Per vivere la risurrezione di Cristo è necessario abbandonare sogni, favole e idoli, penetrare il reale nell’obbedienza della fede e fare la volontà del Padre

PER VIVERE LA RISURREZIONE DI CRISTO È NECESSARIO ABBANDONARE SOGNI, FAVOLE E IDOLI, PENETRARE IL REALE NELL’OBBEDIENZA DELLA FEDE E FARE LA VOLONTÀ DEL PADRE

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Sulla pietra rovesciata del Cristo risorto che ha vinto la morte, a tutti noi spetta un grande compito: scegliere tra i sogni e le favole sotto le quali tutto quanto crolla, oppure mettersi in cammino lungo la Via di Emmaus. Perché solo in questo secondo caso Dio ci verrà incontro come compagno di viaggio, ci chiamerà «amici», visiterà la nostra vigna e la trasformerà veramente in un’opera sua, dopo che l’uomo sarà riuscito a rinunciare al proprio omocentrismo per entrare nella dimensione del cristocentrismo.

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Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Pasqua 2016, Veglia di Pasqua [Lc 24, 1-12] Mattino di Pasqua [Gv 20, 1-9], omelia alla Santa Messa del giorno di Ariel S. Levi di Gualdo

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LA RESURREZIONE - TEMPERA 1996 - CM.50 X 35

la risurrezione del Cristo, opere di Quirino de Ieso, anno 1996, tempera su tela 50×35

Sulla scena della risurrezione le donne sono testimoni e protagoniste, come narra il Vangelo del Beato Apostolo Luca letto durante la veglia pasquale e nel Vangelo del Beato Apostolo Giovanni proclamato in questo giorno di Pasqua. Lapidarie sono le parole dette dell’Angelo alle donne nel vangelo lucano: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo?”. Sono parole dalle quali si edifica sulla roccia del sepolcro una verità eterna, quella che i profeti hanno trasmesso ad un popolo che cercava il Signore nei luoghi e negli spazi in cui lo aveva lasciato ieri, mentre l’Onnipotente Creatore è sempre avanti e sempre ci precede, invitandoci ad un cammino incessante, come recita le splendida lode Victimae pascali: «Surrexit Christus spes mea/ præcedet suos in Galilaeam», Cristo mia speranza è risorto e precede i suoi in Galilea.

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Ariel S. Levi di Gualdo, Veglia di Pasqua

Nella storia religiosa l’uomo tende spesso ad avanzare all’indietro ed a guardare a ritroso. Mentre invece Dio vuole che l’uomo guardi sempre in avanti, perché a partire dall’incontro del Signore risorto con i discepoli lungo la via di Emmaus [cf. Lc 24, 13-53], noi siamo stati proiettati in avanti verso l’eterno. Chi infatti ha paura del presente e del divenire futuro, finisce col vivere imprigionato tra un passato che non deve passare ed un presente immobile fatto spesso di sogni e di fantasie.

In certe situazioni di immobilismo si tende a vivere paralizzati nei propri piccoli possessi mascherati dietro fantasiosi castelli di intoccabili tradizioni, ignari del monito dato del Signore Gesù che ammonisce: «Così avete annullato la parola di Dio in nome della vostra tradizione. Ipocriti! Bene ha profetato di voi Isaia, dicendo: Questo popolo mi onora con le labbra ma il suo cuore è lontano da me. Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini» [cf. Mt 15, 7-9].

Cristo Gesù non è chiuso dentro la tomba della verità di ieri, perché la verità è viva e vive in Gesù Cristo Risorto che porta sempre impressi su di sé i segni indelebili della passione. Cristo è colui che sempre risorge, che sempre rinnova il mistero del suo corpo e del suo sangue vivo attraverso il mistero eucaristico.

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Ariel S. Levi di Gualdo, Veglia di Pasqua

Lo Spirito Santo, ch’è dono divino dato dal Risorto nella Pentecoste, ci spinge in avanti, basta solo non confondere lo Spirito Santo con lo spirito proprio; basta non crearsi un fantasioso Gesù a nostra misura che guarda caso dice e comanda a certi uomini esattamente ciò che essi vogliono sentirsi dire, dando vita in tal modo ad uno dei peccati più terribili: la chiusura alla grazia di Dio. Ora voi capite bene che chiudersi e indurre il prossimo a chiudersi alla grazia di Dio in nome di Dio, è terribile empietà.

Cristo risorto colma di grazie e benedizioni le proprie opere, quelle da lui volute e ispirate, mentre le opere nate da mano d’uomo per la gloria dell’uomo – come dice il salmista – muoiono con l’uomo, proprio come gli idoli, ce lo insegna il salmo 114 che recita: «Gli idoli delle genti sono argento e oro, Opera delle mani dell’uomo. Hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non odono, hanno narici e non odorano. Hanno mani e non palpano, hanno piedi e non camminano; dalla gola non emettono suoni. Sia come loro chi li fabbrica e chiunque in essi confida». E le opere di Dio – come enuncia il Vangelo – sono alberi che non si riconoscono né dalle fantasie né dalle illusioni nelle quali si è vissuto; le opere di Dio si riconoscono dalla vita e dai frutti della vita.

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Ariel S. Levi di Gualdo, Veglia di pasqua

E se un albero secca e non dà frutti, c’è poco da chiedersi dove hanno sbagliato gli altri, ma piuttosto c’è da chiedersi: dov’è che abbiamo sbagliato noi? Soprattutto c’è da chiedersi in che misura ci si è chiusi alla grazia di Dio ed al mistero delle sue opere per seguire le opere dell’uomo; opere che alla fine, anche dopo molti anni, si riveleranno fallimentari proprio per i frutti che non danno, o per i frutti malati che producono, consegnandoci in tal modo alla morte e non a quella vita che è adorazione e comunione perenne con il risorto. Una comunione che passa sempre attraverso la devota obbedienza alla Chiesa universale, alla Chiesa particolare ed ai propri pastori, i vescovi; soprattutto quando non è facile prestare loro obbedienza. Ma proprio quando l’obbedienza non è facile, semmai perché i Pastori possono essere deboli, distanti, o semplicemente incapaci ad assumersi le loro responsabilità, essa va’ più che mai prestata, perché in caso contrario si rischia di ubbidire solo ai capricci di noi stessi, alle nostre ragioni ed ai nostri rancori. E chi non istruisce a questa docilità ed a questa obbedienza verso la Chiesa ed i propri Pastori, che di questi tempi può risultare anche molto difficile e dolorosa da mettere in pratica; chi si crea il proprio mondo nel mondo, la propria chiesa nella Chiesa, non è un pastore d’anime e non è un maestro, ma una guida cieca. E come c’insegna il Vangelo: «Quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso» [cf. Mt 15,14].

5. Veglia Pasquale 2014

Ariel S. levi di Gualdo, Veglia di Pasqua

Il mistero sul quale la nostra fede si edifica, come ci spiega il Beato Apostolo Paolo, non è certo la pietra sigillata del sepolcro di Cristo, perché «se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede» [cf. I Cor 15, 14]. Il mistero della nostra fede è quindi la pietra rovesciata da colui che non è più tra i morti ma tra i vivi e che ci viene incontro lungo la Via di Emmaus facendosi riconoscere dallo spezzare del pane [cf. Lc 24,13-35], invitandoci al cammino perenne e non certo alla paralisi dinanzi agli idoli che sono frutto delle mani dell’uomo.

Invitando l’uomo a compiacersi «della legge del Signore» ed a «meditarla giorno e notte», il salmista, nel Salmo n. 1, è molto chiaro nell’ammonirci con precise parole e ad indicarci che l’uomo giusto, colui che fa veramente la volontà di Dio: «Sarà come albero piantato lungo corsi d’acqua, che darà frutto a suo tempo e le sue foglie non cadranno mai; riusciranno tutte le sue opere». E riusciranno, le sue opere, perché in verità sono opere del Signore, di cui l’uomo è stato ed è solo un fedele strumento.

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9. Veglia Pasquale 2014

Ariel S. Levi di Gualdo, Veglia di Pasqua

Nella notte di Pasqua è avvenuta la risurrezione del corpo del Verbo di Dio Incarnato, di quella sua carne che fu infamata sul legno della croce e che adesso è adorata nei cieli e sulla terra. E non è certo un caso che Cristo Dio sia risorto di notte, perché con la sua risurrezione ha rischiarato le nostre tenebre, come canta il salmista: «Illuminerai la mia lampada, Signore; mio Dio, illuminerai le mie tenebre» [Sal 17, 29].

Cristo Risorto ci chiama alla vita e ci rende partecipi della vita, invitandoci a fuggire dalla morte; ci chiama a compiere le opere del Signore ed a benedire le sue opere dinanzi al Signore della vita: «Benedite il Signore, voi tutte, sue schiere, suoi ministri, che fate il suo volere. Benedite il Signore, voi tutte opere sue, in ogni luogo del suo dominio. Benedici il Signore, anima mia» [Sal 102].

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12. Veglia Pasquale 2014

Ariel S. Levi di Gualdo, Veglia di Pasqua

È su questo che possiamo accogliere e costruire la nostra intima partecipazione alla risurrezione del Cristo, col quale l’umanità è morta al peccato e rinata alla vita, oppure consegnarci invece alla morte nel modo peggiore: dopo avere imposto le nostre opere umane in nome di Dio, ma dando i frutti inevitabili: un albero secco, la desolazione, infine una morte che giungerà triste dopo avere trascorso la propria esistenza in una dimensione di possesso e di chiusura sino all’ultimo arrabbiato respiro di vita. E tutto questo in nome del proprio “io” fatto passare per “volontà di Dio”, mentre attorno a noi tutto crolla. E tutto crolla per colpa nostra che non vogliamo vedere, non per colpa degli altri. Attorno tutto crolla perché noi, rinchiusi nelle nostre illusorie e inamovibili convinzioni, pur avendo udito tutti i giorni la Parola di Dio, in verità non l’abbiamo ascoltata, perché eravamo troppo impegnati ad ascoltare le ragioni del nostro “io” anziché le ragioni di Dio che attraverso la voce del Beato Apostolo Paolo ci mette in guardia dicendo: «Verrà giorno, infatti, in cui […] per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole» [II Tm  4,3].

E agendo in questo modo, o seminando favole che poi, alla fine, cadranno a pezzi assieme agli idoli costruiti da mano d’uomo, non si giunge certo alla comunione dei Santi per godere della visione beatifica del mistero di Dio Creatore, del Verbo Incarnato Cristo Signore, dello Spirito Santo Consolatore.

13. Veglia Pasquale 2014

Ariel S. Levi di Gualdo, Veglia di Pasqua

«Cristo risorto ci ha liberati» ― ci ammonisce il Beato Apostolo Paolo [Gal, 1] ― «perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù». Mai e da nessuno, dobbiamo lasciarci imporre la schiavitù, specie da quegli uomini che vorrebbero rendere gli altri schiavi dei propri capricci e delle proprie fantasie in nome di Dio, dopo essersi impudentemente proclamati messaggeri e voce di Dio.

Sin dal Giardino di Eden, a noi spetta la scelta: consegnarci alla morte perenne o seguire la nostra naturale chiamata: partecipare alla risurrezione di Cristo Dio che siede oggi alla destra del padre e che un giorno – non dimentichiamolo mai – «tornerà nella gloria per giudicare i vivi e i morti». E Cristo, posto che «ogni albero si riconosce dal suo frutto» [cf. Lc 6,44], con coloro che non hanno mai rinunciato neppure per un istante della propria esistenza a se stessi per essere veramente suoi, che non hanno veramente servito Cristo e la sua Chiesa ma che si sono serviti invece di Cristo e della sua Chiesa, sarà molto severo: li lascerà in pasto alla morte. Basti solo ricordare la parabola del fico sterile: Gesù, vedendo lungo la strada un fico, ricercò in esso dei frutti, ma, avendolo trovato ricco solo di foglie, pronunziò la condanna di quell’albero [cf. Lc 13, 6-9]. Il signore Gesù non disse affatto: poverino, non dà frutti per colpa degli altri. Tutt’altro, il divino Maestro affermò che la mancanza di frutti era tutta quanta colpa del fico sterile.

Se Cristo, dinanzi a un atto di pentimento perfetto, ha salvato il buon ladrone aprendo a lui le porte del Paradiso [cf. Lc 23, 38-43], altrettanto può fare con noi; altrettanto può fare con
coloro che si trovano in una vigna resa sterile dal fatto che in verità il Signore, quella vigna, non l’ha voluta, essendo opera di mano d’uomo e non opera di Dio. In tal caso è necessario e urgente prendere atto della realtà, seguire il sapiente monito del Beato Apostolo Paolo, abbandonare le favole e le fantasie [cf. II Tm  4,3]  aprirsi ad una verità ― che spesso è amara e per questo non facile da accettare ― e pregare il Signore con le parole del Salmo 79 che recita: «Signore, Guarda dal cielo e vedi e visita questa vigna». E il Signore ci visiterà, ma prima bisogna essere consapevoli del nostro errore e soprattutto dell’assenza di Dio nella vigna voluta dall’uomo per la pura ricerca di gloria dell’uomo, quindi pregare affinché, malgrado il nostro errore, la grazia ci soccorra e trasformi quel terreno nella vigna di Dio. In caso contrario si rischia di morire incattiviti come uno dei due ladroni, che anziché chiedere grazia e perdono, pur essendo martoriato e addolorato in tutto il suo corpo affisso sul palo della croce, manifestò invece chiusura, rifiuto, rabbia e spirito aggressivo sino all’ultimo respiro di vita. Proprio come fanno coloro che, dinanzi al fallimento delle proprie opere, non ritornano sui propri passi neppure dinanzi alla distruzione, al dolore, alla malattia e alla morte.

Nel Vangelo giovanneo c’è la bella immagine di Maria sofferente e smarrita dinanzi al sepolcro, che dice: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!» [cf Gv 20,2].

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Ariel S. Levi di Gualdo, Veglia di Pasqua

Nel Vangelo lucano, alle donne paralizzate dal dolore dinanzi alla pietra vuota del sepolcro, due angeli in sfolgoranti vesti dicono: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo?» [Lc 24, 5].  Con queste parole gli angeli invitano le donne a guardare oltre la dimensione tutta quanta provvisoria di quel sepolcro che segna solo un momento di passaggio. Gesù infatti non è più nel passato, Gesù non è un insieme di ricordi resi tutti quanti immobili e legati ai giorni passati; Gesù vive nel presente ed è proiettato verso il futuro, Gesù è l’ «oggi» eterno di Dio che ci invita al cammino, è la alpha e la omega che «ricapitola in sé tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra» [Cf. Ef 1,10], colui che il santo vescovo e padre della Chiesa Agostino chiamava il Christus totus, che è inizio, centro e fine ultimo del nostro intero umanesimo.

Sulla pietra rovesciata del Cristo risorto che ha vinto la morte, a tutti noi spetta un grande compito: scegliere tra i sogni e le favole sotto le quali tutto quanto crolla, oppure mettersi in cammino lungo la Via di Emmaus. Perché solo in questo secondo caso Dio ci verrà incontro come compagno di viaggio, ci chiamerà «amici», visiterà la nostra vigna e la trasformerà veramente in un’opera sua, dopo che l’uomo sarà riuscito a rinunciare al proprio omocentrismo per entrare nella dimensione del cristocentrismo, perché in caso contrario, si può fare tranquillamente a meno di recitare: «Venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra», perché si tratterebbe solo di parole senza alcun senso umano e cristiano. 

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Sequenza pasquale

Maitrise Notre Dame de París – Francia.
Gran Órgano: Philippe Lefebvre

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

“E bomba o non bomba noi arriveremo a Roma”: Nunzio Galantino conversa su Dio con Dario Fo

«E BOMBA O NON BOMBA NOI ARRIVEREMO A ROMA» NUNZIO GALANTINO CONVERSA SU DIO CON DARIO FO

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Il discorso di Fo è assurdo e blasfemo e non vedo in che consisterebbe questa «grande religiosità» che Nunzio Galantino, con evidente piaggeria, attribuisce a Fo.

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Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

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S.E. Mons. Nunzio Galantino, Segretario generale della C.E.I.

S.E. Mons. Nunzio Galantino, Segretario Generale della C.E.I, ha iniziato sul quotidiano Sole 24 Ore della Domenica una rubrica intitolata Abitare nelle parole, la quale si propone di trattare del significato di alcune parole-chiave della moderna cultura riguardante il rapporto io col mondo. Egli ha iniziato con la parola Dio facendo riferimento al pensiero di Dario Fo, l’Articolo integrale è leggibile QUI.

Ho estratto dallo scritto di Nunzio Galantino alcune affermazioni, qui riportate in rosso, a ciascuna delle quali desidero fare un commento.

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Dio è una parola paradosso. Per alcuni c’è solo il termine e non c’è il soggetto corrispondente, per altri c’è il soggetto corrispondente ma non va nominato e secondo altri ancora il Dio di Mosè non tollerava di essere rappresentato.

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 E Galantino che ne pensa? Non si pronuncia.

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Dio è parola di massima creatività […] Dio è il principale protagonista della visibilità […] Con la parola Dio, e con la realtà alla quale essa rimanda, possiamo permettere alla nostra mente di viaggiare in ampi spazi e di fare esperienze straordinariamente cariche di vita, sia partendo dalla parola e aprendoci alla fantasia, sia partendo dall’immagine e poi ricollegandoci alle parole.

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Non vedo che cosa c’entri Dio con la «creatività» e la «visibilità». Esse non appartengono alla teologia, ma alla poesia, o alla letteratura o alla pittura. Dice di non voler fare teologia. Ma, parlando di Dio, che cosa vuol fare, allora? San Paolo è molto chiaro. Dice: «Dalla creazione del mondo le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da Lui compiute» [cf. Rm 1,20]. Dio non è oggetto né della fantasia né dell’immaginazione, ma dell’intelletto. Altrimenti, come dice la Scrittura, abbiamo un idolo fatto dalle nostre mani.

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Un bambino avrebbe difficoltà a seguire il nostro discorso, perché lui sa che dietro la parola «mamma» c’è una mamma; ma dietro la parola Dio cosa c’è? Cosa dirgli? […] Spiegare a un bambino che può piovere anche da realtà invisibili, ma esistenti. Con un bambino proverei a cavarmela così.

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Dietro la parola “Dio” c’è Dio, perché anche la mente del fanciullo, in quanto capace di ragionare, può sapere che Dio esiste. A parte il fatto che comunque ci arriva da solo, bisogna aiutarlo nella applicazione del principio di causalità, come insegna il Libro della Sapienza: «Dalla bellezza e grandezza delle creature per analogia si conosce l’Autore» [cf. Sap 13,5].

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Dice Fo: «Dio Non c’è. Non esiste. Non ci credo… Però…». Secondo lui Dio è un gran falsario che si è inventato da sé, un genio della Storia, perché ha saputo creare la sua immagine. Un abile croupier. La sua anti-religiosità m’è parsa molto religiosa […] A Dio non basta mai l’amore degli altri, mentre Gesù fonda il suo sentimento sull’amore da dare e non da ricevere.

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Il discorso di Fo è assurdo e blasfemo. Dio di per sé è bontà e generosità infinite, ed è il Dio di Gesù Cristo. Se Cristo dona e non è un egoista, ciò dipende proprio dal fatto che è Dio Egli stesso. Non vedo in che consisterebbe questa «grande religiosità», che Galantino, con evidente piaggeria, attribuisce a Fo.

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Noi uomini abbiamo bisogno di trascendenza e per noi cristiani l’essenza dell’esistenza umana si trova nell’uscire da noi, nell’andare e nel sentirci proiettati oltre. Quello che qualcuno chiama “auto-trascendimento” non ci porta solo verso Dio […] Questa situazione appartiene anche a un ateo.

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È vero che abbiamo bisogno di trascendenza, ma non facciamo della confusione. Innanzitutto distinguiamo. Un conto è l’uscire da noi stessi, che è segno di socialità, e un conto è il “sentirci proiettati oltre”, che è un fenomeno psicologico, che può essere normale come patologico. Un conto è l’ulteriorità metafisica, morale o teologica, dalla quale si sente attratto l’uomo ragionevole, e un conto è l’ulteriorità emotiva, irrazionale e fantastica, che attira l’alienato mentale. E’ ovvio che è solo il primo tipo di ulteriorità che stimola l’affermazione di Dio.

Quanto all’autotrascendimento, anche qui bisogna distinguere. L’autotrascendimento, in generale, è un atto psicologico, col quale il soggetto supera intenzionalmente e volontariamente se stesso o va oltre se stesso. Lo spirito sale, si eleva, si innalza verso un vertice che sta oltre il proprio limite.

Questa elevazione dello spirito, però, è diversa nel caso che l’impulso venga dal basso o dall’alto, vale a dire o dall’uomo o da Dio. L’uomo può trascendersi o innalzarsi verso Dio o perché si lascia attrarre da Lui, in sottomissione a Lui, e allora abbiamo il transcende teipsum, del quale parla Sant’Agostino, o perché si innalza ergendosi contro Dio, in antagonismo con Dio. Nel primo caso abbiamo l’umiltà, che fruttifica nella religione; nel secondo caso abbiamo la superbia, che fruttifica nell’empietà e nell’ateismo. È chiaro che solo il primo tipo di trascendimento caratterizza, non l’esistenza cristiana come tale, ma la potenza o la facoltà del suo spirito, giacché l’identità dell’essere con l’agire c’è solo in Dio.

L’essenza dell’esistenza umana nella visione cristiana non si trova in nessun “uscire da noi, o nell’andare e nel sentirci proiettati oltre” o in quello che qualcuno chiama “auto-trascendimento”, ma consiste nell’essere, come dice il Concilio Vaticano II, «unità di anima e corpo»[1], creata «ad immagine di Dio, capace di conoscere ed amare il proprio Creatore»[2] e niente affatto «nell’uscire da noi, nell’andare e nel sentirci proiettati oltre. Quello che qualcuno chiama ‘auto-trascendimento’». Questi semmai sono potenze o possibili atti e non costitutivi dell’esistenza umana. Vorrei sapere dove Galantino ha pescato quella definizione dell’uomo. Non certo nella Scrittura o nel Magistero della Chiesa o in San Tommaso.

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Gesù chiede, pretende, l’amore difficile, illogico, paradossale.

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Gesù non pretende alcun amore «illogico», ma perfettamente conforme a ragione. L’amore illogico è peccaminoso, perché contrasterebbe col nostro dovere di agire secondo ragione. Gli esempi che porta Galantino o sono equivoci o si possono risolvere facilmente, ma qui non abbiamo lo spazio e poi si può sempre consultare un qualunque trattato di teologia morale.

Mi fermo solo sull’amore per il nemico. Non c’è nulla di illogico in questo amore, ovviamente ad intenderlo bene, e non come se Cristo ci comandasse di amare l’inimicizia del nostro nemico contro di noi; il che sarebbe esattamente un peccato da parte nostra. Si trova invece in questo comando una profonda saggezza, che dà serenità alla persona offesa, facilita la conciliazione e dispone l’avversario a più miti consigli, rendendolo disposto a chiedere perdono e ad essere perdonato.

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Varazze, 16 marzo 2016

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[1] Gaudium et spes, n. 14.

[2] Ibid., n. 12.

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E BOMBA O NON BOMBA NOI ARRIVEREMO A ROMA … E PURTROPPO CI SONO ARRIVATI !

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Autore Redazione dell'Isola di Patmos

Autore
Redazione
dell’Isola di Patmos

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La Redazione dell’Isola di Patmos, coglie l’occasione per ricordare a S.E. Mons. Nunzio Galantino quale è da sempre il “lodevole” livello di «religiosità» dell’ateo Dario Fo: farsi beffa di Dio, di Cristo, del Vangelo e tutti i santi. Prendiamo atto però che il lungimirante Segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana, in tutto questo ravvisa comunque «grande religiosità». Domanda: la Congregazione per la dottrina della fede è sempre aperta e operativa, oppure è stato il primo dicastero della Santa Sede ad essere abolito dalla riforma della Curia Romana in vista di una prossima “nuova Chiesa” libera finalmente da tutti gli “inutili dogmatismi” che per troppi secoli l’hanno “oppressa“?

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LA GIULLARATA SUL VANGELO DELLA RISURREZIONE DI LAZZARO

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

La Compagnia di Gesù nella Chiesa d’oggi: ascesa e caduta di un grande Ordine

LA COMPAGNIA DI GESÙ NELLA CHIESA D’OGGI: ASCESA E CADUTA DI UN GRANDE ORDINE

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[…] nella primavera del 1981 San Giovanni Paolo II, stanco di questa situazione esasperante ed irresolubile, che si trascinava dalla fine del Concilio, convocò in Vaticano un ristretto gruppo di Cardinali, tra i quali il Segretario di Stato Agostino Casaroli, per discutere della opportunità di sciogliere la Compagnia di Gesù. Metà dei Cardinali e il Papa stesso erano favorevoli; ma il Cardinale Casaroli convinse il Papa e il gruppo a rinunciare.

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Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

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23.03.2016   Giovanni Cavalcoli OP –  LA COMPAGNIA DI GESÙ NELLA CHIESA D’OGGI: ASCESA E CADUTA DI UN GRANDE ORDINE

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

Un libro infelice di Bruno Forte: “Trinità come storia”

– Theologica –

UN LIBRO INFELICE DI BRUNO FORTE: «TRINITÀ COME STORIA»

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Bruno Forte, nella sua imprudente ammirazione per Hegel, non si accorge che Hegel, nell’interpretare il mistero trinitario, segue lo stesso metodo razionalistico di Proclo, per il quale gli dèi greci non esistevano come persone reali, ma erano solo raffigurazioni simboliche immaginarie […]

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Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

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10.03.2016   Giovanni Cavalcoli, OP — UN LIBRO INFELICE DI BRUNO FORTE: «TRINITÀ COME STORIA»

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Cari Lettori.

Vi ringraziamo per averci offerto il vostro prezioso sostegno grazie al quale possiamo provvedere alle spese di gestione dell’Isola di Patmos per l’anno 2016. Di tanto in tanto vi preghiamo di ricordarvi di noi e del nostro lavoro scientifico e pastorale che, come avete  in concreto dimostrato, merita il vostro sostegno economico..

E di ciò vi siamo profondamente grati.

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Gli esercizi alla Curia Romana. Dai predicatori ai becchini: il funerale dell’omiletica

GLI ESERCIZI ALLA CURIA ROMANA. DAI PREDICATORI AI BECCHINI: IL FUNERALE DELL’OMILETICA

[In appendice: un’omelia del Padre Ariel agli adolescenti]

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È gravissimo che a supporto delle proprie oggettive eterodossie il Predicatore abusi degli straordinarî paradigmi cristologici quali ad esempio l’episodio della prostituta perdonata [Cf. Lc 7, 36-48] o dell’adultera [cf. Gv 7,53-8,11], per mutare il tutto in altro, per liberare l’uomo ormai psicanalizzato dal complesso del peccato. Proprio come in precedenza ebbe più volte a fare il suo celebre confratello Davide Maria Turoldo, insigne e celebrata firma del quotidiano Il Manifesto del Partito Comunista, nel quale per anni scrisse editoriali destinati a piacere ai comunisti radicali ed a confondere, se non a volte a umiliare, il sentimento dei cattolici.

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Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Si narra che il Doctor Angelicus San Tommaso d’Aquino, quando si ritrovava tra le mani manoscritti contenenti concetti filosofici o teologici errati, senza sprecare alcun commento, vi disegnava di lato la testa di un asino.

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asino padrone

l’asino va’ dove vuole il padrone

Nella mia Maremma toscana natia, un proverbio della saggezza popolare recita «L’asino va’ dove vuole il padrone», ed ancora: «L’asino si lega dove vuole il padrone».

Gli esercizi spirituali alla Curia Romana in corso di predicazione a cura del Padre Ermes Ronchi, illustre membro del turoldiano Ordine dei Servi di Maria, alla prova dei fatti è un atto di adulazione al padrone dell’asino legato – o legatosi – dove il padrone vuole.

Inutile ricordare che il Signore Gesù afferma: «Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi» [cf. Gv 15,15]. Tema questo già trattato in uno dei miei articoli passati [cf. QUI].

Non ho intenzione di fare una legittima critica approfondita e tutta rigorosamente teologica rivolta alle numerose affermazioni audaci del Predicatore, perché sono davvero tante, a partire dall’Antico Testamento sino ai Vangeli. “Lodevole” il panegirico su Adamo ed Eva, che «credono» e «non credono», proprio come se ad essere allegorico fosse non solo il racconto, ma anche l’intero contenuto. Domanda: come possono Adamo ed Eva credere o non credere a ciò che vedono, posto che Dio ce l’hanno davanti agli occhi? [cf. QUI]. Ben altro è infatti il problema di fondo di queste due prime creature fatte a immagine e somiglianza di Dio, che è il volersi fare simili a Dio, per “prescindere” poi da Dio. E dalla loro libera e determinata ribellione nasce la rottura dell’armonia perfetta che corrompe l’umanità intera e che rende l’uomo mortale e corruttibile. Tutto questo è noto anche come peccato originale. E il peccato originale è una realtà che nasce da un atto e da un fatto reale, merita insegnarlo al Predicatore, visto che non ne parla proprio, forse perché non lo sa. Il peccato originale non è un’invenzione di Sant’Agostino, come affermano molti, né una «paura che raffigura i timori mitico-ancestrali dell’uomo», come soleva dire Karl Rahner. il Predicatore spiega che Adamo ed Eva provano «paura», anche se ad essere precisi andrebbe detto che, più che «paura», provano timore e vergogna. Ma non è questo il problema, bensì il fatto che il Predicatore non spiega l’origine di questo timore e vergogna, ma soprattutto che cosa ne consegue per loro e per tutta l’umanità. E questo è molto grave, perché è la base di partenza dell’idea totalmente errata che il predicatore ha del peccato e che di conseguenza affiora in tutta la sua predicazione, che di fatto, senza facile pena di smentita, è una predicazione eterodossa, tenuta dinanzi al Sommo Pontefice ed ai membri della Curia Romana.

asino conquistatore

il sorriso accattivante dell’asino conquistatore

Senza cadere nel più temibile dei peccati capitali, che è la superbia, in tutta onestà cristiana affermo che io, nello svolgimento del mio ministero di predicatore, gli esercizi spirituali alla Curia Roma non li avrei predicati meglio, ma molto meglio, partendo anzitutto dalla consapevolezza che Gesù Cristo mi chiama «amico» [cf. Gv 15, 9-17] e che lui solo è il mio unico «Padrone». Un padrone che peraltro non vuole la mia compiacente piaggeria, ma la mia fede e il mio amore. E l’una e l’altro passano attraverso l’esercizio del dono della libertà dei figli di Dio.

Mi limito quindi a due esempi, giusto per rendere l’idea: anzitutto il fatto che, nella seconda giornata di esercizi spirituali, il Predicatore afferma: «mi aiuta una frase di Bonhoeffer». E procede quindi a ruota con la relativa citazione [cf. QUI].

Chiariamo subito la cosa: quello del teologo luterano Dietrich Bonhoeffer è un pensiero altamente ereticale, già lo spiegai in passato dettagliando in un mio articolo come questo pensatore stava alla base della formazione dell’attuale Vescovo Segretario della Conferenza Episcopale Italiana [cf. QUI], un altro «asino» ― in senso puramente figurato, per la santa carità di Dio! ― «legato dove vuole il Padrone». Mi si potrebbe obiettare che anche in un eretico come Bonhoeffer, può esserci del buono; cosa questa che in sé è giusta e vera. Come però c’insegna il nostro sapiente maestro domenicano Giovanni Cavalcoli attraverso le sue critiche ai teologismi di Karl Rahner: «L’eresia più pericolosa è quella attraverso la quale, vero e giusto, finiscono cosparsi di errori dottrinali e infarciti di eterodossie».

asino comunicazione

l’arte della comunicazione …

Volendo, posso chiarire il tutto con uno di quegli esempi che mandano letteralmente fuori dai gangheri certi inguaribili clericali. L’esempio è il seguente: anche nel famoso porno-attore Rocco Siffredi – celebre non per il suo volto ma per altre parti anatomiche del suo corpo – c’è del buono. Più volte lo abbiamo visto commuoversi teneramente in diretta televisiva, mentre rispondendo all’intervistatore parlava della propria amata moglie e dei propri amati figli col candore di un San Luigi Gonzaga, spiegando che per lui la famiglia non è semplicemente importante, bensì proprio tutto. Pur malgrado, io non lo proporrei mai, né mai lo userei come modello di paterno amore familiare nella predicazione degli esercizi spirituali alle Carmelitane scalze. Sebbene comunque io ritenga cosa più grave usare l’eretico Bonhoeffer come esempio e paradigma per esprimere concetti di “alta spiritualità” alla presenza del Sommo Pontefice e dei membri della sua Curia, più o meno “sbracati” con dei clergyman sciatti indosso, di quelli sui quali è applicato un francobollo di plastica bianco al centro della camicetta, in uno sfoggio di croci pettorali di ferro penzolanti sulle pance. Ed a chi mi rispondesse: «Ma quali quisquilie vai ad osservare e cercare?», replicherei che tra poco, nel Vangelo della Passione, leggeremo l’episodio nel quale i soldati romani, ritrovandosi tra le mani la preziosa veste di Gesù, ben se ne guardarono dal farla in pezzi ed usarne gli stracci per pulire le loro lance e armature, come solitamente facevano coi miserabili vestimenti dei condannati alla crocifissione. Trattandosi infatti di un capo molto prezioso, tessuto interamente da cima a fondo in stoffa pregiata, quel pezzo di alta sartoria se lo giocarono a dadi [cf. Mt 27, 33-36]. Questo per dire che i vestimenti dimessi e sciatti dei membri della Curia Romana, legati come asini dove vuole il Padrone, potrebbero essere invece a malapena venduti nel mercatino dell’usato di Porta Portese.

asino accattivante

nella società contemporanea è importante avere una espressione accattivante un mezzo sorriso sornione e il mondo oggi è tuo

Molto peggio è contenuto nella quinta meditazione del Predicatore, che speditamente procede in una profonda e grave adulterazione del messaggio del Vangelo. Ogni predicatore, infatti, nel delicato ministero dell’annuncio della Parola del Verbo di Dio, deve tenere conto della totalità del testo in tutta la sua profonda interezza. I taglia e cuci a diverso uso e consumo operati sul Vangelo da quanti desiderano dare ad esso un altro senso mutandolo in tal modo in tutt’altro messaggio, vanno lasciati agli ultra laicisti od ai «Cari Fratelli Massoni» del Cardinale Gianfranco Ravasi [cf. QUI, QUI]. E la gravità teologica che nasce a monte da una errata capacità di esegesi e da una grave adulterazione del messaggio, nella specifica predicazione si regge su questo: viene affermato – giustamente – che «Gesù non è un moralista», come invece lo sono i farisei. Nulla da dire, se il tutto non fosse usato per far dire al Vangelo di Nostro Signore Gesù Cristo ciò che il Verbo di Dio Incarnato non ha mai detto, visto e considerato che Gesù, una morale, ce l’ha eccome, al punto da spiegarci in modo chiaro e inequivocabile: «Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento» [cf Mt 5, 17-20].

sorriso sornione

un mezzo sorriso sornione e il mondo oggi è tuo

Trovo inquietante che oggi, persino all’interno della Chiesa, dei lemmi come “dogma”, “dogmatico”, “morale” … siano usati in accezione negativa. Nessun presbitero infatti, neppure il più incolto dei curati di campagna d’una volta ― oggi equiparabile in preparazione a un odierno dottore in sacra teologia ―, per manifestare dissenso su una data cosa, avrebbe replicato al proprio interlocutore: «Ma quanto sei dogmatico … ah, tutti questi inutili dogmatismi!».

Sarebbe pertanto bene chiarire al Predicatore che non essere «moralisti», nell’accezione negativa o farisaica del termine, non vuol dire però essere privi del senso di peccato o del concetto di bene e di male, ossia di senso morale, affogando tutto quanto nella corrente e imperante melassa di una confusa misericordia e di un altrettanto confuso amore. Il modo in cui il Predicatore parla infatti di peccato è a dir poco ― oserei dire ― raccapricciante, ma soprattutto non cattolico. 

È gravissimo che a supporto delle proprie oggettive eterodossie il Predicatore abusi degli straordinarî paradigmi cristologici quali ad esempio l’episodio della prostituta perdonata [Cf. Lc 7, 36-48] o dell’adultera [cf. Gv 7,53-8,11], per mutare il tutto in altro, per liberare l’uomo ormai psicanalizzato dal “complesso del peccato”. Proprio come in precedenza ebbe più volte a fare il suo celebre confratello Davide Maria Turoldo, insigne e celebrata firma del quotidiano Il Manifesto del Partito Comunista, nel quale per anni scrisse editoriali destinati a piacere ai comunisti radicali ed a confondere, se non a volte ad umiliare, il sentimento dei cattolici. E si badi bene che ho detto: dei cattolici, non dei catto-farisei.  

esercizi alla curia 1

esercizi spirituali alla Curia Romana, Quaresima 2016

Traboccante forme di non meglio precisata tenerezza, il Predicatore non si è soffermato su un elemento imprescindibile sul quale si fonda la divina azione di grazia di Cristo Signore, ossia il fatto che la prostituta, anzitutto e avanti a tutto, è pentita. Dinanzi a Cristo Dio ella si inginocchia umile e penitente «bagnando i suoi piedi con le lacrime e asciugandoli poi con i suoi capelli» [Cf. Lc 7, 36-48]. Non era affatto fiera e orgogliosa del proprio mestiere e del proprio conseguente agire, né del suo peccato, né della sua vita di peccato né del suo stato di peccato. Questa è la base di partenza sulla quale viene edificata l’azione del Cristo che la accoglie, la protegge e la perdona, congedandola con la frase: «La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!». Che è una vera e propria assoluzione dai peccati data da Cristo sommo ed eterno sacerdote dell’universo. Per altro verso invece l’adultera, anch’essa perdonata perché pentita, è congedata con un preciso ammonimento, di cui però non v’è traccia alcuna nei vaniloqui del Predicatore che forse, proprio come il padrone dell’asino, ha deciso di essere più “tenero” e “misericordioso” di Cristo stesso. Per questo dico vaniloqui, tutti e di rigore giocati sull’emotivo, sul sentimentale da ballo di murga argentina e, soprattutto, sul politicamente corretto. E il monito amorevole, ed al tempo stesso severo del Signore Gesù è il seguente: «… va’ e d’ora in poi non peccare più» [Cf  Gv 7,11]. Lo stesso monito col quale oggi i confessori possono congedare il penitente dopo la santa assoluzione sacramentale. E questo monito è il suggello che completa l’azione della grazia divina, in assenza del quale, il messaggio cristologico, finisce con l’essere mutato in altro. Pertanto, togliendo l’elemento iniziale del pentimento dal peccato sul quale si muove l’azione del perdono di Cristo, ed infine il fondamentale suggello finale, si metterà in scena una perfetta falsificazione del Vangelo. E se questo avviene direttamente dinanzi al Sommo Pontefice ed ai membri della Curia Romana, voi capite bene cosa il tutto voglia dire: vuol dire che da tempo siamo ormai in “felice” marcia sul carro funebre.

esercizi alla curia Muller

[particolare della foto precedente] il Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede durante gli esercizi alla Curia Romana, con una espressione che in  sé dice tutto …

Adesso capisco come mai, seduto in prima fila tra i presenti, spicca il volto sconsolato di quel grande e ortodosso teologo ratzingeriano del Cardinale Gerhard Ludwig Müller, che a onore del vero ritengo sia uno tra i migliori Prefetti della Congregazione per la dottrina della fede avuti dalla Chiesa nel corso degli ultimi cinquant’anni.

Ormai, tra eretici citati in gloria e discorsi costruiti su sociologismi e teologismi diffusi come metastasi dai cancri disseminati per il corpo della Chiesa da certi autori della Nouvelle Thèologiè, a predicare alla moribonda Curia Romana non chiamano più neppure i predicatori, ma direttamente i becchini, cosa sinceramente del tutto coerente col “nuovo corso”, a tratti desolante, o perlomeno ambiguo e dottrinalmente confondente.

E mentre l’insigne becchino-predicatore dava come sin qui sintetizzato il meglio di sé, questa mattina, su invito di un anziano parroco, io ricevevo da Dio la grazia di predicare a circa 300 studenti delle scuole medie inferiori, in età compresa tra gli 11 ed i 14 anni. E nel farlo, lungi dal sentirmi un becchino, mi sentivo uno specialista del reparto di terapia intensiva, animato dallo scopo di tenere in qualche modo viva la fede, o perlomeno le domande sulla fede, in coloro che domani, sui cadaveri di tutti questi poveri morti oggi in trionfale marcia sul carro funebre, potranno essere i Christi fideles del futuro. Questo il motivo per il quale lascio di buon grado al Padre Ermes Ronchi la predicazione ai morti, mentre io, da parte mia, sono da sempre impegnato a predicare ai vivi.

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dall’Isola di Patmos, 9 marzo 2016

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LITURGIA DELLA PAROLA DEL GIORNO [vedere qui] OMELIA AGLI STUDENTI DELLE SCUOLE MEDIE INFERIORI

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[…] imparate ad accogliere Dio che si comunica a voi, ed imparate a comunicare con l’amore e la misericordia di Dio, di quel Dio che è «lento all’ira e grande nell’amore». Ma pur essendo il suo amore un fuoco che brucia in eterno, ciò non vuol dire che sia privo di ira verso chi sceglie il male a tutti i costi e costi quel che costi, anziché scegliere quella sua infinita misericordia

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Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Sia lodato Gesù Cristo! 

vestizione 1

la sacrestia, quella silenziosa anticamera del paradiso …

Il Salmo che abbiamo letto è intervallato da un responsorio che assieme abbiamo ripetuto: «Misericordioso e pietoso è il Signore». Per comprendere veramente, quindi per accogliere gli altri e per trasmettere noi stessi per ciò che realmente siamo, ossia per comunicare coi nostri simili, è necessario l’uso della parola. Ma questo uso richiede, a sua volta, la vera e reale conoscenza delle parole, quindi l’uso appropriato e corretto delle parole stesse.

Come voi ben sapete, la moderna tecnologia dovrebbe esservi utile per comunicare meglio tra di voi e col mondo che vi circonda, mentre invece purtroppo, proprio la tecnologia vi toglie spesso la possibilità di comunicare le vostre emozioni e sensazioni. Provate a pensarci, ma soprattutto interrogatevi sul perché oggi, che pure siamo dotati di tutti i migliori mezzi comunicazione, i giovani hanno enormi difficoltà a comunicare le loro emozioni, sensazioni, sentimenti?

vestizione 2

la sacrestia, quella silenziosa anticamera del paradiso …

Forse le persone dell’età mia [io ho 52 anni] sotto questo aspetto erano più avvantaggiate di voi. Per esempio, questa vostra è anche l’età dei primi grandi amori. E credetemi lo so cosa questo voglia dire, perché all’età vostra io mi innamoravo mediamente due volte al mese; ed i miei erano sempre amori folli, come lo sono di solito a 12/13 anni. A quel punto si creava il naturale problema della comunicazione: io, adolescente tal ero, dovevo trovare il modo, l’espressione del volto, le parole giuste per dire a quella compagna di scuola che mi ero innamorato di lei. E tutto si giocava sulla comunicazione, con una consapevolezza: se non si riesce a comunicare i nostri sentimenti all’altra persona, i nostri sentimenti possono non essere capiti, quindi non essere accolti; e chi nutre sentimenti d’amore desidera essere accolto, ricambiato, quindi amato. A quel punto cosa accadeva? Più o meno questo: siccome uno degli elementi della comunicazione sono anche i cosiddetti espedienti intesi come colpi d’ingegno che fabbricano le cose in modo tale da far sembrare che tutto sia accaduto casualmente, accadeva quindi per caso che la ragazzina usciva dalla palestra della scuola per tornare in classe e … ma guarda caso, trovava me dietro l’angolo del corridoi che stava arrivando, ovviamente in modo casuale. E in modo altrettanto casuale avevo stampata in faccia un’aria da cupido trasognante, o se preferite da pesce lesso. E con una voce cosparsa di miele dicevo: «Buongiorno, ma guarda chi si vede». Come dire: eh, che scherzi fa il caso! E putacaso la incontravo di nuovo – sempre per caso, s’intende – all’uscita della scuola. Dopodiché, poteva forse mancare una telefonata nel pomeriggio, dovuta ad una situazione di emergenza dovuta al caso fortuito, in questo caso a una dimenticanza del tipo: «Non trovo il diario e non ricordo le pagine che l’insegnante di storia ci ha dato da studiare». E da quel pretesto nasceva una conversazione di quaranta minuti. E finalmente mio padre riusciva a telefonare a casa per chiedere a mia madre un’informazione urgente, sbottando: «Ho provato venti volte a chiamare ma era sempre occupato». E mia madre ribatteva: «Porta pazienza, tuo figlio s’è follemente innamorato un’altra volta!».

vestizione 3

la sacrestia, quella silenziosa anticamera del paradiso …

Ora voi capite che tra questo naturale, umano e affettivo “comunicare” fatto di gesti, sguardi, parole e anche di pretesti studiati in modo ingegnoso, ed un whatsapp o un sms sul quale a distanza viene scritto: “TVB”, che mi pare voglia dire ti voglio bene, c’è parecchia differenza. Figlioli cari: non possiamo comunicare a botte di “TVB” e di faccine sorridenti o tristi, né possiamo comunicare spedendo immagini di pollici alzati di approvazione o abbassati di disapprovazioni, perché le relazioni umane non si fanno con tre parole sgrammaticate sparate con wathsapp, o con l’immagine di un cuoricino inviata via sms. Le relazioni umane sono la nostra concreta realtà presente e la nostra reale prospettiva futura, in una vita che deve essere viva e reale, non virtuale. Per questo la vostra vita deve essere fatta di relazione vere, non di cuoricini mandati a pochi metri di distanza con un sms senza guardare neppure in faccia la persona che il cuore vero ve lo fa battere. E queste relazioni umane si fondano sulla comunicazione. Pertanto cercate d’imparare a guardare il compagno o la compagna negli occhi e provare a dirgli «ti voglio bene», anziché mandargli un cuoricino col telefonino da dieci metri di distanza.

vestizione 4

la sacrestia, quella silenziosa anticamera del paradiso …

Dio, quello che una volta veniva definito nel catechismo con una frase tanto breve quanto efficace: «Dio è l’essere perfettissimo creatore del cielo e della terra», racchiude nel proprio essere eterno anche la perfezione della comunicazione; perché in modo molto efficace Dio si è rivelato e comunicato all’uomo sin dall’inizio dei tempi. Pensate in che modo originale Dio si rivela a Mosè: lo fece richiamando la sua attenzione attraverso un roveto ardente che bruciava dinanzi ai suoi occhi ma che non si consumava [cf Es 3:1-4:17]. Se però ci pensate bene, il segno di quel roveto che brucia senza consumarsi racchiude anche un altro significato. Infatti, il fuoco che brucia ma che mai si consuma, è segno dell’amore eterno e inestinguibile di Dio.

A un certo punto della storia dell’uomo, ecco che il Creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili, torna a comunicarsi ed a rendersi vivo e presente in un modo che supera ogni umana fantasia: Dio si fa uomo, presentandosi dinanzi a noi con un corpo, un volto, una voce, quella di Gesù Cristo. A quel punto, dal roveto ardente che brucia e che rappresenta l’amore inestinguibile di Dio per l’uomo, si passa a Gesù Cristo, il Verbo di Dio fatto uomo, che come agnello immolato lava il mondo dal peccato bruciando per amore dell’umanità sulla croce, per riscattare col fuoco vivo della sua passione l’umanità intera dal peccato. E ancora una volta, quello di Dio grande e misericordioso, è un fuoco d’amore che brucia e che mai si consuma.

messa giovani 2

arrivo dei giovani scolari in chiesa

Dinanzi all’insegnamento di un Dio che si comunica in modo così straordinario all’uomo, possiamo noi trasmetterci umanità, sentimento, amore, con un freddo cuoricino spedito via sms?

Quando il salmista, cantando la misericordia di Dio, ci annuncia che «Il Signore è vicino a chiunque lo invoca» [Sal 144, 3] con quelle parole vuol dire questo: il Signore, che si comunica e che si rivela all’uomo attraverso numerosi segni, desidera che l’uomo comunichi con lui.

messa giovani 1

arrivo dei giovani scolari in chiesa

E Cristo Signore, prima di morire e risorgere dai morti, prima di salire al cielo dove oggi siede alla destra del Padre, ci ha lasciato un altro grande dono: l’Eucaristia. E nel grande mistero dell’Eucaristia, il Signore Gesù è veramente vivo e presente tra noi attraverso i segni del pane e del vino che divengono suo corpo e suo sangue vivo. Sotto le specie consacrate del pane e del vino, Cristo stesso, vivente e glorioso, è infatti presente in maniera vera, reale e sostanziale, il suo Corpo e Sangue con la sua anima e divinità [cf. CCC, 1413]. 

Tutti questi doni di Dio Padre che continua a comunicarsi all’uomo sono racchiusi in una sola parola: Misericordia. Quella «misericordia di Dio» che come canta il salmista «si espande a tutte le sue creature» [Sal 144, 1].

messa giovani 3

la Sacra Celebrazione Eucaristica

Attenzione però, il salmista, cantando la divina Misericordia, ci avvisa anche che Dio è «lento all’ira e grande nell’amore». E voi capite bene che essere «lenti», non vuol dire essere «privi di ira». Voi tutti che avete ricevuto i Sacramenti di grazia, che avete fatto la Prima Comunione e molti di voi anche la Cresima, quando recitate la professione di fede – il Credo – assieme a tutta l’assemblea del Popolo di Dio affermate che Cristo «giorno tornerà nella gloria per giudicare i vivi e i morti».

Non sfidiamo quindi l’amore di Dio e la sua infinita misericordia, perché Dio è anche divino giudice, al quale un giorno tutti noi – io per primo molto più di voi – dovremo rendere conto delle nostre azioni.

Nel Vangelo del beato apostolo Giovanni che abbiamo letto [cf. 5, 17-30], Cristo Signore afferma: «Chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita. In verità, in verità io vi dico: viene l’ora […] in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio e quelli che l’avranno ascoltata, vivranno».

Messa giovani 5

un ricordo con alcuni giovani scolari

Per questo vi dico: imparate ad accogliere Dio che si comunica a voi, ed imparate a comunicare con l’amore e la misericordia di Dio, di quel Dio che è «lento all’ira e grande nell’amore». Ma pur essendo il suo amore un fuoco che brucia in eterno, ciò non vuol dire che sia privo di ira verso chi sceglie il male a tutti i costi e costi quel che costi, anziché scegliere quella sua infinita misericordia che parte dal roveto ardente di Mosè che brucia e che non si consuma, per giungere sino al Figlio Unigenito di Dio, Cristo Signore, che per amore dell’umanità brucia e consuma la propria passione sulla croce per la salvezza dell’umanità. E il terzo giorno è risuscitato secondo le scritture, nel mistero di quella Pasqua che tra poco vivremo nel ricordo di Cristo Signore, che per noi e morto e che per noi è risorto. E sul grande mistero del Cristo risorto che vince la morte, si regge l’intero grande mistero della nostra fede: Cristo Dio, l’Agnello Vittorioso, che vince la morte e che ci chiama tutti alla vita nel suo Regno che non avrà fine. Questi, i sentimenti cristiani con i quali vi esorto a vivere tra poco il grande mistero della Pasqua di risurrezione.

Sia lodato Gesù Cristo!

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Lettera a Papa Francesco di Giovanni Cavalcoli, passione e speranza nella Chiesa

– Libri e recensioni –

LETTERA A PAPA FRANCESCO DI GIOVANNI CAVALCOLI, PASSIONE E SPERANZA NELLA CHIESA

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[…] Invochiamo ed imploriamo, dunque, Beatissimo Padre, il suo aiuto e il suo soccorso, in quest’ora difficile della storia, per poter conseguire la vittoria finale e raggiungere la salvezza e la vita eterna.

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Autore Redazione dell'Isola di Patmos

Autore
Redazione
dell’Isola di Patmos

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Proponiamo di seguito uno stralcio tratto dal libro di Padre Giovanni Cavalcoli, OP

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Beatissimo Padre.

Tu sei Pietro e su questa pietra Cristo edifica la sua Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa [cf Mt 16,18].

lettera a papa francesco

il libro di Giovanni Cavalcoli edito da Chora Books

Il Signore ha incaricato Vostra Santità di pascere il suo gregge, a Lei ha consegnato le chiavi del regno dei cieli, sicché l’uso di queste chiavi ha effetti celesti, e gli atti del suo magistero e del suo governo ci insegnano, ci spiegano e ci interpretano la Parola e la Volontà di Dio, ci donano la grazia di Cristo, ci indicano la via della verità, della virtù, della giustizia, della misericordia, della libertà, della salvezza, della santità, della pace e della beatitudine celeste; ci guidano al regno dei cieli e ci difendono dal potere delle tenebre.

Il Signore Gesù Cristo, del quale Vostra Santità, Vescovo di Roma, è il Vicario, “Dolce Cristo in terra”, come La chiama la Santa Senese, La ha mandata ad annunciare la sua vittoria sui poteri del male: “Ora si è compiuta la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo, poiché è stato precipitato l’accusatore dei nostri fratelli, colui che li accusava davanti al nostro Dio giorno e notte” [Ap 12,10].

Il Signore Gesù, Vincitore del peccato e della morte, Le ha donato, infatti, il suo Spirito di Verità, d’Amore, di Misericordia e di Potenza, col Quale e grazie al Quale Vostra Santità ottiene da Dio per noi fedeli, per intercessione della Beata Vergine Maria, “ogni dono perfetto che viene dall’alto e discende dal Padre della luce, nel Quale non c’è variazione né ombra di cambiamento” [Gc 1,17].

A Lei, Beatissimo Padre, “amico dello sposo” [Gv 3,29], Cristo ha affidato la sua diletta Sposa, la Chiesa, “donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul capo una corona di dodici stelle” [Ap 12,1]. Questa Donna messianica, come Vostra Santità sa bene, che partorisce “un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro” [Ap 12, 5], è costantemente insidiata e aggredita su questa terra dal “Drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste dieci diademi”, segni di “tutti i regni della terra” [Lc 4,5], della gloria e dei poteri di questo mondo.

Ella, Beatissimo Padre, con la forza dello Spirito Santo, aiutato da San Michele Arcangelo, dai suoi angeli e dai successori degli apostoli, ha il mandato divino di difendere la Sposa contro il Drago, preparandole nel deserto di questa vita un “rifugio” [Ap 12,6], dove possa essere nutrita fino alla fine della storia terrena.

Ella, Beatissimo Padre, supremo dispensatore dei sacramenti della salvezza, dona a noi suoi figli, con la Santissima Eucaristia, il “Sangue dell’Agnello” [Ap 12,11], lavati e fortificati dal quale, insieme con Lei e sotto la sua guida, possiamo rendere la nostra testimonianza e vincere il Drago. Invochiamo ed imploriamo, dunque, Beatissimo Padre, il suo aiuto e il suo soccorso, in quest’ora difficile della storia, per poter conseguire la vittoria finale e raggiungere la salvezza e la vita eterna.

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Dalla recensione tratta da Il Naufrago [QUI]

Il Libro di Giovanni Cavalcoli, OP è reperibile QUI

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Intervista all’Arcivescovo Guido Pozzo: “A che punto è il dialogo con i lefebvriani?”

INTERVISTA ALL’ARCIVESCOVO GUIDO POZZO: «A CHE PUNTO È IL DIALOGO CON I LEFEBVRIANI?»

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«[…] la Fraternità Sacerdotale San Pio X rimane ancora in una posizione irregolare, perché non ha ricevuto il riconoscimento canonico da parte della Santa Sede. Finché la Fraternità non ha una posizione canonica nella Chiesa, i suoi ministri non esercitano in modo legittimo il ministero e la celebrazione dei sacramenti»

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Autore Redazione dell'Isola di Patmos

Autore
Redazione
dell’Isola di Patmos

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Eccellenza, nel 2009 papa Benedetto XVI ha rimesso la scomunica alla Fraternità San Pio X. Ciò significa che ora sono di nuovo in comunione con Roma?

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l’Arcivescovo Guido Pozzo, Segretario della Pontificia Commissione Ecclesia Dei

Con la remissione da parte di Benedetto XVI della censura della scomunica ai Vescovi della Fraternità Sacerdotale San Pio X (2009), essi non sono più soggetti a questa grave punizione ecclesiastica. Con tale provvedimento tuttavia la Fraternità Sacerdotale San Pio X rimane ancora in una posizione irregolare, perché non ha ricevuto il riconoscimento canonico da parte della Santa Sede. Finché la Fraternità non ha una posizione canonica nella Chiesa, i suoi ministri non esercitano in modo legittimo il ministero e la celebrazione dei sacramenti [NdR. cf. QUI, QUI]. Secondo la formula adoperata dall’allora Cardinale Bergoglio a Buenos Aires e confermata da Papa Francesco alla Pontificia Commissione Ecclesia Dei, i membri della Fraternità Sacerdotale San Pio X sono cattolici in cammino verso la piena comunione con la Santa Sede. Questa piena comunione si avrà quando vi sarà il riconoscimento canonico della Fraternità.

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Quali passi sono stati fatti dalla Santa Sede in questi sette anni per favorire il riavvicinamento della Fraternità San Pio X?

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l’Arcivescovo Guido Pozzo

A seguito della remissione della scomunica nel 2009, sono stati avviati una serie di incontri di carattere dottrinale tra esperti nominati dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, cui è strettamente legata la Pontificia Commissione Ecclesia Dei dopo il Motu proprio di Benedetto XVI  Ecclesiae unitatem [2009. NdR cf. QUI], ed esperti della Fraternità Sacerdotale San Pio X per discutere e confrontarsi sui principali problemi dottrinali che sono alla base della controversia con la Santa Sede: il rapporto tra Tradizione e Magistero, la questione dell’ecumenismo, del dialogo interreligioso, della libertà religiosa e della riforma liturgica, nel contesto dell’insegnamento del Concilio Vaticano II.

Tale confronto, durato circa due anni, ha consentito di chiarire le rispettive posizioni teologiche in materia, di mettere in luce i punti di convergenza e di divergenza.

guido pozzo 2

l’Arcivescovo Guido Pozzo,durante una celebrazione in “rito antico”

Negli anni successivi i colloqui dottrinali sono proseguiti con alcune iniziative mirate all’approfondimento e alla precisazione delle tematiche in discussione. Nello stesso tempo i contatti tra i Superiori della Commissione Ecclesia Dei e il Superiore e altri esponenti della Fraternità Sacerdotale San Pio X hanno favorito lo sviluppo di un clima di fiducia e di rispetto reciproci, che deve essere alla base di un processo di riavvicinamento. Occorre superare le diffidenze e gli irrigidimenti che sono comprensibili dopo tanti anni di frattura, ma che possono essere gradualmente dissipati se l’atteggiamento reciproco cambia e se le divergenze non vengono considerate come muri invalicabili, ma come punti di discussione che meritano di essere approfonditi e sviluppati verso una chiarificazione utile alla Chiesa intera. Ora siamo in una fase che ritengo costruttiva e orientata a raggiungere la auspicata riconciliazione. Il gesto di Papa Francesco di concedere ai fedeli cattolici di ricevere validamente e lecitamente il sacramento della riconciliazione e dell’unzione degli infermi dai vescovi e sacerdoti della Fraternità Sacerdotale San Pio X nel corso dell’Anno Santo della Misericordia [NdR. Cf. QUI] è chiaramente il segno della volontà del Santo Padre di favorire il cammino verso il pieno e stabile riconoscimento canonico.

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Quali sono gli ostacoli che ancora si frappongono alla definitiva riconciliazione?

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Guido Pozzo messa in rito antico a trieste nella parrocchia della Madonna del Rosario

l’Arcivescovo Guido Pozzo durante un celebrazione in “rito antico” a Trieste, Parrocchia della Vergine del Rosario

Distinguerei due livelli. Il livello propriamente dottrinale, che riguarda alcune divergenze circa singoli temi proposti dal Concilio Vaticano II e dal Magistero post-conciliare, relativi all’ecumenismo, al rapporto tra il Cristianesimo e le religioni del mondo, alla libertà religiosa soprattutto nel rapporto tra Chiesa e Stato, ad alcuni aspetti della riforma liturgica. Il livello dell’atteggiamento mentale e psicologico, che deve passare da una posizione di scontro polemico e antagonista, ad una posizione di ascolto e di reciproco rispetto, di stima e di fiducia, come deve essere tra membri dello stesso Corpo di Cristo, che è la Chiesa. Occorre lavorare su entrambi questi due livelli. Penso che il cammino di riavvicinamento intrapreso abbia dato qualche frutto, soprattutto per questo cambiamento di atteggiamento da entrambe le parti e vale la pena proseguire su questa linea.

Guido Pozzo Santuário da Divina Maternidade

l’Arcivescovo Guido Pozzo, durante una celebrazione al Santuário da Divina Maternidade (Portogallo)

Anche sulla questione del Concilio Vaticano II, penso che la Fraternità Sacerdotale San Pio X debba riflettere sulla distinzione, che è a mio avviso fondamentale e assolutamente dirimente, tra la mens autentica del Vaticano II, la sua intentio docendi, come risulta dagli Atti ufficiali del Concilio, e ciò che chiamerei il “paraconcilio”, cioè l’insieme di orientamenti teologici e di atteggiamenti pratici, che accompagnarono il corso del Concilio stesso, pretendendo poi di coprirsi con il suo nome, e che nell’opinione pubblica, grazie anche all’influsso dei mass media, si sono sovrapposti spesso al vero pensiero del Concilio. Spesso nella discussione con la Fraternità Sacerdotale San Pio X, l’opposizione non è al Concilio, ma allo “spirito del Concilio”, che si avvale di alcune espressioni o formulazioni dei documenti conciliari per aprire la strada a interpretazioni e posizioni che sono lontane e talvolta strumentalizzano il vero pensiero conciliare. Anche per quanto concerne la critica lefebvriana sulla libertà religiosa, al fondo della discussione a me pare che la posizione della Fraternità Sacerdotale San Pio X sia caratterizzata dalla difesa della dottrina tradizionale cattolica contro il laicismo agnostico dello Stato e contro il secolarismo e relativismo ideologico e non contro il diritto della persona a non essere coartata né impedita dallo Stato nell’esercizio della professione di fede religiosa. Si tratta comunque di temi che potranno essere oggetto di approfondimento e di chiarificazione anche dopo la piena riconciliazione. Ciò che appare essenziale è ritrovare una piena convergenza su ciò che è necessario per essere in piena comunione con la Sede Apostolica, e cioè sull’integrità della Professione di Fede cattolica, sul vincolo dei sacramenti e sull’accettazione del Supremo Magistero della Chiesa.

guido pozzo 4

l’Arcivescovo Guido Pozzo

Il Magistero, che non è al di sopra della Parola di Dio scritta e trasmessa, ma la serve, è l’interprete autentico anche dei testi precedenti del Magistero, incluso quelli del Concilio Vaticano II, nella luce della perenne Tradizione, che progredisce nella Chiesa con l’assistenza dello Spirito Santo, non però con una novità contraria (che sarebbe negare il dogma cattolico), ma con una migliore intelligenza del deposito della fede, sempre nella stessa dottrina, nello stesso senso e nella medesima sentenza [in eodem scilicet dogmate, eodem sensu et eademque sententia, cf. Concilio Vaticano I, Const. Dogm. Dei Filius, 4]. Credo che su questi punti la convergenza con la Fraternità Sacerdotale San Pio X sia non solo possibile, ma doverosa. Tutto ciò non pregiudica la possibilità e la legittimità di discutere e approfondire altre questioni particolari, cui accennavo sopra, che non riguardano materia di fede, ma piuttosto orientamenti pastorali e giudizi di carattere prudenziale, e non dogmatico, su cui è possibile avere anche differenti punti di vista. Non si tratta quindi di ignorare o addomesticare le differenze su alcuni aspetti della vita pastorale della Chiesa, ma si tratta di tenere presente che nel Concilio Vaticano II vi sono documenti dottrinali, che intendono riproporre verità di fede già definite o verità di dottrina cattolica [es. Cost. dogm. Dei Verbum, Cost. dogm. Lumen gentium], e vi sono documenti che intendono suggerire indicazioni o orientamenti per l’agire pratico, cioè per la vita pastorale come applicazione della dottrina [Dich. Nostra Aetate, Decreto Unitatis Redintegratio, Dich. Dignitatis humanae]. L’adesione agli insegnamenti del Magistero varia a seconda del grado di autorità e della categoria di verità propria dei documenti magisteriali. Non mi risulta che la Fraternità Sacerdotale San Pio X abbia negato dottrine di fede o verità di dottrina cattolica insegnate dal Magistero. I rilievi critici riguardano invece affermazioni o indicazioni concernenti la rinnovata cura pastorale nei rapporti ecumenici e con le altre religioni e alcune questioni di ordine prudenziale nel rapporto Chiesa e società, Chiesa e Stato. Sulla riforma liturgica, mi limito a menzionare una dichiarazione che Mons. Lefebvre scrisse a Papa Giovanni Paolo II in una lettera dell’8 marzo 1980: «quanto alla messa del Novus Ordo, malgrado tutte le riserve che si devono fare al riguardo, io non ho mai affermato che essa sia invalida o eretica». Quindi le riserve al rito del Novus Ordo, che non sono ovviamente da sottovalutare, non si riferiscono né alla validità della celebrazione del sacramento né alla retta fede cattolica. Sarà pertanto opportuno proseguire nella discussione e nella chiarificazione di tali riserve.

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In occasione dell’Anno della Misericordia è arrivato un gesto distensivo da parte di papa Francesco: i fedeli cattolici potranno ricevere il sacramento della riconciliazione anche da parte di sacerdoti appartenenti alla Fraternità. Cosa comporta questo provvedimento? Ritiene che questo gesto possa concretamente riaprire un dialogo che, da qualche tempo, sembrava essersi arenato?

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Guido Pozzo sant antonio abate san pietro 17 gennaio 2014

l’Arcivescovo Guido Pozzo in Piazza San Pietro durante la festa di Sant’Antonio Abate [17 gennaio 2014]

Come ho detto sopra, il dialogo con la Fraternità Sacerdotale San Pio X non si è mai arenato. Si è piuttosto deciso che esso continuasse in una forma meno ufficiale e formale, per dare spazio e tempo ad una maturazione dei rapporti nella linea dell’atteggiamento di fiducia e di ascolto reciproco per favorire un clima di relazioni più idoneo ove collocare anche il momento della discussione teologica e dottrinale. Il Santo Padre ha incoraggiato la Pontificia Commissione Ecclesia Dei fin dall’inizio del suo pontificato a perseguire questo stile nei rapporti e nel confronto con la Fraternità Sacerdotale San Pio X. In questo contesto il gesto distensivo e magnanimo di Papa Francesco nella circostanza dell’Anno della Misericordia ha indubbiamente contribuito a rasserenare ulteriormente lo stato dei rapporti con la Fraternità, mostrando che la Santa Sede ha a cuore il riavvicinamento e la riconciliazione, che dovrà avere anche un rivestimento canonico. Spero e mi auguro che lo stesso sentimento e la stessa volontà siano condivisi anche dalla Fraternità Sacerdotale San Pio X.

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© Zenit

Questa intervista curata da Luca Marcolivio è stata rilasciata da S.E. Mons. Guido Pozzo all’Agenzia Zenit il 28 febbraio 2016  [cf. QUI]

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RIMANDIAMO AI SEGUENTI DOCUMENTI RIPORTATI IN PASSATO NELLA APPENDICE DI QUESTO NOSTRO ARTICOLO SULL’ISOLA DI PATMOS  [VEDERE QUI]

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– «Lettre de S.S. Paul VI à Mgr Marcel Lefebvre», 29 juin 1975 [testo QUI]

– Lettera Apostolica di S.S. Paolo VI, «Nuova ammonizione a S.E. Mons. Marcel Lefebvre», 8 settembre 1975 [testo, QUI]

– S.S. Paolo VI, «Lettera a Mons. Marcel Lefebvre», 15 agosto 1976 [testo QUI]

– Discorso di S.S. Paolo VI «Sulla dolorosa vicenda di Mons. Marcello Lefebvre», 1° settembre 1976 [testo QUI]

– «Lettera Apostolica Ecclesia Dei» del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II in forma di motu proprio, 2 luglio 1988 [testo QUI].

– Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, nota esplicativa «Sulla scomunica per scisma in cui incorrono gli aderenti al movimento del Vescovo Marcel Lefebvre», 24 agosto 1996 [testoQUI].

– Congregazione per i Vescovi: «Decreto di remissione della scomunica latae sententiae ai Vescovi della Fraternità di San Pio X», 21 gennaio 2009 [testo QUI]

– «Nota della Segreteria di Stato circa i quattro Vescovi della Fraternità di San Pio X», 4 febbraio 2009 [testo QUI]

Lettera del Santo Padre Benedetto XVI ai Vescovi della Chiesa Cattolica riguardo alla remissione della scomunica ai 4 Vescovi consacrati dall’ Arcivescovo Lefebvre [testo, 10 marzo 2009 QUI].

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Pedofilia: “Il caso Spotlight” è una ottima raffigurazione filmica della piaga dell’omertà clericale

PEDOFILIA: «IL CASO SPOTLIGHT» È UNA OTTIMA RAFFIGURAZIONE FILMICA DELLA PIAGA DELL’OMERTÀ CLERICALE

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Il caso di Spotlight” è un film che merita apprezzamento per il modo in cui il regista e gli attori hanno rappresentato il cuore di questo doloroso problema, costituito da quell’omertà clericale che da sempre caratterizza e avvolge sia i peggiori casi di pedofilia sia i vari disordini sessuali manifestati da non pochi membri del nostro clero secolare e regolare. E adesso ve lo spiego io sulla mia vita vissuta e sulla mia pelle, che cosa comporta per un prete violare l’omertà clericale, visto che i prezzi li ho pagati tutti, uno per uno …

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Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

 

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il caso spotlight

la locandina del film

Un lettore affezionato mi ha segnalato due articoli sulla Nuova Bussola Quotidiana, firmati uno da Massimo Introvigne [cf. QUI] e uno da Stefano Magni [cf. QUI]. L’oggetto di questi due articoli è la pellicola “Il caso di Spotlight”, premiato film-denuncia sui casi di pedofilia che scossero l’Arcidiocesi di Boston e la Chiesa Cattolica in più angoli del mondo [cf. trailer italiano, QUI]. 

I due autori che sulla Bussola Quotidiana hanno firmato i loro articoli, trattano il problema con quella correttezza giornalistica  che alle volte può indurre a cadere nel parziale e nel superficiale. Né Massimo Introvigne, che illustra un problema molto complesso attraverso la sua nota preparazione sociologica; né Stefano Magni, che nel suo ottimo articolo avrebbe potuto a mio parere evitare di definire l’opera come «film ideologico», no sono neppure sfiorati da quella parziale e imperante superficialità che oggi pare farla da padrona.

Io che certi problemi li ho toccati con mano e che mi ci sono ritrovato invischiato pagandone infine un caro prezzo, affermo che questo film, lungi dall’essere “ideologico”, è privo anzitutto di qualsiasi “scena forte” tesa a toccare il sentimento degli spettatori per suscitare in essi sprezzo verso la Chiesa Cattolica; dei sentimenti diversamente suscitati da ben altri film, per esempio “Schegge di paura” [USA, 1996, QUI], “Angeli ribelli” [Irlanda, 2003, QUI], “Magdalene” [2002, UK, QUI], etc ..

Il caso di Spotlight”, a parte alcune imprecisioni dovute alla vasta complessità e gravità di un tema non facile da trattare, merita apprezzamento per il modo in cui il regista e gli attori hanno rappresentato il cuore di questo doloroso problema, costituito da quell’omertà clericale che da sempre caratterizza e avvolge sia i peggiori casi di pedofilia sia i vari disordini sessuali manifestati da non pochi membri del nostro clero secolare e regolare. 

E adesso ve lo spiego io sulla mia vita vissuta e sulla mia pelle, che cosa comporta per un prete violare l’omertà clericale, visto che appunto i prezzi li ho pagati tutti, uno per uno …

Il limite che da anni riscontro nei molti che “presumono” di poter parlare di certi temi che toccano e scuotono a volte il nostro intero sistema ecclesiastico, è dato dalla scarsa propensione spesso mostrata da esponenti più o meno autorevoli del mondo cattolico a prendere il toro per le corna, anche perché tutti sappiamo che si può correre il rischio di essere infilzati, quindi meglio rimanere sugli spalti dell’arena a urlare per il torero o per il toro. O per meglio dire: se ha la meglio il torero, si grida “Viva il torero!”, se ha la meglio il toro, si grida “Viva il toro!”.

Negli anni ho approfondito il complesso problema del gaysmo dentro la Chiesa e nel farlo non ho mai guardato in faccia nessuno, pagandone sino a oggi le conseguenze. Cosa che non hanno invece mai pagato certi laici cattolici impegnati e militanti, presi a gridare assecondo il vento che tira nell’arena per “il torero” o per “il toro”. Questi cattolici impegnati e militanti, seppure avvisati in modo dettagliato, ben se ne guardarono dal sollevare all’epoca mezza voce in mia difesa, quando all’interno della mia Chiesa venivo passato dentro il tritacarne dai peggiori ecclesiastici omertosi per avere osato proferire il vero e per avere denunciato all’Autorità Ecclesiastica certe situazioni intollerabili. N’è prova il fatto che per due anni, nella Diocesi del Vescovo di Roma — che non è governata dal Vescovo di Roma ma dal suo Vicario Generale — celebrai la Santa Messa nelle Catacombe di Priscilla [2011-2013], assistito dal mio prezioso allievo e collaboratore, unica persona presente. Nel mentre, coloro che avrebbero potuto spendere due parole in mia difesa, non dico fossero latitanti, erano semplicemente impegnati nel politicamente corretto, tutti presi a ossequiare i loro padroni per i quali erano impegnati a guidare come dei devoti padroncini i furgoni-merce messi a loro disposizione.

Su certi argomenti penso di poter parlare con sufficiente autorevolezza perché sospiro dietro sospiro, tutto ciò che ho detto e tutte le denunce che all’epoca presentai al Vicariato di Roma, alla Congregazione per il Clero e alla Segreteria di Stato, le ho pagate bastonata dietro bastonata, cattiveria dietro cattiverie, ostracismo dietro ostracismo.

solitudine

la solitudine, spesso compagna del prete …

Non so quanti laici cattolici che ogni sera rientrano a casa loro senza che alcuno li scalfisca, possano parlare con la mia cognizione di causa, che a fine giornata rimanevo invece nella mia casa, che è la Ecclesia intesa anche come mondo ecclesiastico, avvolto dalla cupezza di quella omertà clericale imperante i cui nefasti risultati sono ormai dettagliati nelle motivazioni di sentenza date da numerosi tribunali sparsi in giro per il mondo. Sentenze tutt’altro che inique e lungi dall’esser mosse da sentimenti anti-cattolici, basti considerare che sulle parole di quelle sentenze è stata poi celebrata la penosa liturgia dei mea culpa da parte di quegli stessi ecclesiastici che sino a poco prima avevano redarguito, minacciato e ostracizzato i pochi preti che con coraggio avevano segnalato fatti, situazioni e, soprattutto, quei soggetti ad alto rischio protetti da intere cordate di potenti prelati. E certe persone, nella fattispecie gli omosessuali ecclesiastici per un verso, i pedofili per altro verso, hanno sempre avuto, dentro il mondo ecclesiastico, eserciti di protettori, ma soprattutto di solerti e spesso potenti “copertori”.

E chiunque paghi il prezzo da me pagato, per quanto bastonato a sangue, è però libero, ed essendo libero non ho debiti da pagare, perché il “segreto” di quella cristologica libertà che se realmente conosciuta ci farà liberi [cf. Gv 8, 32] si fonda sulla mancanza di qualsiasi aspirazione di carriera e beneficio ecclesiastico; checché ne dicano certi carrieristi, che non potendomi definire “uomo libero”, mi hanno semmai definito … “uomo pericoloso”, oppure “mina vagante” (!?). Anche per questo motivo io non ho creditori vestiti di rosso che bussano alla mia porta per presentarmi le cambiali in scadenza da pagare, o che mi ricordano i prestiti ottenuti, o semmai le donazioni o le regalie a me elargite sotto forma di sistemazioni, prebende e privilegi ecclesiastici, visto che a me hanno donato solo copiose sberle; e le sberle — come ben sappiamo — sono sempre gratuite, ottengono la grazia all’anima che le riceve e conducono spesso verso l’Inferno quella di chi le elargisce con gratuita o calcolata cattiveria, in sommo sprezzo a quella evangelica verità che ci farà liberi.

E Satana si fece trino (copertina)

Ariel S. Levi di Gualdo. E Satana si fece Trino. Relativismo, indivdualismo, disubbidienza. Analisi sulla Chiesa del terzo millennio. Edito nel 2011 ed a breve in ristampa

Nel 2011, in un mio libro attualmente in ristampa, analizzai in profondità il problema della omosessualizzazione della Chiesa ed il numero di sacerdoti gay sempre più alto, indicandone le ragioni, le origini scatenanti ed anche i possibili rimedi, anche se con questi risultati: non un solo vescovo e cardinale, di quelli che in seguito mi avvicinarono, mi dette torto per ciò che avevo scritto e per il modo chiaro in cui lo avevo scritto. Tutt’altro, collezionai complimenti a volte persino imbarazzanti, dentro le chiuse stanze private dei vari sacri palazzi. E fatta unicamente eccezione per un anziano arcivescovo titolare, che mi accolse sul finire del 2011 prendendosi paterna cura della mia formazione permanente al sacerdozio, nessuno, di questi alti prelati laudatori in privato, mosse mezzo dito per me, mentre un esercito di mediocri monsignorini incattiviti cercava di aggredirmi come un branco di iene inferocite.

I fatti sono fatti e restano tali, ma soprattutto documentati. E l’Autorità Ecclesiastica, a partire da quella romana, lo sa bene, in che modo io sono aduso documentare i fatti; e anche in che modo non parli mai senza prove.

Predicando alle sabbie del deserto e alle canne mosse dal vento ho parlato inutilmente di un golpe omosessualista all’interno della Chiesa [vedere QUI]. Inutilmente ho spiegato che la lobby dei gay non si limita a puntare in alto, perché da tempo è ormai giunta in alto. Sono infatti anni che i gay ecclesiastici ed i loro gay friendly incidono sulle nomine episcopali di candidati più o meno appartenenti alla gaia “pia confraternita”, ed una volta divenuti vescovi cominciano per prima cosa a piazzare i propri fedeli amici nei posti chiave delle diocesi, in molte delle quali imperano gay più o meno palesi in tutte quante le cosiddette stanze dei bottoni, con accesso immediato ai bottoni di attivazione del lancio di missili terra-aria sui buoni preti, o sui pochi che sopravvivono in certe diocesi nelle quali, chi ha la sventura di partecipare in esse ad una assemblea del clero, potrebbe avere a volte l’impressione d’essere finito per sbaglio in una succursale del gay village.

i moderni religiosi

uno spaccato del nuovo stile religioso, dinanzi al quale San Pio da Pietrelcina avrebbe fatto sicuramente salti di gioia …

Come mai è accaduto tutto questo? Il problema nasce a monte agli inizi degli anni Settanta, quando nella stagione del post-concilio si passò dal precedente rigore, forse eccessivo, al lassismo reattivo. E così, in una società in piena trasformazione e con la cosiddetta “liberazione sessuale” ormai imperante, i seminari si andarono svuotando, di più ancora i noviziati e gli studentati delle famiglie religiose e degli stessi ordini storici. Fu a quel punto che molti vescovi e superiori maggiori delle famiglie religiose spalancarono le porte e consentirono l’accesso alla formazione al sacerdozio e alla vita religiosa a soggetti che mai, in precedenza, sarebbero stati ammessi in un seminario o in un noviziato. E quando si creano dei covi di vipere, accade che le vipere si riproducano tra di loro e alla buona occorrenza tutte assieme mordano e tentino di avvelenare chiunque cerchi in qualche modo di colpirle.

Se quarant’anni fa era ragionevole dire che il problema nascesse a monte dalla formazione dei futuri nuovi presbiteri e religiosi, oggi, a degenerazione completamente avvenuta, è invece ragionevole dire — ma nessuno purtroppo lo dice — che il problema nasce tutto dall’episcopato. Come infatti spiegai in quel mio libro del 2011: «Coloro che negli anni Settanta capeggiavano all’interno dei seminari la gaia confraternita, oggi ce li ritroviamo vescovi, ed appena divenuti tali, per prima cosa hanno piazzato in tutti i ruoli di rilievo e portato avanti nella scala gerarchica o nella cosiddetta carriera ecclesiastica dei soggetti affini a loro». Questa è la drammatica radice di quel problema che indico ormai da anni, ma purtroppo inutilmente, perché nessuno dentro la Chiesa ha voluto prestare ancora ascolto alle mie parole, soprattutto quando l’evidenza dei fatti mi dava piena ragione.

Spiego anche, sempre in quella mia opera, che l’omosessualità fisica, quella concretamente praticata, è solo la punta estrema di una omosessualità ormai radicalizzata che in sé è molto peggiore e nociva: quella omosessualità psicologica andata ormai al potere ed in virtù della quale è stata infine omosessualizzata la Chiesa. E oggi ci ritroviamo non di rado dinanzi a preti, ma soprattutto dinanzi a vescovi e “uomini” in delicate posizioni di autorità che a volte ragionano con la stizza delle psicologie femminili affette da un loro tipico disturbo, che è l’isteria, parola il cui significato dice tutto, visto che l’etimo greco di questo lemma [ὕστερον, hysteron]  vuol dire utero.

vicariato di roma

il palazzo del Vicariato di Roma

Ma veniamo ai fatti rigorosamente documentati, visto che certi documenti e relazioni le consegnai a mio rischio e pericolo alle seguenti Autorità Ecclesiastiche: all’allora Vescovo ausiliare del settore centro della Diocesi di Roma S.E. Mons. Ernesto Mandara, uomo di cui conservo il vivo e amabile ricordo; all’allora Prefetto della Congregazione per il clero, Cardinale Mauro Piacenza, per mano dell’allora mio Vescovo. E ancora: al Cardinale Giuseppe Bertello, ex Nunzio apostolico in Italia, carica all’epoca vacante, nominato Governatore della Città del Vaticano, al quale andai a consegnare il mio testo nel suo nuovo ufficio presso la Santa Sede con preghiera di far avere quella mia relazione all’allora Segretario di Stato Cardinale Tarcisio Bertone, perché in gioco era l’immagine della Diocesi di Roma, ossia la Chiesa particolare di quel Sommo Pontefice che su certi temi e problemi si era già espresso in modo deciso e severo attraverso più locuzioni e documenti, pertanto era opportuno evitare che proprio nella sua Diocesi, a sua insaputa ed a causa del mal governo altrui, scoppiassero certi scandali.

In due mie diverse relazioni stilate a inizio 2011 venivano indicati vari casi, a partire da quello del rettore di una antica e prestigiosa basilica romana che da anni manteneva un giro di giovani marchettari, cosa peraltro che da anni tutti sapevano: lo sapeva il Cardinale Agostino Vallini, lo sapeva il suo predecessore al Vicariato di Roma Cardinale Camillo Ruini, lo sapeva il Prelato segretario dell’epoca presso il Vicariato, Mons. Mauro Parmeggiani, promosso in seguito Vescovo di Tivoli; lo sapeva l’allora Arcivescovo castrense Angelo Bagnasco, in seguito promosso Arcivescovo di Genova e Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, che per ragioni d’ufficio frequentò per diversi anni quella basilica durante il suo ministero apostolico presso le Forze Armate, per seguire con tanti altri silenziosi prelati, tutti variamente maestri di quella somma “prudenza” che porta talvolta a vedere e al tempo stesso a non agire. Quale fu, infatti, la reazione del Cardinale Mauro Piacenza, quando all’epoca l’allora mio vescovo gli consegnò a mano quella mia relazione? Ne prese atto e rispose che la situazione incresciosa di quella basilica era a loro da tempo nota. E poco dopo, il vescovo latore della mia relazione — che con tutti i suoi pregi e difetti è sempre stato però un vero credente e soprattutto un uomo dotato di morale senso etico e che nei limiti delle sue possibilità cercò di proteggermi da quella grave ingiustizia —, uscì dal palazzo della Congregazione per il clero dicendomi: «Andiamo bene, li abbiamo informati di ciò che già sapevano!». E aggiunse: «Ma ciò che è peggio è che non facciano niente».

chiesa santa teresa

scorcio della chiesa metropolitana di Santa Teresa a Roma

In una di quelle due relazioni indicavo anche il delicato problema dei Carmelitani della Parrocchia di Santa Teresa, dai quali anni dopo scoppiò uno scandalo dai risvolti infernali [cf. QUI, QUI, QUI, QUI]. Appena però nominai i Carmelitani, il prelato mio interlocutore si rabbuiò e mi disse: «Molla sùbito la pezza! I Carmelitani sono nelle grazie del Cardinale Agostino Vallini che ha voluto promuoverne uno, suo notorio pupillo, anch’esso come lui canonista, prima alla carica di vescovo ausiliare di Napoli, poi a quella di Vescovo di Aquino-Sora-Pontecorvo. E ti dirò: sta cercando di portarselo al Vicariato come arcivescovo vicegerente». E così, in effetti, avvenne poco dopo nel 2012, quando il Carmelitano S.E. Mons. Filippo Iannone fu eletto a quell’incarico, affinché “l’organico dirigente” del Vicariato fosse completo nel suo quadro di timorosi e ossequiosi “segretarietti” e “subalterni“, non certo di confratelli nell’episcopato chiamati a collaborare in perfetta comunione per il bene della Diocesi del Vescovo di Roma con il suo Vicario Generale. È infatti noto che certi caporioni vogliono attorno a sé dei subalterni, non dei confratelli vescovi, tanto meno delle menti che ragionano; e li vogliono tali nella proporzione in cui sono inconsciamente consapevoli di essere dei clamorosi mediocri che devono proprio per questo cercare di brillare in ogni modo e con ogni mezzo di luce propria.

Dopo un colloquio tanto riservato quanto drammatico avuto con due alti funzionari della Digos di Roma agli inizi del 2012, fui messo a conoscenza della “vita spericolata” condotta dall’allora Arciabate di Montecassino, Dom Pietro Vittorelli, la cui palese gayezza l’avrebbe vista e percepita persino un cieco, fuorché la buona Autorità Ecclesiastica, caduta letteralmente dalle nuvole quando fu infine reso pubblico che questo indegno successore luciferino di San Benedetto da Norcia era un tossicodipendente impenitente ed altrettanto gay impenitente che manteneva la propria bella vita ed i servizi dei suoi costosi prostituti gay coi soldi sottratti alla Caritas della Diocesi a lui affidata. Inutile ricordare oggi — benché per dovere lo ricordi comunque — a che cosa hanno portato tutti questi casi da me segnalati con anni di anticipo, grazie al non agire delle informatissime Autorità Ecclesiastiche, che se messe dinanzi a certe loro responsabilità di azione, prima che certi fattacci si mutassero in scandali pubblici, non è raro che si irritino nei confronti di chi gli segnala certe cose, facendola semmai pagare a caro prezzo al malcapitato, proprio come accadde al sottoscritto.

confessionale

questo grande ristoro dell’anima …

A parte certe informazioni a me riferite in via del tutto riservata da vari esponenti delle Forze dell’Ordine che frequentavano la basilica romana nella quale all’epoca prestavo servizio, prima di procedere oltre devo per inciso chiarire in che modo sono venuto a conoscenza di certi fatti …

… a partire da poche settimane dopo la mia sacra ordinazione sacerdotale cominciai a essere confessore e direttore spirituale di un numero sempre più crescente di sacerdoti, religiosi, seminaristi secolari e religiosi in formazione, i quali più volte, in foro interno e in foro esterno, prostrati in condizioni di profonda sofferenza interiore o di vero e proprio choc mi riferirono le situazioni gravissime che si ritrovavano a vivere ed a subìre. Siccome non tutti si nasce leoni o aquile, diversi di questi confratelli e diversi seminaristi e religiosi, non sapendo come agire o semplicemente come rivolgersi ai propri superiori e rimanere illesi, mi liberarono dall’inviolabile sigillo sacramentale della confessione e dopo avermi svincolato mi fornirono dettagli, prove e documenti, autorizzando me a segnalare i casi ed a parlare con la competente Autorità Ecclesiastica. Pensate, tra i vari documenti da me consegnati figura persino una ludica raccolta fotografica completa nella quale, i seminaristi di un prestigioso collegio romano, non avevano trovato di meglio da fare che festeggiare il Natale proponendosi come “mignotte” a un baccanale di Bacco e Cerere, ideando poi un servizio fotografico nel quale si erano foto-montati su immagini di nudi e seminudi femminili in coppia con i loro formatori, su figure di donne coi seni prosperosi e via dicendo a seguire. Questa istituzione ha ovviamente un nome, peraltro pure prestigioso, si chiama Almo Collegio Capranica, fucina di molti vescovi e cardinali italiani, specie di diversi dei nostri attuali peggiori, i quali tutti assieme, come una sorta di “loggia segreta”, proteggono all’occorrenza questo almo collegio, all’interno del quale è avvenuto di tutto e di più, con sgomento della stessa Segreteria di Stato alla quale appartiene la sua giurisdizione e dalla quale, oltre allo sgomento per fatti da tempo conosciuti, ci si attenderebbero quei provvedimenti ancora lontani da venire; a meno che dall’organico della Segreteria di Stato non si proceda prima a licenziare gli affiliati alla seletta “loggia segreta” del Capranica [cf. Corrispondenza Romana, QUI].

Ecco dunque illustrato il motivo per il quale, chi di dovere, mi ha sempre trattato con cautela, sapendo che quando parlo od affermo certe cose, non lo faccio mai a vanvera, né per sentito dire né per quel devastante «pare … sembra … si dice …» che affiora invece puntuale sulla bocca di quei clericali che desiderano con tutto il cuore impallinare in ogni modo qualcuno. Io parlo per abitudine sempre e solo sulla base di prove provate e documentate.

notti brave scorcio di filmato 1

un ben poco edificante scorcio di filmato tratto dal servizio “Le notti brave dei preti gay”

A quanto sinora narrato unisco anche un precedente risalente alla fine del 2009, all’epoca che vivevo in una casa sacerdotale internazionale su Colle Aventino. In quel periodo accadde che da quel colle venni a conoscenza di ciò che avveniva “a valle”, cioè al Testaccio, dove un numero preoccupante di preti frequentavano in abiti borghesi i vari locali gay. Cosa del tutto comprensibile che questi preti gay passassero inosservati, perché pare che i monsignorini del Vicariato fossero troppo impegnati a fare battute su di me quando osai presentarmi in più occasioni nei loro uffici con la vesta talare indosso, recepita come se quel mio vestimento ecclesiastico rappresentasse chissà quale oltraggio alla altrui lesa maestà clericale; o meglio alla maestà di coloro che, anziché ridere sulla mia talare ― che di prassi io indosso e porto sempre tutti i giorni ―, forse avrebbero dovuto curarsi dei non pochi preti che in jeans e t-shirt andavano a “palpare l’uccello” in mezzo alle gambe ai cubisti che danzavano seminudi nei locali gay del Testaccio.

Quando segnalai l’andirivieni di preti in questi locali gay, in toni rasenti la minaccia mafiosa mi fu fatto chiaramente capire che se volevo vivere bene a Roma, dovevo imparare a farmi gli affari miei; e in tal senso fui invitato a fare mia ed a vivere quella perniciosa omertà clericale così ben raffigurata dal regista e dagli attori de “Il caso di Spotlight”. Trascorso meno di un anno, mentre nell’estate del 2010 mi trovavo in Germania per studi di approfondimento, fui raggiunto telefonicamente da un mio familiare che mi disse: «Puoi procurarti il settimanale Panorama?». E mi spiegò: «A partire dalla copertina in poi ci troverai scritto tutto quello che tu hai segnalato per tempo ma inutilmente all’Autorità Ecclesiastica». E il titolo sulla copertina era il seguente: «Le notti brave dei preti gay» [vedere QUI]. Cuore del servizio erano i resoconti, corredati di filmati dei festini gay nei locali del Testaccio ai quali partecipavano vari preti, uno dei quali osò persino celebrare al mattino la Santa Messa nel salotto dell’appartamento nel quale s’era dato ai baccanali sodomitici col suo amico occasionale, presente anch’esso alla sacra celebrazione [vedere filmati QUI].

le notti breve dei preti gay copertina

la triste copertina del settimanale Panorama che nel luglio 2010 pubblicò il servizio di Carmelo Abbate corredato poi di video filmati tutt’oggi visibili in rete

Dinanzi a simili evidenze, pensate che l’Autorità Ecclesiastica mi abbia convocato e detto: “… prendiamo atto che avevi ragione e che con anticipo ci avevi indicato il vero, indicandoci persone e situazioni scabrose, ma purtroppo noi non abbiamo agito”? Giammai! Ed è stato proprio perché avevo ragione, in quanto ci avevo visto giusto, che sono stato sottoposto più volte ad angherie dai caporioni dell’esercito degli omertosi che mi hanno giudicato reo di negata omertà clericale. Perché come potete ben capire, l’importante è che la Chiesa domandi perdono agli ebrei, ai musulmani, ai luterani, ai pentecostali, agli indigeni … insomma: a tutti, meno che ai propri devoti sacerdoti, che a loro serio pericolo hanno rischiato all’occorrenza il tutto e per tutto, pur di cercare in qualche modo di difenderla.

Eppoi, parliamoci chiaramente, perché, specie in questo clima di soffocante mediocrità ecclesiastica, se io avessi accettato le regole omertose del gioco e tutto ciò ch’esso comporta, non solo sarei già diventato titolare di una cattedra in una università pontificia, non solo avrei avuto ben altro genere di sistemazione, non solo sarei stato immesso negli àmbiti della cosiddetta più prestigiosa carriera ecclesiastica … di più ancora: forse, dopo un breve periodo di anni, mi sarei persino ritrovano a “pavoneggiarmi” con la mitria in testa e il pastorale in mano in mezzo a un esercito di vescovi che vedono ma non vedono, che sanno ma che fingono di non sapere, che chinano il capo dinanzi ai prepotenti e che bastonano i deboli, che non di rado puniscono le vittime e difendono i carnefici. E la mia è stata — ritengo da sempre —, la scelta giusta, perché non ho mai puntato all’immediato presente, ma all’eterno, vale a dire alla salvezza della mia anima che aspira a raggiungere la visione beatifica nel mistero trinitario del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, al quale intendo guidare anche molti altri Christi fideles come pastore in cura d’anime. E per puntare all’Eterno bisogna scegliere di necessità la croce, senza la quale non c’è risurrezione.

Quando nel 2009 dissi a un membro della Congregazione per la dottrina della fede che il giovane Mons. Krzysztof Charamsa, persona amabile e bravo teologo dogmatico, era palesemente gay [cf. QUI]; quando spiegai che nei suoi studi sulla “teologia” della “sofferenza umana” [cf. QUI] avevo individuato celato dietro le righe il disagio proveniente a monte da un suo stato interiore umano-affettivo riconducibile sicuramente alla sua sessualità, ecco che per tutta risposta, questo autorevole membro, incontrando appresso l’allora mio Vescovo, lamentò che io vedevo omosessuali dovunque e che ero ossessionato dagli omosessuali nella Chiesa. Anche in quel caso, l’allora mio Vescovo, anziché rimproverarmi mi disse: «Il problema, non è che gli omosessuali li veda tu, il problema è che invece non li veda lui!».

Domanda a posteriori a dir poco lecita: dopo il pubblico coming-out di Mons. Charamsa, giunto in giovane età alla prestigiosa carica di segretario aggiunto della Commissione teologica internazionale, che cosa dovrebbe dirmi, oggi, questo allora membro della Congregazione per la dottrina della fede, promosso in seguito anche vescovo per la sua “lungimiranza” estrospettiva? 

Trovo davvero impressionante che questi prelati e prelatoni, seppure consapevoli di avere sbagliato, di avere rimproverato in passato uno che aveva ragione solo perché diceva e indicava loro il vero; che sebbene consapevoli che di fatto io avevo visto giusto mentre loro di fatto no, per nessuna ragione al mondo ammetterebbero mai di essersi sbagliati, al costo di negare persino l’evidenza dei fatti. O forse perché sono troppo impegnati nella penosa “liturgia” delle scuse presentate e rivolte da Santa Madre Chiesa agli ebrei, ai musulmani, ai luterani, ai pentecostali, agli indigeni … insomma: a tutti ― come dicevo poc’anzi ― meno che ai propri devoti sacerdoti?

Tdazio morte a venezia

immagine del protagonista del giovane Tdazio nella trasposizione cinematografia di Morte a Venezia di Luchino Visconti, che accentua in modo magistrale la efebofilia contenuta nelle pagine di Thomas Mann

E chiudo questa lunga “litania” con l’ultima in ordine di serie: mesi fa, previa diretta conoscenza della persona, della situazione e dei fatti, informai un vescovo toscano che un giovane uomo andava tenuto prudentemente a distanza dal contatto con gli adolescenti negli ambiti parrocchiali, perché affetto da comprovati istinti efebofili. Indirizzai presso un rispettabile presbitero di quella diocesi, dotato di esperienza psicologica, un docente di mia conoscenza ad accompagnare presso di lui uno degli ex adolescenti palpeggiati in passato da questo personaggio, mosso da un rapporto tutto da definire con la fede e la Chiesa, entrambe vissute in una sorta di dimensione estetico-decadente dal sapore di “Morte a Venezia” di Thomas Mann. Ovviamente scrissi una dettagliata informativa a questo vescovo, il quale, quando nel maggio del 2015 lo incrociai presso la plenaria della Conferenza Episcopale Italiana ― dove mi ero recato per salutare alcuni prelati e incontrare altri che mi volevano parlare ―, in risposta alla mia lettera-relazione replicò che lui non era un magistrato e che se avevo qualche cosa da denunciare dovevo rivolgermi non a lui ma alla magistratura. E pochi mesi dopo, questo vescovo, non trovò di meglio da fare che dare prova della propria massima scelleratezza ammettendo questo efebofilo, cultore del bello e dell’estetica liturgico-musicale, nel proprio seminario. 

Inutile a dirsi: se questo soggetto divenisse per nostra somma disgrazia prete, ed una volta prete palpeggiasse un adolescente, io prenderò immediatamente la mia relazione inviata a suo tempo, i testimoni mandati a rendere testimonianza privata a quel vescovo e, senza alcuna esitazione, mi rivolgerò alla magistratura, ma non per denunciare l’efebofilo colto sul fatto, ma il vescovo. E nel mio esposto preciserò che non solo costui non mi ha prestato ascolto quando lo avvisai per tempo con dovizia di prove, ma che dopo essere stato informato di tutto punto sul soggetto ad altissimo rischio, reputò cosa buona e giusta ammetterlo nel proprio seminario. E vedremo, specie con i tempi che corrono oggi, con che faccia questo vescovo dirà ai magistrati che non sapeva niente; o con quale spirito oserà sostenere dinanzi ai giudici che lui non è un magistrato e che quindi, non essendo tale, non aveva alcun dovere e obbligo di vigilare sulla diocesi a lui affidata, al punto tale da ammettere senza problema una volpe dentro il pollaio, sebbene di ciò fosse stato avvisato per anticipo e con tutti i dettagli del caso.

l’Arciprete della Papale Basilica di San Pietro, Cardinale Angelo Comastri, impone le ceneri sul capo del Sommo Pontefice Benedetto XVI

Che la Chiesa abbia emanato documenti in materia è fuori dubbio, come è fuori dubbio che il Venerabile Pontefice Benedetto XVI scrisse una memorabile Lettera pastorale ai cattolici dell’Irlanda [cf. QUI], da me considerata uno tra i più importanti atti del suo apostolico ministero pastorale e per questo più volte riportata nel mio saggio già precedentemente citato. Documento nel quale, il Sommo Pontefice allora regnante, spiegò come e in quale pericolosa misura molti vescovi non abbiano tenuto conto, ed in che modo seguitino a non tenere conto di quelle esortazioni, proseguendo imperterriti ad ammettere nei loro seminari sempre più vuoti dei veri e propri eserciti di asessuati — nell’ipotesi migliore —, se non peggio delle persone che palesano una evidente carenza di testosterone maschile e che ricercano nell’apparato estetico, ed in specie estetico-liturgico o estetico-ecclesiastico, il loro punto di rifugio, di sfogo e purtroppo anche di sicura carriera, che di prassi e di rigore fanno, perché se da una parte mirano a riscattarsi, dall’altra mirano all’esercizio del potere sugli altri attraverso ruoli di gran rilievo.

Nel corso degli ultimi anni non è mancata su certi gravi temi né la lungimiranza dei Sommi Pontefici né i documenti che danno precise direttive, come quello nel quale si esorta alla non ammissione nei seminari delle persone con tendenze omosessuali [cf. QUI]. Il problema è che quando un “sistema di governo” si trova a essere infettato proprio da queste persone ormai finite inserite nei ruoli chiave di comando, la conseguenza può essere questa: io finisco per due anni a celebrare la Santa Messa sine populo nelle Catacombe assistito dal mio allievo e collaboratore, mentre non pochi “vescovi-madama” che agiscono con l’umoralità tipica delle donne in menopausa, non trovano di meglio da fare che prendere uno dei propri prediletti gay e nominarlo direttamente rettore del seminario, altro che … non ammissione nei seminari delle persone con tendenze omosessuali! Purtroppo, in non pochi seminari e noviziati religiosi, i primi gay sono risultati essere proprio i formatori. E se non si vuol credere a me, che allora si creda alle sentenze date dai tribunali penali in vari paesi dell’Europa, inclusa l’Italia, sulla base di fatti e prove di una vergogna e di uno squallore tale da deturpare la povera Chiesa di Cristo col lancio delle peggiori sostanze organiche sul suo volto.

Quali soluzioni indicai, nelle pagine di quel mio studio? Anzitutto la soluzione ovvia: con autorità, severità e coraggio, alle vipere andava tagliata la testa. Questo scrivevo nel 2011, salvo vedere diverse di queste vipere diventare uno dietro l’altro vescovi nei successivi anni. 

asessuati

asessuati di tutto il mondo: unitevi!

Come mai giudico non sbagliato ma devastante, che tutt’oggi vi siano ecclesiastici che seguitano a pensare che se uno ha tendenze omosessuali, ciò che conta è che non eserciti fisicamente la propria omosessualità? Giudico questo sbagliato perché, la morale cattolica, troppo a lungo si è incentrata solo sulla dimensione fisico-sessuale e poco su quella psicologica, dimenticando che il sesso e la sessualità è anzitutto una questione mentale, un abito mentale. E come ho affermato in passato, seguito tutt’oggi a ribadire che l’omosessuale represso, colui che non dà alcun genere di sfogo fisico ai propri impulsi sessuali, è da sempre più pericoloso di quello che perlomeno si sfoga in rapporti sessuali con altri uomini. Il represso, da me anche definito come “omosessuale psichico”, è più pericoloso perché vive in una dimensione di cattività e di sempre maggiore incattivimento che trova principalmente sfogo in tre cose: nel perverso piacere a lui derivante dal recare male agli altri, nella brama di potere e nello sfrenato carrierismo, nell’attaccamento ai soldi ed ai beni materiali. Queste persone sono inoltre ricattabili, facilmente manipolabili dai loro “benefattori”, pronti a tradire ed a violare la segretezza, se devono in tal modo rendere grazie o beneficiare i propri padrini, o più semplicemente proteggere uno dei membri della loro gaia confraternita. Per questo ribadisco: gli “omosessuali psichici” che si sono auto-repressi sono peggiori, perché in modo peggiore sfogano la propria repressione in danno della Chiesa e spesso dei preti buoni è sani, che da sempre sono le loro vittime preferite, sotto gli occhi sempre più impotenti dei vescovi e delle autorità ecclesiastiche.

adolescenti

quando dopo mezzanotte gli adolescenti danzano seminudi sui cubi delle discoteche gay, in questo caso non è lecito parlare né di adolescenti né tanto meno di pedofili, anzi bisogna proclamare il “sacro dogma” di “fede” che Gay è Bello. Se però un prete palpeggia un giovane marchettaro di 17 anni e undici mesi, è invece un pericoloso pedofilo.

Nella nostra società schizofrenica dove domina l’ideologia gender, la Chiesa sta mostrando una desolante debolezza e inadeguatezza. Per esempio: come mai, ogni volta che giornali, siti e blog della potente Lobby Gay ci sbattono in faccia gli immancabili “preti pedofili”, nessuno ha il coraggio di replicare che la maggior parte dei presunti preti pedofili, lungi dall’esser tali, in verità sono preti omosessuali, meritevoli come tali di tutte le migliori protezioni e tutele da parte di quella onnipotente madre socio-politico-economica nota come Lobby Gay?

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Quando si tratta di noi preti, accade infatti per incanto che i gay affetti da “puri” e “meravigliosi“ istinti omosessuali, meritevoli come tali di tutela e in caso contrario di accuse d’omofobia gridate verso chiunque osi dissentire, diventano putacaso dei pedofili. Un arcano, questo, che adesso vi spiegherò io, visto che la tremebonda autorità ecclesiastica non lo ha ancora spiegato, pur avendo a disposizione una caterva di riviste cattoliche, agenzie stampa e uffici per le comunicazioni sociali. Rasserenatevi comunque, cari cattolici, perché grazie a Dio c’è L’Isola di Patmos, giovanneo luogo dell’ultima rivelazione, con i suoi agguerriti Padri che non hanno padrini e padroni all’infuori di Nostro Signore Gesù Cristo.

montecassino

Montecassino, la storica abbazia dell’Occidente fondata da San Benedetto da Norcia nel VII secolo.

La verità è che i preti si screditano in due principali modi, o meglio con le due famigerate “esse”: sesso e soldi. Beninteso: come clero, negli ultimi anni abbiamo dato il peggio di noi stessi in scandali patrimoniali ed a sfondo sessuale. Basti tornare al paradigma dell’Arciabate di Montecassino, che a quanto sino ad oggi appurato è arrivato a spendere in capricci, ed in specie in capricci di carattere sessuale, 36.000 euro in un solo mese. Prima di proseguire apro però la dolente parentesi che l’Autorità Ecclesiastica s’è guardata dall’aprire: quale genere di rapporto “malato” intercorreva tra il precedente Arciabate di Montecassino, Dom Bernardo D’Onorio [1983-2007], promosso in seguito Arcivescovo di Gaeta [2007], ed il suo successore Dom Pietro Vittorelli [2007-2013]? Perché a volere il Vittorelli prima responsabile della formazione dei monaci come maestro dei novizi e animatore vocazionale ― sempre per tornare al discorso delle volpi poste a guardia dei pollai ― appresso come suo segretario particolare, fu proprio l’allora Arciabate Bernando D’Onorio. Pertanto domando: è legittimo chiedersi dove mai avesse gli occhi e con essi la sapienza e la cristiana prudenza, quell’asessuato psichico dell’Arciabate Bernardo D’Onorio, nel porre in simili ruoli delicati una persona dalla evidente sessualità disordinata come Pietro Vittorelli? E mentre un asessuato passava il proprio pastorale ad un sessuato disordinato, in quali faccende erano affaccendate le Autorità della Santa Sede, alle quali spetta la accettazione e poi la conferma della nomina dell’Arciabate di Montecassino? Perché, come potete ben vedere, certi drammi nascono da una diabolica catena che nessuno s’è preso ancora cura di interrompere, perché per farlo sarebbe necessario andare contro intere cordate di amici degli amici degli amici … E chi ha elementi ragionevoli per smentirmi, che mi smentisca, all’occorrenza anche a colpi di querele, non vedo l’ora di riceverne almeno una! E qualora qualche Autorità Ecclesiastica sollevasse un sospiro su quanto sin qui da me affermato, semmai accusandomi di “irriverenza” e di “inopportunità”, a mia difesa chiamerò una squadra di periti urologi, andrologi e psicologi. E dopo ch’essi avranno periziato che il D’onorio, padre partoriente del mostro Vittorelli, sprizza in realtà virile testosterone maschile da tutti i pori della pelle, io mi genufletterò a chiedere pubblicamente perdono, mi ritirerò a vita privata e non scriverò più neppure un articolo, anzi non scriverò più manco il mio nome. E se proprio sarò obbligato a firmare lo farò con una “X” al fermo scopo di non scrivere, a riprova che un vero uomo e un vero prete — se proprio non vuole e non può essere omertoso — allora è bene che non scriva neppure, perché deve essere sordo, cieco, muto e anche analfabeta.

nichi vendola testimonial

Nichi Vendola con il compagno Ed Testa testimonial della XX edizione del Gay Pride romano [cf. QUI]

Sui giornali ultra laicisti, sui siti e sui blog della potente Lobby Gay, chiunque può leggere le parole di fuoco scritte sull’Arciabate di Montecassino Pietro Vittorelli, riguardo il quale, agli ultra liberisti, agli omosessualisti e agli ideologi del gender che lo hanno additato alla pubblica gogna, manca però un passaggio fondamentale che in malafede ignorano: il Vittorelli non era né un pedofilo né un pericoloso bancarottiere, ma semplicemente un omosessuale impenitente, che posto in un ruolo di governo, o se preferiamo di potere, ha usato mezzi e danaro per spassarsela in giro per il mondo con giovanotti pagati un tanto a centimetro, in base alla lunghezza ed alla circonferenza del loro membro virile. Esattamente come fanno da sempre buona parte dei gay che, avendo soldi a disposizione, possono permettersi capricci pagandoli all’occorrenza con viaggi, con vestiti firmati, con soggiorni in hotels a cinque stelle … il tutto un tanto a centimetro, calcolato sia per la lunghezza sia per la circonferenza del membro virile del loro ganzo di turno. Se poi alla fine gli gira, certi gay si prendono anche un utero in affitto, pagano una donna semmai bisognosa e si fabbricano un bimbo giocattolo ad uso e consumo del loro incontenibile egoismo satanico. E sinceramente, per me, fare questo e promuovere il tutto come “diritto”, è cosa molto peggiore del sottrarre ― come ha fatto il Vittorelli ― soldi alla Caritas per pagarsi i marchettari, con buona pace del neo-papà-gay Nichi Vendola appena ritornato alle porte dei sessant’anni da una fabbrica americana di bambini con il suo compagno che a sua volta potrebbe essere suo figlio. Perché dinanzi a questa gente, non dico sarei pronto a riabilitare l’ex Arciabate di Montecassino, ma sicuramente a considerare, in debita proporzione, quanto la sua colpa sia minore. Ben maggiore è infatti la colpa di una Gianna Nannini, di un Elton John e di un Nichi Vendola che si fabbricano bambini a proprio uso e consumo. Mentre infatti il marchettaro adulto è libero e consenziente nei propri mercimoni con prelati e preti altrettanto adulti e consenzienti, un bimbo o una bimba posti in simili disumane condizioni, non sono né liberi né consenzienti di scegliere simili aberrazioni destinate a segnare tutta la loro esistenza in modo negativo e profondamente traumatico.

le iene prete pomicione

Le Iene di Italia Uno, ormai specializzate nella caccia al prete

Domanda: se questo e altro ancora è lecito a tutti i danarosi omosessuali che sulla toccante musica di Sir Elton John strepitano “gay è bello”, perché mai non dovrebbe essere altrettanto per l’ex Arciabate di Montecassino? Mi stupisco quindi che proprio le Lobby Gay non lo abbiano protetto, né che abbiano scritto che tutto sommato è stato un grande a spassarsela come ha potuto, esattamente come sono abituati a fare i ricchi lobbisti gay.

Anziché averli protetti come omosessuali sulla base del genderista “dogma” di “fede” che “gay è bello”, proprio i lobbisti gay hanno invece letteralmente massacrato nel tempo svariati ecclesiastici, usando spesso anche il braccio armato delle Iene di Italia Uno, che sono andate a scovarli e filmarli di nascosto uno per uno. E sono quelle stesse Iene che al tempo stesso proteggono la cultura del gender, i matrimoni tra coppie dello stesso sesso ed il loro “diritto” ad adottare o fabbricarsi e comprarsi dei bambini.

Ebbene io sfido chiunque a trovarmi un membro della comunità scientifica, nell’ambito specialistico della neurologia, della neuropsicologia, della psichiatria e della psicologia clinica, disposto a sostenere che un adulto che abbia oggi un rapporto sessuale con un ragazzo consenziente di 16/17 anni, che semmai si prostituisce già da tre o quattro anni e che a 10/11 anni aveva interi archivi di film porno collezionati nel suo computer e nel suo telefono cellulare, sia un pericoloso pedofilo. Credo infatti che nessun membro della comunità scientifica asserirà mai una cosa del genere, specie sapendo a quali livelli di conoscenza e di degenerazione sessuale sono già giunti molti nostri giovani all’età di 13/14 anni.

lecco

Lecco, lussureggiante città sulle Alpi

A Roma c’è un ospedale che cura malattie infettive anche legate all’apparato sessuale. Ora io invito chiunque a fare quattro chiacchiere con gli specialisti di questo ospedale, che è il San Gallicano, perché sarà loro premura spiegare quanti adolescenti di ambo i sessi in fascia d’età compresa tra i 14 ed i 16 anni giungono con gravi infezioni per avere praticato cosucce amene che, come noto e risaputo, sono proprio … “tipiche” della “prima adolescenza”, per esempio i rapporti cosiddetti anali, i rapporti cosiddetti orali, i rapporti cosiddetti di gruppo dove basta una sola persona infetta per trasmettere l’infezione a tutti, od il contatto della bocca e della lingua con la vagina e con l’orifizio anale … e via dicendo …

Per salvarmi dalla disapprovazione di quei pochi soggetti pronti a manifestare scandalo dinanzi a certi dettagli legati alla sfera sessuale forniti da un prete, chiarisco e preciso che volendo essere capito da tutti in certi miei scritti, indirizzati al grande pubblico e non solo ai teologi o agli specialisti, mettermi a sfoggiare latinismi clinici, che pure conosco, per indicare l’esistenza di precise realtà, sarebbe cosa non opportuna, se non rasente il ridicolo e soprattutto quello spirito pudibondo che non va mai confuso col valore umano, sociale e cristiano del pudore. Se infatti dei ragazzini e delle ragazzine di 14 anni finiscono con gravi infezioni al San Gallicano perché una ragazzina già navigata ha trasmesso una infezione alla bocca di un coetaneo che gli ha cacciato la lingua nella vagina e nell’orifizio anale, capite bene che è inutile usare eufemismi. E se questo accade, credo sia urgente porsi qualche serio quesito, specie poi se uno di questi adolescenti si lascia palpeggiare ben volentieri da un prete in cambio dell’Ipad nuovo, che volendo possiamo e dobbiamo anche chiamare perverso e pervertito, che dobbiamo isolare, condannare e sospendere dall’esercizio del sacro ministero, sempre però indicandolo col suo vero nome, che è quello di “omosessuale”, non quello di “pedofilo”, al massimo possiamo indicarlo come efebofilo. E come omosessuale, o come efebofilo, questo prete, secondo le tendenze contemporanee, andrebbe anche tutelato e se attaccato protetto con una levata di scudi da parte della Lobby Gay al grido di “omofobo, omofobo!” diretto verso chiunque osi mettere in discussione i suoi legittimi gusti sessuali.

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il Cardinale Agostino Vallini, tratto da un frammento del filmato intervista di SIR

Dal ludico discorso sugli orifizi e dalle malattie infettive dei minori più navigati di quanto non lo fossero i cinquantenni di mezzo secolo fa, vorrei concludere passando ad una risposta data dal Vicario Generale di Sua Santità per la Diocesi di Roma, Cardinale Agostino Vallini, riguardo il quale rimando alle immagini video in cui egli risponde, nella propria veste di Presidente della Conferenza Episcopale del Lazio, riguardo le prodezze dell’ex Arciabate di Montecassino, che come tale fu per diversi anni membro della Conferenza Episcopale Italiana e quindi della locale Conferenza Episcopale del Lazio. Il Cardinale Vallini, noto anche come il più grande canonista del mondo, dinanzi alle gesta del Vittorelli, facendo uso di un linguaggio tipico dei politicanti e non dei pastori in cura d’anime, riferendosi unicamente a degli illeciti patrimoniali ha dichiarato che se la magistratura riscontrerà gli elementi per procedere con una condanna, in tal caso la Chiesa di Cassino si costituirà parte civile attraverso una azione risarcitoria (!?) [cf. filmato con intervista QUI]. Insomma: erano anni che il Vittorelli conduceva una vita non consona, che frequentava i più discussi salotti romani, che si assentava come e quando voleva dall’abbazia, che faceva vacanze lussuose; ma soprattutto era palese a chiunque che le sue pose ed il suo modo di porgersi erano più simili alle movenze di una principessa capricciosa anziché ad un uomo formatosi nel rigore del chiostro monastico, ma soprattutto ad un uomo. E nonostante tutto questo, qualcuno vuol farci credere che nessuno sapeva … che nessuno si era mai accorto di niente?

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i messaggi whatsapp scambiati dell’Arciabate di Montecassino con i suoi marchettari: «io faccio tutto quello che mi pare» … «io vado a cerca’ cazzi». Ma di questa vita dissoluta nessuno sapeva niente …

Avrei pure un’altra domanda da rivolgere a quanti oggi si stracciano le vesti perché a loro dire non sapevano niente. Questa la domanda: gli agenti della squadra anti-narcotici, quanto tempo prima dello scoppio dello scandalo, fecero trapelare in modo discreto alle Autorità Ecclesiastiche che questa principessa-prelato usava droghe? Perché in via del tutto informale e riservatissima, con me alcuni addetti della anti-narcotici, si consultarono agli inizi del 2012, trovandosi a trattare il delicatissimo caso di questo prelato alquanto in vista che tra l’altro acquistava illecitamente e deteneva altrettanto illecitamente sostanze stupefacenti quali ecstasy, cocaina e crack. E oltre a fare niente, cosa fece l’Autorità Ecclesiastica, seppure informata? Forse cominciò a preparare il rito dello straccio delle vesti e dell’addolorato “non sapevamo”, da usare nel giorno in cui sarebbe scoppiato l’inevitabile scandalo pubblico, come prova il video qui riprodotto dal quale sprizza tutta l’immane sofferenza del Presidente della Conferenza Episcopale del Lazio, primo in testa a tutti nel … non sapere niente? [cf. filmato con intervista QUI]

Sinceramente, sul piano della morale cattolica e del Diritto Canonico, l’appropriazione e lo sperpero dei soldi, nel caso di specie testé richiamato è solo la conseguenza di disordini molto più gravi e tutti quanti riassunti nella vita dissoluta del Vittorelli, che con atteggiamenti ed espressioni tali da nauseare persino il dissacrante Marchese de Sade, nelle telefonate e nei numerosi messaggi intercettati attraverso i quali comunicava con i marchettari gay suoi fornitori di servizi sessuali più o meno forti, soleva definire la droga, il sesso e il vizio come “Paradiso”. Naturalmente mai nessun tribunale italiano condannerà l’ex Arciabate di Montecassino per avere praticato in lungo e in largo l’omosessualità, né per l’uso personale di droghe, né per avere avuto attorno a sé una corte di giovanotti, né per avere ricercato nei siti gay giovanotti adulti e consenzienti che fossero particolarmente dotati in mezzo alle gambe, perché nulla di tutto questo è perseguito ed è perseguibile dal Codice di Diritto Penale.

nebbia su san pietro

immagine della Papale Basilica di San Pietro avvolta da una insolita nebbia

Ecco quindi la mia domanda precisa e per nulla nebulosa rivolta al più grande canonista del mondo: non è che per caso, in attesa della sentenza del tribunale penale italiano, il tribunale ecclesiastico, nel foro delle sue competenze, avrebbe già dovuto agire e procedere da tempo attraverso severissime pene canoniche erogate a carico di questo indegno ecclesiastico finito per somma disgrazia dell’intera cattolicità a capo e guida della storica abbazia madre dell’Occidente? E una volta erogate queste pene canoniche, non sarebbe stato opportuno darne pubblica notizia, per chiarire in che modo e all’occorrenza con quale severità la Chiesa cala la misericordiosa scure su certi suoi figli indegni e forieri di immani scandali pubblici? Nulla di tutto questo è però avvenuto, perché il Cardinale Vallini, che a quanto pare sembra essere emblema dell’iper-garantismo giuridico e che forse s’è scoperto d’improvviso più liberale di Cavour, più garibaldino di Garibaldi e più repubblicano di Mazzini, del tutto dimentico di essere stato per anni anche Presidente del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, dichiara e precisa di essere in attesa del … giudizio del tribunale penale dello Stato affinché sia poi valutato come agire (!?).

Ecco, io spero che nessuno, nelle alte sfere politiche e amministrative della Repubblica Italiana, scopra che in casa nostra abbiamo un canonista di tal fatta, perché potrebbero “rubarcelo” per nominarlo prima Presidente della Suprema Corte di Cassazione e poi appresso senatore a vita.

Detto questo adesso capite, cari lettori e lettrici dell’Isola di Patmos, a chi siamo in mano da anni e anni? Siamo in mano a delle biciclette che si mettono sulla pista dell’autodromo di Monza nella sicura convinzione di poter correre come delle Ferrari. Siamo in mano a persone avviluppate dalla più desolante mediocrità ma al tempo stesso convinte che il Popolo di Dio sia composto da villici beoti del contado incapaci di capire e cogliere la immane gravità dei loro giri di parole, come appunto il più grande canonista del mondo che asserisce di attendere la sentenza di condanna dello Stato — riguardo reati a sfondo patrimoniale — per poi vedere eventualmente come procedere a carico di un prelato che ha gestito la propria vita come s’essa fosse stata un lupanare dell’antica Pompei; un vivere comprovato che però, se non sarà dichiarato tale dal tribunale dello Stato, nulla potest il tribunale ecclesiastico?

dieci ragazze

Dieci ragazze, copertina di vecchio un 45 giri di Lucio Battisti

Poste queste premesse, io potrei tranquillamente prendere e mettere in atto la canzone di Lucio Battisti che motteggia «Dieci ragazze per me, posson bastare» [cf. QUI]. E nessuno potrebbe dirmi niente e meno che mai sanzionarmi canonicamente, perché se dinanzi al Vittorelli che s’è ripassato giovanotti in lungo e in largo, il Vicario Generale di Sua Santità per la Diocesi di Roma, Presidente della Conferenza Episcopale del Lazio, oltre che più grande canonista del mondo e già Presidente del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, dichiara di attendere di sapere dalla sentenza del tribunale penale italiano se vi sono figure di reato di rilievo squisitamente patrimoniale per poi eventualmente agire, sorvolando su una vita improntata su una immoralità che ha veramente del satanico; ciò premesso capite bene che io posso spassarmela senza alcun problema morale con dieci ragazze, che come diceva il Battisti «posson bastare». Il tutto senza che alcuna legge ecclesiastica mi persegua canonicamente, a meno che il tribunale penale italiano non stabilisca che per un prete, spassarsela con dieci ragazze, è reato; ma non credo che lo stabilisca mai, semmai potrebbero darmi un diploma di benemerenza e forse la cittadinanza onoraria del luogo in cui il fattaccio s’è svolto, qualora dimostrassi di averle rette e rallegrate tutte quante.

Memore che a certi caporioni nessun Caso Spotlight insegna niente e che tutt’oggi pretendono di seguitare a stracciarsi le vesti al falso grido addolorato del “non sapevamo”, auguro nell’anno giubilare al più grande canonista del mondo di poter terminare quanto prima il proprio mandato come Vicario Generale di Sua Santità, dedicando il tempo di vita che la grazia di Dio deciderà di concedergli, a chiedere perdono a Cristo per i danni da lui recati alla Chiesa, in particolare alla Chiesa del Vescovo di Roma, al quale forse qualcuno, dalla sua efficiente Segreteria di Stato, farebbe bene a stampare e portare questo mio scritto, perché sin quando ai Vallini ed ai loro adulanti scagnozzi in carriera si permetterà di bastonare i preti come me, i danni che di conseguenza ne deriveranno alla Chiesa saranno sempre più incalcolabili e irreversibili.

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dall’Isola di Patmos, 3 marzo 2016

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Autore Redazione dell'Isola di Patmos

Autore
Redazione
dell’Isola di Patmos

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Appendice postuma [7 marzo 2016]

sir

SEGNALIAMO CON PIACERE UN ARTICOLO COMPARSO SU SIR (SERVIZIO INFORMAZIONE RELIGIOSA) ALCUNI GIORNI DOPO LA PUBBLICAZIONE DI QUESTO NOSTRO ARTICOLO DI ARIEL S. LEVI di GUALDO

per aprire cliccare QUI

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Appendice postuma [4 marzo 2016]

federico lombardi

Nella foto: Federico Lombardi, S.J. portavoce ufficiale della Sala Stampa della Santa Sede

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SEGNALIAMO UNA NOTA MOLTO INTERESSANTE DEL 4 MARZO A CURA DI

FEDERICO LOMBARDI, S.J.  

PORTAVOCE UFFICIALE DELLA SALA STAMPA DELLA SANTA SEDE

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Per aprire cliccare QUI

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Cari Lettori.

Vi ringraziamo per averci offerto il vostro prezioso sostegno grazie al quale possiamo provvedere alle spese di gestione dell’Isola di Patmos per l’anno 2016. Di tanto in tanto vi preghiamo di ricordarvi di noi e del nostro lavoro scientifico e pastorale che, come avete  in concreto dimostrato, merita il vostro sostegno economico..

E di ciò vi siamo profondamente grati.

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