Fidel Castro è morto: il WWF ne dà il triste annuncio

FIDEL CASTRO È MORTO, IL WWF NE DÀ IL TRISTE ANNUNCIO

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Appresa dal WWF la triste notizia, L’Isola di Patmos si unisce al profondo dolore del Popolo Cubano per la scomparsa di Fidel Castro

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Autore Redazione dell'Isola di Patmos

Autore
Redazione dell’Isola di Patmos

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cuba

un tenero ricordo di Fidel Castro (nella foto quello con la barba al centro) e del suo rapporto del tutto privilegiato con la classe operaia: un contadino cubano al quale è concesso di ricevere l’assoluzione prima della condanna a morte per presunto tradimento del regime comunista.

Alcuni amici che lavorano presso il WWF nella sezione speciale delle specie a rischio, ci hanno informati del grave lutto che ha colpito il Popolo Cubano: Fidel Castro, el leader maximo, è morto.

Da molti anni il dittatore cubano era entrato nei piani di protezione della sezione del WWF che si occupa delle specie protette in via di estinzione. È infatti dalla fine degli anni Ottanta che gli orfani del vecchio Partito Comunista sono entrati in questo piano di tutela e salvaguardia.

Nella zona ultra vip di Capalbio, nella Maremma toscana, pare che alcuni locali abbiano assistito al pianto di dolore di Giulio Napolitano, figlio del Presidente emerito della Repubblica, mentre si trovava in quella zona per un fine settimana, prontamente interrotto per fare rientro a Roma, dove la sera si è tenuta una veglia presso un club in del quartiere Parioli, alla quale hanno partecipato, assieme a lui, molti altri figli di papà; gli stessi che da giovincelli parlavano di classe operaia nella ultra comunista università di Pisa, per poi meglio accingersi — una volta conseguiti dottorari all’Istituto Superiore Sant’Anna per meriti accademici e di cognome — a riscuotere parcelle milionarie come consulenti d’imprese pubbliche e private. Ovviamente a lode e gloria della classe operaia, perché anzitutto e sopra a tutto … hasta siempre la victoria !

 

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SOSTENETE IL WWF PER LA PROTEZIONE DELLE SPECIE IN VIA DI ESTINZIONE

wwf

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

L’islamizzazione dell’Europa. La giusta reazione al torto subìto: odio, giusta vendetta, perdono

– Theologica –

L’ISLAMIZZAZIONE DELL’EUROPA. LA GIUSTA REAZIONE AL TORTO SUBÌTO: ODIO, GIUSTA VENDETTA, PERDONO.

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«Si manifesterà Gesù dal cielo con gli angeli della sua potenza in fuoco ardente a far vendetta di quanti non conoscono Dio e non obbediscono al Vangelo del Signore Nostro Gesù» [II Ts 1, 8].

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Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli, OP

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islamizzazione

il divino sfratto esecutivo …

Il famoso detto del Signore Gesù riguardo il “porgere l’altra guancia”, da sempre citato e deriso dai nemici del cristianesimo come segno del suo supposto spirito imbelle, non ha quindi nulla a che vedere col problema della risposta da dare a un nemico, ma, come risulta chiaramente dal contesto, è un’esortazione alla pazienza e alla disponibilità verso gli altri. Così pure l’ “amore per il nemico”, non è amore per la sua azione nemica, perché sarebbe amore per il peccato, ma amore per i lati buoni del nemico come persona. L’azione cattiva va soppressa, punita e riparata o espiata.

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25.11.2016  Giovanni Cavalcoli, OP — L’ISLAMIZZAZIONE DELL’EUROPA. LA GIUSTA REAZIONE AL TORTO SUBÌTO: ODIO, GIUSTA VENDETTA, PERDONO

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Se tutti i preti possono assolvere il peccato di aborto, tutti i preti possono assolvere dal peccato di attentato al Sommo Pontefice

SE TUTTI I PRETI POSSONO ASSOLVERE IL PECCATO DI ABORTO, TUTTI I PRETI POSSONO ASSOLVERE DAL PECCATO DI ATTENTATO AL SOMMO PONTEFICE

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Togliere la riserva al peccato di aborto è stato un gesto di grande misericordia e tenerezza, manifestata attraverso la facoltà di assoluzione data a tutti quei sacerdoti che oggi più che mai mostrano di essere sempre più ferrati e preparati nel sacro ministero di confessori, soprattutto spiritualmente, basti solo vederli quando in jeans e camicia a mezze maniche passeggiano direttamente dentro le basiliche romane con i penitenti appresso, confessando in maniera colloquiale tra un sorriso e l’altro, o rispondendo durante la confessione anche al telefono cellulare …

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Sua Eccellenza Monsignor Ariel S. Levi di Gualdo    Vescovo di Laodicea Combusta

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… la realtà in una vignetta ?

La mia Lettera Pastorale nasce da una esperienza mistica che ho avuto sulle alture della nostra amata Chiesa particolare. Mentre infatti meditavo tra le pietre delle vetuste rovine della mia antica Chiesa cattedrale in questo angolo sperduto di Anatolia, lo Spirito Santo mi si è manifestato nella forma di una Colomba che ha preso a volteggiare su un pistacchieto. La Colomba s’è posta poi sopra una pianta di pistacchi, scomparendo poco dopo; ed alla sua sparizione la pianta ha preso fuoco. Sul momento mi sono addolorato per la inspiegabile autocombustione, anche perché i pistacchi dell’Anatolia sono molto pregiati, dicono che lo siano ancor più di quelli di Bronte. La cosa che però mi ha colpito è stato che la pianta del pistacchieto bruciava, ma non si consumava. Quella immagine mi ricordava qualche cosa, ma sul momento non capivo che cosa. Poi mi sono ricordato di una conferenza tenuta anni fa presso il Cortile dei Gentili dal Cardinale Gianfranco Ravasi, quello che parla con i massoni al sole per 24 ore [cf. QUI], ma di cui non ricordo bene il titolo esatto, all’incirca suonava così: «Rudolf Bultmann e le allegorie bibliche». A quel punto, come se la mia memoria si fosse d’improvviso risvegliata, ho sbottato:  εὕρηκα ! [eureka, che significa: ho trovato!]. Quindi mi sono detto: «Ma certo, è l’allegoria del roveto ardente del Patriarca Mosè!» [cf. Es 3,1-15].  A quel punto, mentre il fuoco ardeva la pianta di pistacchi senza consumarla, in una calma totale che pareva un fermo d’immagine, senza alito di vento e senza alcun movimento, la voce dello Spirito del Signore mi ha investito in tono di rimprovero:

– «… dimmi un  po’: ma io ti sembro forse una allegoria?».

Mi sono prostrato a terra ed ho risposto:

– «No, mio Dio e mio tutto, inizio, centro e fine ultimo di ogni cosa nei cieli e sulla terra. Tu non sei una allegoria. Il mio era un modo di dire tutto teologico, conforme alle moderne esegesi vetero e novo testamentarie, o forse non hai mai sentito parlare di Walter Kasper, di Bruno Forte, di Nunzio Galantino e di Enzo Bianchi, di Alberto Melloni …?».

Mi domanda ancòra lo Spirito del Signore:

– «E dove hai udito, di queste cosiddette allegorie?».

Replico con la faccia a terra:

– «A Roma, mio Signore. Di queste allegorie se ne parla in tutte le università pontificie. Tutto l’Antico Testamento è allegoria, ma anche il Nuovo Testamento: i miracoli del Figlio consustanziale al Padre dal quale tu procedi, sono spiegati come allegoria; il Corpo di Cristo nella Eucaristia, è una allegoria, o per meglio dire una transfinalizzazione, una transignificazione, che nasce dall’ingegno di uno dei più grandi riformatori della storia della Cristianità, Martin Lutero, che parlava di consustanziazione, lo insegnano all’istituto liturgico del Pontificio Ateneo Sant’Anselmo [cf. QUI]».

A quel punto è silenzio. Io non osavo più replicare, perché allo Spirito del Signore si risponde se lui t’interroga, l’uomo non può certo interrogare la Divina Persona dello Spirito Santo, lo può pregare, adorare e glorificare con il Padre e con il Figlio, ma non interrogare, ci mancherebbe altro, mica sono un carismatico del Rinnovamento nello Spirito Santo o un pentecostale! E mentre ero in silenzio, lo Spirito Santo ha di nuovo parlato:

– «Dovrò decidermi prima o poi ad andare a Roma per visitare la Città del Vaticano. Ne parlai tempo fa anche con le altre due Persone della Santissima Trinità. Mi hanno riferito che meriterebbe visitare la Cappella Sistina e vedere i suoi affreschi, dicono che siano molto belli. Di recente, Dio Padre, disse che sarebbe andato a visitare un luogo; Dio Figlio, il generato non creato della stessa sostanza del Padre, disse che sarebbe andato in visita a un altro luogo della Terra. A quel punto, io che procedo dal Padre e dal Figlio, dissi che sarei andato volentieri a Roma per visitare la Città del Vaticano, visto che non ci sono mai stato. Se però le cose stanno come tu “allegoricamente” dici, forse una mia visita sarebbe proprio opportuna, semmai facendomi accompagnare da uno dei miei body guard preferiti, l’Angelo Sterminatore di Sodoma e Gomorra, così gliele facciamo vedere noi, come sono fatte le allegorie, ma soprattutto com’è fatta quella vera misericordia di Dio da voi ormai mutata in melassa !».

Mi domanda lo Spirito del Signore:

– «Perché, ti eri ritirato qui in preghiera e in riflessione? Che cosa stai leggendo, su questo schermo portatile? E pensare che a Mosè dovemmo far incidere a suo tempo su due tavole di pietra. Oggi sarebbe bastato fosse salito sul Monte Sinai con un Ipad, semmai avrebbe ripreso il roveto ardente e poi l’avrebbe caricato sul canale You Tube».

Rispondo:

− «Stavo leggendo l’ultima Lettera Apostolica del Vicario in Terra del Divino Figlio, il Verbo Incarnato, Cristo Dio …

Replica lo Spirito Santo:

– «Capisco. Tempo fa, durante uno dei nostri consueti briefing tra Padre, Figlio e Spirito Santo, il Figlio ha sollevato diverse perplessità riguardo questo suo Vicario sulla Terra esprimendoci: “Per la prima volta, sulla Terra ho un Vicario più buono e misercordioso di me, lodato da tutti coloro che hanno sempre odiato e che tutt’oggi seguitano a odiare me e la mia Chiesa, come provano i segni della mia passione rimasti impressi nel mio Corpo Glorioso. Perché se oggi mi incarnassi di nuovo, troverebbero modo e maniera per farmi fare una fine peggiore ancòra della precedente”. All’udir quelle parole del Figlio, espressi al Padre ed a Lui la domanda: “Forse siamo giunti alla fine dei tempi, alla parusia?” Il Padre mi ha replicato: “Tu, Spirito Santo, da quando hai stretto amicizia con l’Angelo Sterminatore di Sodoma e Gomorra, non vedi l’ora di seminare statue di sale nella Chiesa di mio Figlio, ed hai ragione a desiderarlo. Il Figlio ha ripreso il discorso dicendomi: “Non è ancora giunto il momento, perché il peggio non è ancora giunto”. E rivolto al Padre ed a me, ha precisato: “Eppure, a mio tempo, fui così chiaro quando dissi … “quando il Figlio dell’uomo tornerà, troverà ancora la fede sulla terra?” [cf. Lc 18, 1-8]».

E di nuovo si rivolge a me con una domanda:

– «Tu pensi che questo quesito rivolto a suo tempo dal Verbo Incarnato, il Figlio Consustanziale al Padre, l’abbiano preso anch’esso come una allegoria, o come una licenza poetica? Comunque, mi stavi dicendo poc’anzi che eri intento a leggere ed a meditare l’ultima Lettera Apostolica …».

– «Si, la stavo meditando perché pensavo di scrivere a mia volta una Lettera Pastorale indirizzata da queste antiche rovine alle anime dei Presbiteri e dei Fedeli della Chiesa particolare di Laodicea Combusta. Sai, io sono un Vescovo, ma Vescovo titolare, la mia Diocesi esiste solo sulle carte archeologiche. Per questo mi rivolgo ogni tanto alle anime dei Sacerdoti e dei Christi Fideles che un giorno furono, in questa ormai inesistente Chiesa di Laodicea Combusta».

Risponde lo Spirito del Signore:

– «Di questo non ti devi preoccupare, anche i Vescovi che sono titolari di molte grandi Diocesi, ormai sono anch’essi ridotti a rivolgersi agli spiriti dei morti, pensa a quelli della Germania, del Belgio, dell’Olanda … Può essere però che i morti tuoi ti ascoltino, perché sono morti veramente, intendo dire fisicamente morti; mentre quelli di molti altri Vescovi, che sono invece dei morti viventi, morti al senso della vita e della grazia che io elargisco a chi la accoglie e la accetta, ecco, quelli sì che sono i morti veri. O come mi disse una volta l’Apostolo Pietro, mentre in Paradiso narrava delle sue vicende a Roma, dove prima di morire crocifisso imparò durante il suo soggiorno varie espressioni dialettali: “ogni Vescovo, in fonno, se’ merita sempre li mortacci sua !». Ah, che duro lavoro ho dovuto fare con Simone, chiamato Pietro dal Verbo Incarnato, il Divino Figlio. Forse Cristo Dio lo chiamò Pietro proprio perché quel pescatore galileo aveva la testa dura come una pietra. Feci appena in tempo a riprenderlo per i capelli, mentre si stava dando di nuovo alla fuga a Roma durante le persecuzioni. Sai, la vicenda del Quo vadis Domine, non è affatto un’allegoria, è accaduto per davvero. Insomma, la grazia e la gloria del martirio, a Pietro abbiamo proprio dovuto offrirgliela tutti e tre su un piatto d’argento. Ma devo dire che lui, giunto al patibolo, ci ha messo del suo, devotamente umile com’era, chiedendo d’esser crocifisso a testa all’ingiù, non sentendosi degno di patire come il Verbo di Dio fatto uomo.

– «Spirito del Signore, posso osare, come fece Abramo durante la sua “trattativa” con Dio Padre [cf. Gen 18, 1-33], quindi chiedere …».

– «E vuoi che io non abbia già letto nel tuo cuore? Figurati, appena io ho nominato Pietro, tu hai pensato immediatamente a Paolo, vero? Ma parla … dimmi».

– «Ecco, immagino che i due Beati Apostoli, dopo il loro abbraccio a Roma, oggi nel Paradiso veglino sulla Chiesa di Cristo …».

– «Figliolo, che veglino sulla Chiesa di Cristo, puoi starne certo, per quanto però riguarda il fatto che si siano abbracciati a Roma prima di giungere rispettivamente al loro martirio, questa sì che è una vostra bella allegoria! Figurati, per trovare un altro soggetto permaloso e dalle idee confuse come il Beato Pietro, bisogna fare un salto in avanti di duemila anni e arrivare ai tempi vostri. O pensi forse che ad Antiochia, quando il Beato Paolo lo rimproverò in toni aspri e duri [cf. Gal 2, 1-11] il Beato Pietro la prese bene? Altro che abbraccio, si impermalì come una scimmia alla quale è strappata di mano una banana! E in fondo, qual era il problema di Pietro? Il suo problema era il dire e il non dire, il cercare di stare con un piede su una staffa e uno in un’altra, ondivago e ambiguo. Ti ricorda per caso qualcuno? In ogni caso sappi una cosa: il Beato Paolo fu solamente la bocca offerta in prestito, perché il lavoro, ad Antiochia, fu tutta quanta opera mia. Fui io che per la bocca del Beato Paolo misi il Beato Pietro con le spalle al muro».

– «Spirito Santo del Signore, con l’umiltà di Abramo, vorrei ancora osare … anche se tu hai già letto cosa ho nel mio animo …»

– «Certamente, però apri la bocca, crea, parla …»

– «Mi chiedevo: non sarebbe possibile parlare anche oggi per bocca del Beato Apostolo Paolo? ».

– «E tu pensi che io non l’abbia già fatto? Di recente ho fatto di meglio ancora, perché se ad Antiochia mi rivolsi al Beato Pietro per bocca di un solo Apostolo, oggi, a Pietro, mi ci sono rivolto per bocca di ben quattro Apostoli [cf. i dubia dei quattro Cardinali QUI]. E tu dovresti anche sapere quel che è accaduto, o pensi forse che noi, nel Paradiso, non abbiamo un gruppo di Angeli che curano la rassegna stampa tutti i giorni? Presto detto quel che è accaduto: Pietro non s’è degnato neppure di rispondere. Ma lasciamo perdere, piuttosto veniamo alla tua Lettera Pastorale indirizzata ― come direbbe il Beato Pietro nato giudeo e morto romano ―, a li mortacci tua … se vuoi posso darti un paio di ispirazioni per questa tua epistola …».

A quel punto, lo Spirito del Signore, ha ispirato questa mia Lettera Pastorale …

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Venerabili Presbiteri e Diletti Figli e Figlie della Chiesa di Laodicea Combusta: pace a tutti voi e grazia dal Signore Nostro Gesù Cristo.

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il Vescovo di Laodicea Combusta riceve la grazia dello Spirito Santo prima di scrivere la sua Lettera Pastorale

Attraverso questa Lettera Pastorale desidero illustrarvi due passi della Lettera Apostolica della Santità di Nostro Signore Gesù Cristo il Sommo Pontefice Francesco, che nel ribadire il turpe e grave peccato di aborto procurato, conferisce a tutti i Sacerdoti una facoltà che sino a poco tempo fa competeva a me, vostro Vescovo; facoltà da me delegata al Penitenziere Maggiore della nostra Diocesi, un Presbitero anziano, modello di profonda pietà sacerdotale, autorizzato ad assolvere da questo peccato riservato al Vescovo. Scrive il Romano Pontefice nella sua Lettera Apostolica:

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[12] In forza di questa esigenza, perché nessun ostacolo si interponga tra la richiesta di riconciliazione e il perdono di Dio, concedo d’ora innanzi a tutti i sacerdoti, in forza del loro ministero, la facoltà di assolvere quanti hanno procurato peccato di aborto. Quanto avevo concesso limitatamente al periodo giubilare viene ora esteso nel tempo, nonostante qualsiasi cosa in contrario. Vorrei ribadire con tutte le mie forze che l’aborto è un grave peccato, perché pone fine a una vita innocente. Con altrettanta forza, tuttavia, posso e devo affermare che non esiste alcun peccato che la misericordia di Dio non possa raggiungere e distruggere quando trova un cuore pentito che chiede di riconciliarsi con il Padre. Ogni sacerdote, pertanto, si faccia guida, sostegno e conforto nell’accompagnare i penitenti in questo cammino di speciale riconciliazione [cf. QUI].

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Come ben capite, togliere la riserva al peccato di aborto è stato un gesto di grande misericordia e tenerezza, manifestata attraverso la facoltà di assoluzione data a tutti quei Sacerdoti che mostrano oggi più che mai di esser parecchio ferrati e preparati nel sacro ministero di confessori, soprattutto spiritualmente, basti solo vederli quando in jeans e camicia a mezze maniche passeggiano direttamente dentro le basiliche romane con i penitenti appresso, confessando in maniera colloquiale tra un sorriso e l’altro, o rispondendo durante la confessione anche al telefono cellulare …

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Ebbene, Venerabili Sacerdoti della Chiesa di Laodicea Combusta, «in forza del vostro ministero» io ho deciso di concedervi la facoltà di assolvere non solo dal peccato di aborto procurato, ma anche dal delitto previsto dal canone 1370 – §1, il quale recita:

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Chi usa violenza fisica contro il Romano Pontefice, incorre nella scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica, alla quale, se si tratta di un chierico, si può aggiungere a seconda della gravità del delitto, un’altra pena, non esclusa la dimissione dallo stato clericale.

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Vi concedo facoltà di assolvere da questo peccato riservato alla Sede Apostolica, sulla base del senso di quelle proporzioni edificate sul senso comune. Infatti, riservarsi l’assoluzione di un peccato, lungi dall’essere mancanza di misericordia e di tenerezza, implica anzitutto indicare e chiarire, con la riserva stessa, la estrema gravità di quel particolare peccato; e questa si chiama sana pedagogia pastorale, da non confondere mai col legalismo, meno che mai con la mancanza di misericordia. Se infatti il peccato è una malattia e il sacerdote è il medico preposto alla cura, sempre a rigore logico domando: chi, scoprendo di essere affetto da un tumore, anziché affidarsi alle cure di uno specialista in oncologia, si rivolgerebbe al medico generico del paese? Riservarsi un peccato e rimettere l’assoluzione di tale peccato al Vescovo, od in alcuni altri casi alla Sede Apostolica, vuol semplicemente dire che il medico generico, appurando la presenza di un tumore, indirizza subito il paziente presso un bravo specialista in oncologia.

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Rivolgersi alle competenze cliniche dello specialista oncologo, implica anche ricordare e riconoscere la particolare gravità della malattia, del peccato commesso, a tal punto grave da richiedere adeguate cure specialistiche, che sarebbe la assoluzione dello stesso da parte di un particolare confessore. Questo è sempre stato il senso, tutto quanto pedagogico pastorale, non certo meramente o freddamente giuridico e legalista, del criterio della riserva di quei peccati riservati al Vescovo, come di altri riservati invece alla Sede Apostolica.

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La concessione data ai miei Presbiteri di assolvere dal delitto riservato alla Sede Apostolica previsto dal canone 1370 – §1, si basa sul genus di quella aequitas che precede lo stesso jus graeco-romanum e che risale all’antico jus gentium ; e la aequitas regge in sé e di per sé anche il senso delle proporzioni. Mi spiego meglio: attentare alla sacra persona del Romano Pontefice, può essere possibile, ma si tratta di un intento non facile da realizzare, godendo infatti Sua Santità di una rete di protezione sia interna allo Stato del Vaticano, sia soprattutto esterna, ad esempio quando si sposta in altri territori nazionali. L’attentato a San Giovanni Paolo II in Piazza San Pietro, ed ancora prima quello al Beato Paolo VI a Manila, ci dimostrano che realizzare questo delitto può essere possibile, ma proprio in virtù di questi due recenti episodi la sacra persona del Romano Pontefice oggi è particolarmente vigilata e protetta.

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Il feto abortito, come invece ben sappiamo, non gode affatto di certi meccanismi di protezione e di tutela, ed abortirlo tutto sommato è cosa estremamente facile. A questo va aggiunto che il feto non è protetto dalla Gendarmeria Vaticana, dai servizi di sicurezza, dalle varie forze di polizia durante i suoi spostamenti, ma soprattutto e anzitutto non è protetto dalla sua stessa madre che decide di sopprimere una vita umana innocente, spesso da ella giudicata come un bene disponibile e quindi sopprimibile. Il tutto grazie proprio a quell’aborto che la Signora Emma Bonino — già più volte ospite illustre del Sommo Pontefice Francesco che ebbe di recente anche a definirla «una grande italiana» [cf. QUI, QUI] — seguita a chiamare con orgoglio «grande conquista sociale».

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Se pertanto voi tutti, Presbiteri, da oggi potete assolvere senza riserva l’abominevole peccato della soppressione di una vita umana innocente priva di qualsiasi difesa, per aequitas e comune senso delle proporzioni, io vostro Vescovo vi concedo facoltà di assolvere dal delitto previsto dal canone 1370 – §1 riservato tutt’oggi alla Sede Apostolica, qualora chicchessia attentasse alla sacra persona di uno degli uomini più difesi, protetti e controllati del mondo.

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A questa concessione, segue per altrettanto spirito di aequitas, basato anch’esso sul senso delle proporzioni, la inevitabile riforma del sacro rito della consacrazione dei Presbiteri e di conseguenza quello della Santa Messa Crismale. Durante il rito della sacra ordinazione il Presbitero promette infatti obbedienza al Vescovo ed a tutti i suoi successori, in spirito di libera e filiale devozione, mentre durante la Santa Messa del Crisma i Presbiteri rinnovano le loro sacre promesse sacerdotali dinanzi al Vescovo.

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Nella sua Lettera Apostolica, il Romano Pontefice, rivolgendosi con paterna misericordia e tenerezza ai membri della Fraternità di San Pio X, afferma con premuroso cuore di pastore :

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[12 – §1] Nell’Anno del Giubileo avevo concesso ai fedeli che per diversi motivi frequentano le chiese officiate dai sacerdoti della Fraternità San Pio X di ricevere validamente e lecitamente l’assoluzione sacramentale dei loro peccati. Per il bene pastorale di questi fedeli, e confidando nella buona volontà dei loro sacerdoti perché si possa recuperare, con l’aiuto di Dio, la piena comunione nella Chiesa Cattolica, stabilisco per mia propria decisione di estendere questa facoltà oltre il periodo giubilare, fino a nuove disposizioni in proposito, perché a nessuno venga mai a mancare il segno sacramentale della riconciliazione attraverso il perdono della Chiesa [cf. QUI]

 

Vi comunico pertanto, Venerabili Presbiteri della Chiesa di Laodicea Combusta, che l’obbedienza al Sommo Pontefice ed ai Vescovi in Comunione con lui e con la Chiesa, da oggi è da ritenersi abrogata «affinché a nessuno venga mai a mancare il segno sacramentale della riconciliazione attraverso il perdono della Chiesa». Infatti, se a questa Fraternità Sacerdotale che nega l’autorità dell’ultimo Concilio Ecumenico ritenendolo infarcito di eresie moderniste, che giudica i suoi documenti in palese contraddizione con la Traditio catholica ed il magistero perenne della Chiesa, ciò malgrado sono date dal Romano Pontefice di simili concessioni, per aequitas ― ma qui è il caso di dire anche per umana e cristiana coerenza ―, a qualsiasi Presbitero deve essere parimenti concessa e riconosciuta la piena facoltà di disobbedire al proprio Vescovo, ed altresì essergli soprattutto riconosciuta la facoltà di rigettare il Magistero del Sommo Pontefice. Per questo vi dico che da oggi, ciascuno, può ritenersi libero di non riconoscere, dell’Autorità e del Magistero della Chiesa, ciò che a proprio parere ed a suo libero piacimento riterrà opportuno non riconoscere, ed il tutto «per il bene pastorale di questi fedeli, e confidando nella buona volontà dei loro sacerdoti perché si possa recuperare, con l’aiuto di Dio, la piena comunione nella Chiesa Cattolica».

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Con questa sua disposizione, la Santità di Nostro Signore Gesù Cristo, il Sommo Pontefice Francesco, ci ha detto tra le righe, sulle righe e oltre le righe che agli scismatici eretici è data facoltà di amministrare lecitamente i Sacramenti, affinché «si possa recuperare, con l’aiuto di Dio, la piena comunione nella Chiesa Cattolica». Sappiate pertanto, Venerabili Presbìteri, che tutti noi, fino a poco tempo fa, sbagliando in modo grossolano abbiamo creduto che amministrare lecitamente i Sacramenti dipendesse proprio dalla sussistente e piena comunione con la Chiesa Cattolica, non dalla speranza che un giorno, forse, questa comunione potesse essere recuperata. Pertanto, da oggi, la celebrazione e la amministrazione dei Sacramenti è da ritenersi non più vincolata alla comunione con la Chiesa, ma solo basata sulla speranza che un giorno, dopo avere celebrato e amministrato i Sacramenti a proprio piacimento, si finisca col riconoscere, forse, l’autorità della Chiesa in materia di dottrina e di fede, ed in particolare l’autorità di un intero Concilio Ecumenico ostinatamente rifiutata da coloro ai quali, il Romano Pontefice, ha ritenuto giusto concedere di sua autorità la lecita amministrazione dei Sacramenti.

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Mi rallegro, comunque, Venerabili Presbiteri, Figli e Figlie dilettissime della Chiesa di Laodicea Combusta, che tutti voi siate ormai da molti secoli anime defunte di spiriti beati, mentre io, seduto su un sasso dinanzi alle poche rovine che restano della mia Chiesa cattedrale, vi ho indirizzato questa Lettera Pastorale, dopo avere visto una pianta di pistacchio bruciare ma non consumare; dopo avere parlato con lo Spirito Santo di Dio dal quale ho appreso, tra l’altro, il suo desiderio di vedere la Città del Vaticano, che sino ad oggi non ha avuto ancora modo di visitare, ma soprattutto di poter ammirare gli affreschi della Cappella Sistina, nella quale egli dice di non essere mai entrato.

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Benedico le vostre anime, Presbiteri amatissimi, Figli e Figlie dilettissime della Chiesa di Laodicea Combusta, assicurandovi il perenne ricordo nelle mie Sante Messe di suffragio per voi.

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+Ariel Stefano

Vescovo di Laodicea Combusta

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uno scorcio di Laodicea Combusta, provincia di Pisidia, nell’Anatolia centrale, territorio nazionale della attuale Turchia.

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POSTILLA

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Diversi lettori dell’Isola di Patmos ci hanno chiesto lumi sulla lettera di fuoco scritta da S.E. Mons. Fragkiskos Papamanolis, Ofm. capp, Vescovo emerito di Syros, Santorini e Creta, Presidente della Conferenza episcopale di Grecia [cf. QUI], ed indirizzata contro i quattro Cardinali che hanno espresso dei dubia, secondo quanto concesso dagli ordinamenti ecclesiali e dalla tradizione apostolica stessa della Chiesa [cf. Gal 2, 1-11]; si tratta delle Loro Eminenze Rev.me Walter Brandmüller, Raymond Leo Burke, Carlo Caffarra, Joachim Meisner [cf. QUI]. Già da come il Presule greco si esprime, si capisce che egli ha la rigida arroganza di un vescovo ortodosso della Georgia, ed al tempo stesso l’ignoranza di un pope che ha studiato un po’ di teologia a bastonate nelle campagne feudali della Russia zarista. Per tutta risposta vi invitiamo quindi a commiserarlo, ma al tempo stesso a riflettere su quanto oggi possiamo versare in una grave e irreversibile crisi, se a soggetti di questo genere, non contenti di averli fatti vescovi, si affida persino la presidenza di un’intera Conferenza Episcopale. Se infatti il suo argomentare fanta-dottrinale e fanta-ecclesiale non fosse tragico, sarebbe davvero degno di un comico.

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Nuova Pentecoste o Pentecoste ininterrotta? L’evento della Pentecoste è la negazione della ermeneutica della “rottura” e della “discontinuità” della Scuola di Bologna

–  theologica  –

NUOVA PENTECOSTE O PENTECOSTE ININTERROTTA? L’EVENTO DELLA PENTECOSTE È LA NEGAZIONE DELLA ERMENEUTICA DELLA “ROTTURA” E DELLA “DISCONTINUITÀ” DELLA SCUOLA DI  BOLOGNA

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L’evento della Pentecoste cominciato nel cenacolo dello Spirito Santo non ha mai avuto fine e da allora fermenta in un processo di ininterrotta continuità, con buona pace di Giuseppe Dossetti e di Giuseppe Alberigo e della cosiddetta ermeneutica della discontinuità prodotta a loro dire dal Vaticano II. Teoria sulla quale suonano — mi si passi il termine affatto insolente ma solo giocoso — flautini e controfagotti come i laici cattolici Alberto Melloni ed Enzo Bianchi, circondati da un riverente coro secolare d’atei devoti assisi dentro e fuori dal Cortile dei Gentili del Cardinale Gianfranco Ravasi ; e che da sempre pontificano senza possibilità d’ortodosso contraddittorio dottrinale alcuno.

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Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Questa la domanda: «Il periodo del post-concilio è stato celebrato come l’era della “nuova pentecoste” annunciata da Giovanni XXIII. In realtà ha visto manifestarsi una crisi come forse mai prima la Chiesa dovette affrontare. Come spiegare una così radicale devastazione e un così lungo periodo di cecità e di silenzio da parte di chi avrebbe il dovere di custodire la fede e di guidare il gregge?».       

Ho quindi risposto con delle considerazioni teologico-pastorali incentrate sulla “ermeneutica della continuità” e sulla “ermeneutica della discontinuità”, il tutto alla luce del Mistero della Pentecoste dello Spirito Santo nel Cenacolo degli Apostoli, che non contempla né rottura, né discontinuità  [ segue …]

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21.11.2016   Ariel S. Levi di Gualdo  —  NUOVA PENTECOSTE O PENTECOSTE ININTERROTTA ?

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Cari Lettori,

in prossimità della fine dell’anno ci è lieto informarvi che L’Isola di Patmos, dal 1° gennaio 2016 alla data di oggi ha superato i cinque milioni di visite. Dal giorno della sua apertura avvenuta il 20.10.2014 alla data di oggi, il numero complessivo di visite è pari a 7.620.000. Tra i vari Paesi del mondo che ci leggono con assiduità, i primi cinque per più alto numero di visite sono

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PAESI EUROPEI

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Italia

Germania

Polonia

Francia

Spagna

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PAESI EXTRA EUROPEI

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Brasile

Stati Uniti d’America

Filippine

Russia

Messico

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

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Padre Giovanni

La stagione del post-concilio ed i conflitti nella Chiesa: “Se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi gli uni con gli altri”

– Theologica –

LA STAGIONE DEL POST-CONCILIO ED I CONFLITTI NELLA CHIESA: «SE VI MORDETE E DIVORATE A VICENDA, GUARDATE ALMENO DI NON DISTRUGGERVI GLI UNI CON GLI ALTRI»

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[…] occorre riscoprire la verità sul peccato originale per comprendere il senso del peccato e della sofferenza. Occorre tornare ad ammettere l’esistenza di premi e castighi eterni. La salvezza è offerta a tutti, ma non tutti si salvano. «Non tutti hanno buona volontà» (Edith Stein). Dio non è solo misericordioso, ma anche giusto. Non si può perdonare chi non è pentito. È bene confidare in Dio, ma occorre anche recuperare il santo timor di Dio. Devono recuperare il senso di responsabilità senza tirar fuori la scusa della misericordia. Occorre tornare ad ammettere il valore espiativo del sacrificio di Cristo e della Santa Messa […]     

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Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli, OP

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In questi ultimi decenni i modernisti si sono conquistati un vasto potere nella Chiesa, fino ad infiltrarsi nella stessa Santa Sede. Essi si atteggiano a fedelissimi del Romano Pontefice, ma in realtà lo strumentalizzano per i loro fini dissolventi e dissacranti. Col potere che essi hanno raggiunto negli stessi organi direttivi centrali della Chiesa, oggi riescono a limitare lo stesso papato nella sua libertà di azione e ad impedirgli di intervenire per frenarli e difendere la Chiesa dalle loro insidie.

Al Romano Pontefice resta la possibilità di esercitare il suo magistero dottrinale. Ma la loro presenza tra gli stessi collaboratori del Santo Padre impedisce poi che i suoi insegnamenti vengano accolti e diffusi e che egli possa prendere adeguati provvedimenti contro coloro che deviano dalla sana dottrina [ segue …]

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             21-11-2016 Giovanni Cavalcoli, OP  —  LA STAGIONE DEL POST-CONCILIO ED I CONFLITTI NELLA CHIESA

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Cari Lettori,

in prossimità della fine dell’anno ci è lieto informarvi che L’Isola di Patmos, dal 1° gennaio 2016 alla data di oggi ha superato i cinque milioni di visite. Dal giorno della sua apertura avvenuta il 20.10.2014 alla data di oggi, il numero complessivo di visite è pari a 7.620.000. Tra i vari Paesi del mondo che ci leggono con assiduità, i primi cinque per più alto numero di visite sono

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PAESI EUROPEI

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Da Giovanni Cavalcoli a Donald Trump: « i sodomiti hanno perso ». Le lobby gay non denuncino il teologo domenicano per ciò che non ha detto, ma il corpo elettorale statunitense per quello che col voto ha espresso

DA GIOVANNI CAVALCOLI A DONALD TRUMP:    « I SODOMITI HANNO PERSO ». LE LOBBY GAY NON DENUNCINO IL TEOLOGO DOMENICANO PER CIÒ CHE NON HA DETTO, MA IL CORPO ELETTORALE STATUNITENSE PER QUELLO CHE COL VOTO HA ESPRESSO

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«Non illudetevi: né immorali, né idolàtri, né adùlteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio» [I Cor 6, 9-10]

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Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Mentendo spudoratamente ed estrapolando dalla vicenda ciò che ad essi solo interessa, ma, quel che è peggio, sapendo in tal modo di alterare i fatti, quindi di mentire, i suscittibili Sommi Sacerdoti della “chiesa dogmatica” LGBT, hanno querelato sulla base del nulla il teologo domenicano Giovanni Cavalcoli entro questi termini: «L’Associazione nazionale contro le discriminazioni da orientamento sessuale pubblica un comunicato stampa in merito alle famose frasi di Padre Cavalcoli pronunciate a Radio Maria: “La frase pronunciata ai microfoni di Radio Maria, secondo la quale il terremoto sarebbe un castigo divino per le unioni civili, ha suscitato  imbarazzo e dissenso da parte del Vaticano. In molti, tra vescovi e cardinali, si sono precipitati a sconfessare l’idea del Dio vendicativo e a chiedere scusa ai terremotati. Nessuno, tuttavia, ha voluto affrontare il punto nodale della questione, chiedendo scusa anche alle persone LGBT» [vedere testo QUI]. Questi iper-ideologizzati, sul pretesto delle discriminazioni sull’orientamento sessuale, mirano di fatto, ed in modo luciferino, a togliere la libertà di pensiero, di parola e di espressione a chiunque non consideri la sodomia come una cosa meravigliosa. Ciò al quale essi di fatto mirano, è di instaurare, a colpi di legge, una dittatura del gender, dinanzi alla quale, il vecchio regime fascista italiano, risulterebbe a confronto dei novelli dittatori genderisti null’altro che la pia confraternita delle Dame della Carità di San Vincenzo de’ Paoli.

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Giovanni Cavalcoli foto ordine

l’accademico pontificio domenicano Giovanni Cavalcoli

Mentre nei giorni passati quattro rumorosi lobbisti cattolici si accanivano sul teologo domenicano con lo stesso stile in cui i lobbisti americani si accanivano sul candidato alla presidenza degli Stati Uniti d’America, nell’uno e nell’altro caso el Pueblo ha votato mostrando non solo la propria dissociazione dalle lobby, ma mostrando che il pensiero delle lobby è un pensiero fallimentare che rappresenta solo la loro chiusura irragionevole in se stesse, ma non il sentire del Popolo reale.

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I vari ecclesiastici che nel caso di Giovanni Cavalcoli si sono lanciati nella critica indignata e feroce, peraltro in clima di iper-misericordia verso tutto ciò che non è cattolico [cf. mio precedente articolo, QUI], rappresentano solo se stessi, non il Popolo di Dio, che invece ha approvato e appoggiato il teologo domenicano, difeso a spada tratta persino da riviste telematiche e blog cattolici con i quali sia lui sia io abbiamo avuto più e più volte duramente da questionare a livello teologico ed ecclesiale; primo avanti a tutti nella difesa di Giovanni Cavalcoli è stato lo storico Roberto de Mattei.

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Per leggere tutto l’articolo cliccare

QUI

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Terremoto come «castigo di Dio per le unioni civili»? Giovanni Cavalcoli risponde: «Sono stato frainteso o forse mi sono espresso male». Ariel S. Levi di Gualdo scrive ai Cardinali Pietro Parolin e Gehrard Muller: «Mostrateci il volto della Misericordia di Dio, non la falsa misericordia dell’uomo, quella non c’interessa»

– Theologica –

TERREMOTO COME “CASTIGO DI DIO?”. GIOVANNI CAVALCOLI RISPONDE: « SONO STATO FRAINTESO O FORSE MI SONO ESPRESSO MALE ». ARIEL S. LEVI di GUALDO SCRIVE AI CARDINALI PIETRO PAROLIN E GERHALD MÜLLER: « MOSTRATECI IL VOLTO DELLA MISERICORDIA DI DIO, NON LA FALSA MISERICORDIA DELL’UOMO, QUELLA NON C’INTERESSA »

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La dichiarazione fatta da S.E. Mons. Angelo Becciu, Sostituto alla Segreteria di Stato di Sua Santità, ci rivela anzitutto quanto lontani siano i tempi in cui, in quella stessa Segreteria di Stato, si muovevano dei giganti della fede e della dottrina cattolica come Rafael Merry del Val, fedele servitore del Santo Pontefice Pio X, che a proposito dei modernisti e delle loro perniciose eresie, accusò in che modo queste aspidi fossero abili «nel parlare, nello scrivere e nel predicare una carità senza fede, tenera assai per i miscredenti, che apre a tutti purtroppo la via all’eterna rovina». Oggi, i modernisti, dopo il loro golpe all’interno della Chiesa, censurano e perseguitano i pochi sacerdoti e teologi ortodossi che sono sopravvissuti.

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Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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«Sono stato frainteso o forse mi sono espresso male. Non mi riferivo alla legge in senso stretto sulle “unioni civili”, ma ad alcuni vizi e condotte peccaminose e sregolate come la sodomia. Dio manda il castigo a colui che pecca rendendosi conto di quello che fa, sapendo che va deliberatamente contro la legge di Dio»

Giovanni Cavalcoli, OP

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trascrizione integrale dell’audio QUI

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Eminentissimo Signor Cardinale
PIETRO PAROLIN
Segretario di Stato di Sua Santità

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Eminentissimo Signor Cardinale
GERHARD LUDWIG MÜLLER
Prefetto della Congregazione per la
dottrina della fede

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Rev.mo Padre
Fr. BRUNO CADORÈ, OP
Maestro Generale dell’Ordine dei Frati Predicatori

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Cari Lettori,

Giovanni Cavalcoli in coro 2

Giovanni Cavalcoli nel coro del suo convento

L’Isola di Patmos non poteva certo lasciare solo nella tempesta il suo padre fondatore Giovanni Cavalcoli OP.

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Padre Giovanni è stato accusato di sostenere che «il terremoto è stato un castigo per le unioni civili». Ciò è falso, perchè il teologo domenicano non ha parlato affatto di “unioni civili”, ma soltanto di «sodomia», accennando al famoso castigo di Sodoma. Si tratta di cose del tutto diverse. Sodomia è una categoria morale della Scrittura. “Unione civile” è una legge civile, fatta per non-cattolici, che possono essere anche in buona fede. Ora Dio punisce solo chi pecca sapendo di peccare.

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Potete leggere e diffondere la lettera-relazione che ho indirizzato pubblicamente al Segretario di Stato di Sua Santità, al Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, al Maestro Generale dell’Ordine dei Frati Predicatori, dalla nostra Isola di Patmos, luogo dell’ultima rivelazione, dove il Beato Apostolo Giovanni scrisse il Libro dell’Apocalisse.

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Ringrazio i Lettori che hanno inviato centinaia di email di solidarietà e sostegno morale al teologo domenicano, stiamo cercando di rispondere a tutti in questi giorni.

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giovanni-conferenza

l’accademico pontificio Giovanni Cavalcoli durante una conferenza

Dai messaggi che ci sono giunti, abbiamo capito quanto il sentire del Popolo di Dio, i suoi sentimenti e istanze, poco o nulla interessano a degli ecclesiastici sempre più mondanizzati, ai quali interessa invece il sentire dei nostri peggiori nemici di sempre, quelli che oggi si fingono amici della Chiesa. E appena questi lupi vestiti da agnelli proferiscono solo mezzo sospiro, scatta una gara ecclesiastica indecorosa nel correre ai loro piedi con la cenere in testa.

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Ricordati, Popolo di Dio, tu, per la “chiesa” della misericordia senza giustizia e per la “chiesa” della carità senza verità, non conti niente. Sappi però, Popolo amatissimo al quale noi abbiamo consacrato nel Sacro Ordine Sacerdotale la vita nella Chiesa di Cristo, che rimarrai sempre, sino alla parusia, quel divino insieme di membra vive del corpo santissimo di cui Cristo è capo [cf. Col 1,18].

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E per tutta la vita noi ti serviremo per Cristo, con Cristo e in Cristo, a qualsiasi prezzo, per la salvezza dei Christi fideles e per la salvezza delle nostre anime di credenti.

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Per aprire e leggere il testo in difesa di Giovanni Cavalcoli OP, redatto da Ariel S. Levi di Gualdo per le competenti Autorità Ecclesiastiche e Religiose, cliccare

QUI

 

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Dal Grillo Teologante del Sant’Anselmo al Domenicano che esalta Schillebeeckx

lettere dei lettori 2

Rispondono i Padri dell’Isola di Patmos

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DAL GRILLO TEOLOGANTE DEL SANT’ANSELMO AL DOMENICANO CHE ESALTA SCHILLEBEECKX

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Parlando solo sul piano prettamente teologico, giammai su quello umano, va’ rilevato che questo accademico, dottrinalmente parlando, è una sorta di antitesi del mitico Re Mida che mutava in oro tutto ciò che toccava. Al suo contrario, Andrea Grillo, come una specie di Re Mirda, tutto ciò che teologicamente e dottrinalmente tocca diventa merda, perché palesemente e radicalmente viziato nel suo pensiero dalla madre di tutte le eresie: il Modernismo.

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Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Caro Padre Ariel.

Il mio vescovo mi mandò anni fa al Sant’Anselmo di Roma per far la specializzazione. Non terminai neppure il primo semestre, perché dopo aver partecipato a una serie di lezioni tenute dal prof. Elmar Salmann e dal prof. Andrea Grillo, dissi al vescovo che non intendevo proseguire, dato che in quell’ateneo non s’insegnava teologia e sacramentaria cattolica. Il vescovo non la prese bene, mi destituì dall’incarico di cerimoniere, ma accettò la mia decisione. Leggendo quest’ultimo articolo del prof. Grillo [Ndr vedere QUI], mi glorio di quella mia decisione passata. Tu che cosa ne pensi?

Lettera Firmata

 

 

 

andrea-grillo

il Pontificio Ateneo Sant’Anselmo, un nome, ed una garanzia, oggi, di eresia …

Andrea Grillo è un uomo intellettualmente sgradevole, come lo sono di prassi le persone d’indole altezzosa. Lo abbiamo visto anche di recente, attraverso il modo in cui ha dibattuto col vaticanista della Rai Aldo Maria Valli, noto a tutti ― anche ai suoi colleghi non in linea con lui ― come uomo amabile dallo stile espressivo delicato e signorile [link del dibattito, QUI].

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Trovo sgradevole Andrea Grillo non come persona, perché come persona non è affatto sgradevole, tutt’altro! Lo trovo sgradevole sul piano squisitamente teologico, come trovo sgradevoli tutti quei teologastri dell’ultimo cinquantennio che non parlano di Dio e dei Misteri della Fede, ma delle fenomenologie politico-clericali. Si prenda come esempio tra i tanti l’articolo segnalato dal Sacerdote nostro lettore [cf. QUI], lo si analizzi e poi si dica: dove, quante volte, in qual modo Andrea Grillo, parlando della sua fenomenologia clerical-politica di un Sacramento come l’Ordine Sacro, ha menzionato solo di sfuggita Dio, o il Verbo di Dio, il Figlio consustanziale al Padre che il Sacramento dell’Ordine lo ha istituito per la perpetuazione del Memoriale vivo e santo? Una sola volta lo menziona — ed a sproposito — affinché: «la “presenza di Cristo” esca dalle contrapposizioni storiche tra “transustanziazione” e “consustanziazione”». E ciò equivale a leggere il concetto di “presenza di Cristo” non in una dimensione metafisica, ma come problema politico da risolvere, affinché trionfi il supremo dogma di quel dialogo inaugurato dal falso ecumenismo distruggente, quello che sta protestantizzando la Chiesa da dentro, grazie ai Pony di Troia come Andrea Grillo. Pertanto, in modo intellettualmente molto più onesto, questo accademico dovrebbe fare il sociologo o l’esperto in fenomenologia ecclesiale, anzi meglio ancora: ecclesiastica, non però il teologo sacramentario liturgico, posto che quanti i Sacramenti li vivono e quanti come noi li celebrano per mistero di grazia, hanno con essi tutt’altro rapporto, che è un rapporto di fede, un rapporto mistico, non un rapporto clerical-politico-fenomenologico.

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Sempre parlando solo sul piano teologico, giammai su quello umano, va’ rilevato che questo accademico, dottrinalmente parlando, è una sorta di antitesi del mitico Re Mida che mutava in oro tutto ciò che toccava. Al suo contrario, Andrea Grillo, come una specie di Re Mirda, ciò che teologicamente e dottrinalmente tocca diventa merda, perché palesemente e radicalmente viziato nel suo pensiero dalla madre di tutte le eresie: il Modernismo. E sempre a scanso di equivoci torno a ripetere: “tutto ciò che teologicamente e dottrinalmente tocca”, perché solo a questo è riferita l’espressione del mirdiano mutamente dell’oro delle Verità di fede, nella merda delle eresie. Infatti, per quanto poi riguarda tutto l’altro resto, quest’uomo è sicuramente il più degno ed esemplare cittadino della Repubblica Italiana, la persona più splendida, il marito più fedele al sacro vincolo del matrimonio, il modello di padre di famiglia più lodevole di questo mondo e via dicendo a seguire. Infatti — ribadisco — io non contesto la persona, né le sue indubbie qualità umane e morali, ciò che contesto è solo la sua eterodossia teologica, alla quale ho applicata la parola più appropriata: «Merda». Perché l’eresia rimane ed è tale per ogni buon cattolico: la peggiore merda di Satana, principe della corruzione e della falsificazione, colui che muta il vero in falso ed il falso in vero.

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Andrea Grillo è degno allievo del monaco benedettino tedesco Elmar Salmann [cf. QUI], al quale va’ il merito di avere protestantizzato nel corso di un trentennio di suo dominio il Pontificio Ateneo Sant’Anselmo. Basti solo ricordare ― e con me lo ricordano molti altri ―, che quando Elmar Salmann teneva tra il 2010 e il 2011 i corsi in preparazione al dottorato presso questo ateneo, soleva dilettarsi a definire il Beato Pio IX come «un caso psichiatrico», citando a suffragio di queste sue idee il Gesuita Giacomo Martina, che risulta esser stato un insigne storico, non però uno psichiatria specializzato in disturbi psicosomatici della personalità pontificia. E menzionando i quattro volumi editi dallo storico Gesuita avverso alla beatificazione di questo Sommo Pontefice [cf. QUI e QUI] ― che non risultano essere “verità di fede” ma opinioni di uno studioso ―, il buon Benedettino affermava in che modo quel caso clinico-psichiatrico di Pio IX « si è posto la sua medaglietta sul petto inventandosi un nuovo dogmino », con chiara allusione al dogma della infallibilità pontificia.

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Sberleffi teutonico-romanofobi del tutto comprensibili, considerata la testa e la bocca in questione, oltre al fatto che gli adoranti allievi modernisti della corte dei miracoli salmanniana, consigliavano ― ovviamente a livello critico, s’intende! ― la lettura di due opere dell’eretico Hans Küng, tra le quali: Infallibile? Una domanda. Dopo di ché, il sacro fuoco luteran-teutonico di Elmar Salmann procedeva avanti e si abbatteva sul Santo Pontefice Pio X, il quale ― cito testualmente ― «con la sua Pascendi Dominici Gregis, tentò di frenare il progresso e la speculazione scientifica, mentre gli esegeti protestanti facevano meraviglie sul piano delle ricerche filosofiche, teologiche e bibliche». E detto questo merita ricordare che tra il ristretto pubblico beneficiario di siffatte perle di saggezza salmanniana, era presente come uditore anche il celebre giornalista Giuliano Ferrara, che proprio non mi risulta esser privo di eccellente memoria.

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Questo è l’uomo, o meglio il minuscolo eretico che ha messo in cattedra al Sant’Anselmo la propria corte dei miracoli modernista, Andrea Grillo incluso, con questa logica conseguenza: all’interno di quelle mura, oggi non può neppure avvicinarsi ciò che teologicamente e dottrinalmente è cattolico. Basti dire che gli interscambi tra il Sant’Anselmo e la Facoltà teologica valdese spaziano tra l’idolatria pseudo-ecumenica e la vera e propria prostrazione ai protestanti, a tal punto che il Pastore evangelico Paolo Ricca è da anni professore ospite in quel pontificio ateneo.

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Questo per dire che se un cattolico, per sua somma sventura, si avvicinasse a siffatto ambiente avvelenato e avvelenante, radicalmente corrotto poiché infarcito di modernismi e protestantismi, verrebbe arso al rogo dai membri della ereticale corte dei miracoli insediata al suo interno da Elmar Salmann, inclusi non pochi monaci sculettanti che lanciavano occhiate languide a vari studenti, perché l’eresia ― per parafrasare il mio Confratello polacco Darius Oko [cf. QUI e QUI] ―, diventa spesso omoeresia, con tutto il nubifrocio universale che ne consegue nella Chiesa, com’ebbi a spiegare io senza troppe perifrasi in un mio libro del 2011.

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Molto vi sarebbe da scrivere sull’eretico modernista Andrea Grillo, che dell’ingegno dei grandi modernisti del calibro di Ernesto Buonaiuti, dotati di notevole intelletto, di scienza e di sapienza usata però purtroppo al contrario, non ha proprio niente, perché ormai siamo divenuti mediocri persino nell’eresia. E che il Grillo teologante sia un modernista, è fuori discussione, non perché lo dica io, ma perché lo provano i suoi scritti, le sue idee non cattoliche sulla Eucaristia, sul Sacramento dell’Ordine, sul Sacramento del Matrimonio, o più generalmente sulla dogmatica sacramentaria. Per non parlare dell’ecumenismo, della esaltazione della inter-comunione coi protestanti, dell’ipotesi sugli ordini sacri alle donne, del secondo matrimonio cattolico, per seguire con tutto il devastante corollario che ha portato al collasso le varie aggregazioni luterane e anglicane. Perché con le loro ideologie liberali sostituite ai vecchi dogmi della fede, il loro femminismo esasperato, le loro “donne prete”, le loro pittoresche “vescovesse” lesbiche sposate che adottano bambini con la loro coniuge [cf. QUI], nei concreti fatti, i tanto ammirati teologisti luterani, hanno solo ottenuto il risultato di svuotare le loro chiese, da tempo molto più vuote di quelle cattoliche, dove capita invece che entrino per professare la fede nella Chiesa «una santa cattolica e apostolica» numerosi loro fuoriusciti, in particolare gli anglicani. Se infatti il Grillo teologante fosse un teologo cattolico anziché un teologista-ideologico, dovrebbe anzitutto ricordare a se stesso che nel Simbolo di fede niceno-costantinopolitano, noi non professiamo la fede nella “molteplicità delle Chiese”, seguitiamo a professare: «Credo la Chiesa una, santa cattolica e apostolica» [Εἰς μίαν, Ἁγίαν, Καθολικὴν καὶ Ἀποστολικὴν Ἐκκλησίαν]. Perché Il Verbo di Dio Incarnato, tramite il Beato Apostolo Giovanni, ci esorta a essere perfetti nell’unità [cf. Gv 17, 23], non nella molteplicità e nella frammentarietà delle “chiese”. Pertanto, l’unico ecumenismo che noi possiamo cattolicamente concepire, è quello che mira a riportare i fratelli separati nell’unità della Chiesa «una, santa cattolica e apostolica», non certo a conferire al loro scisma ereticale il rango di “riforma” ed al loro eresiarca Lutero il rango di “riformatore”.

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Ciò malgrado, il Grillo teologante non perde occasione per insistere in modo oggi aperto, non più subliminale, di quanto sarebbe a suo parere opportuno discutere sulla ammissione delle donne ai sacri ordini, sebbene dolosamente consapevole che questo discorso è stato chiuso per sempre con un pronunciamento di San Giovanni Paolo II, che rifacendosi a quanto già affermato dal conciliarissimo Beato Paolo VI — e non dalla “vecchia Chiesa” dei Santi Pontefici Pio X o Pio V —, ribadì che la Chiesa «non si riconosce l’autorità di ammettere le donne all’ordinazione sacerdotale» [vedere documento, QUI]. Affermazione alla quale il Grillo teologante ribatte con sofismi di bassa lega definendola come: «una dichiarazione di “non autorità”» [vedere articolo integrale, QUI]. A quel punto, il Grillo Teologante, giocando più sul giuridico che sul teologico, afferma: «la non irreformabilità di Ordinatio Sacerdotalis che, in una prospettiva più lunga, la autorità ecclesiale potrebbe riconoscere domani di avere la autorità di estendere la ordinazione sacerdotale anche alla donna. Infatti il testo del 1994 è definitive tenendum, ma non in modo assoluto. Solo finché la Chiesa non riterrà di avere quella autorità che nel 1994 ha ritenuto di escludere. Mancando dei requisiti di “infallibilità”, il documento è solo relativamente irreformabile».

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Purtroppo, questo giocatore per niente abile, giocando pro domo sua con il fallibile e l’infallibile, non tiene conto del Vangelo e soprattutto della vita del Verbo di Dio Incarnato, proprio quella dinanzi alla quale, i Sommi Pontefici, hanno affermato che la Chiesa «non si riconosce l’autorità di ammettere le donne all’ordinazione sacerdotale». Semplice il motivo per il quale la Chiesa non si riconosce questa autorità, perchè chi vive una dimensione della fede cristocentica anziché politicocentrica, sa bene che Cristo, con le donne, non aveva problemi di alcun genere, come invece li avevano i giudei soggetti, ancor più che alla Legge Mosaica, alle cavillosità rabbiniche. Basti pensare al genere di scandalo più volte destato dal Cristo che permetteva alle donne di avvicinarlo e persino di toccarlo; in una società e dinanzi a una Legge che non consentiva neppure ai padri stessi, di toccare le proprie figlie, ma soprattutto viceversa, per non parlare dei criteri meticolosi di separazione tra uomini e donne, dei relativi riti di purità e via dicendo. Cose queste di cui, il Cristo, non si curava affatto. E allora perché mai, istituendo il Sacerdozio e l’Eucaristia, non scelse come Sacerdoti delle donne? E che genere di donne,  stavano vicine a Cristo Dio! A partire dalla Mater Dei, nata senza macchia di peccato originale. Perché scelse invece Giuda che lo tradì, Pietro che lo rinnegò tre volte, ed altri che, dinanzi alla mal parata, come narra il Vangelo della Passione: «Allora tutti i discepoli, abbandonatolo, fuggirono»? [cf. Mt 26,56]? Perché non scelse quella figura straordinaria di Maria Maddalena, che lo seguì fin sotto la croce e che giunse per prima il mattino al sepolcro? Probabilmente, il Verbo di Dio, non scelse le donne perché non era ancora un cristiano adulto, non c’era stata ancora la “riforma” del grande “riformatore” Lutero grazie al quale oggi possiamo assistere al grottesco carnevale delle “vescovesse” lesbiche che si pavoneggiano con mitria e pastorale; non c’era ancora stato il post-concilio dei teologi interpreti fautori del loro personale concilio egomenico, ma soprattutto non era stata sviluppata la ermeneutica della rottura e della discontinuità da parte della Scuola di Bologna di Dossetti & Alberigo. Adesso che però abbiamo avuto questo e molto altro, potremmo andare anche oltre, rispetto a certe “limitatezze” del … povero Cristo, per causa delle quali la Chiesa «non si riconosce l’autorità di ammettere le donne all’ordinazione sacerdotale». In fondo, basterebbe solo porsi al di sopra di Dio, ed agire di conseguenza come meglio riteniamo opportuno. Non è forse questa l’essenza della bestemmia contro lo Spirito Santo?

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Andrea Grillo è un eretico perché nel suo pensiero eterodosso e pseudo ecumenico ricorrono tutti i principali errori indicati nella dichiarazione Dominus Jesus dell’anno 2000, mentre nelle sue errate concezioni della sacra liturgia ricorre tutto ciò che è indicato come errore dalla istruzione Redemptionis Sacramentum, posto che egli stesso si è prestato a gravissimi abusi liturgici in varie chiese parrocchiali della Liguria, dove più volte ha tenuto le omelie al Vangelo al posto del Presbitero durante la celebrazione del Sacrificio Eucaristico, che è appunto “sacrificio”, attraverso il quale il pane e il vino si transustanziano nel Corpo e Sangue di Cristo, realmente presente in anima, corpo e divinità. L’Eucaristia non è una luterana transignificazione, né una protestantica transfinalizzazione, né una festosa cena alla maniera calvinista nella quale l’Eucaristia è intesa come mero simbolo svuotato di ogni sacralità. Perché per il Grillo Teologante qualsiasi termine è buono, specie se protestante, fuorché il termine di sacrificio vivo e santo. Senza infatti andare neppure a sfiorare le alte sfere della dogmatica sacramentaria, basterebbe limitarsi a ricordare ciò che insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica sulla Santissima Eucaristia:

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Nel SS. Sacramento dell’Eucaristia è contenuto veramente, realmente, sostanzialmente il Corpo e il Sangue di nostro Signore Gesù Cristo, con l’anima e la divinità e, quindi, il Cristo tutto intero. Tale presenza si dice “reale” non per esclusione, quasi che le altre non siano “reali”, ma per antonomasia, perché è sostanziale, e in forza di essa Cristo, Dio e uomo, tutto intero si fa presente [cf. CCC, n. 1374]

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Ma in fondo, chi sono io, per giudicare una celebrità come il Grillo teologante, lasciato libero da anni di avvelenare le menti con le proprie eresie in un Pontificio Ateneo, direttamente sotto le finestre della Congregazione per la dottrina della fede presieduta dal Cardinale Gerhard Ludwig Müller e della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei Sacramenti presieduta dal Cardinale Robert Sarah? Se infatti non ci pensano questi due Cardinali, vestiti di rosso non per coreografia, bensì qual simbolo di fedeltà e di obbedienza alla fede sino allo spargimento del loro stesso sangue, preposti come tali a dirigere questi due dicasteri strettamente competenti per le eresie moderniste spacciate dalla cattedra pontificia del Grillo Teologante, dovrei forse pensarci io? Purtroppo non ho la potestas per destituire dalle cattedre certi personaggi palesemente e orgogliosamente non cattolici. Fossi stato in carica al posto di certi Prefetti, lo avrei fatto da tempo, incurante delle ire e degli attacchi della potente cordata dei modernisti che da mezzo secolo a questa parte la fa da padrona all’interno della Chiesa.

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Questo per dire quanto io sia memore d’esser davvero poca cosa, dinanzi a questa realtà andata ormai ben oltre la stessa «Immaginazione al potere», perché neppure la più fervida fantasia avrebbe mai immaginato che un giorno, tutto ciò che fu condannato dal Santo Pontefice Pio X, riguardo il Modernismo qual madre di tutte le eresie, avrebbe spadroneggiato all’interno della Chiesa, al punto che oggi sono gli eretici, a punire ed estromettere i devoti alla dottrina e al sacro deposito della fede cattolica, a partire dalle più blasonate università e atenei pontifici, ed in specie quelli più antichi, nei quali non si insegna ai futuri teologi quanto perniciosi siano stati gli errori della eresia protestante, tutt’altro! Si chiama l’eresiarca Lutero «riformatore», si giunge persino a dire che grazie alla “riforma” protestante si è potuto avere, dopo quasi cinque secoli, il Concilio Vaticano II, che «ha accolto le istanze di Lutero» (!?) cosa vera solo parzialmente e come tale da analizzare e spiegare con molta cura, posto che alcune delle istanze nate da non poche legittime proteste di Lutero ― come già in passato ho scritto ―, non solo furono accolte in seguito dal Vaticano II, ma già prima, il Concilio di Trento, in diversi dei suoi canoni disciplinari, fece proprie diverse di queste sue legittime istanze. Diverso è invece attribuire a Lutero certe riforme del Vaticano II e, casomai ciò non bastasse, accogliere direttamente i protestanti in casa nostra come professori invitati nelle università ecclesiastiche dove si formano i nostri futuri teologi, gran parte dei quali presbiteri e religiosi, che una volta titolati in eresia mediante il suggello delle sante carte accademiche romane, saliranno poi sui pulpiti delle chiese per annunciare fieramente altrettante eresie, con aura da intellettuali sopraffini e scimmiottando in modo peggiorativo i loro cattivi maestri.

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Consapevole pertanto della mia pochezza, lascio che a rispondere alle eterodossie del Grillo teologante sia il Sommo Pontefice San Pio X, che riguardo la corte dei miracoli modernista posta dal capo eretico Elmar Salmann sulle cattedre del Pontificio Anteneo Sant’Anselmo, afferma con parole chiare e inequivocabili quanto sotto segue …

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dall’Isola di Patmos, 3 novembre 2016

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.stemma-pio-xDISCORSO DEL SOMMO PONTEFICE PIO X
RIVOLTO AI NUOVI CARDINALI *

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Città del Vaticano, 17 aprile 1907

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san-pio-x

il Santo Pontefice Pio X, autore della solenne sconfessione dell’eresia modernista [Vedere Pascendi Domici Gregis, QUI]

Accogliamo colla più viva compiacenza i sentimenti di devozione e di amore figliale verso di Noi e di questa Sede Apostolica, che Ci avete significati in nome vostro e dei vostri dilettissimi confratelli per l’onore della Porpora a cui foste chiamati [1]. Ma se accettiamo i vostri ringraziamenti, dobbiamo pur dire, che le preclare virtù, di cui siete adorni, le opere di zelo, che avete compiute, e gli altri segnalati servigi, che in campi diversi avete resi alla Chiesa, vi rendevano pur degni di essere annoverati nell’albo del Nostro Sacro Senato.

E Ci allieta non solo la speranza, ma la certezza, che anche rivestiti della nuova dignità consacrerete sempre, come per il passato, l’ingegno e le forze per assistere il Romano Pontefice nel governo della Chiesa.

Se sempre i Romani Pontefici hanno avuto bisogno anche di aiuti esteriori per compiere la loro missione, questo bisogno si fa sentire più vivamente adesso per le gravissime condizioni del tempo in cui viviamo e pei continui assalti, ai quali è fatta segno la Chiesa per parte dei suoi nemici.

E qui non crediate, Venerabili Fratelli, che Noi vogliamo alludere ai fatti, per quanto dolorosi, di Francia, perché questi sono largamente compensati dalle più care consolazioni: dalla mirabile unione di quel Venerando Episcopato, dal generoso disinteresse del clero, e dalla pietosa fermezza dei cattolici disposti a qualunque sacrificio per la tutela della fede e per la gloria della loro patria; si avvera un’ altra volta che le persecuzioni non fanno che mettere in evidenza e additare all’ ammirazione universale le virtù dei perseguitati e tutto al più sono come i flutti del mare, che nella tempesta frangendosi negli scogli, li purificano, se fosse necessario, dal fango che li avesse insozzati.

E voi lo sapete, Venerabili Fratelli, che per questo non temeva la Chiesa, quando gli editti dei Cesari intimavano ai primi cristiani: o abbandonare il culto a Gesù Cristo o morire; perché il sangue dei martiri era semente di nuovi proseliti alla fede. Ma la guerra tormentosa, che la fa ripetere: Ecce in pace amaritudo mea amarissima, è quella che deriva dalla aberrazione delle menti, per la quale si misconoscono le sue dottrine e si ripete nel mondo il grido di rivolta, per cui furono cacciati i ribelli dal Cielo. E ribelli pur troppo sono quelli, che professano e diffondono sotto forme subdole gli errori mostruosi sulla evoluzione del dogma, sul ritorno al Vangelo puro, vale a dire sfrondato, com’ essi dicono, dalle spiegazioni della teologia, dalle definizioni dei Concilii, dalle massime dell’ascetica, — sulla emancipazione dalla Chiesa, però in modo nuovo senza ribellarsi per non esser tagliati fuori, ma nemmeno assoggettarsi per non mancare alle proprie convinzioni, e finalmente sull’ adattamento ai tempi in tutto, nel parlare, nello scrivere e nel predicare una carità senza fede, tenera assai pei miscredenti, che apre a tutti purtroppo la via all’eterna rovina.

Voi ben vedete, o Venerabili Fratelli, se Noi, che dobbiamo difendere con tutte le forze il deposito che Ci venne affidato, non abbiamo ragione di essere in angustie di fronte a quest’attacco, che non è un’eresia, ma il compendio e il veleno di tutte le eresie, che tende a scalzare i fondamenti della fede ed annientare il cristianesimo.

Sì, annientare il cristianesimo, perché la Sacra Scrittura per questi eretici moderni non è più la fonte sicura di tutte le verità che appartengono alla fede, ma un libro comune; l’ispirazione per loro si restringe alle dottrine dogmatiche, intese però a loro modo, e per poco non si differenzia dall’ ispirazione poetica di Eschilo e di Omero. Legittima interprete della Bibbia è la Chiesa, però soggetta alle regole della così detta scienza critica, che s’impone alla Teologia e la rende schiava. Per la tradizione finalmente tutto è relativo e soggetto a mutazioni, e quindi ridotta al niente l’autorità dei Santi Padri. E tutti questi e mille altri errori li propalano in opuscoli, in riviste, in libri ascetici e perfino in romanzi e li involgono in certi termini ambigui, in certe forme nebulose, onde avere sempre aperto uno scampo alla difesa per non incorrere in un’ aperta condanna e prendere però gli incauti ai loro lacci.

Noi pertanto contiamo assai anche sull’opera vostra, Venerabili Fratelli, perché qualora conosciate coi Vescovi Vostri suffraganei nelle vostre Regioni di questi seminatori di zizzania, vi uniate a Noi nel combattere, Ci informiate del pericolo a cui sono esposte le anime, denunciate i loro libri alle Sacre Congregazioni Romane e frattanto, usando delle facoltà che dai Sacri Canoni vi sono concesse, solennemente li condanniate, persuasi dell’obbligo altissimo che avete assunto di aiutare il Papa nel governo della Chiesa, di combattere l’ errore e di difendere la verità fino all’ effusione del sangue.

Del resto confidiamo nel Signore, o diletti figli, che ci darà nel tempo opportuno gli aiuti necessarii; e la benedizione Apostolica, che avete invocata, discenda copiosa su voi, sul clero e sul popolo delle vostre diocesi, sopra tutti i venerandi Vescovi e gli eletti figli, che decorarono con la loro presenza questa solenne cerimonia, sui vostri e sui loro parenti; e sia fonte per tutti e per ciascuno delle grazie più elette e delle più soavi consolazioni.

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Pius, PP X

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NOTE

[1] Card. Aristide Cavallari, Patriarca di Venezia.

 *  AAS, vol. XL (1907), pp. 259-262.

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QUEL DOMENICANO CHE ESALTA SCHILLEBEECKX

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Uno dei gravi difetti di Edward Schillebeeckx è che egli confonde concetto e linguaggio. I linguaggi variano, mutano e devono mutare; devono essere aggiornati e adattati all’ambiente; ma certe realtà di ragione o di fede, che essi esprimono, sono universali e immutabili, sono, per dirla con Benedetto XVI, valori “non negoziabili”, irrinunciabili. Quindi andiamo cauti prima di definire Schillebeeckx un “grande teologo”.

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Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli, OP

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Caro Padre Giovanni ,

vi seguo da sempre sull’Isola di Patmos e ricordo d’aver letto suoi giudizi critici sul teologo olandese domenicano Schillebeeckx, da lei accusato di modernismo, gnoseologia, ecc.. Giorni fa, mi sono imbattuta in una presentazione fatta sul sito ufficiale dell’Ordine Domenicano [Ndr. QUI], dove questo teologo da lei più volte criticato è presentato nella lista delle “grandi figure domenicane”. Sono un po’ confusa, potrei chiederle una spiegazione?

Francesca Papa

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Edward Schillebeeckx

nella foto: Edward Schillebeeckx – Caratteristica degli ecclesiastici e dei religiosi modernisti, è che rimangono agli annali loro foto ufficiali che li ritraggono di rigore in giacca e cravatta, con in mano un boccale di birra (Kark Rahner) o con una sigaretta (Edward Schillebeeckx), ma nessuno di loro si è fatto immortalare con il proprio abito ecclesiastico o religioso, meno che mai con il breviario o con la corona del rosario in mano …

Sul sito della Provincia domenicana di San Tommaso d’Aquino dell’Ordine dei Frati Predicatori è apparsa la presentazione della figura e dell’opera del domenicano Edward Schillebeeckx per la penna di Padre Gerardo Cioffari, OP [Vedere QUI].

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L’Autore ne fa grandi lodi, molte delle quali sono immeritate, perché io sin dal 1984 [1], insieme con altri critici e in consonanza con le censure, che Edward Schillebeeckx a suo tempo ha ricevuto dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, ho segnalato in molte occasioni e in alcune pubblicazioni [2], i suoi gravi errori, che trovano la loro radice nella sua gnoseologia storicista e relativista e che mettono la sua teologia in contrasto con la dottrina della fede.

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Il fatto che Schillebeeckx sia stato tra gli ispiratori del Catechismo olandese, messo così in rilievo da Gerardo Cioffari, non fa onore a Schillebeeckx, dato che il Catechismo conteneva errori contrari alla fede e così gravi lacune, che il Beato Paolo VI fu costretto a farlo correggere e completare da una commissione cardinalizia appositamente istituita. Il Catechismo Olandese senza le correzioni apportate da Roma, è la bandiera dell’attuale neo-modernismo filo-protestante e si spaccia falsamente per interpretazione del Concilio Vaticano II.

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Il vizio fondamentale della gnoseologia di Schillebeeckx sta in una radicale sfiducia nella ragione, sostituita da una “fede” esperienziale ed atematica, che ricorda molto l’impostazione di Lutero. Egli infatti crede che il concetto non coglie la realtà, quindi non può essere una rappresentazione oggettiva e fedele del reale, ma è l’espressione o interpretazione relativa al soggetto di una precedente “esperienza atematica” della realtà, sicché il concetto si limita ad indicare l’oggetto, senza identificarsi intenzionalmente con esso, ma lo rappresenta solo in forma convenzionale, linguistica o simbolica, così come, per esempio, un cartello stradale indica la direzione da seguire per giungere alla meta, ma non è ancora il luogo che occorre raggiungere.

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Da notare che l’ “esperienza atematica” non è l’esperienza dei sensi, ma è una intuizione intellettuale apriorica del reale concreto mista a senso, che Schillebeeckx desume dalla fenomenologia husserliana. Il sapere, quindi, per Schillebeeckx, non inizia con l’esperienza sensibile, come per Aristotele e San Tommaso, ma con questa esperienza o intuizione apriorica, che ricorda anche l’apriorismo cartesiano e kantiano.

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L’esperienza sensibile, per Schillebeeckx, non avviene prima della concettualizzazione, come nel tomismo, ma nell’orizzonte dell’esperienza atematica, che non esiste in San Tommaso, e che invece per Schillebeeckx è il punto di partenza del conoscere. Egli ammette che il concetto sia legato all’esperienza del senso, ma esso è formato solo dopo l’esperienza atematica, come interpretazione ed espressione “inadeguata” (nel senso che vedremo) di questa esperienza. Il tutto è accompagnato da una spiccata antipatia per l’astrazione intellettuale, di origine occamistica, che rende Schillebeeckx incapace, in nome di un’indiscreta concretezza e storicità, di cogliere e apprezzare il valore oggettivo e realista dell’astrazione dell’essenza universale dal particolare concreto, e quindi l’indipendenza dell’essere sovratemporale ed immutabile dal temporale e mutevole.

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Secondo il vecchio pregiudizio occamista, l’astrarre è inevitabile, ma esso toglie qualcosa o impoverisce il contenuto del conoscere, che sarebbe raggiunto solo dall’esperienza atematica, ed aggiunge un elemento soggettivo, che sarebbe la “interpretazione”, se si tratta di cogliere l’oggetto; o l’espressione concettuale nel linguaggio, se si tratta di comunicarlo agli altri.

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Per Schillebeeckx, noi, per mezzo del concetto non possiamo conoscere oggettivamente la realtà, ma solo “interpretarla” secondo categorie mutevoli e diversificate, compresi i dogmi. L’esperienza atematica coglierebbe il reale, ma è in se stessa, in quanto atematica, incomunicabile nel concetto e nel linguaggio. È presto detto che tutto ciò ovviamente è deleterio per la comprensione dei dogmi della fede, il cui contenuto è notoriamente immutabile ed eterno, essendo interpretazione infallibile della Parola di Dio. Per questo, meraviglia sommamente, per non dire che scandalizza, che lo Schillebeeckx sia stato proprio docente di teologia dogmatica. Del resto, casi simili nella storia del pensiero non sono nuovi. Basti pensare che Kant era docente di metafisica. Si direbbe che per Schillebeeckx l’enciclica Pascendi Dominici Gregis di San Pio X sia venuta per niente.

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Per comprendere la teoria di Schillebeckx sul concetto, non comprensore ma “indicatore”, possiamo fare un esempio. Se io vedo per la strada il cartello “Bologna”, conosco la direzione che devo mantenere per arrivare a Bologna, ma non posso dire ancora di essere a Bologna. Ma questa separazione dalla realtà si aggrava nella visione Schillbeecckxiana, per la quale il concetto indica la realtà, ma non la fa mai raggiungere.

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Così si spiega la dichiarazione di Schillebeeckx citata da Gerardo Cioffari: «L’espressione concettuale non è che l’imperfetta, inadeguata ed astratta esplicitazione dell’atto conoscitivo costituito da una intuizione implicita. Essa dipende sempre da una determinata esperienza terrena, da un dato momento storico e da una particolare cultura».

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Questa “intuizione implicita” è un’esperienza originaria pre-concettuale, globale ed ineffabile della realtà, che successivamente viene “interpretata” o espressa in concetti che tendono ad essa, ma non la raggiungono.

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La realtà, per Schillebeeckx, è una ed oggettiva; dà la verità, ma gli approcci concettuali sono molti e contingenti, così come sono molti i segnali stradali, che indicano Bologna nelle diverse direzioni. Di una sola realtà, quindi, non si dà un solo concetto, ma molti nel tempo e nello spazio. Da qui la mutabilità e relatività dei concetti dogmatici.

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Per esempio, uno è il mistero di Cristo. Ma un conto è la cristologia neotestamentaria, un conto quella calcedonese, un conto quella medioevale, un conto quella moderna. Confrontate tra di loro in assoluto, si contraddicono tra di loro. Esse invece risultano vere, se riferite ciascuna al proprio tempo. Veritas filia temporis. Il concetto ontologico di persona andava bene per i tempi di Calcedonia. Oggi bisogna usare quello esistenzialista. La bandiera si muove a seconda del vento.

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Osserviamo altresì che “espressione inadeguata” non è solo sinonimo di “imperfetta” — l’imperfezione è connaturale al concetto umano, soprattutto in teologia, nel senso che il concetto non comprende totalmente la cosa —, ma vuol dire che manca quell’ adaequatio intellectus et rei, che condiziona e costituisce la verità del conoscere. E manca appunto perché il concetto non raggiunge la realtà, non la fa propria, non la assimila, non la interiorizza, ma le resta fuori, impenetrabile, inconoscibile ed estranea, ci gira solo attorno, come nella gnoseologia kantiana.

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In tal modo il soggetto — “una determinata esperienza terrena, un dato momento storico, una particolare cultura” — entra, mediante l’ “interpretazione”, a costituire l’oggetto, per cui la verità non è più una semplice adaequatio all’oggetto, ma è relativa al soggetto. È il relativismo gnoseologico. Non posso conoscere la cosa com’è, ma come è per me.  L’oggetto non è in sé, ma è relativo a me. Non c’è più pura oggettività, ma il soggetto concorre a costituire o a formare l’oggetto, come in Kant.

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Osserva Gerardo Cioffari: «Non si tratta però di un’affermazione di agnosticismo, in quanto l’inadeguatezza del concetto non significa che non corrisponde ad alcunché di reale, bensì che non coglie adeguatamente il reale, ma lo indica, ne offre la direzione ed il senso. Il che vale specialmente per il discorso su Dio, del quale conosciamo, al dire di S. Tommaso, ciò che non è, e non ciò che è. Di conseguenza la rivelazione resta un mistero insondabile, e le definizioni dogmatiche hanno la funzione di orientarci verso il mistero della salvezza».

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Per evitare l’agnosticismo non basta che il concetto corrisponda a “qualcosa di reale”, se poi il concetto non lo raggiunge e non si sa cosa sia questo qualcosa.  Anche per Kant la cosa in sé esiste, ma il  guaio è che è inconoscibile. Occorre invece che la mente sappia qual è l’essenza della cosa. Se manca questo atto della mente, manca la stessa conoscenza, perchè conoscere vuol dire appunto sapere, di una cosa, che cosa è, vuol dire conoscerne l’essenza. La conoscenza è conoscenza di qualcosa.

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Riguardo poi alla conoscenza di Dio, bisogna ricordare la distinzione fatta dal Gaetano tra il cognoscere quidditatem, conoscere l’essenza in qualunque modo e il cognoscere quidditative, conoscere per modo di essenza o in forza dell’essenza.

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Quando San Tommaso dice che di Dio razionalmente sappiamo solo ciò che non è, piuttosto che ciò che è, si riferisce al conoscere quidditativamente, ossia conoscere Dio per essenza o nella sua essenza propria. E’ impossibile definire l’essenza di Dio o formare un concetto di Dio per genere e differenza, perchè Dio è purissimo Essere, al di sopra di tutti i generi e le specie. Conosciamo Dio quidditativamente solo nella fede e soprattutto nella visione beatifica. Ma ciò non vuol dire che sia del tutto impossibile formare un qualunque concetto di Dio o definirne la essenza — cognoscere quidditatem — in un modo qualunque, per quanto imperfetto ed analogico. Si utilizza, come ci suggerisce la stessa Sacra Scrittura [Es 3,14], la categoria dell’ente, che è al di sopra di tutti i generi,  e quindi meglio di ogni altra si presta per formare un concetto di Dio, come appunto fa San Tommaso con la sua famosa nozione dell’ipsum Esse per Se Subsistens.

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Il concetto, come già sapeva Hegel, non è altro che la cosa “nell’elemento del pensiero”; la cosa in quanto pensata, la cosa in anima, come diceva San Tommaso. Questo non vuol dire che non occorra distinguere il pensiero dall’essere, o la cosa dal concetto della cosa. Confondere questi due termini, con la pretesa di conoscere esaustivamente l’oggetto, come fece Hegel, sarebbe idealismo gnostico, più volte condannato da Papa Francesco [3]

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Gerardo Cioffari cita poi altre parole di Schillebeeckx: «Teologicamente mi sembra insostenibile e anche impossibile voler fissare una volta per sempre i concetti teologici ricorrendo ad una regolazione ecclesiastica del linguaggio. Perché ogni asserzione, anche dogmatica, significa qualcosa soltanto entro un contesto concreto. Se viene portata dentro un altro contesto, il significato di quanto era stato asserito viene inevitabilmente spostato».

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Un altro grave difetto dello Schillebeeckx è che egli confonde concetto e linguaggio. I linguaggi variano, mutano e devono mutare; devono essere aggiornati ed adattati all’ambiente; ma certe realtà di ragione o di fede, che essi esprimono, sono universali e immutabili, sono, per dirla con Benedetto XVI, valori  “non negoziabili”, irrinunciabili.

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È vero che una medesima cosa può essere espressa in modi diversi. Ma non bisogna prendere a pretesto il mutamento dell’espressione o del linguaggio, cose che possono essere utili o necessarie, per cambiare la cosa. Se si cambia il significato o il concetto di una cosa, la cosa non può più essere la stessa. E se un valore è immutabile, è sleale e ingannevole presentarlo come mutevole. Deve permanere il concetto di ciò che permane e mutare il concetto di ciò che muta. Il sapere, certo, deve progredire; ma se l’oggetto conosciuto è immutabile, non si tratta di cambiar concetto, ma di migliorarlo.

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Il linguaggio certamente non è fatto solo di termini verbali o segni linguistici. È troppo evidente che questi variano e mutano. Ma esistono anche modi espressivi di carattere concettuale, come per esempio i concetti metaforici, le immagini, i simboli, i miti, i paragoni, differenti da cultura a cultura, da tempo a tempo in una medesima cultura. È chiaro che anche questi elementi espressivi variano e devono cambiare, restando lo stesso il significato dell’oggetto.

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Stando così le cose, bisogna dire che il Magistero della Chiesa fissa una volta per sempre i concetti teologici, soprattutto dogmatici, non ricorrendo anzitutto “ad una regolazione ecclesiastica del linguaggio”, ma approfondendo il significato della Parola di Dio. Il Magistero non è l’Accademia della Crusca. Esso fissa per sempre tali concetti, soprattutto nelle solenni definizioni dogmatiche, semplicemente perchè le realtà o verità che sono oggetto di queste definizioni sono eterne e divine.

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Si tratta dell’interpretazione infallibile, sotto l’assistenza dello Spirito Santo, di quella Parola di Dio, che “non passa” (Mt 24,35) e che è “stabile come il cielo” [Sal 119,89]. Che poi il Magistero tenga anche alla proprietà del linguaggio, questo è vero; ma sempre e solo al fine di far comprendere al fedele il vero significato del dogma e quindi di quella Parola di Dio che il dogma interpreta.

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È quindi falso che «ogni asserzione, anche dogmatica, significa qualcosa soltanto entro un contesto concreto». Al contrario, essa significa qualcosa, ossia la verità di fede, entro qualunque contesto, anche se dev’essere mediata da un certo contesto, perché la verità di fede è una verità universale ed immutabile. Il significato delle verità di fede, quale che sia il contesto nel quale esso viene espresso, è sempre lo stesso, perché esso è al di sopra del tempo ed appartiene all’orizzonte dell’eterno e del divino, non è legato a nessun particolare contesto storico e vale per tutti. Verbum Domini manet in aeternum.

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Diverso discorso vale per il linguaggio, col quale la Chiesa esprime la verità dogmatica. Il suo linguaggio è e può effettivamente essere legato al variare dei contesti storici e dei sistemi linguistici. La formula dogmatica, però,  può variare nel suo aspetto linguistico e semantico, ma giammai nel concetto di fede che essa esprime.

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Altre dichiarazioni di Schillebeeckx riferite da Gerardo Cioffari: «Il Magistero stabilisce ogni volta nelle mutevoli circostanze temporali quale linguaggio è valido nella Chiesa; in altre parole esso regola l’uso del linguaggio ecclesiastico e stabilisce: Chi non parla così e così della fede, espone, almeno in questa situazione culturale con i suoi presupposti specifici, se non se stesso, certamente gli altri fedeli, al pericolo di alterare il senso inteso del messaggio evangelico riguardo alla realtà salvifica».

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Compito della Chiesa non è anzitutto stabilire delle parole o delle formule verbali, ma dei concetti, chiarire i concetti, i concetti di fede, sia pure espressi in parole adatte e comprensibili. Certamente la Chiesa ha la preoccupazione di esprimere il messaggio evangelico nella maniera più adatta, così da farsi comprendere dagli uomini del suo tempo. Ma ciò che le sta più a cuore è di farci sapere che cosa Cristo ci ha insegnato per la nostra salvezza. E per capire queste cose, occorre una gnoseologia che ammetta che l’intelletto coglie il reale mediante il concetto, altrimenti la conoscenza svanisce e noi perdiamo l’altissima dignità che Dio ci ha dato di essere stati creati a sua immagine e somiglianza. Quindi andiamo cauti prima di definire Schillebeeckx un “grande teologo”.

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Varazze, 3 novembre 2016

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NOTE

[1] Cf Il criterio della verità in Schillebeeckx, in Sacra Doctrina, 2, 1984, pp.188-205.

[2] Accenno a Schillebeeckx anche nel mio recente articolo “Decadenza e ripresa dell’Ordine Domenicano” [vedere testo QUI].

[3] Cf il mio saggio “La dipendenza dell’idea dalla realtà nell’ Evangelii Gaudium di Papa Francesco, in PATH, 2, 2014, pp.287-316.

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Nota

La Redazione aveva titolato questo articolo della rubrica dei Lettori pubblicato il 3 novembre alle ore 21: «Piccoli eretici crescono: dal Grillo teologante del Sant’Anaselmo al Domenicano burlone che esalta Schillebeeckx». Titoli e fotografie sono frutto del lavoro redazionale e non degli Autori, ho provveduto a cambiare il titolo dato comulativamente a  due scritti diversi pubblicati assieme. Infatti, la “accusa” di eresia e di modernismo che io ho reputato opportuno rivolgere alle posizioni del teologo sacramentario liturgico Andrea Grillo, nell’ambito di quelle che sono le ordinarie dispute teologiche, non si possono estendere al domenicano Gerardo Cioffari OP, per quanto riguarda lo scritto che segue e che tratta tutt’altro argomento. Ho provveduto così a titolare: «Dal Grillo teologante del Sant’Anaselmo al Domenicano che esalta Schillebeeckx»

Ariel S. Levi di Gualdo

4 novembre 2014 ore 20.30

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

Il Santo Padre Francesco e l’arbitro super partes. Il Sommo Pontefice come fautore di unità e concordia nella Chiesa

– Theologica –

IL SANTO PADRE FRANCESCO E L’ARBITRO SUPER PARTES. IL SOMMO PONTEFICE COME FAUTORE DI UNITÀ E CONCORDIA NELLA CHIESA

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Non che il Papa negli incontri ecumenici debba atteggiarsi a maestro tra gli scolaretti o debba proclamare l’Unam Sanctam di Bonifacio VIII. Ma anche così come adesso si comporta, sembra eccessivamente riguardoso e quasi intimidito. A volte sembra anche esagerare nelle manifestazioni d’ affetto, come se avesse a che fare con i suoi più cari amici. Dopotutto, sono “fratelli separati”. Credo che il mantenere una certa dignitosa distanza, senza freddezza o sussiego, sarebbe già un tacito richiamo alla sublime e impareggiabile dignità del suo carisma di servus servorum Dei.

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Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli, OP

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il Sommo Pontefice incontra Sua Eccellenza Reverendissima Monsignora Antije Jeckelen, Arcivescova Primate di Svezia [servizio di Radio Vaticana QUI]

[…] non è affatto proibito a un Papa avere le sue idee od opinioni personali, più o meno discutibili. Non gli è certo proibito seguire una data corrente di opinione. È troppo evidente che il Santo Padre Francesco preferisce il progressismo, con le scelte pastorali o di governo, che da ciò possono discendere. Ma occorre che egli, al di sopra delle sue idee personali, si ricordi della sua delicatissima posizione di Sommo Pontefice super partes, padre di tutti i cattolici, altrimenti rischia di sbilanciarsi da una parte e quindi di non recar giustizia all’altra.

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l’Arcivescova Primate di Svezia durante lo svolgimento del suo sacro ministero quale successore degli Apostoli

Nei suoi frequenti interventi a braccio e in discorsi improvvisati o nelle sue battute  ― pensiamo alle interviste in aereo ― non è sempre chiaro se egli esprime sue opinioni o impressioni personali, soggettive, oppure parla proprio come maestro della fede e della morale, cioè come Papa.

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Per questo, sembrerebbe opportuno e utile per la Chiesa che il Papa limitasse i suoi discorsi. Ciò limiterebbe il rischio che l’insegnamento pontificio venga declassato, frainteso e svalorizzato. Dal Papa non si richiede tanto la quantità, quanto piuttosto la qualità ed autorevolezza dei suoi interventi, che possono affrontare quesiti, temi ed argomenti di grande importanza, dove da lui solo si può e si deve avere una risposta o un indirizzo teorico o pratico [segue …]

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per leggere tutto l’articolo cliccare sotto:

02.11.2016  Giovanni Cavalcoli, OP   —   IL SANTO PADRE FRANCESCO E L’ARBITRO SUPER PARTES

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La commemorazione dei defunti e la società attuale: esiste ancora un’idea di necropoli cristiana nel suo aspetto ecclesiale?

Gli Autori ospiti dell’Isola di Patmos

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LA COMMEMORAZIONE DEI DEFUNTI E LA SOCIETÀ ATTUALE: ESISTE ANCORA UN’IDEA DI NECROPOLI CRISTIANA NEL SUO ASPETTO ECCLESIALE?

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Nella società contemporanea la morte è sempre più demonizzata, esorcizzata mediante la costruzione di veri e propri quartieri “dormitorio” che attraverso la realizzazione di “colombari” tutti uguali tra loro, degli enormi palazzoni con ascensori, il cui meccanismo sembra turbare il sonno dei defunti, dove si colgono gli aspetti più devastanti e tristi di una solitudine disumana, reflusso di un meccanismo societario ormai più votato alla serialità che alla sostanza o alla voce del cuore.

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Autore Licia Oddo *

Autore
Licia Oddo *

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Καὶ πάλιν ἐρχόμενον μετὰ δόξης
κρῖναι ζῶντας καὶ νεκρούς,
οὗ τῆς βασιλείας οὐκ ἔσται τέλος [1]

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Risurrezione del Cristo (1966) nella pittura di Quirino De Ieso [tempera, cm.50X35)

Gesù ci dice: «Non vi meravigliate di questo, poiché verrà l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e ne usciranno: quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna» [cf. Gv 5, 28-29]. Ed ancora Gesù disse in un brano precedente: «I morti udranno la voce del Figlio di Dio e quelli che avranno prestato ascolto vivranno» [cf. Gv 5, 25]. Per seguire con l’Apocalisse nella quale è scritto: «Coloro che “prestano ascolto”, o ubbidiscono, alle istruzioni che ricevono dopo essere stati risuscitati avranno i loro nomi scritti nel “rotolo della vita”» [Ap 20, 12-13].

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Cratere di Eufronio, raffigurante ypnos e thanatos, il sonno e la morte [Museo etrusco-romano di Cerveteri]

Il sonno della morte rende l’uomo un’entità impotente, muta di fronte all’inesorabile accadimento scientifico e razionalistico, ma fortunatamente consolatorio per la memoria umana che esprimendosi attraverso sia i carmina, l’epigrafe, sia la rappresentazione artistica soccorre alla perpetuazione dell’identità individuale di ciascuno di noi. Così come ci avvisa l’Evangelista Giovanni, con le parole di Cristo, la persona defunta, deve essere riconosciuta tale, con il proprio bagaglio culturale, la propria esperienza, con una propria missione, mediante “la celebrazione funebre o in suffragio” ovvero il ricordo assicurato dall’epitaffio; per poi essere infine, la morte, sconfitta da Cristo Risorto attraverso il riconoscimento della vita eterna, tramite quella resurrezione del corpo che ci rende partecipi alla risurrezione del Cristo.

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Sergio Alessandro Ughi, 1981: Partita a scacchi con la morte [Collezione Cassa di Risparmio di Ferrara]

Il monito dell’Evangelista Giovanni è chiaro: il vissuto dell’uomo non può essere dimenticato per quella moltitudine di scritti, manufatti, lavori di più vasto e vario genere sia intellettuali che artigianali che siamo abituati ad apprezzare o meno attraverso libri, giornali, città vere e proprie, che rivelano oltre alla mente, la presenza di un’anima e che oggi gli stessi mezzi di comunicazione, invenzioni e strumentazioni tecnologiche ne rendono quasi perfetta la stessa esistenza terrena. Ma siamo così troppo concentrati a vivere questa vita che talvolta dimentichiamo persino di essere mortali. Quindi ci si chiede quanta ancora sia l’attenzione, l’interesse, la cura a che i propri defunti siano riconosciuti come uomini di straordinaria o meno attitudine, inclinazione, anche dopo aver vissuto questa vita mortale.  

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Eppure un tempo lontano l’uomo si premurava di conferir “giusta sepoltura” ai morti, soprattutto nella società greca testimoniata dai poemi omerici in cui l’angosciosa tensione di una mancata sepoltura inficiava il destino dell’anima, che poteva raggiungere la sua dimora definitiva nell’aldilà solo nel momento in cui il corpo avesse ricevuto gli onori e i riti di una degna sepoltura. Pertanto le cure nei confronti della custodia del cadavere erano pari a quelle dell’anima e funzionali al benessere di quest’ultima per garantirne il ricordo persino attraverso i secoli.

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Tomba etrusca Della Pietrera a Vetulonia, nella Maremma grossetana

Sin dalle origini della comparsa dell’uomo sulla terra, stili e modalità di sepoltura hanno contribuito alla continuità del “ricordo” funerario oltrepassando i confini del tempo, e il cimitero (dal greco κοιμητήριον luogo di riposo) quale luogo dell’eterno riposo, ha interessato ed interessa diversi aspetti della vicenda umana, dalla antropologia, alla storia dell’arte alla politica, alla società, finanche alla moda, per trovare conforto e motivazione al senso escatologico presente in ognuno di noi. La sepoltura, infatti, sin dall’antichità si è espressa nei modi più disparati attraverso forme e modi vari: dalla incinerazione alla inumazione, configurandosi strutturalmente mediante sarcofagi, tombe a grotticella artificiale, a tumulo, a cista, ad enchytrismos, simbolicamente legate alle varie credenze religiose pagane e pervenendo in epoca cristiana all’inumazione mediante cospargimento di oli sul corpo che veniva ricoperto dalla sindone (lenzuolo di lino).

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Basilica Sant’Isidoro, Leon (Castiglia), le tombe

L’unico spartiacque che ha da sempre distinto il modus sepolturae anche tra gli stessi cristiani riguarda la realizzazione di tombe, che siano state più o meno decorate a seconda delle possibilità economiche delle famiglie, o meglio talvolta istoriate delle vicende gloriose o distintive che in vita caratterizzarono il defunto, nella cornice dei differenti periodi storici. Non è certo trascurabile ancora, accennare al periodo bizantino tra IV e VI secolo, quando si procedette ad inumare personalità di spicco, alti prelati, o signorotti della città all’interno delle chiese, chiedendone l’intercessione ai martiri ivi sepolti, attraverso le cosiddette sepolture ad sanctos, un elemento talmente distintivo della società di allora che divenne persino una moda. Solo in epoca napoleonica, con il famoso Editto di Saint Cloud del 1804, esteso poi anche all’Italia, si vietarono costruzioni cimiteriali all’interno dei centri abitati, imponendone la collocazione extra moenia con lapidi tutte uguali collocate lungo la stessa cinta muraria.

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scorcio della necropoli di Pantalica (Siracusa)

Vere e proprie necropoli, calco delle città dei vivi si estenderanno fuori i centri abitati, caratterizzati da giardini, quasi immensi parchi lussureggianti di vegetazione e lapidi ivi piantate a mo di “steli” si, ma non floreali, bensì funerarie. Il cimitero viene considerato così un museo all’aperto, testimonianza della storia dell’identità di un popolo, simbolo della rappresentazione religiosa e sociale. Retaggio di quest’ultimo è il cimitero contemporaneo non più inteso come un tempo, semplicemente luogo dell’eterno riposo ma piuttosto oggi più che mai la tomba adempie alla funzionalità di una dimora per il defunto, abbellendone la morte, e procedendo ad una pianificazione del paesaggio necrofilo caratterizzato da cappelle di famiglia che assumono l’aspetto di vere e proprie case, in cui non esiste più solamente lo spazio dedicatorio alla memoria del compianto, ma si procede ad una celebrazione enfatizzata del ruolo economico sociale di colui che è scomparso.

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i colombari dei moderni cimiteri

Nella società contemporanea la morte è sempre più demonizzata, esorcizzata mediante la costruzione di veri e propri quartieri “dormitorio” che attraverso la realizzazione di “colombari” tutti uguali tra loro, degli enormi palazzoni con ascensori, il cui meccanismo sembra turbare il sonno dei defunti, dove si colgono gli aspetti più devastanti e tristi di una solitudine disumana, reflusso di un meccanismo societario ormai più votato alla serialità che alla sostanza o alla voce del cuore.

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«All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne confortate di pianto è forse il sonno della morte men duro?», recitava Ugo Foscolo nel carme i “Sepolcri”, ed ancora Kafka, nei suoi Diari, reclamava: la morte è considerata «lato crudele del male è quello di una fine apparente che produce un dolore reale». Ma oggi cosa resta di questi due preziosi “moti dell’anima”? Se si è persino giunti a congelare le spoglie mortali attraverso un procedimento complesso di crio-fusione per dare vita mediante il meccanismo del ciclo generativo ad un vegetale, o ancora un’insolita agenzia di pompe funebri è in grado di produrre “diamanti della memoria” [Cf. QUI] in cui le ceneri umane vengono trasformate in pietre preziose da incastonare e portare a spasso per la velleità dell’essere umano.

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Cupola affrescata da Correggio nella Cattedrale di Parma, raffigurante la risurrezione dei morti

Qui di arte c’è ben poco, ma ancor meno di spirito, perché non si tratta più di contattare l’artista che realizzi il sepolcro marmoreo o ligneo concentrando tutte le sue energie nel disegno adorno di punzonature o bassi rilievi dal profondo significato iconologico, simbolico e spirituale, quindi riporlo nel mausoleo o nella cappella funeraria più elegante della necropoli. La morte è certamente sempre uguale, ma l’uomo tenta di esorcizzarla in ben altro modo, non conferendogli più il significato della memoria di colui che fu, così come da secoli si è abituati a ricordare, ma di colui che sarà, ossia un pezzo di minerale o un vegetale, privando ormai anche il prossimo del senso escatologico della morte stessa, legata ad una speranza che è una certezza di fede: «Credo nella risurrezione dei morti e nella vita del mondo che verrà», come recitiamo nella nostra Professione di Fede.

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* storica dell’arte

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NOTA.

[1] Et iterum venturus est cum gloria,
iudicare vivos et mortuos,
cuius regni non erit finis.

E di nuovo verrà, nella gloria,
per giudicare i vivi e i morti,
e il suo regno non avrà fine.

[ Simbolo di Fede Niceno-Costantinopolitano (381) ]

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