È accaduto che il Santo Padre Francesco abbia fatta propria una enciclica scritta da un Pontefice del futuro nell’anno 2023 …

È ACCADUTO CHE IL SANTO PADRE FRANCESCO ABBIA FATTA PROPRIA UNA ENCICLICA SCRITTA E PUBBLICATA DA UN PONTEFICE DEL FUTURO NELL’ANNO 2023 …

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L’Enciclica di Benedetto XVIII giunse a suo tempo in copia-omaggio a diversi alti esponenti della Curia Romana. Ebbene: può sorgermi oggi il piacevole sospetto che qualcuno l’abbia veramente letta?

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Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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quanta cura 1

Un libro scritto da Ariel S. Levi di Gualdo nel 2012 e pubblicato nel gennaio 2013

Il Sommo Pontefice Francesco ha modificato il canone n. 579 del Codice di Diritto Canonico in tema di istituti di vita consacrata diocesani. Secondo un rescritto firmato dal Segretario di Stato, Cardinale Pietro Parolin, il Sommo Pontefice ha deciso che per erigere nuovi istituti di diritto diocesano occorrerà «la previa consultazione della Santa Sede come necessaria ad validitatem». In caso contrario «si incorrerà nella nullità del decreto di erezione dell’istituto stesso» [cf. QUI]. 

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Il Cardinale Pietro Parolin ha spiegato nel rescritto che «è necessaria al fine di evitare che vengano eretti a livello diocesano dei nuovi Istituti senza il sufficiente discernimento che ne accerti l’originalità del carisma, che definisca i tratti specifici che in essi avrà la consacrazione mediante la professione dei consigli evangelici e che ne individui le reali possibilità di sviluppo».

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Un anno prima dell’abdicazione del Sommo Pontefice Benedetto XVI, mi dilettai a scrivere un libro che fu pubblicato nel gennaio del 2013. Questo testo, più che un libro, era una enciclica in forma di motu proprio data in San Pietro il 28 maggio 2023 nella solennità della Pentecoste dello Spirito Santo dal Sommo Pontefice Benedetto XVIII. Enciclica che questo Pontefice del futuro aveva titolata Quanta cura in cordibus nostris.  

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Permettetemi quindi di sorridere sul fatto che oltre tre anni fa, in un testo molto articolato di 206 pagine, il mio fantasioso Benedetto XVIII dedicava proprio l’intera parte quarta alla modifica di questo canone; parte così intitolata: «Sulla revoca ai Vescovi Diocesani della facoltà di riconoscere nuove congregazioni religiose e realtà ecclesiali. Modifica del canone 579 del Codice di Diritto Canonico».

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Come ho spiegato di recente ai lettori in un articolo [vedere QUI] i miei libri sono al momento fuori stampa, ma quanto prima saranno nuovamente ristampati tutti quanti, inclusa la enciclica di questo Pontefice del futuro. Nel frattempo potete però dilettarvi a leggere la parte nella quale veniva stabilita la modifica di questo canone, proprio per evitare che non pochi vescovi superficiali e privi a volte della basilare prudenza, dessero credito e riconoscimento ad un proliferante esercito di fondatori e fondatrici, spesso con tutti i più gravi danni conseguenti sia per le diocesi sia per la Chiesa universale.

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Ma c’è di più … nella parte quinta della sua Enciclica, il Sommo Pontefice del futuro Benedetto XVIII tratta il tema di «Una prima essenziale riforma della Curia Romana». Sentite cosa scrive, tra le varie cose, il nostro Pontefice  del futuro a proposito di certi titolo onorifici:

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11. Sul titolo onorifico di monsignore conferito a sacerdoti — Il titolo onorifico di monsignore deve essere riservato solo a quei sacerdoti che si sono particolarmente distinti nel servizio alla Sede Apostolica ed alle Diocesi. Ciò vuol dire che è parecchio improbabile che tale onorificenza possa essere conferita a dei giovani sacerdoti. Per questo stabiliamo che tale titolo onorifico, da conferire a sacerdoti particolarmente maturi e distinti, sia dato con molta parsimonia e soprattutto mai prima dei 50 anni compiuti, meglio ancora verso la fine del grato e prezioso servizio prestato disinteressatamente alla Chiesa universale e alle Chiese particolari […].

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Incredibile ma vero! Proprio quello che anni dopo farà il Santo Padre Francesco [cf. QUI, QUI] il quale però, mentre il Pontefice del futuro scriveva questa enciclica e dettava queste disposizioni, era sempre Arcivescovo Metropolita di Buenos Aires.

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Nella parte che tratta «Sui vescovi, il loro sacro ministero pastorale e la loro dignità apostolica», tra i vari paragrafi ve n’è un altro che merita di essere segnalato:

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12 Abolizioni delle sedi arcivescovili con diritto cardinalizio Non si è promossi alla dignità cardinalizia per “diritto di sede” ma per meriti particolari, dopo lunga e profonda opera di donazione alla Chiesa e al Popolo di Dio. Fatta sola eccezione per le sedi primaziali nazionali, si dispone la revoca del titolo cardinalizio a tutte le sedi arcivescovili del mondo che attualmente ne beneficiano. Il Romano Pontefice sceglierà il numero di cardinali necessario per formare il collegio cardinalizio principalmente tra vescovi diocesani e tra alcuni vescovi titolari. Potrà quindi accadere che anziché l’arcivescovo metropolita della grande sede che sino a prima ne aveva beneficiato per storico diritto di titolo, sia promosso alla dignità cardinalizia il vescovo di una diocesi suffraganea di quella stessa metropolia […]».

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Incredibile ma vero! Proprio quello che anni dopo farà il Santo Padre Francesco [cf. QUI, QUIQUI, ecc..] il quale però, mentre il Pontefice del futuro scriveva questa enciclica e dettava queste disposizioni, era sempre Arcivescovo Metropolita di Buenos Aires.

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sempre in questa parte dedicata ai Vescovi, udite cosa scrive il Pontefice del futuro riguardo le diocesi italiane:

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14 Sul numero eccessivo di diocesi italiane — In Italia dovrà essere rivisto il numero eccessivo di diocesi, diverse delle quali raggruppanti in numero di abitanti meno dei fedeli di una singola parrocchia delle grandi realtà metropolitane del mondo. Dovrà essere rivisto anche il numero delle sedi arcivescovili metropolitane e delle sedi arcivescovili, in particolare nelle zone dove per ragioni di carattere storico è stato dato il titolo di sede arcivescovile o di metropolia a realtà che oggi non hanno più motivo di sussistere. Secondo l’estensione territoriale e il numero dei battezzati, in Italia vi sia una sede metropolitana ogni tre milioni di battezzati, due oltre cinque milioni di battezzati, tre oltre i dieci milioni di battezzati. Nelle regioni con un numero di battezzati inferiore a tre milioni sia comunque istituita una metropolia, purché vi siano almeno cinque diocesi suffraganee, in caso contrario, le diocesi di quella regione, siano ripartite tra le province ecclesiastiche delle regioni vicine. Salvo reali e inderogabili necessità pastorali si proceda alla soppressione o all’accorpamento di tutte le diocesi inferiori per numero ai 100.000 battezzati.

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Incredibile ma vero! Proprio quello che anni dopo lamenterà il Santo Padre Francesco: il numero eccessivo delle Diocesi italiane [cf. QUI, QUI, ecc.] il quale però, mentre il Pontefice del futuro scriveva questa enciclica e dettava queste disposizioni, era sempre Arcivescovo Metropolita di Buenos Aires.

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Dove il Pontefice futurista tratta nella terza parte «Sui sacerdoti in particolare sulla liturgia ed i Sacramenti», udite che cosa scrive Benedetto XVIII, il quale invoca nuovi criteri circa l’esame e le sentenze di nullità matrimoniale da parte dei tribunali ecclesiastici: 

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23 Sulla celebrazione del Sacramento del Matrimonio — All’ occorrenza sarebbe necessario agire con responsabilità e coraggio, dicendo prudentemente di no alla richiesta della celebrazione di nozze avanzata da giovani o meno giovani affetti da palese immaturità, mossi da superficiale infatuazione, non animati da cosciente convinzione e, soprattutto, da basilare fede cristiana. Certi problemi andrebbero infatti prevenuti con accorta prudenza. È grave colpa del vescovo e del parroco, soprassedere con noncuranza su certi casi di chiara immaturità e presiedere ugualmente alla celebrazione del Sacramento, salvo poi ricordare in seguito, anziché prima, che il matrimonio è indissolubile, quando ricorrono tutti i presupposti per la sua validità. A tal proposito si invitano i tribunali ecclesiastici a valutare con cura, ai fini di una eventuale sentenza di nullità, i casi di mancata percezione e consapevolezza sacramentale da parte di sposi non adeguatamente stimolati ad acquisire il senso vero e profondo della natura del matrimonio religioso, prendendo però in tal caso, sempre e di prassi, anche i dovuti provvedimenti canonici nei confronti dei sacerdoti che si sono prestati alla celebrazione di un sacramento in tutti quei casi in cui era evidente la non opportunità di procedere nella sua amministrazione.

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Incredibile ma vero! Proprio quello che anni dopo farà il Santo Padre Francesco con il suo motu proprio Summi Pontificis sulla riforma del processo canonico per le cause di nullità del matrimonio [cf. QUI], il quale però, mentre il Pontefice del futuro scriveva questa enciclica e dettava queste disposizioni, era sempre Arcivescovo Metropolita di Buenos Aires.

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Il Pontefice del futuro, sempre nella parte terza dedicata ai sacerdoti, alla liturgia e ai Sacramenti, non manca di trattare il tema della confessione sacramentale, dando indicazioni ben precise ai confessori, del tipo …

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22 Sulla celebrazione del Sacramento della Penitenza — «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi a chi non li rimetterete non saranno rimessi». Si tenga sempre presente questo monito iniziale: «Ricevete lo Spirito Santo», perché attraverso la sua opera il confessore è chiamato a operare come strumento nelle mani della grazia di Dio. I Padri della Chiesa riuniti in concilio dichiararono che è necessario «per diritto divino confessare tutti e singoli peccati mortali». Amministrando questo delicato sacramento il confessore, che è chiamato a essere giudice ma soprattutto medico, sia anzitutto sempre misericordioso, largendo il perdono che procede da Padre dal Figlio e dallo Spirito Santo, perché Cristo è divina misericordia incarnata che racchiude in sé la dimensione umana-divina. Eviti sempre di essere inopportuno, si attenga a ciò che dice il penitente, non indaghi, non osi mai chiedere nomi di luoghi o di persone legate ai fatti narrati, specie se particolarmente gravi, faccia anzi l’esatto contrario: se il penitente volesse riferirli risponda che per dare conforto, consiglio e soprattutto remissione dei peccati, non è necessario riferire luoghi specifici e soprattutto identità dei soggetti, ma solo i fatti in sé, ad eccezione dei casi veramente particolari e straordinari la cui valutazione è rimessa tutta alla migliore saggezza del confessore e soprattutto alla luce dello Spirito Santo che lo illumina. Sia molto misurato nel rivolgere eventuali domande e lo faccia unicamente se proprio necessario, anzi solo se indispensabile, per esempio nel caso in cui non avesse compreso quanto esposto dal penitente, ma soprattutto si attenga sempre allo stretto merito di quanto gli è stato detto. Non faccia interrogatori e non apra mai argomenti su temi che il penitente non ha affrontato. In particolare non osi entrare in modo diretto o indiretto in discorsi legati alla sua intimità sessuale, se il penitente non aprirà in libera coscienza argomenti su certi temi o se non porrà espressi quesiti in tal senso. Sono infatti noti da sempre casi di fedeli che per causa di un pessimo confessore, o per le indagini o le domande inopportune e a vario titolo non dovute rivolte da un confessore, si sono allontanati per anni, a volte persino per decenni dalla Chiesa, dopo essersi sentiti violati nella loro più profonda sensibilità e intimità umana.

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Quanto torna alla mente il Santo Padre Francesco che anni dopo la pubblicazione di questa enciclica da parte del Pontefice del futuro, esordirà più volte, rivolto ai confessori, con espressioni di questo genere: «il confessionale non deve essere una camera di tortura» [cf. QUI], «il confessore deve essere misericordioso» [cf. QUI], «i penitenti non vanno maltrattati» [cf. QUI] …

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L’Enciclica di Benedetto XVIII giunse a suo tempo in copia-omaggio a diversi alti esponenti della Curia Romana. Ebbene: può sorgermi oggi il piacevole sospetto che qualcuno l’abbia letta veramente? A mano a mano che saranno presi altri spunti dall’enciclica del mio Pontefice futurista, sarò lieto di comunicarlo ai nostri affezionati lettori. Poi, se il Santo Padre volesse impiegarmi come consulente o consigliere, in tal caso avrebbe la garanzia che io, al contrario del Cardinale Walter Kasper & C., non gli suggerirei mai di andare a Stoccolma nel 2017, durante il centenario delle apparizioni della B.V. Maria di Fatima, a festeggiare i cinquecento anni della cosiddetta “Riforma” luterana, la quale lungi dall’essere stata tale, vale a dire una riforma, rimane ed è stata invece solo la celebrazione della dolorosa eresia di Martin Lutero che ha rotto la comunione con la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. E dinanzi alle eresie — come di recente ci ha sapientemente ricordato il Prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede, Cardinale Gerhard Ludwig Müller [cf. QUI] — noi, non abbiamo proprio niente da celebrare e tanto meno festeggiare.

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Per leggere la Enciclica in forma di motu proprio del Pontefice del futuro nella parte che tratta la riforma del can. 579 cliccare sotto

QUANTA CURA IN CORDIBUS NOSTRIS – parte quarta

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Fronte e retro della copertina del libro

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quanta cura 1

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Quanta cura 2

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Oppure in formato PDF aprendo

QUI

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Come salvare la fede, dopo avere udito certe omelie?

COME SALVARE LA FEDE, DOPO AVERE UDITO CERTE OMELIE ?

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La Chiesa, per ovvie ragioni di carattere pedagogico-pastorale, ha posto giustamente il Credo dopo l’omelia, affinché il Popolo di Dio, com’ebbe a dire il Cardinale Tomas Spidlìk: «possa seguitare a credere malgrado ciò che spesso è costretto a udire» dalle bocche di certi predicatori …

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Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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trinitas

Sei Padre, Figlio e Spirito, sei Dio unico …

In questa solennità nella quale la Chiesa universale celebra e glorifica la Santissima Trinità, mi soffermerò su alcuni passi del nostro Simbolo di fede, il Credo, quello che la Chiesa, per ovvie ragioni di carattere pedagogico-pastorale, ha posto giustamente dopo l’omelia, affinché il Popolo di Dio, com’ebbe a dire il Cardinale Tomas Spidlìk: «possa seguitare a credere malgrado ciò che spesso è costretto a udire» dalle bocche di certi predicatori, ed in specie in festività come quella di oggi, dalle quali si può percepire l’essere come purtroppo il non essere; e dinanzi al non essere, si aprono solo le porte del non divenire futuro.

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Per aprire l’articolo cliccare sotto

22.05.2016  Ariel S. Levi di Gualdo  —  COME SALVARE LA FEDE, DOPO AVERE UDITO CERTE OMELIE?

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A chi desidera approfondire l’argomento sulla autentica tragedia alla quale spesso è ridotta l’omiletica dei giorni nostri, suggeriamo la lettura di due libri scritti da un laico cattolico, Claudio Dalla Costa, editi da Effatà Edizioni

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claudio dalla costa avete finito

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Claudio dalla Costa Il Vangelo dei banchetti

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Il simbolo e lo svuotamento del reale storico nel Cristianesimo. Bisogna tornare al Vangelo dei banchetti, quello che nelle omelie nutre …

– theologica –

IL SIMBOLO E LO SVUOTAMENTO DEL REALE STORICO NEL CRISTIANESIMO. BISOGNA TORNARE AL VANGELO DEI BANCHETTI, QUELLO CHE NELLE OMELIE NUTRE …

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Una delle strategie usate ― ma oserei dire quasi la nuova e unica formula omiletica per spiegare il Vangelo ― è l’uso del “simbolo” … tutto viene ridotto a simbolo. La resurrezione di Gesù Cristo è un simbolo, la sua ascensione al cielo è un simbolo, la Pentecoste è un simbolo … tutto è un simbolo.

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Autore Jorge A. Facio Lince

Autore
Jorge A. Facio Lince

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Claudio dalla Costa Il Vangelo dei banchetti

un libro sul problema dell’omiletica, di Claudio Dalla Costa. 

Cosa deve pensare il fedele laico quando sente definire dal celebrante che sia la Risurrezione, l’Ascensione, la Pentecoste, sono soltanto dei simboli, o per meglio dirla con le parole di uno dei tanti predicatori: «… non possiamo pensare che Gesù dopo un po’ di tempo è salito in cielo, no. Lui si vaporizzò, divenne luce… l’ascensione è un simbolo».

Peccato che lo sceneggiatore Steven Spielberg non abbia pensato prima a questo genio per mettere in scena l’addio e la partenza del piccolo alieno nel vecchio film di ET; e seguendo questa linea si poteva risparmiare la scena del viaggio in cielo sulle biciclette volanti riducendo tutto ad una «vaporizzazione». Ma soprattutto: peccato che i grandi del cinema di fantascienza, così come del genere Horror, ancora non abbiano scoperto la genialità di alcuni predicatori che con i loro discorsi farebbero meglio il loro lavoro come sceneggiatori, anziché come ministri preposti all’annuncio del Vangelo …

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22.05.2016 Jorge A. Facio Lince – IL SIMBOLO E LO SVUOTAMENTO DEL REALE STORICO NEL CRISTIANESIMO. BISOGNA TORNARE AL VANGELO DEI BANCHETTI, QUELLO CHE NELLE OMELIE NUTRE …

 

 

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

Un caso serio: da Lutero a Rahner attraverso Hegel. Giochi di prestigio e salti mortali …

– Theologica –

UN CASO SERIO: DA LUTERO A RAHNER ATTRAVERSO HEGEL. GIOCHI DI PRESTIGIO E SALTI MORTALI …

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Sotto pretesto dell’ecumenismo, è accaduto che un rinato, devastante e seducente modernismo ha ceduto agli errori di Lutero. È questo il falso ecumenismo promosso per quant’anni dal Cardinale Walter Kasper, influenzato dall’idealismo tedesco.

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Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

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[…] i Rahneriani, questi nuovi farisei, convinti di essere all’avanguardia della Chiesa, non fermati a suo tempo tempestivamente da un episcopato miope e pauroso, e quindi per troppo tempo tollerati ed imprudentemente ammirati, hanno avuto agio, sin dall’immediato post-concilio, di organizzarsi e di crescere, puntando sistematicamente e sfrontatamente alla conquista del potere romano, e raccogliendo adepti negli ambienti accademici e dell’episcopato. E adesso Roma si trova attorno a sé questa folla invadente di intriganti, che la lisciano, la soffocano, vorrebbero imporle le loro idee, ne intralciano l’azione e fanno apparire Roma macchiata da una mondanità, che in realtà essa non possiede.  

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Per leggere l’articolo cliccare sotto:

20.05.2016 Giovanni Cavalcoli, OP – «UN CASO SERIO: DA LUTERO A RAHNER. GIOCHI DI PRESTIGIO E SALTI MORTALI …»

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Difendiamo i Vescovi italiani. Alla C.E.I il Santo Padre invita alla “povertà”. Il Padre Ariel mette in vendita la sua Porsche e con l’occasione domanda perdono al Cardinale Angelo Bagnasco

DIFENDIAMO I VESCOVI ITALIANI. ALLA C.E.I IL SANTO PADRE INVITA ALLA “POVERTÀ”. IL PADRE ARIEL METTE IN VENDITA LA SUA PORSCHE E CON L’OCCASIONE DOMANDA PERDONO AL CARDINALE ANGELO BAGNASCO

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Con il suo discorsi di apertura alla 69° Assemblea Plenaria dei Vescovi d’Italia, il Santo Padre ha detto delle cose giuste e vere, ma comunicate in modo sbagliato, con un pizzico di livore e soprattutto senza un prudente senso delle universali proporzioni, facendo così l’ennesima gioia dei nostri nemici di sempre e umiliando al tempo stesso una intera assisa di vescovi quindi umiliando noi presbiteri che li veneriamo e li ubbidiamo come nostri Pastori.

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Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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ariel vendesi porsche

nella foto: la Porsche da corsa di Padre Ariel messa in vendita. Il ricavato sarà devoluto in parte al comitato per la istituzione delle feste musulmane nelle scuole [cf. QUI], in parte per la costruzione di nuove moschee a Bologna [cf. QUI] e in parte per la costruzione di una pista ciclabile dentro la cattedrale metropolitana di Palermo [cf. QUI]

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PDF articolo formato stampa

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Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia. Ricordatevi della parola che vi ho detto: Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra. Ma tutto questo vi faranno a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato.

[G 15, 18-21]

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Il Santo Padre Francesco, più del suo Sommo Predecessore Giovanni Paolo II è un uomo che gioca coi mass-media, ma con una differenza: San Giovanni Paolo II dai mass-media è stato fatto in pezzi per lunghi anni. Infatti, in questo mondo affetto da gran carenza di memoria storica, tutti ricordano il vecchietto col corpo ormai deforme e col bastone di sostegno per muovere pochi passi. Tutti ricordano la delicatezza delle reti televisive che spostavano l’inquadratura durante le sacre celebrazioni quando sulle labbra del Santo Padre prostrato dalla malattia affiorava un filo di bava, mentre si sforzava di scandire le parole in modo comprensibile. Ecco allora cuori toccati, uomini e donne inteneriti, giovani piangenti … ma sul finir della sua vita!

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WOJTYLA SARA' BEATIFICATO IL PRIMO MAGGIO 2011 / SPECIALE

30 marzo 2005, pochi giorni prima della sua morte, una straziante immagine di San Giovanni Paolo che cerca di parlare, ma senza riuscirvi, affacciato al balcone per salutare la numerosa folla convenuta per l’Angelus in Piazza San Pietro.

Il sofferente vecchietto è stato infatti solo l’ultimo Giovanni Paolo II, non il primo, né il secondo. Se facessimo memoria storica dovremmo ricordare che questo Santo Pontefice, a partire dal 1978 – anno in cui chi scrive aveva 15 anni – è stato osteggiato e per anni insultato da quella stampa liberista che oggi inneggia «Viva Francesco!». A San Giovanni Paolo II dobbiamo riconoscere in ossequio alla verità che dei mass-media egli si è servito a caro prezzo per annunciare nel suo lungo pontificato ciò che il mondo non voleva sentirsi dire. Forse Eugenio Scalfari, direttore dell’attuale Osservatore Romano parallelo, ha perduto memoria, ma noi ci ricordiamo bene di lui, quando dalle colonne de La Repubblica, oggi organo ufficioso della Santa Sede, irrideva Giovanni Paolo II – accusato di essere contrario all’aborto – invitandolo a studiarsi un trattato-base di istologia. Giovanni Paolo II non piaceva al mondo laicista, non piaceva anche a una buona fetta di mondo cattolico, a un certo mondo teologico ed ecclesiastico, non piaceva ai comunisti, non piaceva ai massoni, non piaceva ai liberal-capitalisti; e per anni, il suo sommo magistero è stato diffuso dai mass-media attraverso le polemiche e gli attacchi spesso più virulenti; il tutto perché Giovanni Paolo II non si è mai curato di fare e di dire ciò che piaceva al mondo [cf. Gv 15, 18-21], ed è proprio su questo che si regge la eroicità delle sue virtù. Del Sommo Pontefice Francesco, al terzo anno del suo Augusto Pontificato possiamo dire invece l’esatto contrario: egli ha espresso ciò che il mondo, ed in particolare gli ultra liberisti volevano sentirsi dire, anche e soprattutto in toni critici, a volte anche furenti nei confronti della Chiesa, dei suoi vescovi e del suo clero. Tra i numerosi paradigmi resta per me sintomatico quello della massoneria: quando mai nel corso della sua storia, dalla nascita di questa perniciosa sètta gnostico-esoterica, con non indifferenti punte di satanismo, si erano mai sentiti i massoni ed i loro più alti vertici lodare un Sommo Pontefice e il suo pontificato? Perché le possibilità sono due e dubito che ve ne sia una terza: se i massoni lodano ed esaltano un Pontefice ed il suo pontificato, come ripetutamente hanno fatto e come stanno facendo, o costoro si sono convertiti, oppure c’è qualche cosa che non funziona; e questo qualche cosa ci deve molto inquietare.

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Con il suo discorso di apertura alla 69° Assemblea Plenaria dei Vescovi d’Italia, il Santo Padre ha detto delle cose giuste e vere, ma comunicate in modo sbagliato e senza un prudente senso delle universali proporzioni, facendo così l’ennesima gioia dei nostri nemici di sempre e umiliando al tempo stesso una intera assisa di vescovi, quindi umiliando noi presbiteri che li veneriamo e li ubbidiamo come nostri Pastori [testo integrale del discorso, QUI].

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Udienza generale del mercoledi'

solitamente, quando il Santo Padre non sorride, o parla dei vescovi o parla dei preti …

Ma partiamo dalle immagini, visto che oggi viviamo condizionati e schiavi del mondo dell’immagine. Tutti noi abbiamo visto il Santo Padre sorridere a piena bocca dinanzi a profughi veri o presunti, a carcerati, a donne mussulmane, a eretici luterani, pentecostali e anglicani. L’abbiamo visto sorridente in foto come “uno di noi” o come “er papa de noartri”, mentre dopo essersi servito al self-service della mensa della Domus Sanctae Martae si metteva a sedere col suo vassoio a un tavolo per consumare il suo pasto con cinque operai impiegati presso la Santa Sede … quando però comincia a parlare di vescovi o di preti, la sua faccia diventa seria, quasi cupa, il suo parlare è accompagnato da segni di smorfie sul volto. E queste sono immagini fotografiche e filmiche, non opinioni personali.

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La sostanza di fondo del discorso è ineccepibile ed i difetti e vizi del clero e dell’episcopato che il Santo Padre ha enunciato sono gli stessi che pure io ho indicato ripetutamente nel corso del tempo, già anni prima dell’inizio del suo pontificato; ed in toni più accesi e severi. Ebbene perché, nessuna delle correnti del laicismo strutturalmente e da sempre anticlericale e anti-cattolico, ha mai dato risalto a quegli scritti e a quelle pubblicazioni nelle quali un prete scriveva, proprio in quanto tale, dall’interno e con cognizione di causa, sui gravi mali che affliggevano la Chiesa e il suo Clero? Vi spiego subito il motivo: perché non potevano strumentalizzarmi. Perché più alti erano i miei toni critici più alta si percepiva la mia devozione alla Chiesa. Più severe erano le mie critiche più veniva confermato che anche ai vescovi più mediocri e scandalosi, anche a quelli infarciti di eresie moderniste e di errori dottrinali, era dovuta filiale obbedienza e rispetto. E queste cose, ai mass-media laicisti, anticlericali e massoni che oggi gridano «viva Francesco!», non interessano.

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Helder Camara

Il vescovo brasiliano Helder Câmara [1909-1999]

Il Santo Padre ha umiliato i Vescovi d’Italia sulle righe e dietro le righe di questa ennesima rampogna anche portando loro come modello di episcopale virtù un personaggio a dir poco ambiguo come il vescovo brasiliano Hélder Câmara, che mai personalmente mi sognerei di portare come esempio, ed in specie poi come esempio di dottrina e di pastorale. Un vescovo per il quale oggi, ad invocarne la beatificazione, è il gotha della Teologia della Liberazione, con in testa eretici e sacerdoti rinnegati come Leonard Boff e Giovanni Franzoni, come Hans Küng e via dicendo. E citare un così piccolo personaggio come modello per i vescovi di un Paese che ha donato alla Chiesa un celeste esercito di pastori veramente santi e illuminati, è offensivo e umiliante, se pensiamo al genere di levatura e di santità di vita alla quale sono giunti nel tempo molti modelli del nostro episcopato italiano. E voi capite che già questa sola citazione ha toccato al cuore come una freccia di cupido i mass-media laicisti e quelli della sinistra radical-chic, gli anticlericali ed i massoni che oggi gridano tutti in coro: «viva Francesco … el castigador !». Certo, si potrebbe dire che il Santo Padre ha detto anche alcune altre cose, ma resta il fatto che sui giornali di mezzo mondo, il messaggio che è passato, è stato l’ennesimo rimprovero a vescovi e preti italiani. E qui è lecito chiedersi: sbaglia il comunicatore a comunicare od i mezzi di comunicazione a riportare ciò che a loro solo aggrada? In ogni caso, c’è il rischio di un … “concorso in colpa”.  

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Nel suo approccio con i Vescovi d’Italia noto purtroppo che il Santo Padre manca del senso delle proporzioni, oltre a essere gravato, come più volte ho scritto e spiegato, dei tipici pregiudizi anti-romani che sono diversamente ma similmente propri di un certo clero tedesco e latinoamericano. E il senso delle proporzioni, assieme alla realtà oggettiva, imporrebbe di valutare e di riconoscere il fatto che quello italiano – seppur gravato di non pochi problemi, difetti e vizi congeniti – rimane ed è tutt’oggi il migliore episcopato del mondo, soprattutto da un punto di vista pastorale e dottrinale.

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Alessandro VI

Dipinto di Rodrigo Borgia, il Sommo Pontefice Alessandro VI [1492-1503]

È vero che nel corso della nostra storia, in periodi sociali molto complessi noi abbiamo avuto figure di potere discutibili come i cardinali delle famiglie Orsini, Farnese, Borghese, Colonna, Chigi, de’ Medici … ma è pur vero che se la Chiesa è sopravvissuta e se Roma non ha fatto la fine di Costantinopoli divenuta Istambul con la sua grande cattedrale convertita in moschea, lo dobbiamo anche a grandi uomini come il Sommo Pontefice Alessandro VI, la cui vita in generale e quella sua privata in particolare era tutta un programma; ma ciò non gl’impedì di essere un difensore della fede e della dottrina. E se oggi a Buenos Aires esiste un’arcidiocesi e se in Argentina esiste una Chiesa Cattolica, ciò non lo si deve di certo agli indios né ai poveri delle villas de las miserias ma lo si deve anche e soprattutto a figure di potere discutibili come i cardinali delle famiglie Orsini, Farnese, Borghese, Colonna, Chigi, de’ Medici … dei soggetti forse meno “politici” di quanto sta mostrando invece di esserlo il Santo Padre Francesco, ed il perché ve lo spiego subito …

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… la Chiesa più sfacciatamente ricca, anzi opulenta nella sua ricchezza, non è quella italiana ma quella tedesca. E questa ricchezza è tanta e tale che le parrocchie possono permettersi di stipendiare persino i membri del consiglio parrocchiale ed i catechisti.

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kirchensteuer

attraverso la Kirchensteur, la tassa di culto, la Chiesa Cattolica tedesca giunge a percepire sino a 10 miliardi di euro all’anno

A Roma io ricevetti i sacri ordini del diaconato e del presbiterato a pochi giorni di distanza da un mio confratello tedesco, caro amico e compagno di studi. A distanza di pochi mesi, quando dopo l’estate lui fece rientro a Roma dalla Germania e c’incontrammo di nuovo, parlando del più e del meno venni a scoprire che il mio primo stipendio percepito dall’Ente Sostentamento Clero era pari a 740 euro, il suo pari a 2.860. Assieme a questo “primo stipendio”, il confratello tedesco percepiva anche tutti i cosiddetti “extra”, perché ogni servizio pastorale nonché l’amministrazione di certi Sacramenti o la celebrazione delle Sante Messe, comportavano precisi e inderogabili compensi. Quindi il mio confratello percepiva in totale sui 3.400 euro al mese circa, senza spese di vitto, alloggio, forniture da pagare, ecc …

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Un parroco con 25 anni di servizio, in Germania giunge a prendere di stipendio tra i 5.000 ed i 6.000 euro al mese, del tutto esenti da spese, interamente coperte dalla parrocchia.

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negli anni Settanta una singola parrocchia tedesca era in grado di mantenere una intera diocesi missionaria nell’America Latina

Negli anni Settanta, una singola parrocchia tedesca, grazie al rapporto sproporzionato che c’era tra il marco tedesco e le monete di altri Paesi, era in grado di mantenere da sola un’intera diocesi missionaria del Brasile. E detto questo qualcuno si domanda come mai la Teologia della Liberazione è nata nel Nord dell’Europa e sia stata poi incubata dai teologi tedeschi tra il Brasile e vari altri paesi del Latino America? La Teologia della Liberazione – e non solo quella – è stata incubata dai tedeschi a botte di soldi;  gli stessi tedeschi che oggi, romanofobi più che mai, vogliono colpire sempre a botte di soldi l’episcopato e il clero italiano. 

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La Germania, seguita appresso dagli Stati Uniti d’America, è sempre stata il più grande contribuente della Santa Sede; in tempi recenti s’è aggiunta come grande contribuente la Chiesa Cattolica coreana, ch’è anch’essa ricchissima, essendosi il Cattolicesimo sviluppato in quel Paese nei ceti sociali più alti e ricchi. E non a caso questo Paese ha ricevuto la visita apostolica degli ultimi Pontefici, compreso il Pontefice Regnante amante dei poveri, dei profughi e delle periferie esistenziali, il quale non mi risulta abbia speso un sospiro sul tenore di vita condotto da molti preti coreani, gran parte dei quali provenienti dalle famiglie della più alta borghesia, in particolare di quelli che, strapieni di soldi, vengono a studiare a Roma.

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Quello che viene chiamato IOR, l’Istituto Opere di Religione, la cosiddetta Banca Vaticana, di fatto è una banca tedesca, perché i depositi si trovano presso un istituto bancario di Francoforte. Quindi possiamo dire che i tedeschi, in un certo senso, “amministrano” anche i fondi della Santa Sede.

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Dopo avere visto nelle chiese della Germania abusi liturgici d’ogni sorta, disciplina dei Sacramenti arbitraria … o peggio “vescovesse” luterane ospiti che durante la Santa Messa erano invitate a fare l’omelia al Vangelo … giustamente mi chiesi: «… ma se a Roma sanno tutto, perché non hanno mai fatto niente?». E ben presto compresi che non avevano mai fatto niente per il semplice fatto che i tedeschi reggon le corde della borsa. E come purtroppo sappiamo, per alcuni Dio è “uno, trino e … quattrino“!

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papa repubblica

La Repubblica, la quintessenza dell’anticlericalismo radical chic divenuta oggi l’organo ufficioso della Santa Sede

Se il Santo Padre ha da rivolgere delle rampogne, ecco allora che le rivolge solo al clero italiano. Forse anche perché i nostri vescovi non l’hanno informato del fatto che in Italia, non pochi parroci di comunità non abbienti – le quali non sono affatto poche – si trovano costretti a chiedere aiuto ai vecchi genitori pensionati per pagare la bolletta della luce della casa parrocchiale. E se il Santo Padre vuole eventualmente convocarmi, recandomi da lui coi conti alla mano potrei spiegargli che non potrei mai sopravvivere con 800 euro al mese di stipendio percepiti dell’Ente Sostentamento Clero, se da sempre non avessi mia madre e mio fratello che mi sostengono, affinché loro figlio e loro fratello prete possa condurre una vita entro quelli che sono gli schemi della umana dignità e servire così quanto meglio la Chiesa e il Popolo di Dio; cosa quest’ultima che preme molto ai miei familiari, ma che a quanto pare non preme invece più di tanto al mio Principale.

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Conosciamo bene sia i difetti del nostro episcopato sia quelli del nostro clero, ma li riconosciamo col dovuto senso delle proporzioni basate sui fatti, che sono questi: il nostro episcopato e il nostro clero, dinanzi a degli episcopati mondiali ed ai loro presbìteri che sono ormai nei concreti fatti completamente perduti, rimane tutt’oggi uno dei migliori episcopati del mondo.

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bastone e carota

bastone all’episcopato italiano e carote all’episcopato tedesco

Duole molto che quando si tratta di ricchezze ed amministrazione dei beni, il Santo Padre usi la mazza ferrata con l’episcopato e il clero italiano, ma non proferisca un sospiro sul clero tedesco, la cui ricchezza è veramente opulenta, tanto e quanto invece non lo è quella della Chiesa Italiana, ma soprattutto del suo clero.

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Detto questo ci si potrebbe domandare: politicamente che cosa accomuna Rodrigo Borgia, il Sommo Pontefice Alessandro VI e Jorge Mario Bergoglio, il Sommo Pontefice Francesco? Perché pare che entrambi, a distanza di secoli dalla loro elezione, una cosa in comune ce l’abbiano: l’avere trattato con un occhio di particolare riguardo i loro cosiddetti … elettori. A partire da uno dei peggiori vescovi-teologi citato in gloria dal Santo Padre Francesco dinanzi alla piazza in mondovisione a pochi giorni dalla sua elezione: il Cardinale Walter Kasper, ossia la presumibile anima pia che forse, assieme ad altri disastrosi affini, gli ha suggerito di andare a festeggiare, nel 2017, non il centenario delle apparizioni della Madonna di Fatima, ma la pseudo “riforma” dell’eresiarca Lutero. E dinanzi alle eresie diffuse da chi ha rotto la comunione con la Chiesa, la quale resta per mistero di fede una, santa, cattolica e apostolica, non abbiamo quindi proprio nulla da festeggiare, come ha ricordato quel grand’uomo del Cardinale Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede in uno dei momenti forse più tragici della nostra storia ecclesiale ed ecclesiastica [cf. QUI].

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Già in passato ho scritto in toni di rammarico e di allarme che il Santo Padre Francesco sta modificando la “personalità” dell’episcopato italiano con la nomina di vescovi che sono dei suoi veri e propri cloni, capaci solamente a parlare − viepiù con nauseabonda piaggeria – di periferie esistenziali, di profughi e di poveri. Cosa questa che mi induce ad esprimere delle parole di particolare stima e di profonda e sincera devozione sacerdotale nei riguardi dell’Arcivescovo Metropolita di Genova, il Cardinale Angelo Bagnasco, Presidente dei Vescovi Italiani:

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Angelo Bagnasco

il Cardinale Angelo Bagnasco, Arcivescovo Metropolita di Genova e Presidente della Conferenza Episcopale Italiana

«Eminentissimo Padre Cardinale, non passerà molto tempo che noi, con la morte nel cuore e le lacrime agli occhi risogneremo i tempi recenti nei quali avevamo come punto di riferimento e modelli di equilibrio pastorale uomini straordinari come lei. Domani noi vivremo nel vostro ricordo e sentiremo in modo drammatico la vostra mancanza. E quelli che, come il sottoscritto, in alcuni momenti vi hanno trattati con severità, si pentiranno − ma se è per questo io sono già pentito – d’esser stati severi con voi e renderanno la vostra vecchiaia meno sofferente venendovi a baciare la mano e dicendovi con profonda devozione che in verità voi eravate degli autentici Padri della Chiesa; e ve lo diremo sinceri e convinti dopo avere provato il peggio del peggio che sulla nostra pelle di presbìteri fedeli alla Santa Chiesa di Cristo e alla sua dottrina si sta ormai preparando».

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Nel frattempo, facendo mia la nuova esortazione del Santo Padre, ho deciso di mettere in vendita la mia Porsche sportiva. Forse potrebbero acquistarla i Frati Minori Francescani, se la magistratura svizzera gli ha sbloccato i conti che aveva loro congelati in una banca Elvetica in seguito a operazioni finanziarie non molto pulite. E tutte queste malversazioni finanziarie portate avanti in nome di Monna Povertà, sono avvenute proprio quando Ministro Generale dell’Ordine, per nove anni, era colui che, in quanto francescano e in quanto poverello, il Santo Padre ha voluto Arcivescovo Segretario della Congregazione per i religiosi, sempre sulla base del principio: i poveri e la povertà avanti a tutto, quindi è bene nominare a certi uffici chi la povertà la conosce bene; e con spirito di lodevole povertà ha mostrato santo sprezzo verso lo sterco del Demonio, il danaro, messo per questo a prudente distanza dentro le banche svizzere.

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Noi Presbìteri italiani siamo molto gelosi dei nostri Vescovi, come i nostri Vescovi sono da sempre gelosi dei loro Presbìteri, il tutto in un legame di profonda e antica fedeltà. E questa santa gelosia è frutto dei nostri venti secoli di storia cristiana italiana, una storia bagnata dal sangue dei martiri e fortificata dal genio dei nostri santi. E tutti assieme, Vescovi e Presbìteri, ci piacerebbe essere santamente gelosi del Regnante Pontefice, se il suo sport preferito non fosse quello di prenderci a schiaffi in faccia, non per correggerci, ma solo per piacere al mondo, per piacere a tutto ciò che da sempre non è cristiano, per essere applaudito ad ogni suo schiaffo dato sulle nostre facce da un esercito di gaudenti post-comunisti, massoni e liberal capitalisti …

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da L’Isola di Patmos, 18 maggio 2016

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Messaggio ai Vescovi in occasione dell’assemblea plenaria della C.E.I, dove si discuterà anche della formazione del clero, non però di quella dei vescovi che dovrebbero formare il clero

MESSAGGIO AI VESCOVI IN OCCASIONE DELL’ASSEMBLEA PLENARIA DELLA C.E.I, DOVE SI DISCUTERÀ ANCHE DELLA FORMAZIONE DEL CLERO, NON PERÒ DI QUELLA DEI VESCOVI CHE DOVREBBERO FORMARE IL CLERO

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«Puoi mostrarmene uno soltanto che abbia salutato la tua elezione senza aver ricevuto denaro o senza la speranza di riceverne? E quanto più si sono professati tuoi servitori, tanto più vogliono spadroneggiare all’interno della Chiesa».

[Bernardo di Chiaravalle al neoeletto Eugenio III]

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Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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PDF formato stampa del «TRATTATO BUONO PER OGNI VESCOVO»

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Venerabili Vescovi.

A partire da lunedì 16 maggio sarete riuniti a Roma nell’assemblea plenaria della Conferenza Episcopale Italiana, nel corso della quale, tra i vari temi, tratterete anche quello del «rinnovamento» e della «formazione del clero». Credo sia dunque legittimo domandarvi: siete veramente convinti di parlare del problema della “formazione del clero”, senza prima parlare del drammatico problema della formazione dei Vescovi che sono chiamati a formare il proprio clero? Per questo vi offro uno spunto di riflessione in questo «trattato buono per ogni vescovo».

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Per aprire il testo cliccare sotto

«TRATTATO BUONO PER OGNI VESCOVO»  –  MESSAGGIO AI VESCOVI IN OCCASIONE DELL’ASSEMBLEA PLENARIA DELLA C.E.I.

 

 

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Il diaconato alle donne? C’è chi parla di “ripristino”, ma come si può ripristinare ciò che non è mai esistito?

– Theologica –

IL DIACONATO ALLE DONNE? C’È CHI PARLA DI «RIPRISTINO», MA COME SI PUÒ RIPRISTINARE CIÒ CHE NON È MAI ESISTITO?

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tra tripudi di giornaliste cattoliche “impegnate” e teologhe femministe che gridano già “vittoria!”, le televisioni stanno parlando ed i giornali titolando che «Papa Francesco ha aperto al diaconato alle donne». Molto avrei da dire sulle giornaliste cattoliche “impegnate” e sulle teologhe femministe che stimo assai peggiori delle sette piaghe d’Egitto e che già stanno parlano e scrivendo del «ripristino» del diaconato femminile», che a loro dire «esisteva nei primi secoli di vita della Chiesa», mentre in verità nulla di ciò è mai esistito.

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Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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PDF formato stampa: studio sul diaconato femminile

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donne prete

rasserenatevi, cari fedeli cattolici, nella nostra Santa Chiesa non saremo messi bene, ma nessuno ha intenzione di mutarla in una succursale del Carnevale di Rio de Janeiro

Il Sommo Pontefice, in una delle sue espressioni a braccio, è tornato a sollevare l’ennesimo vespaio, dinanzi al quale viene da chiedersi: nel lanciare certe battute che in pochi minuti fanno poi in giro del mondo riempendo le pagine dei giornali, il nostro Augusto Pontefice, può non rendersi pienamente conto di ciò che dice, o forse se ne rende invece conto? La risposta a siffatto quesito è racchiusa nella sua coscienza, che solo Dio può leggere.

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Il Sommo Pontefice ha l’abitudine – a mio parere fuorviante – di lasciarsi intervistare dai giornalisti e di consentire che le persone pongano a lui delle domande a bruciapelo in contesti pubblici; e spesso sono domande incentrate su temi di straordinaria delicatezza ai quali non si può rispondere con una battuta più o meno telegrafica. Né si può rispondere in modo improvvisato e vago, perché nessuno di noi è onnisciente; e le discipline filosofiche, teologiche, storiche, giuridiche, sono talmente complesse e articolate che neppure il Vicario di Cristo in terra può conoscere di ogni singola scienza tutto quanto il sapere.

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2. vescova

Preghiera: «Signore, i tuoi Sacerdoti ti ringraziano per il dono incommensurabile della castità» (Ave, Pater et Gloria …)

Ma vediamo anzitutto cos’è realmente accaduto: durante l’incontro col Sommo Pontefice dell’Unione delle Superiore Maggiori «le consacrate hanno presentato la questione dell’apertura alle donne del diaconato permanente, con riferimento alla Chiesa primitiva. Francesco ha ricordato che l’antico ruolo delle diaconesse non risulta tuttora molto chiaro e si è detto disponibile a interessare della questione una Commissione di studio» [vedere testo su Radio Vaticana, QUI].

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Il Santo Padre non ha dato una risposta, ha replicato dicendosi «disponibile a interessare della questione una Commissione di studio». Ma nel giro di poche ore, tra tripudi di giornaliste cattoliche “impegnate” e teologhe femministe che gridano già “vittoria!”, le televisioni stanno parlando ed i giornali titolando che «Papa Francesco ha aperto al diaconato alle donne». Molto avrei da dire sulle giornaliste cattoliche “impegnate” e sulle teologhe femministe che stimo assai peggiori delle sette piaghe d’Egitto e che già stanno parlando e scrivendo del «ripristino» del diaconato femminile», che a loro dire «esisteva nei primi secoli di vita della Chiesa», mentre in verità nulla di ciò è mai esistito.

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1. vescova

Preghiera: «Signore, i tuoi Sacerdoti ti ringraziano per il dono incommensurabile della castità» (Ave, Pater et Gloria …)

Sono molto lieto che il Sommo Pontefice, rispondendo, si sia in un certo senso messo al riparo affermando: «l’antico ruolo delle diaconesse non risulta tuttora molto chiaro». Altrettanto lieto sono del fatto che abbia pensato di far sì che anche a ciò sia data risposta, come già in passato fu data alle istanze sul sacerdozio alle donne; e la risposta ricordiamo che fu la seguente: 

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«Pertanto, al fine di togliere ogni dubbio su di una questione di grande importanza, che attiene alla stessa divina costituzione della Chiesa, in virtù del mio ministero di confermare i fratelli, dichiaro che la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa» [2] 

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3. vescova

Preghiera: «Signore, i tuoi Sacerdoti ti ringraziano per il dono incommensurabile della castità» (Ave, Pater et Gloria …)

La risposta fu «no» con carattere definitivo. Colgo l’occasione per spiegare cosa s’intende in teologia dogmatica con definitorio e definitivo. Il modo definitorio si esprime attraverso il dogma e implica l’infallibilità. Il modo definitivo si esprime quando il Sommo Pontefice procede a «confermare i fratelli nella fede» [cf. Lc 22,32]. In ambo i casi, sia esprimendosi attraverso il magistero definitivo sia attraverso il magistero definitorio, egli si esprime infallibilmente [3]. 
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Non avendo io né fili diretti col Sommo Pontefice né coi suoi stretti collaboratori, visto che egli intende incaricare una commissione di studio, desidero mettere ad essa a disposizione fin da adesso uno studio già fatto su questo tema, che è appunto lo studio mio. Questo studio lo pubblicai nel febbraio 2010 per confutare una affermazione peregrina del Cardinale Carlo Maria Martini, il quale si auspicava, proprio come oggi si auspicano le giornaliste cattoliche “impegnate” e le teologhe femministe che stimo assai peggiori delle sette piaghe d’Egitto, il «ripristino» di ciò che nella Chiesa sia di Oriente sia di Occidente non è mai esistito: il diaconato femminile. Cosa che spiego in questo studio già riproposto nel dicembre del 2014 sulle colonne di Theologica dell’Isola di Patmos. 

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come sempre invitiamo ad andare alle fonti e a non basarsi mai sul “sentito dire” e sulle male interpretazioni dei giornali, quindi a leggere il testo ufficiale nel quale è riportato per intero il colloquio del Santo Padre con le religiose

QUI

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NOTE

[1] Costituzione dogmatica Lumen gentium n. 25 e Nota dottrinale illustrativa della formula conclusiva della professione di fede del 18 maggio 1998, n. 8.

[2] Ordinatio sacerdotalis del 22 maggio 1994

[3] Ad tuendam fidem, 18 maggio 1998.

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Per leggere lo studio cliccare sotto:

Ariel S. Levi di Gualdo – STUDIO SUL DIACONATO FEMMINILE

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

Amoris Laetitia. Concupiscenza e matrimonio. Il pensiero dell’Apostolo Paolo

AMORIS LÆTITIA. CONCUPISCENZA E MATRIMONIO. IL PENSIERO DELL’APOSTOLO PAOLO

 

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In San Paolo è evidente che per lui il rapporto uomo-donna corrisponde al rapporto superiore-inferiore [I Cor 11, 7-9; 14,34; I Tm 2, 11-14]. Ma queste sono idee sue. La dottrina invece del marito «capo della moglie» [Ef 5, 22-33] è un’altra cosa. Mentre infatti sul tema generale “uomo-donna” sentiamo Paolo col suo misoginismo rabbinico, nella dottrina del rapporto marito-moglie risplende certamente la bellezza della Parola di Dio, che non passa e che è stata confermata ed approfondita dal Concilio, che è giunto ad affermare che «la loro unione costituisce la prima forma di comunione delle persone»

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Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

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PDF articolo formato stampa

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Scrive Giovanni Cavalcoli: «Purtroppo non ci si è accorti per molti secoli che qui Paolo non riflette autenticamente la visione del Genesi e neanche quella evangelica» [ndr. QUI]. Ecco, ci voleva Giovanni Cavalcoli per dire che San Paolo, l’Apostolo delle genti, il più grande missionario ed evangelizzatore della storia della Chiesa «non riflette autenticamente la visione del Genesi e neanche quella evangelica». E allora chi, di grazia, la riflette autenticamente? Chi, dopo 2000 anni, si è accorto che San Paolo non era ispirato dallo Spirito Santo ma dalla foia quando scrisse le sue epistole? Ma Giovanni Cavalcoli, ovviamente! Più dotto di San Girolamo, più profondo di Sant’ Agostino, più arguto più di San Tommaso, più sottile di San Bonaventura. Più ispirato dello Spirito. Ecco, ho una proposta. Propongo di modificare una rubrica del messale secondo il rito romano della Santa Messa. Quando si darà lettura di 1Cor 7,9, anziché «Parola di Dio», si dirà «Qui Paolo non riflette autenticamente la visione del Genesi e neanche quella evangelica» oppure «Parola della foia»”. Al che i fedeli risponderanno con giubilo «Rendiamo grazie a Cavalcoli!».

Matteo

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4. bergoglionate

stile, classe e soprattutto “alta catechesi” del blog Bergoglionate

Partiamo dal metodo della esegesi biblica, visto che essendomi permesso d’aver notato che in San Paolo sussistono alcune idee discutibili sulla concupiscenza sessuale, legate al suo anti-femminismo, sono stato attaccato da più parti con accuse di modernismo e rahnerismo [cf. QUI]. Ritengo bene rispondere ai miei oppositori, perché ciò mi dà occasione di spiegarmi ulteriormente.

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Ricordo anzitutto ai miei oppositori che ho scritto un libro di critica a Rahner, frutto di trent’anni di studi. Li invito a leggerlo [1]. E invece di perdere del tempo con me, provino loro a scrivere una critica a Rahner come quella che ho fatto io!

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Comincio dunque con un discorso sul metodo. Nell’esegesi della Sacra Scrittura bisogna distinguere ciò che è veramente Parola di Dio dalle idee proprie dell’agiografo o della cultura propria del suo tempo. L’inerranza della Scrittura si riferisce evidentemente a quei passi, nei quali l’agiografo, ispirato da Dio, enuncia verità rivelate da Dio, ossia verità di fede.

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Senonché, però, è inevitabile che l’agiografo, essere umano limitato e fallibile, come tutti, lasci trapelare anche opinioni sue o del suo tempo, che non sono Parola di Dio, ma possono essere o idee molto arretrate o addirittura sbagliate, ovviamente senza alcuna intenzione di ingannare, ma semplicemente o per ignoranza o per i limiti del suo sapere.

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In tal modo, il progresso della conoscenza degli insegnamenti biblici comporta il fatto che, mentre ciò che appartiene alla Rivelazione resta sempre immutato, essendo Parola di Dio, le idee dell’agiografo possono essere accettate anche per lungo tempo; ma è possibile che a un certo punto la Chiesa si accorga, alla luce della stessa Parola di Dio, che esse sono superate o da correggere.

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Si trattava, in fin dei conti, di opinioni umane, che la Chiesa accetta non nel senso di dogmatizzarle – cosa che non potrebbe mai fare –, ma nel senso che per un certo tempo, anche molti secoli, non le disapprova e le lascia circolare. Quando però, col progresso dell’esegesi e della vita stessa della Chiesa, appare chiaro che queste idee sono superate o errate, la Chiesa interviene sposando la nuova e migliore interpretazione, che meglio riflette la verità della Parola di Dio.

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L’antichità, anche millenaria, di una dottrina biblica, non depone sempre a favore della sua immutabilità; occorre verificare nei singoli casi se si tratta di un dato di fede o di un’opinione dell’agiografo. Se la Chiesa si accorge e quando si accorge che era una semplice idea dell’agiografo o del suo ambiente culturale, non esita ad abbandonarla o addirittura ad escluderla esplicitamente, anche se lo fa con ogni riguardo, per non mancare di rispetto all’agiografo.

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I difetti dei modernisti e della loro cosiddetta esegesi modernista, al riguardo, non sono dati da questo principio della distinzione tra dato rivelato e idee dell’agiografo, ma da due cose:

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Prima cosa. I modernisti sono degli storicisti o evoluzionisti, vale a dire che non ammettono verità universali ed immutabili, neppure quelle di fede. Per loro tutto muta, anche Dio. Quindi, non mutano solo le idee dell’agiografo, ma anche il dato rivelato, nel senso che noi oggi non crediamo più alle stesse verità di fede, alle quali credeva San Paolo, perché anche la verità di fede cambia col passare del tempo e varia a seconda delle varie culture, per cui per loro non si dà un’unica fede, ma una pluralità di “fedi”. Secondo loro, non esistono verità eterne e sovratemporali, ma veritas est filia temporis. Quello che era vero ieri, è falso oggi e viceversa. Pertanto, la Chiesa sbaglia nel ripetere sempre le stesse dottrine o gli stessi dogmi, perché in tal modo essa resta indietro rispetto al progresso storico.

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Secondo i modernisti, per esempio Schillebeeckx, l’identità del contenuto di fede nel corso del tempo non è assicurato da concetti dogmatici, che non sono fissi, ma mutano e devono mutare, a seconda delle circostanze e delle situazioni storico-culturali. Infatti, per Schillebeeckx, il concetto non coglie il reale in se stesso, ma soltanto vi tende senza raggiungerlo. Il reale è colto invece da una «esperienza atematica preconcettuale», concreta, globale ed esistenziale, che però in se stessa è inesprimibile. Dobbiamo esprimerla; ma, per la natura stessa del nostro conoscere, nel momento in cui lo facciamo, siamo obbligati ad usare semplici, incerti e precari «modelli interpretativi», che sono solo delle immagini o metafore o paragoni, sostanzialmente soggettivi, almeno in relazione ad un dato tempo o una data cultura.

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Chi pretende di possedere, in materia di fede, verità universali, assolute ed eterne, è una persona rigida ed intollerante, non sa apprezzare il pluralismo, non ha senso storico, è un arretrato, non capisce il proprio tempo, è un presuntuoso, e un fondamentalista. e da questa gnoseologia relativista ed evoluzionista segue, nel campo della conoscenza di fede, che il contatto conoscitivo con Cristo non è assicurato, come nei dogmi, da idee astratte, ma dalla suddetta esperienza atematica, implicante la prassi, esperienza che sarebbe la stessa fede, per la quale attingiamo al mistero di Cristo. Senonché, però, per Schillebeeckx, nel momento in cui lo interpretiamo, esprimiamo e comunichiamo nei concetti, questi concetti non sono e non devono essere sempre gli stessi, ma sono e devono cambiare ed esser diversi, ossia adatti al mistero che intendiamo cogliere ed esprimere, a seconda dei tempi, delle circostanze e delle persone, alle quali ci rivolgiamo. Se uno resta attaccato ad un concetto superato o del passato, vive fuori del proprio tempo ed usa un linguaggio incomprensibile ai suoi contemporanei.

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Per esempio, per esprimere oggi il mistero di Cristo, Schillebeeckx propone di smettere di dire che «Gesù è Dio», perché questa espressione, secondo lui, sarebbe un avanzo della antica mitologia pagana dell’«uomo divino» (theiòs anèr), sarebbe meglio invece designare Cristo come «profeta escatologico». E similmente, invece di parlare, come fa il Concilio di Calcedonia, di «una persona in due nature», sarebbe meglio parlare di «una natura in due persone». E così via.

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Seconda cosa. Nell’interpretare la Scrittura, i modernisti, come i protestanti, non tengono conto di quei passi che la Chiesa ha già interpretato o addirittura servono come giustificazione, prova o fondamento scritturistici di un insegnamento dogmatico, e quindi essi non rispettano l’interpretazione fatta dalla Chiesa, ma li interpretano a modo loro, facilmente cadendo nell’eresia.

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Facciamo un esempio. La Chiesa, fondandosi su quei passi della Scrittura, dove si parla dell’anima umana, insegna 1. la distinzione fra anima e corpo [Concilio Lateranense IV del 1215; 2]; che l’anima è forma sostanziale del corpo [Concilio di Viennes del 1312; 3]; che l’anima è immortale [Concilio Lateranense V del 1513]. Ebbene, Rahner, negando esplicitamente questi dogmi della Chiesa, sostiene che quando la Bibbia parla dell’anima, intende sempre l’uomo intero.

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Nella questione in esame, il caso di San Paolo è di certo particolarmente delicato, trattandosi non di un semplice agiografo come altri, ma di un eminente Apostolo. Ma la Chiesa, che bada solo alla verità, non ha problemi a superare e correggere anche le idee umane, storicamente condizionate, di un San Paolo. Questo fatto è testimoniato con estrema chiarezza proprio riguardo al nostro tema della concupiscenza sessuale, strettamente connesso con quello della dignità della donna e del matrimonio, tanto che è bene trattarli assieme.

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La dottrina paolina del matrimonio come «rimedio alla concupiscenza», effettivamente è stata insegnata dai moralisti fino al Concilio Vaticano II, il quale, viceversa, trattando del matrimonio, non parla assolutamente di questa cosa. E da allora, i grandi documenti pontifici, come la Humanae Vitae del Beato Paolo VI, la Familiaris consortio di San Giovanni Paolo II, fino alla Amoris laetitia del Pontefice Regnante, sono su questa linea. Il che dimostra chiaramente che quella idea di San Paolo è superata, e se è superata, evidentemente lì Paolo di fatto non parla a nome di Dio, ma a nome proprio, o forse scambia in buona fede la sua idea per rivelazione divina.

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Non si tratta qui evidentemente di mettere in dubbio o di negare l’esistenza della concupiscenza sessuale, o la possibilità di annullarla nella vita presente. Essa invece è un lascito del peccato originale presente in tutti, e che consiste in una spinta irrazionale verso il piacere sessuale e l’atto che vi corrisponde. La ricerca del piacere è un impulso naturale nell’uomo e nell’animale. Il problema, per l’uomo, è che questa ricerca deve essere razionalmente motivata; e se così non è, è peccaminosa. Ebbene, la concupiscenza fa sì che la persona dell’altro sesso ci attiri a lei con una tale forza, che in certi casi è assai difficile frenare.

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San Paolo dice: chi non ce la fa a trattenersi, si sposi. Se invece ce la fa, è meglio che resti vergine. Oggi, come ho detto nel mio articolo [cf. QUI], da dopo il Concilio, la Chiesa parla diversamente: tutti, con una buona disciplina, l’esercizio e l’aiuto della grazia, dobbiamo essere in grado di dominarci, di regolarci, di controllarci e di frenarci, chè poi non si tratta altro che della virtù cardinale della temperanza, obbligatoria per tutti, sia che siamo chiamati al matrimonio, sia che siamo chiamati alla vita religiosa. Anche Paolo, in altri luoghi, ammette ciò senza problemi. E questa è certamente Parola di Dio.

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La scelta della propria vocazione, nella spiritualità di oggi, si tratti di matrimonio o di vita consacrata o di sacerdozio, non va più intesa rispondendo alla domanda se riesco o non riesco a trattenermi dal sesso. Ma, nel presupposto che io abbia raggiunto quel grado di temperanza, che mi rende padrone del mio istinto, questa scelta va fatta per motivi ben più alti: ossia la risposta al dono di Dio, ciò che del resto Paolo stesso riconosce: «Ciascuno ha il proprio dono da Dio» [I Cor 7,7].

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Ciò vuol dire che l’atto coniugale non dev’esser visto come conseguenza dell’apertura delle cateratte matrimoniali, per la quale il torrente della passione irrompe tumultuoso, ma legalizzato, nella vita coniugale. Non va visto come un soddisfacimento, uno sfogo e nel contempo un argine legittimo e tollerato, della concupiscenza, che diversamente dilagherebbe irrefrenabile, per cui la sua repressione sarebbe insopportabile o impossibile, come credeva Lutero.

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L’atto sessuale invece dev’essere espressione del dono di sé, volontà di far felice l’altro e accoglienza grata del dono che l’altro fa di se stesso. Atto, che, come ho detto nel mio precedente articolo, esprime l’amore ed accresce l’amore. L’assolvimento stesso del debito coniugale, che è dovere di giustizia e servizio all’altro, più frequente negli anziani, nei quali è indebolita la spinta dell’eros, deve continuare ad esser più che mai espressione dell’amore. Si potrebbe addirittura dire, pensando al sacramento del matrimonio, che l’atto coniugale è segno ed incentivo di santità.

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Il mutamento nella concezione del matrimonio avviato dal Concilio consiste in una visuale più ottimista e più nobile, più fedele alla Genesi ed al Vangelo: mentre prima del Concilio il matrimonio era posto accentuatamente nell’orizzonte della natura decaduta col peccato originale e dell’inferiorità della donna rispetto all’uomo, la visione nuova si pone decisamente nell’orizzonte della risurrezione e dell’uguaglianza di natura specifica fra i due e di mutua complementarità.

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La dignità della donna oggi viene meglio alla luce, le sue qualità morali sono meglio evidenziate, le sue attitudini spirituali più esaltate, mentre per converso diminuiscono le ragioni o i pregiudizi, che in passato, come nello stesso Antico Testamento, facevano vedere nella donna quasi un minus habens, un minore, con limitata responsabilità. Essa era vista come una creatura fragile, impulsiva, emozionabile, facile alle illusioni, suggestionabile, poco affidabile, da guidare, educare, controllare, correggere e tenere a bada; oppure un pericolo: una seduttrice, quasi una maliarda, dalla quale occorre guardarsi. In sostanza, la donna era vista nella luce di Eva peccatrice e non della Madonna.

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In San Paolo è evidente che per lui il rapporto uomo-donna corrisponde al rapporto superiore-inferiore [I Cor 11, 7-9; 14,34; I Tm 2, 11-14]. Ma queste sono idee sue. La dottrina invece del marito «capo della moglie» [Ef 5, 22-33] è un’altra cosa. Mentre infatti sul tema generale “uomo-donna” sentiamo Paolo col suo misoginismo rabbinico, nella dottrina del rapporto marito-moglie risplende certamente la bellezza della Parola di Dio, che non passa e che è stata confermata ed approfondita dal Concilio, che è giunto ad affermare che «la loro unione costituisce la prima forma di comunione delle persone» [GS, 12].

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Questi limiti che troviamo nella concezione paolina della donna non impediscono all’Apostolo di enunciare alcuni princìpi fondamentali della concezione cristiana della donna, princìpi, che certamente sono oggetto della Rivelazione: il principio della reciprocità: «Nel Signore, né la donna è senza l’uomo; né l’uomo è senza la donna» [I Cor 11,11]; e la prospettiva dell’unione escatologica, nella quale è implicita la risurrezione dei sessi, della quale ha parlato ampiamente San Giovanni Paolo II nelle catechesi sulla teologia del corpo: «Non c’è più né uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» [Gal 3,28]. Questo è il chiaro recupero di Gen 1-2, dove è insegnata l’uguaglianza di dignità e natura specifiche.  

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Col Concilio, comunque, è avvenuto un miglioramento nella visione della donna, per cui ella, senza che per questo cadiamo in facili ottimismi, è vista di più nella luce della Madonna che non di Eva. Il Concilio ha confermato la sostanza della sublime dottrina paolina sul matrimonio come immagine mistica (“mysterium magnum”!) e segno sacramentale nientedimeno che dell’unione di Cristo con la Chiesa. In questa dottrina – e qui siamo veramente nella Parola di Dio –, dove non traspare nulla della disistima di Paolo per la donna e della sua dottrina sulla concupiscenza sessuale, non ci pare di trovare neppure lo stesso autore. Del resto, una nota stonata dello stesso Paolo pare trovarsi nel c.7 della Prima Lettera ai Corinzi, dove si fatica a mettere d’accordo il suddetto sublime paragone mistico con la nota forse troppo umana, secondo la quale «la donna sposata si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere al marito» [v.34]. Ma se il marito è immagine di Cristo, che ne è allora di questa immagine? Siamo ancora daccapo col remedium concupiscentiae?

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È evidente il legame tra la donna vista in questa luce e il problema del controllo del sesso. Il progresso nella conoscenza della dignità femminile lungo i secoli è andato di pari passo con una prospettiva più elevata del matrimonio e della sessualità. È altresì evidente che, quanto più l’uomo abbandona il suo complesso di superiorità e vede nella donna non tanto la tentatrice o la minus habens, quanto piuttosto la compagna di viaggio verso il cielo, l’unione coniugale diventerà sempre meno la valvola di sicurezza e lo sfogo legittimato e tollerato dell’istinto e sempre più dono disinteressato d’amore: amoris laetitia!

Varazze, 10 maggio 2016

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Note

[1] Karl Rahner. Il Concilio tradito, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2009.

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Mai sfidare la Divina Provvidenza con opere che sono solo frutto di mano d’uomo

MAI SFIDARE LA DIVINA PROVVIDENZA CON OPERE CHE SONO SOLO FRUTTO DI MANO D’UOMO

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Essendo noi uomini di fede, crediamo nella Divina Provvidenza. Avendo poi per grazia di Dio, non certo per nostro merito, una fede abbastanza “adulta” e solida, sappiamo che la Divina Provvidenza non può essere mai sfidata attraverso opere che non sono di Dio ma opera d’uomo, legate a personalità di ecclesiastici o di laici che danno vita in seno al mondo ecclesiale a opere dietro le quali si celano spesso superbia e vanità, non di rado la megalomania d’uomini che dicono d’aver ricevuto precise missioni a loro affidate da Dio, mentre in realtà hanno parlato solo con sé stessi, credendo, nell’ipotesi migliore, d’aver parlato con Dio; nella peggiore, c’è da parte di taluni la consapevolezza di giocare sui misteri della fede per buggerare il prossimo a scopi personali, spesso a puri fini di lucro.

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Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Gli idoli dei popoli sono argento e oro, opera delle mani dell’uomo.
Hanno bocca e non parlano; hanno occhi e non vedono;
hanno orecchi e non odono; non c’è respiro nella loro bocca.
Sia come loro chi li fabbrica e chiunque in essi confida.

[Sal 134, 15-18]

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Cari Lettori.

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Ipazia. 7

«… se questo prete, quando scrive, non la smette di fumare, lo sbatto fuori di casa»

Giovanni Cavalcoli e io, il nostro collaboratore Jorge A. Facio Lince, Ipazia gatta romana che vigila sull’Isola di Patmos, siamo lieti d’informarvi che dal 1° gennaio al 30 aprile questa nostra rivista ha già raggiunto tre milioni di visite.

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Il numero di 3.000.000 di visite fu toccato l’anno scorso nell’intero corso del 2015, mentre in questo nuovo anno è stato raggiunto e superato nei soli primi quattro mesi.

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Grazie ai lettori abbiamo sostenuto quelle spese di gestione che Giovanni Cavalcoli come sacerdote domenicano, io come sacerdote del clero secolare, non avevamo mezzi personali per coprire.

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ipazia 1

l’ombra osservatrice della grande sovrintendente: Ipazia gatta romana

Per le spese di gestione dell’anno 2016 i lettori hanno offerto 1.700 euro, una singola benefattrice ha donato 3.500 euro per raggiungere l’importo dei 5.200 euro necessari.

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Vi illustriamo l’attività che vorremmo avviare e che consiste anzitutto in questo:

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– registrare L’Isola di Patmos e iscriverla all’albo delle riviste specialistiche presso l’Ordine dei Giornalisti, perché essendo di fatto una rivista, è giusto e opportuno che sia regolarmente registrata;

– aprire le Edizioni L’Isola di Patmos, avendo tra l’altro già diversi Autori da pubblicare e diverse opere di Giovanni Cavalcoli e di Ariel S. Levi di Gualdo che hanno già avuto diffusione e che tutt’oggi, sebbene fuori stampa, ci sono state ripetutamente richieste da parte di numerosi lettori;

– stampare L’Isola di Patmos come rivista quadrimestrale, raccogliendo in tre numeri all’anno i principali articoli, specie di Theologica, quindi spedendola per abbonamento.

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Ipazia 3

… sempre vigile e osservatrice

Essendo noi uomini di fede, crediamo nella Divina Provvidenza. Avendo poi per grazia di Dio, non certo per nostro merito, una fede abbastanza “adulta” e solida, sappiamo che la Divina Provvidenza non può essere mai sfidata attraverso opere che non sono di Dio ma opera d’uomo, legate a personalità di ecclesiastici o laici che a volte danno vita nel mondo ecclesiale a opere dietro le quali si celano spesso superbia e vanità, non di rado la megalomania d’uomini che dicono d’aver ricevuto precise missioni a loro affidate da Dio, mentre in realtà hanno parlato solo con sé stessi, credendo, nell’ipotesi migliore, d’aver parlato con Dio; nella peggiore, c’è da parte di taluni la consapevolezza di giocare sui misteri della fede per buggerare il prossimo a scopi personali, spesso a puri fini di lucro.

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Se ciò che noi intendiamo fare è opera di Dio, affinché sia reso un migliore servizio alla Chiesa di Cristo ed alle verità di fede di cui noi siamo per ministero sacerdotale e missione teologica devoti annunciatori, in tal caso la Divina Provvidenza si concreterà ancora una volta attraverso di voi dandoci perlomeno i mezzi per cominciare, vale a dire il necessario per procedere alla registrazione e alla iscrizione dell’Isola di Patmos nel registro delle riviste specialistiche e per aprire le Edizioni L’Isola di Patmos.

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Ipazia 2

Ipazia, una gatta a stretto contatto con la santità, infatti sta dormendo sopra i tre volumi di una causa di canonizzazione curati dal Padre Ariel …

Siamo in grado di stampare e vendere libri on-line, in formato cartaceo ed elettronico. Abbiamo già contattato diverse librerie in varie Città italiane che ci hanno data disponibilità a mettere i nostri libri in vendita. Una distribuzione capillare sarà possibile solo in futuro, se l’impresa andrà bene, perché dare libri a un distributore implica costi inizialmente non sostenibili. Sarà però possibile ordinare e ricevere i nostri libri per posta e trovarli in alcune librerie di Roma, Firenze, Bologna, Genova, Milano, Torino, Novara, Verona, Catania, Cagliari. 

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Abbiamo deciso e scelto di muoverci a questo modo perché reduci da esperienze non felici con il mondo dell’editoria.

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A partire dal 2006 io presi a pubblicare i miei libri col marchio dell’Editore Mauro Bonanno [Roma-Acireale], divenendo in breve uno dei suoi autori più venduti. Tra il 2006 e il 2013 detti alle stampe 5 libri, due dei quali ebbero in modo particolare buone vendite e furono oggetto di attenzioni da parte della stampa nazionale e internazionale.

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Ipazia 5

«Jorge, chiama il Padre Giovanni Cavalcoli e domandagli se può scrivere quell’articolo sul principio metafisico della natura felina, sai che ci tengo molto»

Scrivere certi libri all’Autore costa in tutti i sensi. Spesso certi testi richiedono anni di studio, lavoro e ricerca. Il risultato da me ottenuto fu però a dir poco deludente: malgrado le mie numerose richieste non sono mai riuscito ad avere dall’Editore neppure i rendiconti sul venduto; manco la soddisfazione di sapere quante copie avevano venduto i miei libri! E se non ho mai ottenuto i rendiconti, meno che mai un centesimo di diritti d’Autore. Il tutto dopo aver firmato contratti disattesi dall’Editore nella parte fondamentale: il rendiconto annuale e il pagamento dei diritti d’Autore.

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La goccia che fece tracimare il vaso fu quando l’Editore – che conobbi nel 2005 come intellettuale di sinistra – si scoprì mazziniano e divenne massone. E trascurando le varie collane, compresa quella teologica da me fondata e diretta, si mise a pubblicare decine di testi di storia ed esoterismo massonico. Cosa gli abbiano promesso quattro massoni di periferia non so, ma una cosa è certa, malgrado gli arcani intrallazzi della Libera Muratoria, al momento non è divenuto né Luigi Einaudi né Arnoldo Mondadori.

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Nutrendo verso la Massoneria il pio sprezzo cristiano che nutro da sempre verso l’idolatria e la profanazione del Nome del Creatore, a maggior ragione non intendevo accettare che un editore che non pagava la mercede dovuta all’operaio avesse però mezzi per fare regalie alla Loggia, non ultimo anche coi proventi derivanti dalla vendita dei miei libri. Né potevo dimenticare i moniti da me rivolti come confessore a vari cattolici circa il fatto che la Massoneria è incompatibile con l’essenza stessa del Cristianesimo. E sebbene io fossi responsabile dei libri scritti da me, non certo di quelli pubblicati dal Gruppo Editoriale Bonanno, che raggruppa i marchi Bonanno Editore, A&B e Tipheret, ritenni non opportuna la presenza del nome di un sacerdote e di un teologo fedele ai precetti della Chiesa all’interno di un Gruppo divenuto un circolino di frammassoni, i testi del quale [cf. QUI, QUI, QUI] sono tutt’oggi diffusi da un distributore cattolico, la Dehoniana Libri S.p.a. E quando di questo informai a suo tempo i buoni Padri Dehoniani, chiedendo se la catena di distribuzione della Dehoniana era sempre sotto il loro controllo e se per caso avevano accettato di distribuire anche testi di esoterismo massonico, non ebbi neppure la grazia di una risposta. 

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ipazia 6

«Fammi leggere … si, l’articolo è molto bello, però devi dire al Padre Giovanni che a mio sommesso parere andrebbe aggiunto un riferimento anche al Primo Concilio di Costantinopoli»

Visto che l’Editore non aveva rispettato i contratti, lo informai tramite un consulente legale che gli stessi erano da ritenersi dissolti e che svincolato da ogni obbligo tornavo in possesso delle mie opere. L’Editore, specializzato a rifondare società che sotto altro nome portavano avanti la stessa attività distribuendo gli stessi Autori che pure avevano firmato contratti con le società precedenti, tramite il nuovo amministratore, quello che in gergo giuridico si chiama testa di legno, evase la mia richiesta e ritirò dal mercato i miei libri ancora in distribuzione. Questo il motivo per il quale i miei libri non si trovano più in commercio: ne ho imposto il ritiro io per il mancato rispetto degli accordi contrattuali da parte dell’Editore che li aveva pubblicati e diffusi.

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Questa esperienza mi ha indubbiamente segnato, tanto che, sebbene diversi editori mi abbiano chiesto nel corso di questi ultimi tre anni miei libri in pubblicazione, mi sono rifiutato di concederglieli, avendo sperimentato come funziona la piccola editoria in un Paese come il nostro nel quale la vendita dei libri è al di sotto di quella dei Paesi del Terzo Mondo. Ho deciso, insomma, di non pubblicare più gratis et amor Dei, a beneficio di chi presume di concederti il “grande onore” di offrire gratis il tuo duro lavoro per i benefici altrui.

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Ipazia 8

«… ebbene lo ammetto, sono la gatta del prete, però viviamo come fratello e sorella in conformità al n. 84 della Familiaris Consortio, sia chiaro!»

Società editrici serie esistono, difficilmente pubblicano però libri di nicchia indirizzati a lettori che spaziano tra lo specialistico e l’interesse su certi temi trattati in maniera approfondita. Basti vedere il ciarpame edito o distribuito dalla Pia Società San Paolo, una Casa Editrice che pur facendo capo a una congregazione religiosa distribuisce nella catena della sue librerie testi di eretici quali Hans Küng, Vito Mancuso e il defunto Andrea Gallo. Il tutto mentre certi Vescovi per un verso, certi laici più clericalizzati del clero per altro verso, paiono impegnati solo a mostrare privato o pubblico dissenso verso la tremebonda esortazione apostolica Amoris Laetitia, perché tutti i problemi sono concentrati dentro il lattice di un preservativo o di un rapporto pre-matrimoniale, temi sui quali – come ben capite – vive o cade l’intero mistero della fede. Poi, per il resto, se le Suore Paoline ti raccomandano nelle librerie cattoliche il Küng o il Mancuso in lettura come testi di alta spiritualità cattolica, nulla da dire, nulla di cui scandalizzarsi e nulla su cui battagliare. Questo il motivo per il quale, quando di questi tempi vedo ecclesiastici e laici entrare dentro le altrui camere da letto col bilancino dell’orefice, come già ho dichiarato sono assalito da orticaria. E ciò non perché il peccato capitale della lussuria e con essa l’adulterio sia stato derubricato, giammai! Ma semplicemente perché la lussuria non è l’unico dei peccati capitali, ma soprattutto non è né il primo né il più grave, posto che al primo posto – come da tempo vado ripetendo – c’è la superbia, la satanica regina di tutti i peggiori vizi capitali. E trasformare il sesso e la sessualità umana nel centro motore dell’intero mistero del male, a suo modo ha veramente del clerico-patologico [rimando al mio precedente articolo, QUI].

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Detto questo capite, Cari Lettori, quanto sia importante mettere in salvo per un verso, pubblicare e diffondere per altro verso, i libri dei grandi Padri della Chiesa e dei grandi teologi del passato e del presente in un mondo nel quale, all’interno delle librerie cattoliche gestite direttamente da congregazioni religiose, la fanno da padroni Carlo Maria Martini, Bruno Forte, Walter Kasper, Enzo Bianchi, Vito Mancuso … Questa è l’opera che noi ci siamo prefissi ma per la quale non abbiamo mezzi per espletare neppure le prime necessarie pratiche burocratiche, perché gli eretici trovano sempre soldi, sovvenzioni e sponsor, noi no. E purtroppo, in questa società che dal pensiero liquido sta passando al pensiero vaporoso, immersa nella drammatica carenza di memoria storica, dove tutto è sempre più paralizzato e finalizzato all’immediato, senza proiezioni verso il futuro, corriamo il sicuro rischio che tra non molti anni, opere di straordinaria importanza per il patrimonio della fede, finiscano irreparabilmente perdute.

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ipazia 9

«… quando mi raccolsero vicino alle Catacombe di Priscilla sull’antica Salaria, ero povera, affamata e incolta, ma poco dopo ho mostrato il mio naturale talento per la filosofia, divenendo così Ipazia gatta romana»

Per dare avvio all’impresa ci occorrono 4.000 euro per espletare le pratiche burocratiche per la rivista telematica e per l’apertura della Casa Editrice; 6.000 euro per la stampa e la messa in vendita dei primi 10 libri. Da una parte chiediamo ancora aiuto ai Lettori, dall’altra, assieme all’aiuto, chiediamo una risposta che solo voi potete dare a degli uomini di fede: tutto questo, è volontà di Dio per servire Cristo, la Chiesa e la sana dottrina cattolica? Se così è, l’aiuto arriverà, se invece non arriverà, allora vuol dire che noi ci siamo sbagliati e che seppure in buonafede e animati da totale disinteresse siamo in errore.

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Così pensano e agiscono uomini che in fede credono nella Divina Provvidenza ma che mai sfiderebbero la Divina Provvidenza per realizzare opere proprie che non provengano da Dio.

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E per concludere mi torna a mente la frase di un vecchio parroco che con enormi sacrifici riuscì a costruire la nuova chiesa parrocchiale, sulla quale fece collocare in un discreto angolo la seguente lapide: «Questa chiesa è stata costruita con i preziosi consigli offerti dai ricchi e con i soldi offerti dai poveri».

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dall’Isola di Patmos, 5 maggio 2016

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Per aiutarci potete servirvi del comodo e sicuro sistema Paypal dove si trova il conto dell’Isola di Patmos









 

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

Amoris Laetitia. Il fondamento della indissolubilità del matrimonio

AMORIS LÆTITIA. IL FONDAMENTO DELLA INDISSOLUBILITÀ DEL MATRIMONIO

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La nullità del matrimonio quasi sempre emerge in modo drammatico dopo un certo tempo, più o meno lungo, possono passare anche anni ed esserci di mezzo dei figli, anche se ci è sposati in chiesa, e si è trattato di un matrimonio celebrato con grande solennità: tappeto rosso dall’ingresso della chiesa fino all’altare riccamente addobbato, mazzi di fiori esotici, lungo tutti i banchi della chiesa, fotografi e cine-operatori, folla entusiasta e commossa di gente della buona società, abbondante offerta al parroco. Eppure si è trattato di una semplice messa in scena. Nonostante la solenne Messa cantata e solenne benedizione, la grazia può esser scesa, ma non certo la grazia del matrimonio, dato che mancava la materia adatta. Il povero parroco, attorniato da concelebranti, si è preso, come dicono i romani, una bella buggeratura [o detta in romanesco: s’è pijato ‘na sola].

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Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

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PDF articolo formato stampa

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papa firma

Il Sommo Pontefice firma la esortazione post-sinodale Amoris Laetitia

Uno degli scopi che si prefisse Gesù Cristo nel suo insegnamento e nella sua opera fu quello di presentare, ripristinare e promuovere il piano originario divino sull’uomo, descritto nel Genesi, indicandolo come modello della condotta umana, compatibilmente alla condizione di natura decaduta dopo il peccato originale.

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Non si è trattato di un ripristino pieno e totale dello stato di innocenza, ma soltanto di alcuni elementi, che Cristo ha prospettato come realizzabili, col soccorso della sua grazia e mediante un’opportuna disciplina, in questa vita mortale, indebolita dal peccato, alcuni elementi di quella felice condizione originaria.

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“Indissolubilità del matrimonio” non vuol dire che di fatto il vincolo non possa essere sciolto, altrimenti non esisterebbe il divorzio. Indissolubilità vuol dire che non deve essere sciolto, ossia che non esiste un diritto a sciogliere il vincolo. Quindi, questo atto non può mai essere un bene. Infatti, è volontà di Dio che l’uomo si unisca alla sua donna, in modo tale che i due non son più due, ma una sola carne. Però non si crea un’unione che di fatto non possa essere spezzata, come invece è l’unione infrangibile che esiste per esempio tra il colore di un vaso e il vaso stesso, oppure l’unione che esiste tra l’anima e le sue facoltà. Uomo e donna sono fatti per unirsi tra loro, ma dipende dalla loro volontà attuare e mantenere questa unione. Dio vuole che siano uniti per sempre; ma a loro è possibile disobbedire a questa volontà e dividersi. Non devono mai sciogliere il vincolo; ma dipende da loro rispettarlo, conservarlo, mantenerlo; oppure spezzarlo, infrangerlo o scioglierlo, ossia dividersi. È chiaro che, se restano uniti, fanno la volontà di Dio; se si dividono, peccano.

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Qual è il motivo per il quale marito e moglie devono restare uniti per sempre in un amore unico, esclusivo, incomunicabile ad altri o non partecipabile o condivisibile da altri? Dio non dice “si unirà a una donna qualsiasi o a più donne”, ma “alla sua donna”.

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Perché Dio non permette l’amore di gruppo o la poligamia o l’amore occasionale o part-time o l’avvicendarsi delle donne? La volontà di Dio lascia invece intendere che ad ogni uomo deve corrispondere quella data donna e non altre, e viceversa. È un po’ come il fatto che ad ogni serratura occorre quella data chiave e non altre o a chi ha difetti di vista, occorrono quei dati occhiali e non altri.

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Col peccato originale questo piano divino si è offuscato nella mente degli uomini, la loro volontà ha cominciato a tendere al peccato, mentre le loro forze hanno cominciato ad essere insufficienti per realizzare questo alto ideale.

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Nell’Antico Testamento, Dio, con la legge di Mosè, mostra una certa tolleranza, permettendo la poligamia e il divorzio, soprattutto in alcuni personaggi importanti, patriarchi e sovrani. Ma con la Nuova Alleanza, stipulata da Cristo, Dio vuole che, in Cristo e con la grazia di Cristo, venga ristabilito il progetto primitivo, almeno nelle sue linee fondamentali, necessarie ad una conveniente riproduzione della specie umana.

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Cristo in tal modo istituisce il matrimonio come sacramento di salvezza e di santificazione. Si tratta sempre dello stesso vincolo coniugale naturale, già rivelato nel Genesi, nella sua unità, indissolubilità, esclusività e fecondità, ma purificato, arricchito, elevato e rafforzato dalla grazia soprannaturale, in modo tale che gli sposi, nonostante le loro debolezze e la loro peccaminosità, possano essere in grado, con l’aiuto di Dio, di esser fedeli al loro amore per tutta la vita e superare prove, difficoltà e tentazioni, assolvendo agli obblighi del matrimonio e della famiglia.

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Con l’istituzione di Cristo, la fedeltà e l’indissolubilità del vincolo per tutta la vita diventa di nuovo un obbligo per tutti. Adesso, però, Dio permette alcune condizioni di vita che rendono impossibile il pieno ripristino del matrimonio edenico. La prima di queste condizioni è l’esistenza della morte.

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Ciò consente la liceità delle seconde nozze. Questo fatto è connesso a sua volta alla seconda condizione, ossia che nella vita presente questa perfetta reciprocità è molto rara. Avviene allora, che le seconde nozze sono rese possibili e si giustificano con la suddetta possibilità assai rara dell’esistenza delle cosiddette “anime gemelle”, ossia di una perfetta corrispondenza o reciprocità, insostituibile ed esclusiva tra questo dato uomo e quella data donna.

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Nella vita presente, l’espressione la “sua donna” resta valida, ma perde di rigore e determinatezza.  L’esatta corrispondenza edenica resta solo un sogno o un’illusione per molti, i quali però sono chiamati ad accontentarsi di qualcosa di meno, che non rende comunque impossibile una fedeltà fino alla morte.

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Molti invece oggi purtroppo concepiscono il prender moglie come l’acquisto di un’auto o di un computer, per cui, se trovano un prodotto migliore, sono portati a lasciare il vecchio per il nuovo. Questa difficoltà a trovare il compagno adatto può giungere fino al punto che il soggetto resta solo. D’altra parte, Cristo introduce anche l’ideale della vita religiosa, che comporta la rinuncia al matrimonio. Ciò non vuol dire che nel regime della Nuova Alleanza non continui a valere il principio della reciprocità uomo-donna e della “sua donna”. È da notare, infatti, che, nel Genesi, Dio non dice «si unirà a sua moglie», ma «alla sua donna». Infatti il termine usato qui è ishà, che significa appunto “donna”, mentre per dire “moglie”, l’ebraico ha balàh.

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Queste parole del Genesi, come è noto, sono riprese da Cristo nel Vangelo di Matteo [cf. 19,5]. Ma qui, siccome il greco ha gynè, sia per dire donna che per dire moglie, il testo greco non rende esattamente quello ebraico. Tuttavia, siccome nel passo di Matteo Cristo parla del matrimonio, è giusto rendere gynè con “moglie”. Comunque sia, dal Genesi risulta che la reciprocità od unione o comunione uomo-donna, come la si voglia chiamare, non si riduce al rapporto marito-moglie, ma è un valore più ampio, che tocca l’essere umano come tale, e può e deve riguardare ogni essere umano, uomo o donna, laico o e religioso che sia.

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L’indissolubilità del matrimonio suppone che Dio crea ogni uomo ed ogni donna con una sua propria, precisa, inconfondibile ed immutabile identità, che resta immutata e immutabile nel tempo fino all’eternità. Se però nello stato edenico l’individuazione e il riconoscimento di questa identità non faceva alcuna difficoltà, nello stato presente di natura decaduta, questo discernimento diventa difficile, e richiede una speciale capacità intuitiva o introspettiva, che la fenomenologia husserliana chiama Einfühlung [1], parola che in italiano si traduce con “empatia” o “entropatia”. Nella gnoseologia del Beato Duns Scoto si ammette similmente la possibilità di cogliere la haecceitas di quella data singola persona.

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È chiaro che ben pochi possono valersi di simili metodi filosofici, mentre invece la vocazione al matrimonio è la vocazione della stragrande maggioranza della popolazione. Si deve dunque ammettere un metodo più semplice, che consenta a due giovani che si piacciono, di poter capire se sono fatti per unirsi in matrimonio. Per sapere questo, bisogna che entrambi si accorgano della suddetta reciprocità, ossia devono capire oggettivamente e gustare nell’intimo l’identità sostanziale l’uno dell’altro, il valore della sua persona, le doti del carattere, senza ignorare i difetti, andando al di là delle apparenze, oltre agli aspetti caduchi, superficiali e quelle che possono o potranno essere evenienze accidentali, per cogliere la sostanza della sua personalità. È questa la base sulla quale fondare un patto e stringere un vincolo indissolubile.

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Circa questa questione dell’identità immutabile della persona, da più di tre secoli, abbiamo a che fare con l’obiezione, che viene dall’empirismo inglese, soprattutto da Locke, seguìto poi da Hume, il quale, esagerando la parte dell’esperienza nella conoscenza umana, e trascurando di coltivare l’attività intellettuale, perde di vista questo nucleo sostanziale immutabile della persona, che sta a fondamento e ragion d’essere di ogni forma di contratto o pattuizione umana, che si intendono stabiliti per sempre.

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In queste visioni della realtà e quindi anche della persona umana non si danno verità definitive e assolutamente certe, ma ogni teoria o legge può sempre esser cambiata al sorgere di nuove esperienze. Le mutazioni accidentali invadono tutto il campo della conoscenza, per cui una cosa o una persona non viene definita con la pretesa di coglierne l’identità, l’essenza, la sostanza, o la haecceitas, come se essa si trovasse nascosta dietro gli accidenti o i fenomeni sensibili.

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La sostanza, secondo gli empiristi, non è altro che la collezione unitaria degli accidenti, che non rimandano ad altro che a se stessi, gli uni agli altri, in modo reciproco. La persona è come una nuvola del cielo o una goccia d’acqua o una fiamma: non c’è da distinguere una sostanza immutabile da accidenti mutevoli, ma tutto muta ed evolve, anche se la nuvola o la goccia o la fiamma può essere la stessa. Da ciò si capisce bene che, con questa concezione della persona, qualunque promessa vien fatta o qualunque impegno vien preso, e qui ovviamente cade la promessa di fedeltà coniugale, tutto ciò implica sempre la riserva di mantenere i patti, finché non capiterà qualcosa di previsto o imprevisto, che motivi il loro scioglimento o annullamento.

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Viceversa, una volta che i due si accorgono di esser fatti l’uno per l’altro, in vista della fondazione di una famiglia, sorge spontanea nel loro cuore la volontà di stare assieme per tutta la vita, appunto con l’intento di realizzare questo proposito [2]. Questa volontà fonda e condiziona la verità o validità del patto o vincolo coniugale, dà per cui, se ci si sposa per motivi diversi o contrari a questa volontà, che fonda, giustifica, garantisce e costituisce l’essenza del patto matrimoniale, tale patto non esiste, è invalido, è nullo. Similmente, sarebbe nulla un’ordinazione sacerdotale basata su di un concetto falso del sacerdozio, come è per esempio quello di Rahner.

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La nullità del matrimonio quasi sempre emerge in modo drammatico dopo un certo tempo, più o meno lungo, possono passare anche anni ed esserci di mezzo dei figli, anche se ci è sposati in chiesa, e si è trattato di un matrimonio celebrato con grande solennità: tappeto rosso dall’ingresso della chiesa fino all’altare riccamente addobbato, mazzi di fiori esotici, lungo tutti i banchi della chiesa, fotografi e cine-operatori, folla entusiasta e commossa di gente della buona società, abbondante offerta al parroco. Eppure si è trattato di una semplice messa in scena. Nonostante la solenne Messa cantata e solenne benedizione, la grazia può esser scesa, ma non certo la grazia del matrimonio, dato che mancava la materia adatta. Il povero parroco, attorniato da concelebranti, si è preso, come dicono i romani, una bella buggeratura [o detta in romanesco: s’è pijato ‘na sola].

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Non è escluso che la coppia, accortasi della nullità del matrimonio, riesca, tutto sommato, ad andare avanti, soprattutto per amore dei figli. È bene che lo faccia. Ben altra cosa invece è il divorzio. Esso è una grave disobbedienza alla volontà di Dio, volontà che resta intatta e immutata, benché disattesa dai due. In tal senso il matrimonio è indissolubile. I due possono essere infedeli, ma Dio resta fedele e dà ad essi modo di pentirsi e di tornare assieme. Il divorzio è dunque il dividere ciò che Dio ha unito e che vuole che sia unito. Il divorzio è peccato grave contro la giustizia e la carità in chi, uno dei due o entrambi, pur avendo contratto un matrimonio valido, è infedele al patto sacro celebrato davanti a Dio e alla Chiesa. Certo, se i due regolarmente sposati, non ce la fanno più a vivere assieme, è bene che si separino. Tuttavia, resta valido il vincolo davanti a Dio e alla Chiesa, e non possono contrarre nuove nozze. Viceversa, se due si piacciono, non è questo un motivo sufficiente per andare a vivere assieme, soprattutto se sono legati a un matrimonio valido precedente. È possibile che questo sia nullo e che adesso abbiano incontrato il vero amore. Ma per mettersi in regola davanti a Dio, alla Chiesa e alla loro coscienza di cattolici, devono prima ottenere la dichiarazione di nullità, e poi potranno contrarre nuove nozze benedette da Dio.

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Quanto ai matrimoni misti, bisogna fare attenzione. Ci sono casi, per esempio, di unioni fra un cristiano e un musulmano, che non danno preoccupazioni. Si sta però verificando in altri casi, sembra più numerosi, che la parte musulmana vuol costringere quella cristiana a farsi musulmana. In questo caso, se la parte cristiana avverte che è messa in pericolo la sua fede, può ritenersi sciolta dal vincolo coniugale. Questoi caso fu già contemplato da San Paolo [cf. I Cor 7, 12-15], e perciò si  chiama “privilegio paolino” ed è stato recepito nel Diritto Canonico [Can.1143, §1].

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La Chiesa dunque distingue quattro casi, nei quali i due possono lasciarsi: tre leciti e doverosi e uno illecito. Casi nei quali devono lasciarsi: 

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1. Concubinaggio (convivenza more uxorio tra due non sposati); 

2. privilegio paolino; 

3. matrimonio nullo. Caso a parte, che sarebbe il quarto, è invece il caso del divorzio.

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Occorre fare attenzione a non confondere: annullamento, scioglimento e divorzio. Annullamento o dichiarazione di nullità è la sentenza del tribunale ecclesiastico, che dichiara che un vero vincolo non c’è mai stato, nonostante la pregressa convivenza e l’eventuale presenza di figli. Lo scioglimento è l’effetto della misericordia divina, la quale vuol proteggere il fedele o la fedele, benché il vincolo fosse valido. Il divorzio invece è la rottura di un vincolo valido. Stando così le cose, nel matrimonio valido e vero, i due si promettono reciprocamente di esser fedeli per tutta la vita a questo patto d’amore, che è il patto coniugale, in forza del quale essi diventano marito e moglie. Nel momento di questa decisione, Dio li unisce per sempre e li benedice con la sua grazia. Essi si uniscono coscientemente, volontariamente e liberamente. Ma questo stesso atto della loro volontà è adempimento della volontà di Dio, Che li ha voluti unire dall’eternità e per l’eternità ha progettato il loro matrimonio.  Purtroppo oggi, con la mentalità storicista ed evoluzionista che si è insinuata anche in ambienti cattolici, pochi riflettono sulla grandezza di questo amore, chiamato ad essere un amore eterno e addirittura, come sacramento, un amore salvifico, una via di salvezza.

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Molti ironizzano su ciò e lo credono una bella utopia, se non un inganno, guardando allo spettacolo desolante di tante separazioni, di tanti tradimenti, di tante delusioni, di tanti divorzi, di tanti amori estinti, di tante unioni fallite, di tante famiglie distrutte. Ma anche superato questo ostacolo e confutato l’empirismo, col mostrare come l’intelletto non possa fare a meno dell’idea di sostanza [3], sorgono altri problemi. Infatti, ancora tutto questo non è sufficiente per guardare con sicurezza e serenità al futuro, senza temere delusioni o brutte sorprese, per il fatto che, anche ammessa la possibilità di cogliere l’essenza dell’altro, l’indissolubilità del matrimonio non è la semplice fedeltà ad un dato fisso ed immutabile, quale può essere l’essenza della mia persona e di quella dell’altro, ma la fedeltà all’impegno quotidiano di entrambi, che si suppone continuativo, coerente e perseverate nel tempo per tutta la vita.

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Ora, sappiamo tutti quanti mutamenti avvengono nella nostra condotta. Come ci si può impegnare per tutta la vita con una persona che magari adesso è buona, ma poi diventa cattiva? E se mi tradirà? E se mi avesse nascosto certe cose cattive? E se avesse avuto un cattivo passato che può tornare? Domande angosciose, quando si ama una persona.

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La terza delle condizioni, proprie della natura decaduta, è la concupiscenza, ossia il fatto che il desiderio o impulso sessuale non è più conseguenza dell’amore e incentivo all’amore, non è più donazione di sé e disponibilità all’altro, non è più un far gioire l’altro e un gioire per il dono che l’altro fa di sé, ma è in gioventù brama incontrollata e godimento e sfruttamento egoistico dell’altro, mentre nell’anzianità e nella malattia il desiderio si illanguidisce nella frigidità e addirittura nella ripugnanza. Nella gioventù dev’essere frenato; nell’anzianità dev’essere potenziato.

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San Paolo, con la sua famosa teoria del matrimonio come remedium concupiscentiae [cf. I Cor 7,9] ha evidentemente sott’occhio solo i bollori della gioventù e non la debolezza dell’anzianità. Si ha l’impressione che egli non consideri cosa buona l’atto sessuale, per cui diventa scusabile e tollerabile nel matrimonio: «è cosa buona per loro rimanere come sono io; ma se non possono vivere in continenza, si sposino; è meglio sposarsi che ardere» [vv.8-9]. Ma tutto ciò sembra sottendere in Paolo una dissociazione per non dire una contrapposizione fra amore ed unione sessuale. Purtroppo non ci si è accorti per molti secoli che qui Paolo non riflette autenticamente la visione del Genesi e neanche quella evangelica, dove l’essere “una sola carne” è visto come qualcosa di buono, sia in se stesso [Gen 2], sia in rapporto alla procreazione [Gen 1].

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Soltanto nel secolo scorso il Concilio Vaticano II, nella Costituzione Pastorale Gaudium et Spes, ha soppresso questo dualismo insegnando invece il nesso tra l’amore coniugale e l’unione sessuale con queste parole: “Questo amore è espresso e reso perfetto in maniera tutta particolare dall’esercizio degli atti, che sono propri del matrimonio; ne consegue che gli atti coi quali i coniugi si uniscono in casta intimità, sono onorevoli e degni e, compiuti in modo veramente umano, favoriscono la mutua donazione, che essi significano ed arricchiscono vicendevolmente in gioiosa gratitudine gli sposi stessi” [n.49].

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Il Beato Paolo VI ha ripreso questo insegnamento nell’enciclica Humanae vitae [n.11], e San Giovanni Paolo II lo ha ulteriormente sviluppato, come ricorda l’attuale Pontefice nell’Esortazione Amoris laetitia, quando afferma che «nelle sue catechesi sulla teologia del corpo umano, San Giovanni Paolo II ha insegnato che la corporeità sessuata è “non soltanto sorgente di fecondità e di procreazione”, ma possiede “la capacità di esprimere l’amore: quell’amore appunto, nel quale l’uomo-persona diventa dono”» [n.152].

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Se l’uomo non riesce a dominare l’istinto sessuale prima o fuori o dopo il matrimonio, non ci riuscirà neanche nel matrimonio. Il rimedio alla concupiscenza non è il matrimonio, ma è l’educazione all’autocontrollo. Se si cerca il matrimonio per soddisfare la concupiscenza, si resta schiavi dell’istinto, si scarseggia nella lucidità mentale, nella forza della volontà e nel senso di responsabilità, che sono necessari per mantenere la fedeltà coniugale e si mette in pericolo la tenuta del vincolo matrimoniale. Oppure, non ci si accontenta della propria moglie, ma si cercano altre occasioni per soddisfarsi, soprattutto quando l’avvenenza della sposa sfiorisce con l’avanzare dell’età. L’atto sessuale nel matrimonio dev’essere libero atto d’amore e non lo sfogo di una passione, che non si riesce a trattenere. Questo è il modo giusto per conservare la fedeltà. Ma l’indissolubilità del matrimonio si giustifica anche col fatto che l’educazione della prole richiede una presenza premurosa dei genitori, che non ha mai termine, e risulta normalmente dalla collaborazione reciproca dei genitori. Si sa come il pensare ai figli è un forte incentivo alla fedeltà coniugale. Inoltre, l’anzianità vissuta assieme nel reciproco aiuto è anch’essa un poderoso fattore di fedeltà ad un unico amore.

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A questo punto allora vediamo come una fedeltà coniugale seriamente pensata e veramente vissuta non può prescindere da un rapporto con Dio. Per questo, presso tutti i popoli, il rito del matrimonio è sempre un rito sacro. Dovevamo arrivare alla nostra società secolarizzata, per ridurre il rito del matrimonio o il contratto matrimoniale ad una profana cerimonia in Comune, come se si trattasse di stipulare un contratto d’affitto o di registrare un passaggio di proprietà. Ma purtroppo vediamo come spesso anche i matrimoni religiosi entrano in crisi. Si stanno moltiplicando i matrimoni nulli.

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La crisi dei matrimoni dipende, fondamentalmente, a mio giudizio, da una crisi della fede tra i credenti. Non si avverte più l’importanza, l’altezza e l’arduità dei valori e degli elementi che ho esposto sopra. Si considera il matrimonio non come una realtà trascendente, che dipende sì da noi, ma soprattutto dalla grazia divina. Si vede il matrimonio come un qualunque contratto terreno, in potere delle nostre decisioni, come pensò erroneamente Lutero, quando negò la sacramentalità del matrimonio.

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Se si medita seriamente sul valore dell’indissolubilità del matrimonio, come ho cercato di proporre in questo articolo, ci si accorge subito che non è possibile affrontare l’impresa senza affidarsi a Dio e contare sulla sua grazia.

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Un fenomeno che oggi fa riflettere è quello di quei divorziati risposati, che vorrebbero fare la Comunione e, stando anche all’Esortazione Amoris laetitia, non ne hanno il permesso. Alcuni vorrebbero confessarsi. Vien fatto di chiedersi: ma nella condizione irregolare e scandalosa, nella quale si trovano, cosa li spinge a desiderare i sacramenti? Possono essere pentiti o almeno uno dei due, ma non aver modo di interrompere la loro relazione. E d’altra parte, è possibile che non ce la facciano a vivere come fratello e sorella. Il Santo Padre ha detto che possono essere in grazia. Dunque non si sono dimenticati di Dio e della Chiesa. E Dio e la Chiesa non si sono dimenticato di loro.

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Varazze, 4 maggio 2016

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NOTE

[1] Vedi lo studio di Edth Stein, Il problema dell’empatia, pp. 157-158, Edizioni Studium, Roma, 1985.

[2] Parlando del matrimonio tra San Giuseppe e la Madonna, San Tommaso dà questa notevole definizione: «la forma del matrimonio consiste in una certa indivisibile congiunzione degli animi, per la quale i coniugi sono tenuti a mantenersi indivisibilmente fedeli l’uno all’altro», Summa Theologiae, III, q.29, a.2.

[3] Cf M. D.Philippe, Essai de Philosophie – L’etre – Recherche d’une philosophie première – I, Téqui, Paris 1972, chap.III; T.Tyn, Metafisica della sostanza. Partecipazione e analogia entis, a cura di G. Cavalcoli, Edizioni Fede&Cultura, Verona, 2009.

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