Il miracolo dell’Avvento: nascere di nuovo.

Theologica

IL MIRACOLO DELL’AVVENTO: NASCERE DI NUOVO

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Se noi presbìteri, in particolare noi teologi non recuperiamo una dimensione metafisica di filosofia e di vita cristiana non potremmo mai fare vera pastorale evangelizzatrice, solo mera filantropia, mutandoci presto da preti in assistenti-sociali-surrogato; né sarà possibile fare teologia secondo il senso etimologico di Teos-logos ma solo sociologia religiosa. Nell’uno e nell’altro caso non sarà possibile sostenere, portare avanti e sviluppare una dimensione spirituale ed ecclesiale cristiana.

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Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Ariel S. Levi di Gualdo – IL MIRACOLO DELL AVVENTO, NASCERE DI NUOVO

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

Ci mancava solo San Tommaso d’Aquino omosessualista! Il piacere omosessuale secondo San Tommaso d’Aquino o secondo il domenicano Adriano Oliva?

CI MANCAVA SOLO SAN TOMMASO D’AQUINO OMOSESSUALISTA! IL PIACERE OMOSESSUALE SECONDO SAN TOMMASO D’AQUINO O SECONDO IL DOMENICANO ADRIANO OLIVA?

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Speriamo che il Santo Padre, con l’aiuto dello Spirito Santo, abbia la forza di ricompattare il mondo cattolico, oggi lacerato tra due partiti opposti, presenti anche all’interno dell’Ordine Domenicano, dove si va dall’ultra conservatore Padre Thomas Michelet al modernista Padre Adriano Oliva.

 

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Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

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OLIVA Adriano

il teologo domenicano Adriano Oliva

Il teologo domenicano Adriano Oliva ha recentemente pubblicato in Francia un libro dal titolo Amours (Cerf, Parigi, 2015), tradotto in italiano col titolo L’amicizia più grande. Un contributo teologico alle questioni sui divorziati risposati e sulle coppie omosessuali (Nerbini, Firenze, 2015).

In questo libro egli sostiene che San Tommaso

«affronta anche la questione dell’inclinazione sessuale di una persona verso persone dello stesso sesso, e la considera connaturale alla persona presa nella sua individualità» (L’amicizia più grande, p.95).

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adriano oliva libro

il libro di Adriano Oliva, OP [vedere QUI]

Da qui egli deduce che, trattandosi di piacere naturale e, dato che Tommaso ritiene lecito ciò che è secondo natura, Tommaso ammetterebbe la liceità del piacere omosessuale volontario. Oltre a ciò, si tratterebbe di rispettare le esigenze dell’individuo, come se l’eterosessualità non fosse un obbligo per tutti e invece, chi ha la tendenza omosessuale dev’essere libero di poterla attuare. Ma questo, come vedremo, non è affatto il pensiero di San Tommaso, che non considera affatto l’omosessualità una scelta come un’altra, ma bensì un grave peccato “contro natura”.

Il Padre Oliva infatti non tiene conto del fatto che, per Tommaso, un piacere, per esser lecito, dev’essere secondo ragione, per cui non basta che si ponga al livello ontologico o psicologico dell’individuo, ma occorre che sia superindividuale, ossia secondo ragione, corrispondente alle finalità della vita umana. E questo appunto è il bene morale.

L’errore di interpretazione di Padre Oliva sta nel credere che Tommaso si accontenti della considerazione ontologica del bene o del piacere per chiarire la questione del lecito e dell’illecito, che è la questione morale, giungendo così a ridurre il morale all’ontologico. Siccome Tommaso parla per l’omosessuale di un piacere “naturale”, basta questo semplice fatto a Padre Oliva per credere che Tommaso legittimi il piacere omosessuale.

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La tentazione di San Tommaso d’Aquino, opera di Giovan Francesco Gessi

Il Padre Oliva basa la sua interpretazione del pensiero di Tommaso su alcune considerazioni che  l’Aquinate fa nella I-II della Somma Teologica [q.31, art.7], dove egli si chiede se esistano piaceri innaturali (non naturales). E risponde che certamente esistono; e tra questi vi è appunto l’omosessualità, che Tommaso condanna senza mezzi termini quale grave peccato “contro natura”. L’omosessuale, però, osserva l’Aquinate — ed è qui che Oliva è stato ingannato —, avverte la sua tendenza come “connaturale”.

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In generale, dal punto di vista psicologico, il piacere sensibile (delectatio sensibilis), per San Tommaso, è un moto dell’appetito sensitivo, che prova soddisfazione per un atto compiuto o un bene (bonum delectabile) conseguito e posseduto. Tale piacere si verifica normalmente sia quando il soggetto consegue un fine naturale o normale, per esempio la procreazione, sia quando invece ricerca solo il piacere per se stesso, indipendentemente dalla ricerca del fine naturale della sessualità, per esempio indipendentemente o contro una procreazione conveniente ed onesta, come avviene nei peccati di lussuria [1]. Per Tommaso il piacere sensibile è stato creato da Dio nell’uomo e negli animali per orientarli al compimento degli atti e al raggiungimento dei fini e dei mezzi della vita: sostanzialmente la salute, l’alimentazione e la riproduzione della specie.

Tommaso Aquino XIV sec

San Tommaso d’Aquino, tavola del XV secolo

Esiste anche un piacere spirituale, sperimentato dall’intelletto, dalla volontà e dalla coscienza, che Tommaso chiama gaudium, gaudio o gioia, il quale, similmente al piacere fisico, ma in modo più intimo, stabile e gratificante, perché proprio della persona, stimola lo spirito al compimento del bene e ne consegue, fino a caratterizzare, nel suo vertice sommo, la nota propria della visione beatifica. L’animale è guidato nella sua condotta dalla semplice attrattiva del piacere e dalla fuga dal dolore. All’uomo, invece, questo non basta, tanto più che questa dinamica del piacere e del dolore, a seguito del peccato originale, si è guastata, per cui capita che ci piacciano certi peccati e ci ripugnino certe azioni oneste. Così accade che l’attrattiva del piacere ci spinge spesso verso atti peccaminosi. L’uomo, quindi, come insegna San Tommaso, per agire moralmente bene e virtuosamente, in accordo con dignità umana, deve moderare con la retta ragione, sulla base della legge morale, il piacere, effetto delle passioni, in modo tale che esso sia di aiuto e non di ostacolo al compimento delle buone azioni [2]. Quella virtù che svolge questo compito è la temperanza [3]. Il problema che essa deve affrontare è fare in modo che la tendenza o il desiderio del piacere concorrano all’esercizio della virtù, lo aiutino, lo facilitino, lo rafforzino e lo favoriscano. La temperanza deve favorire al tempo giusto e nel luogo giusto i desideri e i piaceri onesti e frenare o limitare o reprimere del tutto i desideri e i piaceri cattivi o inopportuni, fuori tempo [4] o fuori luogo. Deve saper regolare e moderare il piacere a seconda delle circostanze e degli atti permessi o comandati. Tommaso respinge dunque tanto il principio edonistico: «più ce n’è, meglio è», quanto il rigorismo encratista [5] stoico-origenista: «A morte il piacere! A morte il sesso!».

Invece Paolo VI, nell’enciclica Humanae vitae, riprendendo i princìpi dell’etica tomista, non ha problemi a dire che l’atto coniugale esprime l’amore e favorisce l’amore. Mentre la Congregazione per la Dottrina della Fede, nella Dichiarazione Persona humana del 21 gennaio 1976, esordisce addirittura assumendo un aspetto valido del freudismo, col dire che:

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«Dal sesso, la persona umana deriva le caratteristiche che, sul piano biologico, psicologico e spirituale, la fanno uomo o donna [6].

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San Tommaso d’Aquino, particolare di un affresco

È chiaro, dunque, che per esempio due sposi possono dar libero corso al piacere quando si uniscono, mentre se viceversa dovesse insorgere il piacere nel corso della celebrazione liturgica, esso va immediatamentee totalmente represso. Per stroncare sul nascere questa eventualità, nella liturgia antica, come spiega lo stesso San Tommaso, era proibito alla donna di celebrare alla Messa la liturgia della Parola o predicare in chiesa [7]. Ci si poteva forse chiedere quale rimedio opporre alla concupiscenza femminile. Le donne erano forse considerate più capaci di autocontrollo. Forse è per tener la donna al riparo dal pericolo, che nella liturgia orientale esiste l’iconostasi, che nasconde ai fedeli la vista del celebrante.

Per restare nel tema che ci interessa dell’emotività o energia sessuale, Tommaso paragona questa passione a una specie di energia calorifica. Ricorrono infatti anche nel parlare corrente espressioni come “fuoco” o “calore” della passione. Sono metafore che rendono l’idea. Come dunque il calore va regolato col termostato, così anche il piacere sessuale. La ragione ha il compito, simile a quello di un termostato, di diminuirlo, quando è eccessivo, per non cadere nella libidine e di aumentarlo quando è scarso. In questo secondo caso Tommaso parla di insensibilitas, che potremmo tradurre con “frigidità” [8]. Questa la tematica del matrimonio.

Per Tommaso un piacere è naturale quando è secondo natura. Ma ciò può avvenire in due modi: o secondo la natura fisica dell’uomo, come per esempio il piacere del cibo o il piacere sessuale; oppure secondo la natura razionale, come per esempio il piacere della virtù o del sapere. Il piacere invece è innaturale (non naturalis) o contro natura (contra naturam), quando non rispetta i fini dell’uomo e quindi il suo vero bene. E quindi non è secondo la retta ragione.

San Tommaso d Aquino con San Gregorio Magno, Sant Ambrogio, San Girolamo e Sant Agostino, Maestro di Boldone

San Tommaso d’Aquino con San Gregorio Magno, Sant’Ambrogio, San Girolamo e Sant’Agostino, olio su tela di Maestro di Boldone

Per l’Aquinate, un piacere può essere naturale fisicamente o moralmente. Per esempio, il piacere sessuale è fisicamente naturale, se viene dall’unione dell’uomo con la donna. Ma ciò non vuol dire ancora che lo sia secondo natura o secondo ragione, nel rispetto della legge naturale, giacchè anche nell’adulterio, nella poligamia e nel concubinato si suppone che si abbia un’unione sessuale normale o naturale, e non per questo il piacere che si prova è moralmente buono. Quanto al piacere sessuale, può essere, secondo Tommaso, innaturale su due piani: sul piano della ragione e sul piano della natura fisica o animale. Può essere innaturale sul piano della ragione e restare naturale sul piano animale, per esempio, il concubinaggio tra uomo e donna. Oppure, oltre ad essere contro ragione, può essere anche contro la natura animale. E qui abbiamo l’omosessualità, che è contro natura a doppio titolo; contro la ragione e contro il piano animale della persona.

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Tommaso qui ammette bensì che esistono piaceri connaturali secondo l’individuo, precisando tuttavia che, se questi piaceri sono contrari al bene della natura umana (contra naturam hominis), alla quale l’individuo appartiene o che egli possiede, si verifica nel medesimo individuo una corruzione della stessa sua natura individuale, per cui, benchè tali piaceri possano essere graditi all’individuo, sono di fatto innaturali anche per lui, propter aliquam corruptionem naturae in eo existentem, a causa della natura umana che esiste in lui. E porta l’esempio di coloro che «per la loro consuetudine si dilettano nel mangiare carne umana, nel coito con le bestie o con i maschi» (propter consuetudinem aliqui delectantur in comedendo homines vel in coitu bestiarum vel masculorum).

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San Tommaso d’Aquino, affreschi di Andrea Buonaiuto

Tommaso ammette altresì senza esitare che ciò che è secondo natura, è piacevole, e di per sé è lecito e onesto. Tuttavia ci ricorda che quei piaceri che, nell’individuo, sono graditi alla sua natura individuale in quanto corrotta, non sono piaceri “simpliciter loquendo”, ma solo “secundum quid”, ossia non possono essere piaceri umani in senso pieno ed assoluto, sotto ogni aspetto, perché frustrano le finalità della natura umana. Ma sono piaceri solo come stati emotivi, non ordinati al vero bene dell’uomo. Per questo non sono piaceri leciti ed onesti, ma proibiti e peccaminosi. E il piacere omosessuale è uno di questi.

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Ora, qui occorre fare attenzione ad evitare un equivoco, al quale purtroppo il Padre Oliva non sembra sfuggire. Infatti l’impressione che si potrebbe trarre da queste considerazioni di San Tommaso, potrebbe essere questo falso ragionamento:

Premessa maggiore. È lecito e moralmente buono ciò che conforme a natura, ciò che è connaturale.

Premessa minore. Ma la sodomia, ovvero l’esercizio dell’omosessualità è conforme o connaturale alla natura individuale dell’omosessuale.

Conclusione. Dunque questa pratica può essere considerata lecita e buona per quell’individuo secondo le sue particolari esigenze o inclinazioni.

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San Tommaso d’Aquino, Polittico di San Domenico di Ascoli Piceno o Polittico Demidoff

Senonchè, però, per San Tommaso, un atto umano è lecito e buono, se è l’applicazione, da parte dell’individuo, della norma morale, che è regola universale dell’agire, legge uguale per tutti, perché è legge della natura umana come tale, natura identica in tutti; e quindi tutti gli individui, in quanto membri della specie umana, sono tenuti ad osservarla. Per questo, un peccato secondo la specie, per Tommaso, è peccato anche per l’individuo che lo commette.

Il bene connaturale all’individuo è regola morale solo se è applicazione della legge universale. È chiaro che il cibo che nutre un anziano di 90 anni non può essere un bene per lui come il cibo che nutre l’olimpionico di 20 anni. Ma sia l’uno che l’altro deve obbedire alla legge che comanda a tutti di nutrirsi convenientemente. Ora, l’omosessualità non è semplicemente una buona condotta, adatta all’omosessuale, diversa dalla norma eterosessuale, fatta apposta per l’eterosessuale. Ma è una condotta contraria alla legge universale della natura umana, che anche l’omosessuale deve cercare di praticare, per quanto gli costi fatica. Questo è il pensiero ineccepibile dell’Aquinate.

Ciò non impedisce in genere l’esistenza e la necessità di leggi o privilegi particolari e positivi, stabiliti dall’autorità umana, civile o ecclesiastica, per ceti particolari di persone, in particolari circostanze o particolari luoghi o periodi storici. Ma tali leggi sono vincolanti solo se costituiscono la determinazione delle più ampie universali ed immutabili leggi morali, regolatrici della condotta di ogni persona umana, in quanto tale.

La legge positiva può e deve, all’occorrenza, secondo la prudenza del legislatore, regolare con clemenza, equità, gradualità, senso di umanità o tolleranza o con finalità educative o rieducative, in via a volte eccezionale, anche la condotta di persone, che non per cattivo volere, ma per limiti della volontà, per situazioni irresolubili, per cause di forza maggiore, per ostacoli insuperabili, per immaturità umana, per ignoranza o per oggettive incapacità fisiche, psicologiche o morali, non sono grado di adempiere alle legge in tutto il suo rigore e nella elevatezza delle sue esigenze.

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San Tommaso d’Aquino, affresco di Stefano di Giovanni

Casi umani particolarmente delicati e degni di attenzione da parte della Chiesa e della società civile, per le proporzioni che oggi stanno assumendo, sono indubbiamente quello dei divorziati risposati e quello delle convivenze di omosessuali, casi dei quali tratta il libro del Padre Oliva.

Benchè la sodomia resti sempre un grave peccato, lo Stato oggi si sta orientando a concedere uno status giuridico o una qualche forma di riconoscimento ai conviventi omosessuali. Che farà la Chiesa? Potrà concedere i sacramenti? I due, per essere in grazia di Dio, si devono lasciare o possono vivere assieme? Sono capaci di rinunciare o la Chiesa deve tollerare la loro convivenza? E quale pastorale adottare?

Il recente sinodo dei vescovi, dopo un lavoro assai complesso, un approfondito esame delle situazioni e una fitta ed animata discussione, con momenti di forte tensione, ha visto l’emergere di varie proposte ed iniziative, che sono ora al vaglio del Santo Padre. Non so, però, se i vescovi, molto presi dal problema dei divorziati risposati, abbiano dedicato sufficiente attenzione al problema degli omosessuali conviventi e magari con figli adottivi o nati da precedente matrimonio o generati artificialmente.

Tutti siamo in attesa fiduciosi nelle decisioni del Sommo Pontefice, quali che siano, nella certezza di avere una luce, un incoraggiamento, un conforto e l’indicazione della via da percorrere per mettere in pratica il Vangelo. Speriamo che il Santo Padre, con l’aiuto dello Spirito Santo, abbia la forza di ricompattare il mondo cattolico, oggi lacerato tra due partiti opposti, presenti anche all’interno dell’Ordine Domenicano, dove si va dall’ultraconservatore Padre Michelet al modernista Padre Oliva.

La consultazione del pensiero dell’Aquinate, in una situazione ecclesiale agitata, confusa e tempestosa come la presente, si presenta sempre utile, non certo per chiedergli soluzioni concrete per problemi e situazioni che egli non potè conoscere e sulle quali comunque non si è pronunciato, ma per mettere in gioco nozioni e princìpi teologici, antropologici, morali e psicologici, per non dire metafisici, dai quali non si può prescindere, per comprendere il vero senso delle questioni, e trovare la soluzione giusta, nella fedeltà a Cristo e al Magistero della Chiesa.

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San Tommaso d’Aquino, affresco del Beato Angelico

Perchè tuttavia Tommaso possa svolgere nel mondo d’oggi la sua preziosissima missione di Lumen Ecclesiae, come ebbe e definirlo Paolo VI [9], dev’essere presentato nella sua purezza ed autenticità, come peresempio troviamo in un altro teologo domenicano del nostro tempo, il Servo di Dio Padre Tomas Tyn, e si rinunci pertanto a fare di Tommaso un precursore di Kant, di Hegel, di Severino o di Freud, benchè l’ampiezza, perennità ed universalità del suo pensiero consenta di assumere criticamente quanto c’è di valido nel pensiero moderno, come ha notato più molte volte il Maritain [10].

Bisogna invece dire con franchezza che, purtroppo, il Padre Oliva, credendo forse di comprendere e di avvicinare con carità la particolare situazione degli omosessuali, al fine di riconoscerne la dignità umana, e proporre una soluzione ad hoc, ha messo in campo un’infelice distinzione tra individualità e specie in campo morale, concedendo all’individuo ciò che è negato alla specie; e, rischiando così un’etica individualista, che confonde il bene morale (individuo) col bene ontologico (specie), fraintende completamente il pensiero dell’Aquinate, facendogli dire l’opposto di quello di fatto dice.

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San Tommaso d’Aquino, affresco del Beato Angelico

Padre Oliva sorvola sulle chiare espressioni tomiste con le quali viene espressamente condannata l’omosessualità, considerandole superate e figlie del suo tempo; mentre, a suo dire, il vero, profondo pensiero di Tommaso darebbe un avallo “metafisico” all’omosessualità, laddove egli parla del “bene connaturale all’individuo”, senza tener conto del fatto che l’Aquinate qui parla esplicitamente di natura individuale “corrotta”.

Per Padre Oliva Tommaso nasconderebbe, sotto la condanna esplicita legata al suo tempo, una reale, implicita legittimazione della omosessualità, basata sulle esigenze della dignità ontologica dell’individuo. Ma gli argomenti di Padre Oliva non convincono, per cui è bene restare a ciò che Tommaso dice esplicitamente sulla base del quadro generale della sua etica corrispondente alle esigenze del Vangelo. Vien fuori infatti dall’interpretazione di Padre Oliva una sorprendente giustificazione dell’omosessualità, mentre l’Aquinate in realtà, con argomenti inoppugnabili, dimostra la illiceità della sodomia, peraltro in un quadro teologico e morale, nel quale ad ogni uomo è dato spazio per prender coscienza dell’immagine di Dio, che porta in se stesso, per riformarla con la grazia di Cristo ed aprirla alla sua misericordia.

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Varazze, 24 novembre 2015

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NOTE

[1]   Cf Summa Theologiae, II-II, q.153.

[2]  Cf Summa Thelogiae, I-II, q, 24.

[3]  Cf Cf Summa Theologiae, II-II, qq.141-142.

[4]  Cf Come dice il saggio Kohèlet: “C’è un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci”(3,5).

[5] Gli encratisti erano eretici dei primi secoli, dei quali parla S.Ireneo nel suo De haeresibus, i quali consideravano il piacere sessuale o addirittura il sesso come opera del demonio o quanto meno come punizione del peccato originale.

[6] Ho trattato questo argomento nella mia tesi di licenza in teologia “L’influsso della sessualità sui piani psicologico e spirituale della persona”, direttore di tesi P.Alberto Galli,OP, Studio Teologico S.Tommaso d’Aquino, tesi n.172, Bologna 1977.

[7] Cf Summa Theologiae, II-II, q.187, a.2.

[8] Cf Summa Theologiae, II-II, q.142, a.1.

[9] Lettera Lumen Ecclesiae di Paolo VI al Padre Vincent de Couesnongle, Maestro dell’Ordine dei Frati Predicatori, del 20 novembre 1974.

[10] Cf Le Docteur Angélique, Desclée de Brouwer, Paris 1930.

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san tommaso d aquino trionfo

affresco raffigurante il trionfo di San Tommaso d’Aquino

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

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Padre Giovanni

Ancora sui “divorziati risposati”, il terzo round con Antonio Livi

ANCORA SUI “DIVORZIATI RISPOSATI”, IL TERZO ROUND CON ANTONIO LIVI
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La Chiesa non dice da nessuna parte che queste persone siano costantemente prive della grazia di Dio, ossia in peccato mortale. Anzi, già il permesso attuale che esse hanno di fare la Comunione spirituale, suppone che esse possano essere in grazia, giacchè, come si potrebbe pensare di fare la Comunione spirituale in uno stato di peccato mortale?

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Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

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Monsignor Antonio Livi mi ha rivolto nuove obiezioni sul suo sito Unione Apostolica Fides et Ratio [vedere QUI, QUI]; sito al quale potete accedere anche dalla home-page dell’Isola di Patmos scorrendo sulla destra sotto la voce “pubblicazioni e associazioni”. Ad esse rispondo. Le obiezioni sono numerate. A ciascuna faccio seguire la mia risposta.

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1. La Chiesa considera giustamente queste persone come in “stato di peccato”, ossia in una situazione oggettiva che li priva della grazia di Dio e che non consente loro di ricevere l’assoluzione sacramentale se non dopo aver mostrato al confessore segni concreti di conversione (pentimento interiore e riparazione esteriore), il che consentirebbe loro di tornare a uno“stato di grazia” e di potersi accostare alla Comunione.

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La Chiesa non dice da nessuna parte che queste persone siano costantemente prive della grazia di Dio, ossia in peccato mortale. Anzi, già il permesso attuale che esse hanno di fare la Comunione spirituale, suppone che esse possano essere in grazia, giacchè, come si potrebbe pensare di fare la Comunione spirituale in uno stato di peccato mortale?

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2. l teologo domenicano non vuol prendere atto della distinzione (che io gli ho già ricordato) tra “fattispecie” (evento ipotetico considerato in astratto) e “fatto” (evento concreto che può essere oggetto di esperienza soggettiva e intersoggettiva). Se egli avesse tenuto conto di questa logica distinzione, non continuerebbe ad accusare di “giudizi temerari” chi, come me, si limita a ricordare che, in base alla dottrina del Magistero, i battezzati che hanno divorziato e hanno istituito una pubblica convivenza adulterina sono oggettivamente (quanto all’oggetto morale dell’azione libera e responsabile) in stato di peccato mortale.

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Tutto quello che possiamo e dobbiamo dire o sapere in base alla dottrina della Chiesa, è che i due si trovano in uno stato di vita illecito, irregolare, assai pericoloso per le loro anime e sono di scandalo ai fedeli. Ma tra il sapere questo e il sostenere che essi si trovano incessantemente ed inesorabilmente in uno stato di colpa mortale, ci corre molto e sarebbe, come si dice in logica, una conseguenza più ampia delle premesse. Bisogna infatti distinguere lo stato di vita di una persona dagli atti morali di questa persona, ovvero dallo stato della volontà di questa persona. Lo stato di vita resta; la volontà può mutare da un momento all’altro dal bene al male e dal male al bene. Uno stato di vita può favorire od ostacolare il peccato o la grazia, ma non può causarli, perchè il peccato è causato dalla cattiva volontà, mentre la buona azione è causata dalla buona volontà mossa dall’azione divina della grazia, quella che i teologi hanno chiamato “premozione fisica”. Così, uno che si trova nello stato di divorziato risposato, può essere in grazia, mentre uno che ha abbracciato lo stato di Certosino, può essere in peccato mortale.

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3. Cavalcoli restringe indebitamente la fattispecie dello “stato di peccato” alla convivenza more uxorio (oggettivamente adulterina) tra persone che hanno divorziato dal legittimo coniuge. Con questa indebita restrizione della materia egli non tiene conto di tutte le altre gravissime responsabilità morali cui ho prima accennato, e poi finge di ignorare che la responsabilità morale è personale: non esiste una responsabilità di coppia, e quindi non esiste nemmeno la possibilità (prospettata, come abbiamo visto, dall’arcivescovo di Ancona) di “assolvere” la coppia come un unico soggetto morale.

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Purtroppo Antonio Livi mi fa dire quello che non ho detto. Primo, non ho mai detto che i due si limitino a compiere solo peccati contro la castità, ma, al contrario, ho accennato alla possibilità che compiano anche altri peccati. Secondo, non ho mai parlato di una “responsabilità di coppia”, perchè so benissimo che ognuno ha la sua responsabilità. Così uno dei due potrebbe essere in grazia e l’altro in peccato.

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4. Cavalcoli, che negli ultimi tempi, nella sua polemica contro i “lefebvriani” ha preteso che siano considerati «infallibili» gli insegnamenti del Vaticano II, che pure ha voluto presentarsi come un Concilio non-dogmatico (“pastorale”), adesso pretende che siano considerati «infallibili» anche tutti gli insegnamenti contenuti nel magistero ordinario, non dogmatico, ma meramente “pastorale”, di questo Papa. Allo stesso tempo, per giustificare i cambiamenti “disciplinari” (ma tali da implicare una radicale riforma dottrinale) che egli suppone e presuppone che il Papa voglia introdurre nella prassi pastorale sulla famiglia, Cavalcoli pretende che sia considerato meramente “pastorale”, e quindi riformabile, il magistero di san Giovanni Paolo II sul matrimonio: magistero che invece è indubbiamente dogmatico nelle intenzioni e nella materia, essendo questa già definita in termini teologico-morali irriformabili dalla Scrittura e dal Concilio di Trento. Si tratta insomma della legge di Dio, interpretata autorevolmente e proposta infallibilmente dalla Chiesa. Ciò nonostante, Cavalcoli, per quanto riguarda il sacramento del matrimonio e l’accesso ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia da parte di quei fedeli che vivono nel concubinato e non vogliono cambiare il loro stato di vita, insiste a dire che la Chiesa può e deve cambiare questa legge, considerandola di indole meramente “disciplinare”, quindi accidentale e provvisoria, quando invece si presenta come fondamentale e perenne.

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A seguito di quanto dichiarato dai Papi del postconcilio, dobbiamo invece dire anzitutto che il Vaticano II non è stato solo pastorale, ma anche dottrinale. E se per “infallibile” si intende semplicemente che le dottrine — si badi: le dottrine, non le direttive pastorali — del Concilio non contengono errori, che saranno sempre vere, e che non possono essere sbagliate nè adesso né in futuro, ebbene non vedo che problema ci sia a dire che sono infallibili, nel senso ovvio e corrente della parola, ossia “che non possono sbagliare”, anche se non ci sono nuove definizioni dogmatiche dichiaratamente infallibili. In secondo luogo, ho già spiegato sia sull’Isola di Patmos che in altre sedi che San Giovanni Paolo II nella Familiaris consortio si è limitato semplicemente a ricordare, giustificare e raccomandare la legge ecclesiastica vigente, senza porre la questione se essa può essere mutata.

Ho già dimostrato in precedenti interventi sull’Isola di Patmos e altrove, che la norma attuale, per quanto conforme con la legge divina, non discende da essa in modo necessario ed unico, ma ne è un’applicazione pastorale tra altre possibili. Per questo, la Chiesa, in forza del suo potere giurisdizionale (il “potere delle chiavi”), per motivi che sta a lei giudicare, può mutarla.

Qui non c’è in gioco, come dice Antonio Livi, l’ “interpretazione”, ma l’applicazione della legge divina, la quale, nell’ampiezza delle sue possibili applicazioni, può ammetterne altre, diverse da quella attuale. Certo che l’interpretazione della legge divina è una questione dogmatica. E qui è chiaro che la verità è una sola. Ma qui invece si tratta di una questione pratica: come fare in modo che i sacramenti, nel rispetto della loro immutabile essenza, possano portare il massimo frutto di grazia possibile? Qui si aprono diverse soluzioni possibili. E qui si misura la sapienza pastorale della Chiesa.

In terzo luogo, vorrei chiedere ad Antonio Livi dov’è che io avrei dichiarato “infallibili” tutti gli insegnamenti del presente Pontefice. Semmai lo ho difeso da chi lo accusa di eresia. Ma questo penso di avere il diritto e il dovere di farlo.

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5. Cavalcoli si fa scudo delle pretesa intenzione di Papa Francesco di procedere in questa direzione.

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Al contrario, ho sempre detto che non presumo affatto di sapere ciò che il Santo Padre deciderà. Ho detto e dimostrato semplicemente che, se egli ritiene bene di concedere i sacramenti ai divorziati risposati, in casi speciali e a ben precise condizioni, ha la facoltà ed è libero di farlo, senza che lo si debba accusare, come fanno alcuni esaltati, di eresia.

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6. Cavalcoli vuole che la nuova disciplina sacramentale preveda che “in foro interno” si possa autorizzare un fedele a fare la Comunione «anche se non ha potuto ottenere l’assoluzione», proprio con la mancanza dei requisiti della vera contrizione e proposito di uscire dalla situazione illegittima. Di questi requisiti, come ho detto, è giudice il sacerdote confessore, il quale opera nel foro interno, ossia durante il colloquio al confessionale. Ma può egli, allo stesso tempo, negare al fedele l’assoluzione sacramentale – per oggettiva mancanza dei requisiti stabiliti dalla legge divina ed ecclesiastica sul sacramento della Penitenza – e “autorizzarlo” a fare ugualmente la Comunione in quanto soggettivamente convinto che tale penitente sia stato assolto da Dio “direttamente”, ossia per via extrasacramentale?

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Se il penitente si trova solo in stato di peccato veniale, non è privo della grazia. Per cui, dopo essersi purificato dai peccati con atti penitenziali personali, può fare la Comunione, anche senza confessarsi prima. Ma, come ho detto, è chiaro che, se il Papa concede ai due i sacramenti, anche costoro, se sono caduti in peccato mortale, dovranno confessarsi prima della Comunione, come fanno tutti gli altri fedeli.
Bisogna ricordare inoltre la dottrina della Chiesa, secondo la quale anche chi fosse caduto in peccato mortale e al momento non ha la possibilità di confessarsi, è perdonato da Dio in forza di un atto di contrizione o dolore perfetto, nella prospettiva di accedere al sacramento appena possibile e se sarà possibile.

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Varazze, 11 novembre 2015

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NOTA

Questo articolo è stato redatto dal teologo domenicano Giovanni Cavalcoli pochi giorni dopo l’uscita dell’articolo critico di Mons. Antonio Livi. Lo pubblichiamo solo adesso perché per una settimana il Padre Ariel S. Levi di Gualdo è stato impegnato nella predicazione degli esercizi spirituali al clero, mentre io, che in quei giorni mi trovavo con lui per assisterlo, non ho potuto a mia volta provvedere. Ultimato quell’impegno, abbiamo trattato vari argomenti legati a Cristianesimo e Islam in seguito agli attentati di Parigi. Questo il motivo per il quale abbiamo pubblicato questo articolo-risposta redatto l’11 novembre con diversi giorni di ritardo.

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Jorge A. Facio Lince

segretario di redazione

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Lo smarrimento del linguaggio teologico nell’arte sacra

– Arte&Fede –

LO SMARRIMENTO DEL LINGUAGGIO TEOLOGICO NELL’ARTE SACRA

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Quando la Chiesa cominciò a perdere nel XIX secolo la propria influenza sulle arti, l’artista fu inevitabilmente costretto a dedicarsi a forme artistiche più ristrette di natura effimera, quasi trascurando tutto ciò che per secoli era stato espressione del patrimonio della fede.

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Autore Licia Oddo *

Autore
Licia Oddo *

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Per troppi anni abbiamo dovuto subire le stravaganze e le pazzie di molte nullità nazionali e straniere; per troppi decenni abbiamo trasformato la vera arte in una moda effimera e vuota di ogni significato, tutto ciò solo per correre dietro a certe mode di oltre oceano, solo per apparire aggiornati, moderni di avanguardia.

Quirino De Ieso [Benevento 1926 – Noto 2006]

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Quirino De Ieso, il mistero dell’incarnazione del Verbo di Dio e della sua passione e morte, 2005

Le vicende artistiche del Novecento hanno inevitabilmente contrito il concetto di arte contribuendo spesso a infonderle un significato dissacrante della rappresentazione, perché scevro da ogni credibilità in quei valori umani e cristiani che un tempo ne decretarono il successo mediante il mecenatismo della Chiesa Cattolica ed il sensus fidei che animava gli artisti.

Quando la Chiesa cominciò a perdere nel XIX secolo la propria influenza sulle arti, l’artista fu inevitabilmente costretto a dedicarsi a forme artistiche più ristrette di natura effimera, quasi trascurando tutto ciò che per secoli era stato espressione del patrimonio della fede. Lo stile artistico del Novecento, pur essendo profondamente rivoluzionario è pur tuttavia detentore di quei cardini che hanno contrassegnato la storia dell’arte nei secoli, ne risentì molto. Del resto l’arte [1] ha sempre mostrato il medesimo processo evolutivo. Il nuovo è presto vecchio [2], l’innovazione diventa tradizione ed il presente diventa passato ma quest’ultimo è pur necessario a quello, che lo segue nel tempo per una prospettiva futura: muta la forma, alla base di ogni vicenda, come di ogni estetica.

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IL BATTESIMO DI GESU - CM. - 50 X 100

Quirino De Ieso, Battesimo di Gesù al fiume Giordano, 1995

A tutti noi è evidente che la nostra società, già da parecchi anni, si sta evolvendo verso la amoralità, non ultimo attraverso la distruzione delle proprie stesse radici cristiane, che sono anche patrimonio d’arte. Cosa è auspicabile dunque per provocare un’inversione di tendenza e frenare la caduta dei valori umani strappando al pericolo della superficialità la rappresentazione artistica che del sacro è la più fedele interprete? Per rispondere a questo quesito nel quale il pittorico diviene espressione di fede e l’arte una manifestazione del trascendente metafisico, è di gran lunga interessante lo studio, frutto della contemplazione dell’opera del pittore contemporaneo postumo Quirino De Ieso, nelle cui tele egli traduce il mistero dell’universale, ed il teologico in pittorico [3]. Secondo l’opinione di De Ieso, è pur evidente che l’arte presenta mille volti, dal sacro al profano, ma è pur vero che è il «concetto stesso di arte» che ha una derivazione squisitamente spirituale, divina, è una delle manifestazioni umane più devota dell’amore dell’uomo nei confronti del suo Creatore. Egli interpreta la Verità nell’aspetto spirituale e sacro, ma indagata all’interno del nostro animo, perché, come afferma il maestro: «il mistero dell’Arte è quello stesso dell’Universo, nell’una e nell’altro sono presenti la verità e l’amore cristiani». Nel momento in cui l’artista raggiunge la consapevolezza di tale Verità, solo allora il suo lavoro può elevarsi a dignità di opera d’arte, dando vita al capolavoro.

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Gesu pescatore di uomini particolare cappella funeraria Noto

Quirino De Ieso, Gesù che dice ai suoi discepoli «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini» [Mc 1, 14-20], particolare di una cappella funeraria di Noto, 1995-1996

De Ieso sostiene che solo una ricerca interiore è in grado di produrre un simile miracolo. Tale ricerca sta proprio nel mondo dell’Arte, la musica, la poesia, la pittura, la scultura. Arte dunque come ricerca interiore. Si pensi in tal senso al modo in cui Dante Alighieri traduce in rima poetica ed immagini, nel XXXIII Canto del Paradiso, i misteri della fede esposti da San Tommaso d’Aquino nella sua Summa Theologiae; immagini che in seguito, Sandro Botticelli, raffigurerà attraverso i suoi celebri disegni illustrativi della Divina Commedia [cf. QUI]. Ma è pur vero che molti valori determinanti per la nostra società sono stati svuotati del loro contenuto reale, contaminati da effimere grandezze, calpestati da una progressiva involuzione etica. E se l’Arte si riduce a tele vuote, bruciacchiate, tagliuzzate, a tele semplicemente imbrattate di colore, a pietre levigate solo dalle acque dei fiumi, a lamiere contorte e arrugginite, allora l’Arte è morta? No di certo. Per fortuna, ad ogni caduta segue sempre una risalita; pertanto, prima o poi, l’Arte autentica, intrisa di sentimento passionale, morale, sociale, cultuale, che morta non è, ritornerà a trionfare e, ancora una volta ci condurrà sulla via della bellezza, della purezza, della gioia e dell’amore.

Nelle opere di questo artista si percepisce quell’indagine spirituale che egli traduce in vere e proprie rappresentazioni mistiche, sia astratte, sia retinate (tecnica quest’ultima di sua mera invenzione) frutto delle sue meditazioni e che sfociano in una vera e propria dissertazione filosofica del significato della parola Arte, proferendo persino un attacco diretto nei confronti dell’arte contemporanea.

In questi anni gli interessi dei singoli e l’avidità dei traguardi economici hanno fatto dimenticare alla civiltà i suoi reali obiettivi per mostrarsi degna di essere definita tale. La fiducia nell’operato senza pregiudizi, la solidarietà del gruppo in funzione del raggiungimento di comuni traguardi, l’etica di una condotta scevra da ogni contaminazione egoistica sono stati sostituiti dal puro superficialismo della semplice apparenza, quale surrogato per rimpiazzare la realtà e condurre al risultato di distruzione di massa, addivenendo così ad una terra inquinata da non potere garantire la sopravvivenza dei suoi abitanti e negare la speranza del domani ai posteri. Commenta il maestro:

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«Per troppi anni abbiamo cercato la novità a tutti i costi, come se ciò fosse il fine principale dell’arte; e non abbiamo capito che la novità, l’originalità non sono conquiste che vengono dall’esterno ma dal nostro interiore, dal nostro cuore e dalla nostra mente; esse sono conquiste che si ottengono solo attraverso un lavoro serio, continuo, sofferto, lungamente meditato. Solo così si può arrivare a conquistare un linguaggio personalissimo ed efficace, sempre frutto, oltre che di talento, anche di lunghi anni di durissimo lavoro, durante i quali l’artista scava nel suo animo e si confronta col mondo esterno e con i problemi della società in cui egli vive».

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IL MISTERO DELLA CROCIFISSIONE DE IESO

Quirino De Ieso, Il mistero della crocifissione, 2001

Per rendere evidenti simili concetti non si può prescindere dai mezzi tecnici che della rappresentazione iconografica sono la più efficace espressione, quali la pittura o la scultura. In effetti secondo l’autorevole parere di questo grande maestro dell’epoca contemporanea, nella nozione di arte si dovrebbero distinguere due sensi o percezioni: uno generico o comune, ed uno puro o spirituale.

Fino a oggi nessun autore ha compiuto una netta distinzione delle due percezioni attribuendovi separatamente i dovuti significati specifici, ma ha mostrato l’arte come il frutto di questa combinazione, senza riflettere a ciò che vi sia dietro veramente. È risaputo infatti che tutti gli autori sono d’accordo nello stabilire che “Arte” significhi genericamente: lavoro dell’uomo risultante da studio, dalla pratica e dall’ingegno nel conseguire un determinato effetto; il complesso delle regole o precetti necessari a quello: astuzia; finezza; capacità di sapersi regolare per arrivare ad uno scopo, e tutto diventa quindi sinonimo di professione, mestiere, ufficio esaurendosi a tale definizione. Da queste prime interpretazioni si evince che mentre per il primo senso (generico) è abbastanza evidente per tutti un significato, non lo è così per il secondo (spirituale), o meglio quest’ultimo sembra non essere tanto comprensibile a tutti, ma solo a pochi, a coloro che appartengono a quella schiera di eletti capaci di leggere e di leggersi dentro. “Arte” intesa in senso puro e spirituale significa:

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«elevazione dell’anima a Dio, contemplazione della grandezza e della potenza di Dio chiaramente visibile nella meravigliosa Natura che ci circonda; ricerca della bellezza Divina nei suoi diversi aspetti trasfusi in tutto il creato; ricerca dell’armonia della perfezione del Signore nella sua opera; ricerca dell’Ordine della “Verità” universali; punto di contatto tra la materia e lo spirito, anello che congiunge gli uomini al Padre e alla Madre Celesti».

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Quirino De Ieso Il mistero della crocifissione, La Vergine Maria con Maddalena e l’Apostolo Giovanni sotto la croce, 2003

L’arte nasce col mistero della creazione dell’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio [cf. Gen 1,26]. Nell’uomo il Creatore infonde quel naturale spirito creativo che a poco a poco diverrà arte espressiva nelle sue varie forme. Da quel momento l’Arte nelle sue diverse manifestazioni è stata sempre la più intima compagna dell’uomo per se stesso ma anche per il suo rapporto con Dio, e lo sarà certamente fino all’eskaton, quando Dio darà vita a nuovi cieli e nuova terra.

L’uomo non si accontentò di cercare lo spirituale e mettersi in contatto con esso solo attraverso l’espressione figurativa ossia la rappresentazione iconografica del suo pensiero, cercò di arrivare ad esso anche con un mezzo più rapido: verbalmente, cioè con la preghiera intesa come strumento e mezzo di comunione con Dio, ed anch’essa arte, nelle sue varie forme espressive poetiche e musicali. Certo, la preghiera dei primi uomini non era comunque quella concepita da noi, poiché il loro modo di vedere e di pensare di uomini antichissimi era ben diverso dal nostro, ma non per questo dobbiamo pensare che la loro preghiera e il loro concetto di soprannaturale fossero sentiti con calore e sincerità minori di come li sentiamo oggi, perché lo spirito e il desiderio di elevazione e di slancio mistico verso una dimensione metafisica che alberga nell’animo umano è da sempre vivo, ma è certamente cambiato il modo di manifestarlo attraverso i secoli, rischiando talvolta di perdersi strada facendo.

È nota ai più, la lunga strada che l’arte ha percorso con le sue parabole ascendenti e discendenti. Ad ogni periodo di maggiore splendore è seguito sempre un periodo di declino. Ci si chiede: perché ci sono stati questi alti e bassi in campo artistico? Non si deve certo pensare ad una più o meno scarsa intelligenza dell’uomo come spesso la maggior parte dei critici di tutti i tempi ci ha voluto dimostrare con le loro più o meno profonde osservazioni. La vera ragione che secondo De Ieso ha sempre causato alti e bassi è di tutt’altra natura, è introspettiva. È risaputo infatti che in tutti i tempi gli artisti hanno sempre cercato un mezzo o una maniera efficacissima per astrarre la realtà delle cose e della natura, per far comprendere agli spettatori il contenuto delle loro opere, o meglio per mettere in rapido contatto lo spirito del contemplatore con lo stato d’animo contenuto nelle loro opere [4].

Crocifissione, 1954

Quirino De Ieso, il Cristo crocifisso in mezzo ai due ladroni, opera giovanile, 1954

Solo quando gli artisti riuscivano a trovare questo mezzo efficace di astrazione, l’arte si avviava per quella strada che l’avrebbe condotta alle più alte vette, ossia alle più sublimi realizzazioni artistiche. Solo dal dialogo interiore attraverso una netta introspezione dell’artista con se stesso elevando il suo spirito a Dio, poteva accadere questo. Quando questa maniera di astrarre fu sfruttata al massimo, gli artisti successivi per non ripetere la stessa strada dei loro predecessori furono costretti a cambiar via. Per fare ciò, dovevano trovare una nuova maniera di “astrarre” e che nello stesso tempo fosse altrettanto efficace quanto quella già universalmente accettata. Purtroppo, cercando al di fuori del loro essere, gli artisti sono riusciti a catturare quello che la realtà triste di questi ultimi scampoli di progresso tecnologico offre loro, restando mediocri e paralizzati nella rappresentazione, che non è scaturita dallo spirito di cui l’uomo è portavoce, ossia dalla consapevolezza dell’esistenza del divino, ma piuttosto dalla vuota esteriorità che prima di tutto è spesso vile apparenza senza sostanza.

Arte è prima di tutto esperienza di vita e come tale si sviluppa unitamente alle emozioni, al percorso sociale, culturale ma soprattutto spirituale che l’uomo-artista compie nella sua esistenza. Essa è indubbiamente fenomeno sociale ed espressione della vita stessa, cambia col mutare della società e delle esperienze dell’uomo. Ma in questo continuo “divenire” l’arte deve pur mantenere lo spirito essenziale della sua essenza, attraverso quella serie di interrogativi esistenziali che l’individuo si pone, e che non è il linguaggio dei segni che si modifica a seconda delle varie epoche, almeno non è solo quello, ma piuttosto è linguaggio universale, catechetico. Numerose sono infatti le pitture ― in particolare gli affreschi impressi in molte nelle chiese tra il XIII e XVI secolo ― che sono vere e proprie tavole illustrative del catechismo per il Popolo di Dio; basti citare, tra le numerose, quelle del Duomo di San Gimignano [vedere QUI].

Quirino 1

Quirino De Ieso, Il mistero della risurrezione del Cristo, 1996

La “Verità” pura nell’universo, nel suo duplice aspetto, materiale e spirituale, ma anche catechetico, si esprime attraverso l’arte, ancella della comunicazione universale e da secoli posta a servizio del divino, del sacro, attraverso un travagliato cammino per il raggiungimento di una catarsi dell’interiorità dal vizio, dal disordine morale per arrivare al recupero dei valori etici, obiettivi preposti e perduti a causa dell’esteriorità con cui oggi gli artisti si approcciano ad essa senza guardarsi dentro, secondo il monito evangelico: «Il regno di Dio è dentro di voi» [cf. Lc 17,21]. In questa interiorità alberga il seme di grazia della Verità, quindi lo spirito essenza della vera arte, quella capace di percepire il divino e manifestarlo attraverso i messaggi espressivi propri delle arti.

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Quirino De Ieso, La discesa dello Spirito Santo nel cenacolo sopra gli Apostoli e la Vergine Maria a Pentecoste. Affresco centrale, Chiesa del Sacro Cuore in Noto, 1999.

Particolarmente vicino alla teologia paolina, Quirino De Ieso soleva dire che senza la vittoria dell’uomo su se stesso (a causa della mancata analisi introspettiva) vi sarà la sconfitta universale, con l’infelice prospettiva di diventare l’uomo “dinosauro” del duemila, ossia specie destinata all’estinzione. Ma l’uomo, il solo granello pensante dell’universo, quali strade può percorrere per ritrovare se stesso? Solo dalla personale ricerca interiore può scaturire la nuova forza vitale capace di ricollocarlo al primo posto della scala degli esseri viventi. Chi prevale? La bestia o l’angelo, il compiacimento o il rimpianto, la concretezza o la fantasia, la dόxa o il logos, la fede o la scienza, la realtà o l’illusione, la vittoria o la sconfitta? Dove collochiamo il nostro io: in un turbine senza fine, oppure in un sereno romantico scorcio della nostra terra? Chi domina il nostro pensiero: incubi nati da antichi tormenti, o speranze di felici orizzonti? Ed è così che dall’intreccio di una rete intessuta con ardua impresa l’Altissimo scruta l’uomo in trepidante attesa nella risposta alla ricerca e scoperta della Verità.

Sia che ci scopriamo prosecutori di primordiali istinti, sia che ci valutiamo figli di una Creatura celestiale naufragata in un mondo dominato da discutibili passioni in seguito alla cacciata dell’uomo dal Paradiso terrestre [cf. Gen 3, 23-24], scopriremo comunque che la ricerca interiore che vivifica il mondo dell’Arte ci guida in una affascinante avventura nella Natura che ci circonda, e di cui facciamo parte integrante come il vento, i fiumi, le stelle, il sole, mirabili opere di Dio che, nonostante il rifiuto dell’uomo corrotto nella propria primordiale essenza dal peccato originale e abbandonato spesso alla grettezza prevaricante delle sue passioni, non ha mai cessato di venirci incontro e di amarci nel corso dell’intera storia della nostra esperienza umana, sino all’incarnazione del Verbo di Dio fatto uomo [cf. Gv. 1,1].

Il doppio interrogativo che De Ieso pone ed impone attraverso le sue opere ai suoi interlocutori sull’uomo e sulla Natura quale opera del Creato, non è dunque una fredda interrogazione filosofica, ma la domanda viva ed assillante di chi vuole additare i grandi problemi dell’oggi e collaborare nei rimedi per la salvezza dell’umanità e del suo naturale ambiente, mediante l’espressione più raffinata della produzione umana che è l’arte, testimonianza materiale ed immateriale avente valore storico di civiltà quale carta di identità di un popolo, procedente al recupero affannoso di quell’identità smarrita e forse perduta per sempre, dopo che l’uomo uscì dall’antico Giardino di Eden, verso il quale è stato nuovamente ricondotto dal Cristo Redentore, fattosi nuovo Adamo, perché «come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo» [cf. I Cor 15,22].

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* storica dell’arte

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Per leggere la recensione tratta dalla rivista Le Sicilie cliccare sotto

Licia Oddo – Jorge A Facio Lince: «QUIRINO DE IESO TRA ARTE E KOINÉ»

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NOTE

[1] C.Vicari, Come l’800 fu la premessa all’arte contemporanea, in l’Arte italiana nella seconda metà del XX sec.: Tradizione e Avanguardia, Piacenza, 1980, p.5
[2] Ossani Silipo, Carattere Generale dell’Arte tra il nuovo e l’antico, in l’Arte italiana nella seconda metà del XX sec.: Tradizione e Avanguardia, Piacenza, 1980, p. 21
[3] Ariel S. Levi di Gualdo, Le Sicilie, pag. 96 [cf. QUI]
[4] Tale interpretazione è quella che nella comprensione dell’opera d’arte di Panofsky,corrisponde ad una terza ed ultima fase che fornisce il significato intrinseco dell’opera stessa: l’analisi iconologica. Coglie al di là dei motivi e al di là delle storie i valori simbolici, valutandone le tendenze politiche, religiose, filosofiche e sociali sia nella personalità dell’artista che nell’epoca in cui egli vive.

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Quirino Di Ieso

una delle ultime immagini del pittore Quirino De Ieso, 2006

 

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

Islamismo e il mistero cristologico: Cristo ha promesso che le porte degli inferi non prevarranno sulla Chiesa, non ha detto che non crollerà l’Europa

ISLAMISMO E IL MISTERO CRISTOLOGICO: CRISTO HA PROMESSO CHE LE PORTE DEGLI INFERI NON PREVARRANNO SULLA CHIESA, NON HA DETTO CHE NON CROLLERÀ L’EUROPA

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Sempre resta vera la promessa di Cristo che portae inferi non praevalebunt. Cristo però non ha detto che non crollerà l’Europa, ma che non sarà distrutta la Chiesa. Non sono la stessa cosa. Oggi l’Europa rischia di presentare all’Islam il quadro di una civiltà in disfacimento morale e culturale, che, avendo dimenticato le sue radici cristiane e la solidità della sapienza greco-romana, è tornata a costumi barbari e pagani dissolventi, peggiori di quelli che precedettero la sua conversione a Cristo.

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Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

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Per aprire l’articolo cliccare sotto

Giovanni Cavalcoli, OP – ISLAMISMO E IL MISTERO CRISTOLOGICO

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Delicata ma magistrale strigliata del Santo Padre alla Conferenza Episcopale Tedesca

DELICATA MA MAGISTRALE STRIGLIATA DEL SANTO PADRE ALLA CONFERENZA EPISCOPALE TEDESCA

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Il Santo Padre riserva molte belle sorprese, basterebbe solo ascoltare o leggere ciò che sovente afferma, in questo clima spesso schizofrenico nel quale non pochi giornalisti e blogger sempre più al di là del comune buon senso cattolico, hanno deciso di puntare come cecchini su ogni sospiro del Successore di Pietro. E questo fa male anzitutto a loro e alle loro anime, quindi alla Chiesa edificata da Cristo sulla roccia di Pietro.

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Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Il Cardinale Reinhard Marx Arcivescovo Metropolita di München e Presidente della Conferenza Episcopale Tedesca durante il saluto rivolto al Santo Padre nel corso della visita ad limina apostolorum [foto, l’Osservatore Romano]

Il 28 ottobre scrissi un articolo in cui commentavo lo standard delle nuove nomine episcopali, manifestando in esso inquietudine. Più che provocatorio il titolo era drammatico: «Stanno buggerando il Santo Padre: proteggiamo Pietro! I peggiori gattopardi trasformisti stanno giungendo in pauperistica gloria all’episcopato» [vedere QUI]. Già in precedenza ne avevo scritto un altro il 30 luglio intitolato: «Vescovi, mode e consigli per i nuovi carrieristi: siate poveri, sciatti e periferico esistenziali» [vedere QUI]. Prima ancora il 18 maggio un altro intitolato: «Cristo non ci vuole ruffiani e cortigiani, infatti non ci chiama “servi” ma “amici“» [vedere QUI].

Lamentando che in Italia si stavano eleggendo nelle diocesi, in modo spesso acritico attraverso scelte non sempre felici, vescovi provenienti da “periferie esistenziali” vere o presunte, Sul finire del lungo articolo del 28 ottobre sollevavo un preciso quesito:

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[…] Viene infine da domandarsi se i figli della Chiesa italiana sono, in quanto tali, figli di un dio minore. Per esempio rispetto ai tedeschi. Come mai, in Germania, contrariamente a quanto sta accadendo in Italia, non vengono imposti e moltiplicati certi tipi di vescovi corrispondenti a quei “criteri pastorali” amabilmente “imposti” dal Santo Padre Francesco? E se parliamo di spirito principesco o ancor più di spirito feudale, pur con tutto il loro romanofobo progressismo del caso, ben sappiamo quanto i tedeschi superino in ciò di gran lunga gli italiani; e non entriamo neppure nel discorso della sfacciata ricchezza della Chiesa tedesca, o del gettito fiscale di cui beneficia, a confronto del quale l’Otto per Mille italiano è poco più che un obolo.

Forse i tedeschi sono considerati dalla psicologia argentina dell’uomo Jorge Mario Bergoglio dei figli di un dio maggiore, perché a nessuno è ancora passato per la testa di imporre in una diocesi della Germania un parroco proveniente dalle “periferie esistenziali” che abbia trascorso il suo ministero, per davvero o per finta, a servire i pasti agli immigrati, od a fare pastorale di evangelizzazione tra le prostitute di Amburgo. E infatti, i vescovi tedeschi seguitano tutt’oggi ad avere biglietti da visita che si aprono in quattro facciate per poter contenere al loro interno tutti i titoli accademici specialistici, i dottorati, la lunga sequela di master post-dottorato, le loro pubblicazioni scientifiche e via dicendo […]  [articolo integrale QUI]

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conferenza episcopale tedesca

i membri della Conferenza Episcopale Tedesca con il Santo Padre durante la visita ad limina apostolorum [foto, L’Osservatore Romano]

Proprio in virtù di ciò che scrissi in questo articolo devo segnalare con estremo piacere che il Santo Padre Francesco, con un pugno di ferro rivestito da guanto di velluto, oggi si è rivolto in modo deciso e senza nulla lesinare ai membri della Conferenza Episcopale Tedesca in visita ad limina apostolorum.

Questo per ribadire che il Santo Padre riserva molte belle sorprese, basterebbe ascoltare o leggere ciò che sovente afferma, in questo clima spesso schizofrenico dove non pochi giornalisti e blogger sempre più al di là d’ogni comune buon senso cattolico, hanno deciso di puntare come cecchini su ogni sospiro del Successore di Pietro. E questo fa male anzitutto a loro e alle loro anime, quindi alla Chiesa edificata da Cristo sulla roccia di Pietro [cf. Mt 16, 13-20].

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cliccare sotto per aprire il testo del discorso

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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AGLI ECC.MI PRESULI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DELLA REPUBBLICA FEDERALE DI GERMANIA
IN VISITA “AD LIMINA APOSTOLORUM

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

Dio castiga e usa misericordia

— theologica —

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DIO CASTIGA E USA MISERICORDIA

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Oggi molti, influenzati da un molle e dolciastro buonismo, non capiscono come il castigo del peccato sia doverosa giustizia; e siccome la giustizia è volontà di ciò che è giusto e quindi buono e il volere il bene è amore, non capiscono come il castigo, in fin dei conti, è dettato dall’amore per lo stesso peccatore.

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Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

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Autore Redazione dell'Isola di Patmos

Autore
Redazione dell’Isola di Patmos

La Redazione dell’Isola di Patmos ripropone oggi questo articolo scritto il 18 novembre 2015 dal Padre Giovanni Cavalcoli OP, per chiarire quello che è il pensiero dell’insigne teologo domenicano sul concetto dottrinale di “castigo” e “misericordia”.

4 novembre 2016

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Per aprire l’articolo cliccare sotto

Giovanni Cavalcoli OP — DIO CASTIGA E USA MISERICORDIA [18.11.2015]

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Giovanni Cavalcoli
Dell'Ordine dei Frati Predicatori
Presbitero e Teologo

( Cliccare sul nome per leggere tutti i suoi articoli )
Padre Giovanni

Il Santo Padre Francesco in visita dai luterani e la commemorazione della Cena del Signore

IL SANTO PADRE FRANCESCO IN VISITA DAI LUTERANI E LA COMMEMORAZIONE DELLA CENA DEL SIGNORE

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Il poter commemorare assieme, cattolici e luterani la Cena del Signore, è certo una cosa bella e sommamente desiderabile. Ma se per adesso non siamo d’accordo su ciò che fa e che dice il presidente o ministro dell’assemblea, e su ciò che Cristo fa avvenire in quel momento, che senso può avere un’assemblea come quella che alcuni chiamano con grave leggerezza «intercomunione»?

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Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

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Il 15 novembre 2015, ad una domanda sulla Comunione Eucaristica a lui rivolta da una Signora durante l’incontro informale presso la Comunità luterana evangelica di Roma, il Santo Padre Francesco ha risposto: «Alla domanda sul condividere la Cena del Signore non è facile per me risponderle, soprattutto davanti a un teologo come il cardinale Kasper! Ho paura! Io penso che il Signore ci ha detto quando ha dato questo mandato: «Fate questo in memoria di me». E quando condividiamo la Cena del Signore, ricordiamo e imitiamo, facciamo la stessa cosa che ha fatto il Signore Gesù. E la Cena del Signore ci sarà, il banchetto finale nella Nuova Gerusalemme ci sarà, ma questa sarà l’ultima. Invece nel cammino, mi domando – e non so come rispondere, ma la sua domanda la faccio mia – io mi domando: condividere la Cena del Signore è il fine di un cammino o è il viatico per camminare insieme? Lascio la domanda ai teologi, a quelli che capiscono».

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Papa visita luterani

15.11.2015, il Santo Padre Francesco in visita alla Comunità luterana evangelica di Roma. Cliccando sopra l’immagine è possibile aprire i filmati video del Centro Televisivo Vaticano

Il Santo Padre ha fatto visita il 15 novembre scorso alla Comunità luterana evangelica di Roma [vedere video, QUI] ed ha accennato al significato per noi cristiani della commemorazione rituale dell’Ultima Cena del Signore, sollecitando i presenti ad un approfondimento e chiarimento delle parole del Signore pronunciate sul pane e sul vino, e formulando la speranza che un giorno tutti i cristiani, superate le attuali divisioni, possano, sulla base degli attuali valori comuni, a partire dal Battesimo, ricordare e vivere in perfetta e piena comunione tra di loro questo evento fondamentale della vita di Cristo e per conseguenza della nostra salvezza.

Trattandosi di un incontro ecumenico occasionale ed informale, il Papa ovviamente non ha neppure accennato al dogma cattolico dell’Eucaristia, circa il quale sono tuttora in atto la discussione, la trattativa e la ricerca ecumenica ufficiali degli esperti, nella quale il Papa non ha voluto entrare. Egli si è limitato a ricordare che noi cattolici concordiamo con i luterani nel riconoscere che nel momento in cui il ministro del servizio liturgico ripete le parole del Signore sul pane e sul vino narrate dai Vangeli, la fede di tutti noi cristiani è che Gesù Cristo glorioso è realmente presente nella comunità celebrante con l’offerta della sua grazia.

Questa verità di fede da tutti condivisa, ha fatto capire chiaramente il Papa, è una delle basi del dialogo e del confronto che, sotto l’assistenza dello Spirito Santo, in una carità sincera e spirito di riconciliazione nella diversità, deve condurre all’unità escatologica di un unico gregge sotto un solo pastore.

papa visita luterani 1

Il discorso del Santo Padre presso la Comunità evangelica luterana

Come tutti sappiamo, Lutero, opponendosi alla interpretazione dogmatica tradizionale della Chiesa, negò che Cristo, dopo le parole «questo è il mio corpo», intendesse dire che ciò, che aveva tra le mani non era più pane, benché mantenesse le sembianze del pane, ma era appunto realmente e sostanzialmente il suo corpo. Lutero credette che questa fosse una falsa interpretazione e che fino ad allora la Chiesa si fosse sbagliata. Per questo, egli pensò di aver trovato la verità, interpretando le parole di Cristo nel senso che Egli sarebbe presente nel pane, come se avesse detto: «Io sono in questo pane», formulando così il concetto di presenza «in-con-e-sotto le specie del pane e del vino». Tuttavia, ciò non corrisponde affatto a ciò che veramente e testualmente ha detto Gesù.

celebrazione eucaristica

il Memoriale vivo e santo

Neppure Gesù, con la parola «questo» Neppure Gesù, con la parola «questo» [τοῦτο, in greco (da οὗτος, αὕτη, τοῦτο, “questo”), che corrisponde al latino hoc], ha inteso dire «questo pane», perché si tratta di un neutro, ossia «questa cosa», «questa sostanza» in senso generico, così che possa riferirsi indifferentemente o congiuntamente al pane e al corpo, perché è il momento nel quale il pane si sta transustanziando nel corpo. D’altra parte, è impossibile che Gesù abbia inteso dire: «questo pane è il mio corpo», perché sarebbe un’assurdità: nessuna cosa può essere una data cosa e simultaneamente essere un’altra cosa. Ogni cosa ha la sua identità ed esclude tutte le altre diverse da lei. Invece a Lutero sembrò assurdo che il pane si convertisse nella sostanza del corpo di Cristo conservando gli accidenti o sembianze o “specie” proprie del pane. Infatti, egli non tenne conto del fatto che tra gli accidenti e la sostanza dell’ente creato esiste una distinzione reale, e quindi una separabilità di principio, per cui, anche se di fatto in natura non succede mai che esistano accidenti senza la loro sostanza o una sostanza senza i suoi accidenti, se egli avesse tenuto presente la suddetta separabilità, non avrebbe avuto difficoltà a restar fedele al dogma e si sarebbe reso conto che non era la Chiesa a sbagliare, ma era lui.

papa messa

celebrazione eucaristica del Santo Padre Francesco

Ora, l’ecumenismo va indubbiamente alla ricerca di ciò che noi cattolici abbiamo in comune con i luterani. Tuttavia, noi cattolici non possiamo accontentarci e fermarci, come crede erroneamente Rahner [1], alle constatazioni delle verità, sia pur belle e consolanti, risultanti o derivanti degli accordi ecumenici, quasi che con ciò i nostri doveri verso i fratelli luterani e i loro verso Cristo e verso di noi sino finiti, come se non ci fosse per noi cattolici altro da fare e l’unità fosse già conseguita, ma, sulla base dei valori comuni, noi cattolici dobbiamo trovare con loro e a loro servizio, le vie, i tempi, i luoghi, i modi e i metodi caritatevoli, prudenti, umili, fermi, perseveranti, pazienti, persuasivi, per condurli e prepararli gradatamente a ritrovare le verità perdute e tra queste c’è la giusta interpretazione dell’istituzione dell’Eucaristia e del Sacerdozio, e quindi quella della Messa nell’Ultima Cena da parte del Signore.

papa messa 2

celebrazione eucaristica del Santo Padre Francesco

Il poter commemorare assieme, cattolici e luterani la Cena del Signore, è certo una cosa bella e sommamente desiderabile. Ma se per adesso non siamo d’accordo su ciò che fa e che dice il presidente o ministro dell’assemblea, e su ciò che Cristo fa avvenire in quel momento, che senso può avere un’assemblea come quella che alcuni chiamano con grave leggerezza «intercomunione»? Quale comunione dove c’è la divisione? Uniamoci laddove possiamo essere uniti, ossia dove abbiamo la stessa fede. Se uno ritiene falso ciò che l’altro crede vero e viceversa, che senso può avere riunirsi su di una simile base? Si può fare comunione su di una data cosa, quando ci si accusa a vicenda di essere nel falso proprio in rifermento a quella cosa, ossia sulla base del disaccordo su qual è la verità di fede in gioco o sul senso delle parole di Cristo? Accordiamoci per adesso dove è possibile farlo. Non forziamo le cose. Pretendere di più, sarebbe finzione o commedia, alla fine, offensiva di quel Cristo, che tutti amiamo. Abituiamoci ad attendere, mentre operiamo il possibile. «Sopportiamoci a vicenda con amore» [cf. Ef 4,2].

sentiero

in cammino lungo i sentieri dello Spirito …

Non precorriamo i tempi, avanziamo laddove il cammino si apre, nella «diversità riconciliata», nella testimonianza e nella ricerca della verità, in quel grado di comunione, che per adesso ci è consentito, nel rispetto, nel perdono e nella correzione reciproci, dandoci alle opere della giustizia e della carità, soprattutto l’attenzione ai poveri, ai bisognosi e ai sofferenti, senza ristagni, ma anche senza fretta, senza illusioni, ma anche senza perderci d’animo, dediti alla preghiera e chiedendo luce alla Parola di Dio.
Questi sono i suggerimenti, gli stimoli e gli spunti che ci vengono o ci possono venire dalle parole del Santo Padre. Accogliamoli con fiducia, e facciamoli fruttare, aperti agli impulsi imprevedibili e corroboranti dello Spirito Santo.

Varazze, 17 novembre 2015

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[1] Rahner espone la sua tesi nel libro Unione delle Chiese. Possibilità reale, Editrice Morcelliana, Brescia 1986.

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2. ARCHIVIO Ariel S. Levi di Gualdo – certificati della sacra ordinazione sacerdotale

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ARCHIVIO DOCUMENTI

(allegati alla biografia di Ariel S. Levi di Gualdo)

certificati della sacra ordinazione di Ariel S. Levi di Gualdo e mandato all’esercizio del sacro ministero 

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Vicariato di Roma, 4 maggio 2010 – Certificato di ordinazione sacerdotale di Ariel S. Levi di Gualdo, firmato dall’allora Arcivescovo vicegerente S.E. Mons. Luigi Moretti

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2 maggio 2010, documento noto come Celebret con il quale il Vescovo Diocesano conferisce al presbitero le facoltà che egli ritiene opportune e che fu all’epoca redatto in tre lingue avendo già concordato col Vescovo spostamenti e soggiorni in vari Paesi europei per motivi pastorali e di studio

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2 maggio 2010 – conferimento del ministero di esorcista

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IL RIFIUTO DISTRUTTIVO DELLE RADICI CRISTIANE DELL’EUROPA. IL FILOSOFO ROCCO BUTTIGLIONE INQUISITO DA UNA INTEGRALISTA OMOSESSUALISTA AL PARLAMENTO EUROPEO

IL RIFIUTO DISTRUTTIVO DELLE RADICI CRISTIANE DELL’EUROPA. IL FILOSOFO ROCCO BUTTIGLIONE INQUISITO DA UNA INTEGRALISTA OMOSESSUALISTA AL PARLAMENTO EUROPEO

 

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Oggi più che mai, in un mondo e in una Chiesa senza memoria, troppo presa a esaltare i “preti di strada” à la page, veri o presunti, si dimenticano, o peggio non si conoscono alcuni tra i più importanti documenti del magistero contemporaneo. Per andare alla radice del problema degli attentati terroristici a Parigi basterebbe prendere visione di un testo del Santo Pontefice Giovanni Paolo II, che se letto oggi apparirà come una tragica profezia, come una vera e propria cronaca di una morte annunciata. Si tratta dell’Esortazione Apostolica post-sinodale Ecclesia in Europa del 2003, di cui consiglio vivamente la lettura, perchè si tratta di un testo scritto dodici anni fa nel quale è purtroppo racchiuso il nostro presente [cf. documento integrale, QUI].

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Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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