Il terremoto a Norcia non può distruggere quello che hanno già distrutto i Benedettini tra soldi, sesso, droga e persino il rock and roll del loro Abate Primate

IL TERREMOTO A NORCIA NON PUÒ DISTRUGGERE QUELLO CHE HANNO GIÀ DISTRUTTO I BENEDETTINI TRA SOLDI, SESSO, DROGA E PERSINO IL ROCK AND ROLL DEL LORO ABATE PRIMATE

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Sulle figure e le personalità “di spicco” del mondo Benedettino degli ultimi decenni si potrebbero scrivere fiumi di pagine, tutte provate e documentate, per quanto riguarda sesso, soldi e persino uso di droghe, come nel caso dell’Arciabate di Montecassino, cocainomane all’ultimo stadio. Alla triade: soldi, sesso e droga, mancava solo il Rock and Roll, cosa alla quale pensò l’Abate Primate Nokter Wolf, tanto per non farsi mancare proprio niente.

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.Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Poi disse loro: «Si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno, e vi saranno di luogo in luogo terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandi dal cielo».

[Lc 21, 10-11]

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le rovine della basilica di San Benedetto da Norcia nella cittadina di Norcia

Sulla rivista La Nuova Bussola Quotidiana è apparso un articolo firmato dal Priore Benedettino del Monastero di San Benedetto a Norcia [vedere QUI], finito raso al suolo per le scosse sismiche. Dal momento che viviamo in una società che dal pensiero liquido è passata ormai a quello vaporoso e che per questo vive ogni evento con irrazionale emotività, senza memoria storica e capacità di lettura, credo meriti ricordare che «Dio castiga e usa misericordia», per parafrasare un articolo di Giovanni Cavalcoli OP [vedere QUI].

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La caduta della basilica benedettina, nella Città natale del Beato Padre Benedetto da Norcia, fondatore del monachesimo d’Occidente, è solamente la caduta visibile di un Ordine storico che da svariati decenni è stato distrutto dai membri delle varie famiglie benedettine.

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Nella Chiesa contemporanea vi sono due Ordini storici che sono paradigma della nostra irreversibile decadenza: i Gesuiti e i Benedettini. Non che gli altri Ordini e Congregazioni siano messe meglio, perché la decadenza della vita religiosa in generale, è ormai ad uno stato nel quale da tempo si è superata la soglia del non-ritorno.

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Dom Nokter Wolf, Abate Primate della Confederazione Benedettina in concerto rock

I Gesuiti sono il paradigma delle peggiori derive teologiche. Se infatti andiamo ad analizzare con lucidità la storia dei loro ultimi cinquant’anni di vita, scopriamo che la diffusione dei peggiori teologismi e sociologismi eterodossi sono tutta opera loro, sebbene lasciati liberi, sotto il pontificato di San Giovanni Paolo II, poi sotto quello di Benedetto XVI, di diffondere i peggiori errori dottrinari in America Latina e nei Paesi dell’Oriente.

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Il soprannome da me coniato: Compagnia delle Indie, mira a indicare in modo tragicomico la progressiva trasformazione della vecchia, gloriosa e benemerita Compagnia di Gesù fondata dal Beato Padre Ignazio di Loyola. Quest’Ordine, da decenni in caduta libera — anche a livello numerico, se consideriamo che in un solo anno d’inizio millennio furono registrati circa 500 decessi e 20 nuove ordinazioni sacerdotali in tutto il mondo —, ha il proprio attuale serbatoio di vocazioni in India e Africa, con una non lieve conseguenza: non pochi dei nuovi Padri sono palesemente animisti e sincretisti, con buona pace di quella che fu la lunga e rigida formazione cattolica alla quale i Gesuiti erano sottoposti in passato. Ovvie le conseguenze: se andiamo ad analizzare a fondo il problema scopriamo che dietro alle peggiori aberrazioni nate dalla Teologia della Liberazione, dalla Teologia del Popolo, dalla Teologia Indigenista, dalla Teologia Sincretista, sino alla Teologia della morte di Dio, per seguire con l’infiltrazione dei peggiori teologismi protestanti e dell’ebraismo biblico all’interno della Chiesa Cattolica, sempre e immancabilmente scopriamo che dietro al tutto vi sono come capocomici dei teologisti e dei sociologisti Gesuiti.

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Quando dinanzi all’evidenza dei fatti non si sa come rispondere, ma soprattutto come negare l’ovvio e orrido vero, a quel punto giunge solitamente il monito: «Il tuo spirito pessimista e assolutista rasenta la mancanza di luce e di carità cristiana. Insomma, possibile che tutto sia marcio? Ci saranno anche dei buoni gesuiti!». Or bene, che vi siamo dei buoni Gesuiti, io posso testimoniarlo meglio ancora di altri, essendo stato prima seguito nel percorso vocazionale, poi appresso formato per il Sacerdozio ministeriale anche da due gesuiti appartenenti alla vecchia Compagnia di Gesù, non certo alla modernistica e sincretistica Compagnia delle Indie. Ma stiamo per l’appunto parlando d’uomini di tutt’altra generazione, come prova l’età di uno dei due ancora vivente, che da tempo ha superato i novant’anni d’età. Uomini formati nella più rigida ortodossia, con un’impostazione da compagnia militare, con una cultura enciclopedica acquisita nel corso delle loro esistenze. Insomma: la Compagnia di Gesù che fu e che purtroppo oggi non è più. Quella gloriosa Compagnia che io, attraverso alcuni anziani ridotti oggi a quattro gatti in marcia verso la tomba, ho avuto l’onore e il privilegio di conoscere e di frequentare.

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Dom Nokter Wolf, Abate della Confederazione Benedettina durante un concerto rock

La pia illusione ― perché d’illusione si tratta ―, circa il fatto che «… ci saranno anche dei buoni Gesuiti!», nulla toglie a un dato oggettivo: se in una vigna le viti sono assalite da plasmopara viticola, meglio nota come peronospora [1], è inutile consolarsi dicendo che sparsi per i filari vi sono ― per quanto pochissimi ― anche alcuni grappoli d’uva sani, perché a prescindere da essi, la vigna è malata, in modo diffuso e purtroppo irreversibile.

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Chi, non ha mai visto piante o alberi completamente marciti, che però avevano una o due foglie ancora verdi e sane? Eppure, dinanzi a delle piante affette da malattie trasmissibili anche alle altre coltivazioni, non mi risulta che alcun agronomo abbia mai detto che siccome nella pianta marcia e infetta sopravvivevano una o due foglie sane, poteva non essere tagliata, o meglio lasciata al suo posto affinché potesse infettare anche le altre piante. Cosa questa di cui ― parlando della Compagnia di Gesù ―, rimangono responsabili il Beato Paolo VI ed a seguire San Giovanni Paolo II, che, pur avendo pensato di scioglierla, pare sia stato convinto a non farlo, o forse egli stesso si convinse a non farlo, come ci spiega Giovanni Cavalcoli in un suo articolo dedicato tempo fa alla Compagnia di Gesù [vedere QUI].

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Se i Gesuiti sono paradigma della decadenza dottrinale, i Benedettini lo sono della peggiore decadenza morale, sempre secondo il principio delle piante e degli alberi completamente marciti, nei quali sopravvivono una o due foglie ancora verdi e sane. Basti dire a tal proposito che il caso di Montecassino, Abbazia Madre dell’Occidente, non è affatto un caso isolato, ma solo la punta dell’iceberg. Già in passato ho scritto sulle vicende e il vissuto luciferino dell’Abate di quest’Abbazia, attenendomi rigorosamente ai fatti e agli atti giudiziari, nei quali sono contenuti materiali dinanzi ai quali prenderebbero le distanze persino gli abitanti di Sodoma e Gomorra. A Capo della storica abbazia dell’Occidente, era infatti finita una gaia principessa capricciosa che dilapidava danaro tra vita di lusso, festini omosessuali e droghe [vedere seconda parte di questo mio precedente articolo QUI].

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Dom Nokter Wolf, Abate Primate della Confederazione Benedettina, durante un concerto rock

Alla Badia Primaziale di Sant’Anselmo in Urbe, sede dell’Abate Primate della Confederazione Benedettina, sede del Pontificio Ateneo Sant’Anselmo, sede dell’annesso collegio internazionale per gli studenti di teologia, La Congregazione per l’Educazione Cattolica, tra il 2007 e il 2008, dopo alcuni precedenti inviti, impose infine ai Superiori maggiori benedettini di ripulire quelle “sacre” mura dall’orda di omosessuali che al loro interno avevano creato un vero e proprio lupanare, con tanto di coppiette conviventi più o meno ufficiali o ufficiose. Chiunque ne voglia conferma può sempre chiederla al tutt’oggi sano e vegeto Cardinale Zenon Grocholewski, all’epoca Prefetto di questo dicastero, che per la gravità del caso trattò personalmente la cosa e fece dettare infine l’ultimatum: «O ripulite il vostro Collegio, oppure ve lo facciamo chiudere».

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Di recente, l’Abbazia di Grottaferrata, prelatura immediatamente soggetta alla Santa Sede, ha perduto questo antico status. Dopo la nomina del nuovo superiore, il Benedettino belga Dom Michel Van Parys, la Santa Sede ha tolto la giurisdizione diocesana all’Abate dell’Abbazia affidandola al vicino Vescovo di Albano Laziale. Esattamente come avvenuto poco più di un anno fa per l’Abbazia di Montecassino, privata di quella giurisdizione diocesana esercitata per secoli dagli Abati cassinesi e passata alla vicina Diocesi di Sora, il cui Ordinario Diocesano ha assunto il titolo di Vescovo di Sora-Aquino-Pontecorvo-Montecassino.

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Cos’è accaduto nell’Abbazia di Grottaferrata? Solita menata, anzi peggio, i soliti e ormai cristallizzati frocismi monacali, di cui ci dà notizia in modo paludato il quotidiano cattolico francese La Croix, imputando la grave decisione della Santa Sede al «frequente viavai notturno nell’abbazia». E questo viavai notturno, rigorosamente a base di giovanotti, è risultato a tal punto grave che la Santa Sede ha successivamente dichiarate invalide le ordinazioni sacerdotali di alcuni monaci, poiché affetti da palese e grave difetto di fabbrica. Scrive il quotidiano cattolico francese:

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le Saint-Siège aurait en effet demandé à l’abbé de Grottaferrata de démissionner après des plaintes de riverains pour «activités nocturnes répétées» et «va-et-vient fréquents». Rome aurait également demandé que soit prononcée la nullité de plusieurs ordinations sacerdotales de moines de l’abbaye [2].

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Pescara - i Feedback, gruppo tedesco che annovera tra i suoi componenti Notker Wolf, Abate Primate dei benedettini

i Feedback, gruppo tedesco che annovera tra i suoi componenti Dom Notker Wolf, Abate Primate della Confederazione benedettina [vedere QUI]

Ricordo sempre con orrore i racconti a me fatti a Roma da un ambasciatore, cattolico devoto, anch’egli sempre sano e vegeto oltre che dotato di straordinaria memoria, quando mi narrò che al ritorno dalla sua missione in una zona di guerra agli inizi del 2000, decise di ritirarsi per qualche giorno nell’Abbazia di Praglia per il Triduo Pasquale. Mi narrò desolato il diplomatico davanti al mio collaboratore: «Nella foresteria dell’Abbazia erano stati ospitati due giovani francesi, quelli che in gergo romano sono comunemente indicati come marchettari, uno dei quali dormiva in una stanza adiacente la mia. E durante tutta la notte fui costretto a udire l’andirivieni dei monaci». E concluse con amarezza il diplomatico: «Questo fu il mio Triduo Pasquale nell’Abbazia di Praglia dopo la mia lunga missione diplomatica in una zona di guerra, nella quale avevo vissuto per un paio di anni totalmente blindato all’interno dell’ambasciata».

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Sull’Abbazia di Monte Oliveto Maggiore ed il suo attuale Abate, conosciuto dai monaci anziani sin da quand’era giovane chierico ― e del quale chi scrive ha avuto a suo tempo diretta e personale conoscenza ― stendo un velo pietoso, sicuro che nessuno avrà l’imprudenza di sollevarmi questioni per vilipeso onore monastico, considerato che all’interno di quelle “sacre” mura è accaduto proprio di tutto, come possono testimoniare non pochi ex monaci, diversi dei quali usciti da quell’abbazia per passare al clero secolare, pronti a riferire a qualsiasi Autorità Ecclesiastica ciò che più volte hanno testimoniato a me: «Dentro quelle mura ho visto prima la corruzione morale, appresso l’inferno». Forse lo stesso inferno che avrà visto il postulante di 38 anni che nel 2007 si uccise lanciandosi da una finestra. Ovviamente, di fronte a simile dramma, la giustificazione fu bella e pronta: «Il poverino soffriva di disturbi mentali». Una giustificazione dinanzi alla quale sorge però un quesito tanto pertinente quanto logico: da quando, sono ammessi nelle più antiche e blasonate abbazie benedettine dei poverini affetti da disturbi mentali? O dobbiamo forse dedurre che un’antica abbazia svolga servizio di volontariato come centro di igiene mentale? Insomma: il vero disturbato, è quello che si è suicidato in preda alla disperazione, o quelli che vi sono rimasti dentro, a partire dall’allora Abate Dom Michelangelo Maria Tiribilli, quantomeno privo di capacità introspettive e di spirito di cristiano discernimento vocazionale, pur avendo seguito a suo tempo per molti anni la formazione dei chierici candidati ai sacri ordini, molti dei quali divenuti dei gai monaci sfarfallanti, tra i quali poi, appresso, sono stati scelti ed eletti degli abati muniti di altrettanza e leggiadra gaiezza?

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copertina del CD della rock band di Dom Nokter Wolf, Abate Primate della Confederazione Benedettina

Non sono poche le personalità del mondo benedettino coinvolte negli ultimi decenni in scandali spesso inenarrabili, tutti legati di rigore a problemi morali dai quali sono nate sempre storie di ordinaria omosessualità, alcune volte anche di pedofilia, come nel caso dell’Arcivescovo Metropolita di Vienna, il Benedettino Hans Wilhelm Groër, costretto a lasciare la guida dell’Arcidiocesi nel 2005. Il suo successore, Christoph von Schönborn, dell’Ordine dei Frati Predicatori, nel 2008 chiese pubblicamente perdono ai cattolici austriaci per gli atti commessi dal suo predecessore, ammettendo in tal senso tutti i fatti a lui addebitati [cf. QUI].

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Altrettanta sorte indignitosa toccò all’ex Abate Primate della Confederazione Benedettina, Dom Rembert G. Weakland, punta di diamante dell’ultra progressismo, che alla fine del suo mandato fu eletto Vescovo di Milwaukee negli Stati uniti d’America, dove fu accusato di molestie sessuali da un ex studente di teologia, dal quale cercò di comprare il silenzio con ingenti somme di danaro sottratte alle casse della diocesi [3].

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Dom Nokter Wolf, Abate dell’Abbazia bavarese di Sankt Ottilien, di lampante impostazione catto-protestante ed esponente del progressismo modernista più rozzo — posto che vi sono fior di modernisti dotati di profonda e straordinaria cultura —, fu il successore degnissimo di Dom Rembert G. Weakland nella carica di Abate Primate della Confederazione Benedettina. Abile sfruttatore della propria posizione, Dom Nokter Wolf si è dedicato perlopiù alla propria personale imprenditoria, dando alle stampe uno appresso all’altro libri resi ridicoli dalla mancanza di elementare dignità teologica, oltre che privi di senso logico. Un bavarese piccolo di statura e sempre sorridente, il buon Dom Nokter Wolf, più simile allo stereotipo della macchietta napoletana anziché al nordico teutonico biondo slavato dagli occhi di ghiaccio e dalla elevata statura fisica. Ricordato come tale — ossia come una macchietta — da decine e decine di ex studenti del Sant’Anselmo, specie quando al mattino, giungendo nel coro monastico, mostrava segni visibili che rivelavano quanto forse non avesse ancora smaltito lo spirito alcolico della serata precedente.

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Dom Nokter Wolf, Abate Primate della Confederazione Benedettina, durante le ovazioni di fine concerto

Sulle figure e le personalità “di spicco” del mondo Benedettino degli ultimi decenni si potrebbero scrivere fiumi di pagine, tutte provate e documentate per quanto riguarda sesso, soldi e persino droga, come nel caso dell’Abate di Montecassino, cocainomane all’ultimo stadio. Alla triade: soldi, sesso e droga, mancava però il Rock and Roll, cosa alla quale pensò il penultimo Abate Primate, Dom Nokter Wolf, tanto per non far mancare niente a questa impietosa e penosa decadenza della gloria benedettina che fu.

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Domanda da un milione di euro, alla quale dovrebbe rispondere la Santa Sede, lucrando in tal modo questa somma da distribuire tra i poveri delle periferie esistenziali : se un numero così preoccupante ed elevato di monaci benedettini, che dopo essere divenuti abati di storiche abbazie, abati primati della confederazione benedettina, promossi dai Sommi Pontefici vescovi ed elevati alla dignità cardinalizia, sono finiti coinvolti in scandali di sesso, soldi e persino droga; se costoro sono stati eletti alle più alte cariche in seno alle comunità monastiche, ed in seguito in seno alla Chiesa universale, perché erano al momento i migliori da scegliere, qualcuno intende forse interrogarsi, presto e bene, a quali livelli possano essere invece i peggiori che popolano abbazie e monasteri?

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Quando quest’anno gli Abati delle Congregazione della Confederazione Benedettina si sono riuniti a Roma per eleggere il successore di Dom Nokter Wolf, un paio di amici che hanno stretti rapporti interni con la Badia Primaziale di Sant’Anselmo in Urbe, mi hanno riferito: «Per giorni abbiamo “gustato” una visione “straordinaria”. Sotto gli occhi abbiamo avuto una sfilza di abati riuniti per eleggere il nuovo Abate Primate». E hanno concluso dicendo: «Pareva di essere a un raduno del gay pride ».

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Lungo sarebbe il discorso delle origini e dei motivi del tutto. I Benedettini, che in Germania hanno sempre avuto il loro nucleo più numeroso e la loro roccaforte numerica, hanno fortemente risentito del meglio del peggio dei teologi del post-concilio che hanno dato vita al proprio personale concilio egomenico. Ma siccome il discorso sarebbe per l’appunto lungo, mi limito a sintetizzare una mia vecchia conferenza tenuta a Rieti anni fa assieme all’accademico pontificio Giovanni Cavalcoli, nella quale lui per un verso, io per altro verso, spiegammo alla nutrita platea che la crisi del dogma genera una crisi della dottrina, quindi della fede. E la perdita della dottrina, di conseguenza la perdita della dimensione di fede, genera inevitabilmente prima la crisi morale e poi la peggiore decadenza morale, che è tutto quanto frutto e conseguenza della crisi dottrinale.

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uno dei vari libercoli di Dom Nokter Wolf, casomai ai nostri Lettori non fosse ancora chiaro quanto sia bene non imparare dai monaci come lui …

E di questa crisi morale i Benedettini sono paradigma. Sempre senza generalizzare, ma ribadendo il principio dell’albero e della pianta ormai malata e marcita, nella quale sopravvivono una o due foglie sane. Pertanto, la caduta della Basilica Benedettina eretta a Norcia nella natale cittadina del Beato Padre Benedetto, è la caduta visibile di un Ordine che da tempo è decaduto dottrinalmente, quindi moralmente. Proprio come moralmente è decaduta l’Europa, dopo avere perduta la fede. Un’Europa nata come idea e poi sviluppatasi in concreto proprio nel grande circuito delle antiche e gloriose abbazie benedettine, nelle quali, dopo la caduta dell’Impero Romano, fu prima preservata e poi diffusa la migliore scienza del sapere; quella stessa Europa di cui il Beato Padre Benedetto è Santo e Venerato Patrono, dopo essere stato della stessa Europa il principale artefice.

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dall’Isola di Patmos, 31 ottobre 2016

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[1] Microrganismo appartenente alla classe degli oomiceti, originario dell’America e importato accidentalmente in Francia intorno al 1878, da cui si è poi diffuso in tutta Europa.

[2] La Croix, 04.11.2013: Démission de l’abbé exarchal de Grottaferrata, en Italie [testo dell’articolo leggibile  QUI, riportato in versione italiana da Sandro Magister i 6.9.2016, QUI].

[3] Cf. Sandro Magister: «Dimesso d´urgenza il vescovo di Milwaukee, capofila mondiale dell´ala progressista. I capi d´accusa: sesso e soldi»,  [articolo del 28.05.2002, leggibile QUI]

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QUESTO È STATO L’INIZIO GLORIOSO …

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… E QUESTA È STATA LA FINE INGLORIOSA

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

Dal conflitto alla confusione. Una breve analisi critica del «Documento congiunto cattolico-luterano»

DAL CONFLITTO ALLA CONFUSIONE. UNA BREVE ANALISI CRITICA DEL «DOCUMENTO CONGIUNTO CATTOLICO-LUTERANO».

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I lefebvriani non hanno da allarmarsi e i modernisti non credano di vincere. La visita del Papa si inserisce nella linea degli ormai tradizionali incontri ecumenici attuati dai Sommi Pontefici a partire dal Concilio Vaticano II. E se un giorno Lutero ha gridato Los von Rom, [Via da Roma!], possano oggi i suoi discepoli desiderare, sotto l’impulso dello Spirito Santo, di tornare a Roma, che li accoglierà a braccia aperte, offrendo loro la pienezza di quella comunione, che essi per adesso possiedono solo in parte. 

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Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli, OP

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Piazza dedicata dal Comune di Roma a Martin Lutero.

Nell’ambito del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani fu pubblicato nel 2013 un documento congiunto di cattolici e luterani intitolato «Dal conflitto alla comunione» in preparazione alle prossime celebrazioni del 2017 dell’inizio della “riforma” luterana del 1517.

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Per un giudizio cattolico su questo documento, può essere utile far riferimento alla «Risposta della Chiesa Cattolica alla Dichiarazione congiunta tra la Chiesa Cattolica e la Federazione Luterana Mondiale circa la dottrina della giustificazione» [1] del 1998. Questa Dichiarazione, invece, fu pubblicata dallo stesso Consiglio nel 1999. Documento, che ho avuto già modo di esaminare su questa nostra Isola di Patmos e al quale rimando i Lettori [mio precedente articolo, QUI].

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Il documento del 1998 rileva gli aspetti positivi e quelli negativi della Dichiarazione congiunta del 1999, la quale è largamente utilizzata dal documento del 2013, che è molto più ampio.

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foto ANSA Vaticano – la Delegazione luterana dona al Santo Padre Francesco una pregevole copia delle 95 Tesi di Martin Lutero

Qui vorrei fare alcuni rilievi e alcune annotazioni critiche, soprattutto di carattere dogmatico, sul documento del 2013, fatto con molto impegno, e che spazia su molti temi del pensiero luterano e sulla storia del luteranesimo, nonché sui rapporti tra cattolici e luterani nella storia di ieri e di oggi. Innanzitutto c’è molto da compiacersi per la forza e la chiarezza, con le quali il documento ricorda che Lutero conservò alcune delle verità fondamentali della fede cristiana: il Mistero Trinitario, l’Incarnazione e la Redenzione, la Scrittura, il Padre Nostro, il Battesimo, la Memoria della Cena del Signore, la grazia, il peccato, i comandamenti, il ministero, la Chiesa, la salvezza. Ma tuttavia il documento soffre di alcuni vizi di fondo.

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Primo vizio di fondo. La questione della verità e dell’errore è occultata da espressioni eufemistiche come «differenze», «accentuazioni» e «diversità». Ora, la questione fondamentale dell’ecumenismo è una questione di verità. Chi ha ragione? Lutero o il Papa? Leone X e il Concilio di Trento hanno fatto bene, o hanno fatto male a condannare le dottrine di Lutero? Sono queste le cose da chiarire.

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la statua raffigurante Martin Lutero portata dalla Delegazione luterana in visita dal Santo Padre

Secondo vizio di fondo. I luterani parlano di «divisioni» e si mostrano addolorati di queste divisioni. Tuttavia, il documento sembra parlare indifferentemente di «differenze» e di «divisioni». Ora, le differenze e le varietà, di per sè, sulla base dell’unica fede, sono cose buone, sono una ricchezza della Chiesa.

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Le differenze sono un fatto positivo, del quale non c’è che da rallegrarsi. Nessuno pensa di sopprimere le differenze tra domenicani e francescani in nome della unità. Ma le «differenze» tra cattolici e luterani sono tutt’altra cosa. Queste sono vere divisioni, una vera disgrazia, alla quale occorre assolutamente rimediare in nome dell’unità della Chiesa. È questo lo scopo dell’ecumenismo.

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Terzo vizio di fondo. Ma come rimediare a queste divisioni? In che cosa consistono essenzialmente? Esse toccano certe verità di fede. E spiega tali divisioni il Decreto Unitatis redintegratio, là dove, al n. 3, dice che nel passato «comunità non piccole si sono staccate dalla Chiesa». Esse mantengono «parecchi beni che provengono da Cristo e a Lui conducono, per cui esse appartengono all’unica Chiesa di Cristo». Sebbene «solo la Chiesa Cattolica possiede tutta la pienezza dei mezzi della salvezza», mentre comunità — tra le quali evidentemente ci sono le comunità luterane — , posseggono delle «carenze», per cui esse «non godono di quella unità che Gesù Cristo ha voluto elargire alla Chiesa», guidata «dal collegio apostolico con a capo Pietro» —. Per questo, occorre che esse siano «pienamente incorporate ad essa».

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papa-dal-papa-con-lutero

il manifesto dell’incontro ecumenico con il Santo Padre della Delegazione luterana: «Mit Luther zum Papst» [con Lutero dal Papa]. Un modo del tutto diverso di rapportarsi al papato, se pensiamo che Lutero tuonava «Lost von Rom!» [via da Roma!]

Quarto vizio di fondo. Si cerca in alcuni punti di far apparire Lutero come cattolico, come per esempio sulla dottrina della grazia, mentre si interpretano in senso luterano certe verità cattoliche, come per esempio il concetto di Tradizione. Non si riconosce a Lutero di aver commesso alcun errore nella fede, e si tacciono le condanne di Leone X e del Concilio di Trento. Ebbene, questo non è onesto. La comunione si raggiunge nell’accettazione comune della verità e non sulla base di equivoci e falsità. Se i luterani non vogliono più provar dolore e non procurarlo più alla Chiesa, abbiano finalmente l’umiltà di riconoscere gli errori di Lutero e che egli non poteva considerarsi interprete della Scrittura più sapiente e perspicace del Papa e dei Concili ecumenici.

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La visita del Santo Padre a Lund si inserisce nella linea degli ormai tradizionali incontri ecumenici attuati dai Sommi Pontefici a partire dal Concilio Vaticano II. Egli non va né a festeggiare Lutero né a rimproverare i luterani, ma a condividere e a pregare con i fratelli separati. È un gesto di grande magnanimità e di apertura d’animo, per il quale noi cattolici ci aspetteremmo dai luterani un gesto di avvicinamento a Roma. Pertanto i lefebvriani non hanno da allarmarsi e i modernisti non credano di vincere. E se un giorno Lutero ha gridato Los von Rom, [Via da Roma!], possano oggi i suoi discepoli desiderare, sotto l’impulso dello Spirito Santo, di tornare a Roma, che li accoglierà a braccia aperte, offrendo loro la pienezza di quella comunione, che essi per adesso possiedono solo in parte. 

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Varazze, 27 ottobre 2016

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[1] Nota del Pontificio Consiglio: Questa Nota, che costituisce la Risposta cattolica ufficiale al testo della Dichiarazione Congiunta, è stata elaborata di comune intesa fra la Congregazione per la Dottrina della Fede ed il Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, e viene firmata dal Presidente del medesimo Pontificio Consiglio, direttamente responsabile per il dialogo ecumenico [testo integrale QUI].

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Davvero «il proselitismo è una solenne sciocchezza», come ha detto il Santo Padre Francesco? Alcune cose da chiarire su “proselitismo” e “ecumenismo”

DAVVERO IL «IL PROSELITISMO È UNA SOLENNE SCIOCCHEZZA» COME HA DETTO IL SANTO PADRE? ALCUNE COSE DA CHIARIRE SU “PROSELITISMO” ED “ECUMENISMO”

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In un’intervista del 2013 il Sommo Pontefice Francesco affermò: «Il proselitismo è una solenne sciocchezza» [cf. QUI]. Alcuni cattolici accusarono il Successore di Pietro di demolire la dottrina cattolica e di contraddire il precetto evangelico che comanda: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato» [Mc 16, 15-16]». Oggi, gli stessi stanno rilanciando queste accuse mentre il Sommo Pontefice è in procinto di recarsi in Svezia per partecipare alla celebrazione dei 500 anni della psuedo “riforma” luterana …

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Autori:

Autore Giovanni Cavalcoli OP

Giovanni Cavalcoli, OP

Autore Padre Ariel

Ariel S. Levi di Gualdo

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Francesco dona calice a luterani

Il Santo Padre Francesco in visita alla Comunità luterana di Roma

In un’intervista del 2013 il Sommo Pontefice Francesco affermò: «Il proselitismo è una solenne sciocchezza» [cf. QUI]. Alcuni cattolici accusarono il Successore di Pietro di demolire la dottrina cattolica e di contraddire il precetto evangelico che comanda: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato» [1]. Oggi, gli stessi stanno rilanciando queste accuse mentre il Sommo Pontefice è in procinto di recarsi in Svezia per partecipare alla celebrazione dei 500 anni della psuedo “riforma” luterana; una visita che forse poteva anche evitare, dato che niente noi cattolici abbiamo da festeggiare dinanzi all’eresiarca Lutero. Il Vicario di Cristo in terra non necessita certo delle nostre difese d’ufficio, merita però ricordare che il proselitismo, nella sua accezione negativa, non è stato condannato solo dal Santo Padre Francesco, ma da Gesù Cristo in persona: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che percorrete la terra e il mare per fare un solo proselito e, ottenutolo, lo rendete figlio della geenna peggio di voi!» [2].

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Più volte il Santo Padre Francesco ha definito il proselitismo come contrario all’ecumenismo, forse non chiarendo i guai che di per sé il proselitismo può creare. Procediamo allora noi a chiarire, a partire dallo stesso termine che potrebbe essere frainteso da chi non conosce anzitutto la radice etimologica delle parole. Esso deriva infatti da “proselito”, dal greco prosèlytos, lemma usato nel Nuovo Testamento per indicare il “convertito”, alla lettera: colui-che-si-è-avvicinato [3]. L’origine della parola non ha nulla di spregiativo o sconveniente. In origine “proselitismo” vuol dire semplicemente “far proseliti”, il che è evidentemente un’opera buona. Sennonché già Cristo indica un modo del tutto sbagliato per far proseliti:

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«Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che percorrete la terra e il mare per fare un solo proselito e, ottenutolo, lo rendete figlio della geenna peggio di voi!» [4].

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Da qui nasce il senso negativo del proselitismo. Occorre quindi fare attenzione a come annunciamo il Vangelo, a come esortiamo gli uomini a convertirsi e ad avvicinarsi a Cristo e alla Chiesa, con quali mezzi, con quale metodo, con quale animo, per qual fine. Bisogna poi interrogarci: è il vero Vangelo quello che annunciamo, o sono idee raccattate da impostori della teologia alla moda? Nell’opera di evangelizzazione, seguiamo le indicazioni che ci vengono dalla Chiesa o agiamo per attirare le simpatie del mondo? Vogliamo in quest’opera affermare le nostre idee e attirare discepoli che ci applaudano, o insegnare umilmente e coraggiosamente ciò che insegna la Chiesa accettando sofferenze e contrarietà? Siamo mossi da autentico spirito di servizio e da compassione per i peccatori, o semplicemente dal desiderio di imporci sugli altri con le nostre novità dottrinali?

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Il proselitismo non punta sulla persuasione, ma sulla suggestione, non fornisce segni di credibilità, ma gioca sul sentimento, non mostra le cose ardue, ma solo le comodità. Non dimostra la ragionevolezza del credere, ma stimola le emozioni, nasconde da una parte i difetti dei propri correligionari ed esagera le loro qualità, mentre dall’altra denigra la religione della controparte. Usa mezzi sleali per convincere, o esercita indebite pressioni, prospettando magari vantaggi inesistenti. Tace sulle difficoltà della religione che gli propone e solletica le sue passioni, non stimola la responsabilità, ma crea delle persone plagiate. Non forma delle persone libere, ma crea, come nel caso degli islamisti, dei pecoroni e dei fanatici, pronti all’occorrenza ad uccidere chi non accetta la conversione forzata, ignari che il dono della libertà e del libero arbitrio è contenuto nel mistero stesso della creazione dell’uomo, al quale Dio si è sempre proposto nel corso dell’intero Mistero della Rivelazione, mai si è imposto, tanto meno con violenza.

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Il proselitismo è contrario all’ecumenismo non perché il proselitismo voglia persuadere la controparte della bontà dei valori che le propone, questo c’è anche nell’ecumenismo; né perché il proselitista vuol convincere il fratello separato ad entrare nella Chiesa Cattolica — pur essendo invece questo il fine ultimo dell’ecumenismo —, ma perché il proselitista si rifiuta di ammettere che la controparte conserva certi valori del cattolicesimo, o perché non vuole ammettere certi errori storici della Chiesa, o perché il proselitista tratta il fratello con disprezzo o alterigia. Il proselitismo, quindi, è un eccesso di zelo, o uno zelo sleale, per sua natura amaro e aggressivo nel compiere un’opera in sé importantissima e doverosissima: l’evangelizzazione. Esso è privo di motivazioni e finalità soprannaturali e si basa su metodi e fini meramente umani, poco puliti o disonesti, a volte solo nazionalistici, politici o di potere. È un lavoro in sé buono, ma compiuto male, in modo tale che si ottengono risultati illusori o controproducenti: o il fratello resta ingannato, o abbraccia il cattolicesimo su basi fasulle, o abbraccia un falso cattolicesimo. In questi casi i “convertiti” non sono veri convertiti, ma persone che fingono di credere per ottenere vantaggi temporali o per non essere perseguitati o emarginati.

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Il Concilio Vaticano II insegna al n. 3 della Unitatis Redintegratio : «All’unico corpo di Cristo sulla terra» ― la Chiesa Cattolica ― «bisogna che siano pienamente incorporati tutti quelli che già in qualche modo appartengono al Popolo di Dio», cioè i cristiani non cattolici, appartenenti a «comunità non piccole, che si sono staccate dalla piena comunione della Chiesa Cattolica». Quindi devono riunirsi alla Chiesa Cattolica. Queste comunità, pur avendo talvolta delle «carenze» gravi − eresie – che «costituiscono impedimenti alla piena comunione ecclesiastica», mantengono tuttavia «una certa comunione, sebbene imperfetta, con la Chiesa Cattolica».  Esse infatti, benchè «non godano di quella unità, che Gesù Cristo ha voluto elargire a tutti quelli che ha rigenerato e vivificati insieme per un sol corpo e per una  vita nuova», tuttavia «conservano alcuni elementi ed anzi parecchi e segnalati» – dogmi –, «dai quali la stessa Chiesa Cattolica è edificata e vivificata. Tutte queste cose provengono da Cristo e a Lui conducono, per cui esse appartengono all’unica Chiesa di Cristo», che è la Chiesa Cattolica, la quale possiede «la pienezza della grazia e della verità», per cui «solo per mezzo della Cattolica Chiesa di Cristo, che è lo strumento generale della salvezza, si può ottenere tutta la pienezza dei mezzi della salvezza». Tuttavia «lo Spirito di Cristo non ricusa di servirsi di queste comunità come di strumenti di salvezza», strumenti utili ma non sufficienti.

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Le comunità non-cattoliche posseggono quindi solo alcuni mezzi di salvezza e per questo, per averli tutti, devono entrare nella Chiesa Cattolica, la quale sola possiede la pienezza dei mezzi della salvezza.

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Da questo documento conciliare risulta che, sebbene esistano divisioni tra cristiani, ciò non comporta che la Chiesa cattolica sia divisa in se stessa o che l’attuale contrasto fra la Chiesa cattolica e le altre chiese si risolva nell’unione di tutte in una supposta «Chiesa» più vasta e superiore, che le abbracci tutte, perché questo è falso ecumenismo. Questa supposta “Chiesa”, suprema e superiore alla stessa Chiesa cattolica, non esiste, perchè la Chiesa, l’unica fondata da Cristo, non è altro che la Chiesa Cattolica Romana, una e indivisibile, quindi, in questo senso, una Chiesa Cattolica divisa dalle altre o in se stessa, che dovrebbe confluire con le altre in una super-Chiesa, non è mai esistita, né mai esisterà.

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L’esistenza di comunità non-cattoliche separate da Roma non è il segno che l’unità della Chiesa si è spezzata, che la Chiesa è per così dire “frantumata”, per cui le parti o i pezzi di Chiesa ― le varie Chiese ― andrebbero ricondotte all’unità, a somiglianza di un vaso, che va ricomposto riunendo tra di loro i pezzi, perché le cose, da come risulta sempre dal n. 3 di questo documento, non stanno così. L’immagine che invece esso ci suggerisce  ― «si sono staccate» ― è quella del tralcio che si stacca dalla vite [5]. Il fenomeno delle comunità non-cattoliche non è il segno che la vite si è lacerata, non è il segno che essa è, per così dire, andata in brandelli: è evidente infatti che in tali condizioni la vite non potrebbe neanche vivere, ma suppone una vite ben viva e robusta, dalla quale si sono staccati dei tralci. Un conto infatti è la separazione tra A e B e un conto è la separazione di A da B. Il fenomeno delle comunità dissidenti è del secondo tipo e non del primo. Sono i tralci che non possono vivere senza la vite, non viceversa. E se le comunità di fratelli separati vivono ancora, vuol dire che non si sono staccati del tutto, ma che conservano una certa unione con la vite. È questo che il Concilio intende, quando dice che le comunità dissidenti non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica.

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Vi sono però anche i falsi ecumenisti che dicono: non dobbiamo metterla così sul tragico. Non si tratta di lacerazioni o cose del genere. Le comunità cosiddette «separate» da Roma non sono propriamente separate, ma semplicemente “diverse”. Ora, la diversità è una ricchezza, non è un difetto. Quindi non va tolta, ma rispettata e promossa. Per questo, Roma, non può pretendere che tutte le altre comunità siano uguali a se stessa. Si tratta dunque, secondo loro, di un fenomeno positivo, un fenomeno di pluralismo e diversità, di diversi modi, parimenti legittimi, di vivere il Vangelo e di essere cristiani. Da qui le “molte fedi” e il prevalere dell’interesse per la diversità a scapito della verità, come uno che apprezzasse il malato perché è “diverso” dal sano. Costoro concepiscono la fede come fosse un’opinione: come ci sono molte opinioni, così ci sono “molte fedi”. Ma la fede è verità e la verità come adesione all’oggetto è una sola. Se Gesù è Dio, negare che Gesù è Dio non è una fede diversa, ma è una fede falsa. Se Dio è Trino, negare che Dio sia Trino non è una fede diversa, è una falsità e così via. Esistono bensì molte verità di fede, nel senso che esistono molti dogmi; ma per ognuno di essi si dà una sola interpretazione, quella data dalla Chiesa, al di fuori della quale non ce ne sono altre.

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Costoro concepiscono l’unità e il pluralismo della Chiesa sul modello della Confederazione Elvetica: non un solo ovile con un solo pastore, ma una federazione di ovili sotto un collegio di pastori. Ma se qui Gesù parla al futuro ― «diventeranno» ―  non intendeva dire che l’unità della Chiesa sotto di Lui è una meta escatologica, ma si riferiva semplicemente al fatto che allora Gesù la stava convocando, stava raccogliendo le pecore ― «ho altre pecore» ― perché era il momento della formazione della Chiesa. Ma essa, ai tempi di San Paolo è già formata, è già «un solo corpo, un solo Spirito, una sola speranza, un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo» [6], anche se essa è come un corpo organico con molteplici diversificate funzioni sotto un solo capo, Cristo, il cui Vicario in terra è Pietro [7].  

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Da come il Concilio presenta l’ecumenismo, vediamo quanto siano invece false quelle concezioni di ecumenismo che vorrebbe presentarsi come interpretazione della dottrina conciliare e che vorrebbe chiamare “proselitismo” proprio quello che invece il Concilio prescrive. Tale falsa interpretazione, infatti, pretende che ecumenismo voglia dire limitarsi a prendere atto delle posizioni del fratello separato nell’idea che esse riflettano semplicemente un “diverso” cammino di salvezza, che va rispettato nella sua diversità, per cui si perde di vista la presenza in quelle posizioni, di errori che necessitano di essere confutati e quindi si trascura di aprire al fratello l’ingresso nella Chiesa cattolica.

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Il vizio per difetto nel campo dell’ecumenismo, tipico del modernismo, è dato dalla negligenza, effetto a sua volta dell’indifferentismo e del relativismo, che è un falso ecumenismo. Il falso ecumenista confonde il valore della verità con quello della diversità. L’ecumenista modernista non si cura dell’oggettività e dell’universalità del vero nella sua assoluta opposizione al falso, ma bada solo alla diversità e ne fa un assoluto, un idolo, al quale sacrifica la distinzione tra vero e falso, riducendo tutto al soggettivo, all’opinabile e al “diverso”. Per lui, colui che è caduto in eresia, non è vittima del falso, ma è semplicemente un “diverso”, così come semplicemente un francescano è diverso da un domenicano. Il fratello separato non deve quindi essere corretto, ma lasciato nella sua idea, così come a nessun domenicano viene in mente di dire a un francescano che per salvarsi deve farsi domenicano, anche se i tomisti non sempre concordano con gli scotisti.

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Oggi, con la scusa dell’ecumenismo, del pluralismo e della libertà di pensiero, non ci si accorge dei fratelli in pericolo, di chi vive «nelle tenebre e nell’ombra della morte», per cui non si fa niente per salvarli. Si risponde a Dio che chiede conto del fratello: «Sono forse il custode di mio fratello»? [8]. Ecco allora che per ignavia, negligenza, scetticismo, paura, opportunismo o accondiscendenza al peccato, non si comprende o non si vuol comprendere che l’ammonire il peccatore nei modi dovuti e al momento giusto non è un litigare, un condannare, un importunarlo o fargli violenza, non è uno strapparlo alle sue giuste convinzioni, ma è esser un medico premuroso che offre la cura, è un’opera di misericordia.

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Altra concezione sbagliata dell’ecumenismo è quella che lo concepisce come un semplice “incontrarsi a mezza strada” tra cattolici e non-cattolici, come se l’una e l’altra parte dovesse lasciare qualcosa per incontrare l’altra. Ora questo può esser vero e doveroso sul piano umano e della carità, ma non in rapporto alle esigenze della verità, che sono quelle che caratterizzano maggiormente l’ecumenismo. Infatti, per fermarci al solo rapporto con i luterani, che è il massimo problema dell’ecumenismo, questi fratelli devono rendersi conto che non è Roma che deve lasciarsi correggere da Lutero, ma sono loro che devono lasciarsi correggere da Roma. Quindi Roma può e deve andar loro incontro nella carità, ma il percorso della verità devono farlo tutto loro fino a Roma, che li aspetta con le braccia aperte, non possiamo certo essere noi ad andare a celebrare Lutero, come se costui fosse stato veramente un riformatore.

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Un’altra forma di ecumenismo sbagliato è quella di quei cattolici che, sulla base di loro studi da loro considerati più avanzati, si permettono di accusare di ingiustizia e di eccessiva severità le condanne contro Lutero pronunciate dal Pontefice Leone X e dal  Concilio di Trento, quasi che la Chiesa non si sia accorta che su certi temi luterani da essa considerati eretici, egli non fosse eretico, ma cattolico. Ora, se un simile giudizio può valere contro certi avversari di Lutero passionali, sbrigativi, effettivamente ingiusti ed eccessivamente severi, che hanno frainteso certe sue intenzioni e posizioni, questo giudizio è del tutto insensato e gravemente ingiurioso e presuntuoso, se riferito agli interventi fatti dalla Chiesa, soprattutto da parte di studiosi che si dicono cattolici, i quali dimenticano che la Chiesa, se è infallibile nell’insegnarci la verità di fede, sarà infallibile anche nell’indicarci ciò che le è contrario.

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Il vero ecumenismo si inquadra con tutte le sue conseguenti difficoltà nell’esercizio più ampio della evangelizzazione compiuta nella carità, nella giustizia e nella misericordia. Pertanto, esso assume alcuni paradigmi evangelici, come i seguenti: esso fa capo anzitutto alle parabole del figliol prodigo e della pecorella smarrita, senza dimenticare la parabola del re che fece un banchetto di nozze per suo figlio e manda i servi a chiamare gli invitati alle nozze [9]. La Chiesa cattolica è questo banchetto e gli invitati sono i fratelli separati. Sappiamo bene che molti di essi non si sentono affatto figli prodighi o pecorelle smarrite, ma grandi teologi e biblisti. E non vedono nella Chiesa cattolica nessun banchetto, ma solo cibi grami e andati a male, o al massimo uno di quegli incontri studenteschi dove per poter mangiare bisogna portarsi dietro del proprio. Ma questo vuol dire allora che compito iniziale e irrinunciabile dell’ecumenismo è che i cattolici facciano capire a questi fratelli, con ogni carità, competenza e pazienza, che hanno bisogno di conversione e che la luce del mondo non sono loro, ma la luce viene da Roma.

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Il Beato Pontefice Pio IX, nell’imminenza della convocazione del Concilio Vaticano I, scrisse la Lettera Apostolica Iam vos omnes [10] ai protestanti per invitarli a congiungersi alla Chiesa Romana. Una iniziativa simile la prese anche il Venerabile Pontefice Pio XII nell’Enciclica Mystici corporis [11] del 1943. Purtroppo la risposta è stata assai debole. Nel frattempo erano frequenti gli incontri ecumenici fra non-cattolici, ma il Papato, sul momento, non fu favorevole a che vi partecipassero anche i cattolici, per il timore che si potesse in qualche modo diffondere l’idea tra i dissidenti che Roma avesse rinunciato al suo primato. Intanto però cresceva tra molti cristiani, cattolici e non-cattolici, forse anche come reazione agli orrori della recente guerra mondiale, il desiderio di ritrovarsi assieme nei valori comuni. È accaduto così che il Concilio Vaticano II è andato incontro a questo desiderio col decreto sull’ecumenismo, nel quale però si ribadisce con tutta chiarezza il valore del primato pontificio e della stessa Chiesa cattolica.

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Le attività ecumeniche spettano a tutti i cristiani desiderosi dell’unità e della comunione, ma è evidente che il Sommo Pontefice, come Vicario di Cristo, padre comune di tutti i cristiani, principio, garante, custode e promotore dell’unità di tutti i figli di Dio, non può non sentire sommamente il desiderio che tutti i discepoli di Cristo attualmente separati o dissidenti entrino pienamente nella Chiesa da Lui fondata e non si sentano coinvolti in prima persona ad operare tutto il possibile per questo scopo. Le continue visite che i Papi dalla fine del Concilio fanno nei loro viaggi ai fratelli separati, esprimono e incarnano la speranza di tutti i cattolici che questi fratelli, come dice il Concilio, «siano pienamente incorporati» alla Chiesa cattolica.

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Nell’ecumenismo i teologi delle due parti svolgono una funzione importante nel chiarimento e nella proposta di soluzioni delle vertenze sempre aperte. I teologi cattolici operano con efficacia nei confronti della controparte non-cattolica mostrandole i punti della dottrina cattolica assenti nella loro teologia, rispondendo al tempo stesso alle obiezioni contro il cattolicesimo. Ma è chiaro che nei punti che maggiormente riguardano la dottrina della fede, solo il Romano Pontefice può dire l’ultima parola, per ribadirli, o per chiarirli o per correggere o per rispondere alle difficoltà. Tali punti che impegnano la fede e non la semplice teologia, possono essere quindi trattati con definitiva autorevolezza solo dal Sommo Pontefice.

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Il fratello separato, quindi, non è semplicemente un “diverso” da rispettare e lasciare com’è, da “lasciar libero”, come alcuni dicono, perché questa è una comoda scusa per scaricarsi delle proprie responsabilità. Il fratello separato è un fratello che sbaglia, in buona o cattiva fede, che è in pericolo di perdersi, quindi va aiutato, avvertito e corretto, sempre naturalmente che si lasci correggere. Certo, a rimproverare o smascherare il superbo c’è solo da tirarsi addosso il suo odio con la conseguenza che faccia di più e di peggio. A Gesù stesso è costato caro rimproverare i farisei, ma d’altra parte, non dobbiamo seguire il suo esempio? E non hanno fatto così tutti i santi? Qual è quel santo che non si è tirato addosso l’odio del mondo e dei falsi fratelli? Chi non si preoccupa del peccatore e non lo rimprovera, potendo farlo, dice di amarlo, ma in realtà odia lui e se stesso. Non dimentichiamoci che anche il rimprovero fatto nei dovuti modi è carità, anche questo è ecumenismo. Non è carità solo la misericordia, ma anche la severità.

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L’ecumenismo comporta due finalità. Esso ha come fine immediato e più specifico quello di fare in modo, per mezzo del dialogo e di una comune ricerca, che tutti i cristiani si ritrovino assieme nella condivisione delle medesime verità fondamentali, che sono rimaste a tutti comuni, pur dopo le rotture. Occorre qui conoscersi meglio, con maggior benevolenza e con un metodo storico-critico più efficace di quello del passato, dissipare alcuni equivoci o correggere alcuni errori interpretativi del passato., illustrare meglio le verità comuni.

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Questo ritrovarsi insieme nelle medesime verità, è già una grande conquista, è una meta alta e bella, fonte di concordia e di pace; però, non è fine a se stessa, c’è ancora del cammino da fare, perché essa è solo la base per la prosecuzione di un dialogo proficuo e costruttivo, che ha come fine ulteriore quello di mettere sul tavolo con franchezza, oggettività, serenità e speranza i punti controversi. È a questo punto che occorre più che mai invocare lo Spirito Santo. È questo il punto più difficile, dove il dialogo oggi si è inceppato e a volte è stato anche falsificato. Bisogna avere il coraggio di andare oltre, verso la meta finale. Infatti, mentre i cattolici si fanno troppo riguardi, sembrano intimiditi, senza prendere iniziative apostoliche davanti alle posizioni rigide e fiere dei non-cattolici, questi ultimi ― pensiamo soprattutto ai teologi protestanti ― pare invece abbiano fatto tacitamente o esplicitamente un patto scellerato, una liaison dangereuse, con i teologi modernisti, al fine di far penetrare le idee protestanti tra i cattolici, in una forma subdola e mascherata, sotto colore di “progressismo”, in modo che i cattolici diventino di fatto protestanti senza accorgersene e credendo di restare cattolici, dando in tal modo vita ad una colossale falsificazione dell’ecumenismo.

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Facciamo un esempio di questo stallo nel quale appare con evidenza la resistenza dei dissidenti e la debolezza delle argomentazioni e prese di posizione dei cattolici, i quali spesso, anziché sostenere l’autorità pontificia con buone ragioni, confutando le posizioni protestanti, mostrando scarso rispetto per l’Autorità Pontificia o disprezzandone l’esercizio post-conciliare, come fanno i lefebvriani; oppure indebolendone la forza dottrinale, come fanno i modernisti. Ma ecco l’esempio: verità di fede accettata da tutti i cristiani è che Cristo è il capo celeste della Chiesa, ma, al di fuori dei cattolici, tutti gli altri credono essere verità di fede che Cristo non governi la Chiesa terrena per mezzo di un Vicario da Lui stabilito, ossia il Sommo Pontefice, successore di Pietro, come capo visibile di tutti cristiani su questa terra, ma la governa direttamente per mezzo dello Spirito Santo.

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L’idea del Romano Pontefice come capo della Chiesa e rappresentante di Cristo in terra, agli occhi dei non-cattolici sarebbe un’invenzione umana, un sopruso di Roma, desiderio di dominio, nostalgia dell’Impero romano, sviante e pericolosa, perché il Sommo Pontefice, che è uomo fallibile come tutti gli altri, anziché condurci a Cristo, potrebbe metterci contro di Lui. Il Sommo Pontefice, al massimo, potrà essere il Vescovo di Roma, o un vescovo come tutti gli altri, Successore di Pietro solo perchè Pietro è stato Vescovo a Roma, ma non può pretendere di essere il Vescovo della Chiesa universale. Per loro, Cristo, non avrebbe affatto voluto un capo visibile suo Vicario, ma la Chiesa terrena sarebbe già abbastanza bene organizzata come un insieme di comunità unite sotto la guida di Cristo e dello Spirito Santo. Quali guide più infallibili di queste? Sarebbe questa, secondo loro, la vera volontà di Cristo. Ecco un tema importantissimo, circa il quale noi cattolici siamo chiamati a fornire prove e a mostrare ai fratelli separati, con ogni carità e saggezza, ma anche con sicura competenza ed indefettibile fermezza e chiarezza, la via per avvicinarsi a Roma e, come dice il Concilio, affinchè, sotto la mozione Spirito Santo, «siano pienamente incorporati» nella Chiesa. Non dobbiamo, su di un punto come questo, rassegnarci alla loro incredulità o dar loro l’impressione che diamo loro ragione, o che andiamo a festeggiarli, anziché a correggerli.

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L’ecumenismo comporta anche due livelli di attuazione. Essi sono quello dottrinale e quello caritativo, i quali si implicano e si sostengono a vicenda. Ci si basa sul primo per passare al secondo. Il secondo, tuttavia, è di immediata e facile attuazione, mentre il primo, almeno nella sua pienezza finale, è molto difficile da conseguire e non è stato ancora pienamente raggiunto. Il livello dottrinale è quello più specifico, e non è altro che un’applicazione del dovere generale della evangelizzazione nel campo dei rapporti dei cattolici con i cristiani non-cattolici. La evangelizzazione, in generale, è l’annuncio del Vangelo, per mezzo del quale, con l’aiuto dello Spirito Santo, conduciamo il mondo ad obbedire a Cristo.

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Con l’ecumenismo, noi cattolici, sulla base dell’accettazione comune, insieme con i fratelli separati, di quelle verità di fede che abbiamo con essi in comune, ci adoperiamo affinchè essi, liberati dagli «impedimenti» e da quelle «carenze», che fanno da ostacolo alla loro assunzione della «pienezza di quella verità che è stata affidata alla Chiesa cattolica» possano, sotto la mozione dello Spirito Santo, essere «pienamente incorporati» nella Chiesa cattolica [12].

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Il cattolico, nell’esercizio di questo delicato aspetto o livello dell’ecumenismo, deve fare molta attenzione a distinguere bene la dottrina cattolica in se stessa, nella sua divina pienezza, infallibilmente e perfettamente custodita dal Magistero della Chiesa, al quale deve sempre far capo con totale fedeltà, dalla sua personale cultura cattolica, la quale, per quanto pura e ortodossa, non può essere infallibile, per cui essa può, su qualche punto, essere lacunosa o erronea, senza che egli se ne renda conto. Per questo, mentre un non-cattolico non può permettersi di correggere o integrare la dottrina cattolica come tale, può benissimo, in forza della sua conoscenza delle verità della fede cristiana, correggere o istruire un cattolico, che manca su di un dato punto.

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L’altro livello dell’ecumenismo è un’applicazione della virtù generale della carità al campo specifico dell’ecumenismo. E qui è chiaro che se nel campo dottrinale il cattolico farà da guida al non-cattolico e lo aiuterà a correggersi dai suoi errori e a colmare le lacune, come insegna il Concilio, in questo aspetto della carità è d’obbligo una reciprocità, giacchè il cattolico come il non-cattolico non sfuggono alla comune condizione di peccatori, figli di Adamo, dotati nel contempo da Dio di doni reciprocamente complementari, che devono essere messi a frutto a vantaggio l’uno dell’altro. E benchè il cattolico in linea di principio disponga di maggiori e migliori mezzi di grazia che non il dissidente, non si può escludere che questi sia più virtuoso e meno peccatore, grazie a una maggiore buona volontà e ad un migliore impiego dei mezzi soprannaturali a sua disposizione.

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L’ecumenismo, espressione indubbia della carità fraterna, racchiude i propri profondi benefici ed è una buona regola di convivenza pacifica tra cattolici e non-cattolici. Ora, la carità fraterna si muove in una duplice direzione: operare il bene e togliere il  male. Esiste dunque una carità promotrice e una carità correttiva. Entrambe hanno la loro applicazione nell’ecumenismo. Infatti, nell’ambito della promozione del bene, l’ecumenismo incentiva l’umiltà, la lealtà, l’onestà, l’amore alla verità, la reciproca comprensione e solidarietà, il comune impegno per le opere della giustizia e della misericordia, per il bene pubblico e per i diritti umani, per la promozione delle scienze, delle arti e della cultura, una comune testimonianza cristiana, laddove esistono valori comuni.

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Ci sono poi due modi per togliere il male nel fratello: o la compassione, grazie alla quale liberiamo il fratello dal male di pena, cioè dalla sofferenza, o la correzione o ammonizione, per la quale lo liberiamo dal male di colpa, dal peccato e dall’errore. Nell’uno e nell’altro caso, affinchè l’operazione riesca, bisogna che il fratello ci metta la buona volontà. Non c’è peggior malato di quello che non vuol guarire e non c’è peggior peccatore di quello che non si pente.

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In questo campo della carità, sia la compassione che lo zelo della correzione devono spingere il cattolico a guidare il fratello separato verso la pienezza della verità e della comunione con la Chiesa. Il dissidente, dal canto suo, deve ascoltare gli impulsi dello Spirito di verità e di amore, che lo spingono ad abbandonare i suoi errori e cattive abitudini, non conformi alla pienezza della virtù cristiana e a cercare la piena comunione con la Chiesa.

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Dall’Isola di Patmos, 19 ottobre 2016

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NOTE

[1] Mc 16, 15-16

[2] Mt 23,15

[3]  Cf. Mt 23,15; At 2,11; 6,5; 8,27; 13,26; 13,43.

[4] Cf. Mt 23,15.

[5] Cf. Gv 10,16

[6] Cf Ef 4,4-5

[7] Cf. Rm 12, 4-8;I Cor 10,17; 12, 12-31; Col 3,15

[8] Cf. Gen 4,9

[9] cf Mt 22,3

[10] Denz. 2997-2999

[11] Denz. 3821-3822.

[12]  Cf. n. 3 Unitatis redintegratio.

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il n. 84 della Familiaris Consortio è più importante del Prologo del Vangelo di Giovanni che narra il mistero dell’Incarnazione del Verbo di Dio ?

lettere dei lettori 2

Rispondono i Padri dell’Isola di Patmos

IL N. 84 DELLA FAMILIARIS CONSORTIO È PIÙ IMPORTANTE DEL PROLOGO DEL VANGELO DI GIOVANNI CHE NARRA IL MISTERO DELLA INCARNAZIONE DEL VERBO DI DIO ?

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Ciò che in fondo si chiede a certe persone è lo spirito di umana e cristiana coerenza: o forse credono davvero di poter attaccare da una parte l’intero Magistero della Chiesa degli ultimi cinquant’anni, ma al tempo stesso sostenere che il n. 84 della Familiaris Consortio, scritto da un Pontefice conciliare, presente come Vescovo al concilio e poi attuatore del concilio come Successore di Pietro, sia intoccabile, in quanto più importante e più dogmatico di quanto possa esserlo l’intero Prologo del Vangelo di Giovanni ?

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Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Non esistono “casi” da valutare se concedere la comunione ai divorziati risposati [Ndr. in riferimento alle precedenti risposte date dai Padri QUI]. Esiste invece un solo ed unico “caso” che permetta a dei divorziati risposati di accostarsi alla Comunione e cioè che vivano da “fratello e sorella”. Il n. 84 della Familiaris Consortio nega l’accesso alla Comunione dei risposati per il semplice fatto che questi non trovandosi in stato di Grazia, “mangiano la loro condanna” avvicinandosi a questo Sacramento. Il discorso dello scandalo nei confronti dei fedeli è del tutto secondario rispetto alla motivazione principale.

Gianluca Bazzorini

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Caro Lettore.

Nove su dieci dei suoi commenti non sono stati pubblicati perché contenevano delle affermazioni gravemente insultanti nei riguardi del Sommo Pontefice, variamente indicato da lei come “eretico“, “accolito dell’Anticristo” e via dicendo; per non parlare del modo in cui lei è solito demonizzare il Concilio Vaticano II e i suoi documenti, però difende a spada tratta il n. 84 della Familiaris Consortio, che deduco sia per lei come per altri più importante del Simbolo di fede niceno-costantinopolitano.

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Non ci risulta che la esortazione apostolica Amoris Laetitia abbia mutata per adesso la disciplina. Quindi è del tutto inutile sollevare una questione che non esiste, perché il Sommo Pontefice non ha mai stabilito in alcun documento ufficiale che la disciplina contenuta nel n. 84 della esortazione apostolica Familiaris Consortio [cf. QUI] è abrogata. Pertanto, tutti noi pastori in cura d’anime, ci atteniamo con scrupolo a quella che è la attuale disciplina della Chiesa in materia. Se poi qualche Vescovo o Sacerdote non lo fa, sbaglia, ma sbaglia — se vogliamo anche gravemente — a livello suo personale, non certo perché il Sommo Pontefice abbia stabilito discipline contrarie alla dottrina e alla morale cattolica.

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Esistono purtroppo “cattolici” che da una parte discutono e rigettano per intero le discipline di un concilio ecumenico, ossia l’ultimo celebrato dalla Chiesa, sentendosi non solo con la coscienza a posto, ma a tal punto nel giusto da considerare se stessi degli Araldi della Verità. Cosa dunque volete che sia, a confronto, discutere senza rigettare il n. 84 della Familiaris Consortio ? Infatti, a certi Araldi della Verità — inclusa l’altra papessa, la Signora Maria Guarini del blog Chiesa e Post Concilio [vedere nostra lettera QUI] , forse è bene ricordare che l’Autore dell’oggi tanto citato n. 84 della Familiaris Consortio, il Santo Pontefice Giovanni Paolo II, dopo il Beato Pontefice Paolo VI è stato il secondo grande attuatore di quel Concilio Vaticano II, vale a dire quel concilio da questi stessi indicato come “origine di tutti gli attuali mali della Chiesa”.

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Io credo che i soggetti avvezzi a pensare e agire a questo modo dovrebbero fare ordine in se stessi, perché prima di sbandierare il n. 84 della Familiaris Consortio, dovrebbero accettare in toto l’autorità di un concilio intero, salvo cadere, in caso contrario, come la Signora Cristina Siccardi di cui ho parlato nel mio precedente articolo [cf. QUI], nella psicologia borderline, che è esattamente la seguente: “Evviva il n. 84 della Familiaris Consortio del Papa conciliare, abbasso il conciliabolo Vaticano II celebrato dai Padri della Chiesa riuniti in assisa ecumenica ” (!?).

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Credo altresì opportuno ricordare a tutti costoro — il parlare e l’agire dei quali si muove in una spaventosa confusione ecclesiale e dottrinale — che il Giovanni Paolo II eletto a loro beniamino per il n. 84 della Familiaris Consortio elevato a dogma di fede intangibile, è lo stesso Giovanni Paolo II da loro vilipeso in modo feroce per i suoi incontri ecumenici ad Assisi.

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E siccome io faccio il prete e il teologo e non il neuropsichiatra, capite bene che dinanzi a simili personalità affette da siffatti disturbi dello spettro bipolare [cf. QUI], getto la spugna e passo doverosamente la competenza ad altro genere di specialisti, vale a dire ai neuropsichiatri.

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Duole che la Signora Cristina Siccardi seguiti a cimentarsi in sproloqui fanta ecclesiologici ferocemente anti-conciliari pubblicati a puntate su quel sito di cupi farisei al quale s’è ridotta ormai Riscossa Cristiana [vedere QUI]. Perché ciò che i Padri dell’Isola di Patmos chiedono a certe persone, è solo un po’ di basilare spirito di umana e cristiana coerenza. O forse credono davvero di poter attaccare da una parte l’intero Magistero della Chiesa degli ultimi cinquant’anni, ma al tempo stesso sostenere che il n. 84 della Familiaris Consortio, scritto da un Pontefice conciliare, presente come Vescovo al concilio e poi attuatore del concilio come Successore di Pietro, sia più importante e più dogmatico di quanto possa esserlo l’intero Prologo del Vangelo di Giovanni, che narra il mistero dell’Incarnazione del Verbo di Dio [cf. QUI]?

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Da cosa deriva questa ossessione sul tema della Comunione ai divorziati risposati? Ma è presto detto: deriva dalla morbosa teologia della mutanda [cf. mio precedente articolo QUI], grazie alla quale certuni identificano nel sesso e nella sessualità umana non solo il peccato dei peccati, ma il centro e il motore dell’intero mistero del male.

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Per questo chiediamo coerenza. Quella coerenza basata sulla fides e sulla ratio umana e cristiana. Ma purtroppo, queste persone, su forme di autentico odio ideologico hanno strutturata la loro rabbia contro la Chiesa e contro Pietro, riducendo tutto ad una ossessiva teologia della mutanda. E la rabbia contro la Chiesa e l’odio contro Pietro, di cattolico non hanno proprio niente, con buona pace degli Araldi della Verità, di tutte le loro papesse e dell’ossessione per la teologia della mutanda, in virtù della quale sono indotti a ignorare tutta una serie di gravissimi peccati che vanno dalla cintura in su, ma dei quali questi soggetti non vogliono proprio parlare, sicuri come sono che i peccati siano solo quelli che vanno dalla cintura in giù.

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La Siccardi così come i siti tradizionalisti da lei citati si rifanno, nella maggior parte dei casi, ad illustri teologi cattolici che non possono essere di certo accusati di ignoranza o ridicolaggine, mi riferisco a Romano Amerio e Brunero Gherardini. Risponda, se può, a loro, e poi potrà permettersi di tacciare di eresia la Siccardi e tutti i siti “siccardiani”, ma con loro all’inferno nel girone degli eretici e dei superbi, dovrà metterci pure Amerio e Gherardini, se ci riesce, s’intende. Le auguro un buon lavoro …

Atanasio

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Caro Lettore.

non sapevo che Romano Amerio e Brunero Gherardini fossero il Padre e il Figlio dal quale procede lo Spirito Santo, che «con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato e ha parlato per mezzo dei profeti».

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Risponda piuttosto lei a se stesso: è meglio rifarsi al sommo magistero dei Pontefici — ivi inclusi tutti quelli che vanno dal San Giovanni XXIII a seguire — oppure è meglio rifarsi ai sopracitati Padre e Figlio usati e abusati da certa gente per screditare e attaccare il magistero pontificio, per non parlare del pericoloso pensiero gherardiniano, seguito in questo da Serafino Lanzetta, circa il Concilio Vaticano II “solo pastorale”, vale a dire … senza alcun peso e conto, “non essendo”, a dire di questi teologi, “dogmatico”, quindi, di fatto, non vincolante ?

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Citare il Iota Unum di Romano Amerio come s’esso fosse al di sopra della Professione di Fede, per colpire attraverso di esso Pietro, come fanno certi cattolici, è semplicemente aberrante.

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Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli, OP

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Rev. Padri Ariel e Giovanni Cavalcoli.

Vi scrivo per manifestarvi la seguente preoccupazione: a mio parere la vostra risposta cattolica a Lutero [Ndr. cf. QUI e QUI] rischia di risultare poco incisiva perché si accusano le idee, ma poi non vengono riportate le fonti. Infatti qualcuno potrebbe avere la sfacciatezza di dire “ma guarda che Lutero non ha detto questo, né ha voluto dire questo!”. Inoltre un conto è Lutero e un conto sono i luterani che si ispirano a Lutero, i quali affermano di non condividere tutte le idee del loro illustre predecessore e di non essere tenuti a farlo; poi ci sono quelli che si dichiarano semplicemente protestanti e si ispirano ad aspetti del pensiero di Lutero e della sua “Riforma” ma su altri punti ne prendono le distanze. È chiaro che, se la situazione è questa, sia i luterani che i protestanti possono avere gioco facile nell’eludere le critiche e le accuse dei teologi cattolici: ciò significa che anche quando si accusa il luteranesimo e i vari teologi e predicatori protestanti è importante citare le fonti.

Lettera Firmata

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Le tesi di Lutero che cito o alle quali mi rifaccio nel mio ultimo articolo [cf. QUI] sono note da secoli, almeno presso i conoscitori di Lutero e si relazionano alle ben note condanne della Chiesa. Le fonti, oltre a quelle da me citate, si trovano negli Autori ai quali rimando.
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Non chiedo quindi al lettore di fidarsi della mia autorità; ma egli stesso può controllare per mezzo dei miei rimandi sia agli Autori che al Magistero della Chiesa.
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L’intento del mio articolo non è stato quello di esporre una mia nuova interpretazione del pensiero luterano. Solo in tal caso avrei dovuto abbondare nelle citazioni delle fonti, al fine di documentare e dimostrare il mio assunto e confutare gli avversari. Quindi nel mio articolo non dico niente di nuovo, che non sia già noto dalla critica, ma che però rischia di essere dimenticato dall’attuale rettorica celebrativa.
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ll mio intento invece è stato divulgativo e formativo, ma anche di approfondimento teologico, nell’ambito dell’ecumenismo e dell’apologetica cattolica, sia per far conoscere al cattolico di media cultura alcuni punti validi del pensiero di Lutero e sia per confutare gli errori, cosa che oggi si fa poco, mentre si loda Lutero a sproposito, per cui questi errori rischiano di sedurre anche i cattolici.
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Io non sono uno storico del luteranesimo, ma un teologo. Per questo mi interessa Lutero come tale; non mi interessano le varie interpretazioni dei suoi seguaci più o meno fedeli, gli abbellimenti o i tagli che essi operano nel pensiero del loro maestro.

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Non voglio mettermi in questo ginepraio, anche se riconosco che il pensiero di Lutero, nella sua ricchezza e complessità, ma anche per l’incoerenza, ambiguità, oscurità e paradossalità di certe sue posizioni, può richiedere che si consultino suoi autorevoli seguaci e far sì che certe interpretazioni del suo pensiero rimangano dubbie o incerte.

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Per questo chiedo al lettore che mi vuol giudicare, di stare a quello che dico su Lutero e non a quello che dicono i luterani, che peraltro non cito neanche nel mio articolo.

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Scrive Padre Giovanni Cavalcoli: «Come ho già avuto modo di spiegare pubblicamente in più occasioni sull’Isola di Patmos e altrove, il Papa ha, in forza del potere delle chiavi, la facoltà a sua discrezione di mutare le leggi della Chiesa, anche se fondate sul diritto divino. Ora la legge dell’esclusione dei divorziati risposati dalla Comunione eucaristica è una di queste» [cf. QUI].
Mi dispiace ma cambiare le leggi fondate sul diritto divino non è possibile perché si tratta appunto di diritto divino e quindi per sua natura immutabile. Il Papa in virtù del potere delle chiavi non ha autorità alcuna per cambiare ciò che Dio ha stabilito, se lo facesse commetterebbe un abuso e i suoi insegnamenti in materia non sarebbero vincolanti, in quanto espressione di uno pseudo magistero pastorale (non dogmatico e quindi non infallibile), la cui falsità risulta palese nella misura in cui si discosta dal dogma cattolico per rincorrere le false filosofie moderne, ricettacolo di ogni eresia.

Atanasio

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Caro Lettore.

bisogna distinguere l’istituzione dei sacramenti dalla disciplina dei sacramenti. La prima si deve a Cristo e costituisce il diritto divino o legge divina; la seconda è stata affidata da Cristo a Pietro e costituisce il diritto canonico o legge ecclesiastica.

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La proibizione della Comunione ai divorziati risposati, tuttora in vigore in base alla Amoris laetitia, certamente è fondata sul diritto divino, ma non in modo così necessario e stringente, che, se il Papa un domani vorrà, egli non abbia la facoltà, in base al potere delle chiavi (disciplina dei sacramenti), concedere il permesso della Comunione in casi speciali, che dovranno essere determinati dal diritto.

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Si può dire infatti che anche questo permesso potrà fondarsi sul diritto divino, benchè con ragioni differenti da quelle che hanno giustificato la proibizione. Infatti, mentre questa, come emerge dal n. 84 della Familiaris consortio, era motivata dall’opportunità di evitare lo scandalo, l’eventuale permesso dato dal Santo Padre Francesco, come si evince dalla Amoris laetitia (c. VIII), potrebbe esser motivato dall’opportunità di fornire alla coppia ulteriori mezzi di grazia, tali da consentir loro di affrontare con maggior fiducia e forza soprannaturale i doveri del loro stato, il quale, costituendo una forte occasione di peccato, in quanto stato irregolare, appare come un più difficile cammino di salvezza, che non quello delle coppie regolari.

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Avremmo qui un altro modo di rispettare la dignità del Matrimonio, della Confessione e dell’Eucaristia, ossia del diritto divino, adatto alla loro situazione, e diverso da quello attuato dalle coppie regolari e da quello previsto dalla legge della proibizione.

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Sarà bene che il Sommo Pontefice emani un’Istruzione per i Confessori, al fine di aiutarli per una corretta amministrazione del Sacramento in questa materia così complessa e difficile, come è quella dello stato dei divorziati risposati, distinguendo i casi nei quali i Confessori possono ammetterli ai sacramenti da quelli nei quali non possono, e lasciando ad essi un congruo spazio per il discernimento e la decisione.

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

Il rifiuto luterano della vita religiosa nato dal dramma interiore di Lutero

Theologica

IL RIFIUTO LUTERANO DELLA VITA RELIGIOSA NATO DAL DRAMMA INTERIORE DI LUTERO

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Martin Lutero avrebbe avuto le doti di un grande riformatore: aveva la tempra di un Sant’Agostino, era un buon riflesso di San Paolo, assomigliava al Savonarola o a San Pier Damiani o a San Bernardo di Chiaravalle, aveva il coraggio e la franchezza di una Santa Caterina da Siena, lo zelo di un San Pio X. Questi però sono stati veri riformatori; lui no.

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Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli, OP

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07.10.2016   Giovanni Cavalcoli, OP  — IL RIFIUTO LUTERANO DELLA VITA RELIGIOSA NATO DAL DRAMMA INTERIORE DI LUTERO

 

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