi, i loro loschi piani di asservimento massonico della Chiesa ai poteri del mondo [cf. articolo del 2015 di Ariel S. Levi di Gualdo, QUI] . Dobbiamo fare il possibile per liberare il Santo Padre da questo abbraccio mortale e da questi poteri occulti, che hanno messo il Venerabile Pontefice Benedetto XVI nelle condizioni di dover liberamente rinunciare al ministero petrino.

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telecronaca, l’Adorazione Eucaristica in cattedrale presieduta da S.E. Rev.ma Mons. Corrado Lorefice, Arcivescovo Metropolita di Palermo e Primate di Sicilia [per aprire il video cliccare sopra l’immagine]

Credo che sia questa una missione purificatrice e santificatrice, che la Madonna ti affida, insieme col tuo servizio alla nobile e antichissima Chiesa palermitana, che oggi soffre in te, soffre nel Vescovo, soffre nei buoni fedeli, soffre per i peccati di tutti, ma nel contempo a questa di Palermo non manca la misericordia del Padre e la consolazione dello Spirito Santo, Che tutti convoca alla penitenza, alla riconciliazione, alla comunione ed alla pace, sotto la guida del legittimo Pastore, non esente dall’umana debolezza, eppure Servo delle vostre anime a nome e per mandato di Cristo. Pertanto ascoltate, aiutate e seguite il vostro Vescovo !

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Prenditi, caro Don Alessandro, un lungo periodo di sosta e riflessione eremitica, in ascolto della voce del Signore, come il profeta Elia: «Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore» [I Re 19, 11] e attendi «un mormorio di vento leggero» [v.12]. È il vento dello Spirito Santo. Accetta gli ordini, vinci le tentazioni. China il capo davanti alla Maestà divina. Implora misericordia per i tuoi peccati e per quelli dei peccatori. Abbandonati nelle mani del Dio di misericordia. Come dice Santa Caterina da Siena: «Ripòsati sulla Croce». Presto tu potrai riprendere in pienezza le tue funzioni sacerdotali e far fruttare a pieno i doni che Dio ti ha dato.

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Nuovi e grandiosi compiti ti attendono, nuove conquiste per la santificazione tua, per quella del Papa, per il bene della Chiesa universale, per la Chiesa palermitana, per l’Italia, per l’evangelizzazione del mondo, per la salvezza delle anime, per il regno di Cristo, per il trionfo di Maria, per la sconfitta di Satana.

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S.E. Rev.ma Mons. Corrado Lorefice, Arcivescovo Metropolita di Palermo e Primate di Sicilia, appello all’unità della Chiesa [per aprire il video cliccare sopra l’immagine]

Molto commovente e foriera di celesti favori è stata la recente e felice adorazione eucaristica collettiva in cattedrale con quattromila persone e il Vescovo umilmente prostrato in ginocchio davanti al Santissimo Sacramento, per implorare con canti e lacrime luce, pace, perdono, amore, concordia ed unità per la Chiesa palermitana. Provo per voi tutti, fratelli cari nella fede, ammirazione, compassione e tenerezza. Vi ricordo nella preghiera. Pregate per me.

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Confermate il patto di sangue con Cristo: Egli vi dona il suo sangue; voi donateGli il vostro. Il peccato si lava con il sangue, il sangue della Nuova Alleanza. Noi romagnoli ― per non parlare dei toscani! ―, come voi siciliani abbiamo il sangue caldo: forse a volte siamo verbalmente violenti, ma sempre generosi.

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La Madonna vera, in carne e sangue, è misericordiosa e tenerissima con gli umili, ma è terribile con i superbi; è quella Madonna che a Fatima fece vedere ai pastorelli i dannati dell’inferno; è quella Madonna che magnifica il Signore perché ha «disperso i superbi nei pensieri del loro cuore» [Lc 1,51]. Quella Madonna, Sede della Sapienza, che è vincitrice di Satana e di tutte eresie.

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cattedrale di Palermo

la splendida cattedrale metropolitana primaziale di Palermo, dedicata alla Beata Vergine Maria assunta al cielo

Ella vi protegga e vi difenda tutti, a cominciare dal vostro Vescovo; sia Ella, o Palermitani, il Presidio celeste della vostra Diocesi contro le insidie e le infiltrazioni del nemico e vi sostenga nella buona battaglia.

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Combattete contro i Principati e le Potestà! [Ef 6, 12]. Con Caterina da Siena, confidate, generosi Palermitani, che presto sarete un segno per la Chiesa italiana e gridate con Caterina: «Fuoco! Fuoco! Fuoco!». Presto scenderanno grazie abbondanti su tutti voi e l’Italia sarà infiammata.

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Con stima e affetto nel Signore.

Varazze,  7 aprile 2017

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[video] – Morale cattolica e gioco d’azzardo: il problema della ludopatia

— i video dell’Isola di Patmos —

MORALE CATTOLICA E GIOCO D’AZZARDO: IL PROBLEMA DELLA LUDOPATIA

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Per la morale cattolica, il gioco d’azzardo non sempre è considerato un peccato, ma può divenire tale quando il gioco d’azzardo reca offesa alla giustizia e alla carità, esponendoci al vizio strutturato su quella dipendenza patologica che nasce da una nostra libera scelta.

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Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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ludopatia isola

il convegno sulla ludopatia promosso dal Lions Club, presso il quale ha tenuto una relazione Ariel S. Levi di Gualdo sul rapporto tra morale cattolica e gioco d’azzardo

Ridurre le persone schiave dei sentimenti irrazionali-emotivi, delle illusione e dei sogni, non è forse la forma peggiore di schiavitù?

La schiavitù moderna è peggiore di quella degli antichi romani, che era un istituto giuridico del diritto civile; un istituto che prevedeva la emancipatio, la liberazione dello schiavo. E una volta divenuto libèrto, l’ex schiavo, specie in epoca imperiale, poteva fare persino brillanti carriere. Al contrario della schiavitù moderna, non codificata in alcuna legge, perché i sistemi democratici che promuono la schiavitù psicologica sono quelli che la schiavitù la condannano in modo deciso, ma risultando poi nei fatti gli stessi che esercitano massicci controlli sulle masse di schiavi, per i quali non è prevista quella possibilità giuridica di emancipazione prevista invece già oltre due millenni fa nel diritto civile romano.

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Lions Club 31.03.2017 ok

il prof. dott. Franco Cirillo (a sinistra), il padre Ariel S. Levi di Gualdo (a destra) durante la conferenza

Riguardo il gioco d’azzardo, il Catechismo della Chiesa Cattolica usa un termine molto più forte del termine “dipendenza”, usa il termine “schiavitù”. E qui vi faccio notare che non tutte le dipendenze sono in sé e di per sé cattive, a volte non sono neppure nocive. Infatti, la “dipendenza”, può nascere da una nostra lucida scelta iniziale che poi può sfuggire al nostro controllo, sino a renderci schiavi, ma partendo comunque da un atto iniziale della nostra libera volontà. Esistono infatti due diverse forme di schiavitù: possiamo essere ridotti in schiavitù attraverso una violenta privazione totale della libertà, o possiamo essere ridotti in schiavitù da varie forme di dipendenza psicologica, senza che quasi ce ne rendiamo conto [segue il video della conferenza]

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Per aprire il video della conferenza cliccare sull’immagine sotto:

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Canale You Tube de L’Isola di Patmos

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Alessandro Minutella non è un modello di pietà sacerdotale che i fedeli cattolici devono seguire

ALESSANDRO MINUTELLA NON È UN MODELLO DI PIETÀ SACERDOTALE CHE I FEDELI CATTOLICI DEVONO SEGUIRE

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Quando fosti consacrato sacerdote promettesti obbedienza al Vescovo ed a tutti i suoi successori. Questo ti dovrebbe ricordare che noi siamo chiamati all’obbedienza nella fede, non all’obbedienza nel sentimentalismo e nella emotività. Pertanto, il vero e fedele Sacerdote, non ubbidisce solo al Vescovo che gli piace, che egli ritiene degno o che stima, ma ubbidisce al Vescovo in quanto tale, in quanto Sommo Sacerdote e membro del Collegio Apostolico.

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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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I Padri de L’Isola di Patmos sono rimasti amareggiati per il caso del presbìtero palermitano Alessandro Minutella [vedere QUI], sicché hanno deciso di dedicargli due diversi scritti: Giovanni Cavalcoli, una riflessione indiretta ma a lui preziosa legata al fatto che tutto ciò che è moderno non è modernismo; Ariel S. Levi di Gualdo, in modo più diretto, ha invece ritenuto in coscienza di doverlo richiamare ai doveri delle sue promesse sacerdotali.

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Al Venerabile Fratello in Cristo

ALESSANDRO MINUTELLA

Presbitero della Chiesa di Palermo

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il presbitero palermitano Alessandro Minutella

Presso la nostra rivista telematica L’Isola di Patmos abbiamo ricevuto messaggi da parte di Lettori che chiedevano lumi su tue predicazioni e catechesi diffuse in video nella rete telematica. Ho risposto cercando di “correggere il tiro” dello scandalo verso il quale tu stavi precipitando.

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Poi sono stato contattato da giornalisti che si occupano di faccende ecclesiali ed ecclesiastiche, tra i quali due della stampa straniera, che mi hanno chiesto parere teologico e canonico. A quel punto non mi è stato più possibile “correggere il tiro”, ed in coscienza sacerdotale, in scienza teologica ed in ossequio alle Leggi della Chiesa, ho dovuto rispondere in modo imparziale e preciso.

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per aprire il documento video cliccare sopra questa immagine

Il tuo video qui riprodotto, contiene gravi difetti di sostanza e di forma. In esso tu dai avvio al tuo discorso riportando i casi di due tuoi confratelli sacerdoti dell’antica e nobile Chiesa panormitana che sviliscono la dignità del Sacro Ordine Sacerdotale. Di questi due non fai i nomi [vedere video-omelia QUI], pur lasciando però capire che si tratta di Fabrizio Fiorentino [vedere QUI] e Cosimo Scordato [vedere QUI]. Tra i due il più nocivo è di certo Cosimo Scordato, al quale non dovrebbe esser permesso insegnare teologia sacramentaria presso la Pontificia Facoltà Teologica di Palermo, per le sue palesi e documentate derive eterodosse legate sia alla ecclesiologia sia alla dogmatica sacramentaria.

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il presbitero palermitano Fabrizio Fiorentino, foto pubblica tratta dal suo pubblico profilo Facebook

Usare due figure di sacerdoti discutibili sul piano pastorale e teologico, dovrebbe essere per te motivo di dolore, non ragione per costruire la tesi che … l’altro è peggiore, quindi presentando te stesso dinanzi al Popolo di Dio come vittima innocente in quanto modello di virtù sacerdotale. Infatti, la tua veste talare ― la stessa che io indosso sempre tutti i giorni ―, perderà ogni significato pastorale e senso di testimonianza visibile della tua rinuncia al mondo, se dentro di essa non alberga un’anima capace a riconoscere per mistero di grazia il segno indelebile del sacerdozio anche in un confratello che in modo incauto diffonde le proprie fotografie in costume da bagno sulla rete telematica. Infatti, se la tua talare sacerdotale non è intimamente vissuta anche con pietà cristiana verso i visibili difetti altrui, diverrà parecchio peggiore del costume da bagno ostentato dal tuo confratello nelle fotografie da lui pubblicate sulla rete telematica. E questo, in profonda coscienza, te lo dico nella mia qualità di confessore di molti Sacerdoti.

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il presbitero palermitano Fabrizio Fiorentino, foto pubblica tratta dal suo pubblico profilo Facebook

Nessuno dei Discepoli ha mai accusato Cristo Dio di avere accolto nel Collegio degli Apostoli anche Giuda Iscariota, che poi lo ha tradito. Né alcuno ha mai negata l’autorità di Pietro ricordandogli di avere rinnegato Cristo per tre volte e di essersi dato alla fuga altrettante volte. Tutt’altro, il Beato Apostolo Paolo, che pure lo rimproverò duramente ad Antiochia [cf.  Gal 2, 1-11], non mise mai in dubbio l’autorità di Pietro, sapendo che il mandato di pascere il gregge [cf. Gv 21, 1-19] e di confermare i fratelli nella fede [cf. Lc 22, 31-34], a quel pescatore galileo debole, indegno e anche culturalmente limitato, era stato conferito per mistero di grazia da Cristo Dio in persona [cf. Mt 16, 13-20].

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Detto questo ti faccio notare quanto segue :

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1. dai video delle tue omelie e catechesi, emerge una formazione teologica lacunosa e strutturata sullo stile dei predicatori di certe sètte evangeliche, sino a scivolare nella eterodossia nel tentativo di salvaguardare l’ortodossia del deposito della fede cattolica ;

2. i tuoi richiami al teologo Hans Urs von Balthasars sono audaci e arbitrari e da essi si deduce che la tua conoscenza dell’opera di questo studioso del Novecento è approssimativa, quindi falsante, perché avere letto e studiato non vuol dire avere capito, ed in specie discorsi altamente complessi come quelli di questo Autore, per vagliare i quali non basta un’infarinatura di neoscolastica decadente, è richiesta una solida formazione scolastica e metafisica aristotelico-tomista ;

3. la tua mariologia trascende in forme di mariolatria, peraltro in un contesto latino-mediterraneo nel quale i pastori in cura d’anime hanno l’obbligo e il dovere di correggere certe forme deviate di devozione popolare legate a culti tradizional-popolari della Beata Vergine e dei Santi.

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il presbitero palerminato Fabrizio Fiorentino, foto pubblica tratta dal suo pubblico profilo Facebook

Mi fermo a questi brevi aspetti teologici per invitarti a riflettere sul modo in cui hai recato scandalo nel Popolo di Dio attaccando il tuo Vescovo durante una azione liturgica dall’interno della chiesa parrocchiale a te affidata, perché attraverso siffatti sproloqui hai dimostrato:

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  1. di usare i difetti altrui, quindi le stesse ragioni e la stessa emotività aggressiva tramite la quale Martin Lutero attaccò l’Autorità Ecclesiastica e quella Roma che già l’eresiarca tedesco chiamava prima di te «la grande prostituta», termine al quale tu hai aggiunto di tuo: «multinazionale della falsità» [cf. QUI] ;
  1. analogamente a Lutero, che denunciava i malcostumi, le corruzioni e le decadenze morali del mondo ecclesiastico ― tutte realmente esistenti e come tali da disapprovare, ieri come oggi ―, tu credi che la soluzione risieda nel tuo “ego” e nella frattura con la comunione ecclesiale ;
  1. tu hai gravemente mancato di rispetto al Sommo Pontefice accusandolo implicitamente di eresia, sovente anche con discorsi farneticanti, ed hai mancato altresì gravemente di rispetto all’autorità apostolica del tuo Vescovo, dichiarando di agire in nome di quella “difesa della verità” che di fatto costituisce però solo la tua personale idea di verità, posto che la custodia della verità non è affidata a te, tanto meno alla tua soggettività intrisa di un sentimentalismo che denota una emotività che tu non riesci e controllare.

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il presbitero palermitano Fabrizio Fiorentino, foto pubblica tratta dal suo pubblico profilo Facebook

Penso di potermi esprimere in tal senso con autorevolezza e credibilità proprio perché più volte ho criticato il dottore privato Corrado Lorefice, di cui non condivido l’impostazione teologica improntata su quella Scuola di Bologna che giudico da sempre perniciosa, il tutto entro la libertà dei figli di Dio e la legittima disputa teologica da sempre riconosciuta e promossa dalla Chiesa, purché fatta in sapienza e soprattutto con carità [puoi vedere a tal proposito una mia lectio dello scorso anno, QUI]. Non ho neppure esitato a manifestare disagio per la nomina di Vescovi italiani appartenenti tutti e di rigore ad una scuola di pensiero ben precisa e portati all’episcopato da coloro che rivendicano la “pluralità di idee all’interno della Chiesa”, ma al tempo stesso impongono di fatto un pensiero unico, cosa questa che in altri linguaggi si chiama golpe. Ciò detto potrei seguitare a lungo nel dipingere il pensiero univoco, le carenze e soprattutto la mediocrità dei Vescovi di ultima nomina, ma senza mai porre in minima discussione la loro autorità apostolica, pure si trattasse dei peggiori Vescovi della storia della Chiesa, ai quali noi dobbiamo obbedienza, a prescindere dalla loro intelligenza e dalle loro qualità umane, teologiche e morali; e ciò fin quando essi non finissero col cadere nell’eresia. In questo secondo caso, a sentenziare sulla eterodossia di un Vescovo, può procedere solo il Romano Pontefice attraverso gli appositi dicasteri della Sede Apostolica. Noi dobbiamo denunciare all’Autorità della Chiesa gli eventuali casi di Vescovi eterodossi, non possiamo però condannarli, perché il nostro grado sacramentale è inferiore, quindi non possiamo erigerci a giudici di quanti sono rivestiti del supremo grado sacramentale della pienezza del Sacerdozio Apostolico.

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S.E. Rev.ma Mons. Corrado Lorefice, Arcivescovo Metropolita di Palermo e Primate di Sicilia

Quando fosti consacrato sacerdote promettesti obbedienza al Vescovo ed a tutti i suoi successori. Questo ti dovrebbe ricordare che noi siamo chiamati all’obbedienza nella fede, non all’obbedienza nel sentimentalismo e nella emotività. Pertanto, il vero e fedele Sacerdote, non ubbidisce solo al Vescovo che gli piace, che egli ritiene degno o che stima, ma ubbidisce al Vescovo in quanto tale, in quanto Sommo Sacerdote e membro del Collegio Apostolico. E nella sua Chiesa particolare il Vescovo personifica Cristo che regge e unisce tutte le membra vive del corpo che è la Chiesa. Pertanto, S.E. Rev.ma Mons. Corrado Lorefice, Arcivescovo Metropolita di Palermo e Primate di Sicilia, è il Vescovo al quale tu devi rispetto e filiale obbedienza, perché il Sacerdozio, a te come a tutti noi, è stato dato in “comodato d’uso”, non in “possesso”. E tu sei chiamato a esercitare il sacro ministero sacerdotale in comunione col  tuo Vescovo nei modi e nelle forme da lui stabilite. La validità delle Eucaristie che tu celebri, non dipendono dal tuo “potere magico“, ma dalla Eucaristia celebrata dal Sommo Sacerdote della Chiesa di Palermo, il quale ti ha conferita facoltà di celebrare il Sacrificio Eucaristico, amministrare confessioni e predicare. E come queste facoltà te le ha date secondo le leggi canoniche della Chiesa, queste facoltà può revocartele per ragionevoli motivi, perché è sì vero che noi tutti siamo sacerdoti segnati da un carattere indelebile ed eterno, ma resta altrettanto vero che il Sacerdozio non ci appartiene, non è un nostro possesso, è un servizio al quale siamo chiamati; e come servire la Chiesa attraverso il Sacerdozio, lo stabilisce il Vescovo della Chiesa particolare in comunione col Vescovo di Roma e Sommo Pontefice della Chiesa universale, non puoi certo stabilirlo tu ponendoti dinanzi ai fedeli al di sopra dell’autorità del Sommo Sacerdote della Chiesa panormitana, perché questo tuo agire è empio, censurabile e scandaloso dinanzi al Popolo di Dio.

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corrado lorefice consegna pallio

S.E. Rev.ma Mons. Corrado Lorefice, il giorno che ricevette il pallio metropolitano dal Sommo Pontefice Francesco I

Nel tuo pubblico discorso tu affermi in modo chiaro e implicito di non riconoscere l’Autorità del tuo Vescovo, di cui non manchi di farti beffa. E ripieno di egocentrismo dichiari che non può interessarti nulla di eventuali sospensioni dall’esercizio del ministero e via dicendo, quindi che proseguirai la tua opera nel modo che meglio reputerai giusto e opportuno.

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Sappi che prima di te, Martin Lutero, ha agito nello stesso modo dinanzi al decreto del Sommo Pontefice, al quale rispose chiamando il Successore di Pietro: «asino», «Satana», «sacco di sterco». E come te questo eretico “dette fuoco” al decreto pontificio, lui materialmente, tu con le parole.

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corrado lorefice con pastorale

S.E. Rev.ma Mons. Corrado Lorefice, Arcivescovo metropolita di Palermo

Ritengo che l’Arcivescovo di Palermo sia stato paziente e prudente, caritatevole e misericordioso. Fossi stato io il tuo Vescovo ― ovviamente è un esempio accademico ―, sarei stato ugualmente paziente, prudente, caritatevole e misericordioso, ma da tempo avrei provveduto a revocarti la facoltà di celebrare la Santa Messa in pubblico, di amministrare confessioni e di predicare. E dopo averti convocato e chiuso in una stanza con me, ti avrei fatto pentire dei tuoi peccati, se da quella stanza tu non fossi uscito dopo avermi baciata la mano col ginocchio flesso riconoscendo la mia autorità apostolica, rinnovandomi obbedienza e dichiarando che avresti agito nei modi da me indicati e comandati in virtù della grazia di stato a me conferita, posto che la grazia di stato tua non sussiste e soprattutto non può operare e produrre frutti senza la superiore grazia di stato del Vescovo.

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Di diverso, tra il tuo Vescovo e me, c’è però una cosa: dopo avere redarguito te avrei anche revocata la licenza per l’insegnamento della teologia ad un pericoloso avvelenatore di cervelli come Cosimo Scordato e avrei fatto passare la voglia a Fabrizio Fiorentino di andarsene in giro per il mondo vestito come un trendy scapolo spensierato a farsi selfie da pubblicare sulla rete telematica. Questa è la sostanziale differenza che corre tra me ed una persona carente di aequitas e di senso delle proporzioni come Corrado Lorefice, che per Grazia di Dio e volontà della Sede Apostolica è il Pastore legittimo della Chiesa particolare di Palermo.

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Ti suggerisco fraternamente di chiedere anzitutto pubblicamente perdono al tuo Vescovo, scusandoti con i fedeli per averlo attaccato durante la celebrazione della Santa Messa. Fatto questo sarebbe opportuno che ti ritirassi per un periodo di due anni in un monastero, facendoti seguire da un bravo direttore spirituale per la cura della tua anima e da un esperto teologo anziano che possa sanare le gravi deformazioni del tuo pensare teologico intriso di adulterazioni e di gravi errori.

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corrado lorefice in cattedra

S.E. Rev.ma Mons. Corrado Lorefice, Arcivescovo Metropolita di Palermo

Se in modo lungimirante, maturo e umile non farai questo, il futuro che ti attende rischia di essere quello del “pastore” di una sètta cristiana vestito esteriormente da sacerdote cattolico, avvolto dall’aura del prediletto dallo Spirito Santo e animato da una visione catastrofica che costituisce la negazione stessa della nostra Santa Fede, non certo del grande messaggio di speranza racchiuso nell’Apocalisse del Beato Apostolo Giovanni. Un catastrofismo, il tuo, basato su quel pessimismo che è negazione stessa della nostra Santa Fede, che si regge su quella virtù teologale della speranza che non a caso è posta nel mezzo tra le altre due virtù teologali, proprio per unire assieme la fede e la carità.

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Non attendere né indugiare oltre a chiedere in modo docile e umile il perdono del tuo Vescovo, al quale non sei tenuto a tributare stima, perché non gliel’hai mai promessa, come nessuno di noi ha mai promesso di stimare il proprio Vescovo, però l’obbedienza sì, quella gliela devi, perché gliel’hai solennemente promessa.

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Ti benedico con fraternità sacerdotale e ti garantisco il mio ricordo nella preghiera per la tua conversione e per la tua rinnovata comunione con il Vescovo dell’antica e nobile Chiesa di Palermo.  

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dall’Isola di Patmos, 02 aprile 2017

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

Tutto ciò che è moderno non è modernismo. Riflessioni sul modernismo: modernisti e tradizionalisti

TUTTO CIÒ CHE È MODERNO NON È MODERNISMO. RIFLESSIONI SUL TRADIZIONALISMO: MODERNISTI E TRADIZIONALISTI

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Il dialogo più urgente ed importante che oggi bisogna promuovere non è il dialogo con i protestanti, con gli ortodossi, con gli ebrei, con i musulmani o con i non credenti, tutte cose utili e da fare; ciò che urge è il dialogo intra-ecclesiale, il dialogo tra noi cattolici, perché ci sono in noi e tra di noi delle divisioni dottrinali e morali gravissime e intollerabili.

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Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli, OP

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I Padri de L’Isola di Patmos sono rimasti amareggiati per il caso del presbìtero palermitano Alessandro Minutella [vedere QUI], sicché hanno deciso di dedicargli due diversi scritti: Giovanni Cavalcoli, una riflessione indiretta ma a lui preziosa legata al fatto che tutto ciò che è moderno non è modernismo; Ariel S. Levi di Gualdo, in modo più diretto, ha invece ritenuto in coscienza di doverlo richiamare ai doveri delle sue promesse sacerdotali.

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da una scarsa formazione teologia e spirituale al sacerdozio, può nascere l’idea del tutto errata che ciò che è moderno sia di per sé modernista. il presbitero palermitano Alessandro Minutella ne ha data purtroppo prova. Per aprire il video cliccare sopra l’immagine

Il dialogo più urgente ed importante che oggi bisogna promuovere non è il dialogo con i protestanti, con gli ortodossi, con gli ebrei, con i musulmani o con i non credenti, tutte cose utili e da fare; ciò che urge è il dialogo intra-ecclesiale, il dialogo tra noi cattolici, perché ci sono in noi e tra di noi delle divisioni dottrinali e morali gravissime e intollerabili.

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Non si sa più cosa vuol dire essere cattolico, perché ognuno mette sotto questo titolo quel che gli pare e piace, e quindi le idee più strane, estranee e contraddittorie. Si va al supermercato delle religioni, si sceglie ciò che si preferisce, si passa dal vescovo alla cassa per pagare, e poi a casa, con i prodotti acquistati, si organizza il menù della settimana e si invitano gli amici.

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È dunque urgente che ci stringiamo tutti attorno al Papa, Maestro della Fede e supremo custode e promotore in terra dell’unità, della riconciliazione e della pace nella Chiesa, tutti attenti e fedeli alle linee fondamentali del suo servizio pastorale, senza stare a litigare per certe sue scelte contingenti, occasionali che sono e che restano discutibili con filiale libertà di pensiero, ma rinunciando al tempo stesso ad ogni sciocca adulazione e ad ogni critica malevola.

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02.04.2017  Giovanni Cavalcoli, OP   —   TUTTO CIO CHE È MODERNO NON È MODERNISMO. RIFLESSIONI SUL TRADIZIONALISMO: MODERNISTI E TRADIZIONALISTI

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